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Qui non arrivano gli angeli
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Qui non arrivano gli angeli

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About this ebook

Questa è la storia di un ragazzo che parte con le carte in regola, magari non proprio delle buone carte, ma sicuramente almeno in regola. Sono carte che dovrebbero permettergli di avere una vita normale, o meglio, tradizionale. Soltanto che pian piano anziché formarsi si deforma, si allontana sempre di più dalla formazione che alla fine lo renderebbero normale ma finto. Questo è infatti un romanzo di deformazione, dove il protagonista grazie alla suo percorso riesce a diventare una persona vera. Ho cercato di scrivere questa storia nel modo più realistico e “vero” possibile.

Avvertenza

Questa è una storia inventata. Le opinioni espresse dai personaggi non corrispondono necessariamente alle mie. Il linguaggio volgare e scurrile va inteso esclusivamente al fine di delineare un personaggio e mai vuole ferire la sensibilità o il pudore, e ancor meno vuole offendere qualcuno.

L’autore.

LanguageItaliano
Release dateSep 3, 2014
ISBN9788868821500
Qui non arrivano gli angeli

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    Qui non arrivano gli angeli - Mario Lagostina

    L’autore.

    Parte prima

    La Nausea

    Capitolo 1

    In stazione c’è odore di treno. C’è dappertutto. Fuori sulle banchine d’attesa all’aria aperta, dentro la sala d’aspetto, dentro la biglietteria. Anche d’inverno con le porte chiuse, dentro c’è odore di treno. Credo che l’odore in questione provenga da quella sostanza unta e rossiccia che ricopre i binari e le traversine a cui i binari sono imbullonati. Quella porcheria bruna ha una puzza terribile e quella puzza è l’odore del treno. In certi casi però è anche buona.

    Quando arrivo nel parcheggio della stazione e scendo dal maggiolino di mia sorella, e anche quello, il maggiolino, ha un odore tutto suo, già sento l’odore del treno. Mia sorella ormai s’è laureata e non usa più il maggiolino per andare a prendere il treno. Vive a Milano e là la macchina non le serve, men che meno un maggiolino del cazzo scassato come questo.

    Ho l’abbonamento e non devo fare il biglietto, così posso metterci tutto il tempo che voglio per raggiungere la banchina. Basta salire due rampe di scale per trovarsi di fronte al binario 3, da dove passano tutti i treni per Milano. In questa stazione ci sono solo tre binari e uno, il 2 che è in mezzo, è morto. Dal binario 3 passano tutti i treni per Milano, dal binario 1 passano tutti i treni che arrivano da Milano. È comodo per questo, non si può sbagliare.

    Certe volte m’è capitato d’arrivare con la macchina che il treno si stava fermando e di riuscire a non perderlo. Di solito però arrivo almeno dieci minuti prima. Non sono uno di quelli che si alzano all’ultimo minuto, tirano su quattro cose e corrono fuori di casa. Mi piace fare le cose con calma, la mattina, ma in generale sempre. Mi alzo presto, faccio una bella colazione, mi rilasso un po’, faccio una bella cagata, che se fossi di fretta non riuscirei mai a fare, e poi esco. Se non riuscissi a cagare prima di uscire, avrei la giornata rovinata. Mi porterei dietro un peso per tutto il giorno, un fastidio, e magari, come qualche volta è ben successo, sarei costretto a cagare in qualche cesso schifoso in metropolitana o in università.

    Salgo le scale. Dal sottopassaggio arriva della gente che ha fatto il biglietto dall’altra parte, dove c’è la biglietteria.

    Due uomini di cinquant’anni, con giacche eleganti e borse a tracolla. Dei manager. Obliterano il biglietto, controllano bene con aria manageriale se si capisce la data e l’ora, perché adesso se non hai il biglietto obliterato il controllore ti rompe il cazzo fino a farti venire un attacco epilettico, anche se sei un manager. È pazzesco, la cosa più grave che uno possa fare è avere il biglietto non obliterato. È molto peggio che non averlo. È la cosa più grave in assoluto.

    I due salgono fino al binario colpendo con le loro borse pesanti qualche passeggero che aspetta lì. Mi stanno sul cazzo. A dire il vero, in generale, tolte alcune categorie specifiche e fatta qualche eccezione, i passeggeri del treno, o meglio dei treni, mi stanno tutti sul cazzo. Puzzano, parlano, alitano, mangiano, ti stanno addosso nel sedile di fianco, ti toccano con le ginocchia e anche con i gomiti, devono scendere e devono salire. In totale rompono i coglioni in tutti i modi. Come diceva quel puffo che non mi ricordo come si chiamava, io odio i passeggeri dei treni.

    Salgo anch’io e raggiungo il binario. Non c’è molta gente che prende questo treno. Sono le otto e il grosso dei pendolari parte con il treno delle sette. Mi guardo in giro mentre inalo l’odore di treno. Le solite facce, qualche faccia mai vista, qualche faccia già vista ma chissà dove, non di certo mentre aspettavo il treno. Passeggio lentissimo, avanti e indietro per la banchina.

    Vedo una biondina piuttosto bassa che aspetta trafficando col cellulare. Sta sopra il rialzo dove una volta c’era la fontana. Adesso invece della fontana c’è una vasca di sasso piena di acqua piovana marcia e scura, immobile, che sembra caffè lungo. Dentro ci galleggiano una miriade di mozziconi di sigaretta. Salgo anch’io sul rialzo e passo dietro la biondina e raggiungo il parapetto. Mi sporgo per guardare giù nel parcheggio, ma ho fatto questa manovra per guardare il culo della biondina. Non è granché. È un po’ largo. Lei è un po’ tozza, è normale che abbia un culo così. Ritorno sulla banchina e mi rimetto a passeggiare. Avanzo e raggiungo una ragazza che vedo di solito. È una donna giovane, più che una ragazza. Non credo proprio che sia una studentessa. Non è che sia bella, però è attraente, è sempre seria e mentre aspetta fuma. Ha delle gambe bellissime, lunghe e magre. Ha sempre dei sandali di cuoio e la pelle dei piedi è scura e asciutta. Ha una bella pelle, abbronzata, dev’essere stata al mare, ad abbronzarsi sugli scogli, con un costume semplice, un due pezzi blu scuro, che sul suo corpo flessibile e scattante sta benissimo. Me la immagino sotto il sole, l’odore del sale e della roccia, che guarda con quel suo sguardo serio, qualche pezzetto d’alga secca tra le dita dei piedi. Passo oltre e do un’ultima occhiata a quei piedi così asciutti. Di sicuro non le puzzano.

    C’è un’arietta fresca e sono senza giacca. Mi da fastidio l’aria sul collo e resto leggermente ingobbito nel tentativo di ripararmi. Quante facce di merda.

    Arrivo in fondo e mi giro, così ho una panoramica completa. Almeno metà delle persone sulla banchina stanno fumando. Tutti quelli che stanno fumando sulla banchina butteranno il mozzicone per terra o tra i binari o nella vecchia fontana quando arriverà il treno. Tutti quelli che stanno fumando, eccetto la giovane donna con le belle gambe, mi stanno sul culo.

    La campanellina suona. L’altoparlante dice che sta arrivando il treno, l’interregionale bla bla bla proveniente da bla bla bla diretto a Milano Centrale è in arrivo al binario 3. Ferma a bla bla bla. Allontanarsi dalla linea gialla.

    Ritorno indietro, perché non mi piace salire sui vagoni davanti. In caso di scontro con un altro treno se sei davanti sei fottuto. Così ritorno indietro, fino quasi in fondo dall’altra parte.

    Arriva il treno. Va piano, stride, cigola. Quando arriva è praticamente vuoto. Mi passano davanti i vagoni verdini e la puzza di treno aumenta. Punto la porta del penultimo vagone e aggiusto la mia posizione di modo che mi si fermi di fronte. Cerco sempre di salire per primo per beccarmi il posto migliore. Ecco, c’è un foglio secco e ingiallito con gli angoli accartocciati appiccicato sul vetro che dice che la porta non funziona. Mi sposto con altri passeggeri incazzati verso un’altra porta. Il treno si ferma. Non salgo per primo.

    Per fortuna nessuno degli imbecilli che è salito prima di me s’è seduto nel posto migliore. Il posto migliore è quello vicino alla porta, dove anziché quattro sedili ce ne sono solo tre, uno dei quali, il migliore, non ne ha un altro di fronte. Cerco di sedermi sempre lì perché così non mi si può sedere nessuno davanti. Ce ne so due per ogni vagone di questi posti. Il primo è mio.

    Mi siedo. Appoggio lo zaino sul sedile di fianco e aspetto che il treno parta e che quelli che prima di sedersi devono fare sei volte il treno avanti e indietro si siano sistemati. Di solito sono degli stronzi di quarant’anni, frustrati, senza una donna e pervertiti. Glielo leggo in faccia, precisamente sulla bocca, che sono dei pervertiti. Con quelle labbra sempre tirate in una smorfia come se avessero appena dato una leccata alla tazza del cesso proprio di questo treno. Poi tiro fuori il libro e incomincio a leggere. Sto leggendo un libro di Asimov e nessuno sul treno gode come me a leggere.

    Mi piace molto leggere e il treno è un buon posto per farlo. È strano, perché in realtà, a voler ben vedere, è un posto rumoroso, pieno di gente che parla, dondola, puzza, fa caldo, fa freddo, il sole ti spacca la faccia e la tendina è rotta. E invece è un buon posto per leggere.

    Leggo, la gente è ancora poca e non c’è tanto casino. Quando il treno entra in una stazione metto il dito dove sono arrivato e guardo dal finestrino per vedere chi c’è e chi sale. Cerco di capire quello che mi potrebbe capitare, in base alla gente che sta lì ad aspettare. Nonostante il posto migliore, ho comunque due sedili liberi appiccicati a me.

    Sale gente assortita. Qualcuno entra deciso e passa oltre. Questo è un altro vantaggio di questo posto. È il primo appena dentro il vagone, e il fatto di vedere che su tre sedili uno è già occupato e un altro ha su il mio zaino, unito al fatto che è la prima cosa che uno vede appena entrato, da a molti la voglia di proseguire oltre, tanto ci saranno ben altri posti.

    Qualcun altro invece entra più lento, titubante. Osserva tutti i posti liberi con un desiderio misto a disprezzo, perché vuole sedersi ma gli fa schifo, e passa oltre. Ogni volta tiro un sospiro di sollievo.

    Passa anche una ragazza con gli occhiali e i capelli lunghi e ricci. La guardo dritta negli occhi, se si sedesse qui lei mi farebbe piacere, lei mi guarda e va oltre. Il treno riparte.

    a ogni stazione il supplizio si ripete. Arrivare a Milano senza che il treno si riempia è impossibile, ora della fine c’è sempre gente che resta in piedi. Si tratta solo di vedere quanto riesci a resistere, e che cosa ti capita. Io verrei sempre delle belle ragazze, purtroppo però non succede spesso.

    Intanto nei sedili di fianco, di là del corridoio, si sono seduti due cinesi. Sono giovani e magri, brutti, con la faccia tutta tirata e i denti scuri e i capelli unti. Da quando sono saliti, stranamente si sente odore di cavolfiore bollito. Stanno piuttosto zitti, per fortuna, e quando parlano sembrano due sordomuti isterici. Continuo a leggere e a resistere da solo nei miei sedili.

    Ormai c’è tanta gente sul treno che anche tra una stazione e l’altra continuano a passare persone in cerca di un posto.

    Ragazzi delle superiori, ridono, si spingono, non sanno un cazzo, sono troppi, passati oltre. Uomo d’affari, serio, elegante, dirigente, sudato, passato oltre. Donna inclassificabile, stanca, innervosita, con una valigia dura e scomodissima che s’incarta dappertutto, quasi quasi mi andrebbe anche bene a questo punto, passata oltre, colpendomi il ginocchio con la sua valigia del cazzo. Marocchino, cadaverico, ciabatte, denti marci, passato oltre. Attrice hollywoodiana, Dolce e Gabbana, tacchi, tette, occhi verdi, passata oltre. Le sue tette però sono ancora qui, davanti ai miei occhi. Studentessa, carina, un po’ casa e studio, libri stretti al petto, aria imbarazzata, in casa si veste con vecchie tute e maglioni slargati, la mia ultima speranza, passata oltre. Vecchio basso, tozzo, baffi bianchi, capelli bianchi, bocca aperta e penzolante, pelle scura, sacchetti della spesa pieni non di spesa. Non passato oltre.

    Il vecchio si ferma, vede i due posti, ansima, si volta e controlla. Aspetta una donna grassa e bassa, con un vestito che sembra un cuscino in un privé. La donna arriva, emette dei suoni, lui risponde con altri suoni. Poi il vecchio si rivolge a me con altri suoni ancora. Ecco, sono fregato, peggio di così si muore, speriamo almeno che non puzzino. Improvviso una traduzione e deduco che mi stia dicendo ti togliere lo zaino. Lo tolgo e mi alzo per metterlo sopra, dove si dovrebbero in effetti mettere i bagagli. Già che sono in piedi aspetto che i due miei vicini si sistemino. Poi mi risiedo.

    Sono assalito dallo sconforto, mi viene quasi da piangere. Con tutta la gente che c’è, proprio questi due?

    Cerco ancora di leggere, ma faccio fatica. Il vecchio parla alla donna in terrone, e non capisco niente. Biascica e basta. Ogni tanto intendo qualche vocabolo, per via di qualche film che ho visto. Traffica nelle tasche, ci scommetto qualsiasi cosa, sta cercando il biglietto. Speriamo che l’abbia obliterato. Tengo ancora il libro aperto ma ormai è solo così, perché non riesco più a leggere.

    La donna è tutta tremolante, come una gelatina. Le vibrazioni del treno la ricoprono interamente di piccole increspature gelatinose. Si stende la stoffa brillante del vestito producendo elettricità statica. In bocca ha un dente di ferro, tipo Mike Tyson.

    Meno male che manca poco.

    Arriva il controllore. Fa prima il gruppo dove ci sono i cinesi. Tutto ok. È un tipo alto e serio, si vede che non gliene frega un cazzo di quello che fa, lo deve fare e basta. Mentre pinza i biglietti con la sua pinzetta dondola un po’ per tenere l’equilibrio. È il suo lavoro. Si volta e dice buongiorno biglietti prego. Gli do l’abbonamento, lo guarda appena. Il vecchio gli porge i due biglietti, il suo e quello di Tyson. Il controllore controlla.

    – Non li avete timbrati? – dice.

    No, non ci credo, il terrone non ha obliterato il biglietto, che cazzo, è grave, molto grave.

    Il vecchio mugugna.

    – Non sono timbrati, i biglietti, qui – dice il controllore e indica anche con il dito.

    Il vecchio farfuglia come se avesse qualcosa in bocca. Scende il gelo e cala il silenzio. Il controllore e il vecchio si guardano e il vecchio farfuglia. Mi sembra di vedere Marcellus Wallace, il boss di Pulp Fiction, quando quei due lo vogliono inculare, giù, nello scantinato, e lui ha una palla legata alla bocca e non riesce a parlare. Il vecchio fa così e quasi quasi sputa anche come Marcellus.

    – I biglietti bisogna timbrarli, qui – dice ancora il controllore.

    – Ma pecchè accussì nusso bbuoni? – si lancia il vecchio in una specie d’italiano semi comprensibile

    – No, devono essere timbrati- dice il controllore.

    – Embè? So bbuoni uguale – il vecchio parla adagio, scandendo, nello sforzo della traduzione simultanea

    Povero controllore, non sai in che cosa ti stai cacciando, penso io. Il controllore insiste.

    – Ma allui manco ciai guardato - dice il vecchio allungando le parole come lamenti.

    – Lui è abbonato, è diverso – dice il controllore.

    – Ebbè, facci u tinbro tu, come accquelli – dice il vecchio e indica con una manata il gruppo dove ci sono i cinesi.

    – Loro avevano i biglietti timbrati – dice il controllore – vi devo fare la multa.

    – Ma che multa emmulta, facci u tinbro – dice il vecchio.

    – E facci u timbro, cu quello, e chetti costa mamma mia- interviene la donna.

    – Cu quello, cu quello – dice il vecchio indicando il controllore che inizia a non capire più niente e gli stanno girando i coglioni.

    – Ma non avete timbrato i biglietti, c’è poco da fare - dice il controllore

    – Cu qquesto, cu questo – dice il vecchio spazientito e prende la mano del controllore. Il controllore fa uno scatto e ritrae la mano.

    – Ma siamo impazziti? – dice il controllore.

    – Eeee, che scenegggiata, facci stu cazzo di tinbro cu quello.

    Io ho capito ma non fiato. Sono un po’ allibito. Il vecchio vuole che il controllore obliteri il biglietto con la sua pinzetta, credendo che il timbro sia quello.

    – C’è da pagare la multa – dice ancora il controllore.

    Che schifo, questa feccia, ma che cazzo te ne frega, fai finta di niente, no? Per fortuna il treno sta entrando in stazione. Chiedo scusa e mi alzo. Il controllore si sposta un attimo, prendo lo zaino me ne vado fuori dai coglioni. Che se ne vadano tutti affanculo.

    Capitolo 2

    Scendere dal treno è come tirare lo sciacquone del cesso. Centinaia di persone si riversano sulla banchina che in un attimo si riempie e brulica e ribolle. Metà degli appartenenti alla folla si accendono all’unisono sigarette. L’odore di treno è più forte che mai e in più ora c’è anche quello di fumo insieme a un pizzico d’odore di merda. L’ho sempre notata questa cosa. Qui a Milano l’odore di treno classico è mescolato all’odore di merda. Ci dev’essere gente che caga nel cesso del treno quando il treno è fermo. Non può che essere così. Basterebbe qualche cagata qua e là ogni tanto su qualche binario per garantire folate di merda in modo più o meno costante. Difatti è così. Con tutti i treni che ci sono e tutta la gente che aspetta, che arriva da chissà dove e da chissà quanto tempo è in giro, mi sembra il minimo. Inoltre i bagni della stazione fanno schifo e sono a pagamento. E ci sono i pervertiti.

    Cammino verso le uscite tenendo d’occhio due ragazze che sculettano nei loro jeans attillati proprio davanti a me. Una ha un culo bellissimo, l’altra meno, e inoltre i suoi jeans sono di quelli senza tasche posteriori. Con quei jeans lì, o hai un culo come Elisabetta Canalis o è meglio che ti vai a nascondere. Questa qua farebbe meglio ad andarsi a nascondere, poverina. Le sculettatrici se ne vanno verso un’uscita laterale e io proseguo dritto. Oltrepasso le edicole e i negozietti assurdi e scendo le scale. Sotto, l’odore di treno scompare e al suo posto c’è quello di macchina. L’odore di macchina è un misto di asfalto e scarico che proviene dalla corsia dei taxi. I taxi sono tutti in fila e i taxisti sono appoggiati alle macchine, fumano e hanno brutte facce. Cammino né forte né piano, vado tranquillo nell’insieme. Nelle grate che calpesto ci sono infilati tra le stanghette di ferro decine di mozziconi.

    Scendo la scalinata che porta alla metropolitana. Qua sotto l’odore dominante è quello di piscia. C’è un odore di piscia che è una cosa impressionante. Devo trattenere il respiro mentre ci passo. Il problema qui è che la notte, dopo le dieci o quando cazzo è che fermano tutto e tirano giù le saracinesche, ci vengono a pisciare tutti i barboni e i pezzenti e i bastardi che ci sono a Milano. E questo problema c’è perché la saracinesca è in fondo alle scale, e tutti i bastardi vanno fino giù e pisciano.

    Passo oltre. Ci sono cinesi che vendono di tutto. Mettono per terra una coperta e ci espongono sopra la merce. Ombrelli, foulard, duomi taroccati, palle di neve, pantaloni, macchinine telecomandate, elicotteri telecomandati, pupazzi telecomandati. Non lì guardo neanche e passo oltre. Una zingara sta appostata appena dopo la biglietteria e chiede spiccioli a quelli che hanno appena fatto il biglietto. Ha escogitato questo modo per evitare che le dicano che non anno soldi, dato che molti le passano di fronte con le monete del resto ancora in mano. Io ho l’abbonamento e la zingara non mi deve rompere il cazzo.

    Arrivo sulla banchina d’attesa che è appena passato un treno. Mentre salivo le scale quelli che cerano lì attorno si sono messi a corricchiare perché hanno sentito che il treno arrivava. Uno stronzo mi ha dato anche una spallata mentre mi superava e saliva i gradini a tre per volta e aveva il fiatone.

    È tutto vuoto e mi piazzo in un posto dove non c’è corrente d’aria. C’è sempre una corrente d’aria che soffia e mi da fastidio. Mi fa anche schifo, perché chissà da dov’è passata quell’aria, chissà da che gallerie e cunicoli puzzolenti e inquinati di tutta la merda che la gente butta per terra e va a finire lì sotto.

    Adesso, in molte fermate della metro hanno messo dei proiettori. Proiettano più che altro pubblicità del cazzo. Qualche volta fanno i provini dei film, che forse è l'unica cosa utile che proiettano. Molti di questi proiettori sono già scassati e non si vede niente, si sente solo l’audio. Che merda. Sembra di stare in uno di quei futuri distopici, post apocalittici, una roba tipo Blade Runner, e dire che Blade Runner è un bel po’ di anni che è uscito. Mio fratello in proposito una volta mi ha fatto notare una cosa molto intelligente. Se abbiamo già presente davanti come potrebbe essere un futuro orribile, alienante, grazie a certi film tipo Blade Runner, tipo Arancia Meccanica, perché facciamo delle cose proprio come in quei film? Perché la metropolitana di Milano la stanno pian piano trasformando in un set cinematografico alla Blade Runner?

    Intanto la banchina s’è riempita di nuovo e arriva il treno. Si ferma, emette dei suoni, si aprono le porte, le gente scende, la gente sale, emette altri suoni, le porte si

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