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Andata e ritorno
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Ebook69 pages53 minutes

Andata e ritorno

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Dalla stazioncina periferica s'imbarca sul treno di linea secondaria un'umanità composita. E due eleganti signori, distinti: un uomo e una donna. Fascinosi e affascinati, in quel viaggio inatteso, l'uno dall'altro. Un viaggio lento e nuovo per luoghi già noti
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 1, 2015
ISBN9788891198815
Andata e ritorno

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    Andata e ritorno - Andrea Mulas

    633/1941.

    andata

    Distesa fra la pigrizia ordinata d'aiuole di garofani, e di gerani accesi, la piccola stazione, ferrovia locale, era ormai un fiore anch'essa, un fiore sonnacchioso, infastidito appena dal frinire di cicale, come da un ronzio di calabrone, o d'ape.

    Ed esibiva, distratta, ma non era, tenui petali d'intonaci, freschi ancora, e i verdi merletti delle sue staccionate, tenendo però socchiuse le stanche ciglia persiane.

    Fra le panchine, più in là, stupita, si stava una fontanella, voltandosi talvolta ad osservarsi attorno, smarrita.

    Riparati a un misero triangolo d'ombra, pochi facchini s'ignoravano ogni cosa, mirando solo poco lontano a sé, sospesi nell'attesa d'un alito, qualche, di vento, che non veniva però, più che un treno, in ritardo.

    Dimenticato, escluso, avrebbe voluto proporsi, epperciò, il timido casotto delle ritirate, ma quella scritta, pure minuta, lo bollava, bruciando più che il sole.

    E a nulla sarebbe valso richiamarsi a quella comunanza, antica oramai, di stile.

    Ma quale, poi?

    Ben altri e altri titoli poteva vantare a sé la frivola stazioncina, non solo blasoni altisonanti, caposala, capostazione, sala d'aspetto, biglietteria, ma pure ostentava, a corona, la scritta cubitale che la legittimava a rappresentare l'intera località, tutta, pure coi metri d'altitudine, slm, s'intende.

    Ma quale contesa impari sarebbe stata, se mai vi fosse stata! Così, rassegnato ciascuno ormai, al proprio destino, e vinto, non si poneva confronto, non v'era, macché, neppure lontanamente.

    Giù, tra i famigli, distante, relegato il misero magazzino merci, deposito plebeo e volgare, troppo, di cose cose e cose, dimenticate all'uso, oramai.

    Ogni giorno, così.

    E nell'estate e in inverno, nell'ore persino più deserte, tante sorde diffidenze, tanti strani livori, s'andavano inseguendo.

    Solo, non si curava di queste miserie, no, il vecchio merci, ma, due vagoni appena, eh!, e niente rivendicava, e non badava a nessuno, sul suo binario morto, gattone troppo invecchiato oramai, perduta ogni voglia di gioco.

    Bah, inutili questioni, tutte, ma sì, a pensarci.

    Però il vecchio merci, canuto e saggio ai suoi anni, aveva ragione, e tanta: rari passeggeri, poco traffico, per quei due binari antichi rappresi dalla ruggine, istupiditi enfen.

    Che pure se poi qualche volta, un treno importante passava, per là, caso raro, neppur d'uno sguardo degnava, ohibò!, uno solo, quei vecchi casigli stizzosi.

    Quel pomeriggio troppo assolato sembrava però, un poco particolare, strano quasi, ecco.

    Una signora, così elegante nel suo fresco tailleur, passeggiava lentamente tra biglietteria e sala d'aspetto, e l'afa solo le sfiorava il viso, appena.

    Ma si sarebbe potuto sospettare che fosse solo ostentazione, perché talvolta riparava nella sala d'aspetto, che non era poi tanto più fresca di fuori.

    Più di ogni altra cosa però sembrava decisa a non dividere l'area d'ombra con i facchini; questi a loro volta, fingevano distrazione: in realtà le rivolgevano contro ogni sorta di pensieri, carichi.

    Certo era una donna affascinante, così distinta e piena d'eleganza, in quel tailleur a righe che le fasciava strettamente le forme modellandola; così misteriosa dietro le lenti da sole, fiera e decisa nei suoi tacchi slanciati.

    Stretti nei giochi d'intreccio della pelle delle calzature, anche i suoi piedi trattenevano a stento una sensualità ribelle, che sembrava quindi stemperarsi nel tenue incarnato del viso, ma che un'insinuante tinta di rossetto subito riaccendeva.

    In quel gioco sottile d'innocenza e sensualità, tuttavia, un elemento risultava decisivo, determinante risolutore: i suoi capelli rossi che più d'ogni cosa emanavano un'area cocente di peccato sottolineata da un incedere, che forse era soltanto un po' nervoso, ma che intanto insinuava il dubbio, stimolava l'interesse.

    Assorti così in torbidi pensieri, i facchini ritenevano d'avvertire di quando in quando una brezza lieve, ristoratrice. Ma era un'idea anche quella, appena un'impressione. Assai più del frinire afoso delle cicale, perciò, stridevano tante parole non pronunciate.

    Finché, procedendo con lenta eleganza, misurato, non apparve un signore distinto. Vestito d'un abito chiaro, l'aspetto disteso, ridente, fu un soffio lieve e discreto.

    Niente riusciva a riguardarlo, ché mostrava d'aver già conosciuto ogni cosa e tutto gli era ormai troppo noto, aiuole, fabbricati, facchini, vagoni.

    La signora dai capelli rossi soltanto lo distraeva dalla sua assenza, a forza riconducendolo ad attimi afosi reali, ben vivi.

    La vista di quei capelli infocati di rosso gli portava caldo, rendeva ancor più rarefatta l'aria.

    Allora s'aggiustava, ma distratto, la giacca impaziente, insofferente, torceva lieve il collo a dare alla cravatta un assetto più giusto, tanto difficile da ritrovare, impossibile perfino.

    No, i facchini non ebbero piacere affatto alla sua apparizione, per la sua entrata in scena, pure così discreta, né

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