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Quando il mare lascia isole - Trilogia
Quando il mare lascia isole - Trilogia
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Ebook330 pages4 hours

Quando il mare lascia isole - Trilogia

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About this ebook

“Un romanzo in tre parti corrispondenti ad un arco di tempo compreso fra una decina d’anni densi di avventura, di lotte ed emozioni nella vita dei suoi protagonisti. Una casa in mezzo alla pineta, in riva al mare; quattro fratelli che da soli crescono dimenticati da tutti, anche dal Tempo; un uomo che lascia la famiglia in cerca di fortuna ma, come la marea, ritorna a prendersi le isole lasciate… isole d’acqua in cui va a rispecchiarsi il cielo. Romanticamente unite, nel racconto, le terre di Irlanda e Italia nel nome dei protagonisti e le loro stesse origini, con la citazione di alcune tra le più affascinanti usanze appartenenti alla cultura dell’Isola di Smeraldo.”
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateSep 27, 2018
ISBN9788827847855
Quando il mare lascia isole - Trilogia

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    Quando il mare lascia isole - Trilogia - Silvia Cervellati

    633/1941.

    Parte Prima

    Quando il mare lascia isole

    CAPITOLO I

    Aveva imparato che la pasta è un alimento conservato esattamente come il salame; solo che, a differenza di quello, non era affatto piacevole da consumare senza sale o un minimo di condimento, anche solo con dell’olio.

    Aveva imparato che in qualche supermercato si poteva frodare con il peso, se pur pregando di non venir scoperti… e che la gente che ti dice chiamami per qualunque cosa di cui tu abbia bisogno, in realtà, si augura tu non debba sfruttare quell’offerta neppure in punto di morte.

    Aveva imparato che la carità sponsorizzata da enti o associazioni è spesso indirizzata in altro modo e che la speranza che ti porti dentro è l’unica cosa concreta che tu puoi avere, dato che dipende in massima parte da te; e che quando il mare si ritira, lasciando isole d’acqua in cui continua a specchiarsi il cielo, tu puoi impadronirtene… talvolta, per sognare.

    Tutto questo, aveva imparato, Maire, da sua madre.

    Lungo la strada deserta, la campagna offriva un paesaggio piatto fino alle colline disegnate da filari di cipresso e molti olivi. L’aria era calda e le cicale colmavano il silenzio con un frinir che a tratti interrompeva per riprendere, quasi, assordando.

    Scorgendo un pruno abbandonato carico di frutti, Maire, che già vagabondava dal mattino presto, si fermò; tolse dalla cintura la leggera sacca di cotone che vi aveva legata e cominciò ad arrampicarsi per fare il suo raccolto.

    Ferì più di una volta le gambe nude, alla rudezza dei rami, scostandoli con rabbia o determinazione al punto di spezzarli, quando giungevano ad urtarle il viso, e quando ritenne aver raggiunto un numero soddisfacente di frutti, legando la sacca alla cintura per aver le mani libere, lentamente prese a scendere.

    Un’auto di turisti transitò improvvisa, alzando una gran polvere, proprio nel momento che toccava terra.

    Lei si voltò di spalle chiudendo gli occhi e coprendosi la bocca e il naso per non respirare, allontanando frettolosamente in direzione opposta, ove, la polvere sollevata a quel passaggio, già si disperdeva.

    Tagliò per la pineta e giunse ad una casa a un piano solo, cintata da una cancellata in legno.

    - Oh… sei qui. – disse una donna magra, dal carnato chiaro, con le spalle visibilmente bruciate dal sole – Che cosa porti? – domandò, fissando la sacca legata alla cintura.

    - Ho fatto un giro al mercato della frutta – rise Maire togliendosi la sacca; e aprendola, versò il suo contenuto sopra il tavolo.

    Le prugne erano chiare, ma molte di esse ancora un poco acerbe.

    - Ma dove le hai trovate? Le hai prese in qualche orto?

    - C’è un albero, proprio accanto alla strada: è abbandonato. Io è già da un po’, che lo tengo d’occhio… solo che i frutti, prima, eran troppo verdi!

    - Va bene, va bene – troncò l’altra, d’improvviso infastidita – I compiti, li hai fatti?

    - No, li faccio adesso.

    - Mi raccomando: non fare come tuo solito… che poi, rimedi dei cattivi voti!

    - Sì, Dara.

    - Bene. Io vado a lavorare… Stasera, porterò dei pomodori e qualcos’altro, se mi riesce.

    - Ma Jack, dove si trova? – chiese Maire, poiché non lo scorgeva.

    - Non so… è andato in giro.

    Quindi, presagendo cosa passasse per la mente all’altra:

    - Tu non pensare a lui: è in grado di badare a se stesso!

    - Ma può finire sotto a una macchina! – protestò Maire.

    Allora Dara alzò le spalle:

    - Almeno, povera bestia, smetterà di patir la fame.

    Uscì e Maire restò da sola.

    Sentiva, dalla spiaggia, provenire il vociare della gente: era domenica e di sicuro era affollata. Però, a una cert’ora, finalmente, sarebbero scemati tutti… e lei attendeva quel momento con trepidazione, poiché sarebbe andata incontro al mare, come sempre, con i suoi vestiti.

    Andò a guardar nel frigo, perché aveva fame.

    Ma tutto quel che c’era, era una busta di latte incominciata, mezzo limone e una carota divenuta molle, che aveva incominciato ad ammuffire, verso il fondo.

    Con desiderio guardò il latte, pur sapendo che era per Sevi, la più giovane, che sarebbe ritornata dalla scuola un po’ più tardi: sospirò per la rinuncia e aperse la dispensa, trovandovi due pacchi di pasta incominciata, un mezzo pacco di farina ed uno di biscotti, quasi alla fine.

    Ma anche i biscotti erano per Sevi, che doveva crescere! ...

    Così, guardò le prugne sopra il tavolo; ne prese un paio, le mise sotto l’acqua e cominciò a mangiare, facendo qualche smorfia perché un po’ erano aspre. Cercò del pane e trovatone un pezzetto ancora abbastanza molle, completò la sua merenda guardando verso l’esterno.

    Si vedeva molto chiaro, dalla sua finestra, il formicare lungo la spiaggia: ogni tanto, qualche gruppo di persone, si spingeva sotto i pini a cercare refrigerio o a curiosare attorno alla casa esprimendo il desiderio di abitarvi.

    - Una casa in riva al mare! – sentiva esclamare invariabilmente, al di là dello steccato – Che fortuna! Certo, però, avrebbe bisogno di qualche lavoro…

    Ma sì: che se ne andassero pure, tornandosene da dove erano venuti, intanto che aspettava quel momento… il suo momento, quello che sarebbe arrivato col tramonto!

    Se c’era una cosa che aveva imparato a fare, era di attendere tranquilla, con pazienza… certa, del suo risultato.

    Gettò uno sguardo ai libri riposti sopra un mobile e ancora sospirando si accinse ai suoi doveri di studentessa, benché povera e affamata: la legge uguale per tutti non guardava, infatti, in faccia a nessuno; e poco importavano certe questioni personali, se la resa era scadente… com’era giusto fosse.

    Ma al tema su suo padre, avrebbe scritto solamente: è andato via.

    Verso le sette, chiuse tutto e ripose.

    A breve, con ogni probabilità, sarebbe ritornato suo fratello Dermot, fuori da tre giorni. Non stava mai, fuori, più di tanto: andava in giro… spesso, senza combinare nulla.

    Ma se tornava sobrio, a volte, portava qualche cosa da mangiare o qualche soldo rimediato con dei lavoretti.

    Maire sapeva già, che avrebbe fatto, una volta entrato: guardandosi attorno, avrebbe chiesto della minore, se non l’avesse vista… era Sevi, infatti, la sua preferita; poi sarebbe andato al frigo a cercarvi qualcosa da bere e, non trovandolo, avrebbe borbottato il suo scontento andando poi a sdraiarsi sul suo letto, dimenticandosi del resto del mondo.

    Cadeva sempre in un sonno profondo, lui, quand’era ubriaco, svegliandosi immancabilmente con il sole alto.

    Ma forse questa volta sarebbe ritornato con un po’ di spesa. Forse, in quei tre giorni di assenza e di mancanza di notizie, qualcosa aveva fatto… portando a casa, oltre il mangiare, magari un dono per le sue sorelle, come un’altra volta era successo.

    Era buono, Dermot, quando voleva: se non beveva troppo, spesso si metteva a scherzar con Sevi come un ragazzino.

    Chissà, come sarebbe stato quella sera, se avesse fatto ritorno… chissà!

    Uscì di casa.

    Attraversando la pineta, Maire si accorse che la brezza proveniente dal mare, adesso, era ancor più fresca e piacevole. Man mano che si avvicinava, la vista della spiaggia, allargandosi, rivelava un insieme dall’aspetto selvaggio.

    Ecco: non c’era più nessuno, ormai… così, con gioia, corse verso l’acqua che le andava incontro, sollevando degli schizzi.

    Dio santo! ... era caldissima!

    Col desiderio liberarsi totalmente sciolse i capelli, voltandosi a gettare il suo fermaglio sulla sabbia; li scosse e un rame luminoso le inondò le spalle, aprendosi a ventaglio sopra l’acqua, man mano che immergeva.

    Il sole tramontava ad orizzonte ed un odore di salmastro saliva alle narici… ma le pareva dondolarsi in oro liquido! E mentre il sale le faceva un po’ frizzare i graffi procurati sopra l’albero, al mattino, lei rese grazie a Dio dell’opportunità di quel disinfettante naturale; lo ringraziò di regalarle un simile momento di armonia con la natura e con il mondo… qualcosa che nessuno, mai, avrebbe potuto toglierle.

    Stette una mezz’ora, immersa nella sua felicità, prima di uscir dall’acqua. Strizzò il vestito ed i capelli e poi sedette, lasciandosi asciugare dagli ultimi riverberi di luce e dalla brezza, che alitava contro.

    CAPITOLO II

    Dalla raccolta dei pomodori, Dara era tornata con una borsa piena: si trattava di quelli oblunghi, detti di San Marzano… e c’era di buono che, anche se mancava l’olio, appartenevano alla categoria degli alimenti che, anche se si mangiano da soli, risultano buonissimi.

    - Domani porto frutta – aveva detto – Abbiamo la raccolta delle pesche.

    Poiché era stanchissima, aveva espresso il desiderio di buttarsi un po’ sul letto a riposar la schiena e, come sempre, era toccato a Maire di preparar la cena: pasta, naturalmente… però stavolta condita con il pomodoro e saporita, poiché l’errore di restare senza sale, non l’avevano più fatto.

    Siccome l’olio c’era, Maire aveva aggiunto a quella cena anche un’insalata: sempre di pomodori, d’accordo… ma pur sempre piacevolissima, con la fame che si ritrovava! Poi, quando fu pronto, affacciando alla porta della stanza, disse alla sorella:

    - Vieni?

    E poiché Dara non le rispondeva:

    - Dara…

    - Mmh? – rispose quella, con voce proveniente dal sonno.

    - Dicevo che è pronto. Se vuoi venire a mangiare…

    - Grazie… adesso arrivo. Voi cominciate pure, intanto.

    Stava già per allontanarsi, Maire, che ancora fu raggiunta dalla voce:

    - E’ tornato, Dermot?

    - No.

    Alla risposta non fece seguito nient’altro e Maire tornò da Sevi, già seduta a tavola.

    - Mangiamo intanto noi – le disse, cominciando a fare i piatti – Dara verrà tra poco.

    Anche Sevi aveva i capelli rossi, ma d’un colore più vicino al castano; aveva gli occhi azzurri e, come lei, aveva preso le ciglia ed il disegno della bocca un po’ carnosa dal padre… un italiano patito dell’Irlanda dal quale, prima che sparisse, avevano ereditato, come gli altri, i nomi in base al loro significato: Sevi, nata piuttosto rosea, era stata chiamata infatti fragola; Maire, stella di mare; Dermot, libero dall’invidia, in omaggio a un sentimento che dovremmo avere tutti; e infine Dara, quercia … chissà, forse perché una persona forte come una quercia, in famiglia, ci vuole sempre.

    A lei piaceva l’idea di essere una stella di mare e che il nome datole per onorare queste sorprendenti creature, in qualche modo contribuisse a farla sentire parte di quell’universo, ogni volta che si immergeva.

    Alzò lo sguardo e vedendo che Dara si era alzata, le disse:

    - Gli spaghetti li ho lasciati al caldo, nella pentola.

    - Grazie, Maire: hai fatto bene.

    Si teneva il fianco, perché le doleva: come sempre, di ritorno dal lavoro, povera Dara! … cadeva a pezzi.

    Quando sedette a tavola e Maire le vide rivoltare la forchetta col primo gruppo di spaghetti, suggerì con tenerezza:

    - Aggiungici il formaggio, Dara… Ti darà più forza.

    Le porgeva una busta di formaggio grattugiato, che l’altra non aveva visto.

    - E questo, da dove viene?

    - Lascia stare.

    - No, che non lascio stare: come l’hai avuto? Soldi, non ne hai!

    - Ho trovato una moneta.

    - Tu menti! – rispose Dara, afferrandola per un braccio – Dimmi come l’hai avuto.

    Vedendo però Sevi in procinto di piangere, alla scena, lasciò la presa.

    - Mi hai fatto male – le disse allora Maire, massaggiandosi.

    - Meriterebbe peggio, di una stretta al braccio, chi ruba, Maire!

    - Mamma, lo faceva.

    - E che vuol dire? Allora, siccome uno sbaglia, siamo tutti autorizzati a farlo di proposito? La mamma aveva l’attenuante di noi da crescere e nessuno che le desse aiuto – disse poi, severamente – e posso solo immaginare, quale dramma l’abbia spinta a tanto. Aveva l’aria di una delinquente, forse, mamma?

    - No.

    - Appunto. Tu non lo sai, le lacrime che pianse per la vergogna, il giorno che la scoprirono… e io non voglio, che questo capiti anche a te!

    - Oh – rispose l’altra, con un’alzata di spalle – Sono più forte, io, di lei.

    - Non dirlo nemmeno per scherzare, o giuro che…!

    Con una mano alzata, minacciava di colpirla con un manrovescio. Poi si trattenne; e dolorosamente, espresse:

    - Tu non sai quant’è cattivo il mondo, Maire, la gente! Non puoi nemmeno immaginare di cosa siano capaci, di fronte ad una giovane donna come te… o me. Perciò, non farlo più: devi giurarmelo!

    - E’ peccato, giurare.

    - Tu non preoccuparti: col Padreterno, me la vedo io!

    Allora a Maire vennero gli occhi lucidi:

    - Volevo solo darti qualche cosa in più, io: ti ammazzi di lavoro sotto il sole per due soldi, che ti danno pure in ritardo!

    - Anche di questo, non ti devi preoccupare.

    - Ma come, no! Guarda, che spalle hai: sembri uscita da una fornace!

    - Vorrà dire, mi darai un po’ di crema. E adesso, Maire, giura.

    - Cosa?

    - Che non ruberai mai più.

    Dopo la promessa, cambiarono discorso.

    - Abbiamo i fuochi, stasera, giù al Villaggio Stella – disse Maire – Ci andiamo?

    - No, son troppo stanca. E poi, che bisogno c’è? Si vedono anche da qui.

    - Ma da vicino è molto meglio! Andiamo Sevi ed io, se tu sei stanca.

    - No, Maire: sole di notte, in mezzo a tanta gente, non vi lascio.

    - Ma cosa vuoi che capiti?

    - Nulla… poiché, infatti, li guarderete da qui, se proprio volete.

    E raggiunta da un pensiero sospettoso:

    - Facciamo un po’ così: li aspetteremo insieme, qui, sulla spiaggia.

    - Ma non avevi detto che eri stanca?

    - Non così stanca da farmi abbindolare, Maire.

    Scontenta, Maire, pensò che se ci fosse stato Dermot, tutto sarebbe andato in modo diverso: ci avrebbe pensato lui, ad accompagnarle… sempre, che non fosse stato troppo brillo.

    Un rumore all’esterno, le fece girare all’improvviso e tendere gli orecchi: che fosse lui?

    Ma era Jack, invece, che tornava dai suoi giri e come sempre grattava alla porta, per farsi aprire.

    - Dove sei stato, vagabondo? – disse Dara con affetto, rispondendo alle sue feste – Hai qualche tua Giulietta, sparsa in giro? Giù… giù, da bravo, adesso.

    Fuori era sempre chiaro: il sole del tramonto toccava appena il mare, ad orizzonte.

    Mentre Jack, in un cantuccio, si metteva a rosicchiare un pezzo di pane duro che gli avevan dato, le ragazze cominciarono a sparecchiare.

    - Se almeno Dermot si facesse vivo! – esclamò Maire.

    - Sì, lo so: stasera andreste con lui… e io vi lascerei andare volentieri, sapendovi protette. Però non è così, Maire.

    Andarono sul mare già deserto e, sulla sabbia, le grandi presero posto una accanto all’altra. Sevi, invece, cominciò a gironzolare, in cerca di conchiglie.

    Un vento dolce, serale, accarezzava l’acqua, mentre qualche gabbiano danzava su nel cielo tagliando con le ali un’aria rosa e azzurro.

    Gettando uno sguardo alla minore che le era accanto, Dara tenera sorrise di come il vento si infilasse fra i suoi capelli sciolti, facendone rilucere e svolazzare la bella ondulatura. Le dette una carezza e disse:

    - Ce l’hai con me?

    Sorpresa, Maire si voltò.

    - Perché dovrei? Lo so, che parli per il mio bene.

    Restarono in silenzio alcuni istanti, prima di tornare al discorso del fratello.

    - Si vede, che non ha trovato niente da fare – disse Dara – Se no, lo avremmo già veduto ritornare.

    - Già.

    - Per caso, l’hai portata la crema, Maire?

    - Sì, me ne sono ricordata.

    - Allora dammela, tesoro: ne ho proprio bisogno!

    Maire svitò il coperchio, incominciando a spanderle il prodotto lenitivo che, a contatto col bruciore della pelle, produsse un effetto di contrasto che la fece lamentare.

    - Scusa, ti faccio male? – disse Maire, interrompendosi.

    - No, no: è soltanto l’impressione del freddo con il caldo!

    In quel momento, Sevi ritornò coi suoi tesori.

    - Che gemme! – esclamarono le altre, di fronte ad alcune conchiglie in varie forme e ad una serie di vetri colorati, che il mare aveva levigato facendone dei sassi trasparenti o appena opachi – Potremmo farne ciondoli portafortuna, sperando che funzionino. Se poi ne trovi altri, faremmo addirittura una collana!

    Ma Sevi non raccolse l’ironìa.

    - Chissà! Non si può dire. – rispose, infatti, mettendosi di nuovo a ricercarne.

    Allora, le altre si guardarono.

    - Beata lei, che vede ancora solo il bene delle cose!

    - Eh, già: beati gli anni suoi!

    Adesso il sole, spento dentro il mare, non si vedeva più; il cielo era azzurrissimo e le nubi, lunghe ed arricciate, somigliavano ai capelli di Maire.

    - Com’era, mamma? – chiese improvvisa quella, senza distaccar lo sguardo dalla superficie riflettente il cielo.

    - Come sarebbe, come era? L’hai conosciuta, mi pare.

    - Ho conosciuto le sue botte, più che altro.

    - Per quello, anch’io – rise Dara, con certa intonazione della voce.

    - Era malata – disse poi – malata dentro! Malata di abbandono, di inganno e solitudine.

    - E infatti, si è ammalata per davvero! – disse l’altra, appoggiando la sua guancia alle ginocchia ripiegate e chiuse nelle braccia.

    - Così, succede… a volte.

    Un gran sospiro, ma chiuso dentro il petto.

    - Perché non si è curata, Dara: perché?

    Dara non seppe risponderle.

    CAPITOLO III

    Notte senza luna: perfetta, per uno spettacolo di quel genere.

    Adesso Sevi stava accoccolata sulla sabbia fredda, accanto alle sorelle. Aveva indossato qualcosa per ripararsi dall’umidità come le altre, ed abbracciata ad esse per scaldarsi, stava in attesa si compisse il sospirato evento che, infatti, verso le undici, ebbe inizio scuotendole di colpo da un principio di torpore.

    Tun! Tun! Tun! Colpi su colpi, seguiti a grandi piogge stellate in vari colori. Alcuni di quei razzi, partivano fischiando; altri, frizzando, rilasciavano cascate argento, come fossero pioggia.

    Cedendo alla stanchezza, però, Dara aveva chiuso gli occhi piegando il capo sulla spalla a Maire.

    Tun! Tun! Tu-tun!

    Come facesse a dormire, solo Dio sapeva... e quando finì l’incanto coi soliti tre colpi di chiusura e ricominciò a sentirsi il mare, soltanto quello, con l’onda franta a riva, scotendo leggermente per le spalle la sorella addormentata, Maire disse:

    - Andiamo? Ormai, ci vuole il letto.

    - Sì – rispose Dara, scotendosi di scatto e alzando con fatica – Sevi?

    - Son qua – rispose quella, che infatti si trovava a pochi passi.

    La finestra di cucina, illuminata, guidava i loro passi come un faro… ma giunte a casa, si accorsero che qualcosa era cambiato.

    - E’ ritornato Dermot! – esclamò Sevi, vedendo sulla tavola i resti di una cena.

    - Ssssht! Sta zitta, Sevi, per favore: di certo, sta dormendo.

    - Se dorme come al solito, figurati se sente!

    - La smetti?

    In realtà, non sapendo in che stato si trovasse, Maire temeva che il fratello, svegliandosi al rumore, si alterasse. Ma accorgendosi di quanto invece dormisse profondamente, chiuse adagio la porta.

    - Hai visto? – disse Sevi – Che ti avevo detto?

    - Sevi – intervenne Dara – Non fare la bisbetica. Andiamo a letto? Scusate, ma non ne posso davvero più!

    - Sì, Dara. Allora… buonanotte!

    - Buona notte, Maire.

    Come sempre Maire andò nella sua stanza e Sevi, invece, a dormire nel lettone che era stato dei genitori, insieme a lei.

    Spensero la luce… ma mentre Sevi, dopo poco, già cadeva addormentata, stranamente, Dara, si accorse avere perso il sonno.

    Nel silenzio assoluto di quell’ora, il lieve e ripetuto fragare delle onde a riva, giungeva ai suoi orecchi.

    Sapeva, Dara, che là fuori, molto più lontano, la vita continuava col clamore di musica e divertimento: era l’estate… l’estate turistica del luogo. Ma quell’estate, lei, non l’avrebbe vissuta mai!

    Malgrado la porta chiusa, udiva distintamente il russare del fratello, provenire dall’altra stanza: di sicuro, aveva bevuto.

    Trovava sempre, lui, purtroppo, qualcuno che gli offrisse da bere, malgrado raramente potesse ricambiare… e amaramente, lei si chiese come mai fosse più facile incontrar persone disposte a pagare per fuorviarti e mai, per farti stare in sella.

    Non sentendo alcun rumore provenire dalla stanza della sorella, invece, si rese conto che Maire, come Sevi, si fosse addormentata subito.

    Amava tanto, Maire… come gli altri, del resto, ma le dava pena il suo carattere selvaggio e l’incapacità di adattarsi a situazioni di disagio, pur comprendendo non si potesse chieder troppo a quei suoi quindici anni.

    Adesso che la scuola era finita anche per Sevi, lei si augurava che il compito di badare alla minore, allontanasse Maire dalle cattive tentazioni: tremava, alla sola idea che potesse trasformarsi in un altro Dermot! ... benché più forte di carattere. E poi, si faceva bella… troppo! Un pericolo, per una donna senza mezzi.

    Il sonno la colse d’improvviso, senza che se ne accorgesse. E quando giunse l’alba e il nuovo giorno mostrò l’intera sua chiarezza attorno alle sei, faticosamente, Dara, riaprì gli occhi: era già tempo di alzarsi.

    Un paio di ragazze con le quali aveva fatto amicizia e che lavoravano con lei, sarebbero venute a prenderla in auto per andare al podere che, diversamente, era impossibile da raggiungere. Perciò, si vestì in fretta, mise il caffè al fuoco e mentre si preparava, andò a svegliare Maire.

    - Che c’è? – le disse quella, insonnolita.

    - Io sto per andare – disse – Ti raccomando Sevi e il giuramento che mi hai fatto.

    - Quando torni?

    - Come ieri, credo… o forse anche prima. – soggiunse per pura precauzione, tanto perché l’altra non si facesse strane idee su come impiegare il tempo, fuori del suo controllo.

    - E Dermot?

    - Lascialo dormire, che faccia ciò che vuole: tanto, è sempre così… inutile, ostacolarlo.

    - Va bene.

    - Ciao, tesoro.

    - Ciao…

    Maire tornava tra le braccia di Morfeo e lei saltava in quelle di un nuovo giorno di fatica.

    Solo un po’ più tardi, Maire si svegliò. Saltò dal letto e a piedi nudi andò in cucina a rovistare qualcosa da metter sotto i denti… ma non trovando nulla di adatto ad una colazione, si vestì e andò sul mare, accompagnata da Jack, il meticcio inseparabile.

    La spiaggia era deserta e, per la gioia di sentirsene padrona, accennò a qualche passo di una danza che sapeva di sole, d’aria libera e di voli… finendo con i piedi dentro l’acqua e Jack che le abbaiava, interpretando forse anch’esso quello stato d’animo.

    - E’ tutto ancora nostro, Jack, hai visto? – disse al cane, dopo una carezza vigorosa – L’acqua, però, fredda… troppo, per un bagno!

    Sedette e, qualche istante, volse il viso al sole, ad occhi chiusi. Poi sciolse i capelli, girandosi a guardare il mare, di un azzurro intenso.

    A qualche decina di metri dalla riva, su una barca, un pescatore sostava placido lasciando scorgere la sua

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