Quel Bel Tipo di Mio Zio Gustav e il Tesoro del Drago
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About this ebook
Avventura, mistero e ironia per scoprire il vero "tesoro" della vita. Alexandro è figlio di un consulente finanziario e di un'agente immobiliare. Ma Alexandro, soprattutto, ha uno zio fuori di testa, originale e stravagante. Lo zio Gustaf è fratello della madre. Ragazzino e zio Gustaf sono molto legati per certe affinità, decisamente estranee alla famiglia. Lo zio è scapolo, avanti negli anni, e ha avuto una vita variegata e avventurosa, e anche misteriosa. È la pecora nera del vasto parentado, composto da solidi e danarosi trafficoni borghesi. Sulla figura dello zio circolano leggende e storie di ogni tipo, fra cui una che gli attribuisce un favoloso tesoro. Nessuno sa bene di cosa sia composto: monete d'oro? O antiche? Lingotti d'oro? Dei Caravaggio, Tintoretto... ? O dollari freschi di zecca in fruscianti freschi bigliettoni? Ma un giorno lo zio scompare... Una storia avventurosa per comprendere il valore del denaro e riscoprire il legame con una persona cara, che con ironia e carisma lascia in eredità tesori non monetizzabili.
Guido Sperandio
Guido Sperandio was born and lives in Milan. A freelance writer for some thirty national newspapers and magazines, he later became a creative-copywriter in advertising.A writer for adults, he has also published for children and young people with major national publishers and in the USA.He has also written comics, including the legendary Topo Gigio and Tiramolla.After a life spent practising the most unbelievable genres of writing, he has recently replaced the cult of the Word with a passion for the Image. He has been seduced by Pop Art, starting with Andy Warhol & Co and is now working on and publishing a whole series of albums under the 'Guisp Collages' label.Any special notes?He has no mobile phone, no car or microwave oven, but he does have a very affectionate and intelligent cat called Tatablu.Guido Sperandio è nato e vive a Milano. Free-lance per una trentina di giornali e periodici nazionali, diventa in seguito creativo-copywriter in pubblicità.Scrittore per adulti, ha pubblicato anche per bambini e ragazzi con le principali case editrici nazionali e negli USA.Ha scritto anche fumetti, tra cui i mitici Topo Gigio e Tiramolla.Dopo una vita trascorsa a praticare i generi più improbabili di scrittura, ha recentemente sostituito il culto della Parola con la passione per l'Immagine. A sedurlo, la Pop Art, a cominciare da Andy Warhol & Co e così ora ha in corso l'elaborazione e la pubblicazione di tutta una serie di album con l'etichetta "Guisp Collages".Note particolari?Non ha cellulare, nè automobile o forno a microonde, ma ha una affettuosissima e intelligentissima gatta di nome Tatablu.
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Quel Bel Tipo di Mio Zio Gustav e il Tesoro del Drago - Guido Sperandio
Guido Sperandio
QUEL BEL TIPO DI MIO ZIO GUSTAV
E IL TESORO DEL DRAGO
Copyright © 2019 by Guido Sperandio – Tutti i diritti riservati
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore. È vietata ogni duplicazione anche parziale non autorizzata.
...nel segno del Drago d'Oro...ti aspetta un milione di dollari...
1.
Sognavo l’iPod, l’ultima bomba, so much to touch, quando incontrai mio zio Gustaf.
Lui, neanche me lo avesse letto in testa, subito disse: «Scommetto che ti servono spiccioli, un sacco».
«Centro!» risposi.
«OK, ma devi guadagnarteli» disse mio zio.
«Qual è la prova che devo superare questa volta?» dissi.
«A te scoprirlo».
Al contrario del solito, non me lo volle dire.
*
Mio zio era della teoria che tutto nella vita va conquistato con sudore. E, siccome era un tipo estroso e originale, escogitava i modi più incredibili perché i soldi me li meritassi.
Ero piccolo quando, per qualche euro, mi affidò in pensione il suo corvo indiano. Lui, mio zio, sapeva benissimo a cosa andavo incontro. Perché mai soldo donato fu più guadagnato.
Il corvo, del genere parlante, strepitava. Aveva un carattere irascibile e mi riempiva la camera di piume, cacchette, schiamazzi e improperi. Non faceva che chiacchierare al massimo volume, ripeteva a squarciagola quello che udiva e imparò anche ad insultarmi, istruito da mia sorella Ippolita.
Mano a mano crescevo, mio zio Gustaf aumentò gli euro in proporzione alla mia età, ma anche le difficoltà per ottenerli. E per me era diventata una sfida, una caccia al tesoro.
Ultimamente, mi aveva elargito una somma non da poco, un capitale per me, ben cento euro, cento! In compenso, m’era toccato risolvere un rebus da rompermi il cranio… Per poi scoprire che il bigliettone stava nascosto nel fodero di un DVD che lo stesso zio Gustaf mi aveva regalato.
Adesso, però, lui aveva avvolto di mistero il suo soccorso finanziario.
Lasciai mio zio, riflettendo sull’inghippo che poteva avermi architettato.
*
L’istinto, non so perché, mi diceva che i soldi in palio, stavolta, erano tanti. E aspettavo, curioso e divertito, lo sviluppo degli eventi. Ma passò del tempo senza che niente accadesse. Finché, un giorno, zio Gustaf mi fece recapitare due mastodontici volumi dal titolo «Le strabilianti meraviglie del Drago d’Oro».
Lì per lì non ci feci caso. Li accolsi come un suo solito, normale, semplice regalo. Mio zio infatti sapeva che io andavo matto per i libri di magia e di avventure.
Ma mi sbagliavo.
Perché, arrivato a pagina 5 del Primo Volume, Capitolo Secondo, spiccai un salto. La pagina, che appariva perfettamente stampata come se appartenesse al libro, recitava:
Mio caro piccolo grande eroe, nel segno del Drago d’Oro succedono cose straordinarie. Ti aspetta un milione di dollari, tuo, tutto, interamente. Seguiranno istruzioni.
Ricordati, è un segreto tra me e te. Guai se ne fai parola con qualcuno, fosse la tua ombra. Il Drago d’Oro porta fortuna a chi rispetta i patti.
Con affetto, zio Gustaf
Un milione di dollari!
Deposi, fulminato, il grosso tomo.
Riflettendo, però, mi venne il dubbio: mi sa che stavolta zio Gustaf me l’ha sparata grossa.
Accantonai l’idea dell’iPod, so much to touch, e di possedere una montagna di denaro. E, difatti, niente seguì.
Anzi lo stesso zio Gustaf era sparito.
Mio zio Gustaf.
Era il conforto dei miei giorni tristi, e la risorsa che mi procurava giorni belli. Però, aveva anche quel maledetto vizio di sparire. E, quando spariva, era come se finisse in un buco nero.
Nessuno ne sapeva più niente.
Telefonavo, e la segreteria con la voce di robot femmina mi ripeteva, spietata senza cuore, che «l’utente è momentaneamente assente».
Io sapevo molto bene cosa significava quel momentaneamente.
Poteva durare un’ora ma anche un mese, se non una o più stagioni.
Una volta, quel momentaneamente era durato da un Natale all’altro!
A complicare, mio zio Gustaf detestava i cellulari. Compativa, anzi, chi se ne serviva.
Usava dire: «A forza di digitarli, la gente li dà i numeri».
Per mio zio, i cellulari, con le loro stravaganti suonerie, erano grilli.
Grilli molesti, sempre lì a frinire.
Ad aspettare i ritorni di zio Gustaf ero rimasto io ormai, soltanto.
I suoi non pochi amici, parenti e conoscenti ci avevano da tempo rinunciato.
Avevano smesso di seguirne i movimenti e di domandarsi dove diavolo si imbucasse e cosa combinasse durante le sue assenze.
Nemmeno più lo cercavano.
D’altronde zio Gustaf evitava spiegazioni.
Conduceva la sua vita, non curandosi che apparisse misteriosa.
Da far dubitare, anzi, che seguisse una sua calcolata e deridente strategia. E ne godesse.
Le beffe erano il forte di zio Gustaf.
2.
Mio zio mancava ormai da giugno, prima delle vacanze, e si era ai primi di settembre. La scuola sarebbe incominciata tra non molto ma ero ancora libero al momento.
Tenevo lontano il pensiero atroce delle lezioni imminenti e, milione di dollari a parte, non vedevo l’ora che mio zio ricomparisse… Per la sua compagnia in-so-sti-tu-i-bi-le.
Nello stesso tempo, godevo all’idea che Carlotta, la mia tormentata fiamma, fosse sul punto di finire le vacanze, e così adesso aspettavo, aspettavo e aspettavo.
Mi dicevo che la vita è tutta un’attesa, e pazienza!...
Quando accadde l’ultima cosa al mondo che mi sarei mai immaginato…
*
Quella mattina, stavo a letto.
Compiaciuto.
Non c’è niente di più bello che starsene mollemente adagiati a contemplare il mondo che si agita attorno. Tutti affannati a realizzare i propri sogni: piccoli o grandi, leciti o criminali, possibili o inarrivabili.
Il mondo mi girava attorno risucchiato da uno-cento vortici, e io ne ascoltavo l’ansimare, simile a un gigantesco mostro che fatica a respirare.
Ne percepivo il palpitare, i mille rumori. Quelli tipici che può produrre una città in pieno movimento.
Era il massimo dell’ora di punta, così dalla folla incolonnata di motori, motorini e motorette, giù in strada, arrivava un brusio indistinto. Interrotto da qualche clacson al picco della furia.
Si sovrapponevano le note della musica di mia sorella, Ippolita, barricata nella sua camera.
Mia sorella è più grande di me di qualche anno, e la sua massima aspirazione era fare la velina.
Nell’attesa, si rimpinzava di musica: fuori di testa, come se lei non lo fosse già abbastanza.
Testa fuori, ombelico anche… Mia sorella Ippolita viveva con le orecchie straripanti di note sparate. Un delirio!
Incominciava la mattina, appena sveglia, finiva a notte inoltrata.
Aveva i cassetti che traboccavano di cuffie e auricolari. Per portarsi la musica magari sull’Himalaya, le fosse capitato di andarci.
*
Io detestavo il genere di strazio che ascoltava mia sorella, e quella mattina stavo per picchiarle sul muro, gridarle di abbassare e anche offenderla e ingiuriarla…
Apparve mia madre Irina, sulla porta.
«Senti, Al… – mi disse –, sono già in ritardo e ho fretta, e non ho il tempo di stare qui a controllare… Ma le tue vacanze stanno per finire, sono agli sgoccioli e tu… Tu!... Hai preparato i compiti che dovevi fare?»
«Uffaaa!.... Sì, mamma!» sbuffai.
Non era vero niente, e difatti: «Ne sei sicuro?» disse mia madre.
Io tacqui.
Sentii con sollievo la porta rinchiudersi.
Udii i tacchi di mia madre ticchettare in corridoio, e allontanarsi. Frenetici e nervosi.
Mamma ci teneva a sembrare più alta, e anche a mostrare d’avere la gamba snella. Così circolava in cima ad una spanna di tacchi che facevano un gran baccano.
Il ticchettio scemò: troncato dallo sbattere dell’uscio di casa. Super-blindato a prova di bomba, proiettile e scasso.
Lo sbattere era il segnale atteso: mi comunicava che mamma era sparita con le sue paranoie della scuola.
Mia madre era sempre in ritardo e aveva sempre fretta: faceva di professione l’agente immobiliare. Era un miracolo che avesse trovato il tempo di dirmi quello che mi aveva detto. E non importa se il colloquio era durato neanche due secondi. Era già tanto.
Non ero ancora libero. Restava mio padre. Ma anche lui non tardò a sparire.
Con lui, anzi, fu perfino meno impegnativo. Perché mio padre mi gridò che già stava sulle scale, con un piede in ascensore.
«Al! – udii –, ricordati che uno che non conosce l’inglese è un uomo morto. Non farà mai i soldi. Forget le playstation and study… OK?».
Mio padre aveva il senso del business sempre presente. Aveva il denaro come punto fermo nella vita. Mio padre faceva il consulente finanziario. Era cioè uno che consigliava cosa fare con i soldi. Guadagnava con i soldi ma degli altri.
Anche mio padre era sparito, finalmente. Mi potevo alzare.
Mi sedetti sulla sponda del letto, tirai uno sbadiglio, mi grattai la testa.
Guardai fuori dalla finestra il cielo che mi era concesso di vedere tra le case. Era poco, un ritaglio. Ma io c’era abituato, mi bastava.
Il ritaglio appariva azzurro. Cosa più che rara a Milano.
Tutto concorreva a farmi supporre che sarebbe stato un grande giorno.
Mi dissi: oggi avrò notizie di mio zio.
E le notizie arrivarono, ma… da lasciare secchi!
*
Toccò a mia sorella Ippolita.
Scese alla vista del postino.
Lo teneva d’occhio, puntuale, ogni mattina.
Era un rito, da quando si era innamorata persa, convinta di avere trovato il fidanzato.
Io non mi sono mai occupato degli affari di mia sorella. Ma lei aveva coinvolto l’intera famiglia. Compresi la gatta e il cane, rispettivamente chiamati Fanny e Gidù.
La love story era iniziata non sapevo dove né come. Già ho detto che non trovavo gli affari di mia sorella interessanti.
Fatto sta che la storia era rapidamente divampata. Con furiosi scambi di SMS, e-mail, telefonate, cuoricini e gadget.
Aveva impiegato le più avanzate tecnologie nel campo della comunicazione. E del marketing. Che specula anche sugli innamorati e follie connesse.
Ma adesso il fidanzato era finito chissà dove. Da qualche parte del pianeta Terra. E la vecchia tradizionale posta era tornata in auge. Era diventata ancora il tramite eletto. Il modo migliore per tenere uniti i due cuori. E così, anche quella mattina, mia sorella si era precipitata dal postino.
Il cuore in gola.
Aveva perfino ignorato l’ascensore per far prima.
Si era trovata tra le mani pieghevoli e foglietti, tutto il ruffo della pubblicità. Ma al posto della lettera d’amore, ne aveva rinvenuta un’altra.
A Ippolita era bastata un’occhiata per capire che non la riguardava.
Delusa, desolata ma furiosa, era risalita in casa e aveva sbattuto la lettera, a caso. In malo modo.
L’aveva abbandonata su un ripiano.
*
Il ripiano non era il luogo designato per la posta. Non bastasse, la colf, per spolverarlo, aveva afferrato la lettera. L’aveva appoggiata su una sedia. E anche lei, come Ippolita, se ne era poi dimenticata.
3.
Era di pomeriggio, la casa deserta, tutti erano usciti. Andai in cucina a prendermi una mela. Ritornando verso la mia camera, abbozzai alcuni colpi di kung-fu. La mia passione!
Ero Chen, la Furia dall’Oriente.
Tirai un pugno, un altro… Calcio doppio volante! Mi sollevai dal pavimento.
Nella foga, rovinai contro il famoso ripiano. La mela, in bocca, stretta tra i denti. Vidi la lettera abbandonata sulla sedia.
La missiva aveva un’aria innocua. Innocente.
La busta era come tante che mi capitava spesso di vedere.
I bordi listati di tacche rosse e blu… Un riquadro pure blu evidenziava:
Par Avion
Air Mail
Niente di particolare, c’ero abituato.
Mia madre Irina vanta un parentado variegato infinito, tra ascendenti, discendenti, affini e collaterali. Più che un albero genealogico, il suo, è una foresta. Di rami che si avviluppano, intricati. E si sviluppano sparsi dagli Appennini alle Ande, e dai Monti Appalachi ai Monti Urali.
Era normale che nella bussola della posta, a fianco del portiere, arrivassero lettere da ogni angolo del