Psicologia e didattica in classe
Автор Luciano Rondanini
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Psicologia e didattica in classe - Luciano Rondanini
seconda
La scuola nella società
del rischio: vecchia istituzione
o nuova comunità?
di Giancarlo Cerini
La scuola della comunità
La scuola di base italiana (infanzia, elementare e media), che sempre più frequentemente si trova a operare sotto il tetto dell’istituto comprensivo, che comprende un lungo percorso che va dai 3 ai 14 anni (e che dovrebbe estendersi almeno fino ai 16 anni), è ben descritta nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del primo ciclo (2012), ed è certamente la ‘casa degli italiani’. È una scuola capillarmente presente nel territorio (tante scuole, piccole e grandi) che arricchiscono il paesaggio urbano, dei piccoli borghi, delle campagne e delle vallate. È la scuola della comunità, perché è l’intero contesto sociale che si prende cura della propria scuola.
"Per educare un bambino serve un villaggio": le buone scuole (quelle che ottengono un più alto valore aggiunto nell’apprendimento dei ragazzi) sono proprio quelle che hanno un rapporto positivo con la comunità in cui operano e con cui intrecciano dialoghi, relazioni, collaborazioni. È la presenza di una rete capillare di scuole (sono 42.000 in tutta Italia, dalla scuola dell’infanzia alle superiori) che alimenta una democrazia diffusa, una società orizzontale, con il gusto della cooperazione, dell’autogoverno, del far crescere in un ambiente protettivo le nuove generazioni di cittadini.
Una scuola contro vento
Ma oggi siamo sicuri di ritrovare nell’atteggiamento della società questi valori di solidarietà? C’è ancora fiducia nel ruolo dell’educazione e dell’istruzione che la scuola interpreta? C’è rispetto per la delicata funzione che gli insegnanti svolgono quotidianamente? Quali sono le idee che ruotano attorno al futuro della scuola? Sarà possibile recuperare interesse e passione civile per il miglioramento del nostro sistema educativo?
Molte delle difficoltà che ritroviamo nelle nostre classi (il mancato senso delle regole, del limite, del rispetto, del silenzio, della curiosità, dello stupore, della disponibilità) dipendono in parte da questa perdita di fiducia nei confronti della scuola. L’autorevolezza degli insegnanti sembra essersi smarrita di fronte alla società della ‘maleducazione mediatica’, del ‘copia e incolla allegramente’, della scomparsa delle ‘virgolette’ (cioè dell’uso di fonti affidabili) e del valore dei testi. Le parole degli insegnanti sembrano perdersi nel vento.
La società sta costruendo un senso comune quasi di ostilità nei confronti della scuola, una sorta di grande sfiducia mediatica. Andrea De Carlo scriveva qualche anno fa in uno dei suoi romanzi: "La scuola è come un vecchio autobus sfasciato che va per una strada a fondo chiuso guidata da autisti moribondi. Meno sulfuree sono le analisi di studiosi di questi ultimi anni, che però – solo a leggere i titoli dei loro saggi – sembrano non lasciare scampo:
L’aula vuota,
Distruzione della scuola,
Ultimo banco,
La disfatta della scuola italiana".
Se le immagini che si costruiscono attorno alla nostra scuola sono queste, chi lavora in essa giorno per giorno non può che soffrire, perché ha la percezione di non contare, di essere vissuto come un elemento ormai del tutto marginale e inutile.
Riscoprire una visione ‘esistenziale’ dell’educazione
Occorre ricostruire un vissuto positivo attorno alla scuola. Non basta più una dimensione tecnica, curricolare, anche con un layout ben strutturato (le aule, le palestre, i laboratori, dove erogare cultura, insegnamento), perché oggi siamo più consapevoli che sono in gioco nuovi fattori ‘esistenziali’ nel rapporto educativo e nell’organizzazione della scuola. Dopo tanti anni di ingegnerie organizzative e curricolari è forse venuto il tempo di una maggiore attenzione alla dimensione ecologica delle relazioni educative. Parole come prendersi cura, ma anche ascoltare, stare vicino, accompagnare sono ‘posture’ che devono ritornare oggi nel modo di essere ‘normale’ della scuola.
Spesso i ragazzi tornano a casa da scuola dicendo: "Il prof. oggi mi ha ignorato! Non c’ero proprio per lui!". Il rischio è che gli allievi, con le loro fisicità e le loro diversità, diventino invisibili. Occorre riscoprire il valore della relazione, dell’empatia (non è certo la simpatia!), della reciprocità. Gli insegnanti dovrebbero impegnarsi nella conoscenza profonda dei ragazzi che hanno di fronte, piuttosto che nell’accanimento docimologico... La scuola non può dimenticare di essere un ambiente contemporaneamente di relazione, di cura, di apprendimento, come affermano saggiamente le Indicazioni per il curricolo (2012).
Pedagogia al Bar Sport
Non è facile farlo perché il senso comune pedagogico sembra pilotato da una disperata richiesta di sicurezza, per esempio, in fatto di ripristino del principio di autorità. I genitori, forse, non ce la fanno più a dire i no ai loro figli e magari si affidano alla scuola: "Diteli voi a scuola i no. Metteteli voi i 5 in condotta". Questo timore di ‘sgretolamento’ del controllo sull’educazione ha reso molto gradito il ritorno dei voti numerici fin dalla classe prima elementare. I numeri sembrano un simbolo più comprensibile, per genitori e per allievi, delle descrizioni, dei profili narrativi, delle certificazioni argomentate. I numeri sono molto chiari, coi numeri si misurano tutti i fenomeni che contano: dal terremoto, al moto ondoso, alla temperatura corporea. Quindi perché non anche l’apprendimento?
Evidentemente, se Ballando con le stelle
usa tanti voti numerici da 1 a 10, se sul la Gazzetta dello Sport il lunedì mattina tutte le prestazioni dei calciatori sono valutate con voti numerici da 1 a 10, facciamo fatica noi pedagogisti disarmati a promuovere un’attenzione un po’ più approfondita sul senso della valutazione formativa. Quella valutazione – come affermano le Indicazioni del 2012 - che precede l’insegnamento, che riconosce gli allievi e li accompagna, che vuole migliorare gli apprendimenti, che non ha la preoccupazione di sanzionare o di interrompere la relazione educativa. Ma questo è molto difficile di fronte a un’opinione pubblica intimorita e disorientata.
Oltre la banalità dell’andare a scuola
Occorre riscoprire il gusto di andare a scuola. "Perché al mattino mi sveglio, mi alzo e vado a scuola?" Anche gli insegnanti si interrogano sul senso dell’andare a scuola, su cosa potrà avvenire all’interno di quelle aule, con le molte difficoltà, ambientali, di risorse, di strutture. Noi vorremmo che la scuola fosse l’ambiente più bello di una comunità, di un quartiere, di una città, mentre a volte è l’ambiente meno rinnovato nella sua sicurezza, nella sua luminosità, nella sua dotazione strutturale. Il ben-essere fisico e psicologico rappresenta la condizione minima per vivere l’esperienza scolastica con gusto, con curiosità, con la voglia di crescere. Altrimenti resterà un rito ‘banale’ da celebrare stancamente tutti i giorni all’interno delle aule, mentre vogliamo che la scuola sia l’emblema della società futura, per il clima di coesione sociale e di rispetto reciproco, di tolleranza, ma anche di sviluppo e di promozione di talenti e di creatività.
L’incidenza del fattore ‘T’: come Territorio
All’inaugurazione dell’anno scolastico, in una cittadina della Toscana, il sindaco si è rivolto ai 200 insegnanti del suo paese, dicendo: "Cari insegnanti, aiutatemi a diventare un territorio creativo". Questa frase mi ha colpito, perché sembrava quasi spiazzare la scuola, che per mestiere dovrebbe presidiare la conoscenza, la cultura, la creatività. Era emblematico che fosse un sindaco a ricordare questa funzione, legata all’innovazione, alla speranza per il futuro, alla voglia di affrontare le incertezza con un approccio nuovo. È possibile fare questo? Ce la faremo?
I dati che abbiamo a disposizione non sono molto incoraggianti. Parlano le ricerche dell’OCSE-Pisa, i dati dell’Invalsi, i divari tra Nord e Sud, tra scuola e scuola, tra classe e classe. È aumentata la quota di ragazzi di 15 anni che non sono in grado di comprendere un testo minimamente articolato, argomentativo, pragmatico etc. Quindi esiste circa un 25-30% di allievi che a 15 anni sembra dimostrare una sorta di analfabetismo molto persistente; sono ragazzi out, non in grado di affrontare con autonomia e libertà le scelte future. Come possiamo intervenire di fronte a questo? Gli studiosi in fondo attribuiscono, semplificando, il 50% delle differenze nei risultati scolastici a una sorta di fattore ‘T’ (territorio): cosa c’è attorno alla scuola? Che tipo di comunità? Che tipo di relazioni? Che tipo di legami? Che tipo di fiducia?
Sembra cioè che la dotazione, come dicono alcuni studiosi, di capitale sociale (es.: tasso di partecipazione civica, lettura dei quotidiani, numero di donatori di sangue, diffusione della pratica sportiva non competitiva…) sia correlata quasi in maniera diretta con l’andar bene a scuola dei ragazzi di quel territorio. Allora, un primo obiettivo è quello di ricostruire una relazione positiva con la propria comunità, fatta di scambi, di dialogo, di posizionamento sociale, a partire dal rapporto con le prime piccole comunità, quelle dei genitori.
Nasce così il sistema formativo integrato, perché i saperi oggi sono sempre più diffusi nelle strutture produttive, economiche, associative, culturali di un territorio. L’ente locale deve saper fare una buona regia, mettere in contatto, costruire relazioni, investire sulla dimensione cognitiva del territorio. Se vale il 50%, questo valore non ce lo troviamo già dato, lo possiamo far evolvere, interpretando l’autonomia delle scuole non come competizione, ma come rete culturale e formativa di un territorio, per a