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LA SETE, 15 VAMPIRI ITALIANI Autori Vari

INDICE ...Tu mi fai sangue - Astori Cristiana Scarecrow - Boccia Luigi La passione del sangue - Calia Claudio Olim lacus colueram - Cappi Andrea Carlo Cuoio - Corradi Alberto Scorciatoia - Di Maio Paolo Il prossimo - Di Orazio Paolo Fiocco Rosso - Garbero Davide Bevi, fratello mio - Lombardi Nicola ZEP - Massaron Stefano Vuoti a perdere - Mistretta Gaetano Anche se fa male - Nerozzi Gianfranco Zanne! - Massimo Perissinotto Uno strappo fino a casa - Tonani Dario Rossa Apocalisse - Trevisanello Liri

...TU MI FAI SANGUE Astori Cristiana ...Tu mi fai sangue - 2009


Che Dio mi protegga dal Male questa notte! (Bram Stoker, Dracula) There is too much blood, too much blood Pretty ladies, don't be scared There's still so much love... (Rolling Stones, Too Much Blood) Che si fottano i cosiddetti satanisti. Non sono niente. Rispetto soltanto i saccheggiatori di tombe e gli assassini. (Nicolas Claux, il Vampiro di Parigi) Al vampiro che mi ha fatto sangue... Mentre faccio la doccia, ci penso e non mi sembra vero. Per la prima volta Anna ha deciso che verr ad assistere a una mia presentazione. Per l'evento do una stirata alla mia T-shirt con lo smile grondante pus e la scritta GLI ZOMBI SONO QUI. Nella foga il ferro finisce sopra la stampa. In un'altra situazione ci avrei fatto una malattia, ma stavolta la infilo lo stesso ed esco di corsa per non fare tardi. La saletta della libreria affollata di miei fan, ragazzi dai diciotto ai trent'anni appassionati di videogame e di film di violenza gratuita. Quasi tutti hanno in mano una copia di Apocalisse Malsana. Cerco Anna con lo sguardo. Non la vedo da nessuna parte. Il cuore mi frana nel petto. Mentre la conduttrice mi pone alcune domande, continuo a guardarmi intorno come uno stupido. E quando mi sembra che tutto sia perduto, la vedo entrare trafelata. Porta un tailleur chiaro e un paio di tacchi altissimi, scuote il caschetto biondo e vaporoso. Non riesco a smettere di guardarla, facendomi anche un paio di gaffe. Finalmente viene il momento delle letture. Prendo il microfono e mi alzo in piedi, anche se detesto parlare in pubblico. - Cari amici-, esordisco, - vi voglio anticipare una delle novit del mio ultimo libro-. Anna si seduta in terza fila, tiene la borsetta sulle ginocchia e si guarda intorno spaesata. - Axl non pi solo-, continuo. - Per una parte del viaggio, avr una donna al suo fianco... la conturbante Annika!-. Battono le mani. Molti sfogliano il libro appena comprato. - A questo punto-, mormora la presentatrice, - siamo curiosi di sapere come Dario Alessandri ha immaginato questo personaggio femminile...-. - Come l'ho immaginata? Be', semplice... perch Annika qui tra noi, in mezzo al pubblico!-. E indico Anna, in terza fila. Molti si alzano in piedi per vederla meglio, alcuni lanciano fischi di ammirazione. Anna arrossisce, ma da come mi guarda capisco che si sente una dea. Allora afferro una copia di Apocalisse malsana dal tavolino e la sfoglio rapido in cerca di pagina 21. Il pubblico si zittisce all'istante, in ascolto. Comincio a leggere. La luna piena illuminava il magazzino abbandonato. - Qui saremo al sicuro-, mormor Axl ad Annika. - La notte fredda e la strada per fuggire da questa dannata citt ancora lunga. Ma con me al tuo fianco non dovrai temere nulla, piccola-. - Dici davvero, Axl?- sussurr la ragazza. - Ma certo, tesoro... per ogni zombi che oser torcerti un capello, gli far saltare il culo con queste mani. E con questo fucile-. - Oh, Axl!- Annika lo fiss con i penetranti occhi verdi. Axl avrebbe fatto qualunque pazzia per quegli occhi. - Quando usciremo di qui, tesoro, prometto che prender questo fucile e lo getter via. Che si fottano tutti quanti... che si fottano il governo e le corporazioni. Sono stufo di farmi trasportare alla deriva da quest'apocalisse malsana, dolcezza. Voglio trovare uno scopo, una direzione... e voglio trovarla con te-. - Oh, Axl...-, ripet Annika, commossa. - Ti amo tanto, piccola-, disse lui, poi le prese il viso tra le mani rudi.

Annika avvicin le labbra alle sue, mormorando: - Anch'io ti amo tanto, A...-. Axl sent una strana sensazione alle mani. Come se fossero incredibilmente pesanti. Pesantissime. Subito diede la colpa all'emozione e non apr gli occhi. Eppure la sensazione si faceva sempre pi strana. Li apr. Annika era davanti a lui, gli occhi socchiusi, le labbra palpitanti, che lo baciava. Ma il resto del corpo era completamente staccato dal busto. - Ehi...-, Axl si volt interdetto. La testa di lei ancora in mano, disorientato dallo shock. Joshua Adelante, il capo degenere della corporazione, nonch fautore del virus che stava distruggendo l'umanit, ridacchiava, impugnando l'ascia in titanio, impiastricciata del cuoio capelluto e della materia cerebrale di Annika. Doveva averle reciso un'arteria, perch il sangue schizzava ovunque sulle pareti del magazzino e sul suo giubbotto antiproiettile in kevlar, in un perverso carosello di orrore e morte. Ancora lui. Sempre lui. - Maledetto!-, Axl estrasse rapido la rivoltella dalla tasca e gli spar alla testa. Un unico colpo, secco e preciso. Lo guard contorcersi agonizzante, per poi crollare a terra, colpito alla fronte come i mostri da lui stesso creati. Axl avrebbe dovuto sentirsi bene, adesso. Avrebbe dovuto. Ma la testa di Annika lo guardava malinconica, in mezzo al sangue e alla materia cerebrale sparsi a terra, ricordandogli l'avvenire perduto. L'uomo lasci cadere l'arma a terra e scoppi a piangere. Sento un tonfo. Alzo gli occhi verso il pubblico. Per un curioso intreccio tra arte e realt, anche Anna caduta a terra. - Ehi...-. Per fortuna, per, lei ha ancora la testa sul busto. Smetto di leggere e le vado incontro. Niente di grave, sembra solo svenuta. Deve essere stata l'emozione di comparire in un libro. In effetti, non capita a tutti. Stavolta croller ai miei piedi. Poi mi ricordo che gi crollata, allora le prendo la testa tra le mani per farla rinvenire... la testa tra le mani... incredibile, ogni gesto mi sembra un dj-vu di Apocalisse malsana. Anna sbatte gli occhi, muove le labbra. Allontano il pubblico con un gesto, perch la lasci respirare, soprattutto il nerd che le ha tirato su le gambe per dare una sbirciata agli slip. Avessi una pistola, gli farei saltare le cervella come a Joshua Adelante. Si tira su lentamente. - Anna... tutto bene?- dico premuroso. - Mi hai fatto perdere la testa-, mormora lei, stordita. - Davvero, tesoro?-, arrossisco e il cuore mi batte a precipizio. Le porgo una mano per aiutarla a tirarsi su, ma non la prende. - Che c'?- chiedo. - Sei un grandissimo stronzo-, scandisce, gli occhi in fiamme. - Anna, ma che dici? Credevo ti fosse piaciuto...-. Si alza in piedi, si pulisce il vestito: - Mi avevi promesso una storia romantica, un dramma pieno di sentimento-. - Appunto-, dico. Non vuole nemmeno che la sorregga. - ...E invece mi hai messo nei panni di una idiota che sa solo sbattere gli occhi e soprattutto... viene uccisa in quel modo cos cruento... cos barbaro...-. - Che cosa vuoi che sia una testa mozzata?- rispondo. - Ora lei vivr per sempre nel suo ricordo... Axl non amer altre donne al di fuori di Annika, capisci? Non romantico?-. - Romantico? A me sembra solo cafone... ma non ti vergogni, Dario?! Mio Dio, la mia testa... mi hai fatto perdere la testa e tutto quel sangue... che schifo-. Si tocca ripetutamente il collo, singhiozzando. - Aspetta, Anna...-. La prendo per un braccio, ma lei si divincola, afferra la borsetta ed esce furibonda dalla libreria. Resto a guardarla che si allontana, mentre il pubblico mi viene incontro, imbarazzato, per farsi autografare Apocalisse malsana. Faccio il simpatico, ma mi sento dannatamente triste e solo. Sto per tornare a casa, quando qualcuno mi tocca una spalla. Mi volto, distratto. Una ragazza mi guarda e sorride. Credo sia l'unica donna presente. molto pallida e porta capelli lisci e lunghissimi, come l'ala di un corvo. - Il pezzo che hai letto spacca-, dice. - Mi sono commossa-. - Commossa?-. Questa mi prende in giro. - S... la luna piena, il capannone industriale, la tragica morte di Annika...-. Ha gli occhi lucidi. - Grazie...-. Abbasso lo sguardo, imbarazzato. Allora noto che indossa una minigonna di pelle nera praticamente inguinale, stivali dai tacchi vertiginosi e un corsetto rosso sangue, incapace di contenere un imbarazzante dcollet.

- Sei stato davvero bravo-, continua lei, asciugandosi gli occhi con il fazzoletto. - Questo brano mi ricorda lo spirito della tua prima storia, Un foro in testa. Quello dove parli dei dipendenti della centrale nucleare trasformati in zombi. L'azione che si intreccia alla denuncia sociale...-. Un foro in testa l'ha pubblicato anni fa una piccolissima casa editrice e non pi stato ristampato. una storia a cui tengo molto, anche se non l'ha letta praticamente nessuno. - Conosci quel libro?- le chiedo. - Beh, certo. Axl il mio mito-. Non mi stacca gli occhi di dosso. Sono azzurri e rotondi, grandissimi. Ah, io mi chiamo Ilonka-. Mi porge la mano. - Piacere, Ilonka-. - Vero che mi fai un autografo, Dario?- agita una copia di Apocalisse malsana, il seno che le ondeggia nel corsetto. - Con piacere-. Estraggo la BIC, ma lei mi blocca con un gesto. - Senti, ho cambiato idea. Sto morendo di sete. Non che prima mi accompagneresti a bere qualcosa al bar?-. Passa lentamente la lingua sulle labbra scarlatte, mostrando una fila di denti bianchi, perfetti. - Come hai detto? ...Che ti piacciono i Michigan Vampires?- la fisso incredulo, sorseggiando il Bloody Mary. - No. Li adoro,- dice Ilonka. - Sono andata a tutti i loro concerti-. - Persino a quello del 26 ottobre?-. - Persino a quello del 26 ottobre-. - Non ci credo-, obietto. - Trovare i biglietti per quella data era impossibile-. - Ma io sarei disposta ad ammazzare per un biglietto dei Michigan-, sussurra, socchiudendo gli occhi. - Immagino-. Finalmente una donna che mi capisce. - Sei di qui?- le chiedo. - S, sto in una grande villa con parco poco fuori citt. Accanto al cimitero... hai presente?-, dice annoiata. - Wow il posto dei miei sogni... una casa in stile Psycho. Che invidia. Ma da tanto che ci abiti? Non ti ho mai vista in giro-. - Non da molto. Ma a me sembra un'eternit. La sera non c' granch da fare laggi, a parte leggere o ascoltare musica-. - In effetti, il paese la sera un po' morto. Ma di giorno si possono fare passeggiate, gite in bicicletta e...-. - Che il paese sia morto non mi dispiace. Per non amo girare di giorno. E poi sono cos pigra... starei sempre a letto...- mormora Ilonka, con un sospiro. - Uh, ti capisco... anch'io-. Quasi mi commuovo. Non capita spesso di trovarsi davanti il proprio equivalente femminile. Poi guardo l'ora e mi accorgo che sono le quattro di notte. Eppure mi sembravano passati solo pochi minuti. Mi viene in mente Anna. Non l'ho nemmeno chiamata per sapere se si ripresa dallo svenimento in libreria. - tardi. Devo andare-, dico. E faccio per alzarmi. - Aspetta... non puoi lasciarmi cos, scrittore- mi supplica Ilonka. - Senza nemmeno avermi fatto l'autografo-. Getta la sua copia di Apocalisse malsana sul tavolino. - Hai ragione-. Prendo un'altra volta la BIC. - No, falla con questo-, dice, e mi passa un antico pennino. Faccio per prenderlo, ma sento una fitta acuta alla mano. - Ahia!- esclamo. Il dorso della mia mano destra si mette a sanguinare. Dicono che se scrivi horror del sangue non te ne deve fregare niente, anzi, dovresti sguazzarci, non si sa perch. Io quando devo farmi fare il prelievo in ospedale chiedo sempre di distendermi sul lettino e spesso mi capita di svenire. Mi accorgo che ho la punta del pennino completamente conficcata nella pelle. Mi metto a urlare. - Scusa, scusa, scusa-, si affretta a dire Ilonka. - Toglimelo subito per favore mi fa... mi fa male!-. Mi volto dall'altra parte per non guardare. - S, s, Dario... non so come ho potuto, davvero...-. Mi guarda desolata, ma non batte ciglio. - Toglimi sto cazzo di pennino!- urlo, cianotico, mentre il sangue mi schizza sui jeans. - Te lo sto togliendo...- dice Ilonka, afferrandolo per l'estremit. - Hai fatto? Posso girarmi?-. - Un attimo. Fermo cos, che se no ti fa infezione... ecco, bravo... ancora un secondo...-. Non ce la faccio pi. Sento la fronte fredda come quando sto per svenire in sala prelievi. Allora mi volto lo stesso e la vedo che armeggia con il pennino, maldestra. - Ehi... ma che fai? Cos me lo pianti dentro!-. Scuoto la mano, finch il pennino non si stacca e cade a terra. - Bravo, Dario... vedi che in due ci siamo riusciti? In due...-. E mi punta addosso non solo gli occhi da gatta, ma anche l'imbarazzante dcollet.

- S-scusa-, balbetto. - che il sangue mi fa impressione. Finisce che non ragiono. Figurati, mi era quasi sembrato che anzich togliermi il pennino me lo stessi rigirando nella carne...-. - Tranquillo. Ora vedrai che il sangue non uscir pi...-. Accosta rapida la mia mano alla bocca e si mette a succhiare. La fisso inebetito. Meno male che il locale deserto. Quando toglie le labbra, ho il capogiro. - Sei sicura di non averne succhiato troppo?- chiedo. - Mmmhhh no... assssolutamente-, sussurra, leccandosi lenta le labbra. - Domani vedrai che ti sar passato tutto-. Mi lega il suo fazzoletto intorno al polso. - Et voil!... Vero che mi porti a casa, Axl?-. Saliamo in macchina e usciamo dalla citt, cantando a squarciagola la hit dei Michigan Vampires: - I wanna bite your neck/I wanna suck your blood /I wanna feel your love...-. - I wanna feel your love...-. Fermo la macchina davanti alla sua villa. La luna piena alta nel cielo e i rami scuri degli alberi si intrecciano sulle nostre teste. - Non lo trovi romantico, Dario?-. Mi posa la testa sulla spalla. Annuisco, frastornato. Poi avvicina le labbra al mio collo... e la vede. Se ne sta sul cruscotto insieme all'action figure di Ash e a quella di Freddy Krueger. Sbarra gli occhi. - E questa che roba ?- esclama. Merda. Il pupazzetto della Madonna di Lourdes con l'acqua benedetta che mia madre mi obbliga a tenere in macchina, perch dice che guido male. - una... una... una specie di action figure della Madonna... cio...-. Ilonka si scolla da me e mette la mano sulla maniglia della portiera, pronta a saltare gi. - Buonanotte, Dario-, dice, fredda. - Ehi, aspetta...-. - Mi venuto sonno-, si giustifica. - Piuttosto... sei libero ad Halloween?-. Il trentuno mi sembra di avere un impegno, anche se non ricordo pi quale e poi non mi sembra certo il caso di andare per il sottile. - Sicuro!-, esclamo con un sorriso. E mi allontano nella notte con i Michigan a tutto volume e la mano destra che pulsa. - Il problema non se sono offesa o no. che sono preoccupata per te. Passi tutto il tempo in casa a vedere film di violenza gratuita e poi certo che scrivi quella roba. Non hai il senso della realt-. - Ma che dici-, protesto. - Non guardo solo film violenti-. - Ah, gi-, sbuffa Anna. - Ci sono anche i videogiochi. Quelli dove arriva l'apocalisse e tu spari a raffica per ammazzare gli zombi-. - Guarda che quello il soggetto del mio ultimo libro-. - Spero che almeno il trentuno mi porterai in qualche posto decente-, mormora spazientita. - Il trentuno?-. - S, ad Halloween. Non hai insistito perch mi tenessi libera?-. Poi aggiunge, risentita: - Comunque se preferisci andare a vedere il tuo solito film dell'orrore in cui saltano le teste, buon divertimento-. Dal tono, capisco che un ultimatum. E anche che sono fottuto. Non posso dire di no ad Anna e nemmeno deludere Ilonka. Mi viene in mente la tag-line di Alien contro Predator: - Chiunque vinca, tu sei morto-. Axl Reverte direbbe: - Quando hai due donne disponibili, perch scontentarne una se puoi soddisfarle entrambe?-. L'aggettivo disponibili non calza proprio a pennello con la mia situazione, ma mi adeguo. - Macch film dell'orrore-, dico. - Ti porter a una festa. Una vera festa, in una splendida villa antica con parco-. - Wow Dario... non ti facevo cos mondano... Ma fantastico!- esclama. - Questa s che una sorpresa-. Gi, una vera sorpresa. Mi congedo da Anna e intanto cerco sull'agenda il cellulare di Ilonka. Spero che per lei non sia un problema se porto una persona in pi. Mentre digito il numero, sento che sto per commettere una delle pi grandi stronzate della mia vita, dopo la cena dei poeti estinti. Solo che stavolta l'idea venuta a me. Anna si presenta con addosso una specie di sottoveste azzurro pallido firmata da un'impronunciabile stilista francese. Non le sta male, ma non c'entra niente con Halloween. - Guarda che una festa in maschera-, le spiego. - Non puoi venire cos-. - Avevi detto che era in una villa elegante e allora...-. - No, no, cos non va bene. Ti devi travestire-. Nel campo dell'horror sono intransigente. - Perch, tu da chi saresti mascherato?-. - Ma che domande!-. Agito il fucile con il braccio ricoperto da finti tatuaggi che fuoriesce dal giubbotto antiproiettile in kevlar. - Da Axl Reverte, no?-. - Ah-.

- Ascolta, ho un'idea geniale-, le dico. - Non mi vestirai per caso da Annika?- chiede. - Guarda che non mi va di andare in giro con il seno di fuori e la testa mozzata-. - Tranquilla-, la rassicuro. - E adesso chiudi gli occhi-. In frigorifero ho ancora parecchie frattaglie che compro dal macellaio per i gatti randagi dell'isolato. Ferma cos-, le dico. Salgo sulla sedia e, con un colpo secco, le rovescio addosso il secchio di frattaglie. Le interiora le ricoprono il vestito in un enorme blob rosso e sanguinolento. - Magnifico!- esclamo. - Hai presente Carrie, lo sguardo di Satana?-. Anna si guarda allo specchio e si mette a urlare. No, non ce l'ha presente. - Dimmi se non un posto da favola-, dico ad Anna, mentre attraversiamo il parco della tenuta di Ilonka. - A me sembra la casa della Famiglia Addams-. - Appunto!- esclamo compiaciuto. - Ho sempre pensato che questa casa fosse disabitata-, osserva. - Invece ci vive una tua lettrice... Non che mi hai portato da una vecchietta che passa tutta la sera a giocare a bridge?-. - Dario!!!-, Ilonka compare sulla soglia e mi salta al collo, festosa. Credo sia vestita da Vampirella, ma l'abito dev'essere due o tre taglie in meno della sua. cos attillato che sembra sul punto di strapparsi. Faccio le presentazioni, tentando di mantenermi neutrale. Anna le stringe la mano con uno sguardo perfettamente coerente con il suo travestimento. Mi sembra di essere al ballo della scuola. Se ne accorge anche Ilonka: - Ehi, sei uguale a Carrie!- esclama. Anna non risponde. Entriamo nella villa. Il salone, illuminato da tante candele e da luci rossastre e stroboscopiche, gremito di gente, tutta mascherata a tema horror. Purtroppo il travestimento da Axl non prevede gli occhiali e vedo il tutto un po' appannato. Per dalle casse esce Too Much Blood degli Stones in versione dance. Finalmente una festa che piace a me. A parte un dettaglio. Niente da ridire sui costumi degli invitati, ben curati e decisamente realistici. Ma sono tutti vestiti da vampiri. Ora, io credo che quello che conta di pi per una buona maschera di Halloween non sia tanto la fattura, ma l'originalit. Mi chiedo come mai gli amici di Ilonka siano cos monotematici, ma non le dico niente per non offenderla. - Il tuo costume da Axl spacca!- mi grida lei nell'orecchio per coprire la musica. - Grazie. Anche il tuo. E complimenti per quei canini, sembrano veri!- esclamo. Poi mi volto verso Anna: - Ti piace qui?-. - No-. - Perch no?- le chiedo. Ora non assomiglia pi a Carrie. Si trasformata nel clone femminile di Hannibal Lecter. - Mi hai portato a un raduno di satanisti-. - Macch... tutta brava gente, dai. Solo perch ascoltano gli Stones...-. - Guarda come sono vestiti. E quelle strane statue e alabarde disseminate in giro. Quella specie di ghigliottina...-. - Questa la notte di Halloween, Anna. Cerca di stare al gioco. chiaro che sono tutte di plastica o di gomma-, la rassicuro. Ilonka appare alle spalle di Anna, come un'ombra. - Tutto bene?- dice. Mi porge un aperitivo rosso, tipo Crodino. Ha un sapore orribile. Poi mi prende per un braccio: - Vieni con me-, dice. - Ti porto a vedere una cosa-. Mi trascina dietro a una spessa tenda rossa. - Benvenuto nella mia cameretta!- esclama. C' una libreria alla parete. Mi avvicino, strizzo gli occhi e leggo qualche titolo: King, Le notti di Salem, Matheson, Io sono leggenda, Stoker, Dracula, Le Fanu, Carmilla, Laymon, La bara, Rice, Scelti dalle tenebre, Hamilton, Nodo di sangue... Di fianco c' un'altra libreria, piena di CD. Uno scaffale intero di bootleg dei Michigan Vampires e collezioni intere di musica rock, introvabile... ho il cuore che palpita. Dunque il Signore, nella sua immensa bont, ha creato un clone identico in tutto e per tutto a Dario Alessandri, ma l'ha fatto donna e gli ha dato la sesta di reggiseno. - Ma splendido!- esclamo. - Sono felice che ti piaccia-, sussurra Ilonka e intanto mi viene vicino, molto vicino. - Perch anche tu mi piaci... anzi, mi fai sangue; Dario. Mi fai tanto sangue...-. Mi sbottona il giubbotto in kevlar e si struscia contro di me. Dunque il Signore non solo l'ha fatta donna e prosperosa, ma anche un po' zoccola. - A-aspetta...- balbetto. Le donne troppo intraprendenti mi intimidiscono sempre. Arretro e inciampo contro qualcosa. Cado fragorosamente a terra. Mi sembra di

morire. O forse sono gi morto. Perch sono finito disteso in un affare stretto di legno lucido e ho un cuscino di raso violaceo sotto la testa. - Ehi, ma dove sono?-. - Sei a letto, Dario. Nel mio letto...- sussurra Ilonka, accovacciata sulle mie cosce. Intanto mi sbottona la camicia e mi lambisce il petto con la lingua. - Beh, d-devo a-ammettere che per il tuo costume di Halloween hai pensato p-proprio a tutto-, commento, osservando le pareti della bara. - Grazie, caro-, dice, e fa per slacciarsi il corsetto. - P-per ammetterai che f-fare sesso qui dentro un po' c-complicato-, cerco di fare lo scanzonato per non prendere un infarto. - Infatti noi vampiri non facciamo niente del genere-, mi dice, calma. - Il nostro una specie di patto di sangue-. - Come dici, scusa?-. Capisco la coerenza con la sua maschera, ma adesso esagera. Oltre al fatto che non sono un grande lettore di Vampirella, non mi risulta proprio che l si parlasse di patti di sangue e roba cos. In ogni caso, tu assomigli pi a Sukia o Jacula, non ti pare?- mi premunisco. - Non so. Comunque, niente sesso. troppo volgare-, Ilonka categorica. - Solo patto di sangue-. - E in che cosa consisterebbe questo... questo patto?-. Forse mi sta prendendo in giro. - Beh il patto di sangue che ti pianto una lama nella pelle-. E agita una specie di coltello lucente dal manico intarsiato, una specie di versione trash del bisturi di Jack lo Squartatore - ...e ti facci un taglio profondo in una zona ricca di capillari, tipo sul petto... cos esce tanto sangue... poi mi taglio anch'io e mentre il sangue fuoriesce, uniamo il nostro sangue insieme e intanto ti affondo i canini nel collo e succhio altro sangue dalla tua giugulare...-. - Ehi... ma sei pazza?-, esclamo. Se sento ancora nominare una volta la parola sangue mi viene il voltastomaco. Anzi, ancora peggio, svengo. E non mi sembra esattamente il momento giusto. - Che cosa c', non ti piaccio?- brandisce il bisturi e mi guarda delusa. - Ascolta-, le spiego, sempre disteso nella bara. - Non ho niente contro il tuo patto. Ma lo sai che a me il sangue fa impressione. E poi nel sesso sono piuttosto tradizionalista-. - Oh, mi dispiace Dario. Ma sono convinta che non sentirai nessun male-, bisbiglia sollecita, ma intanto non mi lascia alzare dalla cassa. Anzi, resta appollaiata addosso a me. Tento di muovermi, ma sembra dotata di una forza disumana. La guardo meglio in faccia. Anche se non ho gli occhiali, vedo i suoi occhi giallastri ed enormi come quelli di un gatto, i capelli corvini che le svolazzano intorno alla testa e i canini lunghissimi che le si piantano nel labbro inferiore. E in quel momento, capisco. L'alibi del travestimento da vampira comincia a fare acqua da tutte le parti. Ilonka una vampira. Avrei dovuto immaginarlo. Axl non si sarebbe mai fatto fregare. anche vero che gli zombi sono pi riconoscibili dei vampiri. Ma soprattutto non indossano provocanti costumini da Vampirella n ti sventolano in faccia il dcollet. - Per devi chiudere gli occhi-, continua lei. - Se li chiudi, non sentirai nulla. Ci sono riusciti anche i pi paurosi-. Ora le sue pupille sono diventate grandi e rossastre e ha la bocca spalancata in un'espressione oscena. Sembra una pornodiva indemoniata. Il bisturi gelido mi sfiora la pelle. - Preferisco restare pauroso-, protesto. - Ma toglimi di davanti quel cazzo di coltello-. Ovviamente, non obbedisce. E non si muove di un centimetro. Anzi, mi avvicina le labbra alla gola e intanto preme la lama sul mio petto. Mi chiedo come farebbe Axl in questo frangente. Ho la mente vuota. Purtroppo si gi scontrato con zombi, alieni, licantropi, mutanti e scienziati pazzi, ma mai con un vampiro. E poi dicono che la legge di Murphy non esiste. A quel punto, l'unica cosa da fare decidersi ad affrontare una morte onorevole. Chiudo gli occhi, rassegnato, mentre Ilonka mi affonda i canini nel collo. Ha le pupille sanguigne e dilatate dall'eccitazione. Il suo alito caldo e bestiale mi ansima addosso. Un terrore irrazionale mi coglie all'improvviso. E se poi mi trasformo in uno di quegli insopportabili vampiri dandy alla Anne Rice? No, quello sarebbe davvero troppo. Allora faccio appello alle poche energie che mi restano e la afferro per la testa, tento di sbatterla indietro, ma troppo forte... troppo... Poi un colpo secco. La testa nelle mie mani diventa pesante. Pesantissima. Apro gli occhi. Ilonka mi fissa, le pupille dilatate, rossastre, le labbra tumide e sanguinanti, i canini affilati... ma sotto non c' pi nulla. Il suo corpo staccato di netto dal busto. Mi si affloscia addosso, ma dato che non pratico la necrofilia, lo sposto da un lato ed emergo dalla bara, come un novello Christopher Lee.

in quel momento che la vedo. Anna in piedi davanti a me e stringe un'alabarda impiastricciata del cuoio capelluto e della materia cerebrale di Ilonka. Deve averle reciso un'arteria, perch il sangue schizza ovunque sulle pareti e sul mio giubbotto antiproiettile in kevlar, in un perverso carosello di orrore e di morte. Wow. Dunque anch'io come Axl avr un passato oscuro. Un amore perduto di cui vantarmi con le donne. Gi mi vedo mentre lo racconto, tipo: - Ci amavamo, ma lei era vampira e io no e cos il destino...-. Fa molto maudit, senza contare che funziona quasi sempre. Corro incontro ad Anna, la ringrazio. Lei lascia cadere l'alabarda, inebetita, mentre il sangue zampilla dall'arteria di Ilonka e le macchia la parte di vestito non ancora intrisa dalle frattaglie per gatti. Si mette a urlare. - Non fare cos-, la tranquillizzo. - Ti comprer un abito nuovo...-. Non faccio in tempo ad avvicinarmi che svenuta. Allora l'afferro tra le braccia, scosto la pesante tenda rossa e mi precipito verso l'uscita. Mentre varco il portone, un sosia di Bela Lugosi mi guarda interrogativo. - Si sente poco bene-, dico, indicando Anna e mi dileguo. Raggiungo di corsa la macchina. Distendo Anna, ancora svenuta, sul sedile e sto per mettere in moto. Poi mi rendo conto che non posso scappare. Anch'io, come Axl Reverte, non mi sento di lasciar andare a puttane l'umanit. Unico dettaglio, lui possiede un Remington, varie pistole e diversi coltelli, mentre io sono disarmato e senza occhiali. Poi vedo la Madonnina sul cruscotto. Come ho fatto a non pensarci. La afferro rapido e torno nella villa. Mentre le casse sparano a tutto volume Bela Lugosi's Dead mi infilo furtivo verso il bancone dei cocktail, la Madonnina nascosta sotto il giubbotto. la quarta volta che la chiamo al cellulare, ma sempre libero. Riprovo un'altra volta, temendo che le sia successo qualcosa. Stavolta risponde. - Anna... meno male. Tutto bene?-. - Hai letto il giornale?-. - No, oggi ho dormito fino a tardi... dovevo ancora riprendermi dalla notte scorsa. Comunque sono contento che tu stia bene-. Non risponde. Sento solo un fruscio di pagine, poi legge: - Strage ad Halloween. Sterminata una setta di satanisti. Omicidio o suicidio?-. Altro rumore di pagine sfogliate: - Misteriosa fine per una setta di satanisti riunitisi il trentuno ottobre per un festino nella villa abbandonata accanto al cimitero del paese. Le cinquantadue vittime sono state rinvenute all'interno della casa, riverse sul pavimento, la gola completamente bruciata dall'acido. La polizia ipotizza si tratti di avvelenamento, nel quadro di un suicidio di massa a carattere rituale. Sempre all'interno della villa, stato ritrovato il corpo non identificato di una vecchia, in apparenza ultracentenaria, con la testa tagliata. Sono in corso ulteriori indagini e accertamenti-. - Allora ha funzionato!- esclamo, entusiasta. - La mia idea ha funzionato!-. - Che cosa vuoi dire?- domanda Anna, gelida. - Beh, ho vuotato l'acqua benedetta della Madonnina nei recipienti di quell'orribile cocktail. Non era molta e non credevo facesse effetto... e invece... non sei contenta?-. - No-. - Perch... che cosa ho fatto?- chiedo imbarazzato. - Che cosa hai fatto?! Mi hai portato a una festa di satanisti! Lo dicono pure i giornali, Dario, e te l'avevo detto subito anch'io, appena siamo entrati... ma tu... tu non mi volevi ascoltare!-. - Non erano satanisti, Anna. Erano vampiri-. - Ah, perch fa differenza...-. - Certo. Ora ti spiego-, esordisco calmo. - Non tutti i vampiri sono satanisti e non tutti i satanisti sono...-. - Non mi interessano i tuoi cavolo di sillogismi, Dario! Quello che so che mi hai portato a una festa di gente pericolosissima e mi hai mollato l da sola per appartarti con quella Malenka!-. - Ilonka-, la correggo. - S, insomma... con quella tipa con il nome da pornostar-. In effetti non posso darle torto. - Comunque ti assicuro che quella era una vampira-, replico. - Ha utilizzato contro di me i suoi poteri di fascinazione... mi ha praticamente ipnotizzato! Hai presente la reverie vampir...-. - Sono stufa, Dario, di sentirti usare i tuoi dannati mostri come alibi!- dice. - M... ma mi stava ammazzando... credevo avessi capito, visto che mi hai pure salvato con quell'alabarda...-. - Salvato?- esclama lei, incredula. - S, mi hai salvato la vita. Ti sono davvero grat...-.

- Per cortesia, Dario. Non dire idiozie. Vi ho visti l insieme dopo che mi avevi piantata in asso in mezzo a quel branco di pazzi e dalla rabbia ho afferrato quell'alabarda di gomma e ho colpito alla cieca. - Ah, ma quindi non eri venuta per salvarmi...-. Sono un po' deluso. - Salvarti?! In realt quella specie di lancia avrei dovuto darla in testa pure a te, per la tua cafonaggine! Ma poi devo essermi sentita male... adesso non ricordo...-. Non so pi che cosa dire. Vorrei tirare fuori la storia del passato oscuro eccetera, ma ho l'impressione che con Anna non attacchi. Anche perch il mio amore perduto l'ha fatto fuori lei. - Mi lasci da sola a una festa per andare con un'altra e poi dici che io ti avrei salvato da una vampira! Mi fai ridere, Dario- continua a ripetere. - Beh ma allora se dici cos vuol dire che sei gelosa e quindi ci tieni a me... o sbaglio? ...Pronto, Anna?-. Ha riattaccato. Riattacco anch'io. Poi mi apro una birra e mi distendo sul divano con i Michigan Vampires a tutto volume. Solo Axl Reverte in grado di soddisfare due donne e intanto salvare il mondo. A me, come al solito, tocca accontentarmi della seconda.

SCARECROW Boccia Luigi Scarecrow - 2009


Oscar un bianco. Ma a guardarlo adesso si potrebbe cadere nel tranello di pensare a un colore diverso della sua pelle, poich ha minuziosamente unguettato faccia, collo, braccia, polsi e mani con una sostanza di colore nero. Siede immobile sul divano, di fronte a me, le labbra serrate in quel riflessivo silenzio. Ha in mano la mia pistola. Gliel'ho consegnata io quando sono entrato per dimostrargli che poteva fidarsi. Con uno sguardo alla finestra, Oscar fulmina i mormorii e le voci che giungono dal giardino, poi mi chiede: - Quanti sono?-. - Due-. - Tiratori?-. - Quali tiratori, Oscar. Sono soltanto ragazzi-. Fa una smorfia. Gli trema il labbro inferiore. - Non devi preoccuparti. Ho dato ordini precisi, non faranno niente-, tento di rassicurarlo, pur rendendomi conto che impossibile. - Anche se non vuoi fidarti della mia parola...-. Indico la pistola. Cerco di apparire perfettamente lucido e tranquillo ai suoi occhi, ma sono tutta una corda che vibra dentro, i miei nervi fremono. Non riesco a togliermi dal cervello nemmeno per un attimo l'immagine di tutti quei corpi straziati che circondano la casa, che ci circondano... l fuori, affioranti in quel buio assurdo, in quell'inconcepibile silenzio. - Cos' quella roba che ti sei spalmato addosso, Oscar?-. - Lucido per scarpe. Serve a tenerle lontane-, mi risponde. - l'odore. Non lo sopportano-. - A tenere lontano chi?-. Ha lo sguardo basso sulla pistola, che tiene puntata contro il pavimento in modo svogliato. Solleva la testa per guardarmi. Un angolo della bocca ha un fremito nervoso. - una lunga storia, Davide-. Allunga il braccio e mi restituisce l'arma. - Non ne ho bisogno-. Tutti, dottori e insegnanti di sostegno compresi, definivano Elio un bambino tranquillo, e lui non aveva mai dato prova, fino a quel momento, che si sbagliassero. - Dolcissimo, tranquillo e dotato di una vivace intelligenza-. Questo era stato il giudizio della signorina Sandra sulla sua ultima pagella, aggiungendo a voce il giorno in cui l'aveva consegnata ad Oscar, che la simpatia di suo figlio era contagiosa: non c'era alunno in quella scuola che non venisse a trovarlo, anche solo per un saluto. Elio la quintessenza della voglia di vivere, gli aveva fatto sapere con quell'affabile sorriso. Gli altri bambini lo adorano, e lui adora loro...-. Elio la quintessenza della voglia di vivere. - E allora perch sono due settimane che te ne stai in silenzio a fissare fuori da quella finestra?- si chiede adesso Oscar, osservandolo. Non sembrava nemmeno essersi accorto della sua presenza. Non si era voltato per guardarlo, non l'aveva salutato, niente di niente. Continuava a starsene immobilizzato sulla sedia, rapito dal cielo imbronciato dell'autunno e a muovere piano e dolcemente, avanti e indietro, la mano sulla testa di Camilla. Il cagnolino sembrava essere diventato ormai il suo unico amico, condivideva quegli assurdi silenzi standosene accovacciato sulle sue gambe per lasciarsi accarezzare tutto il tempo. - Ciao, Elio-. Nessuna risposta. Anche la passione per il modellismo sembrava essersi spenta. La scatola con sopra la figura di una super portaerei (SOLO PER VERI ESPERTI! sfidava uno slogan) che gli aveva regalato due giorni prima, dormiva sulla sua scrivania ancora incellofanata. Si era avvicinato. - Elio? Non mi saluti? Pap tornato a casa-. Camilla aveva aperto gli occhioni e sventolato il piumino gonfio di peli che aveva per coda. Oscar gli aveva concesso una carezza distratta. - Ciao. Pap-. Solo quelle due parole telegrafiche. Ciao. Punto. Pap. Punto e fine del messaggio. Senza neanche voltarsi. Forse la televisione riusciva a essere ancora un bocconcino allettante, aveva pensato Oscar. Elio era un vero e proprio cultore degli spot. Li conosceva a memoria, uno per uno, i personaggi, le immagini, le battute; spesso e volentieri ne cronometrava addirittura i tempi di durata. - Ti va un po' di tele? Che ne dici, Elio? Ascolta il programmino: ce ne andiamo io e te sul divano con una pentolona di pop-corn...-. - Non ne ho vovoglia-. Un lungo, pesante sospiro. - Grazie-. - Tu lo conoscevi bene-, riprende Oscar. - Ricordi com'era sempre cos pieno di energie?-.

- Certo-, confermo in un sussurro. Ho la gola secca, avrei bisogno di bere qualcosa, un liquore forte. Tu lo conoscevi... il verbo al passato, l'ansia mi riconficca i suoi artigli nelle cosce. - Pensavo semplicemente che... il suo orologio interiore si fosse fermato-, mi spiega Oscar. - Si rifiutava di mangiare, di andare a scuola. Non aveva pi voglia di fare niente se non starsene incollato tutto il tempo a quella finestra con in braccio il suo cane. Era la prima volta che mi dava di questi problemi e io mi sentivo impotente, capisci? Elio non era un bambino come tutti gli altri...-. Oscar scatta in piedi, con i pugni serrati. stato un tonfo secco, come se qualcuno avesse scagliato un mattone contro la parete esterna. Distrailo, Davide, distrailo! Soltanto ora prendo in considerazione l'ipotesi che Oscar potrebbe essere per davvero pericoloso. Non mi piace il modo in cui fissa la porta. - Potevi portarlo dal dottore-, butto l. Sto sudando. E Oscar l'ha notato. Se ne sta immobile, cercando di valutare (se deve ammazzarmi?) la natura di quel rumore sospetto, ma i suoi occhi, cos bianchi, dilatati, elettrici, mi chiedono: Cosa stanno combinando l fuori i tuoi ragazzi, vecchio Davide? Ti ho detto la verit. Ho dato loro ordini di agire solo nel caso in cui avessero udito spari o io non fossi uscito di qua prima di un'ora. Non vorrei che tu mi combinassi qualche scherzetto... perch, vedi, tu sei mio amico, e io mi fido ti te, ma stai grondando come un maiale. Non saranno mica sudore sporco della tua coscienza quelle goccioline che ti imperlano la fronte? Ha finalmente preso una decisione. Piegandosi lentamente sulle ginocchia, come se avesse dei problemi alla schiena, torna a sedersi. - Credi forse che non l'abbia fatto?-. Un'ennesima pausa e un'altra occhiata poco convinta alla porta. Ne approfitto per tergermi furtivamente il sudore dalla fronte. - Ma non servito a niente. Elio se n' rimasto praticamente immobile seduto su una sedia di fronte al dottor De Palma, senza guardarlo mezza volta, senza rispondere ad una sola domanda; al massimo si limitava a un'alzata di spalle. La sua attenzione era tutta per la pelliccia di Camilla, che lisciava in continuazione...-. Arriccia le labbra, in una smorfia di nervosismo. - Dio solo sa se ho dovuto combattere l'impulso di afferrare quel cane per la coda e scaraventarlo contro il muro!-. Vorrei che Oscar non urlasse in questo modo che invita i miei nervi ad afferrare la pistola e a puntargliela contro. - E lo sai, qual stata la diagnosi di quel cretino in camice bianco?- mi chiede. - Un momentaneo malessere infantile-. Proprio cos si espresso. - I bambini affetti dalla sindrome di down sono soggetti a sbalzi d'umore, a improvvisi attacchi di rabbia o di aggressivit, mi ha detto. Vedr che tra qualche giorno gli passer, signor Lombardi, non deve preoccuparsi-. Si morde un labbro. - Imbecille!- sbotta colpendosi la gamba con un cazzotto. - Lo sapevo bene quali erano i comportamenti di un bambino down, ce l'avevo per figlio un bambino down! Il punto non era nel comportamento...-. Abbassa repentinamente il tono della voce sull'ultima frase. - Il punto era... cercare di capire perch Elio se ne stava tutto il sacrosanto giorno a fissare fuori dalla finestra della sua camera-. Deglutisce. - Quasi aspettasse l'arrivo di qualcuno...-. Le sue palpebre si erano spalancate, cos, d'incanto, e lui se n'era rimasto sul letto a fissare impietrito il soffitto. Quasi fosse stata una coltellata alla schiena il motivo di quell'agonizzante risveglio. Una voce esplose nella mente di Oscar: STA PER ACCADERE! Le dita di una mano si avvinghiarono al lenzuolo come vermi disperati che vogliono sfuggire all'amo da pesca. Il vento rigurgit all'interno delle grondaie simile a un petulante sospiro, e Oscar lo segu nel totale silenzio della casa spingersi a raggiungere una pluviale e gettarvisi dentro a ululare il suo inconfondibile lamento. Un giochetto, questo, che riusciva immancabilmente a strappare la sua attenzione da qualsiasi attivit nella quale fosse immerso. Oscar rilasci il respiro. Il pugno stretto allent un poco la morsa sul lenzuolo. Questa era la classica goccia che faceva traboccare il classico vaso: l'indomani mattina stessa, avrebbe chiamato il suo amico architetto affinch provvedesse a far cessare quei primitivi quanto mai indesiderati concerti notturni e diurni... Una nuova, esasperata, lunghissima nota d'agonia gli spezz il filo dei pensieri e gli fece accapponare la pelle sulle braccia. Ma in quel momento, nella camera accanto, Elio url. Non aveva pi avuto n la voglia n il bisogno di tornarsene a dormire. Era sceso dabbasso a prepararsi un caff forte. Poi si era seduto... e aveva acceso la tivv... e l'aveva spenta dopo un veloce giro di tutti i canali (senza neanche soffermarsi a valutare questa trasmissione o quel film)... ed era scattato in piedi per fare un giro intorno al tavolo e tornare a sedersi.

- Maledizione!- imprec Oscar tra i denti. Chiuse gli occhi, e in quel limbo nero riscopr l'espressione terrorizzata di Elio. Riuscire a calmarlo era stata la cosa peggiore. In un primo momento, non appena Oscar si era mosso verso il suo letto, Elio aveva ricominciato a urlare, ma questo, era stato un urlare molto, molto diverso da quello che era arrivato alle sue orecchie qualche istante prima. - Elio! Elio, sono io, Elio, calmati!-. Ma Elio aveva scoperto le gengive, strizzando gli occhi in due fessure minacciose, ansimando simile a una bestiolina ferita pronta a mordere per difendersi... e in quel momento Oscar aveva realizzato: Elio non lo aveva riconosciuto. Ringhiava a qualcuno che non era lui. E sai bene che in quella stanza c'eri soltanto tu, riusc a intervenire la solita voce nonostante la mente di Oscar fosse completamente assorbita dal ricordo dell'incidente. Vogliamo cominciare a fare due pi due o preferisci aspettare ancora? Gli aveva parlato, lo aveva pregato di smettere perch qualunque cosa fosse successa adesso era finita, perch adesso c'era l il suo pap e niente e nessuno avrebbe pi potuto spaventarlo, e alla fine la rabbia incontrollata di Elio era sfociata in un pianto isterico con lunghi singhiozzi che gli spezzavano il respiro. Oscar era corso a stringerlo nel suo abbraccio, a rassicurarlo con frasi sussurrate nell'orecchio, con carezze leggere sul suo visino arrossato e febbricitante. Quanto tempo se n'erano rimasti cos? Forse ore, impossibile stabilirlo. E Dio solo sapeva se Oscar non era stato morso ben pi di una volta nelle viscere dal panico di non riuscire a farlo smettere, un terrore paragonabile solo a quello di veder sgorgare copioso il sangue dallo squarcio sulla fronte che ti sei appena procurato con una caduta storica. Non aveva pi voglia di caff. Si era raffreddato. Lo vers nel lavandino, mentre pensava: dev'essere rimasto sveglio, non deve aver chiuso occhio per tutta la notte. E a questo punto, allora, c'era da porsi una consequenziale domanda: quante erano state le notti in bianco di Elio? Perch il suo bambino doveva trascinarsi dietro un vagone di sonno dal peso mostruoso per crollare in quel modo, per addormentarsi di punto in bianco nel bel mezzo di un pianto... Oscar lasci la cucina e si avvicin all'enorme parete in vetro del salone che copriva quasi per intero il lato est della villa. Si scopr a osservare con qualcosa di simile a un fastidioso rapimento gli alberi, l fuori, nel giardino. Si agitavano, ma non una lenta, fluttuante danza nel vento che li animava, il loro sembrava pi il parossistico sforzo di liberarsi da impercettibili catene d'aria. Le folte capigliature dei salici verdi, s'intende, ma in quelle tenebre antelucane i colori di tutte le cose mutano in un'unica sfumatura non ben definita non volevano saperne di cedere, si ribellavano con scudisciate guizzanti dei rami tentacolosi, facevano friggere le foglie sottilissime in un crepitare angoscioso. Il malessere infantile degenerava a una velocit impressionante, medit Oscar, risperimentando per un attimo la voragine di terrore apertasi dietro lo sguardo cieco di Elio, quando non era stato capace di riconoscerlo, o meglio, quando lo aveva scambiato per il suo uomo nero. Perch doveva esserci un uomo nero. Perch ogni reazione scaturisce sempre da un'azione. Due pi due? salt fuori la solita voce. Stavolta Oscar non le rispose. Un minuto di silenzio. Forse pi. Vedo scorrere secondi inesorabili su un quadrante immaginario davanti ai miei occhi, ma sento troppo secco in gola per riuscire a proferire qualsiasi cosa. I corpi... Chiss come se la stanno cavando Ronca e Trimonti, un bel pezzo che non fanno avvertire pi la loro presenza. Probabile che una sorta di buon senso (se non si vuole utilizzare il termine stizza, poco professionale per un tutore delle legge) abbia consigliato loro di attendere (eufemismo di rifugiarsi) in macchina che il capo smetta di tentare di far ragionare il tizio che stato capace di allestire quella macelleria all'aperto. Un tizio con lo squilibrio mentale all'ennesima potenza. E ho idea che Ronca e Trimonti, rispettivamente classe '8l e '86, per la prima volta in vita loro stiano maledicendo questo lavoro. Se per davvero cos fosse, potrei forse dar loro torto? Il solo pensiero di trovarmi l fuori, a essere spiato dagli spaventapasseri... - Ma per quanto mi fossi sforzato tutta la notte e il giorno successivo a ricacciare gi le insinuazioni di quella voce-, riattacca finalmente Oscar, - ero costretto ad accettare l'evidenza-. Mi scruta a lungo con quello sguardo alienato. - Non potevo evitarlo...-. Quel pomeriggio rientr prima dallo studio. Erano le quattro quando il muso della sua Alfa 156 imbocc il vialetto di casa. Scese dalla macchina e fu immediatamente assalito da una folata di vento caldo, dal sapore pastoso. La pluviale cantilen il suo lugubre saluto, e soltanto in quel momento, Oscar ricord di essersi dimenticato di chiamare l'architetto. Scelse la chiave dal mazzo, l'infil nella serratura e apr la porta. La cartellina gli scivol da sotto il braccio, le carte si sparpagliarono sul pavimento. - Teresa ma cosa...non riusc a concludere Oscar. La signora Teresa Collini, la governante, se ne stava in piedi vicino al divano,

dove probabilmente fino a qualche secondo prima sedeva, con gli occhi pieni di lacrime e la faccia di chi abbia passato la peggiore disgrazia che potesse capitargli a questo mondo. - Signor Lombardi-, cominci a piagnucolare Teresa. - Ho provato a telefonarle allo studio, ma lei era gi uscito... OMMADONNA! Non sapevo pi cosa fare...-. Il piagnucolio si trasform in lacrimosa e confusa disperazione. - Ha cominciato all'improvviso... e io non... urlava... urlava!...-. - Teresa!-. - ...di calmarlo... poi si chiuso... e ho cercato...-. - Teresa accidenti!- tuon Oscar. La governante si zitt all'istante. - Si calmi, e cerchi di farmi capire una parola!- Un invisibile terrore gli si stava espandendo nel petto come un velo di cellofan, e microscopici Tommyknockers nella testa stavano manomettendo il suo sistema nervoso, strappando ovunque fili in spruzzi di scintille. - Perdonami... non volevo essere scortese-, si scus. - Dov' Elio?-. Teresa apr la bocca per fare uscire un lungo singulto sospirato, ma niente parole. - Teresa, dov' mio figlio?-. - Di sopra-, rispose la donna in un sussurro che Oscar percep a malapena. Dall'interno della camera non arrivava nessun rumore. - Elio, Elio-, chiam Oscar girando a vuoto la maniglia. La porta era chiusa a chiave. - Sono io, pap...-. - Circa un'ora fa, mentre guardavamo la televisione-, sussurr la governante alle sue spalle, - scattato in piedi dal divano e ha cominciato a strillare. Si premeva i palmi delle mani contro le orecchie e strillava...-. Cap che un Oscar crudele aveva preso il posto di comando nella stanza dei bottoni: Chiudi quella cazzo di bocca prima che ci metta io dentro qualcosa per tapparla una volta e per sempre! - D'accordo, Teresa. Puoi andare adesso-. - Ma...-. - Non ti preoccupare, ci sono qua io adesso. Se dovessi avere bisogno di te ti telefono-. E giuro che ti faccio volare gi per le scale se provi ancora a fiatare. Qualche ora pi tardi, Oscar avrebbe meditato sul fatto che, per la prima volta in tutta la sua esistenza, era stato l l sul punto di cedere alla gratuita pulsione dell'omicidio. Se la signora Collini, dopo il lunghissimo sguardo traboccante di una vasta gamma di sentimenti (tra i quali spiccavano incomprensione, curiosit e disobbedienza) non avesse intuito la minaccia, probabile che Oscar sarebbe stato per davvero capace di qualsiasi cosa. Aspett di sentire la porta che si richiudeva dabbasso, poi ricominci a chiamare suo figlio. Sent lo scatto della serratura. La maniglia ruot lentamente sotto la sua mano. Oscar se ne rimase immobile a cercare di deglutire nella gola indispettita che ricacciava su il bolo di saliva, con gli occhi paralizzati sullo sconosciuto che gli aveva appena spalancato la porta. Fu la camicia (quella che gli aveva spedito da Miami la zia Valentina per il suo ultimo onomastico e che gli era sempre ricaduta troppo larga sulle spalle e sul petto magrissimo), il particolare che gli fece riconoscere Elio in quel nuovo bambino che aveva davanti. Ma non questo il colore della pelle di mio figlio, fu l'obiezione immediata dei suoi pensieri, non lo MAI stato. Infatti, quello solamente lucido per scarpe di colore nero, gli fece notare l'ineffabile vocina. Non vedi laggi cosa c'? Allung lo sguardo oltre la spalla di suo figlio, che adesso gli stava tendendo una mano, e riconobbe il barattolo aperto di CROMALUX ("Brillantezza e nuova vita alle vostre scarpe!") ai piedi del lettino. Oscar si sentiva incapace del pi banale commento, era sicuro che se avesse aperto la bocca ne sarebbero scaturiti solo suoni inarticolati, senza alcun senso. Torn a porre attenzione al viso di Elio, che gli stava sorridendo con debole tristezza. Oscar accett la sua mano: era unta, scivolosa. Rabbrivid. Il messaggio, in enormi lettere lucide e nere e tremolanti, prendeva quasi un'intera parete: GHIBLI STA SPIRANDO DAL SAHARA SILENZIOSO COL SUO CARICO DI MORTI COL SUO SEGUITO DI FADE Oscar lo lesse. Lo lesse e lo rilesse, e lo lesse e lo rilesse ancora, e ancora, cercando di scovare un briciolo di significato in quelle parole e che diamine! Una caccolina di significato doveva pur esserci se suo figlio, dopo essersi combinato come un Raffaello d'oltreoceano in abbigliamento da cantante rap, si era chiuso dentro a doppia mandata per creare quell'opera d'arte, se aveva spostato da solo il pesantissimo mobile di noce per poter arrivare a un'altezza il doppio della sua che si ficcavano dalla fessura sinistra del suo cervello (inserire messaggio, grazie, avvertiva a ogni passaggio di lettura una vocetta metallica) e

sgusciavano da quella destra cos com'erano (impossibile decodificare messaggio, prego, preferisce riprovare o vuole optare direttamente per il due pi due, signore?). Elio se ne stava l vicino a lui a tenergli la mano, a fissarlo in silenzio con quel vago sorriso incollato sulle labbra, anch'esse nere come il resto della faccia. Ti piace il mio lavoretto pap? Sembr chiedergli Raffaellorapper. Se vuoi te ne faccio uno uguale nella tua camera, anzi, pi grande, cos farai morire d'invidia tutti i tuoi amici. Oscar si sentiva la testa leggera, come se fosse una palla gonfiata col gas anzich un teschio contenente materia cerebrale. Fu sul punto di aprire la bocca per rassicurare se stesso sul fatto che quello fosse solo una sottospecie di sogno disorganizzato, quando un refolo di vento fece tintinnare i vetri e la testa di Elio schizz praticamente in direzione della finestra. Lui lo imit. L'orrore che gli riemp gli occhi fu troppo grande. Qualche anno addietro, Oscar aveva regalato a Elio un modellino davvero speciale per la sua collezione: una fedelissima riproduzione in metallo leggero curata fin nei dettagli pi insignificanti come la bullonatura o le alette girevoli sotto le ali dell'F14SX, un aereo di guerra sperimentale dell'aviazione americana che non era mai uscito dal cantiere se non nella scala 1:2000. Ne erano stati prodotti solo ottomila pezzi nel mondo alla modica cifra di trecentocinquanta euro cadauno. Ora l'F-14SX giaceva abbandonato sul pavimento, sottosopra e con un'ala spezzata, come se si fosse schiantato contro una parete dopo aver tentato un ardito giro della morte nel limitatissimo spazio aereo di quella camera, e il suo piedistallo con la piccola base di marmo era stato utilizzato per impalare Camilla. Il pechinese, con la testa ruotata all'indietro di centottanta gradi e gli occhi semiaperti in due fessure spente, era stato messo in mostra sul davanzale della finestra come un macabro trofeo. Il sangue era colato lungo il muro in uno sprizzo ormai rappreso per raccogliersi sul pavimento in un laghetto rosso scuro. - Elio...- aveva alitato Oscar. - Elio... cosa... hai fatto?-. Elio se ne stava accucciato ai piedi del letto a stringersi le ginocchia contro il petto. - La mamma-, rispose con voce tremante, - la mamma...-. Poi scoppi a piangere. - Dov' Elio, adesso?-. Non mi risponde, ma ho come il presentimento che non abbia proprio sentito la domanda, perch questa non una delle sue solite pause: per un attimo mi parso di vedergli scivolare negli occhi un fremito di panico. Fissa la porta alle mie spalle con quell'espressione contratta della maschera nera che ha sul viso, come se all'improvviso fosse diventato di vitale importanza per lui concentrarsi a sviscerare il silenzio che ci marca stretto. - Facemmo un lungo discorso, io ed Elio-, si decide poi a rivolgermi nuovamente la parola, ma non lo sguardo, che sempre puntato nella stessa direzione. - E devo confessarti che ci che mi rivel mio figlio in quell'ultimo pomeriggio, non mi sconvolse... forse sarebbe pi appropriato dire che non mi sorprese. Avevo gi tratto le mie conclusioni, quella vocina alla fine riuscita a farmi il lavaggio del cervello, e io non facevo altro che ripetermi: la pazzia una malattia ereditaria, la pazzia una malattia ereditaria, la pazzia una malattia ereditaria!-. Finalmente capisco il significato di quell'allusione, e per qualche secondo l'occhio della memoria mi risucchia indietro negli anni: la telefonata in caserma e la corsa in macchina, la folla raggruppata in mezzo alla strada, e Rosanna, che se ne andava passeggiando nel centro storico di Castel Candia completamente nuda e con un sorriso raggiante come il sole, a strapparsi i lunghi, sempre curatissimi capelli che masticava sotto lo sguardo annichilito dei passanti. Ed ero stato io in persona a chiamare Oscar per avvisarlo che sua moglie "aveva avuto un improvviso crollo emotivo" (mi ero espresso proprio con questi termini, perch non ce l'avevo fatta a trovare una frase migliore per la scena straziante che avevo sotto gli occhi: Precipitati in caserma, Oscar, perch tua moglie sta sbavando in una maniera che non reputeresti possibile nel tuo peggior pensiero contro un paio di poliziotti che la immobilizzano per non permetterle di mangiarsi i suoi invidiatissimi capelli). Ed era toccato sempre a me, una mattina di cinque mesi pi tardi, il compito di portargli la notizia che durante la notte Rosanna si era impiccata nella casa di cura dove era stata rinchiusa. - Oscar, dov' tuo figlio?-. Stavolta Oscar non tenta di raggirare la domanda. - l fuori, amico mio-, mi risponde, e la sua voce mi raggruma il sangue nel cervello. - Insieme a Teresa. Insieme a tutti gli altri-. - Cosa... Oscar... mi stai dicendo che tu...-. - No, no!-. Fa una smorfia con tutta la faccia. - Non sono stato io, con quale coraggio avrei potuto uccidere il mio bambino?-. - E tutti gli altri?-. - Ho dovuto farlo! Loro... loro volevano anche me, e credimi, Davide, non c'era altro modo...-.

Un'altra occhiata circospetta alla porta, e stavolta sono sicuro di non sbagliarmi. Oscar ha paura, inconfutabili cerchi di panico segnano i suoi sguardi. Forse Ronca e Trimonti si stanno preparando ad agire, e lui ha inteso un rumore, magari un'asse lamentosa del portico. Non posso guardare l'orologio perch significherebbe dare una conferma ai suoi sospetti, ma ormai l'ora che mi sono concesso dovrebbe essere agli sgoccioli. - Elio mi disse che si rendeva conto della terribile cosa che aveva fatto, lui voleva bene a Camilla, ma la mamma stava arrivando, e quello, era l'unico modo per tenerla lontana-. Il tono della sua voce incalzante. - Mi spieg del lucido da scarpe, che se lo avevi addosso non potevano avvicinarsi, e soprattutto, non potevano morderti, perch l'odore...-. - Chi, Oscar?- urlo, esasperato. - DI CHI STAI PARLANDO?-. - Le Fade. Arrivano con il ghibli, il vento del sud che spira in autunno e in primavera dal Sahara. Non so spiegarti in realt chi siano, n perch abbiano questo nome, n come facesse Elio a conoscere tutto ci, ma... le ho viste, Davide, le ho viste!-. Sta delirando! Mi urla dentro una voce, e io non posso far altro che appoggiarla. - Quando?- gli chiedo. Non so neppure perch continuo a reggere il gioco della sua pazzia (che Oscar, l'uomo che fin dall'infanzia era stato il mio miglior amico fosse impazzito, era indubbio. Dopotutto non c'era bisogno di venire dentro a incontrarlo per rendersene conto, bastava semplicemente avvicinarsi a casa sua e ti sarebbero passate per la testa considerazioni molto molto peggiori che l'uomo che abita l dentro dev'essere impazzito). Forse perch ha voluto che fossi io l'ultima persona con cui molto probabilmente avrebbe parlato, e io rispetto la sua fiducia, la sua amicizia, fin nel delirio? - Quella notte stessa, in camera di Elio-. Nelle sue parole s'impastano sofferenza e panico e rassegnazione. - Erano piegate sopra il mio bambino a NUTRIRSI DEL SUO CERVELLO, perch questo quello che fanno, sono vampiri che si nutrono di cervello! E anche Rosanna...-. Gesticola qualcosa con le labbra, come se non riuscisse pi ad articolare suoni. - I suoi occhi erano completamente neri, Davide, grandi, lucidi, spalancati su di me, e il suo corpo sembrava essersi ristretto, rattrappito, ingobbito. Solo le braccia erano mostruosamente lunghe...-. - Quella creatura non mia moglie, ripetevo a me stesso guardando quell'essere dal ghigno di lunghi denti arcuati. QUELLA CREATURA NON MIA MOGLIE QUELLA CREATURA NON MIA MOGLIE QUELLA CREATURA NON MIA MOGLIE QUELLA CREAT...-. Si blocca di colpo. Il cuore mi batte cos forte nelle orecchie da non permettermi quasi di udire quello che sembra l'ansito di una donna che soffre di un tormento allucinante. Mi riesce impossibile immaginare che sia soltanto il lamento del vento in una pluviale. Oscar scatta in piedi. - SONO QUI! SONO TORNATE!- urla. In uno scatto felino sopra di me, le sue mani si chiudono intorno al mio collo... ma non stringono. - Non devi ascoltarle!-. La botta violenta della porta che si spalanca. - NON ASCOLTARE LE LORO VOCI, DAVIDE, NON ASCOLTARE...-. Il mio nome si spegne nell'eco degli spari. E ancora una volta, in un'ennesima notte, Davide si sveglia. Apre gli occhi e ascolta. Ascolta. Si ritrova a pensare che ci sono storie che non dovrebbero essere raccontate, storie che ti cambiano dentro. Davide ascolta, quasi in attesa di un segnale nel buio, e non pu pi pensare al vento che spira, che stuzzica le foglie degli alberi, che ti vezzeggia i capelli e ti consuma la saliva sulle labbra, ma al vento che striscia sui tetti delle case, si arrampica sui muri per raggiungere una finestra, e ti osserva, un occhio come un orifizio cavernoso senza iride. E non pu smettere di ritrovarsi davanti i volti deturpati, i corpi mutilati, le teste sfondate e imbottite di paglia dei dodici spaventapasseri umani che, come sentinelle silenziose, accerchiavano la casa di Oscar. Davide chiude gli occhi, cercando di riprendere sonno, ma il vento ormai l fuori e non se ne andr per il momento. Sempre pi spesso, quando lo sente agognare sotto le grondaie, gli capita di ripensare a sua moglie, morta di parto nell'autunno del lontano sessantacinque. Ascolta. Un cachinno segreto dei vetri, quasi un unghiare fatuo alla finestra. Allunga una mano da sotto le coperte e afferra il tubetto di lucido per scarpe sopra il comodino. Non si dovrebbe credere a certe storie, riflette. Ma non ci sono fantocci di carne a sorvegliare il suo riposo.

LA PASSIONE DEL SANGUE Calia Claudio La passione del sangue - 2009


Not him. He flinched when he pulled the trigger. He was sick and guilty over what he did. All he wanted was money. I was nave enough to think him the lowest sort of man. These, these are his children. A purer breed... and this world is theirs. Non lui, lui ha tremato quando ha premuto il grilletto. Stava male e si sentiva colpevole per quello che aveva fatto. Voleva solo il denaro. Ero abbastanza ingenuo da crederlo la razza pi spregevole dell'umanit. Questi sono i suoi figli, una razza pi pura... e il mondo loro. (da The Dark Knight Returns di Frank Miller DC Comics Inc., 1986) Premetto che la mia conoscenza con l'autore delle lettere che di qui a poco leggerete risale agli anni della mia adolescenza, dunque pressappoco attorno al 1991, 1992 al massimo. Ci incontrammo per caso una sera in una vecchia osteria nel centro di Treviso, e socializzammo come solo agli ubriachi permesso. La discussione prosegu per tutta la notte e dato che il mio simpatico interlocutore era solo di passaggio in citt, gli lasciai il mio recapito per ogni evenienza. Non riporter qui la natura dei discorsi di quella serata, ma basti sapere che non accenn minimamente ai suoi progetti, n mi diede a intendere con che razza di pazzo stessi parlando. Anzi, si presentava come una persona molto colta, tormentata da un dissidio interiore che mai avrei immaginato sarebbe sfociato in ci che, mesi dopo, inizi a raccontarmi nelle sue missive. L'editore, mio amico di vecchia data, sbirciando un giorno tra i miei scritti scorse una delle lettere e da quel momento ha cominciato a premere affinch gli concedessi di pubblicarle. Trovatomi in una non rosea situazione economica, ho deciso sotto lauto compenso di cedere i diritti dei carteggi, a patto che fosse garantito l'anonimato a entrambi e che mi fosse permesso di scrivere questa breve introduzione. Pregandovi di non soffermarvi troppo nel giudicare, vi invito alla lettura delle seguenti missive, certo che sapranno offrirvi una chiara visione delle cause che hanno portato un giovane ad alienarsi dal nostro mondo al punto da non attribuire pi alcun senso alla vita. 29/12/1994 Caro XXXX, spero vivamente che tu mi riconosca, dopo cos tanto tempo. Ci siamo conosciuti una sera di due anni fa, in un'osteria della tua citt. Abbiamo trascorso quella notte a bere vino e a chiacchierare del pi e del meno, aprendoci man mano che passavano le ore a confidenze sempre pi... intime. A proposito, spero che tu abbia finalmente trovato il coraggio di lasciare quella donna che cos tanto ti faceva soffrire [ora mia moglie, ndr]. Ti scrivo con un obiettivo ben preciso: renderti testimone della trasformazione pi sconvolgente dell'umanit, se tutto andr come da programma. Vagheggiavo l'idea gi quando ci siamo conosciuti, ma solo da alcuni mesi ho iniziato ad attuare il mio piano. Ma andiamo con ordine. Come certamente saprai, la societ non offre molte possibilit di realizzazione a giovani come noi, se non devolvere la propria esistenza al motto produci consuma crepa. Trovandomi per forza di cose a dover decidere del mio futuro, ben presto mi resi conto che poco rimaneva se non il quotidiano trascinarsi nell'esistenza, lavorando il giusto per mantenersi in vita. Bastarono pochi mesi che gi questa rassegnata condizione mi repelleva. Alla luce di questa rivelazione presi la pi importante decisione del mio destino. Con tutte le mie forze mi sarei impegnato a diventare un essere ai margini della societ, o meglio trasversale a essa. Una forza della natura: mai pi mi sarei dovuto preoccupare di cose terrene come la normale economia di sopravvivenza. Decisi che sarei diventato un vampiro. Di quelli veri, che succhiano il sangue e tutto il resto. So che a questo punto la lettera ti parr il delirio di un pazzo, ma ti invito alla riflessione. Non forse questo l'insegnamento che la societ vuole imporci? La supremazia sugli altri non forse il fine ultimo della nostra educazione? Perch non spostare tutto questo da un'ottica prettamente economica quale ora, a una primigenia di supremazia totale quale solo quella fisica pu essere? A questo punto ti chiederai perch proprio un vampiro, e non un lupo mannaro, un maniaco omicida o chiss cos'altro. E io ti rispondo: perch no? Certo avrei potuto

scegliere di diventare tutto ci che ho detto e molto altro ancora, ma la figura del vampiro, oltre a essere di per s affascinante, corrisponde in pieno a quella di un qualsiasi imprenditorotto del nostro produttivo Nordest. Una persona che coscientemente decide di ergersi, in nome di un qualche presunto potere, economico nel caso dell'imprenditore e che decide di succhiare la vita a qualche povero lavoratore. Io sono pi onesto e se concedi, meno razzista. Bianchi neri uomini o donne, occupati o no, il sangue sangue. Sono l'estremizzazione del capitalismo moderno, c' chi prosciuga la vita della gente col superlavoro, io mi limito a succhiarne il sangue. Tutto sommato dura meno e se ci pensi anche meno doloroso. Insomma, quella del vampiro l'unica figura che, cosciente, agisce come una persona di norma accettata dalla societ. Diventare un pazzo soggetto a raptus omicidi non sarebbe stata la stessa cosa. Comunque il punto : come diventarlo? E qui esistono due teorie. La prima, impostaci dai media di cui sopra, vuole che sia necessario il morso di un altro vampiro, ma la ritengo una fregnaccia. La mia teoria che semplicemente, pian piano, si debba abituare il nostro organismo a consumare nient'altro che sangue. Per gradi, si capisce, dapprima associandolo ad altre cibarie, fino alla totale assuefazione. Il panico per la luce e amenit varie sono convinto sopraggiungano a causa di svariate carenze proteiche. Condizioni sopportabili. Tutto sopportabile piuttosto che lavorare perpetuando lo stato di cose presente. Per ora ho iniziato a nutrirmi saltuariamente del nettare di piccole creature quali cani e gatti randagi, piccioni, topi come pure ironia della sorte di un piccolo pipistrello. Ma ora, ed per questo che ti scrivo, mi sento finalmente pronto alla mia prima vittima umana. Avevo bisogno di condividere questa frenetica emozione con qualcuno, e ho scelto te perch... beh perch mi stavi simpatico e mi dispiaciuto non aver potuto approfondire la conoscenza. E perch, qualora qualcosa andasse male, gradirei che qualcuno mi ricordasse per quello che in tutta lucidit ho fatto della mia vita, giusto o sbagliato che sia. Aspettati dunque altre missive, la prossima delle quali sar senz'altro, te lo assicuro gi con l'acquolina in bocca, la dettagliata cronaca del mio vero primo pasto. Nel frattempo ti saluto, caro XXXX. tuo, YYYY Onestamente non sapevo come comportarmi. La busta indicava che la lettera era stata spedita da Preganziol, un paese vicino a Treviso, ma non recava comunque alcun mittente. Avevo anche pensato di consegnarla alla polizia, ma temevo che sarei stato solo messo in ridicolo. Per cui mi limitai ad aspettare la missiva seguente. Arriv due mesi pi tardi... 13/02/1995 Caro XXXX, ti scrivo con un po' di ritardo perch per alcune settimane sono stato costretto a ritardare i miei progetti. Alcuni vicini si sono accorti che continuavo a portare animali nella mia abitazione e, sai, iniziavano a mormorare un po' troppo, cos per qualche tempo ho dovuto limitare la mia dieta a insetti e topolini che entravano nel mio appartamento dal giardino a esso antistante. Come avrai capito queste lettere non le invio dal luogo dove abito ma da localit di passaggio, per renderti impossibile individuarmi. Confidando nella tua intelligenza non mi dilungher sui perch di questo modus operandi: ti riferisco invece con assoluta gioia che finalmente s, ho mietuto la prima vittima. Niente di epico, una cosa facile per abituarmi all'idea. Ho scoperto che uccidere non molto differente da una qualunque attivit agonistica. C' un obiettivo da raggiungere, se ci riesci hai vinto e sei soddisfatto se no perdi e torni a casa con la coda tra le gambe. cos per tutto ormai. Comunque l'appagamento in flusso di adrenalina e, non dimentichiamolo, in nutrimento, estasiante. Ho succhiato il sangue alla mia vicina, quella che aveva messo in giro certe voci sul mio conto. Una placida vecchietta, sui settanta. Mi sono introdotto in casa sua chiedendole del sale, e ho chiuso la porta alle mie spalle. Lei mi parlava, ipocrita, pensando ignorassi le sue maldicenze. Fu un attimo. L'afferrai per il mento, sbattendola pi volte contro la mensola della cucina, fino a che pezzi del suo cervello non presero a colarmi lungo i polsi. Poi succhiando direttamente dalla testa, mi cibai. Ti giuro, mai ne avevo avuto a disposizione cos tanto. Bevvi fin quasi a scoppiare. Avanzava ancora molto liquido. Provai anche a cibarmi del cervello, usando la calotta cranica come un'improvvisata ciotola, ma ho scoperto che l'antropofagia non poi cos affascinante. Che fare di tutto quel sangue avanzato che di l a poche ore sarebbe diventato inutilizzabile? Le aprii l'addome con un coltello da cucina e riversai sul suo vecchio letto a baldacchino tutto il liquido in esso contenuto, facendo attenzione a escludere tutti gli organi. Provai cos per la prima volta l'ebbrezza di dormire su un letto pregno di rosso liquido. All'incirca quello che tu potresti provare nel dormire circondato dai cibi che pi preferisci, moltiplicato per un milione di volte. Le tagliai anche un braccio, usandone la

spalla e l'epifisi dell'omero come improvvisato biberon. Fu bellissimo. Non esiste donna al mondo che possa farmi provare un piacere pi acuto di quello che godetti quella sera, trastullandomi per ben sei volte prima di riuscire ad addormentarmi. Sperma e sangue: nessun connubio mi eccita di pi al mondo. Comunque, un paio di settimane dopo, fui costretto a trasferirmi. Nessun pericolo reale di essere scoperto, per carit, ma l'intensificarsi delle voci iniziava a stringere un po' troppo attorno a me il cerchio. Nessuna prova, ma ormai sul pianerottolo si respirava una brutta aria, e io dovevo rispondere a un nuovo desiderio nato quella notte. Dovevo assolutamente riuscire a scopare su un letto pregno di sangue. Niente a che fare con la fame, solo una voglia passeggera da soddisfare. Alterno ancora nella mia dieta animali randagi a insetti di varia misura, per non dare nell'occhio. Ma ora che ho scoperto la leggera ebbrezza dell'uccidere, non perder l'abitudine. Entro l'anno voglio realizzare il mio sogno e diventare un vampiro a tutti gli effetti. Ti sapr dire dei miei progressi. Saluti YYYY. Questa lettera mi stata spedita da Paese, sempre una cittadina vicina a Treviso. Era ovvio che mi abitasse abbastanza vicino, ma sui giornali locali non ebbi l'impressione di riconoscere alcun delitto simile a quello descritto nella missiva. Inizi a farsi strada in me l'idea che si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto. Ma perch proprio io? Purtroppo con la lettera successiva scoprii che non scherzava affatto. Il delitto di cui leggerete di qui a poco era troppo simile, nella sua perversa struttura, a quello che nella cronaca cittadina era stato etichettato come un rito satanico, imputato a una delle svariate sette della zona. Tuttavia ancora non chiamai la polizia. Lo confesso, mi ero affezionato ai morbosi racconti di questo mio viscerale ma in fondo onesto "amico". 09/03/1995 Caro XXXX, ti scrivo nuovamente per descriverti i progressi della mia lenta trasformazione. Avrai senz'altro letto di me, pur non sapendo che di me si trattasse, sui giornali locali. Ho difatti appreso di recente e a mie spese che d'ora in poi, se vorr continuare a perseguire il mio sogno di diventare un vampiro, dovr sempre girare armato. Non c' pi rispetto per nessuno! Ti racconto. Ti avevo gi espresso lo scorso mese il mio desiderio di scopare su un letto insanguinato. Comprenderai le difficolt del caso: se gi di per s difficile trovare una donna desiderosa di giacermi accanto, figurati poi cercare di sedurla su un materasso grondante amabile rosso. Per forza di cose sarei stato costretto a commettere uno stupro. E non uno stupro qualunque, oh no! Per coronare il mio sogno libidinoso, non avrei certo potuto fottermi un'innocente vecchietta come la mia prima vittima, o una spastica! No... doveva essere bella... non volevo sprecare la mia occasione con una brutta scopata... tutto doveva essere perfetto. Dunque, la mattina del giorno prescelto, aspettai fremente l'arrivo della donna delle scale. Con la scusa di un caff, la introdussi in casa mia (nella mia nuova casa...). Il tempo di darmi le spalle e gi le mie mani erano serrate sul suo collo, se non che le scapp un urlo. Fui allora costretto a infilarle un pugno in bocca, mentre con l'altra mano le serravo la gola. Evidentemente mi sono lasciato un po' trasportare, perch dopo un paio di minuti mi accorsi che le dita delle mie mani si erano incontrate attraverso il collo della signora. Non ti dico lo spreco sul pavimento! Trascinai immediatamente il cadavere in camera da letto e l lo svuotai sulle lenzuola. Ora, in meno di dodici ore, dovevo trovare e trascinare in camera mia la donna pi bella che avessi incontrato quel giorno. Uscii di casa. Un tiepido venticello primaverile accarezzava il mio volto pallido e davanti a me stava la citt. La luce iniziava a infastidirmi gli occhi, e il calore del sole sembrava riscaldarmi eccessivamente la pelle. La trasformazione vicina ormai. Iniziai a camminare per le strade scrutando ogni donna che mi passava accanto, immaginandomi in sua compagnia in chiss quali posizioni erotiche. Visioni di meravigliosi sessantanove dove lei succhia sperma e io sangue. Ma nessuna incontrava i miei gusti. Troppo grosse, troppo magre, culo basso, labbra sottili... Sembrava che in tutta la citt nessuna rispondesse ai miei requisiti. Il cazzo mi intralciava il passo, gonfio com'era. A mezzogiorno ero talmente eccitato che dovetti sfruttare il cesso di un bar per masturbarmi. Trascorsi la giornata cos, camminando sotto un sole troppo caldo e luminoso. Finch anche il sole mi abbandon, come le speranze. Mi avviai verso casa, solo, sconsolato. Stavo infilando la chiave nella serratura del portone, quando mi si affianc. Era la figlia sedicenne del colonnello dei carabinieri dell'appartamento sottostante al mio. Non si poteva definire bella: un po' sovrappeso, capelli lunghi fino al culo, una simpatica facciottina dolce. Simpatica, nulla pi. Certo, me lo sarei dovuto immaginare che rapire la figlia di un colonnello non l'ideale per chi ha deciso di rimanere nell'ombra... ma devi capire che era tutto il sacrosanto giorno che cercavo materiale scopabile. Devi capire che i miei pantaloni erano ormai logori, l, dove per tante ore consecutive come frassino il mio membro era stato di

vedetta. La invitai sfacciato a bere un t a casa mia. Rifiut scusandosi, era tardi e il padre probabilmente era gi incazzato. Entrammo in ascensore, e fulmineo le tappai la bocca, sbattendole la testa contro una parete. Svenne. La trascinai nell'appartamento. La signora Bortoluzzi, sia dannata l'anima sua, stava innaffiando sul pianerottolo i suoi merdosi fiori proprio in quel momento. Le dissi che la ragazza si era sentita male in ascensore e che la portavo in casa mia da dove avrei chiamato la famiglia. So che tutto suona molto illogico, che nessuno mi avrebbe mai creduto, ma confidavo nell'arteriosclerosi della decrepita vicina. Entrai in casa come un bambino che batte finalmente tana dopo un'estenuante partita a nascondino. Adagiai la ragazzina sul letto ancora pregno di nettare e le incerottai la bocca con cura. Con altrettanta cura la spogliai, nel mentre che rinveniva. Probabilmente non apprezz lo shock di trovarsi nuda e imbavagliata sul letto di uno sconosciuto, letto tra l'altro madido di sangue. Inizi ad agitarsi e graffiare, al punto che mi costrinse a malmenarla un po', giusto per farle capire chi comandava. Si tranquillizz: sul serio, pensavo che si fosse realmente rassegnata all'idea di una scopata imprevista. La penetrai. In principio fui molto dolce, tanto che mi sembr che lei stessa mi accompagnasse nei movimenti; poi presi un ritmo sempre pi veloce, pi veloce pi veloce... Sempre pi duramente sbattevo, in un delirio mistico, desideroso di versare il mio seme su quel letto, su tutto quel sangue pronto ad accogliermi, mentre lei cercava di urlare soffocata dal nastro da pacchi. Venni una prima volta. Lei piangeva sommessamente, e come un cucciolo mi guardava con gli occhi colmi di lacrime... Suon il campanello. Assestai un paio di ceffoni sul grugno della mocciosa, tanto per renderle chiaro il concetto di cosa le sarebbe accaduto se si fosse mossa. Andai ad aprire. Era il padre carabiniere con tanto di divisa dell'arma tirata a lucido. - La signora Bortoluzzi mi ha informato che quella troietta di mia figlia si fermata da lei, stasera... Vorrei parlarle-. Credo di essere arrossito come mai in vita, la situazione era davvero imbarazzante... vedi, io non ero propriamente "vestito", e quel fottuto del mio cazzo proprio non si sognava di adagiarsi tranquillo tra lo sperma che mi ruscellava tra le gambe. - G... Guardi che si sbaglia, sua figlia io non l'ho proprio vista-, dissi balbettando, cercando di chiudere la porta. Ma il caro rappresentante della legge non smetteva di tenere la mano sull'uscio... Io non volevo schiacciargli le dita, ma mi costrinse a farlo... Insomma url. Comprensibile: anch'io avevo sentito il secco crocchiare del suo mignolo. Con un calcio mi fece volare addosso la porta. - Mi ha rotto un dito! Io la denuncio!-. Stavo quasi per accettare l'invito pur di uscire da quella situazione, quando... lei apparve dalla porta della camera, sporca di sangue in volto e con un rivolo di sperma che le colava dal pube. Sarei curioso ora di sapere quale dei suddetti particolari fece perdere la testa al prode padre. Estrasse la pistola, e come se nulla fosse, zitto zitto inizi a spararmi contro. Io mi gettai dietro il divano, solo per imparare che i divani non sono affatto una buona protezione. Un proiettile mi colp di striscio alla spalla. Mi alzai in piedi. Davanti a me si ergeva l'eroe del momento: il padre virile mi teneva sotto tiro, mentre con la mano libera sorreggeva la figlia in lacrime. Nel silenzio prolungato di quell'attimo il sangue colava copioso dalla mia spalla ferita, gi lungo tutto il braccio, andando a gocciolare ritmico sul pavimento. Il mio sguardo si spostava dal sangue alla splendida coppietta innanzi a me, per poi far ritorno al rosso amabile che m'abbandonava stillando. Incurante delle conseguenze, emisi un pauroso ruggito gettandomi, simile a una fiera, sui responsabili di tanto spreco. Ma non sort effetto alcuno. Il ligio carabiniere agit semplicemente il braccio gi teso, colpendomi con la canna della pistola dritto sul muso, scalzandomi dalla bocca un paio di denti. Rovinai sul pavimento, continuando a perdere sangue. Davanti a me la finestra, che si ergeva come unica soluzione a quella brutta situazione. Mentre la ragazza si apprestava a impugnare la cornetta del mio telefono su ordine del paparino, mi precipitai nel vuoto dei tre piani che mi separavano dal suolo. Non sto qui a raccontarti l'esperienza della caduta: ti basti pensare che a confronto l'atterraggio mi parve un sollievo. Ignorando il dolore presi a correre, senza voltarmi. Trovai riparo in una discarica, dopo aver attraversato la citt in preda a lancinanti dolori. La sera successiva, dopo aver dormito per circa una ventina di ore consecutive, rubai una macchina in cui trovai fortuitamente qualche vestito e mi diressi a Verona. L mi recai al Pronto Soccorso, cavandomela con una fasciatura rigida al braccio e un gesso alla gamba destra. Presi a vivere come un fuggiasco, senza dimora n conoscenti, tranne te, mio caro confessore. Finalmente vivo ai margini della societ. Posso finalmente dire che s, io sono un vampiro. Ti saluto, alla prossima, tuo YYYY. I giornali titolavano effettivamente di un maresciallo, non colonnello, dei carabinieri che aveva salvato la figlia da un tentativo di stupro. "Tentativo" dicevano. L'episodio si era svolto a Postioma, altro paese del trevigiano. Nei giorni successivi trovai anche notizia di un'auto rubata a Signoressa, paese limitrofo al suddetto. Del colpevole, ovviamente, non c'era traccia. 27/03/1995

Caro XXXX, questa che mi appresto a scrivere sar probabilmente l'ultima missiva che ti invier. Sei rimasto l'unico legame tra me e l'umanit che cos tanto disprezzo: il mio timore che tu possa raccogliere indizi sufficienti a rintracciarmi. E questo non lo posso permettere. Ho iniziato ora a macchiarmi di una serie di delitti cos truculenti da diventare oggetto di ridicole campagne della stampa. Pensa addirittura che tutta una serie di pazzi si costituita alla polizia accaparrandosi il merito delle mie imprese! Alla faccia del rispetto... Proseguendo ci che ti dicevo solo poche settimane fa, ora finalmente possiedo una pistola. L'ho sottratta a un giovane delinquentello che nottetempo ho sorpreso a sparare gioioso ai treni in passaggio, altro mio collega sulle prime pagine dei giornali. L'incontrarlo mi ha ridato estrema fiducia nel genere umano! Un altro che come me ha deciso di eliminare senza alcuna ragione apparente un mucchio di gente scelta unicamente dal caso. Niente sporchi secondi fini, nessuna assoggettazione al pensiero unico del mercato... Uccidere per uccidere perch uccidere bello e riempie di soddisfazione... Checch ne dicano psicologi ed esperti di costume. Questo incontro mi ha messo di fronte ai limiti del mio progetto iniziale. Il mio obiettivo, diventare un vampiro, nutrirmi unicamente di sangue umano, era ormai obsoleto. Ma purtroppo sono ormai assuefatto a tale sostanza, il mio stomaco non tollererebbe pi del normale cibo. Il mio corpo ora pervaso da un costante pallore e rifiuta la luce. Capisci quali limiti ci comporta per quella che diventata la mia unica passione, l'uccidere? Non posso ammazzare di giorno, n posso rifiutarmi di cibarmi del rosso delle mie vittime... non posso dunque compiere gesta davvero violente... Non posso per esempio, gettare sassi dai cavalcavia delle autostrade, o meglio posso ma difficilmente potrei poi nutrirmi delle mie vittime... E la fame cos grande. Ho sbagliato, gi, ho sbagliato anch'io, nel tentativo patetico di giustificare la mia passione per l'omicidio con la necessit del cibo, asservendo ancora il desiderio di morte a un fine strettamente personale, quasi fossi un imprenditore il cui capitale il sangue delle vittime (e non forse realmente cos?). E ora, che finalmente riesco a comprendere e a trascendere da tutti i legami materialistici, mi ritrovo alla stregua di un comune tossicodipendente. Ho inavvertitamente e fin troppo ingenuamente soppresso il mio libero arbitrio. Ora uccidere una necessit, mi serve per arrivare alla notte successiva, e cos via per l'eternit. Come un qualsiasi operaio senza possibilit di pensionamento. Ho, nel tentativo di pormi al di sopra del concetto di vita morte produzione, tralasciato il lato ludico della morte. Mi sono venduto anch'io, e dove c' chi si vende per miliardi, io l'ho fatto solo per qualche stilla di sangue. Non posso pi uccidere con la stessa allegria dei primi tempi. Ho fallito. Nuove generazioni che hanno compreso appieno i miei errori prima di iniziare a commetterli seguiranno. Spero di esserci ancora, nel nuovo mondo che verr. Addio, tuo YYYY. Questa l'ultima missiva che ho ricevuto. Ogni tanto leggo i giornali e mi pare di riconoscere, in alcuni degli efferati delitti che sempre pi spesso vengono commessi, un modus operandi che mi ricorda il mio ex "amico". Mi sorprendo sempre a rimuginarci, la notte quando mia moglie mi affianco, dandomi le spalle girata verso una finestra che, tutto sommato, solo una via di fuga come un'altra da un matrimonio infelice. A sentire la cronaca il mondo che YYYY immaginava e sperava, non poi cos lontano dal realizzarsi. Ovviamente spero che non accada, ma i fatti demoliscono le mie illusioni giorno dopo giorno. Il - ...nuovo mondo che verr- qui, alle porte. Bussa insistente ma sembriamo non sentire.

OLIM LACUS COLUERAM Cappi Andrea Carlo Olim lacus colueram - 2009+
Olim lacus colueram olim pulcher extiteram dum cignus ego fueram. Miser, miser, modo niger et ustus fortiter. (Carmina Burana) La notte calda e umida. Si sta preparando un temporale. Del resto, le previsioni per il week-end non sono favorevoli, ma non mi importa. Non ho deciso di passare il fine settimana nella casa al lago per prendere il sole o per fare i bagni, tanto pi che mi sono sempre tenuto alla larga da queste acque nerastre in cui le alghe si muovono lentamente, come tentacoli pronti a catturarti e a trascinarti di sotto. Se ho lasciato la citt, piuttosto per stare alla larga dai soliti impegni coi soliti amici, dai soliti - ci vediamo alle sette e mezza per l'aperitivo-. Fanculo. Ne ho gi abbastanza durante le settimana, di impegni, per dover rispettare orari e appuntamenti anche al sabato e alla domenica. Cos ho preso l'Audi e sono venuto su al lago, fermandomi a mangiare un panino in un posto di cui neanche ho memorizzato il nome, tanto per dare a me stesso una sensazione di smarrimento, di... come dire? Di trovarmi fuori dai soliti posti, dalle solite convenzioni, dall'obbligo quotidiano di sapere sempre quello che hai fatto e quello che stai per fare senn i colleghi ti fottono e i capi s'incazzano. Fanculo anche a loro. Ho spento il telefonino e penso con malefica soddisfazione alla solita risposta preregistrata della Telecom che si saranno beccate un paio di tipe, cercando di telefonarmi: IL CLIENTE DA LEI CHIAMATO NON AL MOMENTO RAGGIUNGIBILE. Esatto. Fuori dal mondo, in questa casa in cui vengo troppo di rado, malgrado sia quella in cui trascorrevo le vacanze estive coi nonni, quando ero piccolo. Ora mia. La mia casa sul lago. All'esterno fa caldo, ma dentro si sta meglio. Le pareti hanno trattenuto il fresco dell'ultima volta che sono stato qui, a Pasqua, mi pare. O era il 25 Aprile? C'era il sole, quello s, mentre l'estate di quest'anno sembra promettere solo acqua. Guardo dalla porta finestra. Il lago una liscia distesa nera. Uno specchio di ardesia. Poche luci lontane, lungo la riva, si riflettono sulla superficie. uno spettacolo molto bello, ma sono stanco e tiro gi la tapparella. Ho sonno, vado subito a dormire. Fa quasi freddo, a pensarci bene, e io non ho portato neanche il pigiama. Dormo coi boxer, e basta. Potrei aprire le finestre, ma scommetto che l fuori ci sono legioni di zanzare che aspettano soltanto una mia mossa sbagliata. Fanculo anche a loro. Tengo le finestre chiuse, mi ficco sotto la coperta e non sento pi freddo. Mentre mi sto per addormentare ripenso alla tipa che ho visto al bar, mentre stavo mangiando il panino. Capelli neri, abbronzata, vestito scollato che lascia vedere un bel paio di tette compresse dal Wonderbra. Niente male. Io ci ho provato, avevo la sensazione che ci sarebbe stata. Ma poi ha detto che aveva la sua macchina, che doveva andare, e tanti saluti. Mi ha lasciato con la voglia, la stronza. Mi assopisco. Un rumore mi sveglia. Finestre chiuse che scricchiolano al vento, tapparelle che sbatacchiano nelle loro guide. Dev'essere il temporale che si avvicina. Se va avanti cos, il week-end sar una vera goduria. Fanculo. Mi sto riaddormentando quando sento un altro rumore, qualcosa di grosso e pesante che cade. Resto come paralizzato, nel silenzio irreale della casa, ad aspettare il prossimo rumore. Che sia entrato qualcuno? Una serie di pensieri comincia a girarmi freneticamente per la testa. Dopotutto una casa isolata, in cui non viene nessuno per giorni e giorni. Sarebbe il posto ideale come nascondiglio. Per chiunque. Certo, la porta era chiusa e non portava segni di scasso, ma ci vuol poco per entrare: basta sfilare le chiavi dalla borsetta della donna che viene a fare le pulizie e rimettergliele dentro dopo aver preso il calco. Quella cos scema che non si accorgerebbe di niente. Potrebbe riuscirci chiunque.

Il rumore non arriva. In casa non c' nessuno. Certo che non c' nessuno. Mi accorgo che sono madido di sudore. Che imbecille. Sar venuto da fuori, il rumore. Ma da dove? Dal terrazzino, dove appoggiati in un angolo ci sono le pagaie della barchetta a remi. Quello il loro posto, fin dai tempi di mio nonno. Col vento possono essere cadute. Mi pare ovvio. Devo cercare di addormentarmi. Fuori si sta scatenando un temporale. Tuoni, pioggia scrosciante. Vento. A pensarci bene, al terrazzino ci si arriva facilmente, arrampicandosi lungo il muretto. Lo facevo sempre quando ero piccolo. Poi basta scavalcare il parapetto. Non difficile. Per questo ho fatto mettere i fermi alle tapparelle della portafinestra. Quando sono arrivato li ho sganciati per aprire e guardare fuori, poi non li ho rimessi. Ho capito, mi alzo. Vado alla portafinestra, la apro, metto i fermi alla tapparella. Fa freddo e mi si gela addosso il sudore, come tanti piccoli ghiaccioli. Vado in bagno, mi lavo e mi asciugo. Ora mi sento meglio. Mi guardo allo specchio. Non sto male, coi boxer: la palestra sta dando i suoi frutti. Vorrei che fosse qui la tipa del bar di prima, le farei vedere io. Ha perso un'occasione. E s che le ho anche dato un'altra possibilit. Le ho detto dove sto. La strada non difficile da seguire e la casa si riconosce facilmente. l'unica. Non si pu sbagliare: c' l'Audi parcheggiata davanti. Ma tardi e dubito che abbia deciso di raggiungermi per passare la notte con me. Torno a letto. Fuori sta ancora diluviando e il vento continua a fare baccano con le tapparelle, le finestre, la porta. Cerco di riaddormentarmi e il pensiero torna di nuovo alla tipa. Eppure sembrava proprio che avesse voglia di prenderlo. Molto strano. Si lasciata abbordare, mi ha fatto credere che ci stava e poi mi ha dato picche. Ma non subito, mi ha fatto parlare. Si fatta raccontare chi sono, dove sto, cosa faccio. Io forse ho un po' esagerato nel darmi importanza, ma l'immagine dell'uomo con soldi e successo funziona sempre, in questi casi. Ha visto il telefonino che sbucava dalla tasca. Ha visto l'Audi parcheggiata fuori. Si sar convinta che sono ricco. Oh, cazzo. Ma quella mi ha fatto parlare apposta. Mi ha fatto dire dov' la mia casa sul lago e io le ho detto che grande, isolata. Penser chiss cosa: che c' una cassaforte, che ci sono dei Picasso alle pareti. Quella andata a raccontare tutto a qualche suo amico che adesso verr qui per svaligiarmi la casa. Lo so come vanno queste cose: a quella gente non importa se deve ammazzare qualcuno. Ma io l'ho chiusa bene la porta? Ho capito, mi alzo. Vado alla porta, controllo di averla chiusa con tutte le quattro mandate, vedo che ho messo anche il catenaccio. una porta blindata, cazzo, mica la possono sbattere gi. Fanculo anche ai ladri. Torno a letto e ripenso a quella parola: "fanculo". Ho letto l'altro giorno un articolo su - la Repubblica-: un noto scrittore che diceva che "fanculo" in italiano non esiste, una parola inventata dai doppiatori per tradurre l'equivalente fuck you nei film americani. Mio nonno non era un doppiatore e non sapeva l'inglese, ma sparava "fanculo" ogni due parole, anche all'epoca in cui nei film americani non si poteva dire niente di pi hard di "poffarbacco". Ha finito di diluviare, ma continua a scendere una debole pioggia. Ho la sensazione che si senta il rumore di una macchina in avvicinamento. Sento le ruote che attraversano la zona fangosa del vialetto d'accesso, e poi la ghiaia davanti all'ingresso. Ho capito, mi alzo. Vado alla porta e arrivo in tempo per sentire il campanello che, nel silenzio del dopo temporale, risuona come le campane di Notre-Dame. E sento una voce. La riconosco: la tipa del bar, che ha seguito fedelmente le istruzioni e ha trovato la mia casa. Sapevo che non mi voleva bidonare, la passera solitaria. Apro la porta e me la ritrovo davanti, con i capelli e i vestiti bagnati dalla pioggia, ancora pi sexy di prima. - Scusa se ci ho messo tanto. Colpa del temporale. Vedo che mi stavi aspettando- dice, chiudendo la porta alle sue spalle. Seguo il suo sguardo fino ai miei boxer. Non ci vuole molto a capire che ne ho gi voglia. Chiudo le quattro mandate e non perdo tempo in chiacchiere. Tanto lo so che quello che lei vuole l'eccitazione dell'avventura con uno sconosciuto. La spingo contro la parete e la bacio, poi mi stacco da lei e comincio ad aprirle il vestito. Le stringo le tette nel Wonderbra, intanto che il vestito ricade sul pavimento. Poi le strappo via il reggiseno e la trascino verso la camera da letto. Indossa un paio di slip a perizoma, trasparenti sul davanti. Da troia, ma mi piace. Le passo le dita lungo la sottile striscia di tela e mi accorgo che gi bagnata. Mi sfilo i boxer e la spingo sul letto, scostando la sottile striscia dello slip per penetrarla. Lei geme di piacere. Scivolo per un bel po' avanti e indietro, in attesa del momento giusto. Passo la lingua sul capezzolo destro, duro come una nocciola, poi chiudo violentemente i denti con uno scatto.

Urla. Urlano sempre a questo punto, ma tanto nessuno le pu sentire. La casa isolata e lontana dalla strada principale. Questo il momento che preferisco: quando lei comincia a capire e gli occhi si spalancano dal terrore, ma non riesce a divincolarsi perch le mie mani le stringono i polsi come una morsa. Cos resta l, sotto di me, rendendosi conto che ogni vano tentativo di liberarsi non fa che accrescere il mio piacere. Fino a quando la mordo di nuovo, con violenza. A sangue. Cerco di farla durare. So che poi devo ucciderla, se voglio raggiungere l'orgasmo, ma mi piace sentirla viva sotto di me, ancora per un po'. So anche che, come al solito, prima dell'alba, dovr fare una gitarella in barca in mezzo al lago, per disfarmi del cadavere, e portare la sua macchina lontano da qui, anche a costo di tornare a casa a piedi. In ogni caso, ci penser pi tardi. Ho ancora tutta la notte per divertirmi. bello avere una casa al lago. Dovrei venirci pi spesso.

CUOIO Corradi Alberto Cuoio - 2009


Tutto taceva nella casa di Dio e di suo Figlio, e lo sgocciolare intermittente risuonava nella pancia della cattedrale gotica come i passi di un gigantesco topo ubriaco. Le gocce biancastre cadevano lente, stillavano dai pori del suo cranio rasato precipitandosi nell'incavo dell'aureola di spine del Redentore, crocifisso nel marmo dell'altar maggiore. La sera prima aveva banchettato con un tossico e il veleno che gli correva nelle vene ora lo espelleva sudando. Sudando eroina su Dio, capovolto aggrappato a uno dei costoloni della volta centrale, in attesa che l'ultima goccia di quella merda abbandonasse il suo organismo. Due ore pi tardi il volto del Nazareno grondava lacrime lattiginose. Si stir con uno sbadiglio, poi prese a dondolarsi: un colpo di reni e le mani si serrarono sull'imboccatura del cunicolo che dalla volta conduceva al mondo esterno e che fungeva da giaciglio per il giorno. Lo aveva scavato con pazienti unghiate, alle volte rinunciando al Cibo pur di garantirsi un rifugio sicuro dalle brumose giornate invernali. Si intrufol velocemente su per lo stretto condotto, sbucando dalla bocca urlante di una delle gargolle che adornavano il duomo. Recuper lo zaino con i vestiti, nascosto dietro un guglione, se lo sistem sulle spalle. Mut. La pelle del corpo, completamente nudo, si contrasse e indur, inspess e cambi colore, digradando dal rosa a sfumature via via pi scure, fino a raggiungere una tonalit simile al cuoio conciato. Poi, con dolore, dispieg le ali che fuoriuscirono da sotto le fessure, simili a marsupi, poste sulla schiena. Le ossa si distesero e le cartilagini schioccarono. Un balzo e il volo notturno cominci. Aveva divorato la vittima della sera precedente fino all'ultimo boccone: la Sete sarebbe tornata solo l'indomani, cos quella notte poteva mescolarsi alla gente, toccarla, stringerla, odorarla. Erano circa vent'anni che si era stabilito a Milano, citt ideale per le sue attitudini alimentari ma che a tratti lo schifava profondamente: certe notti era stato costretto a volare al di sopra delle nuvole per non farsi intossicare dai miasmi che ammorbavano l'atmosfera; una gran seccatura quando hai Sete e non puoi scendere sotto i banchi a individuare le prede. Si lasci trasportare da una corrente ascensionale su, in alto fin sopra lo smog, riempiendosi i polmoni della frizzante aria notturna. Plan dall'alto forando le nuvole di condensa scura al di sopra di un viale periferico, dove lo attendeva un centro sociale sfollato da anni dalle porte e finestre perennemente spalancate, rifugio di pochi clochard. Una volta dentro torn al suo aspetto umanoide, avanzando scalzo nel mare d'immondizia accumulato rave dopo rave e lasciato l a fossilizzare sotto i materassi dei vagabondi. Indoss il completo di pelle nera e la camicia di seta, calz gli stivali, scese la rampa delle scale, pisci nel sottoscala, usc. La fermata del tram era proprio davanti al portone del centro; dovette solo attraversare la strada fino all'isola pedonale e attendere il 27 barrato che l'avrebbe portato ai Navigli. Non pag il biglietto, scroccando al comune il passaggio: quando smont acquist un pacchetto di Diana Blu per coprire col sapore amarognolo della nicotina un alito che tanfava di sangue rappreso e carne fatta a brani. Volt subito dopo il tabaccaio infilandosi in un vicolo insolitamente stretto, dove le macchine non parcheggiavano per paura di finire intrappolate nella morsa di cemento delle case. Al centro della striscia d'asfalto rattoppato s'ergeva la regina di quel luogo, illuminata dalla fioca luce d'ingresso di un garage. Le and incontro. - Ciao Cristiana-. - Ciao!-, esclam con tono lieto e stanco, abbracciandolo stretto. Ricambi l'abbraccio passandole una mano fra i capelli corvini, poi le chiese tranquillo: - Nessuno stasera?-. Cristiana lo fiss: - Forse uno, proprio ora- e sorrise. - Forse uno- mormor restituendole il sorriso. La prese per mano, incamminandosi con lei verso il condominio coperto di graffiti che ormai conosceva bene. Osservava rapito la curva del seno di Cristiana nel punto in cui il capezzolo come un vulcano erettile scaturiva dalla pelle liscia, leggermente ombrata di lentiggini. Lo prese delicatamente fra pollice e indice, titillandolo. Cristiana ronf nel sonno, mentre lui ricordava la prima volta che l'aveva incontrata: pieno di birra, la testa annebbiata e la vescica gonfia, s'era infilato nel vicolo per pisciare trovandosi di fronte la camminatrice. Aveva suppergi seicento anni, ma la sola idea di fare acqua sotto gli occhi di una ragazza gli

chiuse la valvola. Si era sentito parecchio stupido, l sistemato a quel modo, gi in posa per la fontanella, la patta mezza calata. Pot solo ridacchiare, puntando la fronte contro il muro scrostato, mentre lei si avvicinava per vendere la propria merce. Le chiese se aveva un bagno, lei disse di s e andarono via insieme. Usc dal cesso che gi sudava alcool e fu allora che arrivarono le presentazioni. Subito dopo lo fecero. I soldi non erano un problema, i suoi commensali non ne avevano certo a male se si appropriava dei loro portafogli: dal canto suo mostrava riconoscenza concedendo morti rapide e indolori. Si svegli dal torpore della memoria che erano gi le quattro: di l a poco avrebbe albeggiato. Baci sulla guancia Cristiana addormentata al suo fianco, lasci i soldi sul comodino, sgaiattol via. Non ci teneva a diventare cieco o chiss che altro. Le sue retine erano ipersensibili al sole dalla nascita e con il trascorrere degli anni la luce, ogni volta che si esponeva ai raggi dell'astro, lo feriva sempre di pi, ledendogli il nervo ottico e il cervello a cui era ancorato. Prima fu solo fastidio, poi bruciore, infine dolore. Si rifugi allora nelle tenebre. Ne aveva lette di storie sul conto di quelli come lui, ma per lo pi erano un mare di cazzate, o forse parlavano di altre specie sue simili che per non aveva mai incontrato in vita. Torn alla cattedrale di luce e al cunicolo. Cinque giorni dopo Cristiana mor. La polizia trov il suo cadavere nel vicolo, illuminato dalla debole luce della rimessa, la testa spazzata via dal corpo da una fucilata di grosso calibro sparata a bruciapelo, le dita lunghe e laccate contratte a graffiare l'asfalto in un ultimo disperato tentativo di rialzarsi. L'avevano picchiata selvaggiamente, uccidendola quando ormai non poteva pi reagire. Nessuno seppe chi era quel corpo privo di documenti, probabilmente rubati dall'assassino, come d'impronte digitali, rimosse con i polpastrelli a colpi di lama. Ma lui sapeva, riconobbe Cristiana prima ancora di leggere il nome del vicolo. Era entrato in un bar per nottambuli giusto il tempo di un caff prima di dedicarsi al Cibo; sfogliando una copia chiazzata d'unto de - La Notte- aveva intravisto la foto e aveva dimenticato la Sete. Le dita artigliate squarciarono la tapparella per poi affondare nel vetro della finestra, frantumandolo. La casa di Cristiana era un monolocale dalle pareti tappezzate di poster e cartoline, un microcosmo di ordinato caos, pulito e arredato con la sobriet di chi non pu permettersi niente di pi dei mobili dati in affitto assieme all'appartamento. Nel buio i suoi occhi scintillarono come catarifrangenti, alla ricerca di qualcosa. I vicini ignoravano l'identit della nottambula, specificata solo dal nome sul campanello, che mai avevano voluto guardare in volto: la sua sparizione era passata inosservata, destando clamore o preoccupazioni di alcun genere. C' sempre qualcuno morto anzitempo per il Mondo, basta non guardare, non sentire, non vedere. Basta possedere un'ipocrita volont di ferro. Non vedevano lui, perch avrebbero dovuto sforzarsi per Cristiana? D pi fastidio una puttana che abita sul tuo stesso pianerottolo o un cadavere senza nome passato di sfuggita fra le cronache della sera? Ridacchi sfogliando la rubrica della Banca Nazionale del Lavoro, sulle cui pagine si accalcavano calligrafie miste a scarabocchi. Alcuni fra quelli erano i codici che cercava, gli indirizzi e i telefoni dei protettori che Cristiana aveva abbandonato per rifugiarsi nel vicolo dov'era morta. Ne trov cinque, ma solo uno era quello che gli serviva. - Vattene stronzino, cosa vuoi in questo posto, ero? Bamba? Beh tesoro, lasciatelo proprio dire, hai sbagliato indirizzo. Ora smamma-. Lo scarno tirapiedi gli agitava davanti al naso una pistola di grosso calibro, con la noncuranza tipica di chi quegli affari li sapeva usare. Si trovava all'ingresso dell'attico di Simone Saccardo, principe di molte cose fra cui estorsione, spaccio e protezione. Il suo uomo. La canna ora gli premeva contro il pomo d'adamo, impedendogli di deglutire. - Macchiccazzo sei, si pu sapere? La sorveglianza non li fa mica passare i balordi come te... sarai mica un amichetto di Simone, vero? La cosa mi creerebbe pi di un imbarazzo...-. Rimase a bocca aperta a contemplare quel braccio lordo di sangue che prima non aveva notato, coronato da cinque orribili dita ritorte che stringevano qualcosa. Un pezzo di carne. Il gorilla inspir a pieni polmoni, e cap. Stava guardando la sua trachea e ora l'aria gli entrava e usciva direttamente dalle canne squarciate della gola. Sent il sapore del sangue inondargli la voce. - La testa non serve pi...-. Cadde in ginocchio e mor. Da dietro la porta proveniva un frastuono ovattato di sintetizzatore e bassi ultrapompati. La porta implose nell'attico principesco, spazzata via da un calcio poderoso. L'appartamento, disposto su due piani collegati da una stretta scala a chiocciola, si apriva a semicerchio sovrastando gli ospiti con la grande vetrata circolare che chiudeva la volta del soffitto. Da uno dei ballatoi giunse una voce indecifrabile, coperta dalla techno martellante.

- Chi !-. Assieme alla sua voce, stavolta s'era affacciato anche Saccardo, che completamente nudo osservava incuriosito quel ragazzo dal cranio perfettamente rasato, vestito di pelle da capo a piedi e la scia di sangue che s'era tirato dietro dall'ingresso. Gli ci vollero un altro paio di secondi: quando realizz si ritrasse all'indietro con uno scatto maldestro, che lo fece cadere sul matrimoniale disfatto. Stava salendo le scale. Saccardo si dibatteva fra i flutti di seta, annaspando disperatamente per raggiungere il comodino dove teneva la pistola. Rotol gi. Era dietro di lui. Stava per aprire il cassetto, quando un calcio lo raggiunse in pieno viso. Svenne all'istante. - Mammola-. Comment la bellissima nubiana, mentre gli assestava una pedata nei coglioni. Era stata una divinit un tempo, ma nessuno l'avrebbe mai sospettato. Avanz, nuda, scavalcando il corpo inerte. Lo baci, facendogli sentire la pressione dei suoi capezzoli eretti, poi si stacc da lui: - Ne hai lasciato qualcuno vivo? Me lo hai promesso!-. L'espressione era dannatamente seria, non si scherza con la Sete. - Al primo piano, tre di varie taglie appesi per i piedi-. Allontanandosi lo baci di nuovo, avida. - Grazie per averlo trattenuto, ti sono debitore-. La dea alz la testa mentre scendeva le scale e gli sorrise, leccandosi dalle labbra la sua saliva. La guard allontanarsi lungo il corridoio lordo di sangue, poi usc dal suo campo visivo. Attese in silenzio finch non ud le prime grida provenire dalla tromba delle scale. La sua espressione rest immutata, ma diede un lieve cenno d'assenso col capo. Era ora di mettersi all'opera. Saccardo rinvenne dopo circa mezz'ora. Lui aveva lavorato sodo nel frattempo, e anche l'ultimo nodo era stato stretto. Aveva legato l'uomo alla testata del letto, lasciandogli libere le gambe e il busto. Una serie di lacci emostatici rallentava la circolazione sanguigna della vittima in vari punti del corpo: braccia, ventre, gambe e caviglie; in alcune zone la pelle tesa era chiazzata dal viola dei numerosi capillari spezzati nella morsa della gomma. - Chiccazzoseirottinculofigliodiputtana!-. Strill Saccardo con tutto il fiato che aveva in gola, fissandolo con gli occhi fuori dalle orbite. In risposta, prese a spogliarsi con studiata lentezza, guardando l'uomo negli occhi. - Non mi venire a dire che hai massacrato i miei uomini giusto per una sveltina nel culo!-. La voce del magnaccia era un ansimo rauco. - Cio, di solito cavalco io e mi piacciono un po' pi giovani, ma...-. Scoppi in un lamento: - Insomma che vuoi farmi?-. Lo stava sempre fissando. Era nudo. Si trasform. E godette dell'urlo di terrore che appest l'attico con la sua disperata presenza. Si iniett gli occhi di un rosso vivo, e le pupille si contrassero divenendo fessure di tenebra affogate in quel mare purpureo. Ora Saccardo non implorava pi nulla, ma boccheggiava come un pesce preso all'amo, seguendo con scatti nervosi ogni movimento dell'essere di cuoio conciato. Dischiuse le labbra svelando gli smisurati canini. E finalmente la vittima seppe chi era il suo carnefice. Istintivamente, Saccardo si ripar la gola sotto il mento affilato. Nella sua mente rise di quella patetica reazione: dove stava scritto, se non nei libri di fiabe o nell'immaginario degli ignoranti che per dissetarsi alla vita di qualcuno bisognava azzannarlo alla giugulare? Era solo una romantica trovata estetica. Ma la verit che i corpi sono spugne pregne di plasma: che importanza ha se in certe parti scorre pi lento e speziato e in altre veloce e dolce? Posizion sotto alla caviglia sinistra dell'uomo un bacile d'argento sobriamente decorato, appartenuto per generazioni alla sua famiglia e che teneva da parte per le occasioni speciali. - Ma perch non parli?-. La voce era divenuta un pianto. Strinse a morte il laccio emostatico, afferr il piede impugnandolo per la palma, e gli fece compiere un giro di trecentosessanta gradi. Le cartilagini cedettero per prime, mentre i muscoli e i tendini opposero resistenza, si sfilacciarono infine, per poi essere recisi dalla mano artigliata. Il sangue sprizz e lui azzann il caldo boccone, mentre il bacile raccoglieva il plasma che sgorgava lento dal moncherino. Infil le zanne scanalate bevendo avidamente; presto la carne si raffredd e scolor. Allora si mise a masticare lentamente, disossando il piede con cura e riponendo ci che non poteva mangiare nel pietanziere d'argento. Non aveva mai smesso di fissare l'assassino, e il grido lancinante che continuava a prorompere da quella gola gli occupava il cervello come un frastuono di bassi ultrapompati.

La sua musica. Succhi l'ultima falange e strinse il secondo legaccio: questa volta sarebbe stata una faccenda ben pi lunga e dolorosa, perch ora toccava al primo menisco e alla prima rotula. Fra le atroci agonie di quella notte che parve eterna, l'uomo non seppe mai per quale colpa si fosse guadagnato una simile pena, di cosa avesse privato quella creatura per meritarsi tanto. Forse aveva solo sottratto uno svago all'essere di cuoio conciato, o forse molto di pi. Ma le risposte erano sigillate in quella bocca colma di carne e sangue.

SCORCIATOIA Di Maio Paolo Scorciatoia - 2009


Daniela gir ancora una volta la chiavetta d'accensione nel quadro della sua Uno con la mano destra, tenendo con la sinistra una lattina aperta di Henninger, ad altezza di bocca. Il motorino d'avviamento cigol per breve tempo e quindi si spense, senza dare pi alcun segnale. - Muoviti, maledetta! Questa l'ultima che mi fai, poi ti porto dallo sfasciacarrozze!-. Ritent ancora una volta ma gli rispose solo un debole "clic" da qualche parte nel motore. Partita. La macchina era bella che andata. Si ramment dell'enorme pozzanghera nella quale era passata poco prima, sollevando ondate d'acqua ai due lati della carrareccia e del motore che s'era spento. - Merda!- sibil, ingollando un lungo sorso. - E ora che s' bagnato tutto, chi la fa ripartire pi questa carretta?-. Scese dall'auto inzaccherandosi le scarpe di vernice e parte dei collant a rete sotto la minigonna e color vivacemente con un'imprecazione anche quella situazione. La notte era fredda, per i primi di ottobre, e ancor pi pareva esserlo tra i campi inerti e gli alberi avvizziti dell'aperta campagna. Chi gliel'aveva fatto fare di prendere quella scorciatoia per tornare a casa? "Scorciatoia" riflett. "Per colpa di quell'idiota di Marco e della sua... sgualdrinella, la prima volta che mi capita di prenderla. Magari finisce in una palude o si ferma dopo tre chilometri... in mezzo al nulla! Chi me l'aveva indicata, poi?". - Merda!- imprec nuovamente, abbandonando i modi gentili da ragazza per bene per sfogarsi come poteva. Prese a calci uno pneumatico, ruppe un tacco, e part con un'altra sequenza d'improperi insieme alla lattina di birra mezza bevuta alla volta delle zolle brune dei campi. Nell'alito condensato del suo ansimare rabbia, raffredd i bollenti spiriti, rammentando che non valeva la pena di alterarsi per qualcuno che, appena dietro l'angolo, andava dietro alla prima gonnella disponibile, pur essendo legato a lei. Passandosi una mano tra i lunghi capelli corvini, zoppic intorno all'auto, per riprendere il sentiero. Il gusto di birra sulla lingua era pastoso e ruvido, i nervi a fior di pelle, mancava solo che piovesse. In risposta al suo timore, grosse gocce presero a scendere dal buio sopra di lei. Dapprima solo qualche spruzzo, poi un vero diluvio. Maledicendo se stessa, Marco, l'auto e tutte le "mangiauomini" da quattro soldi di questo mondo e zoppicando vistosamente s'un solo tacco senza veramente capire dove andasse, prese a correre. La stradina s'inerpicava sul versante di quello che pareva essere l'accesso a una casa solo qualche centinaio di metri pi avanti e Daniela la imbocc zuppa, tra il frastuono del rovescio e i gracidii dei suoi piedi nelle scarpe, gelata. Avrebbe trovato un riparo e passato la notte e forse domani, col chiaro... "La mia vendetta con Marco sar atroce!" pens, maligna, "lo illuder per tutta la settimana e poi lo pianter in asso, mettendolo di fronte al fatto compiuto..." Il sentiero fece una svolta, ritornando in piano e allargandosi in uno spiazzo, al centro del quale scure ombre facevano presagire la presenza d'una grossa casa. Sul davanti non c'era alcuna auto in sosta. - Che fortuna!-, biascic tremante, - pure disabitata... ma almeno potr ripararmici per la notte-. Una fioca luce si accese dabbasso, a una delle finestre accanto alla porta d'ingresso. Daniela ebbe un moto improvviso di stupore e un brivido aggiuntivo, che non era di freddo, la percorse. La luce si mosse tra le tende, ora visibili data la sua vicinanza, e poco dopo si ud chiaramente sferragliar di chiavi e serrature. Una figura scura apparve sulla soglia, una lampada in mano. - Venga avanti, mia giovane amica!- furono le calde parole dello sconosciuto. - La luce se n' andata, ma abbiamo altri mezzi... non stia l a prendersi un malanno!-. Daniela fu ben felice dell'invito. Sentiva ormai il gelo penetrarle nelle ossa e, anche se oggi avrebbe solo potuto buscarsi un brutto raffreddore, una vecchiaia afflitta dall'artrosi non era il pi piacevole dei futuri auspicabili. Non perse tempo ed entr. La porta si chiuse alle loro spalle e lei pot infine vedere in volto il suo ospite, alla luce tremula della fiammella a olio. Era un uomo di bell'aspetto, pi alto di lei di una spanna, sui quaranta forse, con corti capelli sale e pepe a incorniciare un viso dalla mascella quadrata e fossetta sul mento e uno sguardo intenso. Qualsiasi altro particolare fisico perdeva importanza dietro quello sguardo, e Daniela lo prese in simpatia.

- Pare che i collegamenti elettrici della mia casa siano particolarmente deboli- si scus l'ospite - saltato tutto, mentre guardavo la TV, ma sono premunito. Questa lampada inoperosa da molti anni, ma l'olio si conservato bene...-. - Ma non stia l, zuppa com'!- aggiunse. - Mi segua...-. Daniela non se lo fece ripetere due volte. Si sentiva sciatta e brutta, col trucco di certo disciolto sul viso e in generale orrenda. Doveva porvi rimedio. Di sfuggita, mentre seguiva l'uomo, dette un'occhiata intorno alla luce incerta e indovin un grande soggiorno rustico, completo di camino spento, e una scala che saliva ai piani superiori. Dall'altro lato una porta chiusa forse celava una cucina, ma loro si muovevano in un'altra direzione. - un bagno piuttosto piccolo, ma c' ogni comodit- illustr il padrone di casa mentre apriva la soglia di una stanzetta invero non proprio minuscola. Daniela si ramment delle dimensioni del suo alloggio in citt e sorrise. - Entri... entri. Si deve togliere quei vestiti e indossare questo...- l'uomo apr un armadio in un angolo per prelevare un accappatoio. Daniela rimase l, bloccata. Cosa aspettava ad andarsene, quel tizio? Va bene l'ospitalit, ma non intendeva mica restare l a guardarla spogliarsi, no? Poi lo fiss in volto e lo sguardo notato poco prima si fece sentire in tutta la sua potenza. Era come un panno caldo che l'avvolgeva tutta e un profumo rassicurante che le alitava all'orecchio di stare tranquilla, di calmarsi. Quando l'uomo le si avvicin per aiutarla a togliere il giubbotto di pelle fradicio, si sent doma, paga, e assolutamente ben disposta verso quelle mani ferme che la toccavano. Le pareva di sciogliersi in un involucro di tepore, come un bagno caldo e profumato di sali. Improvvisamente si riscosse e allontan le dita sottili da lei. - Lasci pure, faccio io!- sorrise di storto. L'uomo si sedette sul bordo della vasca di ceramica dalle zampe feline per osservarla. "Bene" ponder "se questo lo scotto che devo pagare per essere ospitata e togliermi questo fradiciume di dosso, che sia cos! Ma che si riduca solo a questo, per". Mentre si denudava timida e circospetta, l'ospite le parl. E dal tono si sent di nuovo ben disposta. - Cosa le accaduto?-. - La Uno in panne...- smozzic mentre arrotolava agli stinchi le calze molli, - sono finita in una pozzanghera e l'auto si spenta. Ho preso la pioggia e, oltre a tutto questo, anche la beffa di vedermi soffiare il ragazzo da una sgallettata qualunque-. Si rese conto che l'ultimo particolare forse avrebbe anche potuto ometterlo, vista la situazione, ma le era sfuggito di bocca da solo. - Una storia interessante, devo ammetterlo- precis l'uomo - e siete capitata da queste parti cos per caso...-. - Mi avevano detto che c'era una scorciatoia, mai fidarsi delle amiche!- si scus la giovane, ma era alle prese con i pezzi pi importanti della sua biancheria: il reggiseno e le mutandine. Riflett un attimo e prese mentalmente respiro. Si dette della stupida e infine se li tolse, mostrandosi per un breve momento senza pudori prima di brancare l'accappatoio e infilarselo alla svelta. Anche soltanto alla luce della lampada, gli occhi del suo ospite parvero brillare. Daniela ringrazi la spugna che l'avvolgeva ma pareva che pure cos fosse ignuda a quegli occhi penetranti e rabbrivid istintivamente. Poi lo segu in soggiorno dove l'uomo, presentatosi come Ardulac, accese il fuoco nel camino e dispose i suoi vestiti ad asciugare. - francese?-. - Cosa?-. - Il suo nome. "Ardulac". Suona tanto come uno dei tre moschettieri. Sono suoi parenti?-. L'ospite rise, ma la sua risata non parve rallegrare Daniela. Le aveva offerto una dose generosa di un liquore dolce e forte allo stesso tempo e lei l'aveva presa anche per riscaldarsi un poco. Ma i suoi sensi, gi ottenebrati dal passaggio dal freddo al caldo, non volevano saperne di scuotersi. Era come muoversi in un sogno. "E se approfitta della mia momentanea imbecillit mentre sono ubriaca?" si sent pensare. "E chi se ne frega!" fu l'inebetita eppur orrida risposta della sua mente ebbra. - No. Non francese. E molto pi antico...- la inform Ardulac, levandosi la maglia a collo alto che gli fasciava il petto e i fianchi stretti sopra i calzoni: - Non trova che faccia un po' caldo, ora?-.

Daniela accenn di s con quel sorriso ebete e, sdraiata sul divano com'era, si slacci la cintura di spugna lasciando scivolare da parte i due lembi dell'accappatoio. Mostrarsi nuda, ora, non le dava pi alcun fastidio. Ardulac si liber dei calzoni e rimase in piedi, stagliandosi di spalle al fuoco, pi sagoma effimera tra le fiamme brucianti che vera figura d'uomo. Lo sguardo di Daniela cadde all'inguine e alla luce sempre pi fievole della lampada vide le proporzioni di quel membro. "Ehi!", sbott il suo pensiero vagante in una nebbia alcolica, "Ma sono due, guarda bene! Uno pi grande e sotto quello pi piccolo!" Non ebbe tempo di sbalordirsi a quell'inusitato spettacolo. Ardulac la fissava con occhi magnetici che parevano fiammeggiare al pari delle lingue di fuoco nel camino, e quello sguardo era ipnotico, ammaliatore, strano e voluttuoso. Se ne sent invadere e le parve di sciogliersi in un languido umidore sul divano. Ma c'era qualcos'altro. Gi dalla linea diritta del naso e sotto le labbra sottili. C'erano i denti. Due zanne giallastre che gli incidevano quasi il mento, tanto erano lunghe. Due strumenti acuminati che dimostravano tutta quanta la loro potenza. Non ritorn lucida, perch ormai era perduta. Ma allarg il volto in quell'espressione ebete e ridente e pieg il capo da un lato, come un cane curioso. Ardulac le fu sopra, con tutta la sua forza. Il divano traball sui piedi alti e infine cadde all'indietro, facendoli rotolare sul folto tappeto. Il vampiro la serr tra le sue braccia e Daniela pot sentire tutta la possanza pulsante dei suoi membri eretti spinti sul ventre, mentre anche lei sembrava infine pervasa da un'eccitazione trascinante. Si ritrov le labbra calde tra le sue labbra, la lingua umida sulla sua e, dopo un fuggente attimo di sconcerto e di terrore sopito, si lasci andare, mentre inorridita sentiva i suoi capezzoli inturgidirsi e una molle vibrazione avvolgerle il basso ventre. Cerc di scacciare quel demonio da s, ma era troppo forte, troppo potente. Si ritrov in una nuova posizione, a gambe all'aria, senza neppure pi la debole protezione della spugna dell'accappatoio. Il sudore prese a coprirla, mentre anche quello di Ardulac le colava addosso come lava fusa. Dopo un momento silenzioso nel quale comprese quello che stava per accaderle, contro la sua volont eppure in accordo con la sua volont, fu inondata da una marea calda di dolore e piacere, mentre veniva presa in entrambi gli orifizi. I polsi bloccati dalle forti mani inumane, non pot far altro che sbattere il capo da una parte e dall'altra, mugugnando e sospirando e mordendo il folto pelo del tappeto. Riusc a sollevare una mano di pochi centimetri, ma fu subito trattenuta. Poi, quando i colpi frenetici del vampiro presero a frustarla con rinnovato vigore, url al cielo il suo cieco dolore e le parve di morire sotto l'allucinante tortura. Presto tutto si plac. Ritrov il piacere sotto la dura scorza del dolore e si sottomise a quell'orripilante cavalcata. Quando sent che stava per raggiungere lo spasimo estremo del suo amplesso, allung il collo verso l'alto e in quel momento Ardulac affond le zanne sulla vena pulsante, in un sol colpo, risucchiandole il nettare vitale fino all'ultima goccia, esaurendola. Le si spalancarono le porte di diverse prospettive. Il piacere che deriv da quel nuovo assalto fu totale, e prese a rabbrividire e sudare di successive ondate di freddo glaciale e caldo infernale, di gelo e fiamma, fino a quando non si liber del suo seme rovente. Infine emise un rantolo, forse di beatitudine, e si accasci al suolo, inerte. "Che cosa ti avevo detto?" mormor un'ultima, flebile vocina nella sua testa. "E chi se ne frega" svapor lui di rimando "Si pu anche morire, per questo". Le spoglie di Daniela occuparono uno spazio vuoto tra due piccole croci insieme a molte altre sul retro della casa, e la sua Uno colm quel che restava del granaio, a fianco ad altre auto. Marco sta ancora domandandosi dove possa aver sbagliato, con lei.

IL PROSSIMO Di Orazio Paolo Il prossimo - 2009


buio. cos buio, adesso. La pace l'assenza totale della luce. Nel buio, il suono del respiro. Inspirare. Espirare. Inspirare. Espirare. Il respiro lento e pesante, difficoltoso. Acqua. Uno specchio d'acqua. Un piccolo lago perfettamente piatto e immerso nella pace pi indisturbata, fermo a riflettere un cielo d'aurora col primo canto di uccelli. Un martello di ferro e legno precipita al centro del lago. Rompe l'acqua e il suono quello di una pentola di rame che cade a terra. Luce bassa. La candela. Padre Sebastiano sveglio, di soprassalto. Basta la luce della candela per dissipare quel buio perfetto. I polmoni vogliono aria, un'enorme quantit di ossigeno. Perch respirare il buio difficile, spesso si cade in apnea. Padre Sebastiano inspira a pieni polmoni, forzando le vie bronchiali intasate da materiale duro e ingombrante. caduta una pentola in cucina. Il suono fatalmente coinciso col martello che ha rotto l'acqua del lago, ma non la prima volta che i suoni del mondo viaggiano in sincronia con immagini sognate. Quella pentola caduta, il suono c' stato. Altri rumori. Adesso qualcuno si sta spostando. proprio in casa, non c' dubbio. Non la prima volta. Padre Sebastiano muove le dita, e le piccole articolazioni scricchiolano silenziosamente. Nell'immobilit del sonno i polpastrelli avevano smesso di registrare il contatto con il rosario, fedele sigillo di sereno e protetto riposo; Sebastiano lo stringe ancora al petto. Lo bacia, curandosi di non disturbare col tintinnio delle pietre quelle presenze in movimento nelle altre stanze; potrebbero infuriarsi. Nessuno ha voglia di trovarsi al cospetto di una collera mai misurata prima, nemmeno un valente pastore di Dio. La luce della candela illumina soffice il quadrante dell'orologio a pendolo di lato al letto. molto tardi. Padre Sebastiano ha dormito tutto il giorno e ora calato il Sole. Pochi minuti alla funzione serale; in realt avrebbe gi dovuto suonare la campana della parrocchia, ma lui ancora l, disteso sul letto. I fedeli si raccolgono numerosi ai vespri, ma anche ve ne fosse uno la chiesa deve essere pronta e officiante. Dalla finestra della camera corre per casa un vento fresco di pioggia su foglie appena cadute, mischiato a terra umida. settembre inoltrato e Padre Sebastiano trova corroboranti i primi odori di inizio autunno. L'aria gravida di stagione nuova. Come sempre, Padre Sebastiano si alza dal letto e attraversa la casa. Cerca di non mostrarsi nervoso e guardingo nei confronti dei rumori, ma il suo occhio non coglie nulla. Non c' bisogno di andare a vedere cosa ne della pentola che cadendo lo ha svegliato poich non sarebbe affatto prudente. Meglio prepararsi a uscire. I rumori sono fermi, adesso. Il momento propizio. Pochi istanti. La funzione lo aspetta. Il sacerdote non deve indossare vestiti: non ha mai dormito nudo da un certo punto della sua vita in qua. Gli abiti sono la sua seconda pelle. Quella vera va protetta dalla luce, perch la luce molto pericolosa. Le mani sono candide, il viso rosa pallido, la pelle sottile e delicata come buccia di frutto maturo; i raggi solari bruciano la pelle, totalmente priva di difese naturali. Anche i saponi possono essere aggressivi, solo

l'acqua si comporta da amica, soltanto l'acqua e il vento fresco, la pioggia. E il buio. Al buio la pelle di Sebastiano in pace, libera di non subire persino l'inavvertibile tensione di una lampada troppo vicina. Dormire svestiti un grosso rischio. Un raggio di Sole da un'imposta mal chiusa pu colpire nel sonno le spalle o il volto, le gambe o l'addome di Sebastiano, bruciando l'epidermide; la reazione immediata della pelle favorirebbe febbri e infezioni penetranti, fino a scatenare processi cancerosi. Sebbene questa possibilit sia praticamente eliminata con ermetico rimedio, resta il terrore dell'idea, vero e proprio spirito vivente e persecutorio. Padre Sebastiano si lava le mani prendendo acqua da una caraffa di porcellana. Si guarda allo specchio. L'iride azzurra splende di luce tersa, quasi a confondersi col bianco elettrico della cornea. Pochi capillari spezzano quel biancore. Occhi fragili e indifesi, levigati da un intagliatore di diamanti, potrebbero incrinarsi alla luce del giorno. Pietre di lucida follia, direbbe qualcuno perdendosi nello sguardo di Padre Sebastiano. Il suo volto perfetto, eccetto il naso non proprio in asse. Chi dovrebbe mai sedurre? Assieme ai capelli, persino la barba chiarissima e ora ispida; il solo pensiero di insaponarsi e passare il rasoio sul viso gli d le vertigini; Sebastiano ha il terrore di lacerarsi. Meglio rimandare a un altro giorno che non sar nemmeno il giorno seguente. Un colpo di tosse, due. Il prete ha i bronchi appesantiti da qualcosa che staziona grassamente da tempo incalcolabile. L'intasamento si smuove ogni tanto, e i rimedi sono davvero fiacchi. Prova a liberarsi ma non ci riesce. Il blocco resta in petto, non ancora il momento di farlo uscire. Pi piacevole si rivela espellere urina. Insopportabile al fiuto quanto allo sguardo: impressionante vederla rossa. Il Sole tramontato, dietro le spalle di Sebastiano. Il pastore se ne accerta pi volte; non mai sicuro di essere veramente al riparo, non vuole offrire le spalle al nemico. In qualche area della sua mente piroetta il pensiero folle che il Sole decida un giorno di sorprenderlo, risalendo repentinamente l'orizzonte per bruciarlo a tradimento e infliggergli, con la luce, impensabili sofferenze. Anche un valente pastore di Dio pu avere le sue idee pazze. La sagoma nera di Sebastiano si confonde tra le ombre del tramonto. Ha in mano una valigetta di pelle. Cammina concitato verso la sua chiesa, in pieno ritardo. Pochi passanti, per le strade. Nel cielo, rade strisciate di nuvole bianche. Nell'aria c' ancora profumo di pioggia, terreno bagnato, ma forse i prossimi giorni saranno tutti di Sole. Qualcuno vede il parroco spingersi per le salite e le discese verso la parrocchia, ma lui sembra ignorare ogni forma di vita. Saranno i suoi occhiali scuri, sar il ritardo; il suo unico problema, ora, suonare la campana e chiamare i fedeli ai vespri. L'odore della cera potentissimo. L'ambiente saturo di candele bruciate. L'idea di officiare i vespri esclusivamente alla luce dei ceri funziona con grande successo. Nessuno dei fedeli sa che in realt sia un espediente per evitare la luce elettrica e bruciante dei fari, ma a Padre Sebastiano quel guizzo artistico ha portato un notevole riscontro di animi, un afflusso puntuale, un raccoglimento pi profondo. E per la sua pelle un sicuro riparo da fototraumi di qualsiasi intensit. L'alone di ciascun cero crea delle sfere tiepide e morbide, palloni di luce inoffensiva che invitano al silenzio, alla preghiera. E cos, avvolto dalla semioscurit, il Cristo sembra dormire nella sua pace; a vederlo sembra ora indifferente a quei chiodi, le sue labbra distese finalmente a smettere la smorfia di dolore che viene imposta alla memoria dei credenti. A Padre Sebastiano piace molto pregare; da solo, coi suoi fedeli. Ha cura di loro, li segue, li conosce tutti, uno per uno. Qualcosa, pi precisamente il Signore, gli dice che li seguir tutti nella loro vita. Qualcosa, pi precisamente il Signore, gli dice ancora che a tutti offrir possibilit di confessione e redenzione. Qualcosa gli dice che a tutti dar personalmente l'estrema unzione. la sua vita. la ragione della sua vita. Padre Sebastiano ama tutti i suoi agnelli. In cuor suo sa che ciascuno di loro possiede un codice. A questo mondo la purezza soltanto una parola. Il peccato in ogni casa, ogni famiglia, ogni individuo. Il peccato sempre e ovunque, ma l dove c' almeno consapevolezza di azioni e pensieri devianti sicuramente c' una radice di pentimento. Padre Sebastiano seguir tutti i suoi agnelli, deve, per forza. Li benedice. Rammenta loro il prossimo appuntamento. Anche lui ne ha uno. A pochi metri da casa, accanto alla sua auto scassata, Matteo. Uno dei tanti suoi fedeli. Sembra un bambino a bordo di un corpo adulto. Tentare di estirpargli un pensiero, una parola, come sporgersi dalla finestra e cercare di dare ascolto a qualcuno che bisbiglia in strada. Matteo terribilmente chiuso. Comunica solo col sorriso. Vuole bene a Padre Sebastiano. Padre

Sebastiano prega sempre per lui e Matteo recita tutte le preghiere che Padre Sebastiano gli suggerisce per mondare quotidianamente la sua anima peccatrice. - Matteo-, Padre Sebastiano saluta da lontano l'amico sollevando la mano. Matteo replica lo stesso gesto, sorridendo. - Ciao, Matteo, come stai?- chiede il parroco tendendogli la mano. Matteo sorride guardando il suo amato pastore da dietro spesse lenti da astigmatico. Gli occhiali hanno sempre la stanghetta spezzata, tenuta col nastro adesivo. proprio un bambino: gli manca il gelato e un anatroccolo di plastica al guinzaglio. Chiss cosa direbbe sua madre se lo vedesse cos. E chiss cosa sta provando la Vergine Maria vedendolo cos. Matteo molto curioso e sembra quello che poi : un fanciullo che gioca allo scienziato, al ricercatore. Periferia Roma est, tra le due vie consolari Collatina e Tiburtina. Una striscia di Gaza dove una ferrovia, centrali elettriche, una bretella autostradale e capannoni industriali convivono in una selvaggia prateria incustodita. Matteo in ginocchio sulla terra nuda e di fronte a lui sta in piedi un uomo nero dal grande seno, i capelli lunghissimi e ricci che frustano la schiena, le gambe possenti dentro stivali alti e luccicanti; le braccia foderate di muscoli. Il pene completamente eretto fa sembrare questa creatura un minotauro, insieme alle ampie froge del naso, ai denti, ai glutei enormemente pronunciati, le cosce tornite. La pelle tesa non mostra un pelo, i vasi sanguigni tracciano una mappa di rilievi sul bicipite, l'avambraccio e le mani. L'addome invece morbido e liscio, il ventre scivola gi rotondo verso l'inguine. Alla base di quella curvatura femminile spunta l'azzardo, il cibo per mosche. Il minotauro segue le operazioni di Matteo dall'alto della sua statura. L'omino gioca col suo sesso, ha pagato per farlo e non c' nessuno che stia guardando. Padre Sebastiano escluso. Lui segue la scena in disparte, vegliando sulle due ombre che si stagliano contro le luci vermiglie della periferia industriale. Odore di pioggia dal terreno; coabita con quello delle granaglie intrise di olio e grassi della ferrovia poco distante. Il clima della serata piuttosto freddo. L'umidit residua della pioggia pomeridiana rende l'aria pi densa, per cui le luci si spostano e si diramano da una microrifrazione all'altra pastellando l'intero orizzonte visibile. I colori e le sagome subiscono una sfocatura. Le squallide palazzine abusive, i fabbricati con le loro ciminiere, i pali elettrici sgretolati o coperti di ruggine assumono una personalit rassicurante; addirittura un sapore di casa. E tutto questo dipinto racchiude un momento di fame. Padre Sebastiano ha fame. Nel culmine del momento in cui Matteo l'omino fagocita il pene bestiale fino in gola, fino a schiacciare il naso contro un pube nero che sa di cuoio di scarpa, il minotauro si volta verso Padre Sebastiano. Con un cenno della testa lo invita al pasto. Sebastiano siede su una roccia fredda e non risponde al gesto della creatura; prosegue la lettura del Vangelo, smarrendo ad ogni riga nuova il senso di quella precedente. Leggere nel cuore della notte pu essere senz'altro difficile, ma in quella zona giunge un debole riverbero dell'illuminazione di confine. Sebastiano legge in uno stagno di luminosit opaca ma non pu fare a meno di sorprendere ora Matteo in piedi a sbottonarsi i pantaloni nervoso e impacciato. Il minotauro lo aiuta accovacciandosi: le sue mani grosse e venose hanno pi gesti e sapienza di quel bambino di sessantadue anni. Sotto la pancia bianca, la creatura nera trova finalmente i genitali di Matteo, pronti per essere mangiati. Le labbra del minotauro aspirano per intero quei ciondoli piccoli e inerti. Gli viene da ridere. Con la bocca ingombra pronuncia a se stesso, in portoricano, spagnolo, o cos'altro, che quelle cose hanno anche sapore di mollusco. Padre Sebastiano torna a leggere il Vangelo. Sebastiano ha fame. Ha molta fame. Il freddo aumenta. Prima di poter mangiare deve aspettare che Matteo finisca. Il minotauro, adesso accucciato a suggere le carni amorfe di Matteo, libera a terra una sprezzante cascata di urina mugolando per il sollievo. Matteo si stancato. Adesso il momento di muovere la mano. Cerca qualcosa nella tasca posteriore dei pantaloni. Poi, da sotto il mento sino all'orecchio taglia in profondit, con straordinaria sicurezza, il collo del minotauro. Al taglierino, la carne risponde con un suono delicato di stoffa lacerata. Stridio modesto e rantolo pietoso e soffocato della creatura. Reciso uno dei due muscoli portanti del collo, la testa del minotauro crolla innaturalmente di lato mentre il possente corpo abbandona al suolo tutto il suo peso; nessuna parola. Padre Sebastiano accorre chiudendo di colpo il Vangelo.

Matteo arretra d'un passo e resta in silenzio dietro i suoi occhiali nebbiosi; ai suoi piedi sull'erba c' il minotauro, rannicchiato nella pozza di urina gi in parte bevuta dal terreno. L'omino si sposta alle spalle del parroco che si appresta a sostenere gli ultimi respiri del minotauro, e le ultime volute della sua coscienza. Il volto della creatura ora tra le mani bianche di Sebastiano e i suoi occhi puntano al cielo. Un sorriso tenta di farsi strada tra lo sgorgare del sangue. Il minotauro trema e scalcia, vuole trattenere la vita a s, persino quella lurida vita: il suo corpo forte, molto forte, non la lascer andare via facilmente ma da combattere c' davvero poco. La sua struttura fisica pu solo ritardare di pochi secondi la morte. Si aggrappa alle braccia del sacerdote. Le unghie si piantano nella giacca, scalfiscono la pelle. La pelle. Padre Sebastiano lancia un grido breve. Poi torna, sudando copiosamente, sullo sguardo del moribondo. I suoi occhi neri non lo guardano. Dentro di essi la consapevolezza della morte vicina, sempre pi vicina. - Perch fai questo, padre?- mormora l'uomo tra le braccia di Sebastiano guardando il cielo. Il parroco piega la testa a raccogliere un pensiero compassionevole, una verit di conforto prima dell'estrema unzione. Rialza lo sguardo con gli occhi coperti di lacrime. La luce notturna e le lacrime operano una pi forte distorsione di tutta la scena. Il suo cuore tripudia. Tripudia. - Io sono-, pronuncia per poi cadere in un singhiozzo di pianto. - Io sono il fegato del mio gregge. Dreno il suo sangue, lo purifico, trattengo le scorie che nella vita i miei agnelli raccolgono di passo in passo. Le tengo per me. Questa la mia gloria terrena. Vuoi pentirti dei tuoi peccati, fratello?-. - Tu, tu es loco. Sei pazzo, pazzo-. - Pazzo di te, agnello mio. Sono pazzo di tutte le anime che come te stanno per tornare a colui che ce le ha date. Muori, fratello. Considerati un eletto, un prescelto, un vincitore. Tu puoi vedere per primo la luce del Padre. Vai, ti prego, io rester qui e assicurer l'ascesa della tua anima. Non temere, non indugiare-. Il minotauro stato abbandonato dai fremiti. Non ha pi forza per parlare. La sua mente si sta purificando, abbandona gli schemi e le sovrastrutture necessarie per vivere al mondo; i pensieri si scatenano dai pilastri del linguaggio, i concetti perdono simboli, numeri, insiemi, sistemi per associazione, similitudini, deduzioni e induzioni, le basi dei processi intuitivi, le equivalenze, proporzioni, nozioni, la codificazione del sentire sensoriale; poi si smarriscono tutte le interconnessioni tra coscienza e incoscienza, tra lo spazio e il tempo; tutto si scioglie in semplici immagini, le immagini diventano scariche cromatiche, nebbioline gassose di rosso, giallo, blu, fino a implodere in un mutismo intellettivo che la linea piatta di un grafico elettrocartesiano. Mentre questo processo scorre tra gli ultimi battiti cardiaci del minotauro, i suoi occhi sgranati fissano quelli di Sebastiano, immobili su di lui, contemplativi. Un volto marmoreo che spicca dalla tonaca nera come una lapide. Per il minotauro, quella la faccia della propria morte. Anche Padre Sebastiano vede la morte, vede la morte vestirsi dello sguardo sempre pi cieco dell'uomo, tenendo ancora tra le mani quel volto caldo e inespressivo. L'estrema unzione viene data mentre Matteo si affretta verso l'auto e torna con una capace damigiana di vetro in mano. Con lo sguardo, Sebastiano adesso affonda nelle pupille disconnesse del Minotauro, scruta le profondit abissali di un mare spento. Un baratro lasciato dalla storia di un uomo, di un'anima sublimata in qualcosa che forse pu essere il nulla. Le mani del sacerdote sostengono adesso un volto privo di tono. Un sacchetto di argilla. Il cadavere comincia a scivolare dalla presa, scivola da qualsiasi possibile risposta verso il mondo dei vivi. Carne morta. tutt'altra materia. L'esistenza, il processo vitale fluito altrove, tra un palmo e l'altro delle mani di Sebastiano. Un fruscio rapido. Matteo fruga nella borsetta del minotauro, si riprende i soldi. Padre Sebastiano arretra stringendo il Vangelo al petto. Sa gi cosa sta per accadere; nonostante il suo amaro compito sia concluso, il turno di Matteo per la messa a punto finale dell'operazione. Sembra stupido, l'omino, ma innatamente meticoloso nel far sparire ogni minima traccia che possa ricondurre a lui e Padre Sebastiano. L'odore rivoltante, anche se la manovra non affatto nuova per entrambi. Matteo diventato molto pratico in quel genere di cose, arduo per Padre Sebastiano familiarizzare con gli effetti dell'acido cloridrico sulla carne. Benedicendo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Padre Sebastiano scongiura la dannazione eterna per quella misera salma; altrettanto fa per il misero Matteo che, con espressione imperturbabile, lava il cadavere da eventuali impronte. Matteo gli innaffia il volto, i genitali dove

depositata la sua saliva, quindi i vestiti. Con un ramo grosso fa rozzamente leva tra i denti e gli schiude la bocca per colmarla di acido, affinch venga disciolta persino l ogni prova organica del passaggio del proprio corpo. Il minotauro brucia, liberando vapori che fanno tossire Matteo. I liquami dell'azione chimica colano dal corpo verso terra come cera di una candela; fuoco senza fiamme, senza luci che possano turbare il delicatissimo equilibrio epidermico e oculare di Sebastiano. L'animo del prete indubbiamente scosso. Agli antipodi, l'agire di Matteo assieme alla sua mimica facciale sono totalmente disabitati da coinvolgimento emotivo. C' qualcosa di epicuro nella dissociazione psichica del bambino sessantaduenne. Sebastiano lo benedice. Lo benedice. La notte ancora piena quando i due fanno ritorno a casa. Matteo sereno. Senza badare troppo alla sua inespressivit sommaria, in quella faccia da bambino troppo cresciuto molto semplice far calzare la ferocia sovrumana di cui capace. Sa come adescare una preda umana, abbatterla e gestire l'occultamento delle prove. Un'attitudine complessa ma sorprendentemente semplice, per Matteo. Chiunque lo immaginerebbe incapace di annodare uno spago. un maestro del crimine votato all'innocenza. Non lo fa per gusto: il suo unico modo di entrare in contatto amoroso con alcune persone, quelle che gli piacciono, e con queste trovare completamento per la sua sfera sessuale. Matteo si riproduce nella loro distruzione fisica, con cui ha occasione di sentire di esistere, provare un amore cos grande da annientare qualsiasi barriera interposta tra lui e un qualsiasi oggetto delle sue brucianti attenzioni. Tra poco andr a dormire, non prima di aver sostituito nella sua officina i copertoni dell'auto, che saranno rivenduti a un certo gommista di sua conoscenza. Grazie a Dio nessuno ha nulla da dire. Ci che conta che anche stavolta la missione sia conclusa prima delle luci dell'alba senza incontri con pattuglie della polizia. - Che tu sia sempre benedetto, Matteo-, si congeda Padre Sebastiano mentre scende dall'auto. All'alba, Padre Sebastiano attraversa la strada, entra nel suo palazzo a grande velocit. Fuggendo dall'esposizione alle luci artificiali dell'atrio e dei corridoi. Deve affrettarsi anche per le scale, tre piani a piedi, poich sulle pareti si snoda una litania di faretti cocenti in ferro battuto. Il palazzo un'antica costruzione del quartiere Copped e la sua peculiarit sta tutta nell'illuminazione abbondante e fastosa. una fuga continua. Dovesse mai di giorno uscire di casa, invece, Padre Sebastiano sarebbe incenerito dalla luce generosa e soffocante che si rovescia nelle scale e sui pianerottoli attraverso enormi vetrate che permettono il proiettarsi della luce diretta del Sole. Al sicuro dentro la sua casa, Padre Sebastiano pu iniziare a godersi il rasserenamento dell'animo. Adesso non ha pi fame. Il suo ingresso in casa ha fatto vacillare tutte le fiamme delle candele. Si siede allo scrittoio. Depone il Vangelo. Per un lasso di tempo imprecisato si scruta le mani. Strisciate di sangue ormai coagulato sui dorsi e sul palmo. Le dita imbrattate. Ha repulsione del sangue. La carcassa del minotauro lontana, diventer presto archeologia materiale e concettuale; soltanto Dio rimasto con lui, o almeno cos si spera che sia. Nessun rumore? Nessun rumore. Tra poco sar giorno. Ma non per la casa di Padre Sebastiano. Le finestre sono sbarrate da grandi ritratti di San Sebastiano martire. In uno di essi il santo soffre dei dardi conficcati nella carne. E proprio come una freccia piantata nel torace, arriva per il prete uno dei momenti meno amati della sua sofferta vita. Beatificazione? Miracolo? Stimmate? O pi semplicemente fenomenologia cronica? Ecco che si agita dentro di lui quel grande mistero. come una grossa pietra che invade i suoi polmoni e che l'organismo cerca di sgretolare a colpi di tosse. Sebastiano sente strapparsi dentro, sente tirare da ogni direzione, sente l'attrito della carne con qualcosa di siliceo, sabbia, grani di terra, ghiaia. Sebastiano si alza dallo scrittoio, arranca verso il bagno piegato in due come avesse una pietra legata al collo. A ogni passo l'invasore del suo petto, il parassita, l'intruso si agita: svegliato dalla crisi, adesso al pi piccolo movimento scocca vette di sofferenza che solo la morte potrebbe lenire nella maniera migliore. Cercando di soffocare i lamenti, di sopportare la purificazione in nome di Dio, Sebastiano si lascia percorrere da quel po' di materia estranea che intende lasciarlo libero salendo su per la trachea, oltrepassando corde vocali, laringe, per invadere bocca e fosse nasali e venire finalmente alla luce.

Quel travaglio vale molto la pena, pensando a ogni volta che Sebastiano si trovato faccia a faccia col proprio ospite: l'aspetto di quella roba non somiglia a nulla che possa sfacciatamente abitare il corpo umano. Sebastiano rigetta sul lavabo, dopo sforzi e sforzi, dolori, conati di sangue. Poi, la strana defecazione resta composta l, in una pozza di lacrime, bava e plasma venoso. Lucente argilla nera, granulosa, organica o inorganica non dato sapere. Sembra carbone lunare, grafite ossea, inchiostro di ragni e salamandre in polvere. Padre Sebastiano la conosce gi, pur non sapendo nulla di essa. La sente parte di s come la sente estranea. Non sa cosa sia, di cosa sia fatta. Di quel travaglio resta solo un dolore pesante nel petto e una pulsazione sorda concentrata nei seni frontali. Nella gola un retrogusto polveroso, alcalino. Con molta lentezza, le sensazioni generali tornano alla norma; Sebastiano lo sa, deve solo avere fede e pregare. Mentre il sacerdote attende il sollievo dopo l'espulsione, certo che il ciclo almeno per ora sia esaurito, osserva il suo prodotto e lo danna e lo odia. Le costole sono doloranti per il lavoro compiuto e le mucose provate, irritate. Allora, una stimmate? Un tumore dei polmoni? Il frutto dei propri peccati? Se avesse coraggio di uscire di giorno andrebbe a farlo analizzare. Un peccato grottesco e ateo, decisamente. Ma tutto parte di un grande disegno, il marcio universale, l'altra dimensione di un'esistenza dedicata alla salvazione, alla preghiera, al servizio di un Dio assassinato dalla sua stessa progenie. Sebastiano pu abbandonarsi al pavimento, spossato dall'espulsione. A quando il prossimo ciclo? Sar l'ultimo, quello definitivo? Che cosa lo aspetta, da questo preciso momento? Cosa c' nell'altra stanza che si sta muovendo, adesso? Qualcuno traffica nella sua biblioteca. Forse mette le mani tra i libri, legge fogli di appunti sparsi per lo studio. Forse una persona sola, forse due. - 'Nghre- sente sussurrare Sebastiano. Quella piccola scheggia di voce gli va a pungere il cuore. una parola smozzicata, suonata breve come se qualcuno fosse passato di l ad alta velocit parlando. Sebastiano si distende sul letto dopo un'ora, un'ora e mezza. Ha atteso il silenzio totale, in piedi tra le ampolle di luce dai candelieri, sino alla certezza che nella casa non ci fosse realmente nessuno. Nessuno ha pi parlato. La sua mente ha continuato a parlare, invece, rimestando terrore fino alla pace del sonno. 'Nghre, 'nghre, 'nghre, 'nghre, 'nghre, 'nghre, 'ngh. Un tuono lo sveglia. Trafitto da una lancia di fame che gli pulsa dentro tutto il corpo non appena riprende conoscenza. Il rosario tra le sue mani, mentre la testa luminosa delle candele accese oscilla per il vento che si muove nella casa. Anche San Sebastiano sulla finestra dondola sospinto dalla corrente d'aria. tardi, per la funzione. Il Sole gi calato. Non si possono tradire i fedeli. Sebastiano ha fame, una grandissima fame. Prima i vespri, dopodich il mangiare. Piove. - Pozzanghere-, sussurra tra s e s scendendo in strada. Le luci lampeggianti lo disturbano, ma forse vale la pena avvicinarsi. Sono le quattro e sedici del mattino. Padre Sebastiano si trova sulla via Nomentana. A duecento passi, tre auto si sono scontrate all'incrocio con viale Regina Margherita, dove perdono la vita un mucchio di persone a piedi o in motorino. Nonostante l'ora, un folto drappello di persone si raccoglie per degustare la scena. - Lasciatemi passare, lasciatemi passare-. Per la fame, ha parlato digrignando i denti. La polizia cerca invano di allontanare i curiosi ma la ragazza distesa al suolo non pu che essere potente attrazione. Gli altri coinvolti nell'incidente sono soltanto feriti, lei volata fuori dell'auto e ha la volta del cranio aperta come un libro. Ha perso conoscenza, ma ancora in vita. Pochi attimi. Nel freddo della notte, il calore della sua materia grigia fuma via lingue di condensa. Gli occhi azzurri sembrano fissare qualcuno o qualcosa, ma in realt tutto disconnesso, in lei. Tranne il cuore. - arrivato appena in tempo, padre. La perderemo tra un istante o due. Per me non la prima volta-, sospira un poliziotto che tasta il polso alla ragazza. - Benedico la tua anima in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, rimetti, o Signore i suoi peccati, liberala dal male, concedimi questa intercessione, padre mio, poich questa figlia tua non in grado di intendere e di volere-. La unge.

Sebastiano si prostra alla moribonda, in ginocchio sulla sua pozza di sangue. Il sangue lo urta. Posa una mano sul suo cuore in rallentamento, mentre da lontano suona la sirena di un'ambulanza. Prosegue nel sacramento dell'estrema unzione in silenzio, con gli occhi che bruciano di lacrime e la pelle che brucia sotto l'illuminazione artificiale dell'incrocio. Il cuore smette di pulsare. Nell'istante in cui quel primo e unico non battito di morte arrivato, Sebastiano serra il pugno e si lascia irrorare le membra di un calore a lui noto ma privo di volto. L'anima della ragazza salva. Ormai, quella a terra solo una vecchia casa demolita da seppellire per sempre. Sebastiano appagato. Si rialza. Una sensazione di ebbrezza fa rollio nella sua mente. - Padre, penso sia meglio che ora lei vada a riposare. La ringraziamo per il suo intervento-, sussurra il poliziotto, conducendolo fuori della cordata di curiosi. - Vorrei che non ce ne fosse mai bisogno-. - Gi. Ma... mi permetta... una curiosit. Che ci fa un sacerdote in giro a quest'ora della notte con gli occhiali da sole? Sicuro sia tutto bene? Posso esserle utile in qualcosa, padre?- chiede il poliziotto. - Non sopporto la luce, i miei occhi non sopportano alcun tipo di luce. Sono fotofobico e inoltre non riesco a dormire, cos spesso medito fuori casa-. - Anche se fa freddo?-. - S, fa un po' freddo. Ma non importa-. - Ha il volto pallido. Mangiamo qualcosa assieme, padre?-. - No, grazie. Avevo fame ma ora passata. La ringrazio. Dio la benedica, fratello-. Il suono del suo parto un gorgoglio cavernoso, quello di un laboratorio intestinale di suino. Il fungo nero sta ribollendo nei polmoni pronti a espellere un nuovo ciclo di dolorosi pezzi, detriti brucianti attraverso la trachea che implora piet. La pressione all'interno dei globi oculari cresce pericolosamente, ma Sebastiano sa che il livello di guardia ancora distante. Si possono compiere ancora altri sforzi senza correre rischi. L'importante la pelle, l'importante tenere sotto controllo la luce. Forse bisogna eliminare qualche candela, poich la soglia della tollerazione si abbassata per qualche oscuro motivo. Il ciclo compiuto. Al centro del lavabo, quel viscido espulso. Dopo essere stato violentemente tossito fuori, sembra volere la sua parte di riposo e quiete. Padre Sebastiano lo guarda con gli occhi arrossati che nuotano nel pianto. Dagli angoli della bocca verso l'escremento, cime di bava che vibrano al suo respiro libero. La luce tenue delle candele danno allo spurgo un aspetto di male dormiente. Sebastiano ha quasi un moto affettivo per quella sozzura. I polmoni bruciano. Meritato riposo. Bisogna sistemare il letto. Tra poco l'alba. Padre Sebastiano nervoso. La sua vecchia stanza da letto troppo grande, troppo ampia. La misura dello spazio comincia a dargli ansia, gli mozza il respiro come se gi non avesse abbastanza complicazioni respiratorie. Improvvisamente non sopporta pi l'idea di dormire nella stanza dell'orologio a pendolo, eccessivamente spaziosa: troppa aria intorno. Chiudere gli occhi in un grande abisso vuoto un orrore che nessuno potrebbe sostenere. Neanche un valente pastore di Dio. Che ad occhi chiusi non vede la sua luce. C' la biblioteca. Lo spazio chiuso nella biblioteca pi esiguo. Sebastiano sposta deciso il suo lettino verso la stanza dei libri. Dove l'odore dell'aria pi densa. L'odore della carta stagionata rassicurante, sar un buon giaciglio di pensieri, opere, testimonianze, scibile, uniche luci in grado di non offendere gli occhi, n la sua pelle fragile. Rosario stretto al petto, Sebastiano si distende al centro della biblioteca. Si lascia sovrastare dai ripiani della libreria, commuovendosi al ricordo dei suoi profondi e sacrificali studi. Si rivede ragazzo, su ognuno di quei libri, rivede Jacob il suo gatto nero estinto. Ripercorre con la mente le canzoni di quel tempo. E si addormenta, dopo aver creduto di vedere un'ombra sgusciare via alle sue spalle. C' qualcuno, in casa. C' sempre qualcuno. L'appetito lo sveglia quasi ferendolo a morte. Ogni giorno che passa sempre peggio. Siamo quello che mangiamo e Sebastiano scende in verticale dentro se stesso a maggiori profondit, in un buio dove nessuna luce, per quanto grande, potr mai vulnerare la sua carne, il suo organismo. Ha fame, ha sempre pi fame. Pi si nutre e pi voluminosa la capienza per il suo prossimo pasto. Pi cresce la fame, pi desidera fuggire gli spazi vuoti. Ed per questo che oggi Sebastiano non si fida pi nemmeno dell'aria libera nella biblioteca.

Si sveglia boccheggiando a causa della grottesca consapevolezza di aver dormito in un luogo cos grande. Il peso granitico dentro i polmoni sta l, ponderoso. Ma c' bisogno di spazi pi ristretti dove riposare, affinch la pressione atmosferica possa tenere l'intruso nei polmoni sotto migliore controllo. Oggi Sebastiano in anticipo sull'orario dei vespri. Corre in bagno ugualmente. Allo specchio d'argento, il suo volto scarnito, la fame chiama cibo, chiama cibo. Chiama cibo. Sapone, acqua, rasoio affilato. Oggi va fatto. Va fatto. L'acqua tiepida. Il rasoio sul collo taglia la barba ispida. Fa molto male. Sembra staccare la pelle. A ogni pelo rasato corrisponde un ago infitto nel collo, nelle guance, nelle gote, nel mento. Tra fame e rasoio, Sebastiano tempestato di dardi come il suo martire omonimo. Sebastiano piange per il dolore e la paura. Si spoglia dinanzi allo specchio e vede il suo corpo splendente. Lava tutto, con cura. Sotto le carezze dell'acqua, le membra sono prosciugate dalla fame, dal desiderio di cibo. Le membra sono affamate, libidinose al pensiero del cibo; spalle, deltoidi, pettorali, bicipiti, tricipiti, addominali, dorsali, tutti i muscoli sono affamati, vogliono montare, possedere cibo, fotterlo, ciascuno di essi, a turno. Cibo, cibo. Cibo, Dio santo. Cibo sino a scoppiare. C' qualcuno che si muove di l, ma non importa, non importa. Non importa. Interno Policlinico Umberto I. Ore 3 e 30. - Mi dica, padre-. - Sto cercando un malato grave. in fin di vita. Devo dargli l'estrema unzione-. - Ho capito di chi sta parlando, anche se posso dirle che ce ne sono altri. Oggi una brutta nottata, se ne andranno in quattro. Venga con me. Trover i parenti pi stretti-. - Lo so-. I corridoi dell'ospedale sono puliti e le luci alogene coi neon rendono brillante ogni maledetto angolo. - Come mai non toglie gli occhiali da sole, padre?-. - Sono venuto da poco, a Roma, e non sono ancora molto conosciuto. Ho sviluppato a vent'anni una grave forma di porfiria. Se mi va bene, la luce mi danneggia la pelle. Se va male, pu paralizzarmi il sistema nervoso, ma... mi scusi, non c' bisogno che lo spieghi a lei-. - Si figuri, padre. una malattia molto rara-. - Grazie a Dio, la Santa Sede ha provveduto ad affidarmi funzioni serali. Non ho mai pensato di smettere i voti. Posso operare la mia missione di notte. Dio sempre sveglio, dentro di noi, attorno a noi-. - Bene, la stanza questa. Se vuole, mi chiami, la condurr dagli altri. Chieder alle loro famiglie, ma so gi che avranno bisogno di lei-. - Come io di loro, figliolo-. - Quando invece avr bisogno di me, possiamo parlare di lei, padre, quando vuole. Ma lo faccia-. Le luci della stanza sono regolabili. L'infermiere ha premura di abbassarle fino al gradimento del sacerdote. Poi chiude la porta. Irnerio sta spirando. Nei suoi minuscoli occhi entra la figura di Sebastiano. Irnerio sorride. Sa che pu pentirsi in tempo. Si lascia prendere la mano dal prete. Si umetta le labbra secche con un giro della sua lingua violacea, chiude gli occhi per concentrare le ultime forze sui pensieri e le parole. - Padre Sebastiano, sono un codardo. C' posto per i codardi? Per i maiali schifosi? Adesso che ho paura, potr mai essere perdonato?-. - Se nelle tue intenzioni, figlio mio, s-. I due continuano a sussurrarsi all'orecchio. Alcune parole giungono disarticolate a Sebastiano, ma non ha importanza. I familiari di Irnerio sospirano di sollievo. Chi ha vissuto parte dei cento anni della cattiveria di Irnerio pu continuare a vivere in pace sapendo che qualcuno ha messo la sua anima nelle mani di Dio. Poich nessuno in terra perdoner quel vecchio, poco ma sicuro. Dopo averlo unto, il sacerdote lo tiene ancora per mano e con l'altra gli offre il palmo su cui deporre la guancia. Irnerio si abbandona alla carezza, scoprendo in fatale ritardo il piacere grandioso di un gesto cos elementare. Gli sfugge una lacrima che va a finire tra le dita di Sebastiano. stanco. Un secolo di cattiveria lo ha devastato. Vuole riposare, ora. Vuole deporsi nelle mani di quell'uomo, su cui fin che stato vivo

avrebbe sputato volentieri per la sua veste e quello che rappresenta. Ora invece chiude gli occhi e scende gi, verso il basso. Si inabissa in acque dolci, tra le mani di Sebastiano. Per un attimo ha la sensazione di deragliare nel calore del sacerdote, perdendosi dentro di lui. Poi non pensa pi a nulla e muore. Sebastiano, protervo sul trapassato, prega, prega in silenzio. Una mano sul volto dispento. Poi si alza. Saluta e benedice la famiglia. Li lascia a un modesto dolore. Si affretta nelle altre stanze. Ci sono tre anime in partenza. Deve seguirle tutte. La sua mente lucida. Le sue membra desiderano. Esce dall'ospedale completamente ubriaco. fuori di s ma felice. Anche se dovr scontare duro, per quella gioia. Lo sa. C' un prezzo di dolore da pagare. Non si scappa. La crisi lo sta riducendo a un animale, belva feroce. La notte lunga, il suo parassita lavora sodo per autoespellersi dalle cavit polmonari. Sebastiano tossisce spore granulose di polvere, forse pirica, forse combusto umano. Ciottoli a volte ruvidi, a volte levigati. Sente il suo inquilino spezzarsi dentro in pi parti, sente le scaglie vagabondare prima di prendere la via d'uscita. L'espettorazione violenta. Sebastiano cosparge il bagno di materia nera, chiazzando il pavimento attorno a lui. un inferno, un inferno. In questi momenti, coi suoi rantoli, le sue bavose vocalizzazioni telluriche gli sembra di mutarsi in qualcosa a met tra un lupo e un orso, un cinghiale e un licaone, un drago e un ghepardo. Peli e branchie sul collo, pinne e squame sulla schiena, capelli lunghi fluenti da tutto il corpo. Col pensiero che dovr cercarsi una stanza pi stretta dove dormire; una stanza pi stretta. La prossima stanza. Ma quale? Interno ripostiglio. Nella mente si accendono pensieri che non sono pensieri, visioni che non sono pensate. Pi un baluginio di riflessioni, bordate di immagini che stanno per rovesciarsi in sogno vero e proprio, facendo altalenare l'animo. Odore di legno vecchio, utensili domestici, lucido per scarpe, scarpe vecchie, prodotti chimici vari. L'aria densa, l'unica posizione la pi scomoda: ora lo spazio ristretto ottimale per conciliare un buon sonno. La porta con gli stipiti e il pavimento non concedono spiragli di luce e aria. Sar un sonno uterino. A terra in posizione fetale, il parassita dei suoi polmoni sar impossibilitato nei movimenti. Unico a muoversi un rumore delicato. Probabilmente una farfalla notturna che cerca dove posarsi. Probabilmente una tarma che rosicchia legno o carta. Probabilmente nulla di tutto questo. Sogna o ricorda una notte di tanti anni fa. Ha paura. Sente la paura fare alta e bassa marea dentro il corpo paralizzato. L'ultima volta che aveva dormito con una donna. Non vede il suo volto, non lo ricorda. - Non tremare, Sebastiano-. - Stai tranquillo, non tremare-. - Non tremare-. Pi grande stato il suo pasto, maggiore lo spazio che gli resta vuoto dopo la digestione. Sebastiano si sveglia agonizzante. Si spoglia, deve controllare se il suo corpo ferito perch il suo senso di fame lo porta a credere tanto. Allo specchio d'argento i morsi della fame sul volto, sul torace. La sua nutrizione lo consuma fino alle ossa invece di fabbricarlo. una spirale. Matteo, Matteo. Dove mai finito? Ai vespri non si pi presentato, scomparso persino dai paraggi della parrocchia. Padre Sebastiano vuole fare un giro con lui, alla ricerca di qualcuno. Anche Matteo avr bisogno di qualcuno, stanotte. Dove quel bravo figliolo? Sebastiano lo cerca disperatamente, trinciato dagli assalti della fame. La fame una lama che lo divide in due, non pu farla aspettare pi di tanto. Sotto casa di Matteo non c' la sua auto scassata. La sua abitazione ha i sigilli della polizia. Sebastiano riesce a entrare nella palazzina. In cima alle scale, la porta di Matteo; aperta, qualcuno ha tagliato i sigilli e poi l'ha sfondata. Non c' una sola cosa al proprio posto; per quanto ci fosse da sequestrare e rubare, il caos ha cancellato la minima traccia di vita e dignit, tra quelle mura. La vista annebbiata, la fame intollerabile. Il vuoto di cibo permette ai pensieri di formulare frasi dalla disinibizione pericolosa.

- Moriresti per me?-. - Padre Sebastiano, cosa sta dicendo?- sogghigna Walter, uno dei fedeli. - tardissimo, padre. Andiamo a casa. Se no i miei fanno il solito casino-. - Facciamo un giro nel parco, Walter. Tu hai bisogno di espiare molte colpe-. - Facciamo un... cosa?-. Il ragazzo comincia a preoccuparsi. quel filo di voce che esce dalla bocca del suo amato prete a metterlo in guardia. L'alito fetido dell'uomo lo fa pentire di essere salito sulla sua auto. L'euforia del concerto a cui ha appena assistito scomparsa. Don Sebastiano non in s, gli accaduto qualcosa. Perch venuto a prenderlo al concerto? Chi glielo ha chiesto? Come ha fatto a trovarlo in mezzo a tutta quella gente? L'appetito sviluppa l'olfatto. - Sei un disdicevole ipocrita, Walter. Vieni in chiesa a pregare mentre il tuo vero dio quella spazzatura che ti inietti nel sangue. Mi fai schifo, fai schifo a tutto il quartiere, oltre che al nostro Signore. Stai fottendo la vita che Dio ti ha donato. La Madonna ha sofferto per te nel metterti al mondo e tu la fotti, la vita, la ricopri di merda. Te ne rendi conto di essere uno sporchissimo ipocrita?-. - Don Sebastiano, si faccia gli affari suoi. Ho i miei motivi per pregare e bucarmi, lo sa-. - Proprio per questo ti sto chiedendo di morire-. - Tu sei pazzo-. Dio, quante volte gliel'hanno detto. - Muori, muori per me, figliolo, io ho fame, ti prego-. Muori, muori, muori, ti ho detto di morire. Il ragazzo lotta, fugge dalla macchina di Sebastiano. Sebastiano non riuscito a ucciderlo. Gli avrebbe dato l'estrema unzione. Invece adesso tutto perso, tutto sprecato. Quando l'eroina star per fulminarlo lui sar altrove e nessuno purificher l'anima prima che sar morto. E Sebastiano non ha mangiato, non ha mangiato. Walter fugge via nella notte, diventando un fazzoletto in lontananza spiegazzato dal vento. Un fantasma. Sebastiano scende dall'auto. pi facile a piedi. Ci sar qualcuno, per le strade. Anche se notte fonda e fa freddo. L'autunno corre. Padre Sebastiano corre. La notte gli corre fra i vestiti, fra i capelli. L'aria brucia nel naso, la fame brucia nelle membra. Il suo desiderio si trasforma in furia. I lampioni nella via sono una doccia intermittente di fuoco che alimenta dolore e forza di inerzia nella sua galoppata verso il cibo, verso qualunque cibo, il prossimo cibo, il prossimo. I polsi e le tempie, la milza gli pulsano a raffica, ma ha la sensazione di volare. No, non pu uccidere, contro il comandamento di Dio. Possibile? Possibile che non ci sia nessuno che stia per morire, stanotte? Qualcuno deve morire, morire, morire. Morire. Che intuizione geniale. Morire. Tra una pozza di luce e l'altra, Sebastiano si getta al suolo, prono. Bacia la terra, mentre i polmoni aspirano ossigeno, ossigeno, ossigeno e polvere. Sebastiano ride, ride, ride, non pu che ridere a ci che ha pensato. L'appetito stuzzica l'ingegno. - S, sono pazzo, pazzo. Letteralmente, incredibilmente pazzo. un miracolo, un miracolo, Dio benedetto!-. cos felice da rotolarsi a terra, le gambe dolenti dalla fatica. Ha corso per tutta la citt e ora in periferia nord, verso i boschi della via Cassia. irrimediabilmente solo. C' odore di resina, c' aria fredda. La soluzione a pochi passi, lo aspetta. Il cielo della notte un vetro affumicato. Il cimitero di Prima Porta ha un cancello facile: per Sebastiano un salto irrilevante. Qualcosa sguscia alle sue spalle, ne ha visto la sagoma scura con la coda dell'occhio, ma non importa, non c' tempo. Sebastiano ha scelto il prossimo donatore, ne muore di bramosia. - Non c' tempo, fratello. Sono chiamato, sono chiamato, perdonami, non c' tempo-, farnetica Sebastiano spalando la terra con pala e piccone, dopo aver spostato la leggera pietra tombale richiedendo lavoro a tutti i suoi muscoli. Contrariamente al suo bisogno di cibo la forza pu scorrere in piena. La pala d'acciaio dopo un'ora di scavo trova il feretro. Schioda la bara, la libera da ci che resta dell'ospite, la issa fuori del fossato. Col piccone forza la serratura di un piccolo cancello e spinge la bara fuori del cimitero, per portarla nel cuore del bosco. L'alba tra poco.

La fame un vuoto interiore che lo risucchia. Il feretro trascinato su foglie, radici, pietre. Sebastiano trascina il suo giaciglio perfetto; un uomo allo stremo. L'impresa lo ripagher di tutto. Il pensiero di tossire il suo intruso decennale si rivela vago, alla luce della sua definitiva risoluzione. Una quercia secolare. Si innalza su una grossa spalla di terra, sovrastando una depressione del terreno che va a perdersi nel buio, nel bosco profondo. In questa spalla, una grotta scavata e abbandonata forse da qualche barbone pellegrino da o verso la citt. Non c' bisogno della luce, n della minima candela. Il buio il miglior dio sulla terra. Sebastiano infila nella grotta bara e coperchio, poi fa ingresso anche lui. Lo spazio angusto sufficiente sia per organizzarsi che per dormire nella pace necessaria. - Questa stanza fatta per me. Dio, ti ringrazio-. Sebastiano prende dalla tasca il coltello con cui aveva tentato di uccidere il suo giovane amico Walter. Lacera la manica della giacca e della camicia. Poi taglia le vene dal gomito al polso, passando per i muscoli flessori dell'avambraccio sulla grande vena basilica e cefalica. Si unge. - Ho intenzione di purificarmi di tutti i miei peccati, o Signore. Fino a ieri ho vissuto cibandomi della morte dei miei simili, da oggi mi nutrir del mio stesso trapasso. Un circolo perpetuo che non toccher pi nessuno all'infuori di me. La purezza assoluta, la pace eterna. Questo silenzio cos bello, Dio. Una volta sfamato mi uccider ancora. il pi grande gesto d'amore che io possa fare per te, il mio, il tuo gregge. Quindi mi benedico nel nome tuo altissimo, nel nome di Maria e del frutto del seno suo Ges. Da oggi e per sempre, cos sia-. Mentre nel bosco prendono a spargersi le prime luci dell'alba, Sebastiano crolla addormentato. A occhi chiusi, gli cade dalle dita il coltello con cui stava incidendo una scritta nella volta del suo piccolo antro. Ama il prossimo tuo come te stesso, sebbene sia tu il primo dei prossimi di te stesso.

FIOCCO ROSSO Garbero Davide Fiocco rosso - 2009


Era una notte di luna a falce, fredda ma chiara. Un vecchio Maggiolone con la capote aperta inchiod nel parcheggio dell'ospedale della Santa Croce, slittando con le ruote posteriori fin quasi a rovesciarsi. Dal fumo che si sollevava dalla sua scia emerse un esangue uomo in nero, dal volto spigoloso, gli occhi elettrici e i denti scintillanti. Si fiond verso l'ingresso correndo lungo le strisce nere degli pneumatici, liberandosi del lungo mantello che gli impediva la corsa. Appoggi le mani alle ginocchia per succhiare un paio di lunghi respiri, poi inform il mondo con una vocetta stridula. - Mia moglie sta partorendo! Presto, una barella!-. Un'infermiera si godeva la sua pausa-sigaretta sotto la luce bianca di un lampione. Era bella come un roseto e con uno sguardo altrettanto spinoso. Gett la cicca, si strinse il golfino sulle spalle e scomparve all'interno della struttura. - Grazie, signorina...-. L'uomo ritorn di corsa al Maggiolone e apr la portiera alla sua donna. Appena tirata la maniglia una cascata di sangue spesso e scuro gli rovin sulle scarpe lucidate. - Mi fa male, malissimo, porca puttana eva troia, zoccola e vacca!-. La donna tentava di trattenere i fiotti di sangue premendosi il vestito zuppo fra le cosce, ma ormai tutto l'abitacolo ne era invaso. - Tranquilla, tesoro, amore mio... siamo arrivati, lascia che ti aiuti...-. L'uomo cinse la donna per aiutarla ad alzarsi, ma questa era troppo impegnata a berciare di dolore per potergli offrire la bench minima collaborazione. - Stupida faccia di cazzo, potevi parcheggiare davanti all'ingresso!-. - S, certo, hai ragione cara, scusami tanto...-. - Muoviti invece di lisciarmi il pelo, coglione!-. L'uomo, mitragliando dei "certamente", dimentico della portiera aperta, si rimise al volante, cercando di ignorare lo sgradevole calore appiccicaticcio che il sedile infradiciato gli trasmise. Ingran la retromarcia, pettinando la fiancata della Passat alla sua destra con la portiera aperta e non riuscendo a frenare in tempo per evitare di distruggere il fanale di sinistra di una jeep. Parcheggi davanti all'ingresso con gran fischiare di ruote, sfidando un paio di pedoni, la tenuta degli pneumatici e un senso unico. Scese dalla macchina, ricordandosi stavolta di chiudere almeno la propria portiera. Dalla rampa a fianco della scalinata d'ingresso riapparve con passo leggero la meravigliosa infermiera, sospingendo una lettiga con le piccole mani smaltate di rosso. L'uomo si dimentic per un momento le urla infernali della sua compagna, immaginando il sapore della carne soda e ben irrorata che si agitava sotto quel camice. - Signore...-. L'uomo sent che tutto il suo corpo voleva rispondere al richiamo di quella femmina, che ora lo guardava con i grandi occhi sgranati, la bocca aperta e un dito puntato verso di lui. Accese un sorriso e flauto un - S?- ...Il freno a mano!-. La macchina gli stava sfilando a fianco, lungo un falsopiano. Riapr la portiera in fretta e furia e tir il freno a mano, mentre nelle orecchie rientrarono sempre pi prepotenti le bestemmie della partoriente. I pantaloni zuppi, incollati al sedere e le gocce di sangue che gli colavano lungo le cosce resero definitiva la condanna alla cruda realt. L'infermiera corse verso la donna, mentre un altro paio di paramedici stavano comparendo dall'ingresso per aiutarla. Appena vide il lago di sangue che sciabordava all'interno della vettura non riusc a celare lo stupore e il disgusto, e il ragliare della donna la trattenne dal soccorrerla all'istante. Attese i colleghi prima di sollevare la partoriente e caricarla sulla lettiga. Il giudizio clinico fu unanime. - Cristo, quanto sangue!-. Qualcuno afferr le maniglie della barella e si lanci verso l'ingresso con gran cigolare di ruote. Gli altri lo seguirono, e tutti scomparvero dietro una porta automatica. L'uomo rimase per qualche secondo impalato, preda di un cocktail di sentimenti quali vergogna, ansia e gelosia. Si disincant e varc anch'egli l'ingresso.

- sua moglie?-. Era veramente sua moglie quell'essere coricato sulla lettiga che urlava volgarit come una scrofa con il sigillo della marchiatura a fuoco premuto sul culo, quel gavettone pieno di sangue bucato fra le gambe, quella matassa di capillari spezzati che affioravano su ogni centimetro della pelle giallastra? - S... beh... lei, ecco-. - Dio dannato, qualcuno tolga questa bestia dal mio corpo!-. Stavano percorrendo a grandi passi il lungo corridoio che portava alla sala parto. - Stia tranquilla signora, pensi solo a respirare, provi a stare un po' pi calma... ha una forte emorragia in corso, se si agita cos pu perdere i sensi a breve...-. - Sarebbe ancora meglio se crepassi per quanto brucia, Cristo!-. I paramedici si scambiarono un'incredula occhiata d'intesa. Non capivano come la donna non fosse gi all'altro mondo, data la quantit di sangue che aveva perso e continuava a perdere sulle lenzuola inamidate che fasciavano la barella. L'infermiera stringeva la mano alla donna mimandole la respirazione pre-parto, gonfiando comicamente le guance. L'uomo ammirava con un sorriso malizioso quelle gote contrarsi e distendersi, mentre progettava di inebriarsi del profumo sprigionato dai suoi capelli. - Lei come si chiama, signore?-. - Ehm... lei io o lei lei?-. - Lei, signore! Come si chiama?-. - Beh, il mio nome non importante, mi dica il suo, piuttosto...-. L'infermiera gel l'uomo con lo sguardo, stroncandogli una risatina strascicata. Tutto a un tratto gli gherm una mano, andandola ad appoggiare su quella della compagna: una manciata di sillabe sibilarono come freccette al curaro. - Si prenda cura di sua moglie, ora, e dichiari il suo nome-. - Ah s, gi, come mi chiamo... il mio nome Vladimiro... Vladimiro Tepes...-. L'infermiera sperava che quel nome fosse l'ultima delle stranezze della nottata. La sala parto si avvicinava. La donna sbraitava sempre pi forte, tanto da non credere che fossero le sue corde vocali a produrre quei suoni. I dottori gi faticavano al sol pensiero del da farsi. - Non italiano, quindi-. - No, rumeno, signorina...-. - Ha documenti, permesso di soggiorno?-. - No, no, per carit non ci servono a nulla...-. L'infermiera declin a una sua occhiata il compito di chiedere il perch non se ne facessero nulla, ma per la fretta lasci perdere. - E sua moglie, invece?-. - Millarca, in Tepes-. - Purtroppo!- rigurgit la moglie, fra un grido e l'altro. - Cara, su, non essere cos agitata... sa, signorina, ha un modo di fare un po' brusco, ma una buona, buona moglie... pensi che nell'intimit la chiamo scherzosamente Millarca il Monarca!-. La mano di Millarca stritol quella di Vladimiro fino a conficcarci le unghie, e mentre lui guaiva di dolore lei, fra una parolaccia e l'altra, trov il tempo di sputargli in faccia. - Smettetela, tutti e due!- tuon un dottore - e lei, signora, per la miseria stia calma!-. Millarca rispose al dottore prodigandosi in un altro dei suoi latrati oltremondani. L'infermiera guardava alternativamente ognuno dei due coniugi, non sapendo se ridere o chiedere aiuto. Vladimiro riusc a svincolarsi dalla stretta della moglie giusto mentre si spalancava la porta della sala parto. I paramedici posizionarono la barella al centro della Sala Parto e i due ostetrici presenti puntarono una grande lampada scialitica sulla partoriente. Gli infermieri uscirono, mentre la giovane che aveva prestato i primi soccorsi rest ad assistere i chirurghi. - Presto, signorina, spogli la paziente e controlli il flusso ematico e la pressione, svelta!-. I dottori si infilarono frettolosamente il camice, la mascherina e i guanti in lattice. Vladimiro, ritiratosi in disparte in un angolo della sala, seguiva con lo sguardo il collo dell'infermiera, che si avvicin a Millarca con reticenza. Rimosse la vestaglia con una forbice, mentre delle gocce di spessa bava giallastra le colavano sul braccio dalla bocca oscena della donna. Le urla trasportavano un fiato pestilenziale, ammorbato da un tanfo di ruggine e digestione. Quando l'infermiera ebbe infine denudato la donna, si lasci sfuggire uno strillo che fece girare i medici di soprassalto. - Brucia, brucia, porca troia, bruciaaaaaaa!-. Rincar Millarca.

Vladimiro assistette con un certo imbarazzo allo spettacolo che stava mettendo a seria prova lo stomaco del personale medico. I seni e il ventre della donna erano gonfi, lisci e tumefatti, scarabocchiati da un reticolo di vene bluastre. Si contraevano e distendevano come la gola di una rana, diventando la cassa di risonanza dei gorgoglianti rumori che si propagavano nel suo organismo. Le mani, le braccia e il volto erano un groviglio di vene pulsanti e gonfie, che sembrava facessero una fatica immane a trattenere la pressione del sangue, o qualsiasi altra cosa vi circolasse all'interno. Una seconda fila di denti stava sbocciando dietro la prima fila, e la lingua si allungava e si appuntiva. Dalla vagina zampillava costante un fiotto di sangue, denso e scuro. All'improvviso Millarca rimpiazz le urla con un rantolo, e si immobilizz. Senza i ruggiti della partoriente il silenzio della sala si fece teso, quasi insopportabile. L'infermiera ne approfitt per vomitare. I dottori rimasero in piedi, impietriti, le spalle al muro. Vladimiro osserv l'infermiera lottare col proprio stomaco. Finalmente dispensato dal trovarla attraente per qualche secondo, si rese conto della situazione. Volse lo sguardo verso gli ostetrici impalati e sorrise loro colmo di costernazione. - Ehm, quando sotto stress fa sempre cos, la mia povera cara... ma adesso su, che aspettate, sta per nascere il mio bambino!-. Il rantolo di Millarca era sempre pi flebile. Il sangue colava sempre pi lento. Il respiro del suo corpo era sempre meno pronunciato. - Forza, signori, fate il vostro dovere!-. I dottori si avvicinarono alla paziente come sotto ipnosi. Non sapevano neanche da dove incominciare. - Intanto io aiuto la vostra collega, signori... la vedo un po' in difficolt-. Vladimiro si avvicin in punta di piedi all'infermiera, che pur di non rialzare lo sguardo se ne rimaneva ansante nell'angolo sporco di vomito. Quando prov a passarle una mano tra i capelli la donna scatt, per poi rannicchiarsi ancor pi su stessa. - Suvvia, signorina, si faccia coraggio... ci sono qua io...-. Uno dei dottori si pose di fronte alle gambe aperte della paziente, con lo sguardo alto e le mani in posizione di resa. L'altro gli rimase a fianco, terrorizzandosi nello sguardo del suo collega. Vladimiro si chin sulla giovane. I capelli erano soffici, dorati e profumati. Se li avvicin al naso adunco, e godette della sua remissivit. Scost la chioma biondissima, e come a teatro il sipario si apr sulla meravigliosa scena del suo collo. - Ecco, deve stare calma... cos...-. L'infermiera prese a singhiozzare, piano. Vladimiro inarc il labbro superiore, esibendo i canini scintillanti. Le si accost alla giugulare, lentamente, con la lingua palpitante e la mascella divaricata. Ma un rumore simile al cigolio di una porta e i singhiozzi dei medici alle sue spalle lo fermarono a pochi centimetri dalla meta. Un po' impaurito e un po' arrabbiato, si volt. Il rumore era quello della torsione del collo di Millarca. Lo guardava fisso, con le pupille a taglio e i filari di denti aguzzi bene in vista. I dottori indietreggiavano dalle sue cosce, spaventati da qualcosa. Vladimiro si allontan istintivamente dall'infermiera e si accovacci sul pavimento. Voleva staccare lo sguardo da quello di lei, ma provava troppa vergogna per tentare qualsiasi movimento autonomo. - No, aspetta, cara, amore mio, tesoro... non come pensi, te lo posso giur...-. Mircalla sentenzi, col tono di voce di un grizzly: - Vladimiro, lascia stare quella puttana o giuro che ti infilo un palo di frassino nel culo, stronzo!-. Poi la vagina le toss. L'ostetrico nella traiettoria delle pelvi di Millarca venne spazzato via da una fontana di sangue pressurizzato. Mentre veniva scaraventato contro il muro urt violentemente la base della nuca. Si accasci al suolo, apparentemente privo di sensi, mentre la partoriente continuava a tinteggiare la stanza coi suoi fluidi ad alta pressione. L'altro dottore intanto prese a gareggiare con la paziente a chi urlava pi forte. Ma mentre l'uomo riusciva al massimo a prodursi in qualche acuto isterico, Millarca riattacc con le sue litanie gutturali, simili al rumore prodotto da una demolizione controllata di un grattacielo posto al centro dell'Inferno. I movimenti peristaltici ripresero, sempre pi frenetici e scoordinati. Variopinte bestemmie stavano giustiziando ogni abitante del Regno dei Cieli. L'ostetrico accasciato a terra cominci a rinvenire, ma non appena apr gli occhi desider all'istante perdere di nuovo i sensi. Vladimiro era accucciato come un bambino in castigo, mentre l'infermiera mostrava la stessa vitalit di una roccia.

Poi, finalmente, il miracolo. Un'impennata di ululati accompagn l'espulsione del nascituro. Come da un cannone, il beb venne letteralmente sparato contro il muro, dando una fortissima testata. Per fortuna il neonato, placenta compresa, piovve diretto fra le braccia dell'ostetrico che, ancora in stato confusionale, si era messo a sedere con la schiena al muro. Il piccolo, disorientato, dolorante e con una leggera nota di disappunto negli occhi, incroci lo sguardo del dottore. Si massaggi la fronte maldestramente con la manina paffuta, poi scroll un po' la testa e regal una smorfia all'ostetrico, come un sorriso stretto in un broncio. Il medico d'istinto lo afferr per i piedi, capovolgendolo. Nel mentre, gli diede qualche pacca sul sedere per farlo piangere, in modo che i polmoni si riempissero d'aria. Non ci furono vagiti: al contrario, avvert un dolore al petto, sempre pi intenso. Prov ad allontanare il neonato, ma senza successo. Era agganciato. Per i denti. - Qualcuno mi stacchi questo coso di dosso!-. L'altro dottore piagnucolava, ancora bloccato nella stessa posizione. Rilanci con altre lacrime al crescere delle invocazioni di aiuto del collega. - Vladimiro...-. La voce di Millarca era tornata quasi normale. Sempre stronza e incazzosa, solo velata dalla stanchezza. Vladimiro deglut. - S... s, amore?-. - Fai stare zitto quel faccia di cazzo, mi d fottutamente sui nervi...-. - Certo, tesoro, subito...-. Vladimiro si alz esitante e si avvicin al dottore, che intanto stringeva il piccolo per il bacino cercando di strapparselo via dal torace sanguinante. Gli scopr il collo tirandolo per i capelli e, per velocizzare le operazioni, lo morse a bocca spalancata sulla trachea, soffocandogli le urla in una rapida agonia gorgogliante. Afferr delicatamente la testa del bambino e gli sfil i canini dal petto della sua prima vittima, portandoselo fra le braccia. Recise il cordone ombelicale con un morso, e lo gett insieme alla placenta sul cadavere. - Cos va bene, cara?-. - Zittisci anche l'altro coglione, piange troppo per i miei gusti...-. Cullando il figlioletto Vladimiro si avvicin all'altro dottore. La vittima non oppose alcuna resistenza: si accasci a terra, in una pozza di sangue, e mor. - Ecco, amore mio, anche lui sistemato...-. Dando un'occhiata alla stanza, ridotta peggio delle segrete di un mattatoio, Vladimiro trov l'infermiera, sempre nello stesso angolo. Non si sarebbe detta viva non fosse stato per il movimento singhiozzante delle spalle, inframmezzato di tanto in tanto da qualche sputo. - Vuoi che sistemo anche lei? Immagino che ti dia fastidio...-. - Ah ah... cretino, tu quella zoccola non la tocchi neanche con un molare... portamela qua che la finisco ioVladimiro annu sconsolato, accarezzando la schiena umida del neonato. Si avvicin lentamente all'infermiera. La sollev mentre la sentiva irrigidirsi e tremare. La port di fianco a sua moglie, la cui pelle sfatta e sfibrata si srotolava molle lungo i fianchi della barella. Millarca, quasi con disgusto, le strapp un pezzo di gola. Lo sput dall'altro lato e ordin a Vladimiro di lasciarla in terra a morire. - Guarda, amore, il nostro piccolo, la nostra creatura...-. Vladimiro aveva sbarrato la porta. Una moltitudine di curiosi, attratta dalle urla, stava appiccicata ai vetri. Sguardi increduli, visi fra le mani e telefonate affannate. Gocce di sangue si raccoglievano dalle macchie sul soffitto e gocciolavano in terra. - Scemo, perch parli al maschile?-. Mircalla sollev una gamba della creatura che ora le stazionava sul ventre afflosciato, lo sguardo scuro e la bocca contratta. Vladimiro si avvicin per vedere meglio. Era una femmina. - Oh, una femminuccia! Che gioia. Peccato solo non poter aggiungere un ennesimo Vlad alla nostra dinastia... sarebbe venuto fuori un bel Vlad XXIII Tepes, eh, tesoro, che ne dici?-. - Mmh, che fantasia del cazzo...-. - Ma comunque l'avremmo chiamata come avresti voluto tu... e adesso, che nome le daresti?-. - Ma che cazzo ne so... Mircalla, Carmilla, che differenza fa...-. - S, certo, eccezionali!-. La voce di Vladimiro si faceva sempre pi squittente. - ...Carmilla Tepes... non lo trovi perfetto, eh?-.

- S, s, l'importante che stai zitto-. - E a te, cucciola, Carmilla piace?-. Il neo pap si avvicin al volto della bambina stiracchiando grottescamente la faccia in un sorriso simpatico. La piccina si scost, soffiandogli contro come un gatto. Per la prima volta dopo secoli Vladimiro vide un ghigno dipingersi sul volto di Millarca. - Per, piccola e stronza, la creaturina promette bene... Vladimiro...-. Si volt verso la moglie, avvicinandosi. - Dimmi, amore...-. - Vladimiro, gi come essere umano faresti vomitare, figuriamoci come vampiro... per adesso voglio dirti una cosa che non riesco a trattenere, proprio come un rutto... non so come, ma mi capita di amarti, di tanto in tanto...-. - Oh, mia sposa...-. Vladimiro si sciolse, e appiccic le proprie labbra a quelle della moglie, non preoccupandosi neppure per l'alito. Si baciarono con un orrendo risucchio. Carmilla smorfi disgustata. Le sirene della polizia erano ancora lontane. L'alba non ancora per molto.

BEVI, FRATELLO MIO Lombardi Nicola Bevi, fratello mio - 2009


Il vento caldo che soffiava da Sud reclinava i lucidi ciuffi d'erba, e la distesa verde fluttuava sotto il sole come un inquieto lago di smeraldo. Bianche nubi lontane veleggiavano, all'apparenza immobili, sopra le creste scure dei monti, l dove i raggi accecanti che si riversavano dal cielo strappavano riverberi d'oro ai picchi di granito. L'uomo sembrava tranquillo, immerso nell'ombra, accovacciato contro il tronco del salice. La folta chioma nera si confondeva fra le ruvide striature del legno. Il calore aveva inciso aride rughe sopra il suo volto, infestato dai riflessi delle fronde, e in quel volto duro scintillavano due pozzi d'ossidiana. L'uomo era immobile. Sembrava tranquillo. A intervalli quasi regolari, il placido silenzio che gravava tutt'intorno era spezzato dallo stridore rauco dei falchi, che planavano sui campi per risollevarsi sfrecciando nell'arsura senza fine. A tratti, un belare apatico si levava dal gregge, impegnato a sfamarsi del tesoro verde offerto da quel colle, e gli occhi dell'uomo vagavano stancamente sopra i dorsi lanosi simili a una moltitudine di sporchi fiocchi sfuggiti alle nubi che si andavano avvicinando, all'orizzonte. Quegli occhi guardavano, ma non vedevano. Il pensiero che si dibatteva nelle loro profondit non stava indugiando sulle pecore, e li costrinse a spostarsi pi avanti, pi gi, verso valle. L'uomo cacci con immenso fastidio il moscone che gli ronzava come un'idea nera attorno al capo, e osserv il fratello lavorare, distante, al centro di un vasto appezzamento di terreno bruno. La zappa lontana si sollevava nel sole, si abbatteva fra le zolle, poi risorgeva, disegnando archi invisibili, facendo esplodere nugoli di stoppie e terra sbriciolata. L'uomo fiss per un poco, impassibile, l'alacre lavoratore, quei muscoli tesi luccicanti di sudore, quelle braccia infaticabili che colpivano, che lottavano. Per dimostrare il suo valore. Per ribadire, ancora e ancora, il suo diritto di primogenito al possesso di quelle terre, quando i loro genitori se ne fossero andati. Continu a guardare; e come se il suo pensiero si fosse lanciato in una folle corsa lungo il pendio del colle per raggiungerlo e aggredirlo, il fratello conficc un'ultima volta la zappa nel terreno e si ferm. Un braccio gli solc la fronte, rozzo aratro trainato fra le rughe, e minuscole stille di sudore piovvero a irrorare il suo lavoro. Dall'ombra sotto il salice, l'uomo accovacciato sent il proprio cuore gonfiarsi di un odio talmente feroce da trafiggergli il petto come la punta di una spina velenosa. Chin un poco il capo, poi lo riport violentemente indietro; scheggette di legno crepitarono dal tronco. Con gli occhi ridotti a due tremule fessure, torn a guardare il suo gregge sparso a nutrirsi sotto il sole. Vide i velli impolverati, le zampe imbrattate di erba e feci, i musi molli striati di verde dai quali colavano filamenti di bava. Quello era il suo patrimonio. Quello era tutto ci che il padrone gli aveva affidato, esigendo a scadenze regolari tributi scelti, gli agnelli migliori. E in cambio di cosa, poi? Di continuare a vivere, di continuare a essere un pastore, di continuare a macerarsi di domande e sfinimento in quella terra maledetta sulla quale suo padre e sua madre erano stati esiliati. Conficc le mani nel terriccio attorno alle radici e serr i pugni, scavando due profonde ferite nel suolo. Fiss nuovamente il fratello, ancora immobile in mezzo al campo deturpato. Ora, stava guardando in direzione del gregge, sul piccolo colle. Stava guardando il salice. Stava guardando lui. L'uomo digrign i denti. Tu sia dannato! Alz un braccio, come per salutare il fratello lontano. Nella mano stringeva una pietra, una pietra bianca, ma l'altro non avrebbe potuto vederla. L'uomo con la zappa ricambi il gesto e si mosse in direzione del colle, quasi avesse interpretato quel cenno come un invito ad avvicinarsi, a raggiungere un po' di frescura all'ombra del grande albero. Vieni. Ti aspetto. L'uomo addossato al tronco scrut ancora una volta le pecore, desiderando incendiarle con lo sguardo. Poi lev gli occhi al cielo, cercandolo al di l delle fronde, e infine abbass le palpebre. Rimase cos, immobile, per un tempo che gli parve l'eternit. E durante quei secondi egli prov l'inebriante sensazione di essere assolutamente, inconfutabilmente padrone di se stesso, del mondo intero.

Preso dal suo sogno sent i nervi di tutto il corpo vibrare, percep i muscoli del braccio flettersi e rilassarsi, flettersi e rilassarsi, mentre le dita contratte erano ormai divenute tutt'uno con la pietra che continuavano a stringere. Il fratello si stava avvicinando. Lo sentiva, ma non con l'udito. Lo sentiva con il cuore. Era quasi giunto ai piedi del colle, e si apprestava a salire. Continu a tenere gli occhi chiusi, i denti stretti, il pugno serrato come l'artiglio del falco attorno alla preda. Questa volta l'avrebbe fatto, s, l'avrebbe fatto davvero. Troppe volte si era cullato in vane illusioni, per poi ritrovarsi a stagnare, ancora, in quello stato di perenne schiavit, di detestabile inferiorit. Non gli importava del dolore che avrebbe arrecato a suo padre e a sua madre. Loro era la colpa se lui ora esisteva, se era condannato a stare l. N gli importava di ci che avrebbe fatto il padrone. Poteva riprendersi tutto il gregge, poteva cacciarlo, poteva ucciderlo, anche. Non sarebbe stato in fondo un destino peggiore di quello che da troppi anni stava patendo. Il momento, il suo momento, era arrivato. Un ramoscello spezzato. Passi sull'erba. Eccolo. Con infinita calma, respirando a fondo, l'uomo riapr gli occhi, e si volse a osservare il fratello mentre muoveva gli ultimi passi fino a portarsi a pochi piedi da lui. La pietra fremette nel suo pugno. - Fratello mio-, gli disse, - avvicinati. Voglio confidarti un segreto. Nessuno ci deve sentire. Nemmeno il padrone...-. Con un sibilo poderoso, improvviso, il manico della zappa recise un semicerchio nell'aria. Lo spezzone d'osso affilato legato all'estremit incontr la fronte dell'uomo accovacciato, e non si ferm. Prosegu invece la sua corsa fino a penetrare a fondo nel tronco del salice; solo allora si plac. Un'esplosione di sangue inond le radici che spiavano dal terreno.Il corpo dell'uomo a terra fu scosso da sussulti scomposti. La mano che stringeva la pietra bianca prese a sollevarsi e a calare colpi morenti al suolo, in rapida successione, mentre una porzione di cranio si staccava vibrando dalla lama d'osso per scivolare sopra una spalla del disgraziato. Gli occhi, quelle braci infossate nelle piccole tane buie sopra gli zigomi che si andavano rigando di rivoli rossi, rimasero inchiodati, increduli, contro quelli del fratello. Un'ira folle, appannata dall'ineluttabile arrancare della morte, continuava ad ardere nell'assurdo sforzo di opporre l'odio al destino, di tenere in vita quel misero corpo. Ma gi densi grumi di materia cerebrale straripavano oltre l'orlo del cranio spaccato, indugiando curiosi a studiare le rughe che tagliavano le guance prima di rovinare con tonfi osceni sul terreno, pulsanti ancora di sgomento. Un odore acre si lev nell'aria ora immota, e a quel richiamo rispose il moscone di velluto. L'insetto sorvol la testa distrutta disegnando cerchi concentrici sempre pi stretti, sempre pi vicini; poi si tuff, ingordo, a lordarsi fra gli zampilli scuri che irrigavano ogni solco su quella pelle luccicante. Un'ultima volta, ancora, il braccio sollev, pi in alto, la pietra, esitando, tremando, sorretto da un anelito di morte e distruzione. Infine, le zanne fetide della corruzione troncarono con un morso deciso il filo di quella vita che non riusciva ad accettare la sconfitta, e braccio e pietra ricaddero in una pozzanghera di sangue. Caino rimase immobile per alcuni istanti, fissando con occhi di belva il corpo del fratello che si accasciava. Il petto era un mantice che pompava sbuffi di respiro rovente attraverso le fessure fra i denti. Ecco. Tutto era compiuto. Indietreggi di qualche passo, contemplando come ipnotizzato quel simulacro sempre pi rosso che era stato Abele. E il disprezzo non tard a riprendere il sopravvento. Suo fratello non aveva mai fatto altro se non curarsi di ingrassare il suo gregge, e scegliere i doni migliori per compiacere il padrone. Non aveva mai saputo, lui, cosa significasse la vera fatica, curvo su di una terra avida che faceva pagare i propri frutti con il sudore e con la sofferenza. Non aveva mai conosciuto la frustrazione e la vergogna, quando il padrone non si premurava di celare il proprio sdegno davanti ai magri tributi che era in grado di offrirgli. Non aveva mai versato lacrime impotenti, nella notte, mordendosi le dita fino a farle sanguinare... Allontanandosi dal corpo esanime e dalla zappa rorida di sangue conficcata nell'albero, Caino si sent finalmente libero dai fantasmi che da troppo tempo torturavano la sua anima, e salut la sua nuova condizione levando ai cieli un urlo d'animale vittorioso. Le pecore, terrorizzate, fuggirono in tutte le direzioni, disperdendosi sui campi ora pi scuri. I raggi del sole erano sbiaditi, e in breve scomparvero, ingoiati dalla coltre di nubi livide accorse a coprire pietosamente quello scempio agli occhi dell'Universo. Un vento gelido prese a soffiare da Nord, trascinando con s il lamento funebre di terre mai conosciute. Con i lunghi capelli e la barba tormentati dalle correnti, grovigli di serpi funeste, Caino grid ancora, ancora, ancora, allargando le braccia a possedere il mondo. Nel suo sguardo gi si dibatteva la consapevolezza della punizione, ma non gli importava, n la temeva. Aveva avuto pi valore, per lui, molto

di pi, affermare la propria volont di fronte a un Creato che gli aveva sempre imposto di abbassare gli occhi. Anche se solo per un istante, per un'infinitesimale lacrima di tempo, lui era stato Padrone, e nulla sarebbe pi stato come prima. Con quel semplice atto sent di aver dato finalmente un senso a tutta la vita perduta alle sue spalle, gi smarrita come un'inutile eco nel vuoto. E allora, a sancire la definitiva rottura con qualunque legame lo avesse fino ad allora intrappolato a quegli schemi di esistenza, d'istinto Caino si chin sopra la pozza rossa che fluiva attorno ai suoi piedi, un le mani a coppa annegandole nel liquido del peccato e bevve, bevve con l'avidit di un animale bruciato dalla sete. Ed era una sete profonda, che chiamava dagli abissi della sua anima, quella che gli impose di abbandonarsi a quel gesto al tempo stesso mostruoso e divino. Una seconda, una terza volta Caino raccolse il sangue del fratello, e con il viso ridotto a un'orrida maschera grondante ruscelli di nuova vita si sent rinascere, un essere nuovo, diverso, indomabile. Il fuoco della ribellione divampava nei suoi occhi, ora inchiodati alle nubi nere che ribollivano su quel mondo che aveva imparato a odiare. Ma allora, non c'era differenza fra creare e distruggere? Suo fratello stava l, davanti a lui. Distrutto. Ci che altri avevano creato, Caino aveva potuto distruggere. E come Abele, cos il mondo intero... Rugg, gorgogliando per il sangue che ancora scorreva nella sua gola. Che sensazione meravigliosa, che sublime senso di incontaminata potenza percepiva fluire nel suo cervello ottenebrato! Era solo, s, solo, pronto ad affrontare ogni maledizione. Ormai, era lui stesso una maledizione. Nulla peggio di s lo avrebbe mai colto di sorpresa. Rimase l, immobile, ritto sul colle. In attesa. Nel cielo le nubi in mastodontica processione rallentarono a poco a poco il loro incedere, e in breve ogni cosa, sul mondo e tutt'intorno, si ferm. Un plumbeo silenzio, infinito, scese sulla terra, e su Caino, e sul cadavere di Abele. Caino strinse i pugni ancora lordi, aspettando senza timore il responso dell'Universo. Ma continu il silenzio. Non una fronda si mosse, n un falco tagli il cielo. Solo il respiro rauco dell'uomo osava sfidare quell'impossibile risposta del Padrone: il silenzio! Che vile beffa era quella? Niente tuoni, n voci, n terremoti? Silenzio... Poi, di colpo, il sangue di Abele in lui divenne lava. Colto da uno spasmo si accovacci a terra, grugnendo, dilaniato da crampi improvvisi. E con gli occhi gonfi e spalancati per lo stupore, dietro un torbido velo di lacrime dolorose, Caino si trov a contemplare inorridito le palpebre del fratello sollevarsi e lo sguardo spento fissarsi su di lui. Le sue vene parvero inaridirsi, come percorse da fiumi di sabbia rovente. Poi la lurida bocca di Abele si apr, e sulla lingua morta scivol una voce che gli si infisse per sempre nel cranio. - Vieni, fratello mio. E bevi, per l'eternit-. In quell'istante Caino comprese, con il cuore intriso d'ira, di essere stato ingannato. Stupido ingenuo! Non era mai stato padrone di nulla, n mai lo sarebbe stato. Tutto era previsto. Tutto era gi scritto. Ci che aveva fatto era esattamente quanto il Padrone si aspettava da lui! Non c'era mai stata libert, mai. Spinto da una forza non generata dalla sua volont Caino si avvent, bestia assetata, sul corpo del fratello, e aprendo varchi con le unghie e con i denti non si ferm fintanto che l'ultima stilla di sangue non col in lui per placare la sua sete. Quand'ebbe terminato, rimase a fissare il demone dentro gli occhi di Abele, il proprio volto riflesso nei bulbi senza vita. Si sentiva meglio, adesso. Il dolore era scomparso. Ma la sua anima era gi una piaga spalancata alla dannazione. Lentamente si sollev, a fatica, come sotto il peso di un fardello immane. Studi con aria vacua ci che restava di Abele, rabbrividendo al sapore amaro dell'invidia per la liberazione che il fratello aveva raggiunto. Non seppe mai che avrebbe potuto essere libero al posto suo, affrancato da quella vita, se soltanto avesse atteso qualche secondo in pi prima di colpire... Lercio del sangue che pareva trasudare da ogni poro della sua pelle, Caino ascolt ancora per un poco il frastuono del silenzio, pi insostenibile di mille condanne. Poi, con il cuore avvelenato e l'ombra di una bramosia insaziabile che non lo avrebbe mai pi abbandonato prese a discendere il colle, correndo, ormai preda di una furia cieca e insensata. Ricominci a gridare, forsennato, ridendo e piangendo, smarrendosi in quella terra che con la sua progenie malata avrebbe infettato, nei secoli dei secoli. Il veleno della sua maledizione, di padre in figlio si sarebbe disperso lungo gli infiniti sentieri dell'umanit, cos com'era scritto, e la sua stirpe ingorda d'ombre e sangue avrebbe per sempre accompagnato ognuno di noi, fianco a fianco, sussurrando la notte al nostro orecchio la mala della sua tragica sete senza fine.

- Vieni, fratello mio, figlio dello stesso Male. E bevi. Per l'eternit-.

ZEP Massaron Stefano ZEP - 2009


meglio se non ci vediamo per un po'. Gi, meglio meglio meglio. La macchina una Fiat Uno Turbo, di quelle con la scritta TURBO IE di metallo rosso appiccicata di dietro, vicino ai fanalini di coda si catapulta sulla statale Milano-Crema, intorno ai finestrini una macchia di neon e lampade gialle che illuminano a coni l'asfalto deserto. Sono in quattro. L'autoradio spara a tutto volume. Radio Deejay. Albertino. DJ Molella. Che cazzo, mai ascoltata 'sta roba. Non voleva andarci. No no no. E invece, poi, l'idea di un sabato sera in casa con il ricordo di quelle parole ancora a fargli pic-nic nel cervello meglio se non ci vediamo per un po' mentre la sua gola s'inventa tentativi di risate improbabili di fronte alle esibizioni degli ospiti della "Corrida di Corrado" stata semplicemente troppo, e allora okay, accettiamo l'invito, perch no, andiamo andiamo andiamo, su forza, non sar poi la fine del mondo, ballare ballare ma ballare cosa? Techno pump progressive trance trance disco house pump pump ma ragazzi volete davvero portarmi in discoteca? Davvero volete portare me in discoteca, voglio dire... una discoteca di quelle trendy, con tutta la gente che balla e se la tira, io? Io io io. S, dai, vieni. E meglio meglio meglio. meglio se non ci vediamo per un po'. Bella forza. Come alle medie. Si ricorda ancora, lui, quante volte... oh, quante cazzo di volte quando era ragazzino scaricava le tipe (cos le chiamavano lui e i suoi amici, all'epoca: le tipe) con quella frase. Il Numero Due dei classici Disney, battuta soltanto dall'immarcescibile MEGLIO CHE RESTIAMO AMICI oppure dalla sua equivalente quasi omonima, pi che sinonima io davvero ti vedo pi come amico insomma poi, alla fine, una fregatura. Quante ne hai tirate, di fregature come questa? Oh s, molte, ma non a venticinque anni quasi suonati... eh no, maledizione, ne avevo almeno quattordici. Forse anche tredici. Lei ne ha venticinque, invece. Merda. Non venite a stressarmi, perch io meglio che... non ci vediamo per un po'. - Che cazzo hai da pensare possibile che non dici un cazzo, te la meni?-. Si gira a guardare l'amico al volante. Ha gli occhi rossi. Muove la testa a ritmo con la musica della radio. In the mix. Si calato qualcosa. Lui e l'amico che sta sul sedile di dietro, l'amico di sempre, gli hanno detto che si sono presi una pasticca anche se non vero, cos per fargli uno scherzo, e quello subito BAM! Presa una dalla tasca del Barbour e inghiottita cos, senz'acqua. Hanno riso fino alle lacrime, lui e l'altro, ma quello niente, manco una piega. Non si accorto di un cazzo. E adesso sifonato. In the mix. Il problema, per, che - Stai andando a centosessanta, testa di cazzo. Vedi di non farmi finire nei servizi del Tg2 Costume e Societ sulle stragi del sabato sera-. Niente. In the mix. - Vuoi pesare un po' su quel freno oppure no?-. L'altro sghignazza, picchietta con le dita sul volante. - Te la meni?-. Ride ancora. Prende una torcia elettrica dal vano portaoggetti e comincia a puntarla sulla strada che ne frattempo si trasformata in una buia provinciale a due corsie per rompere i coglioni all'altro gruppetto di amici che sta sulla macchina davanti. Spegne i fari, cos la lucina si vede meglio. - Cazzo, non funziona-. Scuote l'aggeggio, che lampeggia. - Cristo, non meglio se guardi quella cazzo di strada, porca troia?-. - Non te la menare, brutta storia, ma come sei messo?-. In the mix. - Ma come cazzo parli? Mi sembri un incrocio tra uno del Leoncavallo e la pubblicit della Uno Rap. E poi possibile che 'sta cazzo di canzone non dica nient'altro? In the mix? Sono venti minuti che dice in the mix, 'sto pirla-.

- O ma quante storie che ti fai-. Silenzio. Per un po', forse. meglio se non ci vediamo. Quello continua a guidare e a giocare con la torcia elettrica. Sul sedile dietro, il suo amico e la ragazza del suo amico se ne stanno zitti. Forse limonano, pensa lui divertendosi a usare quel termine da scuola media. Ultimamente ci sono tante cose infantili, nella sua vita. Come quell'altra frase, quella storica con cui stato scaricato. meglio se non ci vediamo per un po'. Fanculo. Saranno mica cose da dire, quelle. Pensa e rimugina, non ha molta voglia, forse alla fine poi era meglio la "Corrida di Corrado", ma ecco che la provinciale a un certo punto finisce e quello al volante si aggrappa allo sterzo, lascia cadere la torcia elettrica, - Porca puttana!- esclama, e si infila nel parcheggione di un cubo di cemento e vetro che sembra un acquario. Nell'acquario, dentro l'acquario, ci sono tante luci che girano, rosse gialle verdi azzurre, e un ammasso di corpi che si muove. In the mix. - Siamo arrivati-, gli fa l'amico dal sedile di dietro. - Ma va, grazie non l'avevo capito. proprio l dentro che dobbiamo andare?-. - Gi gi-. - Uh come godo- ironico - godo come una vaporiera-. Una vaporiera inglese dell'Ottocento, pensa. Poi: meglio. Se per un po'. Non ci vediamo. Scendono dalla macchina. Un pezzetto a piedi. C' un ingresso, pretenzioso, da chi se la tira, con un tendone tipo condominio di New York. Ci manca soltanto il portiere in livrea. Intorno all'entrata, qualcuno si accalca e poi, guardati intorno, ma pensa un po', la prima fila del parcheggio tutta un'orgia di Porsche, BMW Zetatr, un paio di Ferrari, siluri giapponesi, cristo c' pure una Bentley. - Che cazzo mi significa?- dice. quello sifonato che gli risponde. - Cio questo lo chiamo io cos l'effetto-concessionario. Quelli con il macchinone li fanno venire qui davanti. una storia di immagine-. - Oh, merda-. - S vero anche a me mi sembra una stronzata-, gli dice la fidanzata dell'amico. Starebbe anche per aggiungere qualcos'altro, lui, qualche commentino sarcastico, ma viene interrotto. - Cazzo che pirla mica posso entrare con la torcia-, dice quell'altro e subito parte di corsa verso la macchina per rimettere a posto l'aggeggio. - Noi entriamo-. un attimo. Sottrazioni dal portafogli con la rapidit di una calcolatrice. Meno trentacinquemila l'ingresso, meno ottomila il guardaroba obbligatorio, meno duemila di buonoprimaconsumazione e eccoli dentro l'acquario, dentro il cubo con quarantacinquemila in meno, grandi pareti di vetro che oh cazzo sono antisuono perch fuori non si sentiva assolutamente niente e invece qui dentro la pulsazione un boato ritmico, continuo, martellante, PUNF PUNF PUNF, scuote le colonne ricoperte di specchi. I'm a Barbie-girl, in a Barbie-world. Lui guarda in alto e sopra la sua testa c' una passerella di vetro trasparente che sorregge gli stivaloni con la zeppa alta cos di due ragazze praticamente nude che ballano con lo sguardo assente puntato nel vuoto. Body plastic, it's fantastic. Da sotto riesce a vedergli le mutande, una ce le ha nere, l'altra pure. Magari riesco a vedergli l'assorbente, se ce l'hanno. Le minigonne sono infinitesime, le clavicole spiccano scintillanti di sudore, i capelli sciolti sulle spalle, le ginocchia che si tendono, il ventre che sussulta in un movimento ondulatorio meccanico scazzato. Il basso picchia PUNF PUNF PUNF e quelle si muovono, scuotono i capelli nella negazione di quello che vorrebbero essere. Sensuali, ma sono plastica di carne e carne di plastica, non si divertono per un cazzo si vede lontano un chilometro e allora perch tutti le guardano no no non capisco (PUNF PUNF PUNF) le luci azzurre verdi gialle rosa un tipo con i capelli lunghi sotto il cappellino da baseball si muove dietro il mixer ci sono anche quattro azzimati che tutti presi si guardano si guardano, hai capito? allo specchio mentre ballano oh mio dio. You con brush my hair. - ALLORA CHE CAZZO HAI VISTO LE RAGAZZE-IMMAGINE TE LE LUMI EH?- gli grida all'orecchio quello della torcia che nel frattempo si vede che riuscito a tornare dalla macchina senza perdersi: miracolo, con quello che si calato.

- UNA CIFRA NON TI PREOCCUPARE FIGATA- si arrende lui facendo finta di godersi il panorama da sotto in su come tutti gli altri. - COME HAI DETTO CHE Si CHIAMA 'STO POSTO?-. Uno degli oggetticarne lassopra allarga le gambe e da sotto si vede veramente tutto. Mestruo. Voglio vedere il mestruo. Sangue sangue sangue. And FUCK me everywhere. - OZONE. CIO SAI COME IL BUCO NELL'OZONO, SOLO CHE ALLA FRANCESE, O-ZN-. - AH. OKAY-. Si guarda intorno. Becca il suo amico, che non sta ballando, gli si avvicina, lo prende per un braccio, lo tira dietro una colonna. - SENTI ANDIAMO A BERE QUALCOSA CHE SE NO NON CE LA FACCIO DAVVERO A REGGERLA 'STA ROBA- grida. L'altro ride. Lo sa bene, e forse non gli piace nemmeno a lui. - OKAY-. I'm a Barbie-girl, in a Barbie-world. Muoversi come muoversi nella metropolitana all'ora di punta, solo che qui i corpi ballano e si scuotono. Almeno in metropolitana stanno fermi. Una gomitata lo spinge di lato, lui fa per incazzarsi poi si rende conto che inutile, tutto inutile e si attaglia al circondario, come l'involuzione della specie, adattiamoci all'ambiente un attimo, ci vuole un attimo e i suoi muscoli si lasciano andare, si immette in un flusso che gli sembra vada verso il bancone del bar e PUFF! Magia! BidibiBodibiB! Non deve fare nemmeno lo sforzo di camminare: trasportato trasportato trasportato. Imagination, life is your creation. Che bello. L'amico lo tira per un braccio, le sue dita sembrano preoccupate, i polpastrelli gli dicono sai, lo so che non ci sei mai venuto in un posto come questo, mo ti guidiamo noi, trnchi, l'importante non sbattersi troppo seguici seguici seguici. Intorno folla, folla e PUNF PUNF PUNF techno house trance, le facce si chinano e quasi si uniscono per gridarsi nelle orecchie altrimenti non si sente niente ma ges che cosa ci trovano di bello a parlare cos come operai vicino a una pressa non riesco a capire. (PUNF PUNF PUNF) tutto un accalcarsi di corpi anche davanti al bancone, saranno forse su tre file, anzi quattro, tutti che premono e spingono e si fanno avanti per e ci mancherebbe, che cazzo con noncuranza, molto dandy, very cool, ecco che appoggio qui i gomiti, per carit, mo' ci sono io e fammi questa caipirgna cazzo per favore. I'm a Barbie-girl, in a Barbie-world. Si guarda intorno. Non riesce a crederci. Prende l'amico, lo tira dalla sua parte, si china anche lui, s, si china anche lui come tutti gli altri verso il suo orecchio e gli fa: - NON VERO-. - COME?-. - OH, LASCIA PERDERE. PRENDIAMO DA BERE-. I corpi sono tutti uguali. Levigati, fondotinta anche sulle spalle cos la pelle sembra liscia liscia liscia che non finisce mai, un unico strato di vinile stirato sulle ossa, perfezione perfezione perfezione, trucco accurato, le femmine sono cos, esercito di marionette imbellettate vicino ai maschi, tutti uguali, i capelli rasati dietro e gellati sopra in tante puntine. Capelli ribelli. Oh che bei capelli. Oh che belli i capelli ribelli. Anche i pensieri devono avere un ritmo, devono seguire la pulsazione (PUNF PUNF PUNF) altrimenti si sclera, eh gi. Body plastic, it's fantastic. - QUANTO CAZZO DURA 'STA CANZONE?-. - NON LO SO, DEV'ESSERE LA VERSIONE MIX, COMUNQUE UNA VITA-. Uno strattone a sinistra, compressione del torace, di sbieco con le spalle e via, verso nuove avventure, con i gomiti finalmente appoggiati al bancone e lo scontrino della consumazione tra l'indice e il medio della mano destra. Qualcosa di forte, per favore, di fortissimo, non hai alcol etilico puro cos facciamo prima? Tanto quello che voglio, il sapore non mi interessa. You can brush my hair. Odore di mela. Shampoo alla mela. Mica male, per, non di quegli odori che sanno di finto lontano un chilometro. come se qualcuno si sia grattato una mela sui capelli, di quelle profumate che non si trovano pi nemmeno dal fruttivendolo. Ah, quando c'erano ancora le cotogne, gli dice la voce di sua nonna nel cervello straziato dal ritmo. Le mele di una volta. Lui inala e si gira. Non pu non girarsi, l'odore troppo buono. Sfioramento di braccia. Un arto bianco, levigato almeno fino al gomito poi non si sa, levigato ma senza cipria. gi qualcosa. Levigato di suo, levigato e basta. Liscio liscio liscio. Lunghi capelli, forse castani, ma tinti con l'henn rosso mogano per cui no, no che non si capisce di che colore erano. Un abitino

nero, spalline minuscole, tessuto sottile sottile sottile (ma assorbe assorbe assorbe), un neo vicino alla scapola sinistra. Il collo bianco, flessuoso. Un po' grassoccio, forse, ma un bel collo. Irresistibile odore di mela. Strusciamoci, va. Un po' di pressione. Si volta anche lei. Lo guarda. And FUCK me everywhere. Ha gli occhi castani e un po' persi. Non bella, ma ha qualcosa che le altre duemila che ha visto da quando entrato non hanno: sensualit. Ha il sesso nelle labbra, nei denti bianchi e un po' aguzzi, nelle occhiaie incipriate e vagamente gonfie. Assomiglia a Juliette Lewis in Strange Days. E scusate se poco. And FUCK me everywhere. Qualcosa gli palpita nel petto e non la musica, che finalmente cambia. Guarda il collo, intuisce l'azzurro della vena sotto lo strato di pelle bianca. Qualcosa si muove. Ohib, gli tira. Ma guarda, tanto che non capita, e poi la sensazione cos forte, cos intensa che per un attimo si dimentica delle parole ma un attimo: il tempo di ricordarsi di averle dimenticate e sono di nuovo l, rosse di collera e di disprezzo. meglio se non ci vediamo per un po'. Sa che deve averla. Guarda la mano di lei stringersi intorno al bicchiere che finalmente le hanno messo davanti e immagina il ghiaccio sciogliersi al calore del tocco bollente di quelle dita che improvvisamente vuole avere dappertutto su ogni centimetro della pelle a scavargli dentro i vestiti sotto i pantaloni armeggiare con i bottoni della camicia tremargli contro il petto avvinghiarglisi alle natiche per farlo spingere pi forte a ritmo a ritmo a ritmo PUNF PUNF PUNF lavuole s la vuole non voleva che capitasse per la vuole. Come, come, come into my life. Non c' pi bisogno di gridare, lo sa. C' un attimo, l'ultima frazione di secondo utile prima che lei si volti e scompaia di nuovo, fagocitata dalla folla in perenne ondeggiante movimento. Cogli l'attimo. Fuggente. Rifulgente di rubino scarlatto, riflesso rosso di un incontro inaspettato. Un attimo. Cos si sporge leggermente verso di lei e Odoredimela ha un fremito prima di voltarsi e di ritrovarsi praticamente labbra a labbra. Come, come, stay with me. Non c' bisogno di gridare. - Senti non te ne andare vieni con me da qualche parte-, sussurra, poi esita, cerca le parole, annaspa e infine l'ispirazione, AHHHH che sollievo. - Ti porto allo ZEP, molto meglio di 'sto posto-. Nobody loves me, nobody loves me now. Lei sorride e anche il suo alito sa di mela, gli sorride tanto vicino che lui si perde a fissare una virgola di rossetto rosa sbiadito sullo smalto di un incisivo. La lingua rosa carico, i denti bianchi, le gengive rosse, le labbra grandi grandi grandi, sproporzionate quasi in quel viso troppo sottile, sbilanciato verso il basso, dalla mascella troppo squadrata eppure oh cos erotico. C' un altro odore, sotto lo strato di mela. Pi sottile. Aspro. Narici che si dilatano. Sangue. Odoredimela ha il mestruo. AHHHH. Irresistibile. - Vieni con me dai- E che cosa sarebbe questo ZEP sentiamo-, dice Odoredimela, e nemmeno lei sta gridando, non ce n' davvero bisogno perch d'un tratto la musica PUNF PUNF PUNF lontana, rombo sordo cupo quasi sotterraneo ma le parole, oh le parole ci sono non se ne vanno sono sempre l beffarde a scavargli la delusione nelle viscere. meglio se non ci vediamo per un po'. Improvvisare. Al momento. Estro, ci vuole. Oh, baby, entra nella mia vita. E, se puoi, distruggila. Affinch nulla sia pi come prima. Amen. Come, come, come into my life. - un posto che conosco solo io ma bello-. Lei ride. Sempre pi vicina. Quando parla di nuovo, la carezza del suo alito nel timpano cancella il frastuono. - Non ci credo-. Dentini che mordono. un attimo, ma il morso c'. Wow. - Per ci vengo lo stesso ma prima dimmi che cos' ZEP-. Facile. Questa la sa. - Zero Erreacca Positivo-, dice calcando le iniziali. Forse ha sputato qualcosa insieme alla P ma che importa, tanto tra poco le loro salive e i loro fluidi si mescoleranno comunque. Resta con me, oh baby, stanotte. Resta con me e avr la pace. Come, come, stay with me. Lascia sul bancone la caipirinha, saluta l'amico con un sogghigno, la prende sottobraccio, attacca il naso ai suoi capelli all'henn di mela e poi ancora, nel flusso, lasciandosi spingere contro di lei dagli urti involontari del gregge sbandato, su per una scala di moquette con i listelli d'ottone, marmo rosa spezzato da specchi occhi dell'anima e poi una porta di legno scuro, massiccia, altera, imponente e Odoredimela che

ride una mano in cima alla sua coscia che si muove come un ragno e gli lecca l'interno dell'orecchio risvegliando brividi eterni e dice: - Senti un po' ma mi stai portando fuori sul serio?-. Nobody loves me, nobody loves me now. - Hai una macchina? Dimmi di s dai che io non ce l'ho andiamo allo ZEP-. - No non ho la macchina allora-, fa lei con la sua faccia da Juliette Lewis che sprizza sesso tutt'intorno come una fontana, - allora infiliamoci nel bagno. Delle donne per che ci sono le porte fino ai soffitti-. meglio se non ci vediamo per un po'. Una mano davanti, lei. Una dietro, lui. A toccarle il culo. Sodo. Palestrato, forse? Bleah spero di no oh be' ma chissenefrega perch senti come pulsa oh dio senti come pulsa PUNF PUNF PUNF ma non la musica no, la musica non si sente pi perch sono entrati nel bagno, non pu essere la musica il sangue, il sangue di lei che scorre, il palpito che freme e l'erezione gli va a ritmo con quel ritmo, oh ritmo divino PUNF PUNF PUNF sangue che batte, senti come batte, guarda come batte, guarda come viene gi, l'ombelico del mondo gliel'ha appena scoperto, sollevandole il vestitino su su fino ai fianchi, le mani ovunque, le lingue che si intrecciano, narici si dilatano, bocche soffiano, gemiti gemono, glielo alza su su intorno alla vita e poi Odoredimela allunga un piede e sbatte la porta del primo cesso sulla sinistra, la chiude con un calcio di tacco a spillo e loro sono dentro nel bozzolo e le pareti vibrano con i bassi della discoteca spogliati dal resto della musica PUNF PUNF PUNF e il sangue che scorre sotto le sue dita che esplorano la pelle, calda calda calda, pelle calda calda pelle quale la mia quale la sua? Non importa, non importa, non importa. In the mix. - Prendimi prendimi prendimi-, dice lei e sar anche un caso ma la parola la ripete tre volte come fa sempre lui quando pensa, okay allora, lei parla come lui pensa e allora forse ha capito, ha gi capito tutto perch si allunga all'indietro e abbassa il coperchio della tazza e poi ci si semisdraia sopra e lui le va addosso, si fruga nella tasca e prende la lametta tagliandosi un dito perch ora s baby che andiamo allo ZEP, ora ti porto allo ZEP. - ADESSO VOGLIO VEDERE LO ZEP- le grida in un orecchio e poi taglia, gesto obliquo preciso e perentorio, la giugulare si apre di netto per il lungo il modo migliore e il fiotto rosso imbratta le piastrelle bianche e Odoredimela che adesso Profumodisangue gli grida contro il palmo della mano ma... In the mix. - troppo tardi, baby, troppo tardi perch dopo tanto tempo siamo tornati allo ZEP, finalmente, era tanto che non ci venivo ne avevo tanta voglia oh quanta voglia ne avevo-, sussurra veloce veloce come una vecchia beghina che prega di fronte all'altare di ceramica bianca sploccito dallo Zero Erreacca Positivo della sua agnella sacrificale e la fontana rossa contro le sue labbra, il metallo amaro e meraviglioso contro il palato, la glottide che si chiude in un conato involontario di estasi resistere all'impulso del vomito, resistere, altrimenti non si beve e poi lo sprizzo si fa meno violento il fiotto si placa e ora fluisce e finalmente lui pu attaccare le labbra alla ferita e succhiare succhiare succhiare e quando non ce n' pi scende pi in basso perch sa che l invece ce n' ancora e lecca con la sua lingua sottile sottile sottile ma che assorbe assorbe assorbe. In the mix. Odoredimela Profumodisangue si muove come al rallentatore ormai, una mano si solleva goffa e lascia cinque scie rosse sulle piastrelle del bugigattolo straziato dal neon bianco poi ricade inerte lungo un fianco in preda a un orgasmo paradossale e tutt'altro che desiderato e questo il momento, l'attimo che l'ha sempre ripagato, la frazione di secondo in cui loro capiscono sempre, immancabilmente, senza mai eccezioni. In the mix. Lei lo guarda con quei suoi occhi da Juliette Lewis, le palpebre stanno per ricadere, sono troppo pesanti per sopportare il languore di un corpo privo di linfa il cui liquido vitale ormai scende pigramente a gocce lente e viscose. Quegli occhi lo guardano e un istante prima che le pupille si dilatino per cristallizzarsi nell'immobilit vengono attraversati dalla luce fioca della comprensione ultima. Labbra sensuali che si schiudono a sillabare VAM, l'inizio soltanto l'inizio della parola magica. E poi restano cos, semiaperte, rosse come fragole sulla pelle di cera e, un istante prima che smettano del tutto di muoversi, lui le bacia con l'alito impestato di sangue amaro e con un sorriso sussurra: - meglio se non ci vediamo per un po'- e poi se ne va, lasciandola a morire. In the mix.

Esce dal bagno e la musica di nuovo l che lo assale come uno schiaffo PUNF PUNF PUNF ma lui non se ne cura, ha la camicia inzuppata di sangue ma con quelle luci chi vuoi che se ne accorga penseranno che ho la camicia rossa e invece era bianca come la neve prima che la mettessi per uscire PUNF PUNF PUNF e il sangue di Juliette Lewis che gli gorgoglia nello stomaco sembra quasi ribollire al ritmo assurdo di quella cacofonia organizzata e lui sorride mentre oltrepassa la porta di legno scuro e poi l'atrio e poi il guardaroba e quando esce al freddo si rende conto che forse vomiter ma chissenefrega, del resto vomita sempre, tutte le volte. Chi se ne frega, s, perch ora finalmente si sente vivo, AHHHH giusto quello che ci voleva, si sente vivo mentre si allontana oltre le macchine di lusso effetto concessionario a piedi a piedi oltre il parcheggio nel buio della provinciale, si sente vivo e di quelle parole meglio se non ci vediamo per un po' non gli importa pi un cazzo. Era ora. Domani dir agli amici che si era rotto i coglioni di stare l dentro e che ha trovato un passaggio fino a casa. Loro gli crederanno. Gli credono sempre. Sorride. In the mix.

VUOTI A PERDERE Mistretta Gaetano Vuoti a perdere - 2009


Il Vampiro tir la catena arrugginita e la donna nuda rest appesa a testa in gi. Un metro pi sotto c'era un grosso foglio di tela cerata e, su di esso, brillavano cinque secchi di acciaio inox. - Ora stai l buona- disse il Vampiro, e se ne and sbattendo la porta. La donna non poteva urlare per via del cerotto che le copriva la bocca, ma qualche lacrima cadde sull'incerata. Liberarsi, poi, era impossibile. Non con le braccia legate. Dopo mezz'ora la porta si riapr e, con terrore, vide gli stivali neri avanzare verso di lei. Il Vampiro brandiva un coltello da macellaio e, chinandosi appena, le mise un secchio sotto la testa, sgozzandola con un colpo netto. Una cascata di sangue fumante esplose dallo squarcio e, prima di centrare il secchio, decor il suo vecchio grembiule in pelle umana con una punteggiatura di goccioline che subito raccolse con l'indice. Un piccolo, gustoso antipasto. Mentre il sangue scrosciava afferr un secondo secchio e lo sostitu al primo, ormai colmo. Tutto era andato per il meglio, come sempre. Presto avrebbe placato la sua millenaria sete con un bel bicchierone di nettare ghiacciato con aggiunta di sale, limone e tabasco. E, dopo, sarebbe toccato agli altri. Il giornale del mattino diceva che la polizia era in possesso di alcune impronte ematiche rilevate sull'epidermide di un cadavere che avrebbero inchiodato senza ombra di dubbio il "Vampiro del Cassonetto" (nomignolo affibbiatogli dalla stampa perch dissanguava le sue vittime e poi le gettava tra i rifiuti). Menek ne parl con la moglie: chi aveva salassato quella poveretta ancora senza nome doveva pagare. - Era ora che facesse uno sbaglio!- esclam Mara con entusiasmo, porgendogli una fetta di sanguinaccio. - Gi. Tu chi credi sia stato?-. - Boh? Un maniaco-. - Certo, un maniaco. Meglio cos-. - Che vuoi dire?-. - Niente, niente. Mangiamo-. Quel giorno Menek lavor di malavoglia al negozio di articoli musicali, replicando scortesemente alle domande dei clienti pi indecisi. Tornato a casa, cen in fretta e si chiuse nello studio, ascoltando a luci spente un vecchio CD dei Cultus Sanguine (roba da collezionisti buongustai, ripeteva sempre ai colleghi pi giovani). Heavy metal cupo e depresso come la sua anima. - Buonanotte- disse Mara, spegnendo la luce un paio d'ore pi tardi. - Hmm- bofonchi Menek, girandosi dall'altra parte, ma non riusc a chiudere occhio. La sera successiva perse l'ultimo aerobus prima che entrasse in vigore lo sciopero dei tecnici della centrale, cos era bagnato fradicio e tremava per il freddo. Mentre fiancheggiava il tetro blocco delle carceri guard la finestrella illuminata in cima alla torre. Magari le guardie stanno cenando. Chi vuoi che mi veda? Rasentando i bastioni di granito coperti di muschio giunse all'altezza del portale blindato e, senza motivo, rallent. La luce dell'ingresso era abbagliante e una voce amplificata tuon: - Fermo l! Non si muova.Menek era paralizzato e non osava alzare gli occhi. Eccoci, pens, mentre due robuste guardie lo agguantavano. Lo sapevo che era uno sbaglio... Fu subito portato al cospetto del Direttore Supremo, un omino dall'aria crudele appollaiato dietro un'enorme e spoglia scrivania. - Cosa volete da me? Perch mi avete arrestato?- chiese Menek, smarrito. Il Direttore Supremo stir le labbra in una parodia di sorriso e disse: - Via, che lo sa!-. - Che cosa devo sapere? Stavo solo tornando a casa... sono innocente!- grid. - Nessuno, a questo mondo, innocente- fece l'omino, scuotendo il capo. - Lo ricordi bene: tutti sono colpevoli di qualcosa. Tutti! E ora prendetegli le impronte-. L'arcaica procedura venne espletata nello stesso salone pieno di spifferi e, quando il Direttore Supremo le confront con un foglio che teneva in tasca, annu gravemente. Il cuore di Menek perse un colpo: quel buffo ma terribile emissario del Potere l'aveva gi condannato. Lui, per, non aveva fatto nulla...

- Non c' dubbio: il Vampiro- sentenzi il Direttore Supremo. Poi, rivolto alle guardie, disse: - Lasciateci soli-. Menek deglut a vuoto e si guard attorno come un animale in trappola. - Bene. Mi spiace per lei, amico mio, ma qualcuno dovr pur pagare per i nostri crimini, se cos vogliamo chiamarli-. - Allora lei?-. Una nota d'orrore pervase le parole di Menek. - Gi, io, Direttore Supremo del carcere; poi ci sono mio fratello, il Capo della Polizia, e mio cugino, il Procuratore Distrettuale. Chi crede che tenga il coltello dalla parte del manico, in citt?-. - Ma perch lo fate? Come scegliete le vittime?-. Mille domande affollavano il suo cervello confuso. - Perch, perch... voi mortali volete sempre una spiegazione per ogni cosa. Siete cos limitati! Io sono un predatore notturno, caro Menek, e quelle che lei chiama vittime per me sono solo bottiglie. Dopo averne bevuto il prezioso contenuto non servono pi a nulla, quindi ce ne liberiamo. Trarre linfa vitale dai vostri corpi la nostra natura, come la sua quella di strisciare, lavorare per pochi spiccioli e guardare con angoscia al futuro che l'attende. Ho ragione?- ghign il Direttore Supremo lisciandosi i baffetti. - Ma perch io? Che ho fatto di male?- piagnucol Menek. - Rieccolo che vuole spiegazioni... come devo dirglielo? tutto dovuto al caso: accade e basta. Ogni tanto bisogna dare un colpevole in pasto all'opinione pubblica, prima che il popolo bue alzi troppo la testa. Ogni due, tre anni mi procuro un capro espiatorio e, con l'aiuto dei miei simili, lo condanno all'esecuzione capitale. Non c' scampo, per lei, come non ce n' stato per i suoi predecessori. Sar sempre cos, mi creda. Noi Vampiri non molleremo mai il Potere: caveremo sangue all'umanit ancora per svariati millenni-. - Lei sa che sono innocente. Le impronte non solo le mie!-. - Cosa vuole che me ne importi di lei e delle sue impronte? Non nessuno, non vale niente, perci domani pomeriggio verr giustiziato- concluse fissandolo con odio, quindi chiam le guardie: - Portatelo via! Che non debba pi vederlo!-. Verso le 22 Menek ricevette visite. Sentendo aprirsi la porta della cella url con tutto il fiato che aveva nei polmoni ma i suoi aguzzini, per prima cosa, gli cacciarono in bocca un bavaglio intriso di merda; poi gli legarono mani e piedi col fil di ferro, lo rasarono a zero e gli cucirono gli occhi. Fu girato e rigirato pi volte, messo a sedere e coricato, strattonato per gli arti e percosso senza piet con cavi elettrici scoperti, manganelli e scarpe chiodate, facendolo torcere per il dolore e invocare piet attraverso i denti spezzati. Mentre rifiatavano sorseggiando una fresca limonata, i due mostri lo lasciarono sulla branda a illudersi che l'incubo fosse finito, ma lui sentiva che erano ancora l, e infatti il peggio doveva venire: per il resto della notte gli eiacularono in bocca e nell'ano, a rotazione, e leccarono avidi il sangue misto a sperma che sgorgava da ferite e orifizi slabbrati, rubandogli fino all'ultimo briciolo di dignit. Prendimi, prendimi, intreccio di follia e tormento, supplic. Avvertendo il calore del sole sulle palpebre martoriate, Menek si svegli e pianse. Da una parte odiava essere vivo, dopo tutto ci che gli era stato fatto; dall'altra, invece, sapeva che Mara era perduta per sempre, e questo non poteva tollerarlo. Era solo, umiliato e senza speranza in un limbo nero e pestilenziale, a poche ore dal compimento del suo triste e immeritato destino. - Oh! Oh!- implor, ormai oltre la soglia del dolore. - tei ure! tei ure!!!-. La sua bocca distrutta non poteva pi produrre parole complete. - Che cazzo succede?- sbrait una guardia dallo spioncino. - Ne vuoi ancora, Vampiro?-. All'idea di subire una nuova razione di sesso violento, Menek si rintan in un angolo, trattenendo il respiro. - Ecco, bravo. Fai la cuccia-. Lo spioncino si richiuse con un tonfo. Quando giunse il boia lo trov riverso sulla turca. Colpendolo pi e pi volte, si era aperto il cranio contro il bordo di ceramica, dissanguandosi nella cloaca. Prima per, con la polpa di un'unghia strappata a morsi, aveva scritto sul muro: TROVATEVI UN ALTRO VAMPIRO, STRONZI: IO NON CONFESSER! Per il Potere, ovviamente, non fu un problema: Loro sanno sempre come cavarsi d'impiccio e, nell'anno 20l6, eravamo ben lontani dall'estinzione dei Vampiri...

ANCHE SE FA MALE Nerozzi Gianfranco Anche se fa male - 2009


Vorrei smettere. Ma non ci riesco. La sigaretta accesa e si consuma. Stringe il filtro fra le labbra appena, con la punta delle lingua accarezza la superficie ruvida, solo un piccolo tocco mentre pregusta il momento in cui inizier ad aspirare: lentamente. La sensazione di amaro e di dolce, la bocca che fa da ponte e poi come una carezza lungo la gola. Infine quella sensazione nei polmoni, come se si allargassero in una contrazione. Inspirazione. S. Vorrei smettere. Ma non ci riesco. pi forte di me. A volte prova la sensazione di una mano. Che stringe e soffoca ma nello stesso tempo quella sensazione l: di smettere, si trasforma in una gioia e allora lui sta meglio. Respira pi largo. Pi denso. In un certo qual modo come bruciare dentro e poi entrare e uscire da se stessi. Inspirazione. Caldo, bruciore. Espirazione, busto che si accorcia e freddo improvviso. Dentro e fuori. Mentre lavora, prende altri tiri in fretta uno dietro l'altro. Il filtro che stringe fra i denti si rammollisce. La punta della sua lingua spinge per sentirlo. La saliva lo imbeve rendendolo amarognolo e fastidioso. Sta pregustando quello che sta per arrivare dentro di lui: una sensazione inebriante... La voglia un serpente che s'insinua. Vorrei smettere. Ma non ci riesco. pi forte di me. Anche se fa male. Ci ha provato tante volte. Tante volte s. Inutilmente. La voglia qualcosa che risale dallo stomaco ma nello stesso tempo dalla testa e persino dal cuore. Ci sono momenti in cui giunge a tempo con le pulsazioni: un battito dietro l'altro, una goccia, sempre di pi sempre di pi sempre di pi... Irresistibile. La saliva che si ingrossa e si addensa. La gola si contrae come quando ti commuovi e allora vorresti piangere e ridere nello stesso tempo e poi i nervi si tendono e crepitano, elettricit nei testicoli e poi pi su. Sempre pi su risale ed entra ed esce. Merda. Vorrei smettere. Ma non ci riesco. pi forte di me. Anche se fa male. Si china in avanti. La sigaretta che stringe fra le labbra si ridotta a un mozzicone che sporge. La cenere si stacca e cade sulla carne lucida. Sulle interiora fumanti. Trattenendo un'imprecazione smette di eviscerare. Avvicina ancora di pi il viso, coglie l'odore pungente degli escrementi, mescolati con quello metallico dei rilasci ematici. La cenere caduta sul sangue si sta imbevendo di rosso, d l'idea che stia sfrigolando e lui si inquieta e cerca di soffiarla via, troppo tardi. La cenere si sta gi sciogliendo e presto scompare diluita in una sostanza nuova. Con le dita incrostate di coaguli, con il pollice e l'indice, le unghie nere di sangue, stringe quel che resta della sigaretta che tiene fra i denti, pensa che gli sta rovinando il pasto. Mai fumare mentre si mangia, il gusto ne risente, il fumo brucia le papille, le addormenta. Quasi con stizza lancia via il mozzicone, lontano. Lo guarda volteggiare sul prato, un punto incandescente appena distinguibile nella luce ormai incerta del tramonto. Il sole sceso del tutto: si infilato nella terra scomparendo dal cielo da pochissimi minuti, dieci al massimo. Il tempo di uscire dal cassone del camion: finalmente libero di muoversi allo scoperto, con la vittima che aveva tenuto con s priva di sensi per tutto il giorno, mentre dormiva lontano dal sole.

L'aria pi fresca al tramonto: il momento migliore per fare quello che deve, per nutrirsi. Il sangue diventa pi nero a quell'ora, pi denso. Il suo odore pi inebriante. Snuda i denti facendoli uscire dalle gengive come unghie di gatto retrattili e affonda il viso nella poltiglia. La ragazza sta sussultando per gli ultimi spasmi di vita. Le squarcia la vena cava e attende il primo zampillo poi si concentra per nebulizzarlo. Quando inizia a respirare il sangue, si sente felice e triste nello stesso tempo. Pensa: vorrei smettere. Ma non ci riesco. pi forte di me. Anche se fa male.

ZANNE! Massimo Perissinotto Zanne! - 2009


1 Marisa fissava senza vedere lo schermo del computer. Le parole del suo romanzo si rincorrevano prive di senso. - Dove cazzo sei?-. Ringhi a denti stretti. Non si riferiva alla concentrazione, ormai perduta, bens a Manuel, che in tempi non troppo lontani era stato il suo uomo. Una fotografia, in cornice d'oro e schermatura di cristallo, lo ritraeva al mare, con il sole d'agosto che gli abbacinava lo sguardo. Quella polaroid incorniciata, posta sulla mensola/tabernacolo dell'austera libreria, era per lei un feticcio, un totem, una madonnina lacrimante, un ex-voto, una reliquia alla quale rivolgere, ossessivamente, sempre la stessa domanda, che era al contempo preghiera e supplica: Perch mi hai lasciata? Bench il dolore per l'abbandono fosse andato attenuandosi con lo scorrere inesorabile del tempo (che tutto offusca, ma che nulla cancella), Marisa continuava a svegliarsi nel cuore di notti solitarie, in preda a un'angoscia tanto profonda da farla regredire. Come una bambina sperduta in un bosco brulicante d'infide ombre notturne, in compagnia di una bambola di pezza senza testa. Ecco come si sentiva ogni volta che riaffiorava, inconscio, il ricordo di quella mattina novembrina di tre anni prima. Lo riviveva uncut, come un film che a furia di essere proiettato nella sua corteccia cerebrale avesse finito col sedimentarsi in essa. ...Manuel aveva suonato il campanello con i due consueti colpettini di riconoscimento e lei gli aveva aperto avvolta da una colorata trapunta. Era il loro gioco: lui suonava e Marisa andava ad aprirgli con le nudit coperte di volta in volta da qualcosa di diverso: un gioiello, un velo, una maschera... Ma in quella mattina di met novembre si avvertiva a fior di pelle il gelido inverno farsi spazio a gomitate tra i ricordi sempre pi sbiaditi dell'autunno e dell'estate che il vento pungente aveva spazzato via, e che avrebbe riportato in primavera con la mitezza del suo soffio. Manuel aveva un aspetto orrendo: la pelle era grigia e tirata, le labbra trasparenti come quelle di un pesce e gli occhi rossi come la spia di una telecamera. L'impermeabile nero che gli aveva regalato e che ai suoi occhi lo rendeva irresistibilmente sexy gli cadeva malissimo, come se fosse di due o tre taglie pi grande. Il volto, un tempo armonico, dai bei lineamenti cesellati, impreziositi da baffi curatissimi e da riccioli neri che lo merlettavano, appariva abbozzato... rozzo, quasi indefinito. La ragazza rammentava la propria indecisione, se indietreggiare o protendersi verso di lui per abbracciarlo. Manuel, ci che ne restava, si era sottratto al suo sguardo, volgendole le spalle per rintanarsi nei meandri oscuri dell'impermeabile. - Non guardarmi cos!- Marisa trasal nell'udire quel rantolo gutturale, ma avanz comunque di qualche passo, intenzionata a stringerlo tra le braccia. - Non toccarmi!-. Aveva tuonato lui, come se l'avesse vista avvicinarsi attraverso il drappo dell'impermeabile che gli celava la vista. Lei si era bloccata, ma non per sua volont. Una forza invisibile l'aveva congelata, permettendole appena di respirare. - Sono infetto...-. Il tono della voce di Manuel si era fatto ancor pi cavernoso... quasi il rantolo animalesco prorotto dalla bocca di una belva ferita, irta di troppi denti. - Ormai i sintomi sono evidenti. La decadenza del corpo iniziata... e quella dello spirito prossima. Sento gi la mente affollarsi di pensieri immondi...-. Pi Manuel proseguiva nel suo delirio, pi Marisa sentiva le fibre del proprio corpo impazzire, andare fuori controllo, defluire dai pori della pelle per sgorgare altrove, come sangue da un'arteria recisa. - Non voglio che tu mi veda consumato... ridotto all'ultimo strato di pelle... devi ricordarmi come l'uomo che hai amato, come ero ieri e non come sar domani-. Quindi, con un gesto plateale, Manuel si era girato su se stesso, sollevando a mo' di mantello un lembo del lungo impermeabile, fin sopra la testa, scomparendo in un fruscio di tessuti simile allo sbattere d'ali di una miriade di pipistrelli.

Marisa, malgrado il palese aspetto malsano, non aveva mai creduto alla storia della malattia o forse non voleva crederci, preferendo macerarsi in una malinconica, masochistica attesa. Per molto tempo infatti non aveva preso in considerazione la presenza di altri uomini nella sua vita. Omar, per, era diverso dai comuni disperati che la cercavano per colmare la loro solitudine, tentando di impressionarla con i soliti mezzucci. Omar apparteneva a un'altra razza. Era un gentiluomo d'altri tempi: colto, generoso, sensibile... Marisa con lui aveva ritrovato parte della serenit perduta, e con essa la forza di affrontare le ambizioni lungamente represse, tra cui quella di diventare una scrittrice. Ed era proprio mentre stava correggendo le bozze del suo romanzo, vagamente autobiografico, che la voce del "redivivo" Manuel si era propagata dal vivavoce della segreteria telefonica, rimbalzando in ogni anfratto della casa. - Marisol (solo lui la chiamava cos), amore mio... ho solo pochi centesimi per dirti che ti amo... che ti ho sempre amato-. Marisa si era precipitata a sollevare la cornetta del telefono con una foga che non credeva di possedere, per udire soltanto il click della cornetta che riattaccava dall'altro capo (del mondo, della vita, dell'amore). Il passato era tornato e come uno zombi l'aveva morsa a tradimento, strappandole quell'illusione di tranquillit cos faticosamente guadagnata, lasciandola attonita a torturarsi di domande, prima fra tutte: Dove cazzo sei? 2 Era come precipitare. Il profumo delle braccia che lo cingevano e dei capelli che lo accarezzavano era inebriante. Mirko la stringeva forte a s, mentre lei gli serrava i fianchi tra le gambe perfette quasi volesse spezzargli le reni. La donna lo mordeva frenetica sulla guancia, sulla mascella, sul mento facendolo godere e ricevendo il caldo liquido lattiginoso tra i seni rigogliosi. Mirko non aveva mai posseduto una donna cos bella, anzi, era sempre stato sfortunato con l'altro sesso, a tal punto che molto spesso la compagnia era costretto a pagarsela. Mediocre, invisibile. Con la pancetta e la forfora tra i pochi e radi capelli. Eppure quella donna dalla pelle bianca come la luna, gli occhi come lame e i capelli lunghi, neri quanto le notti di Groenlandia, lo aveva rimorchiato. Non sapeva nulla di lei, tranne il nome a l'et. Aura, si chiamava e, nonostante i suoi diciannove anni, conosceva bene l'arte di muovere le mani, la lingua, e i fianchi. Mirko, nei suoi quarantadue anni di vita, non aveva mai conosciuto, neppure tra le prostitute pi navigate, una donna altrettanto esperta. Dopo quella notte ogni angolo del suo anonimo e modesto appartamento non gli sarebbe mai pi sembrato lo stesso. Al terzo orgasmo ce l'aveva ancora duro, e Aura, scintillante di sudore e sperma, attendeva bramosa l'ennesimo assalto di quella notte neonata. Manuel si godeva lo spettacolo dalla finestra, appeso a testa in gi al cornicione del piano di sopra. 3 Daniela Sasso guardava con apparente indifferenza lo scempio del cadavere. Nella sua seppur breve carriera ne aveva viste di stranezze, ma questa le batteva tutte... roba da rivoltare lo stomaco! Ma lei era l'investigatore capo della Omicidi e non una svenevole casalinga tutta casa, chiesa e telenovelas. Il cadavere appariva prosciugato dei liquidi corporei. La stanza, dove presumibilmente era stato commesso il delitto, non presentava segni di collutazione e l'unico indizio inquietante era dato dalla scia di sangue arterioso sulla parete al di sopra della spalliera del letto. Le lenzuola erano pregne di liquido seminale e gli agenti della scientifica stavano cercando tracce di secrezioni vaginali per stabilire la presenza o meno di un'altra persona al momento del delitto. Non era da escludere, per, che la vittima potesse essere un omosessuale e che quindi si sarebbero dovuti aspettare parecchi giorni per il confronto, o la separazione, dei diversi valori biologici. In ogni caso era una brutta gatta da pelare. - Morte per dissanguamento-, era stato il responso del medico legale. Okay, ma allora dev'era finito tutto il sangue? Daniela Sasso si accese una sigaretta, era passata dalle americane Pall Mall di contrabbando alle pi comuni Diana, per poi spegnerla di scatto sulla manica umida di pioggia della sua giacca di pelle nera. - Qualcosa non va, capo?-. Chiese il suo vice, il bonario e corpulento Oddone Ticci.

- No... solo che ho promesso a mia sorella di smettere, sai com'... non sopporta il fumo-. Oddone la prese a braccetto con affetto quasi paterno e, attento a non farsi sentire dai colleghi presenti, le sussurr in un orecchio: - Tua sorella ti sta schiavizzando con la scusa dell'agorafobia. Dammi retta: trovati un uomo e piantala in asso, e vedrai come le cose cambiano dall'oggi al domani!-. Daniela si osserv, riflessa nella specchiera del com. Era decisamente una bella donna: capelli rossi, pelle candida screziata di lentiggini, occhi verdi e un naso aquilino che la rendeva assai intrigante. L'unica cosa che non le piaceva del proprio aspetto era il taglio di capelli... troppo easy, un caschetto le avrebbe donato di pi, incorniciandole maggiormente l'ovale del viso. Ma dove lo trovava il tempo per recarsi dal parrucchiere? Era dalla sua entrata in polizia che i capelli glieli faceva sua sorella Simonetta, la quale, essendosi fermata alla moda degli anni 80, non poteva certo garantirle acconciature di grido. Anche se le voleva bene, Daniela pensava a sua sorella con la stessa serenit con la quale ci si lamenta di uno sfogo cutaneo. Simonetta era una spina nel fianco. In seguito a una classica delusione d'amore adolescenziale, la gi insita introversione di Simonetta si era acuita, fino a mutare in una forma isterica di agorafobia. Viveva rintanata in casa, con soap opera e quiz televisivi a tenerle compagnia, icone indifferenti di un microcosmo domestico fatto di finzione. Finzione nella quale poter vivere senza soffrire, versando finte lacrime per finti amanti, o strillando di gioia per milioni di euro vinti da sconosciuti. - Allora, te lo trovi un uomo s o no? Non vorrai arrivare ai quarant'anni zitella?-. Infier ancora Oddone, interrompendo il flusso di pensieri che le affastellava la mente. - Ehi, guarda che mi rimangono ancora sei anni buoni di trasgressione, prima dei quaranta!-. S difese Daniela, fingendosi offesa. - Te lo dico da amico. Guarda me, da quando mi sono sposato sono un altro!-. Rincar Oddone, battendosi una mano sulla pancia. - Eh no, caro, quella colpa delle fettuccine!-. Lo schern Daniela, indicandogli lo strabordante pancione. I due amici e colleghi scoppiarono in una fragorosa risata, del tutto fuori luogo in quella circostanza delittuosa. - Che ne diresti di una birra a fine servizio?- le chiese Oddone, con il viso ancora contratto dal riso. - Mi piacerebbe, ma ho promesso a Simonetta che avrei rivisto con lei la videocassetta di Cuori Ribelli-. L'espressione della detective era affranta. - Naaah! Ancora quel polpettone con Tom Cruise? Quando le dirai che lo detesti?-, tuon il vice, strabuzzando gli occhi. - Aspetta che s'accorga che le ho cancellato Vento di Passioni per registrarci sopra un film di zombi!-. Gli rispose con una smorfia. E un'altra risata rieccheggi fragorosa in quella stanza di supplizio. 4 Casa Matheson si ergeva nella zona alta della citt. E Omar dalle finestre poteva vedere Trieste espandersi sotto di lui quasi fino al porto, lungomare compreso. Aveva acquistato quella grande casa in cima alla citt per non dimenticare il motivo della propria solitudine, o la battaglia alla quale era predestinato. Ma, malgrado tutte le precauzioni dettate da quella ferrea volont, una donna era entrata nella sua vita. Una donna spaventata e fragile. Una donna che aveva bisogno di lui. Una donna di cui lui aveva bisogno. Per troppo tempo era vissuto esiliato come il vecchio padrone di quella grande casa vuota, le giornate passate alla finestra a osservare il brulichio della vita di quel mondo alieno in perenne movimento. Quel mondo che non capiva, ma che voleva proteggere e possibilmente salvare, con tutte le sue forze. Omar era un uomo che aveva condiviso con gli angeli la battaglia contro il maligno, e aveva perso. La magia era insita in lui, come nel resto della sua famiglia. Il bene, il male, e la magia erano un'unica forza che lo aveva portato lontano, geograficamente e spiritualmente. Il fuoco dell'Inferno non lo aveva bruciato, bens aveva forgiato l'armatura per la sua rivincita. E quel giorno tanto atteso era alfine giunto, annunciato da inequivocabili presagi. 5

Toc! Toc! Marisa accese l'abat-jour sul comodino. Qualcuno stava bussando nel cuore della notte. Toc! Toc! Il suono non proveniva dalla porta d'ingresso, ma dalla finestra della camera da letto. Credendosi in un sogno, si alz per scrutare oltre le tende, al di l del vetro... 6 Simonetta sgranocchiava impaziente la tavoletta di riso soffiato: Daniela sarebbe arrivata a momenti e, per lei, avrebbe momentaneamente sospeso la sua dieta quotidiana a base di dolciumi, televisione, e solitudine. Improvviso un suono, quasi un sussurro, si inser nel brusio di sottofondo del technicolor. Era una voce. Flebile, la chiamava dalla terrazza attraverso la portafinestra, ma Simonetta la riconobbe subito. Si volt lentamente, temendo che un qualsiasi movimento un po' brusco lo potesse far scappare o, peggio ancora, che la destasse da quel sogno a occhi aperti. E lui era l: Ron Moss, il divo catodico dalla mascella volitiva, il suo idolo! Il protagonista di Beautiful le sorrideva marpione, fregandosi una mano sul pacco. - Ri... Ridge!- gemette con le lacrime agli occhi dalla gioia, riuscendo a malapena ad articolare le parole. 7 Omar stringeva con entrambe le mani il manico della valigetta che la sua famiglia si tramandava da generazioni. Credeva di essere pronto a tutto, ma si sbagliava. La scena che gli si par innanzi, una volta varcata la soglia dell'abitazione della donna che amava era insostenibile anche per chi, come lui, aveva scrutato i profondi abissi infernali con occhi di ghiaccio. La creatura che la stava sodomizzando era un abominio: ali di pipistrello, volto lupesco, pelle di serpente, e una lunga coda di ratto con la quale la flagellava a sangue. E Marisa godeva, lanciando gemiti di autentica estasi sessuale; centuplicando l'orrore, gi oltre i limiti della follia, dell'annichilito Omar. La donna che aveva protetto e amato ora apparteneva alle tenebre, e godeva avviluppata in esse. Omar, ultimo discendente dei Van Helsing, si chin sull'antica valigetta contenente acqua santa e punteruoli di frassino, deciso a dare battaglia. Si sarebbe immerso in quel putrido acquitrino per bonificarlo, per estirpare le radici del Male... una volta per tutte! Non si era ancora rialzato che Aura Patrescu, unica superstite delle spose del conte Vlad Tepes, meglio conosciuto e temuto col nome di Dracula, sbuc dalle tenebre alle sue spalle, sfilandogli con un colpo secco la spina dorsale vertebra dopo vertebra; ponendo cos fine alla pi oscura delle faide. Omar visse abbastanza per urlare, ma non per comprendere appieno la portata della propria disfatta. 8 Una zaffata maleodorante la invest non appena inser la chiave nella toppa. Daniela indietreggi. Cos'era quel fetore? Con una mano fece scattare la serratura, mentre con l'altra estrasse dalla fondina ascellare la sua 44 Magnum non di ordinanza. Varc la nauseabonda oscurit, inoltrandosi nelle tenebre. - Ges Cristo, Simonetta! Simonetta, dove sei?- grid, spianando l'arma contro il buio sulfureo. E Simonetta apparve come una Madonna blasfema, emergendo tra flutti di irreali vapori violacei che sbuffavano dal pavimento. Un attimo di totale bellezza, prima di trasformarsi nell'incarnazione di tutti i mali. Le ossa cominciarono a sporgere in fuori: la pelle si tese per poi spaccarsi di scatto, rivelando orridi artigli chitinosi. Il volto si spalanc come i portali di una chiesa sconsacrata, cancellando ogni traccia di guance, zigomi e quant'altro appartenesse all'anatomia umana. Le ultime vestigia abdicarono in favore di zanne, rostri, code, tentacoli e grandi ali membranose. Con un rapido battito la creatura plan in direzione della sorella. Le fauci spalancate, le zanne protese, tutto l'apparato d'attacco snudato alla ricerca della palpitante giugulare. I rossi capelli di Daniela sbiancarono d'incanto: nel mentre, il mostro esplose in un caleidoscopio di materia organica, imbrattandola di frattaglie e sangue. La donna, come destatasi da una profonda trance, si guard attorno alla ricerca di una spiegazione che potesse giustificare, anche in millesima parte, quella follia.

Se l'avesse trovata ci si sarebbe aggrappata con la forza della disperazione. E sulla porta d'ingresso, ora divelta, le parve di scorgere una figura familiare... Possibile che fosse lui? Il suo unico amico, l'unico che le fosse rimasto sempre vicino, confortandola con tempestive prove d'affetto. Oddone Ticci le corse incontro abbracciandola teneramente, ma con forza. Il tempo parve fermarsi, mentre le nubi maligne si dileguavano sconfitte. Come in un sogno adolescenziale, lui spieg delle grandi e piumate ali bianche, sollevandosi con lei dal pavimento appiccicaticcio. - Dove... dove mi porti?- chiese Daniela al suo salvatore. - Verso l'estate... l'estate dei tuoi ricordi-. Fu la risposta. - Sei un angelo, l'ho sempre detto io...-. Disse lei, per niente sorpresa, mentre varcavano in volo il confine di non ritorno. 9 Oddone, nudo come un verme, si rimirava allo specchio. - Daniela ha ragione: mangi troppe fettuccine!-. Disse alla sua immagine riflessa. Quindi and in bagno, accese la radio e cominci a radersi. Un'allegra fanfara rieccheggi tra le pareti piastrellate. Oddone la segu canticchiando, convinto di aver riconosciuto una celebre canzone d'altri tempi, quando i suoi genitori erano giovani e spensierati. Con un certo disagio gli parve che nonostante la musica fosse rimasta inalterata, le parole fossero cambiate. Distratto, si tagli. Un rivolo di sangue sgorg dalla piccola lacerazione. - Ehi, ti sei tagliato!-. Esclam la moglie di Oddone, comparsa sulla porta della toilette. - Oh, non niente cara-. La rassicur con malcelato imbarazzo. - Lascia fare a me...-. Biascic laidamente la donna, prima di insinuargli la lingua nella ferita. Alla radio, la canzone intonava il suo ritornello: Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le zanne, ma le zanne, a noi piacciono di pi!

UNO STRAPPO FINO A CASA Tonani Dario Uno strappo fino a casa - 2009
Miura inclin la testa, spostando lo sguardo sul lato passeggero. Scrut oltre la ragnatela del parabrezza infranto e vide che la donna aveva il viso coperto di sangue. Minute schegge di vetro le si erano conficcate nelle guance e sul collo aprendo la via a lenti spurghi scarlatti. L'oscurit liquida della notte ovattava i suoni e gli stordiva il cervello. Carponi sul cofano, l'uomo indietreggi quel tanto che gli permettesse di ritornare a concentrarsi sul guidatore. L'airbag esploso non gli concedeva altra visuale che una ciocca di capelli fradicia di sangue. Laggi da qualche parte doveva esserci il guidatore, una giovane donna, a giudicare dalla massa scomposta dei capelli. Miura era desolato. Due donne. Dentro un coup. La cosa lo rendeva inquieto: non gli era mai accaduto. E anche un po' eccitato. Ricacci indietro quei pensieri lottando mentalmente con l'erezione che gli gonfiava il cavallo dei calzoni. Si era agghindato a dovere: abito di velluto nero e camicia immacolata con risvolti di pizzo, scarpe di vernice, occhiali a specchio dalla sottile montatura di tartaruga e, per finire, cipria, mascara blu notte e un tocco di rossetto prugna. Chi gli avesse guardato le mani, avrebbe notato la pelle diafana e le unghie posticce dipinte di viola. Sui capelli impomatati, la cuffietta di un walkman che aveva assicurato alla cintura di coccodrillo. Due donne. Stanotte il demonio scopa. Le chiamer Lori e Vicky. Smont dal cofano e si port sul lato guida calpestando con le suole frammenti di parabrezza. Anche il vetro laterale era andato in frantumi. Da quella posizione poteva vedere la testa della donna al volante (Lori) affondata nell'airbag come in un improbabile trattamento di cosmesi. Il pallone era rosso di sangue. Miura introdusse una mano nell'abitacolo e trov la sicura della portiera. Non aveva dubitato un solo istante che le due donne si fossero chiuse all'interno, a quell'ora della notte. La fece scattare e forz la portiera. Era bloccata. Tir violentemente facendo leva con il piede sulla carrozzeria. Niente da fare. La lamiera si era deformata in pi punti bloccando le cerniere nella loro sede. Prov una seconda volta; un'unghia gli salt via e cadde in una pozza d'olio. - Merda-. Batt un pugno sul cofano, si volt di scatto e affond lo sguardo nella notte sopra i campi inargentati dalla brina: dietro di lui l'abitacolo buio era immerso in un'oscurit gelida e spettrale. Poi, senza perdere tempo, raggiunse il lato passeggero, Vicky... O era Lori? Prov la portiera che dopo un paio di strattoni cedette con uno schianto. Miura per poco non cadde col culo sull'asfalto. Gli sarebbe seccato sporcare l'abito da cerimonia. Si aggiust gli occhiali sul naso: di notte erano una seccatura, vedeva male e doveva spesso alzarli sulla fronte, ma facevano parte dell'abbigliamento. Prese il primo cadavere per le spalle e lo spinse addosso al compagno verso il lato guida, trattenendolo perch non scivolasse sui tappetini. Voleva avere spazio per salire a bordo, ribaltare il sedile e mettersi dietro. Il suo posto. Il posto che mi compete. Per... uno strappo fino a casa. Una volta nell'abitacolo, ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Ma non sapeva cosa. L'interno era freddo; al tatto tutte le superfici sembravano umide. L'odore di sangue e di rivestimenti nuovi si mescol alla fragranza muschiata del suo dopobarba. Il cadavere della donna fu pi docile del previsto; anche se non fosse riuscito a spostarlo completamente, era abbastanza leggero perch potesse ribaltare lo schienale e intrufolarsi sul divanetto posteriore. - Non c' che dire, un coup-, mormor lasciandosi cadere sul morbido sedile in alcantara. Non c'era spazio neppure per voltarsi comodamente a guardare dal lunotto posteriore. Doveva dimagrire. Per il suo lavoro era davvero necessario, sebbene fosse la prima volta che gli capitava una sportiva. La fiancata di sinistra era rientrata di una ventina di centimetri, riducendogli ancor di pi lo spazio a disposizione; il cappottamento aveva deformato i telai dei finestrini che ora si incurvavano verso l'interno con monconi taglienti. Era costretto a stare con la testa piegata, anche se il buio assoluto non gli permetteva di percepire distintamente lo spazio che aveva intorno. S, doveva mettersi a dieta.

- Merda- sibil in quel loculo nero di lamiere e schegge di vetro. Qualcosa lo faceva sentire a disagio. Il sangue rendeva viscide e fredde quasi tutte le superfici che tastava alla cieca. Il silenzio era rotto solo da un debolissimo ronzio che proveniva dalla plancia; occasionalmente una goccia (presumibilmente sangue) gli cadeva tra le gambe e quando toccava la tomaia di una scarpa ne strappava una nota lugubre. PLOOOP. Cerc il walkman alla cintura e premette il tasto Play. Sent il ronzio del nastro che veniva trascinato; poi il basso esplose come un tuono di tempesta. Miura finalmente si rilass un poco. Per quanto gli era permesso da quello spazio angusto si lasci sprofondare nel sedile e serr le palpebre dietro gli occhiali a specchio. Scivol in basso sul sedile ingombro di frammenti di vetro. Eppure... PLOOOP. La musica assordante gli abbrustoliva il cervello trapassandolo da parte a parte con una manciata di spilli roventi. Subito gli torn in mente di quando era riuscito a entrare in una vecchia station wagon che, dopo essere scivolata in una scarpata, si era fermata sul ciglio di un ruscello di montagna, e lui aveva subito pensato che assomigliasse a una scatoletta di tonno, perch dopo una dozzina di giravolte era diventata alta meno di un metro e dentro sembrava che fosse passato un uragano. Carne, rivestimenti e cromature non si distinguevano pi; erano ridotti a una specie di sugo rosso nel quale un immondo mestolo avesse affondato pezzi di polpa e avanzi a cui avrebbe potuto dare un nome soltanto assaggiandoli. Miura era stato costretto a spogliarsi nudo per entrare in quello spezzatino; ci aveva messo pi di due ore di orologio e, alla fine, si era trovato dentro ad ansimare con le labbra appiccicate a qualcosa di schiumoso e gelato che aveva un sapore di ruggine e dentifricio. Quando era uscito, oltre un'ora dopo, era coperto di graffi ed escoriazioni e lurido di sangue solo in minima parte non suo. Pi tardi aveva pisciato, mangiato e gli erano venuti i crampi a gambe e braccia. Dai finestrini rotti filtrava l'odore dei campi concimati, una brezza pungente che gli appannava le lenti degli occhiali. Vicky era quella che in altre circostanze sarebbe stata definita un bel pezzo di ragazza": capelli ondulati che immaginava biondo cenere e pieni di riflessi ambrati, occhi chiari (probabilmente azzurri) e un corpo sinuoso che il rigor mortis stentava a rendere meno attraente; nell'impatto aveva perduto una scarpa e il piede nudo appariva ben proporzionato e sensuale. Miura si protese in avanti e and a insinuarsi nello spazio tra i due sedili; serr tra le cosce la leva del cambio, si accovacci sui talloni e allung i palmi verso il basso. Accarezz a lungo il piede nudo, poi cominci a risalire adagio lungo una gamba; poco sopra il ginocchio l'anello col rubino si impigli in un filo dei collant; lo liber e, accarezzando la coscia, valut che Vicky portasse una mini molto corta. Si impose di staccare le mano senza salire oltre e, girandosi a fatica, pass a indagare la sua compagna. Di Lori, non riusc a percepire altro che qualche ciocca di capelli e un profilo abbondante di seno. Se le due erano amanti, probabilmente a Vicky piaceva molto affondare il viso tra quei seni. PLOOOP. La musica rendeva i corpi insolitamente tesi, come se fossero pronti a cogliere la battuta giusta per cominciare a cantare. Ma c'era dell'altro. Lui per non riusciva a trovarlo... Quando saliva a bordo di una carcassa incidentata, di tutto ci che vedeva e percepiva, pi ancora del sangue e dello strazio della carne, lo stupiva l'immane silenzio che trovava. Gli mancava la voce di quei corpi, e immaginarla non gli toglieva la sensazione di essere stato defraudato di qualcosa. Desiderava chiamarli e aspettare da loro una risposta. Per questa ragione dava un nome ai cadaveri, che fossero belle donne o meno (per lui non faceva una gran differenza). Li chiamava e parlava loro, raccontando le sue imprese, la sua solitudine, le sue speranze, di quando temeva di non incontrare nessuno o di quando l'urto era stato cos forte che ogni forma finiva spazzata via e lui si ritrovava a mormorare al sangue e a una poltiglia che sembrava carne trita. Parlava e parlava e la musica del walkman lo aiutava qualche volta a non ascoltarsi. Perch altrimenti non avrebbe pi trovato alcuna ragione per uscire dai rottami e tornare sull'asfalto intriso di olio e sangue per rientrare a casa. Miura era uno strano vampiro. Un uomo loquace che la solitudine aveva portato sulla soglia dell'abisso. E dal ciglio, scrutava sotto, nel vuoto, con la compostezza che hanno i pazzi quando si credono investiti di una missione. La sua missione era frequentare gli incidenti, penetrare le carrozzerie sventrate con l'impeto di uno violentatore senza scrupoli. Viveva per stuprare la morte. Per questo doveva entrare nelle carcasse, deflorare le lamiere, lacerare le loro geometrie gi offese. Lui che non era n robusto n forte e aveva un fisico androgino che profumava sempre di crema latte; lui che si depilava con cura e succhiava sempre mentine per rinfrescarsi l'alito.

Era arrivato a un punto dal quale non poteva pi ritrarsi. Doveva cercare e cercare, fino a quando la possibilit di imbattersi in un incidente isolato non era divenuta troppo remota. E allora, aveva compiuto il grande passo, e aveva cominciato a uccidere... di persona. Creava semplicemente le condizioni per causare un incidente mortale e avere un po' di privacy prima che si attivasse la macchina dei soccorsi, che talvolta era lo stesso Miura a mettere in moto. Era diventato un maestro, perch il suo intervento si limitava a rendere possibile l'improbabile. Si sentiva un demone; muoveva solo il minimo indispensabile per mettere la circostanza fortuita sui binari della sua vittima. Un sasso, una macchia d'olio. Aveva ucciso una trentina di persone in questo modo. E altre aveva dovuto macellarle una volta dentro i rottami della loro auto, quando il primo tentativo era andato a vuoto e le aveva trovate ancora vive. Che gemevano o gridavano. Non gli piaceva quel fuoriprogramma. Quasi sempre doveva farlo... dall'interno. Straziando le carni gi straziate, allungando una lacerazione qui, scavando ancora di pi una ferita l. Finiva il lavoro. E a lui non piaceva subentrare a met dell'opera. Trovava che lo stile dovesse apparire diverso... Ma nessuno si era mai accorto di nulla: delle unghie finte che gli saltavano via e abbandonava sui tappetini, delle macchie di rossetto, della fragranza di dopobarba... sempre la stessa. Una volta aveva persino dimenticato un nastro sul sedile posteriore di una utilitaria che non aveva neppure l'autoradio. I fari di un'auto che procedeva in direzione opposta lo fecero sobbalzare inondandogli di luce le lenti a specchio. Spense il walkman e rimase in silenzio nel buio. Di solito non si fermano, di solito credono che lo abbia gi fatto un altro. Che polizia e ambulanza siano gi passati e che non ci sia pi niente da vedere. Sfilano muti scrutando ai lati della strada le lamiere contorte e poi accendono la radio o attaccano a parlare del week-end che si avvicina o del collega che si comprato la macchina nuova. Miura aveva ragione: alle sue spalle, la vettura non accenn neppure a rallentare. Attraverso il lunotto posteriore vide le lucine rosse farsi sempre pi piccole e svanire lentamente nella notte. Un buon padre di famiglia pens tornando a fissare la nuca di Vicky. Lanci un'occhiata all'orologio: mezzanotte e ventitr. Era l dentro da poco pi di dieci minuti. E le cose non stavano andando per il verso giusto. Non era ancora riuscito a rilassarsi del tutto, il cuore gli batteva forte, respirava affannosamente e non riusciva a trovare una posizione comoda. La nuca urt qualcosa; Miura si port una mano dietro la testa. Alla cieca riconobbe la scarpa di Vicky. Era volata l dietro, a cavallo tra sedile e pianale posteriore. E poi c'era quella strana sensazione di... Sgocciolio, ecco cos'era. Un liquido freddo gli gocciolava tra le gambe. Anche se con il walkman ne aveva escluso il suono, lo aveva sentito martellare su una scarpa. Con un ritmo che lo irritava e dal quale non riusciva a estraniarsi. Quando, aveva cambiato posizione spostandosi un po' pi a sinistra, le gocce avevano cominciato a cadergli in grembo e sui calzoni. Gli era gi capitato, ma questa volta era diverso. Aveva ritratto le gambe sul sedile e si era accovacciato contro il finestrino laterale. Per un bel po' le gocce non erano cadute. Eppure avrebbero dovuto andare a stampigliarsi sul tessuto imbottito. Quando si era messo in una posizione pi comoda al centro del divano posteriore confidando che non vi fosse pi nulla da sgocciolare, qualcosa aveva ricominciato a piovere gi e a bagnargli i calzoni. Decise di non farci pi caso. Riaccese il walkman e chiuse gli occhi. Dietro le lenti a specchio, in un attimo cal una notte di rock e immagini sgranate. Poi, di nuovo qualcosa che pioveva dall'alto. Non una goccia, ma tante, in rapida successione. Miura sbarr gli occhi e istintivamente abbass il capo. La pioggia aument. Un liquido gelido gli col tra i capelli, rigandogli le guance, il naso, la fronte. Miura gett il capo all'indietro e sent la pioggia sferzargli le labbra e ticchettare sulle lenti a specchio. Si tolse gli occhiali e lo sguardo gli si riemp di quello strano pianto. Goccioloni pesanti percuotevano con violenza tutta la carrozzeria, il cofano contorto, il lunotto posteriore, i vetri rotti che avevano resistito aggrappati al loro telaio ormai sformato. Solo allora, con gli occhi pieni di acqua e rimmel, Miura si accorse che oltre met del tettuccio non c'era pi. L'impatto lo aveva sventrato quasi completamente. Sorrise al pensiero di essersi insaccato nelle spalle per paura che qualche lamiera tagliente gli ferisse la testa. Non portava torce e la notte era illune e nerissima. La pioggia crebbe di intensit. Miura apr la bocca e ne accolse le gocce sulla lingua. Doveva sembrare un mostro, con il mascara che gli rigava le guance e il rossetto prugna sbavato agli angoli della bocca. Ciocche di capelli fradice gli si appiccicarono alla fronte. Un mostro...

Stette a lungo con il capo rovesciato in quel silenzio di tempesta, a deglutire la pioggia fredda, poi spinse il sedile sul lato passeggero, smont, si volt e sorrise a Vicky. Le pass il palmo della mano sul seno e in grembo; risal e le segu il profilo con un dito. La pioggia doveva aver lavato via tutto il sangue e le schegge di vetro pi superficiali. Avvicin le labbra e le stampigli un bacio sulla fronte. La pioggia la rendeva seducente e bellissima; quel buio lucido e bagnato la ammantava di una sensualit di cui Miura fu subito vittima. Non gli era mai accaduto e quasi ne fu spaventato. Si allung a darle un altro bacio, sulle labbra fredde. La abbracci e la fece scivolare adagio fuori dell'abitacolo. La stese sull'asfalto, la sollev piano e se la aggiust in braccio. Anche tagliando per i campi aveva molto strada da fare e con quella pioggia non sarebbe arrivato al suo giaciglio che un'ora prima dell'alba. Super con un balzo il fosso sul ciglio della strada e affond con le scarpe nel fango della campagna. La pioggia gli port alle labbra il sapore amaro dell'ombretto che continuava a colargli dagli occhi. Devo sembrare un mostro pens. E rovesci la testa snudando i denti candidi alla notte nerissima...

ROSSA APOCALISSE Trevisanello Liri Rossa apocalisse - 2009


Quando l'Agnello apr il quarto sigillo, udii il quarto essere vivente esclamare - Vieni!-. Guardai e vidi un cavallo color cadavere. Il suo cavaliere si chiamava Morte ed era accompagnato da un esercito di morti. (Apocalisse 5,6) 1 Milano, A.D. 2012 L'Ospedale Maggiore riapriva i battenti. Da tre anni ormai la struttura principale dell'AUSL era finita sotto sequestro da parte della polizia, a seguito della scoperta di un traffico di cadaveri utilizzati dai chirurghi estetici per restaurare l'ormai mummificata Milano da bere. - D'ora in poi tutto sar assolutamente chiaro e trasparente-, aveva dichiarato il sindaco ai giornalisti, che il giorno dell'inaugurazione si accalcavano nella sala stampa del municipio. - Saranno effettuati controlli rigorosi- continu il primo cittadino, - e niente sar lasciato al caso. Questa una promessa a tutti i miei cari milanesi!-. Il Policlinico era stato edificato alle porte della citt: un enorme labirinto che si snodava in corridoi, stanze, sgabuzzini, obitori e sale operatorie che ospitavano i macchinari tecnologicamente pi all'avanguardia, facendone il gioiello della sanit italiana. Ma il vero tesoro erano i sotterranei, costruiti senza alcun permesso ufficiale e che non comparivano nelle carte catastali. L'unico nome, usato in assoluta segretezza, era un codice: L.T.S. ovvero "Laboratorio Tecnico Sperimentale". I bunker, come erano chiamati in gergo, erano almeno una quarantina: enormi stanzoni bianchi nei quali regnava, in un silenzio artico, un odore acre e pesante di sostanze chimiche, tra cui spiccava, netto, quello della formaldeide. La fascia A era stata adibita alla costruzione di un piccolo zoo e di una serra dove si trovavano varie specie di animali e piante, molti delle quali esotiche e particolari. Nelle fasce B e C si testavano e sperimentavano i risultati, mentre si eliminavano a stoccaggio solo le sostanze palesemente pericolose: il materiale potenzialmente dannoso era conservato in apposite celle frigorifere nelle ultime cinque stanze della fascia D. 2 Le circostanze avevano beneficiato Paolo Fulcanelli oltre ogni aspettativa. Lui sapeva tutto. Aveva approvato e incassato il compenso per il suo silenzio; aveva taciuto fino al giorno del processo, quando senza troppi sensi di colpa aveva raccontato tutto come in una bella fiaba della buonanotte. A differenza di una fiaba, per, aveva fatto scatenare gli incubi pi terribili. Forse nel suo profondo, profondissimo inconscio, un po' gli dispiaceva aver riferito tutto al prefetto e ai giudici, ma come mentire ai suoceri delle sue adoratissime figlie? Oltretutto gli avevano garantito una rapida archiviazione del caso e la riapertura in tempi record della struttura ospedaliera. Il ministro stesso, poi, in un incontro privato gli aveva assicurato l'attivazione del progetto "L.T.S." nel massimo riserbo. Tutto quello scandalo ora era finito e per Fulcanelli si stava aprendo una nuova era. Non esagerava a pensare a un'era: voleva passare alla storia e per farlo non avrebbe guardato nessuno negli occhi. Occhi che, come i suoi in quella calda mattina d'agosto, sarebbero stati deliziati di contemplare una splendida donna in procinto di vestirsi. La sveglia era suonata e la bella Lidia si era alzata per lavarsi via l'odore di sesso che la invadeva, mentre il direttore sceglieva con cura quasi maniacale giacca, cravatta e camicia per la prima riunione del primo giorno di nuova vita dell'ospedale.

Paolo lanci una rapida occhiata all'orologio. Cazzo! pens, sono gi le otto e un quarto... Doveva muoversi, col traffico che c'era a quell'ora avrebbe fatto sicuramente tardi. Dopo aver salutato, usc di casa, prese lo scooter e s'inoltr nel caos mattutino della citt. 3 L'ospedale era stato inaugurato la mattina del 20 agosto, ma il ritmo lavorativo era giunto a pieno regime con il turno di notte: i fumi dell'alcool e qualche tiro di coca in pi avevano fatto schiantare la macchina sportiva di un calciatore e della sua graziosa velina, procurando a lui una morte sul colpo e a lei, oltre al maciullamento di gambe e braccia, un ricovero in prognosi riservata al reparto rianimazione. A parte questo, la notte era continuata con il consueto viavai del pronto soccorso, un bambino con il braccio fratturato, anziani colti da malore a causa del caldo e via discorrendo. Semplice routine, ma i primari dei vari reparti si sentirono rinascere, tornando a controllare le altrui vite. Dopo quella nottata, alle nove erano comunque tutti in sala riunioni. Il salone era un locale grande ma non troppo sfarzoso, al cui centro troneggiava un tavolone rotondo in legno massiccio attorniato da una ventina di sedie. Il pavimento in marmo, tirato a lucido dalle zelanti donne delle pulizie, rifrangeva la luce che entrava dagli ampi finestroni. Fulcanelli attendeva i membri del suo staff, che stavano varcando uno a uno la soglia in perfetto orario. Quando tutti furono seduti, il direttore cominci a parlare seguendo scrupolosamente il discorso preparatogli dalla segretaria: - Intanto-, disse schiarendosi la voce con eleganza - voglio dare il benvenuto a tutti voi e soprattutto ai medici che oggi con noi cominciano una nuova avventura in questo gioiello della sanit milanese. Per nessuno stato facile superare la grande crisi ingenerata dallo scandalo, inutile tacerlo, sarebbe ipocrita e io, lo sapete, amo l'onest...-. Non tutti erano d'accordo con Fulcanelli, in particolare uno dei medici che con lui aveva lavorato e ben conosceva i suoi metodi: sapeva anche che "ipocrisia", nel vocabolario del direttore era la prima parola, accompagnata da altre come soldi, potere, tradimento. Il padre di Paolo era stato, fino a pochi anni prima, proprietario di alcune radio di successo. La popolarit acquisita grazie ai media lo fece entrare nel mondo della politica nazionale, sebbene con incarichi minori. La madre, invece, aveva tentato la carriera cinematografica, ma senza grosso successo e ora viveva nella sua villa accudendo i cani e impartendo ordini alla servit. L'attenzione del medico ritorn alle parole del direttore, il quale, sempre pi convinto del suo ruolo vitale nel Policlinico, continuava imperterrito a ciarlare sulle direttive ministeriali, sulla qualit dei servizi e sul fatto, improbabile, che in quel luogo tutti i malati si sarebbero sentiti come ospiti di un grande albergo. Il dottore in questione era Franco Silvestri, primario del reparto di ematologia e unico del personale medico a sapere dell'L.T.S., avendo reperito i migliori tecnici di laboratorio per il grande progetto. La riunione fin presto, non tanto per la brevit dell'ordine del giorno, ma perch Fulcanelli era in fibrillazione per l'arrivo di un carico di notevole valore. 4 Il camion era finalmente giunto a destinazione. Gli autisti, due ungheresi, avevano dovuto attraversare mezza Europa per non destare sospetti, dato che parte di quel sangue (la met destinata al laboratorio), veniva proprio dall'Ungheria. Il vecchio furgone Fiat era partito dalla piccola citt di Pcs: arrivato a Budapest aveva caricato il sangue e si era diretto in Francia, dove lo aspettava altra "merce" destinata all'ospedale. Da Budapest erano poi passati per Vienna, Linz, superando il confine tedesco e facendo tappa prima a Monaco e poi a Stoccarda, giusto il tempo per dormire e rifornirsi di benzina, arrivando infine a Parigi dove il sangue era stato trasferito su un altro camioncino con targa francese. Dopo quest'ultimo passaggio il mezzo aveva fatto tappa a Torino e di l era giunto a Milano. Uno dei pochissimi a conoscere la provenienza di una parte di quel sangue era Fulcanelli, mentre la notizia ufficiale era che l'intero carico arrivava dalla Francia, gi accuratamente esaminato e quindi del tutto sicuro. Fulcanelli non aveva ritenuto opportuno impiegare tutto il denaro dei contributi ministeriali per procurarsi del sangue il cui costo, dovendo servire per la ricerca, sarebbe potuto essere pi contenuto. Tutto era stato organizzato nel migliore dei modi: nei registri il carico completo risultava di provenienza francese e il suo il costo era pari alla somma ministeriale, in realt l'esborso era stato della met e ora la rimanenza sonnecchiava placidamente in una sicura banca svizzera.

Fulcanelli si sentiva un genio, tutto andava come previsto. Erano ormai le sette, il sangue sarebbe stato scaricato nottetempo; il direttore avrebbe mangiato a casa, per poi continuare la serata (e la nottata) a casa di Lidia. 5 - Ho sentito che arrivato il nostro carico di plasma...-. Paolo adorava la voce di quell'amante focosa e dolcissima, non era come quella di sua moglie, cos nasale, impostata (creata apposta fin da piccola per la carriera, ormai fallita, di grande attrice); quella di Lidia era come una pioggia primaverile, leggera e delicata, che sapeva diventare, al momento giusto, un temporale estivo, violento e improvviso, che lo trascinava in un mondo di sogni e perversioni di cui era vittima o carnefice a suo piacimento. - S... arrivato oggi pomeriggio, lo trasferiscono stanotte in laboratorio e domani potrete cominciare a lavorarci seriamente-. - Scusa? Hai detto "seriamente"?- la voce soave, tersa come un cielo primaverile di Lidia aveva preso a gonfiarsi di nubi cariche di tempesta, e Paolo, che non era in vena di discussioni cerc di riparare alla gaffe: - No... cio s... ma non in quel senso. Volevo dire che finalmente potrete lavorare su qualcosa di reale, concreto, vero insomma!-. Lidia non pot fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata, lasciando Paolo stupefatto; in fondo era sempre il suo capo e si divertiva a sentirlo guaire davanti a lei, tenendo gli occhi bassi: - Beh?! Faccio tanto ridere?-. Il direttore si era offeso, avrebbe voluto risponderle, ma gli occhi di quella donna lo facevano quasi sempre ritrarre in un guscio. - Non fai ridere, ma quando mi arrabbio, diventi timido e impacciato. Penso a come sei in ospedale... cos inflessibile, su qualsiasi cosa-. - L comando, devo mantenere l'ordine e la disciplina-. La voce di Paolo era incerta, era lei a renderlo cos, quasi avesse un potere magnetico su di lui. Per questo spesso evitava di andare a visitare il laboratorio dove lei lavorava, e per questo finiva sempre col darle ragione. Lidia intanto aveva glissato con la solita classe e aveva cominciato a parlare d'altre cose, mentre Paolo era intrappolato in un vortice di pensieri. Andava a letto con lei da poco pi di due mesi, ma ogni giorno di pi la sua anima le apparteneva e i suoi sentimenti crescevano. Forse, pens con enorme paura, si stava innamorando. Ma come poteva? Aveva mai amato nessuno oltre i soldi, il successo e le sue adorate figlie? Le sue figlie: senza di loro, senza i loro matrimoni "eccellenti", sarebbe stato rinchiuso in carcere, tra gay, delinquenti immigrati e drogati, il cui solo pensiero lo colmava di disgusto. Cosa lo attraeva realmente di lei? In fondo aveva sempre avuto molte bellissime amanti, tutte dalle forme giunoniche; ma lei era diversa: magra, alta, i capelli nerissimi come gli occhi e la pelle bianchissima, quasi trasparente. Era esattamente l'opposto di ci che per anni era stato il suo ideale di donna, eppure l'adorava e non riusciva a farne a meno. Anche se perso nei suoi pensieri, ogni tanto ritornava a seguire con attenzione le parole di Lidia, e quello che lo colpiva era la sua acutissima intelligenza, e l'enorme cultura, come se, attraversando i secoli e la storia, avesse vissuto centinaia d'anni. 6 Quella notte il dottor Franco Silvestri aveva accolto i corrieri ungheresi, seguendo l'arrivo, lo scarico e il trasporto del sangue al reparto di ematologia. Congedati gli uomini, trasfer personalmente il plasma non certificato nelle celle frigorifere. Franco conosceva bene Fulcanelli: non avrebbe mai speso un centesimo per del sangue da utilizzare "solo" per dei test, e si ripropose di portarne fuori una fiala cos da poterla analizzare con pi tranquillit nel suo laboratorio casalingo. Mentre prelevava uno dei campioni and a sbattere contro lo spigolo del mobile in metallo accanto alla cella dov'era riposto il plasma, e la provetta gli cadde di mano. Il sangue finito a terra scorreva sul pavimento e s'insinuava tra le fughe delle piastrelle... fluendo verso il medico. Silvestri indietreggi d'istinto, ma rest atterrito quando comprese che il sangue cambiava direzione in base ai suoi movimenti, quasi sentisse la sua presenza. Mentre seguiva ogni suo spostamento la massa

liquida non aveva dato il minimo segno di coagulazione anzi, il suo volume era notevolmente aumentato, come se le cellule che la componevano si stessero moltiplicando. Non possibile, pens il primario, preda di un'agitazione che andava via via trasformandosi in panico; i globuli rossi erano cellule prive di nucleo e non avrebbero mai potuto riprodursi, non esisteva nemmeno una remota possibilit che potesse accadere: eppure quel liquido si autoalimentava in una genesi continua. Silvestri era del tutto in preda all'orrore, la paura gli aveva letteralmente bloccato i muscoli e i legamenti; i suoi occhi, quasi sul punto di schizzare fuori dalle orbite, continuavano a fissare quella cosa che pian piano cominciava a lambirgli le suole delle scarpe. Pi si avvicinava al medico pi quella cosa formava sulla sua superficie delle piccole bollicine, aumentando freneticamente il movimento, man mano che tentava di risalire i mocassini del medico. Per un momento si riebbe: in quell'attimo ripose ogni cosa, chiuse le celle e fugg sbattendo con violenza la porta, nel vano tentativo di bloccare un inseguitore che sapeva lo avrebbe trovato ovunque. 7 Quel giorno, nei bunker, cominciarono i test sul sangue. Lidia indoss il camice e apr una delle celle. Non appena ebbe in mano alcune provette l'istinto, forse le sue origini, le rivelarono qualcosa di molto particolare. Con la scusa di completare un test si trattenne in laboratorio tutta la notte. Quello era il sangue del suo popolo, lo stesso popolo che per centinaia d'anni era stato temuto e cacciato e che ora viveva nascosto in nazioni che non davano notizia, per lo pi ignorate dal mondo occidentale. Luoghi come l'Ungheria, dove s'imputavano alla povert e alla disperazione morti e sparizioni... quando in realt le vittime servivano a placare una fame immortale. L'odore era inconfondibile, non assomigliava a quello dei suoi colleghi, odorava di antico e, soprattutto, era vivo. Sapeva cosa fare: mescolare i due tipi di sangue, per far s che il pi forte (quello dell'antica stirpe) si nutrisse e cominciasse a crescere. 8 Sotto l'occhio del microscopio, la "creatura immortale" si nutriva del sangue umano. E mentre Lidia stava per compiere la sua creazione, la porta si spalanc. Fermo davanti all'entrata, la dottoressa riconobbe Silvestri. - Non poteva essere nessun altro!-. La voce del medico tremava per la paura e fremeva per la rabbia. - Come mai a quest'ora?-. Lidia, al contrario, non era impaurita ma aveva capito che Franco aveva messo il naso in affari che non lo riguardavano, scoprendo tutto. - Tu e quel lurido porco di Fulcanelli! L'altra notte ho portato gi il sangue e quasi non riuscivo a credere ai miei occhi-. - Sto solo sbrigando del lavoro arretrato, fra poco dobbiamo consegnare i primi risultati dei test e...-. - Cazzate! Sono solo una montagna di cazzate. Quella merda schifosa pulsa, ribolle, se solo potesse dilanierebbe qualsiasi essere vivente!-. Franco urlava, ma Lidia non aveva bisogno di spiegazioni, lo sapeva, sapeva perfettamente cosa stava accadendo, perch anche nelle sue vene tutto ribolliva. Lo sentiva quell'odore, quello della carne, del sangue e nella sua mente vedeva il collo squarciato del medico e lei, sopra di lui che, non solo risucchiava come un frutto maturo la purpurea linfa vitale, sgorgata dalla gola ormai smembrata, densa e calda come da una sorgente, ma gli affondava le zanne nelle viscere, sprofondando sempre di pi in un lago nel quale da troppo tempo desiderava bagnarsi. - Franco, avvicinati... voglio mostrarti una cosa che ci render potenti...-. Gli occhi di Lidia fissavano quelli del primario, ma erano diventati pi scuri, pi profondi, come abissi nei quali l'uomo stava per dissolversi. Tutto accadde in pochi secondi. Lidia, spostandosi verso il dottore, aveva lasciato scoperta una porzione del tavolo in cristallo sul quale erano posati i vetrini e le provette. Franco, atterrito e infuriato, si avvent su di lei. Ma mancato il bersaglio e perso l'equilibrio, il medico rovin sul tavolo mandandolo in frantumi, schegge come lame che gli squarciarono l'avambraccio sinistro. Lidia, vedendo il rosso scarlatto del sangue, si avvent su di lui, prendendone veloce e vorace il dolcissimo nettare. Si accorse solo quando stava per andarsene, che il liquido

di una delle provette stava lentamente penetrando nelle ferite dell'uomo. Anche se in modo imprevisto, il suo piano procedeva: il Primo era stato creato. 9 Quando i ricercatori entrarono nel laboratorio 23, si trovarono innanzi a qualche milione di danni. La maggior parte delle apparecchiature era del tutto inutilizzabile e le provette giacevano a terra in frantumi. Sul pavimento, sangue e vetri avevano creato un mosaico che alla luce dei neon rifletteva come una brillante distesa polare. Fulcanelli era arrivato gi stanco al lavoro quella mattina; sua moglie la sera prima aveva voluto adempiere ai doveri coniugali e lui ne percepiva ancora l'odore acre, quasi gli si fosse incollato all'interno delle narici. Questo, e il pensiero del corpo della donna che lo sovrastava, gli aveva scatenato una nausea tremenda. Appena arrivato in ufficio era stato convocato per una "riunione straordinaria", vale a dire che qualcosa di grave si era verificato, gi nel bunker. Il fiato, gi corto per aver fatto la rampa di scale di corsa, gli si mozz del tutto quando il disastro si present davanti ai suoi occhi: qualcuno aveva distrutto il laboratorio. Lo shock per quello sperpero di denaro fu tanto che Fulcanelli, con la scusa di andare ad avvertire il ministro, scapp a casa di Lidia a cercare un po' di conforto e qualche consiglio. 10 Nell'appartamento, Lidia attendeva. ...La prima volta che Paolo aveva messo piede in casa sua, non pi di qualche mese prima, l'idea che la sua "piccola" fosse un po' bizzarra l'aveva quantomeno sfiorato. La casa di Lidia era in penombra, tapparelle abbassate, luci soffuse, tutte cose che al direttore piacevano, le considerava "seducenti". La camera da letto era completamente rivestita di viola, un viola scuro e pesante. E tende di spesso velluto ricoprivano le finestre. Fulcanelli non pot fare a meno di notare l'assenza di specchi nella stanza, e quella cosa gli parve strana, molto strana nella camera di una donna. - Lidia, ma sai che mi accorgo ora di quanto buio questo posto? Non ci avevo ancora fatto caso e... non ci sono specchi... ma tu non ne hai bisogno, sai di essere bellissima non vero?-. Fulcanelli balbettava. Per la prima volta in vita sua era a disagio con una donna, si sentiva oppresso, represso e sotto controllo. - Paolo caro, la mia camera sempre stata cos... Amo il buio, la penombra, amo il lato oscuro delle cose... spesso proprio quello il lato migliore. Preferisci cambiare stanza? Se lo desideri possiamo scendere in salotto-. Lidia invece era stata lucida e precisa nella sua risposta, come se percepisse l'imbarazzo del suo nuovo amante. - Beh, la tua idea originale, ma io non ho mai notato questo... "lato oscuro", se si pu definire cos, delle persone... comunque possibile che esista-. Paolo cercava in Lidia un qualche barlume di normalit, non solo per i discorsi che faceva, ma soprattutto perch in qualunque punto della stanza guardasse, vedeva solo il buio. C'erano angoli in quella camera dove il suo occhio non arrivava a scorgere la fine delle pareti, angoli molto pi oscuri del buio stesso. Si sentiva osservato, come se le pareti fossero dotate di occhi: percepiva anche una sorta di brezza, un soffio, come se qualcuno gli alitasse da molto vicino. Dava le spalle alla donna, cercando di mantenersi calmo. Aveva paura. - Lidia possiamo aprire le finestre? Fa caldo e mi manca un po' l'aria...-. Voleva vedere cosa si annidava negli angoli, voleva vedere Lidia davanti a uno specchio voleva possederla per capire se era viva, reale, perch nulla in quel momento gli pareva vero. Lidia lo osservava, conscia che il suo corpo era in fibrillazione, percepiva un fremito nelle membra dell'uomo, sentiva l'odore dell'adrenalina e del sudore che, lentamente, stava inzuppando il medico. Avrebbe voluto dilaniarlo ma non poteva, non in quel momento, l'ora non era ancora giunta. Paolo si gir di scatto, la guard e come dal nulla sorrise, parlandole pacato. - Non hai fame? Potremmo andare a mangiare qualcosa? Sei cos bella che devo vederti con un po' pi di luce-. Paolo aveva lasciato che il buonsenso bloccasse la paura e la curiosit che questa nel profondo incitava: era il suo sistema... e poi, quella donna era solo una delle tante.

Lidia, dal canto suo, desiderava che il medico continuasse a sudare, a profumare di paura e di terrore: l'avrebbe posseduto, ne avrebbe lacerato le carni. Non si sarebbe limitata a sorbirlo lentamente, ma lo avrebbe divorato come una fiera a digiuno da troppi giorni, avrebbe placato infine la sua sete, adornando il suo corpo di minuscole perle di san... Il ricordo, cos vivido, scomparve al trillo del campanello. And ad aprire, e dalla porta entrarono nuovamente i ricordi, la paura, il sudore e la fame. 11 Lidia era innanzi a lui. Ma il suo sguardo vitreo, freddo e sepolcrale, lo blocc non appena si richiuse la porta alle spalle. - Volevi qualcosa da me?-. La voce era profonda, atona, quasi provenisse da un altro mondo, dove la parola era assolutamente inutile. - Beh, so che ieri sera ti trovavi nel laboratorio e stamattina lo hanno trovato distrutto, ne sai niente? Tesoro!?... Sai quanto costava tutta quella roba? Lo so, non compito tuo, ma se non do una spiegazione al ministro finisco nella merda alla grande, e tu, se c'entri qualcosa vieni a fondo con me, lo sai-. Fulcanelli cercava di mantenere la calma, pronunciava ogni parola con distacco, quasi non si trovasse l, come se non avesse lei davanti ma una qualsiasi, una che si era scopato e alla quale doveva rimproverare qualcosa. Lidia continuava a fissare il primario, zitta, immobile; il suo sguardo puntava dritto all'interno dei suoi bulbi oculari, per poi scendere sempre pi gi e sempre pi a fondo, nelle sue stesse viscere. - Lidia! Ti rendi conto di che cazzo hai combinato?!-. - Certo Paolo: ho ricreato la mia razza, ancora pi forte, ancora pi grandiosa...-. Con un impercettibile movimento delle labbra Lidia gli aveva svelato il suo segreto. Tutto nella stanza si era fatto soffocante, la tonalit della luce continuava a variare e l'uomo si sentiva sempre pi rinchiuso, come sepolto sotto tre orribili metri di terra; ne percepiva il calore malsano, l'umidit e il tanfo della putrefazione. Il suo sguardo cadde pesante sul pavimento: le piastrelle erano scomparse, ovunque era sangue e resti umani. Pezzi di teste, arti e occhi senza vita lo fissavano, mentre larve e scorpioni banchettavano avidi. Cerc di volgere le spalle, aprire la porta e fuggire, ma facendolo gli si pararono innanzi solo visioni di sangue, morte e distruzione... una Rossa Apocalisse. A quel punto non poteva far altro che restare l, immobile, aspettando e sperando di morire, perch se mai ne fosse uscito, la sua mente non avrebbe mai e poi mai riacquistato lucidit. I minuti continuavano a scorrere lenti, inumani come se fossero secoli di un tempo mai esistito. Lidia si stava avvicinando lentamente al suo amante, quando la porta a vetri che dava sul retro esplose con tale potenza che una miriade di schegge taglienti investirono il viso e il petto seminudo del direttore, screziandolo di rosso. Ma se l'aspetto del medico, simile ora a quello di un bimbo con la varicella, aveva un che di comico, l'Inferno sulla Terra che si stava scatenando non lo era affatto, e la casa di Lidia ne era la soglia. - Ecco cosa intendevo per nuova specie, ti piace? Anche lui ora come me, per quanto imperfetto in virt dell'essere il primogenito di una nuova razza: ma il numero dei miei figli sta crescendo, e migliorando-. Dietro Lidia c'era qualcosa, un uomo forse, o ci che ne rimaneva. - Sil... vestri...-. Le uniche parole che Paolo riusc a pronunciare erano rivolte all'avanzo di carne umana che barcollava verso di lui, grondando secrezioni e brandelli di polpa viscida. - Che cosa ti ha fatto?! Cosa sei?-. - La potenza Paolo, la potenza!-. Quell'unica, misera frase colava da una bocca sformata da due grossi canini, che spiccavano su un orripilante puzzle organico: il volto era divelto, i muscoli e le ossa della mandibola erano lucidi per gli umori organici. Il cranio era sfasciato d'un lato: grumi di sangue e materia grigia sgorgavano in densi rivoletti, andando a rapprendersi attorno alla spaccatura. Gli occhi avevano, come quelli di Lidia, un'espressione sterile, di morte, o meglio, di chi conosce la morte. - Tutto ci che sono ora lo devo a lei, volevo fermarla, volevo impedirle di sterminarci, ma ora tutti diventerete come noi-. I resti di Franco si erano avvicinati talmente a Paolo che quest'ultimo, alla vista di ci che restava del volto del suo vecchio collega, si vomit addosso: mentre gli acidi gastrici bruciavano le ferite, le larve si avvicinavano, lente ma inesorabili, alla ricerca di nuovo cibo.

12 La citt era preda di una calma irreale: la malattia ematica che l'aveva investita aveva lasciato ai sopravvissuti poca scelta. Alcuni avevano preferito suicidarsi piuttosto che finire tra le fauci dei mezzosangue, altri invece avevano accettato di buon grado la condizione e non avevano opposto resistenza n alla sete dei loro nuovi padroni, n alla "ghettizzazione" loro imposta. Le citt vicine non avevano sentore alcuno di quanto accadeva nella metropoli, perch chi veniva trasformato continuava comunque a "vivere" la propria "non-esistenza" di sempre, spostandosi, lavorando e viaggiando, diffondendo il morbo in tutto il paese e oltre. Le poche notizie che trapelavano da altre nazioni fornivano solo qualche dato confuso, ma si sapeva che la "peste rossa", cos battezzata in ricordo di un antico flagello, aveva colpito anche i popoli dell'Est, quasi fosse scoppiata una grande guerra batteriologica. L'esercito di Lidia, dei suoi figli, era numeroso e crudele. Il sangue finito sul pavimento durante lo scontro con Silvestri, per quanto in uno stato per cos dire "embrionale", aveva gi molte delle caratteristiche della nuova razza notturna che ora stava conquistando il mondo. Particolare fondamentale di questa specie, era quello di assumere le peculiarit degli oggetti con cui entrava in contatto, in una sorta di evoluzione del mimetismo animale. Ora i "piccoli" erano cresciuti ibridandosi alle proprie vittime, e Lidia diede loro il nome di Protei, come il dio greco della trasformazione. Alcuni di loro avevano la pelle ricoperta di scaglie cristalline, altri secernevano acidi, altri ancora, avendo inglobato molecole metalliche, apparivano ricoperti da un sottile strato d'alluminio. Ma tutti si cibavano di sangue umano. A loro spettava il ruolo pi importante: cercare gli esemplari migliori per convincerli a far parte della neonata stirpe, lusingandoli con l'offerta di potere e immortalit, arma di seduzione, quest'ultima, che fece molte vittime. E se non ci fosse stata una collaborazione tangibile da parte del Gregge, avrebbero attivato il Mattatoio, proprio nelle immediate vicinanze del Quartiere Umano: l'hinterland milanese era stato infatti trasformato in una sorta di ghetto, dove si stavano costruendo, con una rapidit quasi irreale, nuove case, nuovi uffici e tutto ci che serviva ad allevare al meglio il loro nutrimento, grato di essere stato risparmiato e di vivere per conto proprio tra veri umani. - Ci vorranno molti uomini perch tutto funzioni, e soprattutto molti soldi-. Lidia, quando parlava con Paolo, continuava a mantenere il tono dolce e sensuale che lui adorava, certa che avrebbe continuato a obbedirle ciecamente. - Domani arriver il ministro, l'ho chiamato come mi hai detto, verr a quantificare i danni della pestilenza, per poi corrisponderci la somma per gli aiuti che noi invece utilizzeremo per acquistare i macchinari per il Mattatoio...-. L'aveva risparmiato perch anche lui, a suo modo, le sarebbe stato utile: aveva contatti con tutti i pezzi grossi e nessuno al mondo aveva competenza del progetto e dell'evoluzione dell'L.T.S. quanto quell'essere umano. E Paolo l'amava a tal punto da essersi ridotto a una vera e propria larva: il corpo bianchiccio, i movimenti scivolosi, gli occhi che in quell'essere erano una delle poche cose umane rimaste; ogni desiderio di Lidia veniva esaudito mentre lei lo formulava. Paolo era diventato un'"esistenza", com'erano definiti i gregari: leccapiedi e troppo appiccicoso forse, ma di provata fedelt. Lidia aveva ottenuto il suo scopo, ed esso aveva raggiunto la perfezione. L'ultimo tramonto umano stava per morire, la luna accoglieva, ammantata di rosso, la nuova stirpe, e una leggera pioggia di sangue placava la sete di oscuri giardini bruciati dal sole.

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