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ROCCO PITITTO, La fede come passione. Ludwig Wittgenstein e la religione, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 202.

Nei trattati di epistemologia teologica, pi in generale nella riflessione teologica sul discorso su Dio tanto all'interno della dogmatica come in prospettiva teologico-fondamentale, oggi facile incontrare un preciso riferimento a Ludwig Wittgenstein. La filosofia di questo allievo di Russell, nato a Vienna nel 1889 e morto a Cambridge nel 1951, stata oggetto di interpretazioni differenziate, che variano dall'associarlo erroneamente al riduzionismo neopositivista del Wiener Kreis , fino a vedere in lui il principale artefice di un'intuizione capace di riportare la riflessione su Dio nell'unica sede che le sarebbe propria, quella meta-linguistica. Il saggio di Rocco Pititto, docente di filosofia del linguaggio presso l'Universit della Basilicata a Potenza ed autore di vari contributi dedicati alla lettura della vicenda della filosofia analitica all'interno del rapporto fra fede e ragione, ci propone una visione a tutto campo sulla personalit del filosofo viennese, privilegiando come oggetto formale del suo studio il rapporto fra Wittgenstein e la religione. Le risonanze esistenziali costituiscono dunque la falsariga del lavoro, prima ancora che le ricadute nel terreno della filosofia analitica. Di fatto, la possibilit di mettere a tema un simile oggetto formale come chiave di lettura dell'intero pensiero di Wittgenstein, costituisce la tesi fondamentale del libro. Tesi forse inedita per la radicalit con cui l'Autore la propone, ma certamente in confluenza con una linea di riflessione gi sufficientemente consolidata, che riconduce l'impossibilit di un formalismo concettuale convincente nel discorso sull'Assoluto ad un'apertura verso un sapere, ma non un conoscere , di livello pi alto, oltre ogni possibile linguaggio. Come noto, proprio quest'ultima apertura, la quale non pu per prescindere da un ulteriore approfondimento logico ed insieme antropologico su cosa debba intendersi per linguaggio, ha dato origine in ambiente anglosassone ad un ramo della filosofia analitica, la Oxford-Cambridge philosophy , in fecondo dialogo con il sapere credente. Ne sono esponenti ben conosciuti S. Toulmin, J. Austin, E. Anscombe, G. Ryle, N. Malcolm, R. Swinburne e, pi recentemente, F. Kerr e J. Haldane (quest'ultimo a St. Andrews, Scozia) insieme a vari altri. Dopo una breve introduzione biografica nella quale vengono sottolineati gli aspetti umani ed esistenziali di Wittgenstein, fondamentali ai fini di una migliore comprensione di quell'oggetto formale cui prima ci riferivamo, il saggio di Pititto muove dal primo Wittgenstein del Tractatus logico-philosophicus , al secondo delle Ricerche filosofiche e dei Pensieri diversi , passando attraverso le incertezze della Conferenza sull'etica . Ma al primo Wittgenstein andrebbe forse premesso un Wittgenstein nascosto , quello che comincia a raccogliere le sue riflessioni nei Diari segreti precedenti al Tractatus , il cui afflato continuer per a ripresentarsi lungo tutte le considerazioni dei Pensieri diversi . A dare voce al Wittgenstein nascosto sono, oltre i suoi Notebooks , soprattutto le numerose testimonianze raccolte dai suoi colleghi, studenti ed amici, alle quali Pititto dedica una particolare attenzione: dal rapporto con Bertrand Russell a quello con gli amici Drury, Parak ed Engelmann, a quello con i suoi studenti Anscombe o Smythies. La trattazione si svolge cos lungo quattro agili capitoli (I. Wittgenstein pensatore religioso: un dibattito aperto; II. Un'etica senza fondamento; III. Il linguaggio religioso ed il valore della testimonianza; IV. Un approdo nell'indicibile), per concludersi con un epilogo propositivo. In esso l'Autore offre una sua sintetica visione sul valore della filosofia di Wittgenstein al fine di indirizzare correttamente il dibattito sulla possibilit di un linguaggio su Dio, sia nei suoi aspetti apofatici che in quelli affermativi, raccogliendone come ultimo esito la necessaria confluenza di questi ultimi nel linguaggio della testimonianza, sull'opportunit del quale lo stesso Wittgenstein non ha voluto tacere. Pur affrontando la difficolt di armonizzare i ricordi di diversi testimoni, l'itinerario religioso di Wittgenstein ben evidenziato in sede biografica da Pititto: al di l delle differenze, ne emerge un quadro di fondo abbastanza convincente; le residue incongruenze non sbiadiscono la religiosit del filosofo viennese, ma indicano piuttosto la presenza di inevitabili tratti contraddittori, espressione di una personalit singolare, protagonista di una intensissima esperienza intellettuale ed esistenziale. Proprio questo itinerario viene cos efficacemente riassunto da Pititto: Wittgenstein nel suo lungo camminare verso Dio si attesta sul limitare della fede, giungendo, infine, a considerare la fede come passione, un desiderio di Dio che vive nell'uomo, mentre Dio rimane l'indicibile, colui del quale non si pu parlare. Il passaggio ultimo di questo cammino rappresentato dall'invocazione, il grido di chi, stanco del lungo interrogare, prega e invoca aiuto. Questo ultimo passaggio non gli del

tutto sconosciuto, ma gli anzi familiare, perch pi volte nella sua vita si trovato ad attraversarlo, lasciandosi soggiogare dalla forza della preghiera [...]. E la sua preghiera a Dio diventa insistente: dammi aiuto, illuminami, ma sia fatta sempre la tua volont e non la mia. Richiesta di aiuto e sottomissione alla volont di Dio sono gli elementi dell'invocazione wittgensteiniana (pp. 27 e 167). alla luce di questo anelito verso l'indicibile il mistico, secondo la nota indicazione del Tractatus che Pititto legger lo sforzo speculativo di Wittgenstein. Il movente principale del suo sofferto pensare non sarebbe dunque la volont di fare ordine nei limiti o nelle ambiguit del linguaggio, ma fare ordine in ci che egli, come uomo, pu sperare senza poter razionalmente conoscere. Anche se forse poco sottolineato dall'Autore, il legame fra questo itinerario filosofico e quello che conduce alla giustificazione della ragion pratica kantiana pare a nostro avviso evidente, peraltro in accordo con la principale fonte di interazione e forse anche di esperienza religiosa di Wittgenstein, che rest certamente quella della tradizione riformata, sebbene egli ricevette un battesimo ed una prima formazione di fede cattolica. Allo stesso tempo per, un simile itinerario lo distanzia in modo deciso dal neopositivismo tradizionalmente inteso, cosa opportunamente ribadita da Pititto in pi occasioni, commentando sia i suoi rapporti con il Circolo di Vienna, sia quelli col suo maestro Russell: questa distanza diventava ancora pi abissale considerando la conclusione paradossale del Tractatus , nella quale si faceva riferimento ad una realt diversa, non immediatamente percepibile, il mistico, che avrebbe avuto dalla sua tanta letteratura, una specie di contraltare rispetto al mondo dei fatti. Su questa realt bisognava tacere affermava Wittgenstein , l dove, invece, i neoempiristi di Vienna ritenevano giusto parlarne per criticarla e avevano concluso per il non senso di tutte le affermazioni relative ad essa (p. 22). In una lettera inviata a Russell, sar proprio Wittgenstein a segnalare al filosofo inglese l'errata interpretazione da lui data alla tesi principale del Tractatus (cfr. p. 49). Al momento di compiere un passo successivo, capace di far intravedere la natura o per lo meno le implicazioni dell'apertura verso l' indicibile , Wittgenstein rester ancora fedele alla sua rigorosa impostazione logico-formale. Nella Conferenza sull'etica , quella apertura la si riconosce collegata con l' ulteriore , con quella tendenza dell'animo umano che non pu non dirigersi al bene, ma non possiede lo statuto di una scienza. Non lo possiede neanche la teologia (che in molti passaggi del suo pensiero viene per assimilata alla religione), n pu possedere statuto scientifico ogni discorso che voglia accostarsi all'Assoluto attraverso le regole del linguaggio. Ci fa s che l'etica e la religione possano essere descritte, ma non insegnate ; in modo ancor pi radicale, l'etica non pu essere fondata (cfr. pp. 83-84). Questa convinzione spinge Wittgenstein a dirigere la sua attenzione verso scrittori che hanno descritto l'esistenza umana (Dostoevskij e Tolstoj), perch l'unico accesso ad un'etica, ad un senso della vita, pu giungere attraverso un'esperienza vitale. L'etica appartiene certamente alla sfera del divino e, proprio per questo, anch'essa resta indicibile (cfr. p. 106). Con le parole di uno dei commentatori di Wittgenstein, l'etica si mostra in ci che gli uomini fanno e dicono, nel loro modo di lodare e di disprezzare, di criticare se stessi e gli altri in ci a cui si sentono costretti, in ci che per essi escluso, nel loro modo di soffrire, di gioire, e cos via (pp. 109110). L'appartenenza dell'etica al mondo del soggetto e delle sue intenzioni e non al mondo dei fatti, fa concludere al filosofo austriaco che vi sono allora tante etiche, tutte egualmente legittime. Quale possibilit di significato, di comunicazione, dunque affidata ad una riflessione su un Assoluto che si pu pensare ma non dire, che si pu invocare ma non predicare? Pititto affronta il tema nei capitoli III e IV del suo saggio orientandosi decisamente a leggere questa significativit nell'ambito della testimonianza . A tale categoria, abituale nel linguaggio religioso-teologico, viene ora assicurato un accesso nell'ambito della filosofia analitica, poich quell'uso linguistico dei termini caro al secondo Wittgenstein, l'unico capace di rivelare il significato delle parole, diviene adesso l'uso della parola Dio e l'uso delle altre parole del linguaggio religioso ad essa collegate. Una religione non si pu contraddire (ma neanche affermare) in sede razionale: si pu soltanto mostrare. La religione, di cui Wittgenstein si fa portavoce afferma Pititto , soprattutto, testimonianza, impegno di vita ed ha a che fare con la visione : affermare Dio potrebbe non significare nulla, perch non vi sono prove scientifiche a cui fare ricorso, ma una vita credente, fatta di scelte libere e consapevoli, essa stessa una prova irrefutabile di Dio. Non si afferma Dio, ma lo si vede nella vita dei credenti. La fede, dopo tutto, una passione, un appassionato decidersi per Dio, come il filosofo stesso pi volte ha affermato, e come tale non ha bisogno di parole e di teorie, ma solo di essere vissuta (p. 154). In questa visione della comunicabilit della fede religiosa rientrano per Wittgenstein tutte le religioni della terra, veritiere nella loro dimensione di invocazione e di preghiera, false nel loro tentativo di enunciarsi come teoria. L'Autore del saggio che qui presentiamo far suoi e svilupper nell'epilogo finale questi spunti offertigli dal filosofo viennese

prospettandone, ci pare di capire, le implicazioni per la vita religiosa e pastorale ancor prima che per l'epistemologia teologica propriamente detta. Il libro di Pititto fedele al suo titolo. Lungo tutta l'esposizione si percepisce l'afflato della fede come passione, e sullo sfondo del pensiero di Wittgenstein si coglie il desiderio implicito dell'Autore di leggere la vicenda dell'uomo contemporaneo, la necessit che questi ha oggi di cogliere segnali significativi si senso e di autenticit che sorpassino l' impasse del pensiero moderno e del suo esito nichilista. La presentazione del pensiero di Wittgenstein senza dubbio ben riuscita e di facile comprensione, anche per un pubblico non abituato agli incontri ravvicinati con la filosofia del linguaggio. Come tale, la tesi dell'Autore in chiave storico-biografica certamente condivisibile, forse con l'unica osservazione di non aver sufficientemente separato dalla critica di Wittgenstein alla teologia razionalista di certa neoscolastica, quel discorso su Dio di tradizione tomista (per es. pp. 68 e 127), il quale, per molteplicit di approcci metafisici e densit di ricchezza esistenziale, si porrebbe su un piano assai diverso. In chiave teoretica l'itinerario riassunto da Pititto resta volutamente limitato, perch dettato dallo specifico oggetto formale intelligentemente adottato. Un pi esteso contesto teologico avrebbe infatti implicato affrontare, o comunque accennare, tematiche determinanti ai fini dell'utilizzo del pensiero di Wittgenstein in sede di epistemologia teologica, come ad esempio il rapporto fra religione e teologia, quello fra semplice possibilit e significativit di un discorso su Dio, quello in definitiva fra conoscenza naturale di Dio e Rivelazione di Dio su Se stesso, le cui implicazioni sono cos importanti e delicate per tutta l'intera questione del problema di Dio. Non questa la sede per sviluppare se e come tali tematiche, cos necessarie per il discorso teologico, possano essere oggi affrontate nel quadro di riferimento della filosofia del linguaggio, cosa peraltro gi oggetto di studio da parte di molteplici autori, ormai anche in ambito continentale. Dalla prospettiva della teologia fondamentale, quella a noi pi congeniale, ci permettiamo solo di segnalare alcune osservazioni e puntualizzare alcuni nodi da sciogliere. In primo luogo andrebbero evitate letture sbrigative di Wittgenstein, le quali potrebbero facilmente associarne tout court il pensiero ad una sorta di irrimediabile fideismo. Molte delle sue affermazioni riportate da Pititto offrirebbero, vero, sufficienti motivi per recensire l'autore del Tractatus in tal senso, ma non va dimenticato che l'orizzonte di Wittgenstein non teologico, ma logico. Da questo punto di vista la differenza con Kant ci pare essenziale, pur nell'analogia gi segnalata fra i due autori, in quanto il filosofo di Knigsberg si proponeva una fondazione dell'etica e, con essa, un accesso al Dio della fede, cosa che Wittgenstein non fa. Detto in altre parole, un'assunzione diretta e senza correzioni dell'impianto kantiano in sede teologica sposerebbe la posizione fideista non conforme alla tradizione teologica cattolica e, riteniamo, neanche alla rivelazione biblica assai pi di quanto non farebbero le riflessioni di Wittgenstein in sede logica. La teologia deve pertanto prestare grande attenzione alle aperture ed al rigore presenti nella sua filosofia. La teologia non nuova a questi richiami, sia per la grande tradizione di linguaggio apofatico e dossologico che costella la sua storia, sia per gli avvertimenti in sede teoretica rivoltile da Kant e in tempi pi recenti da Heidegger. Ciononostante e desideriamo sottolineare questo punto la teologia sa che l'approccio al mistero di Dio deve potersi sviluppare lungo tutte le dimensioni antropologiche, nessuna esclusa, pena la separazione fra religione e mondo, fra verit e vita, fra fede e conoscenza. Fino a quando il discorso razionale (nel senso pi ampio del termine) viene riconosciuto significativo in non pochi ambiti della vita e del comportamento umano, motore delle scelte che guidano un'esistenza, anche la nozione di Dio dovr poter trovare non solo spazio, ma anche significato (il che non vuol dire esaurimento, n completezza) pure nell'ambito di una simile razionalit. In tal senso l'itinerario di Wittgenstein logicamente corretto, ma antropologicamente incompleto. In secondo luogo, la teologia non pu prescindere dal rapporto con la parola, perch in relazione costitutiva con la Parola incarnata. Un Dio che noi non possiamo dire, nella sua vita intima dice il Suo Verbo e, nella sua autocomunicazione al mondo, ha voluto dirsi con parole umane. Un discorso su Dio che sia possibile, non contraddittorio, perfino significativo, ma non comunicabile, non pu essere utilizzato n dalla teologia, n dalla fede. Esistono certamente molti modi di comunicare ed opportuno rivalutare le valenze di universalit contenute nell'esperienza religiosa e nella testimonianza, operazione gi in atto a partire dal personalismo del XX secolo, grazie al superamento di molti pregiudizi ed incomprensioni generati dalla crisi modernista. Tuttavia, tanto l'esperienza come la testimonianza, categorie certamente costitutive dell'intera Rivelazione, poggiano in ultima analisi su un annuncio, su un messaggio riconosciuto sensato e significativo da tutte le dimensioni antropologiche del destinatario, intelligenza e cuore, esercizio della ragione e slancio della volont. Una fede come passione non pu essere disgiunta da un'altra passione, quella per la verit.

Infine, rappresenta un'importanza a nostro avviso fondamentale l'esplorazione delle aperture meta-linguistiche ed anche metafisiche della filosofia del linguaggio in rapporto alla possibilit e al significato di una Rivelazione. L'impossibilit di fondazione autoreferenziale quanto Wittgenstein oper nel campo della logica trover interessanti analogie con quanto opereranno Gdel nell'ambito della matematica, Heisenberg in quello della microfisica o perfino la cosmologia fisica contemporanea nell'ambito delle ricerche che le sono proprie non dice solo incompletezza e rimando nel mistico wittgensteiniano, ma anche attesa di un significato che pu essere ricevuto solo come dono , rapporto con la trascendenza non solo in termini di apertura, ma anche di fondazione e di legame costitutivo. Letta in questa chiave, perfino l'affermazione di Wittgenstein circa l'impossibilit di una fondazione scientifica dell'etica risulta forse pi chiara: un'etica autoreferenziale non esiste e, quindi, non scientifica, nel senso che incompleta, richiede una fondazione al di l di essa, come lo richiedono la logica, la matematica, la fisica o l'antropologia. Tutto ci non rimanda solo al divino inteso in senso misterico, ma ad un'area di senso rintracciata come sede delle risposte alle domande che la ragione ha riconosciuto sensate, cio antropologicamente ragionevoli e, perci, comunicabili. A Wittgenstein va il merito di aver posto le domande giuste, alla teologia il compito di mostrare che la Rivelazione ne contiene le risposte.
Giuseppe Tanzella-Nitti

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