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La giustizia nel NT (Sergio Passeri)

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La giustizia nel Nuovo Testamento


Cappellani delle carceri - Ome 2 giugno 2

1. La questione terminologica
Il tema della giustizia largamente presente nelle pagine del NT, ci nonostante non se ne d nessuna definizione precisa. Il suo significato supposto noto dal linguaggio comune e soprattutto dalla tradizione anticotestamentaria. Alla radice del termine dikaiosn (giustizia) nel greco classico vi la parola dik, che richiama la dea Dik, figlia di Zeus, che partecipa al governo del mondo. Si tratta della divinit preposta allordinato funzionamento della vita civile e religiosa della collettivit (il sostantivo dik, infatti, significa colei che indica, che indirizza e quindi anche direttiva, indicazione, ordine). Pian piano questo vocabolo ha acquistato il significato di costume, diritto, quindi equit e giustizia, nelle sue varie forma: distributiva, commutativa e punitiva. Nel NT il sostantivo dik usato solo tre volte (At 28,4; 2Ts 1,9 e Gd 7). Si possono ritenere come derivanti di dik i termini seguenti: dkaios (giusto), dikaiosne (giustizia), dikai (giudicare, giustificare), dikama (azione giusta, giudizio) e dikasis (giustificazione). Questi vocaboli, molto usati nel greco classico, trovano nella Bibbia (nella LXX) un accento particolare e incancellabile. La giustizia non si esaurisce nel rispetto verso il propri simili, ma implica sempre una relazione con Dio. Nella AT, soprattutto per i profeti, luomo vive in una societ che ha Dio per Signore, quindi la sua equit, rettitudine non pu prescindere da un rispettoso rapporto con il moderatore ultimo della storia. Per questo il vocabolo/aggettivo dkaios (giusto) ha spesso la connotazione davanti a Dio. Se il termine giusto compare settantasette volte nel NT, solo 17 in Mt, 11 in Lc, 6 negli At, due in Mc, tre in Gv, ed attribuito a Dio, agli uomini e alle cose indistintamente. Il vocabolo dikaiosne, invece, contiene la desinenza sne e fa pensare allepoca in cui nasce il pensiero astratto. Nella letteratura greca una delle virt cardinali del viver civile, ma nella tradizione biblica sedaqah pi che una concezione indica un modo di porsi di Dio davanti agli uomini e degli uomini davanti a Dio e ai propri simili. Il temine dikaiosne, tuttavia, non esaurisce lambito semantico della giustizia. Dio giusto, perch salva nonostante la debolezza o la cattiveria umana. Per questo giustizia in Lui sinonimo di grazia, misericordia (hesed, leos), fedelt, verit (emet, altheia). Il termine, dunque, nel NT ha il significato che ha ricevuto dallAT, a meno ch non sia evidente la dipendenza dal greco classico-ellenistico. La dikaiosne un termine prevalentemente paolino (in tutte le lettere compare 57 volte), ma compare anche in Mt (3,15; 5,6.10.20; 6,1.33; 21,32), in Luca (1,75), negli Atti (10,35; 13,10; 17.31; 24,25), in Giovanni (16,8.10). Possiamo affermare che il termine giustizia ha due sensi nel NT: il primo tipicamente anticotestamentario, ed equivale a riconoscere luomo giusto, cio innocente, senza colpa, mentre il secondo, pi propriamente neotestamentario, indica che il colpevole restituito allinnocenza che non aveva pi o non ha mai avuto. Entra in campo la dottrina della giustificazione. Il NT ha, inoltre, altri verbi e altri sostantivi per indicare la giustizia, soprattutto il suo ristabilimento, dove e quando venuta meno. La nuova famiglia di verbi e sostantivi incentrata intorno al verbo krn e ai suoi derivati krsis e krma (giudizio). In tutti i modi sono verbi e termini sempre ordinati al ristabilimento della giustizia, alleliminazione degli ostacoli che ne impediscono laffermazione e il ristabilimento. Il tema della giustizia

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-2pertanto pi ampio del suo vocabolario, poich abbraccia anche il suo contrario, la sua carenza o le forme di iniquit, che il giusto tenuto a far scomparire. La Bibbia assegna a Dio il ristabilimento della giustizia; e il NT conferisce un tale compito a Ges Cristo. Bisogna, tuttavia, fare attenzione ad evitare facili abbagli. La giustizia era per i pensatori greci la virt capitale della vita consociata; ancor pi lo per il cristiano che chiamato non solo a dare a ciascuno il suo, ma a impegnare tutto se stesso, perch ognuno veda tutelati i propri diritti. Se viene meno la giustizia, non basta la carit a sostituirla. evidente che il tema della giustizia nel NT va al di l della questione forense (o giudiziaria). Lesortazione alla giustizia nel senso giuridico del termine non al centro del messaggio di Ges. Tuttavia, importante non scivolare nellillusione che la dimensione della giustizia retributiva non abbia senso. Quasi a dire, la giustizia, come categoria forense, appartiene allAT e come caritas divina al NT.

2. Equivoci e precomprensioni circa il concetto di giustizia


Uno dei segni di queste precomprensioni che si muta in pregiudizio larbitraria opposizione tra la giustizia ed altri concetti, secondo uno schematismo frutto di grossolane semplificazioni (Bovati, 161). Esaminiamo tre diffusi luoghi comuni secondo la rivelazione biblica. a) Giustizia e amore una frequente opposizione secondo cui la giustizia rappresenterebbe laspetto della legalit, dellunicuisque suum, e costituirebbe la dimensione tutta umana del discorso antropologico. Lamore invece andrebbe oltre, in quanto basato sulla gratuita benevolenza e sulla interiore affettivit. Cose che appaiono sublimi, ma anche supererogatorie, cio non necessariamente richieste dal fatto di essere uomini. Essendo cos la giustizia concepita come qualcosa di parziale e di preliminare, normale che si tenda ad attribuirla allAT, superato in questo dal NT, a cui invece apparterrebbe, come caratteristica peculiare, la dimensione dellamore. Questo modo di pensare e di parlare non solo una semplificazione grossolana (e offensiva per la tradizione ebraica), ma anche un approccio rigorosamente falso. Eppure questa logica ha lavorato e lavora sullo sfondo di diverse prospettive teologiche1. Il non scorgere la relazione intrinseca tra giustizia e carit ha spesso condotto a pensare la carit in maniera tale da sottovalutare o addirittura trascurare il dover di giustizia. Questo ha delle ripercussioni anche sul modo di intendere il rapporto Stato-Chiesa (il primo regola la giustizia, la seconda esercita la carit).

Si pu vedere il caso della regola doro. I due classici riferimenti veterotestamentari sono: Tb 4,15 Non fare a nessuno ci che non piace a te; Lv 19,18 Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore. Nel NT si trova riespresso in forma originale in Mt 7,12 e in Lc 6,31. Si pu affermare la sostanziale equivalenza anche se nellAT formulata in negativo e nel NT in positivo. La regola doro assume un significato rilevante in particolar modo nel Medioevo. Non si trova di per s una trattazione specifica circa la RdO; essa semplicemente viene indicata come praeceptum o mandatum. Il problema permane invece di fronte ad alcune polarit come tra giustizia e carit nei confronti delle quali la RdO sembra introdursi coerentemente: si pu dire che la formulazione negativa tende a diventare prevalentemente il fondamento di un principio di giustizia cui si accede con la semplice ragione, mentre la formulazione positiva esprime il principio di carit, con cui si entra nella pi elevata dimensione dello spirito e nella problematica dellunum necessarium per la coerenza evangelica e, quindi per la salvezza (Sciuto).

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-3b) Giustizia e fede Unaltra precomprensione fuorviante quella secondo cui la giustizia rappresenterebbe la dimensione orizzontale, storica, sociologica dellesistenza; la fede, al contrario, costituirebbe la dimensione verticale, quella che assicura il rapporto con leterno, la realt ultima e la trascendenza. Questa impostazione appare suggestiva, ma risulta estranea al pensiero biblico. Nella Bibbia, infatti, ci che appare nella storia fondamentale per la fede, e dallaltra parte la relazione con Dio (fede) decisiva esattamente per la pratica della giustizia. Sul piano personale lopposizione fede-giustizia produce una sorta di schizofrenia che contrappone preghiera e azione, servizio di Dio e servizio delluomo. Si tenta pateticamente di superarla facendo un po delluno e un po dellaltro, in una continua e insoddisfacente oscillazione tra i due poli. La vera giustizia consiste nellinterna articolazione di questi due aspetti, servendo Dio e luomo nellunit di un solo progetto. c) Giustizia e sapienza Qui si oppone, studio, comprensione, da una parte, e progettazione, operativit, realizzazione, dallaltra. Mentre la giustizia apparterrebbe alla seconda serie di categorie, quella dellimpegno concreto ed efficace (prassi), la sapienza riguarderebbe le idee astratte il mondo affascinante, ma ambiguo delle parole (teorie). Ma leggendo la Bibbia si vede che non vi giustizia senza intelligenza. Anzi proprio nel saper far giustizia che risiede la suprema sapienza.

3. Elementi che definiscono lambito della giustizia nella Bibbia


La giustizia implica una relazione fra due (o pi) soggetti spirituali dotati del principio interiore della libert (con tutto ci che comporta in termini di responsabilit). Da ci consegue che il concetto di alterit (la relazione con laltro da me, proprio in quanto non assimilabile a me medesimo) fondamentale per ogni discorso sulla giustizia. La relazione di giustizia quella che rispetta, promuove e porta a compimento il senso di ognuno dei soggetti: la giustizia quella qualit della relazione per cui a ognuno dato quello che gli spetta come soggetto. Ma sottolineiamo che, nel quadro della relazione interpersonale, la norma della giustizia laltro (e non la legge, per quanto formalmente perfetta). In questa situazione di alterit, che differenza e asimmetria, listanza della giustizia non solo quella di rispettare la verit fattuale (dare a ciascuno il suo), ma anche di affermare e realizzare la verit superiore di ogni soggetto, cio la sua natura spirituale. Corollari 1) Questo discorso comporta: la giustizia non solo la cosiddetta giustizia sociale. Vi un problema di giustizia nella relazione tra Dio e uomo, essendo anzi questa la prima e pi decisiva relazione di alterit e somiglianza fra soggetti. 2) In secondo luogo: la giustizia di natura sua problematica, non affatto evidente tenere insieme lalterit e luguaglianza. Si pensa spesso di fare giustizia imponendo una parit che non pi rispettosa delle differenze. 3) Il terzo luogo: la giustizia divina di natura sua. Non solo a Dio spetta sommamente lattributo di giusto, ma anche Egli lorigine e il fondamento di ogni giustizia. Luomo giusto nella sua storia quando si lascia attraversare dalla volont efficace del Padre, diventando strumento divino di comunione, frutto supremo di giustizia.

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4. La giustizia nel Nuovo Testamento (in modo specifico)


La giustizia richiesta da Dio I Vangeli e gli Atti non conoscono lespressione giustizia di Dio, che Paolo fa propria nel suo epistolario; ma in Mt si fanno affermazioni che sembrano alludervi. Nel racconto del battesimo di Ges, Matteo inserisce un dialogo chiarificatore tra Giovanni e Ges (Mt 3,14ss) che mira a farne comprendere la portata. Mentre il Precursore dichiara di aver lui bisogno di essere battezzato, Ges risponde con una frase misteriosa: Lascia fare per ora, perch conviene che adempiamo ogni giustizia. Lespressione ogni giustizia (psan dikaiosnn) non tanto un richiamo allosservanza di qualche comandamento divino, quanto la sottomissione a un disegno prestabilito. La giustizia che Ges ricorda a Giovanni Battista il piano stabilito da Dio per la comune salvezza. Il disegno salvifico ha delle regole, a cui necessario attenersi. questa, secondo Ges, la giustizia da rispettare in tutta la sua portata, in tutto il suo ambito e in tutto il suo peso, per questo parla di ogni giustizia. La giustizia di Mt 3,15 non ha un punto di riferimento umano, ma divino. Alla fine, Giovanni il Battista, riceve il pi ambto elogio che gli uomini del regno possono ricevere: in Mt 21,32 Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto. La via della giustizia non la via della rettitudine, ma la via di Dio (Ges adempie ogni giustizia perch realizza perfettamente il piano salvifico di Dio). Il discorso della Montagna Per comprendere e approfondire in questa direzione il concetto di giustizia si pu riprendere il discorso della Montagna di Matteo2. Il termine giustizia compare due volte nelle Beatitudini, ma il significato appare differente: giustizia di cui uno ha fame e sete (Mt 5,6) e giustizia per la quale uno perseguitato (v10). Sembra necessario, tuttavia, ampliare il problema, in quanto questo termine caratterizza il vocabolario del primo vangelo e lidea stessa che Matteo si fa del cristianesimo3. In Matteo il termine si colora in maniera speciale nel discorso della montagna. Oltre ai due casi, esso ricompare altre tre volte: in 5,20, in 6,1 e in 6,33. Linsieme del discorso si muove quindi alle sue dipendenze. Il senso del termine giustizia, usato nelle beatitudini, acquista dunque il suo significato alla luce del resto del discorso. Si dovr pertanto affrontare il tema della giustizia cristiana. Ma non possiamo neppure limitarci al vangelo di Mt, il quale usa ancora due volte in maniera significativa il termine: 3,15 e in 21,32. Da due testi di non facile comprensione (Mt 21,23 Perch Giovanni venuto a voi nella via della giustizia e non gli avete creduto e Mt 3,15 Lascia per ora; cos che ci conviene adempiere ogni giustizia) deriva una medesima nozione di giustizia. Non falseremmo il loro senso invertendo le espressioni: Ges avrebbe potuto parlare a Giovanni della convenienza per luno e per laltro di seguire la via della giustizia, cos come avrebbe potuto evocare davanti alle autorit giudaiche la maniera in cui Giovanni ha adempiuto ogni giustizia. Il termine giustizia viene usato per indicare una condotta che giusta e rende giusti, perch conforme alla volont divina. Agli occhi di Matteo esso caratterizza anche molto bene il modo di agire di Ges e di Giovanni: luno e laltro si
Cfr. J. DUPONT, Le Beatitudini. Gli evangelisti/2, EP, Roma 19794. Marco non lo adopera e Luca ne fa uso una sola volta nel Benedictus (1,75), dove si definisce un ideale religioso tipicamente giudaico. Certo, Paolo parla molto di giustizia (il termine ricorre 33 volte in Rm), ma lo fa in funzione di concezione teologiche molto specifiche. In Gv compare una volta (in contesto giudiziario, 16,8.10) e in At 4 volte (3 in bocca a Paolo).
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-5sottomettono senza restrizione a tutto ci che viene loro prescritto da Dio, a tutte le esigenze della loro missione. cos che loro sono certamente giusti davanti a Dio e mostrano la via su cui, nel pensiero dellevangelista, i cristiani devono a loro volta impegnarsi. La giustizia che immette nel Regno Cominciamo con due versetti del discorso della Montagna, che presentano una evidente affinit: 5,20 Poich io vi dico che se la vostra giustizia non pi abbondante di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli e 6,1 Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere visti da loro, altrimenti non avrete alcuna ricompensa dal Padre vostro che nei cieli. Una giustizia pi abbondante La vostra giustizia (umn): indica quella che voi fate, che voi praticate, quella che caratterizza la condotta con cui voi vi mostrate giusti. interessante notare il legame con lidea di abbondanza. Lespressione la vostra giustizia sembra riecheggiare nelle raccomandazioni circa le buone opere. Si tratta di una giustizia della vita, che procura a quanti la praticano lappellativo di giusti. Tale giustizia viene definita in rapporto a quella degli scribi e dei farisei. Il confronto tra i due tipi di giustizia riguarda la loro abbondanza. In materia di giustizia i discepoli di Ges sono tenuti a fare di pi dei professionisti della giustizia del giudaismo (Dupont, Le beatitudini, 383). Possiamo riflettere anche capovolgendo i termini. Gli scribi e i farisei non entreranno nel regno perch la loro giustizia risultata mancante. La giustizia pi abbondante richiesta ai discepoli consister quindi nel fare di pi degli scribi e dei farisei, nel sottomettersi a esigenze pi ampie. Le differenze riscontrabili nelle antitesi non impediscono di riconoscervi un tratto comune, e cio la preoccupazione di ampliare le esigenze della giustizia, di definire la giustizia cristiana attraverso un superamento della giustizia giudaica. I due versetti 5,20 e 6,1, collocati in testa a due sezioni fondamentali del discorso della montagna, definiscono due aspetti essenziali della giustizia evangelica. In rapporto alla giustizia degli scribi e dei farisei, concepita come osservanza esatta dei comandamenti, quella che viene richiesta ai discepoli (1) deve spingersi fino alle intenzioni profonde di Dio, che hanno trovato solo una espressione inadeguata nella legge antica. Il versetto 6,1 passa a considerare lintenzione di colui che compie degli atti di giustizia. Gli esempi non sono pi attinti da azioni prescritte dalla legge, ma da certe pratiche di piet che sembrano testimoniare di per se stesse uno zelo religioso eccezionale. chiaro che quanto viene detto di tali pratiche si applica pure agli atteggiamenti e agli atti formalmente prescritti, a cominciare dal precetto dellamore ai nemici. Ed ecco quanto viene detto a loro riguardo: tali atti, intrinsecamente religiosi, hanno valore agli occhi di Dio solo se vengono compiuti con spirito religioso, in vista di essere a lui graditi. Compierli per attirarsi la stima degli uomini significa simulare una religione che non si ha e dar prova di ipocrisia. Una condotta esteriormente religiosa che non proceda da un atteggiamento religioso interiore dellanima, non pu produrre una giustizia autentica, capace di piacere a Dio e di riscuotere la sua approvazione. La giustizia, in questi versetti, qualifica un comportamento conforme alla volont divina ed enuncia nel medesimo tempo la condizione in base alla quale uno sar ammesso a godere della felicit del regno di Dio (Dupont, 420-421). Cercare il regno e la giustizia Lo studio del termine giustizia ci spinge ad andare avanti. ancora tutta una sezione del discorso, 6,19-34, che viene messa in causa dalla menzione della giustizia di

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-66,33 Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in pi. Cercare il regno e cercare la giustizia sono posti in parallelo. difficile stabilire con precisione cosa sia la giustizia di Dio che i discepoli devono cercare insieme al regno. Nella prospettiva di Matteo, il cercare la giustizia ha uno scopo pi immediato allagire del cristiano, vale a dire quello di realizzare la giustizia pi abbondante, grazie alla quale uno potr essere ammesso nel regno. Tale giustizia non qualcosa di diverso dal vestito per le nozze (22,11-13), dalla prospettiva dellolio (25,1-13) ecc.. La giustizia costituisce la condizione per entrare nel regno. Egli vuole precisamente ricordare che non si d ricerca autentica del regno, se non nel perseguimento di uno scopo immediato, che quello della giustizia. Conclusione Dal punto di vista letterario il termine giustizia appare come un intervento redazionale dellevangelista Matteo. Il pensiero che si manifesta nella aggiunta di tale termine sembra essere lo stesso dappertutto. Matteo si mostra preoccupato di una giustizia vissuta. Il termine qualifica una condotta conforme alle esigenze di Dio, delle quali il discorso della montagna vuole precisamente rivelare tutta lampiezza. Giovanni Battista, venuto nella via della giustizia, ha dato prova di una fedelt assoluta alla volont di Dio (21,32); come lui e con lui, Ges si dedicato ad adempiere ogni giustizia, osservando integralmente quel che Dio gli chiedeva (3,15). A loro volta i cristiani devono realizzare con la loro condotta una giustizia pi abbondante di quella degli scribi e dei farisei (5,20), una giustizia la cui norma la perfezione del Padre celeste (5,48). A questo scopo non bastano gli atti esteriori, privi della intenzione del cuore: la giustizia non ha alcun valore agli occhi di Dio, quando non sia compiuta allo scopo di piacergli e di piacere a lui solo (6,1). Da tale giustizia perfetta dipende lammissione nel regno di Dio, di cui attendiamo lavvento (5,20). Non esiste pertanto autentica aspirazione alla beatitudine del regno, se non viene tradotta in una ricerca diligente della giustizia richiesta da Dio (6,33). Per entrare nel regno non basta dire Signore, Signore!, ma bisogna fare la volont del Padre celeste. I cristiani saranno giudicati in base ai solo atti, esattamente come gli altri, e solo coloro che avranno praticato la giustizia saranno ammessi nel regno. Nella beatitudine che rinvia alla persecuzione a causa della giustizia, diventa ancor pi evidente. Bisogna ricordare ai cristiani, pensa Matteo, che il fatto di trovarsi nella sala del banchetto non ancora una garanzia per partecipare a questo. Neppure il fatto daver sofferto la persecuzione a causa di Cristo basterebbe a garantir loro la salvezza, se non hanno praticato la giustizia e sofferto a causa della giustizia, a causa di un modo di vivere autenticamente cristiano. Ges il giusto Lappellativo pi antico che la predicazione cristiana assegna a Ges giusto abbinato a santo. Il suo significato diverso a seconda delle persone che lo pronunciano. Non avere nulla a che fare con quel giusto, fa sapere la moglie a Pilato (Mt 27,19). Ma giusto per lei equivaleva a innocente. Giusto tuttavia un titolo che la predicazione cristiana ha presto accantonato per dal luogo ad attribuzioni pi elevate (Messia, figlio di David ecc.), ma che i primi cristiani sembrano aver preferito. Realmente quelluomo era giusto (Lc 23,47).

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-7Ma il senso profondo del titolo giusto dato a Ges non solo quello di innocente. Ges giusto perch vive nella giustizia e per la giustizia cio per lattuazione che il Padre gli ha assegnato, il regno di Dio. La dimensione umana della giustizia La convivenza umana si regge sul rispetto che i suoi componenti hanno tra di loro, in altre parole sul rispetto della giustizia. Questa spinge a prendere e a conservare ci che proprio e a lasciare ci che appartiene agli altri. La giustizia tutela i diritti connaturali allesistenza di ogni essere e impone di conseguenza dei doveri, cui dobbiamo sottostare. giusto avere il pane quotidiano (Mt 6,11), come giusto ricevere il salario per le prestazioni assolte ed doveroso darlo da parte di chi ne ha ricevuto il beneficio (Mt 20,4). Senza la giustizia lesistenza diventa impossibile. Su questa linea il Battista ricorda agli esattori di non esigere pi di quanto stato stabilito e ai soldati di non far ricorso alle estorsioni per arrotondare il loro stipendio. La giustizia quotidiana non sempre la pi semplice. Ges interpellato da un ascoltatore declina linvito a fargli giustizia presso il fratello: Amico chi mi ha costituito giudice tra voi due? (Lc). Ges chiede ai suoi avversarsi di giudicare secondo giustizia e non secondo le apparenze (Gv 7,24). Luca raccoglie le grida di quanti sono trattati iniquamente (la vedova che insistentemente va dal giudice che non temeva Dio e non si curava di alcun uomo). La giustizia la prima aspirazione delluomo, di ogni uomo, ma ci che egli vede spesso, il pi delle volte, calpestata. I Vangeli non legittimano alcuna usurpazione, perci, non danno avvallo a nessuna forma di ingiustizia, che gli uomini si permettono di compiere. La dimensione umana della giustizia, nel Vangelo non sottovalutata, ma non lo scopo ultimo della buona novella. C qualcosa di pi. La giustizia evangelica La possiamo intravedere nella parabola dei lavoratori della Vigna. Il padrone della vigna Dio, il suo agire paradossale, tuttavia giusto, poich ordinato proprio a non rifiutare a nessuno ci di cui ha bisogno e per questo in certo modo gli dovuto. Matteo ricorda che Dio perfetto non quando d alluomo ci che si merita, ma ci di cui ha bisogno (Mt 5,45-48). Lingiustizia si sarebbe verificata se fosse stato negato ai primi quanto era pattuito, non se lo stesso favore si accorda benevolmente anche agli ultimi. I giusti secondo laccezione evangelica sono gli uomini generosi, pronti alla piet, ma soprattutto pronti alla compassione, alla benevolenza, non tanto alle buone parole quanto alle buone azioni. Dobbiamo ricordare che quando il vangelo parla della giustizia non intende delineare una categoria di persone, i giusti, ma un orientamento allunico giusto: il Padre. Il giusto non tanto colui che osserva le leggi o le fa rispettare, ma colui che assume il comportamento del padrone della Vigna. Se la vostra giustizia non superiore a quella degli scribi e farisei non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,20) Sul termine giustizia non ammette riserve; non indica tanto lesatta osservanza delle pratiche della legge quanto il compimento della volont di Dio. La misura della giustizia cristiana la perfezione di Dio (Mt 5,48). In questo la giustizia tocca il vertice. Il cristiano allapice della giustizia, quando tratta il prossimo con la comprensione e la benevolenza che gli usa Dio (Mt 5,43-48). Nel NT la vera giustizia non pu stare senza la fede: si apre cos il discorso sulla giustificazione e il perdono. Il discorso di Paolo sulla giustizia consequenziale alla sua teologia. Se luomo nel peccato (o meglio tutti gli uomini), solo la salvezza lo pu

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-8rendere giusto. La giustificazione innanzitutto lopera di Dio, che sola pu rendere luomo giusto.

5. Il perdono tra plausibilit e possibilit. Una prospettiva eticoteologica


In questa seconda parte dellintervento, intendiamo mettere il concetto di giustizia alla prova del perdono. Si tratta di una rilettura dellesperienza del perdono dentro lorizzonte etico-teologico, oltre che biblico. Per far questo non si potr prescindere dai maggiori apporti offerti alla teologia dalla ragione pensante. Venuto alla ribalta di recente, il tema del perdono riuscito a catturare linteresse di diverse branche del pensiero filosofico: da quella metafisica4 a quella fenomenologica5, da quella giuridica6 a quella ermeneutica7, senza per trovare unanimi consensi attorno ad un nucleo indiscutibile. Se si condivide lidea che loffesa appartiene allambito delle esperienze umane8 altrettanto non si pu dire del perdono. S, si pu affermare che esiste il perdono, ma a che condizioni questo prenda forma risulta pi difficile dirsi. Il perdono cosa delluomo, il proprio delluomo, un potere delluomo oppure riservato a Dio?9 la domanda a cui Derrida approda al termine del suo saggio dal titolo Perdonare. Riflettere sul tema significa muoversi lungo il limite tracciato da questa domanda: teologia e filosofia non possono trascurarsi quando loggetto abita il confine10. Perdonare un atto limite, molto difficile, che non significa solo rinunciare alla punizione; comporta una asimmetria essenziale: al posto del male per il male restituisce il bene per il male11. Il fenomeno del perdono, inoltre, genera ulteriori domande relative alla sua possibilit e alle connessioni con altre dimensioni dellesperienza umana. latteggiamento pentito ad aprire un varco al perdono nella relazione offesa o al contrario il perdono a dischiudere la possibilit del pentimento? Il vero perdono anteriore o posteriore al pentimento? Se anteriore non si rischia di cadere in una forma di fiducia incosciente? per questa ragione che il perdono, [] una scommessa12. Ma allora dove si radica lammissibilit di una scommessa a cos alto rischio? Inoltre, che legame sussiste tra il perdono e la promessa, che in esso sembra ritrovare fecondit? Tra il perdono e il dono? Ed infine, dove sta il punto dappoggio per la ragionevolezza e la plausibilit del perdono? Esso sta nel passato, come luogo in cui loffesa ha preso forma e nel quale pu venire rielaborata, o nel futuro come luogo di una offerta alla persona a cui non possiamo rinunciare?

R. Spaemann, Felicit e benevolenza, Vita e pensiero, Milano 1998, pp. 239-253; Id.,Persone. Sulla differenza tra 'qualcosa' e 'qualcuno', Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 214-229. 5 J.-L. Marion, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, SEI, Torino 2001. 6 A. Acerbi - L. Eusebi, Colpa e pena? La teologia di fronte alla questione criminale, Vita e pensiero, Milano 1998; L. Eusebi, L'antitesi religiosa alla giustizia intesa come reciprocit, in Humanitas 59/2 (2004), pp. 363-379; cfr. il forum dal titolo La giustizia e la teologia morale, in Rivista di teologia morale 35/2 (2003), pp. 173-215. I. Schinella, Giustizia e perdono, in Rivista di teologia morale 35/2 (2003), pp. 229-241; S. Rostagno, Perdono e diritto, in Hermeneutica 1 (1998), pp. 131-156. 7 P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare. L'enigma del passato, Il Mulino, Bologna 2004. 8 Cfr. J. Laffitte, Il perdono trasfigurato, EDB, Bologna 2000, p. 19. 9 J. Derrida, Perdonare, cit., p. 90. 10 Sullimportanza del rapporto tra filosofia e teologia morale cfr. Fides et Ratio nn. 68 e 98. 11 E. Morin, Etica , Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, p. 123. 12 Ivi, p. 126.

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-9Dal punto di vista etico-teologico il perdono rimanda allimmagine di Dio13. Il fenomeno in tutta la sua profondit chiama in causa la questione di Dio14. Non certo come deus ex machina invocato per trovare il bandolo della matassa, ma come relazione nuova che dischiude un nuovo orizzonte di comprensione nel quale anche lalto rischio a cui il perdono ci rinvia diventa plausibile. Non nel pentimento come causa efficiente ma nella fede il perdono diventa possibile. La fede crea lo spazio al perdono e il perdono allamore/carit15. Si tratta ora di mostrare la ragionevolezza di questo processo. Le radici del difficile perdono Il perdono difficile: n facile, n impossibile16. Ricoeur ci introduce cos nellepilogo dellopera monumentale La memoria, la storia e loblio, dedicato per lappunto al difficile perdono, facendoci intuire larduo sentiero nel quale ci si imbatte volendo affrontare questo tema. Tuttavia, sembra ormai impossibile sottrarsi a questo confronto. Alla scarsa attenzione riservata, nel passato remoto e prossimo, allidea di perdono, si contrappone infatti lattuale interesse di molti filosofi. Non solo perch la storia impone una presa di posizione di fronte ad eventi dembl imperdonabili ma perch nella storia del pensiero si guadagnato un posto degno dinteresse il tema del dono a cui il per-dono sembra, almeno apparentemente, riconducibile17. Non ci soffermeremo ad approfondire questi addentellati, per altro gi studiati ed evidenziati altrove, quanto a mostrare come alcune difficolt possano trovare una plausibile risoluzione a partire da una distinzione di piani: in particolare tra piano morale e piano ontologico. Cos da poter concludere che la questione del perdono, le cui implicazioni morali sono evidenti, trova sul piano ontologico una condizione di plausibilit, se non di possibilit. Condizione che rafforza, senza garantirle, le energie morali necessarie per affrontare le esigenze del perdono difficile. Iniziamo, tuttavia, dallevidenziare sul piano etico lentit del difficile. La difficolt non sta solo ed esclusivamente sul piano del vissuto ma anche su quello del concetto. Se difficile da dare e da ricevere, altrettanto lo da concepire. La traiettoria del perdono prende la sua origine nella sproporzione esistente fra i due poli della colpa e del perdono []: in basso, la confessione della colpa, in alto, linno al perdono18. Labisso che si genera tra questi estremi rende concettualmente problematica la tenuta della loro connessione, necessaria affinch non perda di significato uno dei due poli. Se si riducesse arbitrariamente questa distanza, facilitando il perdono, si svilirebbe la portata della colpa, rasentando lingiustizia storica, oltre che morale. Se viceversa, si esasperasse il senso della colpa si dissolverebbe la possibilit del perdono e con esso tutto ci che vi gravita attorno (possibilit di riscatto, di futuro, ). Colpa e perdono non possono stare che alla loro distanza, profonda ma necessaria. La colpa non pu essere
Cfr. J. Fuchs, Immagine di Dio e morale dell'agire intramondano, in Rassegna di Teologia 25/4 (1984), pp. 289-313. 14 Il significato vero e proprio insito nel bisogno di perdono concepibile solo a partire da Dio. R. Guardini, Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 448. 15 Cfr. lanalisi narrativa del brano di Lc 7,36-50 ci pare illuminante su questo punto. La peccatrice: il perdono di Ges e la fede di una donna. C. Broccardo, La fede emarginata. Analisi narrativa di Luca 4-9, Cittadella Editrice, Assisi 2006, pp. 158-231. 16 P. Ricoeur, La memoria, la storia, l'oblio, cit., p. 649. Sul tema del perdono in Ricoeur cfr. P. Ricoeur, Il Giusto, cit., pp. 167-180; Id., Il perdono pu guarire?, cit., pp. 157-165. Cfr. D. Pagliacci, Il tempo di perdonare. L'enigma del perdono in Janklvitch e Ricoeur, in M. Signore-G. Scarafile, Libert, evento, storia, Edizioni Messaggero, Padova 2006, pp. 287-303. 17 Cfr. P. Gilbert, Sapere e sperare. Percorso di metafisica, Vita e pensiero, Milano 2003, pp. 335-346. 18 P. Ricoeur, La memoria, la storia, l'oblio, cit., p. 650.
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- 10 sollevata, sembra dire Ricoeur, a motivo della sua stretta connessione con il mysterium iniquitatis. Cos dentro labisso della colpa lunica parola che appare pronunciabile : imperdonabile19. Per tale ragione concepire il perdono difficile. Tuttavia, il perdono c. C come c lamore, la gioia, la saggezza e la follia. A questa famiglia, dice Ricoeur, anche il perdono appartiene. E se il perdono c, senza arrivare alle formule radicali di Derrida, questo non pu che prendere forma nel calco della colpa. Come una lastra fotografica, il perdono prende visibilit nellacida sostanza della colpevolezza umana20. Di fronte alla colpa imperdonabile e al perdono impossibile solo una via sembra percorribile: quella che intravede la possibilit di slegare lagente dal suo atto. In altre parole, afferma Ricoeur, separare il colpevole dal suo atto, altrimenti detto: perdonare al colpevole pur condannando la sua azione21. Ma questa prospettiva esige un atto di fede, cio una fiducia reale nelle possibilit che una persona, colpevole, ha di rigenerarsi. A questo punto sorgono con imperiosit le domande circa la correttezza etica di questa presupposizione. Che ne delle dichiarazioni di Janklvitch circa limpossibilit, linopportunit e addirittura limmoralit del perdono? Come fondare un atto di fede, quando questo potrebbe diventare un oltraggio agli uomini e alle donne che nella storia hanno pagato con la vita il prezzo del male? La cosa difficile da capire, negli strali che anche Janklvitch lancia a chi ammette un perdono di fronte ad Auschwitz, se questa impossibilit vada attribuita alle proporzioni del male, che stravolgerebbero, rendendola inammissibile, la natura del perdono o al prevalere della condanna sulla fiducia nella possibilit di rigenerazione. In precedenza, infatti, lo stesso Janklvitch ne aveva affermata la plausibilit22. Tuttavia, riteniamo che circa la natura del perdono le cose non cambino qualora sia una sola madre ad essere chiamata in causa di fronte al perdono dellassassino di proprio figlio. Se c perdono questo deve fondare la propria radice altrove, che non sia il quantitativo della colpa. Ricoeur, a questo punto, esplicita unidea chiave sulla quale sostare: tu vali molto di pi delle tue azioni23. Il perdono vale solo dentro limplicita promessa che la persona possa nel tempo orientare se stessa verso il bene. E nel tu vali si pu scorgere una dignit che trascende non solo il lato storico della faccenda ma anche quello morale24. La concreta possibilit del perdono Ricoeur la affida ad una forma di oblio attivo (arte del dimenticare), che, da una parte, essendo attivo non riduce il perdono ad una banale forma di dimenticanza, e dallaltra rende possibile un futuro ad una situazione diversamente compromessa25. Le suggestive riflessioni ricoeuriane ci conducono ad un punto della nostra riflessione che permette lintroduzione di una distinzione di piani. Se finora il piano morale ha prevalso pu essere utile tentare un discorso apriori che esige una attenzione allaspetto, se cos si pu dire, ontologico del perdono.

Se il perdono fosse possibile, afferma Nicolai Hartmann, esso costituirebbe un male morale, Ivi, pp. 660-661. 20 Questa sproporzione tra la profondit della colpa e laltezza del perdono sar il nostro tormento fino alla fine di questo saggio, Ivi, p. 663. 21 Ivi, p. 697. 22 V. Janklvitch, Il perdono, Milano, IPL, 1968; Id., Perdonare?, Giuntina, Firenze 1987. 23 P. Ricoeur, La memoria, la storia, l'oblio, cit., p. 702. 24 La dignit della persona non commisurabile alla sua moralit. 25 Il perdono difficile quello che, prendendo sul serio il tragico dellazione, punta alla radice degli atti, alla fonte dei conflitti e dei torti che richiedono il perdono: non si tratta di cancellare un debito su una tabella dei conti, al livello di bilancio contabile, si tratta di sciogliere de nodi. () qui che il perdono confina con loblio attivo: non con loblio dei fatti, in realt incancellabili, ma del loro senso per il presente e per il futuro. P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare. cit., pp. 116-118; cfr. Id., Il perdono pu guarire?, pp. 157-165.

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- 11 Le condizioni di plausibilit del perdono: dalla promessa al perdono necessario. Collochiamo queste considerazioni nel contesto aperto dalla riflessione sul concetto di persona a cui anche Ricoeur ha affidato le sue ultime osservazioni (tu vali di pi delle tue azioni). Il punto di partenza consiste nella constatazione, in s evidente, che le persone sono capaci di impegnarsi in promesse. Si tratta anzitutto di celebrare, come afferma Ricoeur, la grandezza della promessa26. La capacit di promessa a cui la persona sembra abilitata crea, secondo Robert Spaemann, lo spazio per una ragionevole considerazione sul perdono. Lattesa che si genera allo scandire di una promessa sostenuta, ovviamente, da elementi attestati dallesperienza. Proprio per questo lattesa non appare unassurdit. Le promesse a loro volta fondano dei diritti particolari, ad esempio il diritto a non essere ingannati con false promesse. Tuttavia, sorge spontanea la domanda: qual la natura della promessa, tale da renderla vincolante senza la necessit di unulteriore promessa che la mantenga? La rinuncia a questa successiva ricerca sta nel fatto che la persona si realizza, come persona, proprio nella forma della promessa. Egli accetta la promessa che egli gi in quanto persona27. La questione della fondazione ultima sembra risolversi proprio per questa ragione, perch trova nellautomanifestarsi della persona il suo fondamento. La persona una promessa28. La rinuncia al carattere promettente con il quale la persona si manifesta impossibile, pena il rinnegare se stessi. Il fenomeno della promessa, pertanto, getta luce su quella che noi chiamiamo persona. Il nostro essere personale, in quanto tale, esprime una promessa a cui inerisce ogni altra forma di promessa che siamo in grado di fare. Questo vuol dire che il contenuto di ogni altra promessa direttamente associato a quella promessa che noi siamo in quanto persone. Questo tratto fondamentale implica il carattere fortemente intersoggettivo dellessere personale. Promettendo, infatti, rinunciamo a una parte di noi stessi e concediamo ad un altro un diritto su di noi. Di conseguenza, nella rottura, negazione o tradimento della promessa sta il naufragio della fondazione dellidentit personale e la deriva della propria libert. Sul versante etico la grandezza, ma al tempo stesso la debolezza, della promessa da attribuire proprio al nostro essere persone libere. La promessa, infatti, affidata a noi, allesercizio della nostra libert29. Il distendersi di questombra sulla promessa non compromette solo il rapporto con gli altri, minacciato continuamente dalla nostra povert, ma anche la fedelt a noi stessi. In questo spazio aperto da una promessa certa e da una libert debole si dischiude un possibile senso alloggetto della nostra indagine: il perdono30. Nelle relazioni interpersonali noi speriamo che il nostro comportamento, il quale grava sempre su altri, non ci trasformi ai loro occhi in semplici nemici. Ci in cui speriamo , appunto, una forma di perdono. In alcune lingue si chiede perdono quando per raggiungere il proprio scopo si importuna, anche se in modo minimo, unaltra persona. La ragione di ci, sostiene Spaemann, si radica nel fatto che la promessa che siamo supera la nostra possibilit di mantenerla. C una sproporzione tra laltezza del nostro essere personale, di cui la promessa diventa ora la cifra, e le nostre reali possibilit di realizzazione.

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P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, p. 147. R. Spaemann, Persone, cit., p. 216. 28 Ivi, p. 216. 29 Memoria e promessa devono infatti entrambe confrontarsi con un contrario, con un nemico che potrebbe definirsi mortale, come loblio nel caso della memoria e come il tradimento nel caso della promessa, con le loro ramificazioni e le loro insidie, P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, cit., pp. 144-145. 30 La promessa, nel suo coniugarsi con il perdono, consente allazione umana di continuare; () il perdono ci che rende possibile la riparazione, ivi, p. 149.

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- 12 Ma in che senso si pu parlare di perdono vero e proprio? Il perdono non prevalentemente, se non esclusivamente, una categoria morale?31. In questo contesto il perdono pu essere considerato come un segno del riconoscimento della realt dellaltro. Infatti il riconoscimento contiene sempre il momento del perdono, per il fatto che nessuno mantiene ci che, attraverso il proprio essere, promette (). Perdono, in questo significato fondamentale e premorale, indica che noi ci comportiamo con i nostri simili secondo giustizia e ne rispettiamo la dignit solo quando non li prendiamo totalmente sul serio32. Se prendessimo un uomo totalmente sul serio lo distruggeremmo; le nostre attese supererebbero le sue possibilit, e viceversa. Lespressione che Ges pronuncia sulla croce: perdona loro perch non sanno quello che fanno33, commenta ogni azione umana. Non si tratta di unignoranza che scusa ma di unignoranza ontologica. Ogni nostra azione, a partire dal nostro semplice esserci, promette pi di quanto pu mantenere. Noi viviamo, pertanto, del perdono che diamo e che riceviamo34; proprio per questo possiamo intenderlo, a questo livello, come il dono che si perfeziona35. Ci di cui si sta parlando viene chiamato da Spaemann perdono ontologico, in quanto ha per oggetto il nostro essere, il fatto che siamo cos36. bene sottolineare che non si tratta di una riflessione che scaturisce da una forma di naturalismo o di determinismo questa la mia natura e non ci posso fare nulla ma di carattere ontologico, e per tale ragione si inserisce dialetticamente con le altre caratteristiche ontologiche, quali la libert, la ragionevolezza ecc. Con il perdono ontologico permettiamo allaltro di non mantenere quella promessa che egli, in quanto essere razionale, . [] necessario innanzitutto trattare il perdono nel sul senso ontologico, in quanto la forma morale del perdono della colpa e del male possibile soltanto a partire da quel perdono a cui abbiamo accennato in precedenza, nel quale, cio, ci perdoniamo lun laltro la finitezza di una natura determinata37. Che cosa accade con il perdono? La persona che perdona percepisce chi gli sta di fronte al di l di quello che egli manifesta di s attraverso le sue azioni, e in questo modo gli concede di distanziarsi da tutto ci che fa o omette di fare. Si supera cos il dilemma circa lidentificazione della persona con i propri atti. C ovviamente corrispondenza, ma allo stesso tempo anche differenza. La persona pi della somma delle sue azioni38 (lagire segue lessere ma non lo esaurisce). Se lazione costituisce la conseguenza immediata dellessenza del soggetto agente, dobbiamo chiederci se sia possibile parlare di perdono. Il perdono possibile solo se lagente ha la possibilit di dissociarsi a
Pu esserci perdono senza colpa, o meglio anteriore alla colpa? Queste affermazioni andrebbero articolate con quanto Lvinas afferma circa una responsabilit che precede la libert. Oppure su un versante pi ontologico con quello che Hans Jonas afferma circa la responsabilit originaria. Cfr. linteressante studio di R. Simon, thique de la responsabilit, Cerf, Paris 1993. 32 R. Spaemann, Felicit e benevolenza, cit., p. 242 (ovviamente questa frase non va intesa in maniera superficiale). 33 Lc 23,34. 34 Robert Spaemann riporta laneddoto di Sant Ambrogio: Alla domanda perch Dio dopo la caduta degli angeli avesse creato luomo, SantAmbrogio rispose: dopo quellesperienza Dio voleva avere a che fare con esseri ai quali potesse perdonare, R. Spaemann, Felicit e benevolenza, cit., p. 242. 35 Cfr. P. Gilbert, Sapere e sperare. cit., p. 349. Dal punto di vista etimologico, il termine perdono significa la perfezione del dono. In questa perfezione non possiamo scorgere alcuna ombra di colpa, alcuna mancanza: il perdono indica la ridondanza perfetta del dono, ivi, p. 351. 36 Spaemann stringe una connessione tra promessa ontologica e perdono ontologico. 37 R. Spaemann, Felicit e benevolenza, cit., p. 245. 38 In questa linea si collocano le riflessioni che la teologia morale ha condotto a partire dal teorema dellopzione fondamentale. Cfr. K. Demmer, Opzione fondamentale, in Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Edizioni paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1990, pp. 854-861.
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- 13 posteriori da quel modo dessere che si manifestato nellazione che egli ha compiuto, senza tuttavia scuotersi di dosso la responsabilit di essere stato lui ad aver potuto fare quella determinata cosa ed ad averla fatta39. Significa superare laffermazione: sei fatto cos!, o per riprendere laffermazione ricoeuriana: tu vali molto di pi delle tue azioni. Il perdono risulta, dunque, quella realt nella quale lessere/persona si riafferma pi intimo e profondo di ogni negazione inflitta dalla libert40. Dal piano ontologico possiamo gettare luce su quello morale. Il perdono presuppone sempre la colpa, quindi la libert. Sul piano ontologico il perdono il segno di un perfezionamento del dono, sul piano morale del suo tradimento. Per accettare levento del perdono dobbiamo riconoscere che la persona con la propria decisione non abbia rivelato un essere-cos definitivo41. Io sono certamente quello che ha compiuto quellatto, ma non sono tutto l. La persona sempre qualcosa di pi dei suoi predicati42. Nella prospettiva relazionale, di fronte alla colpa avviene sempre una interruzione e, affinch questa venga rimossa, necessario un aiuto dallesterno, dallaltro. La colpa e, di conseguenza, il perdono uniscono in modo unico e insostituibile due persone43. Esse si trovano unite senza possibilit di sostituzioni (nessuno pu assumersi la colpa o perdonare al posto di) o di restituzioni (il torto di fatto non ha un prezzo; pu averlo il danno, ma questo non ancora una colpa). Laiuto consiste nella disponibilit dellaltro, il che significa soprattutto di colui che toccato dalla colpa, a non identificare il colpevole con il suo concreto essere-cos, ma a permettergli di ridefinirsi rispetto a ci che egli ha fatto44. Questa concessione, che deve essere richiesta, la chiamiamo perdono. Ci troviamo di fronte ad una forma di relazione che esula, da una parte, dalla stretta reciprocit, e dallaltra da una sfera esclusivamente giuridica. A dischiudere questa condizione proprio la relazione con laltro/persona che, oltre a rendere possibile la promessa che siamo, apre lo spazio etico al perdono. Abbiamo qui a che fare con una peculiare asimmetria, e cio con un dovere di perdonare, di fronte al quale non sta alcun diritto al perdono45. Ma il perdono pu essere accordato, come abbiamo visto, per il fatto che una persona sempre pi della somma dei suoi predicati, ed identificarla con essi significa distruggerla. Il perdono, nella sua coloritura etica, diventa espressione della ridondanza del dono, mostrandone la sua potenza creatrice. Chi riceve il perdono restituito alla vita e gli viene concesso un futuro. Ovviamente il perdono non possiamo attribuircelo da noi stessi, possiamo solo lasciare che laltro ci perdoni, dopo averglielo chiesto, accettando questo suo gesto. Il risultato la gratitudine46. Abbiamo bisogno dellaltro; nel perdono, alla passivit di chi dice io sono cos corrisponde latto del perdonare che dice: no, non sei cos!. Il male proprio in quella curvatio in seipsum che sta alla radice del peccato. Esso non quindi lesser-cos naturale, quanto piuttosto il fissare tale essere-cos contro la sua direzione
R. Spaemann, Felicit e benevolenza, cit., p. 246. Cfr. A. Chapelle, Les Fondaments de l'Ethique, cit., p. 163. Andrebbero fatte le opportune distinzioni tra chi offre il perdono e chi lo riceve come puntualmente fa J. Laffitte, ma per il momento manteniamo indistinte le cose. Cfr. J. Laffitte, Il perdono trasfigurato, cit., pp. 45-83. 41 Cfr. R. Spaemann, Persone, cit., p. 226. 42 La persona non , infatti, qualche cosa che si trovi al fondo dellanalisi, o una combinazione definibile di lineamenti. Se essa fosse una somma, la si potrebbe fare oggetto dinventario; mentre essa la zona del 8 non-inventariabile, E. Mounier, Il personalismo, AVE, Roma 1987 . 43 I due si coappartengono, afferma Guardini, se quindi faccio sul serio con la volont di giungere allinizio, devo desiderare che laltro acconsenta, e ci accade in virt del suo perdono, R. Guardini, Etica, p. 443. 44 R. Spaemann, Persone, p. 226. 45 Ivi, p. 226. 46 R. Spaemann, Felicit e benevolenza, p. 247.
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- 14 naturale47. Il perdono, dunque, diventa il riconoscimento della vera natura dellaltro, ripristinandolo nel suo fine. La natura personale, anche quando segnata dalla colpa, dal ripiegamento su di s, teleologicamente orientata a destarsi48. Il perdono, in questa prospettiva, diventa il luogo della rigenerazione e nella medesima sfera di significati si riscopre il senso autentico della punizione o dellespiazione.

Per unetica teologica del perdono: una possibilit reale Il carattere promettente con cui la persona si manifesta, il quale a sua volta si innesta su quello pi profondo di cui intrisa la vita stessa, diventa il presupposto per ogni azione etica; potremmo dire, in un certo senso, ne costituisce il movente (non per forza consapevolmente riflesso). Tuttavia, come afferma Angelini, non sempre lagire effettivo mantiene le promesse che, pure non attualmente presenti alla coscienza, di fatto motivano liniziativa di agire49. Esiste, pertanto, uno scarto tra la promessa e la conseguente realizzazione operata dalle forme dellagire; scarto che, alla luce di quanto abbiamo sottolineato a partire dalla riflessione di Spaemann, si configura in una duplice modalit. Nella prima, lo scarto appartiene alla dimensione ontologica dellagire (la promessa che siamo pi di quanto con la nostra vita potremo mantenere), nella seconda, esso deve essere imputato al carattere scadente dellagire libero50. evidente che tale distinzione di modalit non implica mai una dissociazione. Senza il perdono dellaltro, verso la promessa non mantenuta che siamo, viene compromessa la possibilit di un futuro pienamente umano; e nel momento in cui il tradimento della promessa diviene colpevole, cio frutto della libert, ne consegue la perdita di quella che potremmo definire la statura umana. Il peccato sempre un ripiegamento che nega la posizione eretta delluomo, la possibilit cio di scorgere e perseguire il suo fine. Proprio la fragilit, a cui ogni uomo sottoposto, rende debole la nostra possibilit di mantenere retta la via (verso il fine a cui il nostro carattere promettente ci dischiude). Solo una promessa che si preannuncia in s fedele e non soggetta al rischio del tradimento offre la possibilit al perdono, difficile per natura, di non diventare iniquo51. Diversamente anche il perdono risulterebbe una promessa, quella appunto di riconciliazione, tradita, perch infondata. La teologia, senza misconoscere quanto la ragione pu affermare, si introduce mostrando che proprio la promessa fondata sulla fedelt di Dio un Dio affidabile risignifica unesperienza umana altrimenti troppo fragile per essere credibile52. Dio non abroga lumano ma lo assume e lo redime. Secondo lantico adagio, gratia non tollit, sed perficit naturam, riconosciamo, da una parte, la necessit di ogni indagine sulle condizioni di possibilit del perdono umano ma, dallaltra, linsufficienza del fermarsi ad esse. Che il perdono non sia un corollario teologico lo mostra la centralit che esso assume nella storia della salvezza. Le figure fenomenologiche del perdono integrit, ritorno, liberazione, giustificazione sono riprese nella drammatica storia della salvezza53 e sono connesse allintera economia salvifica. Dio si rivela nella logica della gratuit di cui
R. Spaemann, Felicit e benevolenza, p. 248. Cfr. gli interessanti studi in G.L. Brena, (a cura), Mysterium iniquitatis. Il problema del male, Gregoriana Libreria Editrice, Padova 2000; cfr. anche G. Canobbio - F. Dalla Vecchia - R. Tononi, (a cura), Il male, la sofferenza, il peccato, Morcelliana, Brescia 2004. 48 R. Spaemann, Felicit e benevolenza, p. 249. 49 G. Angelini, Teologia morale fondamentale. Tradizione, Scrittura e teoria, Glossa, Milano 1999, p. 581. 50 Ivi, p. 582. 51 Il perdono assumerebbe un significato dubbio qualora divenisse una semplice forma di dimenticanza o di semplice cancellazione. Rasenterebbe liniquit. 52 Lo mostrano tutte le contestazioni al concetto di perdono, alla sua esistenza, alla sua necessit o, in modo pi radicale, alla sua possibilit. 53 A. Chapelle, Les Fondements de l'Ethique, cit., p. 154.
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- 15 il perdono lespressione somma. Il perdono di Dio, promessa senza tradimento, diventa la fonte della nostra possibilit di perdonare. In questo senso si pu condividere laffermazione di Guardini: Dio, e lui solo, propriamente pu perdonare54 dal momento che solo Dio promessa mantenuta. Il perdono di Dio si manifesta proprio nella logica della rinuncia a credere che luomo sia tutto ci che di lui dicono le sue azioni. Se il perdono risulta essere il proprio di Dio, non per questo rimane estraneo alla struttura morale delluomo. Lanalisi dellethos anticotestamentario mostra come nella relazione con Dio, che si rivela nella storia, il popolo di Israele si sia aperto ad una capacit etica che trova nel perdono la chiave ermeneutica dei rapporti interumani55. A questo, gi lantico Israele era stato educato. Nella Bibbia sono rintracciabili due modalit di intervento nei confronti del colpevole, le quali mostrano il modo con cui pena e perdono si articolano secondo unopera di giustizia56. Ora, nella seconda di queste modalit, lintenzione fondamentale consiste proprio nel rispettare e promuovere la vita e la dignit dellessere umano (anche) colpevole57. Il termine tecnico con cui viene definita questa procedura il verbo rb, che significa accusare. Chi accusa, tuttavia, non intende n distruggere laltro, divenuto nemico nella colpa, n assumere la stessa intenzionalit della pena giudiziaria. Lintenzionalit ultima del promotore del rb infatti perdonare. () Loffeso, la vittima ha il potere sublime di far incominciare una nuova vita58. Dio abilita ad un rapporto che interpreta la giustizia alla luce del perdono. Il perdono diviene, pertanto, condizione di possibilit affinch il colpevole ritrovi dignit al futuro, alla promessa di vita. Riconciliarsi con laltro che in quanto colpevole stigmatizza il tradimento del dono diventa il primo atto per una ripresa etica. Esso rovescia quella che, sia ontologicamente sia eticamente, appare come la condizione di partenza, cio quel presupposto tacito che avvelena in radice59. Lethos anticotestamentario mostra che il perdono, come guarigione della memoria e ripresa della promessa nasce dentro il contesto di relazione con il Dio di Israele. In tutti i filoni fondamentali su cui si struttura lAntico Testamento, Legge, Sapienza e Profezia, Dio rilancia continuamente la sua promessa, che riconcilia luomo con il suo passato e ridona consistenza al futuro. La logica dellequivalenza a cui il criterio di giustizia si ispira, sembra cedere il passo alla logica della sovrabbondanza. Ci che accade con il perdono sembra rimandare ad un valore sovragiuridico60. La sua finalit di spezzare il debito, offrendo gratuitamente al colpevole una sorta di guarigione della memoria, la memoria libera. Il
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R. Guardini, Etica, cit., p. 448. Circa il metodo di approccio etico alla Sacra Scrittura a cui stiamo facendo riferimento cfr. S. Bastianel-L. Di Pinto, Per una fondazione biblica dell'etica, in T. Goffi-G. Piana, (a cura), Corso di morale. 1, Queriniana, Brescia 1989, pp. 75-173. 56 Nellantico diritto ebraico esistevano due procedure per riparare i torti. La prima, il mipat o giudizio, era una procedura a tre, analoga al processo che conosciamo: loffeso conduce loffensore, per ottenere la condanna, davanti ad un terzo imparziale, il giudice. Questo tipo di giustizia valeva se due litiganti erano nemici o, almeno, estranei. Qualora i contendenti fossero stati amici o legati da un rapporto vitale (padre/figlio ecc.) si apriva la possibilit solo di una disputa a due, il rb, il litigio. 57 P. Bovati, Pena e perdono nelle procedure giuridiche dell'Antico Testamento, in A. Acerbi-L. Eusebi, (a cura) , Colpa e pena? La teologia di fronte alla questione criminale, Vita e pensiero, Milano 1998. 58 Ivi., 53. Ecco la conclusione del rb, opposta a quella del giudizio. Invece della pena di morte si ottiene di conservare in vita il reo, perch si riesce a liberare il colpevole dal suo male e a riammetterlo nella comunione dei fratelli, ivi, p. 53. 59 A. Rizzi, Crisi e ricostruzione della morale, cit., p. 129. Cfr. C.M. Martini - G. Zagrabelsky, La domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003. 60 Su questo anche Ricoeur chiaro: il perdono non appartiene allordine giuridico. () Il perdono, in effetti, sfugge al diritto sia per la sua logica sia per la sua finalit. () esso fa capo a una economia del dono, P. Ricoeur, Il Giusto,cit., p. 179.

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- 16 perdono, in definitiva, accorda un futuro alla memoria61. Dio, memoria senza colpa, diventa la fonte del perdono umano62. Pu essere utile soffermarsi qualche istante sul ruolo della memoria. La memoria custodisce le tracce delle nostre relazioni, sia quelle ferite che quelle edificanti. Ma la memoria anche il luogo dove custodita, se c stata, la relazione fondamentale con il Dio della gratuit e della misericordia. Se Dio ci incontra sul terreno della misericordia (Zaccheo, la peccatrice ecc.) la traccia non pu che essere custodita nella memoria. Una memoria guarita diventa la fonte per relazioni di guarigione che declinano in diverse forme liperbolica esperienza di quel particolare dono che il perdono. Anzich un oblio attivo diventa significativa, nellesperienza di fede, una memoria attiva. L dove la dimenticanza del perdono/condono ricevuto prende il sopravvento, le conseguenze etiche assumono una immediata evidenza. Nella parabola del servo iniquo, laver dimenticato il condono del proprio debito rende incapace luomo, divenuto iniquo, di perdonare il fratello63. I gesti dellamore, di cui il perdono del colpevole alla stregua dellamore per il nemico rappresenta il vertice, costituiscono linterpretazione etica a cui si ricondotti in virt dellorizzonte di comprensione che si aperto nellincontro con il Dio di Ges Cristo64. Se nella relazione con laltro, come abbiamo visto, si dischiude la plausibilit del perdono, nella relazione spirituale con Dio si dischiude la possibilit del perdono. Lorizzonte nuovo a cui lumano ricondotto nellesperienza spirituale di relazione con Dio, permette di risignificare unesperienza irrinunciabile, com quella del perdono, di per s troppo compromessa umanamente. La fede in Dio permette, attraverso lingresso del suo perdono (di cui tutti abbiamo bisogno), di risignificare le azioni delluomo nella logica dellamore: la fede porta al perdono, il perdono provoca lamore65. Perch il perdono il proprio di Dio, pu diventare, nellesperienza di fede, il proprio delluomo. Il perdono, dal punto di vista etico teologico, sulla scia dellofferta di significato del concetto di dono, diventa un criterio ermeneutico. Lo mostra proprio la circolarit ermeneutica che si genera tra fede-perdono-amore. La fede indica la relazione nuova, a cui apre lincontro con Cristo, che diventa porta dingresso allesperienza del perdono a cui corrisponde linterpretazione nuova delle proprie azioni66. In questo modo, si possono comprendere come sensati in quanto il senso dischiuso dalla relazione con il Dio della promessa mantenuta anche quegli atti che non hanno apparentemente ragioni come lamore per i nemici, che traducono, in modo concreto, il perdono di fronte allimperdonabile.

Don Sergio Passeri, docente di morale - Brescia

P. Gomarasca, Libert e colpa, in F. Botturi (a cura), Soggetto e libert nella condizione postmoderna, Vita e pensiero, Milano 2003, pp. 211-234. 62 Ci non significa, come precisa Bovati, ridurre il perdono, a un puro concetto teologico da attribuire a Dio: il perdono, al contrario, un fatto della storia, che, per i cristiani, rivelato e donato in Ges Cristo () Se in Cristo si rivela la natura di Dio, ci che in questo evento storico manifestato (non dedotto da una logica a priori) il rinunciare di Dio alla collera per fare misericordia al peccatore, P. Bovati, Ristabilire la giustizia. Procedure, vocabolario, orientamenti, PIB, Roma 1986, nota 84 p.142. 63 Mt 18,23-35; sul perdono nel Vangelo di Matteo cfr. T. Costin, Il perdono di Dio nel Vangelo di Matteo. Uno studio esegetico-teologico, PUG, Roma 2006. 64 Cfr. S. Bastianel, Teologia morale fondamentale. Moralit personale, ethos, etica cristiana, PUG, Roma 19992. 65 C. Broccardo, La fede emarginata, cit., p. 230. 66 La coscienza cristiana sa bene che la fede nel vangelo di Ges impone una nuova interpretazione dellevidenza morale, G. Angelini, Teologia morale fondamentale, cit., p. 558.

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