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Luomo e la responsabilit Introduzione Questo studio sulla concezione e la metodologia dell'etica frutto e reminiscenza di passate ricerche e di perduranti discussioni

i nell'ambito del centro di Lublino. Le discussioni che riguardano i compiti fondamentali dell'etica come scienza nascono dall'antica tradizione fi-losofica, e al tempo stesso restano in contatto critico con tutto il molteplice ramificarsi della problematica etica nella riflessione filosofica moderna. Di pi, cercano di andare contro la divisione in cui questa riflessione si venuta a trovare in conseguenza dell'assunzione di disparate premesse epistemologiche In questa situazione possibile o fermarsi a una delle parti del quadro frantumato della realt o invece cercare il punto di partenza nel quale tutta questa dispersione si rivela artificiale (o artificiale entro certi limiti). In ogni caso l'odierna concezione dell'etica presuppone in partenza una posizione non solo critica, ma anche aperta. Questo sempre stato il carattere della discussione condotta all'interno del gi citato centro filosofico. Esso non solo ha cercato per s all'interno contatto con la problematica filosofica la pi ampia possibile in riferimento all'etica (e differenziata in base all'orientamento), ma ha costantemente confrontato le proprie ricerche con gli esiti a esso accessibili delle ricerche di altri [249] centri che si occupano di etica, in particolare il centro che ruota intorno alla rivista Etica e che rappresenta in notevole misura l'orientamento marxista. II centro di Lublino ha dedicato notevole attenzione ! alla questione dell'etica come scienza e ancora di pi alla cosiddetta tnetaetica (Tadeusz Styczeri), e tali ricerche i trovano espressione anche nel presente studio. Esso ha dunque carattere di lavoro metaetico, ma non nel senso particolare e circoscritto che si pu trovare in alcune concezioni dove per metaetica s'intende la cancellazione della possibilit dell'etica come scienza. Secondo la posizione che intendiamo rappresentare in questo studio, essa designa un insieme di passi conoscitivi che hanno lo scopo di rendere legittima l'etica proprio come scienza. In questo modo il pi chiaro sottotitolo1 del lavoro serve a chiarire ancora di pi il titolo. Il libro rappresenta in certo qual modo il seguito dello studio Persona e atto. In questo studio veniva presentata l'analisi filoso-fica della persona come realt a cui abbiamo accesso nell'esperienza. Per l'esattezza la persona si manifesta nell'atto e attraverso l'atto. Al punto di partenza di tutta l'ampia e multiforme analisi della persona umana sta l'esperienza dell'uomo. Questa esperienza - come affermato nello studio Persona e atto - comprende come suo elemento integrante l'esperienza della moralit, senza la quale non possibile costruire una teoria della persona. Tuttavia - poich in tutto lo studio ci si fondava sulla persona nell'esperienza della moralit, poich si costruiva questo studio in certo qual modo sulla base soprattutto dell'esperienza programmaticamente abbiamo messo la moralit fuori delle parentesi. Questo vuoi dire che nello studio sulla persona, non abbiamo sottoposto ad analisi la sola moralit. Intendiamo farlo ora: questo sar uno studio sulla moralit in quanto tale. In matematica mettere fuori parentesi indica la presenza di un elemento estratto dall'ambito delle parente[250] si. Cos era nello studio precedente, cos deve essere in questo. In un certo senso qui intendiamo preanalizzare quello che nel precedente studio era fuori parentesi, la moralit come realt soggettivata nella persona. Ma proprio questo passaggio prova che la realt della persona radicata nella moralit, la determina come realt specifica della persona, solo della persona e a essa connaturale. SEZIONE PRIMA La moralit come campo proprio dell'etica 1. Il problema dell'esperienza della moralit Nell'impostare la questione della moralit come campo proprio dell'etica, intendiamo in primo luogo parlare dell'esperienza della moralit. L'esperienza della moralit contenuta nell'esperienza dell'uomo, vi occupa una posizione in certo qual modo centrale. Si tratta di estrarla dall'insieme di questa esperienza come realt in s. Questo procedimento rientra nel processo della comprensione. A questo punto bisogna richiamare le premesse fondamentali di Persona e atto, relative allo stretto legame fra esperienza e comprensione e al loro rapporto reciproco.2 Quanto chiamiamo esperienza della moralit al tempo stesso gi una sua comprensione. Attraverso tale comprensione la moralit diventa il campo proprio dell'etica. L'etica altro non che il processo, concluso, di comprensione della realt costituita dalla moralit. Ma per poter intraprendere e sviluppare questo processo dobbiamo definirne con precisione l'inizio, vale a dire l'esperienza propria della moralit. Tale esperienza contenuta nell'esperienza dell'uomo, pi precisamente nel fatto: l'uomo agisce, e nel[251] la sua dimensione comunitaria: l'uomo agisce insieme ad altri. Il momento proprio della moralit contenuto nell'esperienza del dovere. Questa esperienza strettamente legata a ogni soggetto concreto quando egli artefice di un atto e fa esperienza di questo suo agire. L'esperienza del dovere (io devo) sempre strettamente personale, legata a un concreto io agisco, anche quando l'azione venga compiuta insieme ad altri. Il dovere, la sua esperienza, compreso nell'attivit e nella sua esperienza e in certo qual modo, allorch questo dovere determina l'attivit, si rapporta a essa dall'esterno e dall'alto (devo agire oppure devo non agire). Il dovere gi compreso nell'attivit, in un dato agire, riguarda l'oggetto, oppure anche lo scopo dell'agire (devo Jc). In realt questi due aspetti del dovere non sono separati, ma strettamente legati (devo agire, per ottenere x, devo non agire per non ottenere y).3 In ogni caso l'esperienza del dovere si presenta sotto una duplice forma, positiva e negativa, di azione e di non azione, di realizzazione di un dato stato oggettivo o anche di sua non realizzazione. Per precisare il problema dell'esperienza della moralit bisogna porsi ancora due domande: 1) essa si identifica semplicemente con l'esperienza stessa del dovere? 2) si limita a questo? A queste due domande si pu rispondere in modo sintetico e in modo analitico. Sinteticamente: l'esperienza del dovere rappresenta solo il momento costitutivo dell'esperienza della moralit. Analiticamente: alla prima domanda: l'esperienza della moralit non si identifica con ogni esperienza di dovere. Solo dell'esperienza del dovere morale si pu dire che rappresenta il momento costitutivo dell'esperienza della moralit. Bisogna infatti anche tener conto del fatto che, ac[252] canto all'esperienza del dovere in senso morale, del dovere proprio dell'atto e del suo compimento, interviene ancora l'esperienza del dovere in senso tecnico, legata alla produzione. Poich la produzione anche un agire, un atto della persona, il dovere in senso tecnico rientra nel dovere in senso morale. Tuttavia non si identifica semplicemente con esso, pertanto occorre dire che l'esperienza del dovere non in ogni senso rappresenta il momento costitutivo dell'esperienza della moralit. Alla seconda domanda: anche se l'esperienza del dovere in senso morale rappresenta il momento costitutivo dell'esperienza della

moralit, tale esperienza tuttavia non si limita a questo momento soltanto. Siamo infatti propensi a riconoscere come esperienza della moralit in senso lato (e anche in senso corrente) tutta la trama dei fatti in cui emergono il bene o il male morale. Questi fatti sono strettamente legati all'agire umano (sia il faccio come il faccio insieme ad altri), possiedono una dimensione sia personale (intrapersonale) sia inter-personale e sociale. Nell'ambito di questi fatti che comprendiamo nell'esperienza della moralit rientrano il bene e il male morale anche come esito di azioni, esito personale e sociale (per esempio quando parliamo di corruzione morale o viceversa di elevata morale del singolo o di una societ). Si pu dire che l'esperienza della moralit possieda in certo qual modo differenti livelli e aspetti. Il livello che l'esperienza della moralit indica in certo qual modo al primo posto quello del bene e male morale come stato della persona o della societ (il livello che si potrebbe definire assiologico). Ma questo bene o male morale si manifestano sempre in atti, si legano a essi e costituiscono il loro frutto (questo potrebbe essere il livello prassiologico dell'esperienza della moralit). Nondimeno, mentre comprendiamo con l'esperienza questi due livelli, quando consideriamo l'azione dell'uomo sia in una dimensione strettamente personale (l'uomo agisce) [253] sia nella dimensione comunitaria (l'uomo agisce insieme ad altri uomini), dobbiamo guardare sempre al dovere morale come momento costitutivo di ogni fatto morale. Questo livello dell'esperienza della moralit potrebbe essere definito il livello deontologico. Che dire ancora dell'esperienza della moralit come fondamento dell'etica come scienza? Bisogna dire che un fondamento innanzitutto dato, o piuttosto non lasciato a disposizione. Vale a dire che l'esperienza della moralit va accolta, non la si pu produrre. Alla base di questa scienza c' l'esclusione dell'esperimento nel senso in cui inteso alla base delle altre scienze.4 2. Esperienza e comprensione Dopo aver illustrato la problematica dell'esperienza della moralit si passa al problema della sua comprensione.5 Poich l'esperienza umana sempre una comprensione di quello che provo, gi la stessa illustrazione della problematica dell'esperienza della moralit (fatta in precedenza) si basava su una sua comprensione. Ora miriamo a una comprensione pi approfondita e sistematica della moralit, cominciando dal dovere morale come suo momento costitutivo. Conviene tuttavia, prima di affrontare questo compito, presentare brevemente la situazione nell'ambito dell'epistemologia. La situazione creatasi nella filosofia e nella scienza sociale fa s che l'etica si trovi - forse pi di altri settori in una posizione di rottura. Aggiungiamo che questa situazione critica (cio risultante dalla critica nel senso kantiano) a livello epistemologico riguarda, a quanto pare, soprattutto il rapporto reciproco fra esperienza e comprensione. Questa situazione (che di per s molto pi complessa) pu essere rappresentata o come un allontanamento o come un avvicinamento fra due poli opposti: l'empiri[254] smo (fenomenalismo, sensismo) e il razionalismo (apriorismo).6 Se si guarda pi da vicino si pu notare che queste due tendenze epistemologiche antitetiche si condizionano reciprocamente e in certo qual modo reciprocamente si sprigionano l'una dall'altra: il fenomenalismo di Hu-me condizion storicamente il razionalismo di Kant (apriorismo) e si pu dire che lo svincol, a sua volta questa forma di razionalismo costituisce indirettamente la conferma dell'empirismo inteso in modo fenomenali-stico e sensistico. All'interno di queste tendenze epistemologiche antitetiche stata in certo qual modo resa impossibile l'esperienza della moralit, non nel senso che abbiano smesso di esistere come tali

i fatti morali (specialmente il fatto del dovere), ma nel senso che stato eliminato il corretto rapporto fra esperienza e comprensione (sia nel fenomenalismo, sia nell'apriorismo). In questa rottura l'etica diventa impossibile, rimangono soltanto, da una parte le scienze sulla moralit (psicologia, sociologia ecc.) e dall'altra una sorta di scienza della moralit (la logica deduttiva delle norme). Invece venuta meno la fondamentale comprensione della moralit sulla quale sempre l'etica si era fondata e sulla quale soltanto si pu fondare. La domanda se questa comprensione sia possibile al fondo una domanda sull'esperienza della moralit. Se a questa domanda rispondiamo affermativamente, una simile risposta si fonda sulla generale convinzione della legittimit di una posizione realistica nella conoscenza, in filosofia e nella scienza.7 Possiamo ancora notare che nel pensiero contemporaneo stiamo assistendo a una retromarcia del fenomenalismo da un lato e del razionalismo dall'altro. Ne un segno tra l'altro la cosiddetta esperienza fenomenologica: il ritorno all'unit fondamentale fra comprensione e esperienza nella conoscenza umana. [255] 3. Dalla comprensione prescientifica a quella filosofica Esiste una comprensione prescientifica della moralit. Essa ordinaria e generale, senza precisi contorni concettuali e terminologici, ma tuttavia contrassegnata da una esplicita convinzione realistica. La moralit una specie di realt. Non tanto una cosa pensata, un'idea, una specie di a priori, ma qualcosa di reale nell'uomo e fra gli uomini, nella societ e fra le societ. Da questa parte, nel nostro pensare alla moralit, nella sua comprensione, si insinua una sequenza induttiva a cui tengono dietro soprattutto le positivistiche scienze sulla moralit, sociologia, psicologia, etnologia ecc. Tutte concepiscono la moralit fenomenologicamente (come fenomeno) e descrittivamente, senza per fare del piano della descrizione della moralit l'essenza stessa della moralit, da esse ritenuta inaccessibile. D'altra parte sul piano proprio della psicologia o della sociologia il fenomeno della moralit viene ridotto (in modo di solito non formale e addirittura inconsapevole) al complesso dei fenomeni psico-sociologici. In questo modo si compie una eterogenesi della moralit, la sua reductio in aliud genus. Quello che fin dall'inizio stiamo chiamando etica pone come punto di partenza soprattutto la reductio in proprium genus, ossia la comprensione dell'essenza stessa della moralit e anche una espressione adeguata di questa comprensione. Per questo processo di carattere riduttivo senza senso la gi citata sequenza induttiva? No. La riduzione soprattutto in s induzione in senso aristotelico. Cogliere l'essenza - in questo caso l'essenza della moralit - non ci toglie tutta la ricchezza dell'esperienza, dell'osservazione, della descrizione e fors'anche della statistica. Per l'etica quindi hanno un loro significato tutti gli studi descrittivi sulla moralit. In certo qual modo [256] pu addirittura identificarsi con essi, ma sempre additando il superamento del loro profilo, fin dal punto di partenza. Superamento che consiste nel cogliere nell'insieme l'esperienza della moralit in quanto tale, nella comprensione dell'essenza stessa della moralit. A questa comprensione corrisponde un genere pi preciso di domande, che di solito si pongono in rapporto all'esperienza della moralit. Queste domande aprono la strada alla comprensione perch fin dall'inizio sono radicate in essa, da essa derivano e aprono un'ulteriore prospettiva di comprensione. Indicano quello di cui in questa comprensione progressivamente e ultimamente si tratta: che l'uomo in certo qual modo deve capire se la sua inquietudine intellettuale, il bisogno di conoscere la verit, devono essere appagati in questo campo. Sono domande che non hanno un carattere aprioristico, ma al tempo stesso vanno oltre un rapporto meramente descrittivo con la realt della moralit data nell'esperienza, rapporto di cui si accontentano le scienze della moralit positivisticamente intese.

Quali sono le domande? Si pu dire che in qualche modo sono comprese all'interno della domanda teorica: che cos' la moralit? in cui si esprime il bisogno largamente inteso di comprendere quello che nell'esperienza dato propriamente come moralit. Tuttavia la moralit come fatto sperimentabile sempre data in modo tale che la sua comprensione possa procedere soltanto mediante la conoscenza degli elementi che, nell'esperienza dell'uomo, la costituiscono. Come si detto, questo elemento soprattutto il dovere morale, ho il dovere x. La via della comprensione porta da questa esperienza verso il soggetto, ali'io personale; la strada che abbiamo gi cercato di percorrere nello studio Persona e atto. Da questa stessa esperienza si apre anche la strada della comprensione del dovere oggettivo come costitutivo della moralit: che cosa propriamente devo? e perch devo quello che devo?. In questo modo si formano le domande che hanno la loro radice nell'esperienza della moralit come fatto soprattutto personale (io devo, l'uomo agisce) e anche agisco (l'uomo agisce) insieme i con altri e che mostrano anche la via della comprensione. La comprensione del dovere non solo come esperienza, ma anche come fatto oggettivo. Questo fatto sempre in relazione a qualcosa, e proprio in rapporto a quel qualcosa che devo nasce la domanda perch, cio nasce il bisogno di dar ragione di questo fatto. Le precedenti domande, legate in certo qual modo al fatto individuale del dovere morale, possono essere sostituite da altre due domande, precisamente: Che cosa bene e che cosa male; e perch?. A differenza delle precedenti, queste ultime due hanno un carattere generale. In esse non domandiamo, come prima, un dovere concreto (che cosa devo, e perch?), ma poniamo l'interrogativo su tutto il dovere e su ogni possibile oggetto del dovere; a prescindere da qualsiasi dovere attuale, ma sull'oggetto in s, sul bene e sul male morale. Si ha allora un'implicazione reciproca fra le precedenti domande. La domanda Che cosa devo e perch? un caso individuale che rientra nella domanda generale Che cosa bene moralmente, e perch?. Inoltre la domanda stessa Che cosa devo, e perch? offre come l'intelaiatura di ogni scienza descrittiva della moralit ed esige da subito un profilo diverso, non descrittivo della scienza legata all'esperienza della moralit. Ma questa gi un'altra questione. 4. Comprensione e interpretazione Se le domande sopra citate aprono una nuova strada alla comprensione della moralit indicano per anche una sorta di comprensione primaria, che sta alla base di tutta la successiva comprensione, alla base delle stesse doman[258] de che portano alla successiva comprensione. Quindi l'intera interpretazione della moralit come realt data nell'esperienza deve prendere le mosse da questa comprensione primaria e concentrarsi soprattutto su di essa. La comprensione primaria della moralit come realt data nell'esperienza , come abbiamo gi detto, la comprensione del dovere. Il dovere stesso dato nell'esperienza intcriore, si manifesta come fatto chiaro, fenomeno, come fatto nella persona (e fatto che decide della persona). Questo fatto ha una propria struttura, che non pu essere separata dal soggetto proprio, la persona. Non la si pu astrarre, trattare come un contenuto avulso (come succede ad esempio nelle discussioni meramente semantiche sul rapporto che intercorre fra e deve). La comprensione del dovere la definizione del suo vero significato e questo significato non pu essere stabilito al di fuori del legame reale che unisce il dovere al soggetto, la persona. Si conferma l'esattezza dell'intuizione fondamentale di san Tommaso. Il dovere nasce sempre in stretto rapporto con la realt ontica della persona, la sua realt pi profonda: essere buono o malvagio. L'uomo buono oppure malvagio, in base ai

suoi atti; , o meglio diventa, tale perch anche l'atto stesso non tanto quanto diventa ogni volta. Il dovere - non in senso astratto, ma come realt - rientra sempre in questa struttura dinamica che la struttura spirituale dello stesso essere personale,8 su cui si fonda in misura sostanziale l'intera trascendenza della persona nell'atto. Contemporaneamente questa struttura si rispecchia nella coscienza e determina l'esperienza esplicita. In considerazione di tutto questo, affermiamo che il dovere morale dinamicamente legato al bene e male morale: un legame stretto ed esclusivo. Il dovere sorge in rapporto al bene o al male: ogni volta la specifica attualizza-zione della potenzialit spirituale della persona nell'at[259] to; attualizzazione che si schiera per il bene, contro il male. Anche questa comprensione del dovere come momento chiave di tutta quanta la realt della moralit ci permette di confermare ulteriormente l'esattezza della fondamentale intuizione etica di san Tommaso in merito alla stessa moralitas, oggi diremmo in merito al valore morale. Secondo san Tommaso, la moralitas un genere e il bene-male sono le sue due specie. La moralitas consiste nel fatto che l'uomo in quanto uomo diventa, attraverso l'atto, buono o cattivo. quindi una realt totalmente antropologica, personalistica, e contemporaneamente assiologica. Tutto questo rimanda a certe esigenze che incontriamo affrontando l'interpretazione della realt costituita dalla moralit. Questa interpretazione pone innanzitutto delle domande ontologiche. Per oggettivizzare cognitivamente la moralit dobbiamo arrivare alla categoria bene-male come peculiarit dello stesso essere uomo. Altrimenti non possibile comprendere fino in fondo il dovere morale. Ovviamente possibile fermarsi al dovere come mero fenomeno. Tuttavia - in conformit alle premesse della fenomenologia - appena cerchiamo di chiarire il pieno contenuto di quanto dato nel fatto (nell'esperienza) del dovere, deve apparire proprio la moralitas come la intendeva san Tommaso.9 Quindi anche il dovere morale ha in definitiva bisogno di un'interpretazione ontologica, se il dovere di essere buono come uomo proprio dell'uomo. Solo in un ambito ontologico (antropologico) cos inteso, l'interpretazione della moralit come realt data nell'esperienza deve assumere anche carattere assiologi-co. In essa si ha a che fare con il bene e con il male, e questi sono valori. [260] 5. La controversia sull'interpretazione della moralit Nel tracciare in modo positivo la struttura di questa comprensione che corrisponde omogeneamente all'esperienza della moralit, non possiamo perdere di vista tutto il complesso stato della questione. Si gi detto che, secondo le premesse positivistiche, la comprensione della moralit in quanto tale impossibile. Da qui prende le mosse la sostituzione positivistica dell'etica con le scienze specifiche della moralit come la psicologia o la sociologia. Alla base di questa tendenza sta come si detto - la reductio in aliud genus, ovvero la sostanziale mancanza di una comprensione della moralit come tale. Aggiungiamo che questa posizione conta numerosi seguaci. Ma se riconosciamo superato questo problema, cio se ammettiamo che la comprensione della moralit in quanto tale (comprensione omogenea) possibile, ci si spalanca davanti la controversia, antica quanto la storia della filosofia, sulla vera interpretazione della moralit. Anche se si tratta di una controversia storica, i poli della tensione si sono svelati chiaramente solo nell'ambito del pensiero moderno. Si tratta della comprensione della moralit cos come contenuta nelle diverse concezioni dell'etica, infatti ognuna di queste concezioni dell'etica contiene una sostanziale comprensione della moralit e una sorta di sua interpretazione. Questa interpretazione dipende in misura sostanziale dalla concezione globale della filosofia, dalle premesse gnoseologiche, epistemo-logiche, che, come si

sa, condizionano sostanzialmente il rapporto con la metafisica. In questo modo si palesano le differenze nell'interpretazione della moralit nel corso della storia della filosofia, per esempio le differenze nell'interpretazione di Fiatone o Aristotele, san Tom-maso d'Aquino o Duns Scoto, Kant o Scheler. Aggiungiamo che l'interpretazione della moralit (e a seguire [261] a (per quanto possibile) mettiamo da parte questo complesso di condizionamenti, del resto reciproci, e cerchiamo di evidenziare quanto strettamente specifico per la comprensione della moralit stessa, quanto in certo qual modo direttamente esito dell'esperienza. Che cosa possiamo dire qui? Si possono, allora, notare (generalmente parlando) le due seguenti discordanze che in certo qual modo definiscono il campo della controversia sull'interpretazione della moralit. 1. Nel campo della riduzione metafisica in definitiva rimane l'uomo come uomo che - e diventa - buono o malvagio, mentre nel campo della riduzione fenomenologica ci troviamo davanti all'esperienza del valore specifico bene-male: Scheler mostra come in questa esperienza - che soggettivamente ha una intensit particolare - si evidenzi soltanto il personales Sein. In questo modo siamo testimoni dell'avvicinamento fra le due interpretazioni, della loro complementariet; tuttavia la controversia di fondo rimane: la controversia se l'interpretazione della moralit debba compiersi attraverso l'essere o attraverso il valore. 2. Il secondo tema della controversia sull'interpretazione della moralit dato dal problema della possibilit o impossibilit di un legame fra dovere morale (e per ci stesso del bene e del male come valori morali) e finalit. Si tratta di un problema inerente soprattutto alla seconda parte di questo studio, il problema della norma, ma ha un suo senso anche qui. Vale la pena aggiungere che il problema deve la sua esistenza alla posizione di Kant che escluse la finalit dalla moralit. Mentre delineiamo il duplice terreno di controversia sull'interpretazione della moralit, dobbiamo anche sottolineare che questa controversia avviene su una base sostanzialmente comune ai rappresentanti delle diffe[262] renti tendenze nell'interpretazione della comprensione della moralit: quella della convinzione che la moralit in quanto tale pu essere capita e interpretata. Tale convinzione - nonostante tutta la distanza delle premesse epistemologiche e metodologiche - in certo qual modo comune ad Aristotele come a Kant, a san Tommaso come ai fenomenologi. Fuori di questa comunanza ci pone, come si gi detto, solo la mentalit positivista e neopositivista. Poich ci troviamo dunque - entro lo spazio della controversia sull'interpretazione della moralit - nella comune convinzione che la moralit in quanto tale si lascia comprendere e interpretare, possiamo, allora, sfruttare la controversia (proprio come gi stato in Persona e atto) in questa interpretazione e per il suo incremento. In questo modo Pinterpretazione della moralit come realt data nell'esperienza consister nello scoprire gli aspetti in cui questa realt si manifesta. Infatti la moralit non una realt statica, ma dinamica. 6. L'interpretazione della moralit come rivelazione degli aspetti Non c' dubbio che per la moralit fondamentale il fatto di essere buono o malvagio (io - uomo - sono buono o sono malvagio), e ancor di pi il fatto di diventare buono o malvagio come uomo. In questo fatto il dovere morale organicamente implicato. Contemporaneamente non c' dubbio che questo fatto essenziale per la moralit, in cui organicamente implicato il dovere, ci dato nell'esperienza. L'esperienza della moralit si identifica con l'esperienza del fatto che sono - o meglio divento buono o malvagio. In questa esperienza compreso il dovere: il dovere di essere e diventare buono, il dovere di non essere e di non diventare cattivo. Poich il dovere il momento costitutivo

di questa [263] esperienza, quindi possibile che l'esperienza della moralit si identifichi (come facciamo qui) con l'esperienza del dovere morale. 1. Gi questo stato della questione richiama il bisogno di una interpretazione intesa come rivelazione di aspetti. L'aspetto metafisico radicato in tutta quanta l'esperienza della moralit, che esperienza dell'essere e del divenire buono o cattivo attraverso questo o quell'atto. Il divenire (fieri), che categoria prettamente metafisica, contenuto soprattutto nell'esperienza stessa dell'atto, dell'agire. Questo per solo il substrato dell'esperienza della moralit, la cosiddetta esperienza del divenire moralmente buono o cattivo attraverso l'atto: diventa moralmente buono o cattivo il solo soggetto, l'io, la persona. E diventa moralmente buono o cattivo attraverso l'atto che moralmente buono o cattivo. Sia il divenire sia Pessere sono categorie metafisiche che sottolineano ed esprimono l'essere, nel caso dato l'uomo come essere, come quello che , che diventa, ma diventa in azione e attraverso l'azione. Con riduzione metafisica nelPinterpretazione della moralit intendiamo la rivelazione dell'aspetto che fondamentale. Senza di esso, infatti, non si pu parlare di comprensione della moralit in quanto tale, il dovere da solo non basta. Al tempo stesso, nella interpretazione della moralit, necessario, a quanto pare, evitare una riduzione metafisica in senso radicale, cio la riduzione dei dati dell'esperienza al piano dell'essere come essere. Per l'interpretazione della moralit pertanto indispensabile la riduzione al piano dell'uomo come essere, come quello che in un modo proprio a lui solo, e che diventa in un modo proprio a lui solo.10 2. L'esercizio regolare della riduzione metafisica, cio la regolare rivelazione dell'aspetto dell'essere e del diventare buono o cattivo come uomo, ci consente nell'interpretazione della moralit di svelare contemporaneamente l'aspetto dell'esperienza del dovere, che [264] come si gi detto - organicamente radicata in tutta la realt dell'essere e del diventare buono o cattivo attraverso l'atto. Non si tratta di un dovere oggettivato, ma dell'esperienza del dovere come esplicito fatto soggettivo. Questo fatto non solo dato nella coscienza, ma come fatto soggettivo condizionato dalla coscienza.11 In questo suo costituirsi soggettivo il dovere anche un fatto che ha valore oggettivo. quindi un essere che corrisponde strettamente all'uomo, all'essere dell'uomo, corrispondente all'essere e al diventare buono o cattivo come uomo. Il dovere sempre per un qualcosa e contro un qualcos'altro (per il bene e contro il male). 3. La rivelazione parallela, nell'interpretazione della moralit, di questi due aspetti ci permette di interpretare con maggior precisione la moralit come specifica realt assiologica. risaputo fin dall'inizio che la moralit una tale realt: tutta l'interpretazione si concentra intorno al bene e male come (secondo san Tommaso) due specie nell'ambito del genere moralitas. Sia questo genere sia le specie sono categorie assiologiche. Ma essere moralmente buono vale quanto essere buono come uomo, e essere moralmente cattivo vale quanto essere cattivo come uomo, quindi la moralit include una particolare connessione fra assiologia e ontologia. Questo, a quanto pare, particolarmente importante rispetto a tutta quanta la fenomenologia nella quale il valore si rivela soprattutto come contenuto della coscienza, contenuto dell'esperienza, dato nell'atto intenzionale per una particolare soddisfazione emotiva. Non c' dubbio che il valore morale bene e male anche un contenuto della coscienza, contenuto dato nell'atto per una forte coloritura emozionale. Si tratta per solo di una manifestazione secondaria del valore morale. Lo riconosce lo stesso Scheler quando scrive che esso si manifesta auf dem Rcken, come ai margini dell'atto, dell'agire. In questa posizione - precisamente

[265] [267] secondaria - esso gi un contenuto solo conosciuto e cognitivamente sperimentato. Ma il momento primario del valore morale bene, o male, non la teoria bens la prassi. Esso una vera realt nell'atto, nell'agire della persona in cui l'uomo diventa buono o cattivo. L'aspetto ontologico dell'assiologia primario rispetto a quello gnoseologi-co. Ancora una volta l'interpretazione della moralit deve rivelare questi due aspetti in giusta proporzione. L'esperienza della moralit indica che la conoscenza del valore morale bene o male da un lato supera il suo essere nell'atto, dall'altro ne segue le tracce. L'una e l'altra conoscenza del valore morale si uniscono nella funzione della coscienza in cui in definitiva si concretizza l'esperienza del dovere. Ma questa coscienza pi che esperienza del dovere, che riguarda solo il valore morale dettato dalla coscienza prima dell'atto. L'esame di coscienza sul valore morale dopo l'atto e la coscienza a esso legata nonch l'esperienza cognitiva del bene o del male (la colpa) sorgono gi fuori del momento del dovere, sorgono dopo il suo compimento o anche non compimento. 4. Il momento del dovere compiuto o non compiuto ha un'importanza sostanziale per la persona come soggetto e artefice dell'azione. In caso di compimento del dovere la persona prova non solo la soddisfazione dell'atto, ma prova anche in questo atto la soddisfazione di s.12 In caso contrario nonostante il compimento dell'atto - o meglio proprio a causa del suo compimento - la persona prova invece insoddisfazione, delusione, an-cor di pi: colpa e peccato. Tutto questo processo ha il carattere dell'esperienza, della coscienza, ma arriva alla struttura ontica della persona. Soprattutto infatti il valore morale bene-male si conferma in esso come categoria dell'essere e del divenire buono o cattivo come uomo. E per ci stesso difficile escludere dall'interpretazione della moralit - come realt data nell'esperienza [266] l'aspetto della finalit. L'esclusione fu opera di Kant, ma in lui riguardava soprattutto la dimensione normativa dell'etica (l'imperativo categorico contro l'imperativo ipotetico, ideologico). Invece i fenomenologi (fra cui Scheler) cominciano recuperando il momento della finalit soprattutto nell'agire stesso dell'uomo, nell'atto in cui sempre contenuto un desiderio di qualcosa. Il desiderio da solo non definisce ancora il profilo etico dell'atto, lo definisce soltanto il dovere morale. Per il dovere morale non toglie il dinamismo del desiderio all'agire della persona, all'atto. Condiziona per questo dinamismo. Il condizionamento viene dal fatto che il dovere introduce nel desiderio delle azioni umane un desiderio specifico, il desiderio per il bene e contro il male. Non possibile forse condividere l'idea che il valore morale si realizzi in certo qual modo accanto agli altri desideri (auf dem Riicken), e che da solo non sia oggetto del desiderio, del volere della persona. Proprio la particolare esperienza della soddisfazione o non soddisfazione di s (della persona) che si lega (sostanzialmente, organicamente) al compimento o non compimento del dovere morale sembra confermare l'idea che il dovere morale introduce nell'atto della persona il dinamismo proprio del desiderio. La persona come soggetto desidera la soddisfazione di s. In questo senso soprattutto orientata la sua azione; il potere o la volont dell'agente.13 Su questa base la moralitas, il valore morale bene e male - si iscrive nella sostanziale finalit (autoteleologia) della persona e in certo qual modo la iscrive in s. Sorge ovviamente il sottile problema della riduzione della moralit a finalit, problema fonte di controversie nella storia dell'etica, particolarmente in quella contemporanea. Possiamo condividere l'idea secondo cui la moralit, il valore morale, irriducibile alla finalit dell'uomo, trascendente rispetto a essa, per nell'inter-pretazione della moralit non possiamo dimenticare tutto l'aspetto della finalit, l'autoteleologia: in quel caso infatti condanneremmo l'etica alla staticit, la priveremmo di tutto il dinamismo proprio dell'uomo come persona. SEZIONE SECONDA Normativit dell'etica e responsabilit della persona 1. La comprensione della moralit e le domande dell'etica Dopo avere, nella prima parte, delineato brevemente il problema a quanto pare fondamentale per la concezione di una metodologia dell'etica, ora, all'inizio della seconda parte, opportuno rendersi conto che tutto questo problema dell'esperienza, della comprensione e dell'in-terpretazione della moralit, non circoscritto dentro questi confini. Tutta quanta l'interpretazione della moralit come fatto (dato in una esperienza multiforme) non esaurisce infatti la serie di domande che dobbiamo porci in rapporto all'esperienza morale. Del carattere di tali domande, del loro contenuto e del rapporto con l'esperienza si gi detto. Vale la pena, comunque, ricordare che la domanda che ha innescato il processo di comprensione della moralit non tanto una domanda teorica sulla moralit (che cosa la moralit? che cosa ne costituisce l'essenza? e cos via) quanto una domanda legata al dovere morale concreto: che cosa devo e perch? E cos pure la versione generalizzata della stessa domanda: che cos' moralmente bene e che cosa male, e perch? Il rapporto che intercorre fra queste domande merita particolare attenzione. La domanda circa il contenuto (l'oggetto) del dovere morale ha un primato decisivo nell'esperienza, nell'ordine esistenziale. la domanda [268] posta dalla moralit vissuta, che indica la necessit e nello stesso tempo la dirczione della ricerca delle risposte e dei chiarimenti. Sono le domande (che cosa devo e perch? che cosa bene, che cosa male, e perch?) che si pongono a ogni passo gli uomini responsabili nei confronti degli altri, carichi della responsabilit soggettiva (e oggettiva) di ognuno di loro. Invece la domanda meramente teorica sulla moralit importante solo per le moralit teoriche di ogni genere. Abbiamo gi cercato di chiarirci fino a che punto siano importanti per la concezione dell'etica le domande e la risposta a esse: per rispondere correttamente alle domande sull'oggetto del dovere - morale bisogna disporre gi di una qualche comprensione dell'essenza della moralit, una specie di sua teoria. Questo per non significa che la dirczione ulteriore e soprattutto definitiva delle comprensioni e delle interpretazioni della moralit come realt data nell'esperienza debba e possa essere meramente teorica. La dirczione indicata proprio dalle domande che qui abbiamo chiamato domande dell'etica. Ogni distinzione fra queste domande, l'idea che esse non siano accettabili nell'ambito della scienza, fa s che la scienza coltivata all'interno della ricca e multiforme realt costituita dalla moralit rimanga ai margini delle vere esigenze della vita e dell'esistenza umana. Di fatto, quanto si deve riconoscere a proposito della cosiddetta scienza della moralit, che programmaticamente non solleva le domande dell'etica: che cosa devo? che cosa bene, che cosa male nell'azione umana, e perch? la scienza delle premesse positivistiche che esclude la possibilit di fornire una risposta scientifica alle suddette domande, perch vede solo la possibilit di dire che cosa - in determinate condizioni - si considera o stato considerato moralmente buono o cattivo. Le domande che abbiamo indicato come proprie dell'etica vanno oltre queste affermazioni e richiedono un altro tipo di risposta. Esse designano propriamente il [269] carattere normativo dell'etica, ci dicono soprattutto di scoprire la norma come sua realt specifica in tutto quanto il processo di

comprensione della moralit, e quindi di fare di questa norma l'elemento centrale dell'etica come dottrina. Perch? Proprio perch nella norma morale (moralit) troviamo il fondamento per rispondere alla domanda: che cosa devo e perch? che cosa moralmente bene e che cosa male, e perch? Riassumendo, infatti, moralmente buono ci che conforme alla norma della moralit mentre moralmente male quanto le si oppone, le contrario. Quindi - e anche qui ci differenziarne dalla posizione di alcuni fenomenologi tra cui Scheler - nessuna definizione di bene o di male, di valore morale, possibile senza riferimento all'ordine normativo, senza entrare in questo ordine. A favore di questa concezione depone l'esperienza della moralit, il fatto che momento centrale di questa esperienza proprio il dovere, e il dovere generalizza sempre una norma. Il valore morale dell'atto e dell'autore dell'atto si rivela in questo complesso dinamico come frutto della concordanza o discordanza rispetto alla norma generalizzata attraverso il dovere. La norma il contenuto essenziale del dovere, essa ne decide anche la struttura e l'originalit. 2. Il mondo delle norme - loro carattere analogico In rapporto a questo si pu dire che mentre entriamo nel mondo dei molteplici doveri che intervengono nella vita e nell'esperienza degli uomini, contemporaneamente entriamo nel mondo delle norme. Si pu altres affermare che questo mondo delle norme si identifica con un insieme molteplice di contenuti che in certo qual modo possiamo a loro volta astrarre da questi doveri ed esaminare come categoria di proposizioni di carattere simile. Si tratta, per la precisione, della categoria delle pro[270] posizioni imperative, degli ordini o dei divieti di diversa intensit e sfumatura. (Cos, accanto agli ordini si possono trovare le raccomandazioni, o addirittura i consigli, accanto ai divieti, gli avvertimenti o consigli ecc.). Bench tutta questa operazione, che consiste nell'astrazione di questi contenuti, (le proposizioni normative), sia possibile e di fatto costituisca l'ampio campo delle ricerche della logica, pare per che nel citato processo di astrazione, di distacco dalla realt integrale costituita sempre dal dovere concreto, non sia contenuta ancora tutta la realt della norma. Le pi accurate indagini di pura filosofia del linguaggio possono solo sfiorare questa realt. Sembra pertanto che le proposizioni (formulazioni) normative debbano sempre essere intese nel contesto integrale del dovere e in esso soltanto possano essere sottoposte ad analisi comparative e di merito. L'analisi comparativa a questo punto necessaria perch i fatti del dovere e il mondo di norme in essi contenuto hanno un carattere analogico che la stessa analisi logica delle proposizioni normative pu non rivelare. Obiettivo dell'analisi comparativa e di merito di guardare alla norma morale nel suo specifico. Questa norma contenuta soltanto nel dovere morale e contemporaneamente lo determina come tale, stabilisce che un dato dovere dovere morale. Non potremmo condurre l'analisi comparativa con il metodo induttivo in senso positivistico: qui l'induzione avviene in senso aristotelico. 1. Aristotele, riflettendo sull'insieme delle norme (cio il contenuto del dovere) in tutta la loro molteplicit, not che uno il senso delle norme che riguardano l'esecuzione di qualcosa e uno il senso delle norme che riguardano l'azione come atto della persona. Certe norme hanno come oggetto il bene dell'azione, altre il bene dell'agente. Diversa la forma di dovere corrispondente alle norme del primo e del secondo tipo. Solo per le seconde si pu parlare direttamente di dovere morale, per le prime se ne pu parlare solo indirettamente: in quan[271] to, per esempio, essere un buon artigiano, specializzato in un dato campo, significa anche essere un buon uomo in questo campo e a questo riguardo, ma non significa ancora di per s essere buono come uomo. Quindi le norme tecniche (nel

senso di prncipi della gestione tecnica) si distinguono dalle norme etiche, pur sussistendo una relazione fra esse. 2. Sotto un altro aspetto, si possono distinguere, in tutto il complesso mondo delle norme che concorrono a dirigere l'attivit umana, norme definibili come norme di adattamento ai molteplici condizionamenti in cui l'uomo deve svolgere le proprie attivit. Questi condizionamenti sono - generalmente parlando - di due tipi, psicologici e sociologici (da cui lo sviluppo di una psicologia e di una sociologia della moralit). Per quanto concerne le norme di adattamento ai condizionamenti psicologici, si possono registrare svariati principi di comportamento (prescrizioni, regole di saper vivere ecc.).14 Per quanto riguarda le norme di adattamento ai condizionamenti sociologici si possono annoverare i vari canoni di costume, le usanze, la tradizione sociale, persino la cosiddetta moda. Tutto questo complesso insieme di norme e normative non si identifica direttamente e fondamentalmente con la sfera della moralit, pur mantenendo una relazione con la norma etica: una relazione diversa rispetto alle norme tecniche precedentemente distinte, forse pi complessa. Da un certo punto di vista le norme di adattamento rientrano nella sfera delle norme della moralit (etiche), ne determinano la concretizzazione (per esempio, le norme di cortesia fra amici sono una sorta di concretizzazione della norma generale della convivenza con gli altri o anche dell'amore verso il prossimo; le norme riguardanti i modi di vestire rientrano nella sfera della moralit, le norme d'uso trovano la propria garanzia nelle norme superiori della moralit sociale ecc.). Ma tutto questo genere di norme di adattamento ha un [272] proprio oggetto immediato: non tanto essere buono come uomo quanto ben apparire davanti agli altri nel contesto dei diversi condizionamenti di una data psicologia o di una data sociologia (ambiente, nazione, classe sociale). Questo secondo oggetto non deve escludere il primo n deve venirne escluso, si tratta per sempre di un altro oggetto: un diverso contenuto del dovere e un dovere diverso. Di qui la necessit di tenere in chiaro il fondamento gi distinto. (NB: proprio su questo si pu basare Peterogenesi della cosiddetta sociologia e psicologia della moralit, il fatto che esse, senza uscire dall'essenza chiaramente definita della moralit, possano prendere per norme morali anche le varie norme di adattamento). 3. Infine un gruppo a s di norme, che rivestono una notevole importanza nella vita umana, soprattutto sociale, costituito dalle cosiddette norme giuridiche. Esse sono molto pi esplicite in quanto, di regola, dispongono di una elaborazione formale propria, di una puntualizzazione da parte delle rispettive autorit, e sono salvaguardate, di regola, con l'aiuto di strumenti amministrativi e penali di cui dispone il potere. Lo specifico delle norme giuridiche dato dal fatto che esse servono al cosiddetto ordine pubblico che non si pu identificare semplicemente con il bonum commune (bene comune) della societ, ma che deve tendere a tale identificazione. Il rapporto tra norme giuridiche e norme morali - pi ampiamente fra legge e moralit - ha una lunga storia nella scienza. Difficile qui riprodurre questa problematica per intero. Si pu dire che un aspetto diverso del problema stato sollevato da san Tommaso, per il quale la legge un elemento dell'ordine morale che, a sua volta, ha un esplicito fondamento in tutto l'ordine dell'essere; altro, invece, l'aspetto evidenziato da Kant, che distingue fra moralit e legalit, poste in antitesi fra loro. Difficile seguire Kant in tutta la sua portata, per la corre[273] zione da lui introdotta nella storia di tutto il problema non pare trascurabile, fermo restando il rispetto delle differenze. Quindi, come giusto e necessario la tendenza a identificare l'ordine pubblico tutelato dalla legge con il bene comune quale elemento fondamentale della moralit sociale, cos giusto

anche connettere accuratamente legge e moralit. Queste due realt tuttavia sono diverse, e nel mondo delle norme e dei doveri c' un motivo per distinguerle. La norma legale sempre una norma che viene dall'esterno, ha il suo sostegno nell'autorit e nella forza del potere. Rientra inoltre nella natura stessa di questa norma soprattutto la considerazione del bene comune e specialmente del cosiddetto ordine pubblico. Questa considerazione non si identifica immediatamente e direttamente con l'oggetto proprio della moralit, l'essere buono come uomo, anche se esiste un rapporto reciproco e addirittura una reciproca compenetrazione fra questi due aspetti, cos come postulato generale dell'etica e della legislazione deve restare il postulato dell'identificazione di massima dei due ordini, quello della legge e quello della moralit. Questo stato della questione tuttavia non nasconde, ma rivela la fondamentale non-identit di questi due generi di norme e normative e quindi di doveri. Le norme giuridiche non esauriscono mai il contenuto delle norme morali, infatti la legge non raggiunge gli svariati ambiti di vita e attivit della persona umana - soprattutto di quella intcriore - sottoposti alla moralit. Tutto questo basta per dire che il mondo delle norme in cui si forma tutto l'umano agere ha un carattere analogico. Analogico anche il carattere dei doveri che vi corrispondono. Questa affermazione ci pu portare a una determinazione pi prossima della norma etica. [274] 3. Tentativo di definizione pi prossima della norma della moralit Innanzitutto un chiarimento per quanto riguarda il titolo. Usiamo qui in modo intercambiabile le espressioni norma etica, norma morale e norma della moralit. Ognuna di esse ha una propria sostanza. In certo qual modo la pi appropriata sembra l'espressione norma della moralit: per suo tramite infatti indichiamo quel principio dell'agire, dell'atto della persona che direttamente e dall'interno condiziona la moralit (moralitas) dell'atto, lo condiziona nel senso che la persona che compie questo atto diventa, attraverso di esso, moralmente buona o cattiva. Inoltre la definizione norma della moralit indica lo specifico momento, una specie soglia all'interno del dualismo dinamico persona-atto, da cui si passa nella dimensione della moralit, nella dimensione etica. Fuori da questa soglia esso rimane solo nella dimensione ontica. Ovviamente il binomio persona-atto possiede una potenzialit etica gi nella dimensione ontica. La norma della moralit il fondamento dell'attualizzarsi di questa potenzialit. Se quindi si deve dare una definizione pi prossima della norma della moralit non possiamo farlo nella separazione, ma dobbiamo farlo nel legame con questa potenzialit propria della persona-uomo come soggetto individuale e sociale insieme. Da essa infatti ha inizio tutto il rapporto dinamico con le norme etiche, la rapidit nel rapportare a esse il proprio agire. Possiamo capire il fatto stesso della norma della moralit, la sua esistenza e la sua essenza, se abbiamo davanti agli occhi l'immagine completa dell'uomo-persona. Abbiamo gi rivolto l'attenzione al desiderio, proprio di questo soggetto, di compiersi nell'atto. Questo compimento di s strettamente legato a tutta la struttura dinamica di autopossesso e di autodominio5 e pertanto si esprime anche in ogni vera autodeterminazione. L'autodetermina[275] zione, tutta la struttura della persona che in essa si attualizza, pronta ad accettare la norma della moralit e a conformarsi a essa, poich di natura le corrisponde la cosiddetta onest (bonum honestum). Riprendiamo qui il pensiero di san Tommaso d'Aquino e della tradizione filosofica da lui patrocinata. Nel linguaggio pi attuale non si parla tanto di onest quanto di dignit dell'uomo come persona. Tutta la moralit (moralitas) come esito della norma e della normativit ha un fondamento a priori in questo desiderio di onest o anche di dignit connaturale all'uomo-persona. Qui pesca la sua prima

radice, ancora non determinata: la norma della moralit serve a una determinazione pi prossima della dignit della persona, serve anche ad attualizzarla. E ovvio che questo stato della questione ci indica subito la norma come realt esteriore e trascendente in rapporto alla tendenza all'onest, naturale per la persona, ma ce la indica anche come realt ancor pi strettamente condizionata dall'interno, da questa stessa tendenza. In un altro linguaggio ancora, e anche in un'altra ottica, pi empirica, si pu parlare a questo punto di sensibilit di fondo ai valori morali come a quelli che servono essenzialmente al regolare realizzarsi del desiderio di dignit della persona nell'uomo. Non si pu negare che tutta questa struttura immanente del profilo trascendente della moralit porti in s il tratto esplicito della finalit, della finalit che corrisponde a tutta la struttura di realizzazione di s nell'atto, di cui si gi detto. Per quanto riguarda la qualificazione assiologica di onest e di dignit, essa diversa come tutto il substrato filosofico su cui si sviluppata. Il bonum honestum in san Tommaso, come il bonum in generale, si identifica con il fine. La dignit dell'uomo come persona indica innanzitutto la peculiarit o anche la fondamentale qualit, e in questo senso il valore della persona in quanto tale: valore che serve all'uomo perch l'uomo persona e a cui l'uomo proprio per questa ra[276] gione ha il dovere di aspirare. A prescindere comunque da questa differenza o anche sfumatura di significato, il desiderio di dignit (onest) proprio dell'uomo come persona un dinamismo potente e fondamentale. La forza di questo dinamismo testimoniata da tutta l'intensit dell'esperienza del bene e del male, propria di quest'ultimo, che si manifesta in tutta l'esperienza della colpa, nei rimorsi di coscienza e cos via. Molto, ai fini di una descrizione di questa esperienza, di una sua og-gettivazione conoscitiva, stato fatto dagli artisti (gli scrittori), dai fenomenologi (tra gli altri Scheler). Se ne gi parlato. A questo punto conviene aggiungere che proprio con questa aspirazione alla dignit e solo con questa si pu tradurre lo specifico carattere della norma che non solo imperativo, ma anche categorico.16 Secondo Kant, questo carattere indica l'esclusione della norma della moralit da tutto l'ordine della finalit a cui possono corrispondere solo norme ipotetiche. Tuttavia questa concezione non pare convincente. Il carattere categorico della norma etica indica soltanto la peculiare assolutezza del valore morale, indica che un valore che si deve realizzare, a cui quindi si deve aspirare (un fine) a ogni costo, cio a prescindere da altri valori che possono diventare fini concorrenziali. La norma della moralit presenta dunque il carattere dell'assenza di interesse, e questa sembra essere l'indicazione principale di tutta la concezione kantiana dell'imperativo categorico. Nella norma della moralit si rispecchia la particolare assolutezza del valore morale e della sua assenza di interesse. Questa sottolineatura del valore morale e della norma della moralit ci induce a guardare in modo particolare alla onest e alla dignit della persona. Qualcuno infatti potrebbe notare che nella moralit e nella norma morale non c' una vera assenza di interesse, in quanto l'uomo nel suo atto desidera realizzare la propria dignit. Trova qui, a quanto pare, applicazione la penetrante analisi di Scheler secondo cui non il valo[277] re morale in s l'oggetto della buona volont, del desiderio, ma esso si realizza in occasione della espressione della volont come desiderio di valori diversi, a seconda della qualit di questi valori. Tuttavia questa pertinente intuizione di Scheler riguarda non il valore morale in s, ma l'onest, o meglio la dignit della persona. L'uomo realizza questa dignit attraverso i propri atti, precisamente attraverso i valori che in questi atti si presentano come oggetto del desiderio. In questo modo la dignit della persona viene quasi tratta fuori dalla sfera dell'interesse.

Avviene un'esclusione reciproca in senso oggettivo: la dignit esclude per sua essenza l'interesse. . L'utilitarismo: solo una controversia circa il fondamento della norma della moralit? La questione apparsa in tutta la sua evidenza e al tempo stesso si acutizzata in concomitanza con Pappari[278] zione nella storia dell'etica del cosiddetto utilitarismo nel diciottesimo secolo. Non fu la prima volta, e neppure l'unica; la questione ha una lunga storia nello sviluppo della riflessione etica e anche nell'esperienza umana della moralit. Basti ricordare i vari orientamenti nel pensiero greco antico. Tuttavia l'utilitarismo del diciottesimo secolo (insieme alla reazione che suscit nella filosofia di Kant) costituisce in certo qual modo il vertice di questa storica controversia. Al riguardo dobbiamo porre con chiarezza il problema se si tratti solo di una controversia sul fondamento della norma e della normativit nella morale o piuttosto di una controversia sulla stessa ragion d'essere dell'etica, sul suo essere o non essere. Se nel pensiero contemporaneo l'etica si trova messa in discussione, non solo a causa del positivismo che mette in dubbio l'essenza stessa della moralit e la sua obiettivazione, ma anche dell'utilitarismo che ha trasformato sostanzialmente il senso del bene e del male morale, gettando cos le basi per arrivare a dire che il bene e il male morale non si possono cogliere e definire e che noi possiamo al massimo occuparci scientificamente di quello che in determinate condizioni si considera o stato considerato bene o male dal punto di vista morale. Storicamente il problema dell'utilitarismo si collega al fatto di cui si occupata sistematicamente l'etica antica e medievale (san Tommaso), e cio che accanto all'onest (bonum honestum) intervengono, nell'ambito dei valori propri dell'uomo, anche 1'utilit (bonum utile] e il piacere (bonum delectabile). Nella sistematica tradizionale l'utile ha carattere di strumento in vista di un fine, mentre Yhonestum ha carattere di scopo. Il delectabile, invece, ha soprattutto carattere di effetto. Se lo scopo quello a cui si aspira (o meglio, in riferimento al quale si desidera qualche cosa), l'effetto , invece, quel che si ottiene mirando ad uno scopo, non necessariamente in modo diretto (per s), ma tangenzialmente e [279] occasionalmente (per accidens). Un tale modo di concepire il bene, una simile assiologia tridimensionale, aveva il suo supporto in una concezione dell'uomo. In questa concezione la moralit strettamente legata alla onest, mentre utilit e piacere traggono la propria qualifica morale dalla onest. In questo modo si pu parlare di moralit dei mezzi (utile) e degli effetti (delectabile) con la clausola che n gli uni n gli altri possono costituire i fondamenti della norma e della normativit dell'etica. L'utilitarismo moderno si contraddistingue per la completa distruzione di questo modo di vedere - non solo nell'assiologia, ma anche pi in profondit -nell'ambito di una concezione dell'uomo che forse non era emersa immediatamente, ma che era stata gradualmente raggiunta.17 Infatti nell'ottica dell'utilitarismo l'uomo appare soprattutto come soggetto sperimentante, non come persona con una propria struttura di autopossesso e di autodominio; in ogni caso questa struttura non inerente all'essenza, ma temporanea. Essenziale invece per l'uomo l'esperienza di piacere o dispiacere, e soprattutto di ci che mette in moto l'attivit del soggetto. ovviamente un'attivit razionale, ma nel senso che la ragione serve ali'organizzazione delle azioni solo nella prospettiva del piacere o del dispiacere. Da qui ha avuto origine la massima dell'utilitarismo: il massimo di piacere con il minimo di dispiacere. Massima che non pu essere attaccata frontalmente. Di per s essa razionale e pu essere anche onesta. Nessuna moralit pretende il massimo di sofferenza e il minimo di piacere. Bisogna invece avanzare delle riserve di fondo per

quanto concerne il fondamento stesso della norma e della normativit etica secondo la concezione utilitaristica. Si pu facilmente notare che questo sistema ha liquidato tutta quanta la sfera dell'onest e con essa forse anche quella della dignit dell'uomo come persona. Di conseguenza il bene [280] e il male morale hanno perso il proprio fondamento nell'uomo e sono stati spinti a uno scambio sui generis con il piacere o il dispiacere.18 La norma diventata il calcolo o l'interesse delle azioni riguardo ai mezzi e ancor di pi riguardo agli esiti.19 In merito all'utilitarismo, che nella storia dell'etica un fatto superato,20 ma non senza conseguenze, bisogna porsi domande sostanziali: esso indica soltanto un cambiamento del fondamento della norma e della normativit etica oppure semplicemente un annichilimento della moralit in quanto tale e una smentita dell'etica? Bisogna propendere per questa seconda risposta: in un'assiologia e in un'antropologia utilitaristica l'etica non ha ragione d'essere, diventa semplicemente inutile. Impossibile nel positivismo, inutile nell'utilitarismo. Le domande fondamentali dell'etica: che cosa devo, e perch? che cosa moralmente bene e che cosa male, e perch? in un contesto positivista non possono essere affrontate, e nell'utilitarismo risultano in certo qual modo inutili. 5. Utilitarismo e teleologia Si gi detto del superamento dell'utilitarismo, sottolineandone anche le conseguenze. Qui non nostra intenzione entrare in analisi meramente storiche, orientando-ci in tutto questo lavoro secondo un criterio di merito. Bisogna per dire che la reazione di Kant ebbe carattere radicale e contemporaneamente prese le mosse da premesse idealistiche e soggettivistiche. Fu una inversione sui generis. Kant, riconoscendo il carattere normativo e doveristico dell'etica, riesce a riportarlo in luce (vedi la prima sezione), da un lato sottolinea il puro apriorismo della norma e della normativit, dall'altro si schiera contemporaneamente con decisione contro ogni teleologia nell'etica. Se si segue la linea di queste pre[281] messe di Kant, l'etica avrebbe ragion d'essere come pura logica delle norme (deduzione delle proposizioni riguardanti i doveri). Contemporaneamente l'etica sarebbe a suo modo statica e astratta, staccata da tutto il dinamismo che deve esserle proprio in ragione dell'agire della persona, a cui infatti sono collegate le norme della moralit. Bisogna ovviamente analizzare molto precisamente tutto il rapporto fra etica e teleologia nell'accezione di Kant. Vi sono in esso troppi elementi per cui difficile presentarlo nell'insieme. Comunque, nella sua negazione, Kant assunse in certo qual modo la concezione utilitaristica della finalit (e quindi il piacere e il dispiacere come scopi esclusivi dell'agire, del desiderio dell'uomo), contenuta in questa visione dell'uomo che, secondo l'utilitarismo, innanzitutto soggetto di sensazioni. Nel mondo dei fenomeni, e quindi nel contesto dell'esperienza, non vide un senso della finalit diverso dai fondamenti dell'altra concezione dell'uomo-persona. Lasci l'altra nell'ordine puramente noumenico, quindi aprioristico. Si pu dire che in questo modo Kant nascose quello che scoperto molto pi di quanto risulti dalla sua teoria della conoscenza. Da questo punto di vista la fenomenologia rappresent una legittima reazione al radicalismo kantiano. In particolare qui si tratta di tutto il momento ideologico nell'etica, in base alla norma e alla normativit. Si tratta, per essere ancora pi concreti, di stabilire se la norma della moralit sia - possa essere - in qualche modo legata alla finalit o se questo legame escluda la moralit, come sembra suggerire Kant. Secondo lui, infatti, ogni cosiddetta norma ipotetica, ogni norma del tipo se vuoi raggiungere x, devi fare y, non ha carattere etico e non designa un dovere morale, anzi contiene in s una variante dell'utilitarismo (diciamo un elemento di interesse). La norma etica deve contrassegnare un dovere senza interesse. Con

tutto questo si pu e si deve concordare, mentre difficile ammettere che questo do[282] vere senza interesse come dovere per il dovere (Pflicbt aus Pflicht) abbia carattere a-oggettivo oppure a-teleo-logico. Contro questo si volse tutta la reazione dei fe-nomenologi (Husserl, Scheler, Hartmann, von Hilde-brand). Se ci si riallaccia alla tradizione etica precritica, si deve ammettere che il dovere conserva in pieno il suo carattere etico, se la norma della moralit ha come oggetto il bene in quanto tale (bonum in se). Quindi la moralit pone nell'uomo (soggetto e autore di atti) l'inclinazione a conoscere, scegliere e realizzare appunto questo bonum in se, l'attitudine a collocarlo al di sopra del bonum utile e anche del bonum delectabile. Questa inclinazione, in altri termini l'inclinazione a conoscere, scegliere e realizzare il bene onesto (bonum honestum), stabilisce il fondamento della norma e della normativit etica. Questa norma e questa normativit non solo contraddistinguono tutto il campo della moralit, la evidenziano, ma al tempo stesso corrispondono alla dignit dell'uomo-persona e la favoriscono. Di fronte a tutto ci l'inclinazione a scegliere e ad attuare il bonum in se non collocata al di fuori della teleologia dell'uomo-persona. Anzi, risponde alla sua autorealizzazione, serve al compimento della persona. In questo senso la moralit non in contrasto con la finalit, anzi nasce in certo qual modo dal suo fondamento. Un'altra cosa ancora: in che modo devono stare in rapporto lo scopo e la norma? Lo scopo definisce la norma o piuttosto la norma definisce lo scopo? Alla luce di quanto si finora detto conviene ammettere che la norma definisce lo scopo (e forse entro questi limiti si pu accettare in etica la posizione di Kant), per il primato della norma sorge contemporaneamente nella teleologia, e soprattutto nell''autoteleologia dell'uomo. [283] 6. La norma come verit sul bene A questo punto, la concezione di norma e normativit, ci pone gi abbastanza al sicuro sia rispetto all'utilitarismo, sia rispetto all'apriorismo etico. Quanto chiamiamo norma etica non rappresenta nessuna interpolaziene nell'intera realt della moralit. parte integrante di questa realt ed contenuta nell'esperienza come fattore che condiziona direttamente il valore morale. Questo fattore ha un fondamento in tutta la struttura di autopossesso e di autodominio, che propria della persona umana. Ma questo fattore anche trascendente rispetto all'atto, a ogni concretizzazione personalmente presa delVagere umano. gi stato sotto pi aspetti chiarito in che senso essa sia immanente alla persona. L'immanenza della norma e della normativit alla persona umana e all'atto della persona si lega strettamente al riferimento dinamico al bene in quanto tale (bonum honestum}. Propria della persona l'inclinazione ad assumere questo bene, e in particolare l'inclinazione ad accoglierlo quando la persona diventa soggetto dell'azione, l'inclinazione ad assumerlo nell'atto. Da questo lato la norma etica assunta non altro che l'obiettivazione (e la concretizzazione) della verit sul bene, il bene legato a una determinata azione della persona, in essa voluto e in essa realizzato. La norma qualcosa di trascendente rispetto all'agire, al desiderio in esso racchiuso indirizzato verso un valore oggettivo. La verit sul bene prende la forma di giudizio concretizzato che in certo qual modo va al di l di tutto il dinamismo azione-desiderio, ma in questo azione-desiderio entra, con il peso del suo condizionamento. Infatti il giudizio non ha carattere di affermazione neutra x bene, y male, ma su questa affermazione di valore si concentra tutto il contenuto del dovere devi x, non devi y. La norma trascendente rispetto all'azione-desiderio e contemporaneamente percorsa da un [284] particolare dinamismo. Questo dinamismo del dovere trae la sua forza dalla elementare assiologia dell'essere persona. Il Voglio

essere buono - non voglio essere cattivo non solo una ordinaria intenzionalit, la stessa ragion d'essere della persona nell'ordine assiologico. Questo dinamismo del dovere concretizzato in un atto, del quale il giudizio di valore fondamento e momento-guida, prende nome di voce della coscienza. Per coscienza giustamente intendiamo l'inclinazione permanente a formulare questo giudizio e a muovere l'intero dinamismo del dovere in ogni atto della persona. La coscienza anche il fatto fondamentale dell'esperienza della moralit, che ci rivela nella normativit il tratto essenziale e costitutivo dell'etica, legando la normativit dell'etica alla responsabilit della persona, come cerchiamo di fare qui. Il fatto della coscienza, nella concezione dell'etica, depone a un certo livello a favore di Kant e ci dice di correggere il concetto metafisico tradizionale in cui dominava la teleologia. Per conviene contemporaneamente dire che difficile trovare un sistema in cui la struttura della coscienza sia cos sostanzialmente elaborata come nella dottrina di san Tomma-so. Tutto quanto abbiamo detto finora conferma la concezione di Tommaso circa il rapporto fra sinteresi e sinedesi, conferma anche (seppur in modo diverso) il legame fra l'atto (voce) della coscienza e l'efficienza, che san Tommaso chiama prudenza (prudentia). Forse solo per via dei molti commenti tutta questa concezione ha assunto un carattere troppo unilateralmente intellettualistico, razionalistico, mentre in realt la verit sul bene che la norma nella sua essenza, ha un carattere pi completo, non solo una verit del pensiero ma anche una verit dell'agire e una verit dello stesso essere persona. Nel mondo dei desideri e delle volont dell'uomo il dinamismo del dovere appoggiato su questa verit costituisce un novum assoluto: porta in questo mondo - il [285] mondo del dinamismo naturale della persona - l'elemento fondamentale della cultura. Il dovere come dinamismo provocato dalla verit sul bene verifica tutta la profonda struttura di autopossesso e di autodominio e conferma tutta la pi essenziale realt della persona nell'uomo.21 Il dovere e, per suo tramite, la verit sul bene frena e mette al suo posto tutto il naturale dinamismo del soggetto, mentre contemporaneamente gli da dinamicit in un modo completamente nuovo. Nella coscienza sempre contenuto un innalzamento oltre il naturale dinamismo del soggetto, una specie di sguardo sul mondo ideale dei valori, questo sguardo per non avulso dal dinamismo del soggetto, ma a esso ordinato. Dal punto di vista del metodo proprio della scienza che l'etica, c' un'altra possibilit che qui desideriamo solo segnalare (e che ex professo affrontiamo nella terza parte): per l'esattezza, la possibilit di un'astrazione dei giudizi concreti, in cui si esprime la verit sul bene degli atti umani, dal contesto personaledinamico, in cui esplicano la propria funzione normativa, e di un loro esame in s. Questo modo astratto di praticare l'etica non pu per in nessun modo nascondere il fatto che le norme della moralit hanno un proprio significato fondamentale in rapporto all'uomo, che la loro dimensione propria quella del bene o del male, attraverso i quali l'uomo come uomo diventa e realmente buono o cattivo. Perci - tenendo conto di tutti gli aspetti della norma della moralit finora analizzati e particolarmente l'aspetto ultimo: la verit sul bene - possiamo in definitiva definire la norma etica come principio dell'essere un uomo buono (come uomo) e dell'agire bene. Questo principio contrassegna contemporaneamente il piano della riduzione di tutto il mondo delle norme alla norma propria della moralit. Bisogna anche affermare che il principio dell'essere buono e dell'agir bene non solo si conforma analogicamente sul piano della moralit viva, [286] ma in s mostra analogicit e non univocit. Il valore morale (bene-male), per quanto uno in se stesso - rispetto al carattere

multiforme dell'agire e della ricchezza e complessit dinamica del soggetto personale22 - presenta diverse forme (per esempio come valore del coraggio, della verit, dell'amore ecc.) di cui parleremo ancora. 7. Norma e modello La precedente analisi della norma della moralit come fondamento immediato dei valori morali (bene-male) nell'agire dell'uomo ci porta a un momento molto importante per questa norma. Per l'esattezza, il momento del modello (esemplarismo). Un tema molto antico e fondamentale in tutta la filosofia e principalmente nell'etica, un tema che trova continuo alimento, soprattutto nell'attuale etica personalistica, l'etica del valore e della vocazione. Lo studio dello sviluppo storico di questo tema dovrebbe chiarirci anche la differenza a livello di fondamenti fra l'antica concezione metafisica della causa esemplare (causa exemplaris) e l'attuale analisi fenomenologica del modello personale. A prescindere da queste divergenze, il contenuto elementare del modello comune, e proprio questo contenuto deve entrare nel presente studio della norma della moralit. Riallacciamoci allo studio precedente del dinamismo del dovere il cui supporto costituito dalla verit sul bene. Questa verit nell'insieme dinamico del dovere (come voce della coscienza) si forma sempre in base a uno sguardo al valore ideale che deve essere realizzato nell'atto relativo. La norma e la normativit si trovano sempre fra due posizioni dello stesso valore: la posizione ideale e la posizione reale. Prima il valore x esiste come valore da realizzare e successivamente viene realizzato nell'atto e nella persona. La norma etica ha come scopo la realizzazione del valore ideale, il cosiddetto [287] passaggio allo stato di realizzazione di quanto precedentemente si manifesta come dato con il compito della realizzazione. Tutto questo indica un rapporto fondamentale fra norma e valori, fra normativit e esperienza del valore. La questione di importanza fondamentale per il problema della giustificazione delle norme etiche, di cui ci occuperemo nella terza parte di questo studio. La norma in s espressione del dovere, ma come principio dell'essere buono e dell'agire bene sostanzialmente formata dal valore. Il fatto che questi valori entrano prima in una posizione ideale non indica assolutamente un distacco dalla realt. La posizione ideale dei valori rispetto alla norma e alla normativit dice solo che essi sono oggetto del pensiero, sono pensati, prima di diventare peculiarit del soggetto reale; non indica invece che questi valori siano inventati. Sono pensati come elementi della realizzazione del soggetto uomo nell'atto della persona. Indicano quindi questo soggetto come realt in sviluppo, in attualizzazione, in fase di perfezionamento. Sottolineano le direzioni realistiche di questo processo e di questa attualizzazione. Queste direzioni realistiche precedenti la realizzazione non sono idealistiche, pur disponendo di una posizione ideale. La peculiarit della norma etica, il suo profilo essenziale, data dalla particolare scienza intorno all'uomo in generale, l'uomo concreto quale deve essere. Questa immagine entra nella verit sul bene che la norma esprime e a suo modo fa s che non si tratti di una verit neutrale, ma della verit come contenuto del dovere. Tramite questa verit il dovere in certo qual modo modella l'immagine ideale e su di essa orienta l'agire dell'uomo, porta alla realizzazione dell'ideale. L'ideale, il modello, riguardano indirettamente i diversi atti, le azioni della persona, direttamente e sostanzialmente riguardano la persona stessa. Cos bisogna giudicare secondo il contenuto delle diverse norme, delle proposi[288] zioni normative, degli ordini o dei divieti. Tutti questi direttamente e immediatamente parlano di un contenuto dell'agire (per esempio non rubare oppure onora il padre e la madre), per esso rimane legato alla realizzazione di un ideale, di quello che l'uomo deve essere in generale e di come

deve essere quest'uomo concreto.23 Si pu dire addirittura: devo x oppure y, poich x o y corrispondono all'ideale-modello dell'uomo buono, donde la necessit di ricopiare x o y nell'atto concreto. Se prendiamo in considerazione la differenza fra ordine e divieto, fra devo, non devo, soprattutto questa seconda forma della norma e della normativit ad apparire particolarmente distante dal trasferimento dell'ideale e dalla modellazione del valore ideale nell'atto. Per a un'analisi pi puntuale dobbiamo convincerci che, anche in questa forma della norma, contenuto lo stesso substrato. Si tratta sempre di realizzare il valore ideale dell'uomo, solo che la forma negativa dell'espressione, la formulazione al negativo della proposizione normativa, indica il livello massimo di minaccia di questo ideale, la massima antitesi con l'immagine dell'uomo, quale deve essere. Quindi la forma negativa, di divieto, della proposizione normativa segnala in certo qual modo una maggiore dinamicit del dovere rispetto alla forma positiva. A questo si riallaccia tutto quanto il problema della maggiore visibilit del male morale, della colpa, del peccato, quando si tratta di esperienza e di letteratura. Il momento del rifarsi al modello in certo qual modo un momento della norma nascosto nel profondo, intcriore, e contemporaneamente sembra il momento pi esteriore e evidente nell'ordine esistenziale, interumano e sociale. La normativit si realizza in misura notevole attraverso la sequela di modelli personali. Tutto il processo precedentemente segnalato del rifarsi al modello, del trasferimento del valore dalle posizioni ideali a quelle reali, ha il proprio reale appoggio in questo ordine e [289] in questo sistema. Perci Aristotele dedica un interesse cos sostanziale ali'uomo buono, perci tante volte nel Vangelo si parla di sequela, perci tutta l'etica contemporanea - dopo il periodo dell'apriorismo kantiano nell'interpretazione del dovere ritorna sulla stessa strada del modello e della sequela. L'uomo modello per l'uomo, un modello che attira o respinge. Il momento del modello si iscrive nella norma etica direttamente e sperimentalmente, in modo intuitivo, indicando come le categorie del bene e del male sono fondamentali nel pensiero, nell'agire e in tutto l'essere dell'uomo. 8. L'etica: scienza normativa o pratica? Un carattere cos diretto, intuitivo viene attribuito alla proposizione bonum est faciendum, malum vitandum, bisogna fare il bene, fuggire il male in cui l'etica tradizionale ravvisava il principio primo di tutto il pensiero pratico - e attraverso di esso il legame fra moralit e ordine pratico - e il principio primo dell'etica, della filosofia della moralit, la sinteresi, il giudizio pratico, da cui traggono il proprio potere tutti gli altri giudizi, anche molto particolari. Questo avviene attraverso il sillogismo che ci permette di trarre deduzioni dal principio citato preso come premessa maggiore, dopo aver affermato nella premessa minore che cosa bene e che cosa male: x-bene, faciendum, ymale, vitandum. Non si pu in alcun modo negare la ragionevolezza di questa concezione. Bisogna in aggiunta notare che il pri-mum principium practicum riguarda non soltanto l'etica, ma anche la tecnica, e nell'ambito dell'esecuzione conviene attenersi allo stesso principio generale; anche l'esecutore deve far bene la sua opera e non farla male. Questo si pu estendere ulteriormente a tutte le cosiddette norme di adattamento o anche alle norme giuridiche. Il problema essenziale di cui occuparci a questo punto [290] tuttavia un altro. In primo luogo si tratta di sapere qual il carattere specifico di questo primum princ-pium, bonum est faciendum, malum vitandum, in secondo luogo se esso costituisce realmente il fondamento chiave dell'etica. Nell'etica tradizionale24 la questione viene posta.

Questo esame del problema si collegava a tutta la concezione della conoscenza e della filosofia. Secondo tale concezione l'etica era il territorio della conoscenza pratica e il campo principale della filosofia pratica. Il principiimi di sinteresi era al centro di questa conoscenza e di questa filosofia come principio che collegava pratica e teoria, riportava il soggetto agente alla verit precedentemente conosciuta, in cui esso trovava sempre pronta la risposta alla domanda: che cosa bene e che cosa male? Questa teoria era ontologica e assiologica insieme. L'etica risiedeva sul prolungamento della metafisica, nascendo da essa sul fondamento del principium chiave della sinteresi, sulla cui immediata evidenza non ci sono dubbi. Secondo questo schema l'etica essenzialmente il settore della filosofia in cui rispondiamo alla domanda: che cosa conviene fare?, ossia essa filosofia pratica. Sembra tuttavia che nella filosofia moderna si sia avuta una scoperta dell'etica ancora pi completa. A questa completezza contribuiscono due elementi: 1) la chiarezza pi esauriente e la scoperta sotto pi aspetti del fatto morale; 2) in rapporto a questo, la nascita di nuove domande che rispetto a quanto c'era prima - che cosa fare, che cosa evitare? - sono pi profonde e ricche. Sono domande gi pi volte citate: che cosa moralmente bene e che cosa male, e perch? Vale la pena notare che queste domande in certo qual modo riportano indietro la problematica centrale dell'etica da una componente contenutistica presa nella sua globalit, ad un'altra. Queste domande sono misurate sulla realt centrale della norma della moralit e ne fanno il principale tema [291] d'indagine, mentre le domande pi antiche - che cosa conviene fare, che cosa evitare? - presupponevano piuttosto la realt della norma della moralit. In questo consiste la fondamentale trasformazione in conseguenza di cui l'etica diventa soprattutto una scienza normativa, e solo indirettamente pratica, mentre secondo la concezione tradizionale era scienza soprattutto pratica. Il principium di sinteresi bonum faciendum, malum vitan-dum infatti in s non tanto il principio dell'essere buono e dell'agire bene, e in questo senso una norma della moralit, rispondendo alla domanda che cosa bene e che cosa male? quanto un principio della pratica, il principio di trasferimento delle norme in tutto l'ordine dell'azione e della realizzazione, in questo senso anche principio della pratica della moralit. Non difficile accorgersi che tutta questa svolta nell'etica, in seguito alle nuove domande che (come si gi notato) sembrano corrispondere alla moralit come fatto dato nell'esperienza, amplia la tradizionale premessa minore del sillogismo pratico, le da particolar-mente risalto. Questo non significa un distacco dall'ordine pratico, ma solo l'ingresso pi penetrante in ci che in esso decide della moralit. Il principio bonum faciendum, malum vitandum come premessa prima di ogni sillogismo pratico non lascia dubbi. Ma quel che essenziale nell'etica implicato nella premessa minore, nell'affermazione x est bonum, y est malum. Da essa dipende il significato etico proprio di tutto quanto il sillogismo pratico e per questo su di essa si deve concentrare tutto lo sforzo conoscitivo della filosofia morale. La risposta alla domanda che cosa moralmente bene e che cosa male e perch? determinante per il significato etico di tutta la sfera pratica e non viceversa. In questo senso quindi si pu e si deve parlare di specifico rovesciamento compiutosi nell'etica dei tempi moderni. La sostanziale subordinazione della pratica rispetto alla normativit doveva comportare non necessa[292] riamente la negazione, come in Kant, ma lo spostamento su un altro piano di tutta la struttura teleologica, che prima era dominante. La dominanza della finalit pienamente comprensibile nella premessa che l'etica soprattutto una filosofia pratica, prassi, azione svolta in relazione a uno scopo. Pertanto come prodotto secondario di questo

trasferimento di merito nella concezione dell'etica nel senso di scienza non pratica, ma normativa si sviluppata la cosiddetta prassiologia. Tuttavia bisogna anche dire che tutto questo sostanziale ritorno alla normativit indirettamente importante anche per la stessa pratica dell'etica. Si tratta poi di agire, di fare il bene ed evitare il male nel modo pi deciso, di conoscere al fondo le ragioni del bene e del male morale negli atti umani. Anche questa dirczione di sviluppo nell'etica corrisponde in pieno allo sviluppo della coscienza umana. SEZIONE TERZA La legge di natura e la norma personalistica 1. Profilo completo dell'etica La concezione dell'etica che si venuta a formare nel corso di tutto questo studio rimane in stretto rapporto con l'esperienza. Al centro dell'attenzione sta sempre l'uomo concreto con il campo, a lui proprio, della responsabilit che ha carattere di responsabilit morale. Nella seconda parte ci siamo preoccupati di dimostrare che questo carattere della responsabilit depone a favore di una concezione normativa di tutta quanta l'etica, su cui in questa parte si concentrata l'analisi, soprattutto a proposito dell'essenza della norma della moralit (che cos' la norma?). Questo problema pu essere risolto in modo teoretico solo fino a un certo livello, [293] e solo fino a un certo punto rientra nella teoria della moralit. Per l'esattezza se l'analisi di ogni fatto dato nell'esperienza della moralit rivela in tutto il dinamismo del dovere una relazione con ci che determina il dovere, con il principio dell'essere buono e dell'agire bene. Tuttavia il problema della norma non pu essere posto n risolto esaustivamente entro i limiti della moralit. La risposta alla domanda: che cos' la norma della moralit? non pu essere data senza la domanda: che cos' la norma} Questa domanda s'incontra con le domande basilari di tutta l'etica, dettate dall'esperienza della moralit. Come noto sono le domande: che cosa esattamente devo e perch? e le generalizzazioni che sostanzialmente vi corrispondono: che cosa moralmente bene, che cosa male, e perch? In queste domande contenuta ovviamente la domanda sulla norma della moralit, non tanto per nell'ottica di che cosa essa , ma piuttosto che cosa essa. Come si pu vedere, l'etica stabilisce un suo confine alla teoria, alla concreta teoria della moralit. Nasce in essa, ma non s'identifica con essa. Attraverso tutta la sfera della teoria trasforma il proprio profilo che -come si visto - il profilo di una scienza pratica, di una conoscenza pratica e, come attualmente si ritiene, piuttosto il profilo di una scienza normativa. Ancora una precisazione su che cosa significa scienza normativa. Infatti pu significare: scienza sulla norma (sulle norme) della moralit; pu anche significare: scienza (insegnamento) delle norme della moralit (moralizzazione sui generis}. A quanto pare n la prima di queste concezioni (che si approssima alle premesse del positivismo) n la seconda (che si avvicina alle premesse dell'apriorismo), corrispondono pienamente alle domande di base dell'etica e come risultato non mantengono il tradizionale stile eterno di questa scienza. Quindi l'etica stata fin dall'inizio soprattutto il cam[294] po della filosofia, della conoscenza filosofica a cui - secondo il pensiero classico dello Stagirita - compete l'esame di tutti i problemi, di tutta la realt, alla luce delle ragioni ultime. noto che lo sviluppo delle scienze particolari nel corso dei secoli, e soprattutto nei tempi moderni, ha estratto dal primitivo insieme della filosofia una serie di campi e ne ha fatto il proprio dominio. In relazione a questo sorta la domanda se l'etica non possa nel complesso essere portata oltre l'ambito della filosofia e coltivata alla maniera delle scienze speciali. Il rovesciamento compiuto - e qui in certa misura accettato - della concezione tradizionale dell'etica, con tutte le sue conseguenze, indica

tuttavia che, anche nella nuova accezione, questa scienza dichiara il proprio bisogno di ragioni ultime, di un'argomentazione per ultimas causas. E pu accadere addirittura che questo bisogno si riveli attualmente nel punto di partenza empirico e nella presentazione del carattere normativo, prima che pratico, dell'etica. Questo bisogno ha le proprie radici nelle stesse domande di base che costituiscono l'esperienza della moralit, sia nella versione individuale sia in quella generalizzata. Infatti nel contesto del fatto indiscusso del dovere morale ci chiediamo: che cosa devo, e perch? Ci chiediamo anche: che cosa moralmente bene e che cosa male, e perch? Con questo perch esprimiamo non tanto il bisogno di un'indicazione di norma etica, ma anche della sua giustificazione. In questo senso spostiamo l'intera problematica alle ragioni ultime, ad ultimas causas. Si rivela in questo modo la vera dimensione filosofica dell'etica, anzi, torna a rivelarsi, dopo tutte le trasformazioni subite da questa concezione e dopo tutti i tentativi di estrarre la problematica etica dalla dimensione filosofica, per collocarla nella dimensione delle scienze particolari. La dimensione filosofica dell'etica si rivela tuttavia in modo diverso, su una base diversa rispetto alla conce[295] zione tradizionale. Si rivela forse in modo pi omogeneo. Per chiarire questo, conviene accostarsi ancora una volta alle attuali controversie circa il valore logico delle proposizioni normative. I logici sono inclini a negare loro il valore logico, le collocano oltre i confini del vero e del falso, escludendole dall'ambito della scienza; l'etica, in quanto abitualmente considerata (e cos avviene spesso) un insieme di proposizioni imperative, perde insieme a esse diritto di cittadinanza in questo territorio. NB: si pu ravvisare in questo una particolare crisi dell'etica dell'imperativo puro, intesa come scienza (insegnamento) della moralit attraverso la semplice deduzione di norme. Si pu pertanto affermare che se l'idea, diffusa fra i logici, di una non scientificit dell'etica in quanto insieme di proposizioni normative recide, a quanto pare, le radici di questa scienza, queste non sono per quelle che realmente la nutrono. Pi di una volta abbiamo visto che l'etica non nasce come semplicistico insieme di proposizioni normative, ma come risposta organica alle eterne domande dell'uomo circa il bene e il male. Tentiamo ancora di chiarirci in che misura questo insieme di proposizioni normative entra nella struttura dell'etica. Per ora certo che l'etica tenta, insieme all'uomo di tutti i tempi, di rispondere alla domanda: che cos' moralmente bene e che cosa male, e perch? e questa ricerca, come si pu vedere dal carattere della domanda stessa, ha una dimensione filo-sofica, tende a indicare le ragioni proprie di tutti i doveri morali, cio le ragioni ultime. Quando poniamo domande sul bene e male morale, poniamo domande in senso specifico sul vero e sul falso. Questo verofalso, soprattutto nelle decisioni umane (e quindi nella pratica) vuoi dire giustezza-non giustez-za. Per le norme della moralit si possono prendere e analizzare anche in s, fuori del campo delle decisioni, della pratica. Allora risalta in esse soprattutto la verit sul bene che costituisce il contenuto fondamentale di [296] ognuna. Questa verit sul bene rappresenta in certo qual modo una categoria superiore rispetto alla giu-stezza (e rispettivamente non giustezza). Determinate decisioni sono giuste perch in esse contenuta proprio la verit sul bene, mentre non sono giuste se non le corrispondono. La verit sul bene costituisce l'elemento essenziale di ogni norma etica, invece la forma che questa verit assume nel collegamento al dovere - la forma della proposizione imperativa - qualcosa di esterno e accidentale. proprio in rapporto a questo che ogni norma etica contiene sostanzialmente una qualche verit sul bene (come stato

ampiamente illustrato nella seconda parte), possiede il senso della domanda etica basilare che suona: che cos' moralmente bene e che cosa male, e perch? Se chiediamo le ragioni proprie e ultime del bene e del male morale, vuoi dire che vediamo il motivo della risposta a una simile domanda, ne riconosciamo la sensatezza. La dimensione filosofica dell'etica (secondo il profilo qui tracciato) si lega alla convinzione che ogni norma della moralit abbia prima di tutto carattere di giudizio teoretico e solo secondariamente forma vincolante. Il primo tentativo (e quello relativamente facile) consiste nell'estrarre da questa forma il giudizio sul bene e sul male che sono in essa contenuti. Per l'esattezza il giudizio sul bene e sul male contenuto implicite, in considerazione del carattere antitetico del valore etico. ovvio che esiste la possibilit di occuparsi successivamente del bene da solo o del male da solo. Ma di che cosa si tratta? Per l'esattezza di motivare la norma, cio di portare le ragioni proprie, possibilmente ultime, che spieghino perch x bene e y male. Si tratta quindi di una riduzione sui generis. Questa riduzione consiste nel chiarire le opportune relazioni assiologiche su base ontologica.25 Nelle categorie della filosofia del linguaggio si potreb[297] be parlare di riduzione delle norme a valutazioni, stabilendo una differenza fra valutazione e descrizione. Insomma, un profilo etico cos inteso (come profilo filosofico) era incluso, a quanto pare, nel profilo tradizionale della scienza pratica (che contemporaneamente era filosofico). Per l'esattezza, la tradizionale concezione dell'etica che partiva dalla sinteresi come primum principium practicum ammetteva che tutta quanta la giustificazione delle norme, la risposta alla domanda che cosa bene e che cosa male, e perch? fosse contenuta gi nella parte teoretica della filosofia. In etica bisogna solo rispondere alla domanda: che cosa conviene fare e che cosa evitare, alla luce della teoria previamente stabilita. Si detto prima che il rovesciamento compiu-tosi durante l'et moderna sul piano della concezione dell'etica consiste nel creare la premessa minore del sillogismo pratico. Ma se qualcuno pensasse che una concezione simile spieghi esaustivamente il problema, cadrebbe in errore. 2. I limiti della scienza pratica Mentre ci dichiariamo a favore di una concezione dell'etica come scienza normativa, non ne cancelliamo il carattere pratico. Cerchiamo solo di costruire un fondamento pi solido a questo carattere pratico. Tutta l'argomentazione fin qui condotta indica proprio questo. Difficile contestare che nell'etica il carattere pratico si fondi sulla normativit. Se devo rispondere alla domanda: che cosa conviene fare? secondo il principio bonum faciendum, malum vitandum, devo possibilmente conoscere quid sit bonum et malum, che cosa moralmente bene, che cosa male e perch, cio rispondere alla domanda a cui sempre ritorniamo in quanto domanda centrale dell'etica nell'accezione normativa. Pertanto concordiamo che il principio primo dell'or[298] dine pratico, la sinteresi, stabilisce soprattutto il principio del trasferire all'ordine pratico la risposta gi pronta alla domanda sul bene e male morale. Sostanzialmente questo principio ci trasporta, semplicemente e ovviamente, nell'ambito della praxis, ma su una base normativa: il trasferimento compiuto entro una verit sul bene (e rispettivamente sul male) morale, precedentemente e intcriormente approvata. Definiamo questo momento di acccttazione e approvazione intcriore della verit sul bene (e rispettivamente sul male) morale come coscienza, il giudizio di coscienza. Questo giudizio ha un carattere che si pu definire come ultimo dall'alto (per distinguerlo da quello ultimo dal basso, che sarebbe la ragione ultimamente motivata dalla norma). San Tom-maso vede nel giudizio di coscienza il iudicium ultimo-practicum, il momento ultimo del trasferimento all'ordine dell'agire del principio dell'essere buono e dell'agire

bene, il momento ultimo dell'incarnazione di questo giudizio nell'atto. Altra cosa invece se questo giudizio di coscienza anche iudicium practico-practi-cum, cio puramente pratico: fa x, non fare y. La struttura della coscienza indica piuttosto una complessit, vi entra un elemento non solo pratico ma anche teorico fa x perch bene, non fare y perch male. Quindi un ordine (e rispettivamente un divieto) che deriva dalla valutazione, in rapporto a un dato atto di valutazione ultima. Interessa ora il ruolo che la scienza pu svolgere in rapporto a un processo di trasferimento cos delineato delle norme all'ordine pratico. In altri termini: quali sono le possibilt della scienza pratica (dell'etica come scienza pratica)? chiaro che essa pu fornire un aiuto nella precisazione della norma, ossia del principio dell'essere buono e dell'agire bene nell'ottica dell'atto concreto che occorre compiere. Questa direzione prende il nome di casistica (si chiama cos non solo nell'ambito morale, ma soprattutto in questo ambito). Per Pesattez[299] za possibile, prendendo in considerazione tutte le diverse, possibili circostanze oggettive e soggettive di un dato atto, formulare pi strettamente il principio del suo compimento. Tuttavia la casistica sempre un tentativo di concepire in teoria quello che di per s in pratica. Quindi l'adattamento sempre pi particolareggiato della norma all'agire concreto dell'uomo rimane tuttavia sempre fuori del concreto, fuori della concreta decisione esistenziale. in certo qual modo un tentativo di avvicinarsi a questo concreto dall'esterno. La concretizzazione ultima della norma del iudicium ultimopracticum si compie invece sempre dall'interno, un atto della coscienza. E solo in questa dimensione ha la sua propria praticit. Sia chiaro che possiamo avvicinarci a questa sfera anche dall'esterno, in certo qual modo al di l del soggetto. Tuttavia qui ha pi senso la cosiddetta dirczione della coscienza che una astratta casistica. Esistono precisi limiti invalicabili della scienza pratica. Tali limiti derivano in primo luogo dalla generale impossibilit di una piena oggettivazione di quanto soggettivo, in secondo luogo dalla completa originalit di ogni atto della volont, di ogni decisione e autodeterminazione. Questo per non significa che l'etica come scienza pratica non abbia senso. Tutto questo processo, scientificamente condotto, di adattamento delle norme agli atti umani enormemente utile alla moralit di questi stessi atti, a condizione per che in essi siamo consapevoli dei confini dell'etica come scienza pratica. Questa consapevolezza e questa convinzione non significano per l'accettazione della posizione definita abitualmente nell'etica contemporanea come situazionismo. Il situazionismo accetta come principio fondamentale (lo desume dall'esistenzialismo) la convinzione che sia impossibile qualunque obiettivazione di quanto soggettivo. In questo contesto esclude la possibilit di una norma etica nel senso che una decisione completamente e meramente soggettiva non pu essere applicata a qual[300] sivoglia verit obiettiva sul bene (ammesso che essa sia possibile). Con queste premesse la piena originalit dell'autodeterminazione e della decisione dell'uomo consisterebbero nel fatto che esse rispondono esclusivamente a una situazione definita, situazione in senso intcriore ed esteriore. In questa risposta il soggetto da solo farebbe il bene o il male al di l di tutte le norme della moralit. Il situazionismo anche una nuova edizione dell'autonomismo, spinto per agli estremi, poich si tratta di negare gli elementi essenziali dell'etica, dell'antropologia e, indirettamente, dell'esperienza dell'uomo e della moralit. Difficile qui una completa argomentazione su questo tema; per si pu dire che il confine da noi segnalato dell'etica come scienza pratica deve correre in mezzo fra casistica pregiudizialmente intesa e situazionismo. Esso costituisce la linea di demarcazione che divide la sostanza stessa dell'etica da

queste due deviazioni. 3. I limiti della scienza normativa Se al centro dell'etica mettiamo la norma, cio il principio dell'essere buono come uomo e dell'agire bene (e rispettivamente del non-essere cattivo e del non-agire male), nasce ovviamente la domanda circa il modo in cui arriviamo scientificamente alla costruzione, e soprattutto alla formulazione, di questo principio. Con questa domanda ci troviamo - proprio come nella prima parte, ma a un livello pi alto - al centro della controversia fra empirismo e apriorismo. Questa controversia attraversa tutta la storia dell'etica e ci pone in certo qual modo sull'orlo del suo annientamento. Si pu dunque affermare che l'etica come scienza non ha come scopo la creazione delle norme della moralit. Si pu dire che essa come la grammatica che, ugualmente, non ha come scopo la creazione delle regole del [301] linguaggio. La grammatica individua queste regole nella parlata viva dell'uomo, osserva i fatti di questo ambito e arriva alla definizione della regola che ha le sue radici nel linguaggio stesso, vi radicato per natura. In questo modo la grammatica acquista il tratto caratteristico della scienza normativa: mette in luce le regole giornaliere che regolano il linguaggio, la parlata viva e a sua volta pretende un adattamento a esse. Analogo, a quanto pare, il compito dell'etica. Analogamente si pu intendere la sua importanza come scienza normativa. Si tratta di una tappa ulteriore, di un piano pi alto della comprensione e dell'interpretazione della moralit data nell'esperienza, di cui si parlato nella prima parte. In questa moralit sono ovviamente contenute diverse norme, come si gi detto nella seconda parte. Conviene all'etica non tanto la registrazione con metodo induttivo di queste norme, e neppure la loro eliminazione (selezione) nell'ottica di quello che sono le reali norme della moralit. I metodi induttivi in senso positivistico, come del resto il metodo della deduzione, hanno forse qui un'importanza secondaria e ausiliare. Fondamentale il metodo della riduzione specifica, grazie a cui determiniamo soprattutto intuitivamente - in che misura, in un dato indirizzo di comportamento (ordine, divieto ecc.), si realizza il principio dell'essere buono come uomo e dell'agire bene (e rispettivamente del non-essere cattivo e del non-agire male). Vale la pena notare che in tal caso questo processo conoscitivo non riguarda l'atto concreto, come nella casistica, ma riguarda le norme stesse, gli stessi principi in s dell'agire umano. L'etica come scienza normativa non ci autorizza a determinare queste norme, esige invece la loro conoscenza sistematica e successivamente la loro giustificazione, come gi prima stato detto. Come avviene questa conoscenza delle norme della moralit? Su che cosa direttamente si fonda? Si fonda sulla convinzione che questo o quel principio di com[302] portamento contribuisca realmente a formare il valore morale, che il comportamento a esso conforme renda l'uomo buono, mentre il comportamento a esso contrario lo renda cattivo come uomo. Questa convinzione fa parte degli uomini e fra loro anche dell'etico o del moralista: quest'ultimo in certo qual modo la coglie nella vita degli uomini, delle persone e delle societ e a sua volta la precisa con i metodi della scienza a lui propri. risaputo che i principi di comportamento sono insiti non solo nella vita e nella convinzione degli uomini, ma anche in modo formale in molte fonti scritte. Sono i codici scritti della moralit, che aiutano la convinzione degli uomini e dei popoli. Se fra questi codici troviamo certe diversit e discrepanze nei dettagli e in questioni secondarie, emerge al tempo stesso in essi una vicinanza e un'unit sulle questioni primarie e sulla linea generale direttrice della moralit. I codici scritti sono molti, sono nati in epoche diverse e sono di diversa portata. Un altro tentativo rappresentato dai Vangeli o dai Libri sacri che

contengono i moralia di altre religioni e un altro ancora dagli specifici codici di moralit (per esempio il codice di moralit turistica, artigiana ecc.). Per, oltre alla descrizione formale, bisogna prendere atto della seconda - che in senso proprio per la prima - descrizione che giace nella convinzione umana. in essa che si pesano i destini dei diversi codici giuridici della moralit, si conserva o muta l'importanza delle norme in essi contenute, si ribadisce la loro gerarchia: la convinzione della superiorit di certe norme o anche di certi sistemi rispetto ad altri. A questo punto un positivista pu dire: tutto questo dimostra che la scienza della moralit si interessa solo ed esclusivamente di quello che gli uomini - in ambiti diversi o anche in diversi condizionamenti - hanno considerato o considerano come bene e male. Oltre le aspirazioni della scienza normativa non possono arrivare. L'etica per deve porre questa ulteriore domanda: che cosa [303] moralmente bene e che cosa male? e vede la possibilit di rispondenti grazie allo stesso fondamento dell'esperienza. Il metodo per arrivare a questa risposta la riduzione di tutte le norme a quelle fondamentali di cui possiamo con completa certezza affermare che sono i principi dell'essere buono come uomo e dell'agire bene. In questa riduzione, come si pu vedere, d'importanza fondamentale l'antropologia, l'assiologia e soprattutto il concetto della dignit (honestum) e dell'uomo. Se si guarda in quest'ottica all'insieme di norme iscritte nei codici della moralit e nella vita degli uomini e delle societ, riusciamo a stabilire che alcune di esse sono con tutta evidenza principi dell'essere buono e dell'agire bene (per esempio non uccidere, non rubare, non commettere adulterio ecc.), altre acquistano tale evidenza solo attraverso un certo ragionamento o anche un chiarimento. Secondo san Tommaso a volte pu bastare un ragionamente breve e facile, a volte c' bisogno di una argomentazione pi ampia per trasferire una data norma dal principio che immediatamente evidente, oppure nonostante sia molto evidente. Questo processo di estrazione delle norme penetra nella riflessione etica con il processo della loro verifica. In questo caso non si tratta di dar ragione di questo o quel principio di comportamento che gli uomini applicano nella propria vita, ma di giustificare il principio stesso nelle sue diverse edizioni normative, nelle diverse applicazioni a seconda delle circostanze ecc. Se tutto questo concorre all'insieme dell'ampia e variegata realt che chiamiamo moralit, bisogna allora ammettere che, oltre a quello della sinteresi (il principio del bonum faciendum, malum vitandum), l'uomo, inteso in modo pi ampio e generale, dotato di un altro principio, superiore rispetto a questo, dal contenuto principalmente non pratico ma normativo: hoc est bonum, istud malum. Nell'ambito di un principio formulato in termini cos generali c' la possibilit di riempire di un [304] contenuto concreto - e in genere molto pi preciso -quell'eoe quod est bonutn e quell'istud quod est malum. Anzi ci sono qui contenuti pi o meno evidenti ed esiste la possibilit di arrivare a una maggiore evidenza per quanto concerne i contenuti normativi, al primo impatto meno evidenti. Proprio tutta questa struttura della base normativa, che in certo qual modo appartiene a tutti gli uomini normali, contenuta nel concetto di legge di natura. Questo il primo significato di tale concetto, ma non l'unico, come vedremo in seguito. Quando parliamo di uomini normali pensiamo a uno sviluppo medio di persone e societ. In particolare possiamo applicare questa normalit al cosiddetto senso morale (sensibilit morale, sana coscienza) a cui si contrappone la cosiddetta moral insanity. Come risulta da quanto detto prima, questo insieme della base normativa nell'uomo presenta una sua dinamica. I principi di comportamento hanno una propria diretta evidenza oppure

possono acquisirla indirettamente. Qui entrano in funzione tutti i processi di estrapolazione o anche di verifica delle norme. Tutto questo dimostra che la legge di natura in questo primo significato che le attribuiamo non un sistema rigido e chiuso. un sistema a suo modo mobile. Ma tutto il movimento di questo sistema si fonda sui valori come contenuti da una parte obiettivi e trascendenti, dall'altra soggettivamente conoscibili e sperimentabili. Tutto il problema della giustificazione delle norme (affrontato in questa parte) consiste nel rivelare le relazioni assiologiche sul relativo substrato antico che possono rendere evidente questo o quel principio di comportamento, possono dimostrare che in esso sono contenuti -a un maggiore o minore livello - i fondamentali principi dell'essere buono come uomo e dell'agire bene. Anche i valori morali, infatti, dispongono di una propria gradazione o gerarchia; basta dire che accanto alla medio[305] crit appare l'eroismo, vicino alla correttezza morale, la virt esemplare. Risulta quindi che, attraverso tutto quello che gli uomini hanno riconosciuto come moralmente buono o cattivo, possibile possibile e indispensabile - la conoscenza di quanto bene o male. Di pi: si pu dire che, poich solo gli uomini hanno riconosciuto e riconoscono x come bene e y come male, dal momento che in generale si tratta di bene e male morale, sono gli uomini soprattutto ad avere coscienza di questo e a riempire con i contenuti relativi questa coscienza, come se fosse un campo aperto. 4. La legge di natura Per legge di natura intendiamo non solo la fondamentale struttura normativa di base che abbiamo precedentemente tentato di delineare; intendiamo anche un metodo di giustificazione delle norme della moralit umana. Conviene parlare ora di questo metodo. Mentre lo facciamo per opportuno rendersi conto che per legge di natura si intende pi spesso l'insieme delle norme della moralit umana che non solo sono le pi fondamentali ma che al tempo stesso sono non scritte. Esse non rappresentano nessuna codificazione storica dei principi della moralit, ma contemporaneamente sono alla base di ogni codificazione, la condizionano e la verificano. Questo codice non scritto iscritto in modo assai profondo e sostanziale nella coscienza morale dell'uomo. risaputo che intorno alla legge di natura in questa accezione persiste una controversia accanita con tutti i rappresentanti del pensiero positivo. L'obiezione alla legge di natura viene da premesse e posizioni antiteisti-che poich - non senza ragione - si scorge in essa un'impronta della superiore ingerenza di Dio nella moralit umana. La legge di natura il codice del Creatore [306] stesso, iscritto nell'essere stesso dell'uomo e del mondo, ma contemporaneamente accessibile dell'uomo come essere razionale: da lui conoscibile e realizzabile. Bisogna anche cogliere esattamente il carattere trascendente di questa legge nella sua simultanea immanenza nell'uomo e nel mondo. L'immanenza contenuta nel fatto che la legge di natura iscritta nell'essere stesso dell'uomo e del mondo, in certo qual modo si immedesima con esso. In che cosa consiste la sua trascendenza? Conviene intenderla e spiegarla attraverso alcune tappe o aspetti. Il momento trascendente, proprio della legge di natura certamente il momento della verit obiettiva sul bene di ogni essere, che supera tutte le esperienze soggettive del valore o anche del desiderio del valore. Torneremo ancora al problema immanenza trascendenza della legge di natura. A questo punto conviene concentrarsi sul concetto di legge di natura in quanto esso significa e indica un metodo di giustificazione delle norme della moralit e in quanto ci porta a eseguire gli obiettivi definitivi dell'etica. Infatti questi obiettivi (cognitio per ultimas causas) sono da ravvisare nella giustificazione delle norme. La giustificazione delle norme della

moralit consiste nello scoprire il sistema assiologico che depone a favore di questo e non di un altro concetto o formulazione della norma, a favore di questa e non di un'altra concretizzazione del principio dell'essere buono come uomo e dell'agire bene (rispettivamente del non-essere cattivo o del nonagire male). Questo sistema assiologico sempre in qualche modo radicato in strutture ontiche. La legge di natura indica la necessit di entrare in quest'ultime, la necessit di comprendere le nature ovvero le essenze delle cose, che entrano nell'oggetto dell'agire umano. Fondamento della giustificazione delle norme soprattutto la comprensione delle nature, la penetrazione in tutto quanto l'ordine essenziale della realt dell'uomo e del mondo. In questo ordine sono radicati [307] tutti i sistemi e le relazioni assiologiche che da soli formano ordini particolari, ma inerenti a quello ontico. La legge di natura presuppone che l'essere e il valore siano in qualche modo uniti e reciprocamente dipendenti. La legge di natura presuppone anche che gli esseri (le nature) e i valori si compongano in un dato ordine che in modo diretto o anche indiretto accessibile alla conoscenza umana e acquista in essa la propria evidenza. A questa convinzione si oppongono alcuni fenomenolo-gi (per esempio Scheler) che considerano intrasferibili all'essere i valori e affermano che essi sono accessibili solo a una specie di sensibilit (Wertfuhlen) e sfuggono alla conoscenza razionale. Tuttavia, a quanto pare, la concezione tradizionale che ammette una specifica traducibilit del bene (del valore) nell'essere e dietro a questo l'imporsi e il reciproco dipendere dell'ordine assiolo-gico e ontico, continua a rimanere una concezione utile a cui conviene attenersi.26 Se si accetta la legge di natura come metodo, inteso in questo modo, di giustificazione delle norme della moralit, bisogna al tempo stesso sottolineare che a questo metodo compete non solo la comprensione delle nature (le essenze delle cose), ma anche l'assunzione delle relazioni assiologiche nella loro reciproca implicazione. L'una e l'altra sono funzioni di una specifica intuizione (intus-le-gere) della realt, che costituisce l'oggetto (obiectum circa quod) delle azioni umane. In ogni azione c' una sorta di riferimento a questa realt. Questo riferimento in tanto giusto in quanto si realizza in esso la giusta comprensione di entrambi gli ordini, dell'essere e del valore. Ci quanto contenuto nel concetto di legge di natura. 5. La norma personalistica Introduciamo il concetto di norma personalistica anche nell'ottica del metodo: proprio come la legge di na[308] tura essa indica un metodo di giustificazione delle norme della moralit. Questo metodo non antitetico rispetto alla legge di natura. con essa in un rapporto di complementariet e il suo posto nell'etica deriva dal fatto che proprio l'insieme delle norme che intervengono nella moralit umana sottolinea soprattutto il principio del riferimento alla persona: sempre in esse compreso il principio del riferimento specifico alla persona (essere buono come uomo) e - per lo meno indirettamente - un principio di riferimento all'altra persona o alle persone. Per chiarire per meglio l'importanza della norma personalistica come metodo di giustificazione delle specifiche norme della moralit, guardiamolo in modo comparativo, forse anche parzialmente storico. La legge di natura come norma o anche come insieme di norme della moralit indica innanzitutto che l'uomo - creatore di atti e autore di valori morali - radicato nel mondo, in una molteplicit di esseri e nature, come uno di loro. Il suo agire gravato del peso del dovere nei confronti del mondo, deve servire alla sua affermazione e costruzione, mentre non pu provocarne la distruzione o la svalutazione. In rapporto a una verit normativa cos definita, la norma personalistica cerca di mettere in evidenza la specifica posizione dell'uomo in quanto persona, la sua particolarit e trascendenza che ne derivano.

Questo non significa un allontanamento dall'ordine della natura o addirittura una sua cancellazione, anzi, la norma personalistica designa una pi profonda penetrazione nel mondo delle nature in vista di una acquisizione ancora pi completa sul terreno normativo della natura di uomo, che di natura persona. In sostanza la legge di natura esige la formulazione di un principio o di principi che corrispondano pienamente a questa realt. Nel contesto dei codici storici della moralit rientra [309] soprattutto la formulazione del Vangelo (da cui deriva tutto lo specifico della moralit cristiana). Nella storia della filosofia e dell'etica un contributo particolare alla formulazione della norma personalistica venne da Kant grazie alla sua analisi dell'imperativo categorico. Il cosiddetto secondo imperativo di Kant richiede che la persona sia sempre solo lo scopo dell'agire e mai un mezzo per uno scopo. In questa formulazione Kant aveva presente la premessa dell'utilitarismo (vedi sopra) che giustamente stimava e nei confronti del quale vedeva la necessit di salvare nell'azione la persona e la sua posizione assiologica (della dignit). Se da questi elementi della viva moralit e dalla storia dell'etica passiamo al meritum del nostro problema, dobbiamo dire che la norma personalistica il principio supremo degli atti umani, secondo cui tutto l'agire dell'uomo in qualunque campo deve essere adeguato alla relazione con la persona, fondamentale nell'agire umano. Questa relazione realmente contenuta in ogni azione dell'uomo, a prescindere da quanto nel suo contenuto oggettivo questo agire possa apparire cosale. Tutta la sensibilit morale consiste nello svelare negli atti il momento personale come momento puramente umano che si apre un varco ed emerge attraverso tutte le trame puramente cosali del contenuto del nostro agire. L'agire dell'uomo in ultima analisi non innanzitutto la realizzazione del mondo, ma la realizzazione di s, dell'umanit e della persona. Inoltre l'agire umano, attraverso tutti i sistemi cosali (o anche le barriere cosali), si realizza soprattutto in relazioni interperso-nali: la persona entra dalla parte oggettiva nella norma dell'agire come realt e valore fondamentale, a cui in primo luogo deve rapportarsi la norma della moralit. Ogni uomo, nei propri atti, contribuisce in primo luogo alla realizzazione del mondo delle persone in un senso positivo o negativo. Il fatto che l'agire umano sia in misura notevole un co-agire (agire insieme ad altri) contri[310] buisce ancora di pi a mettere in risalto la norma personalistica.27 Infine depone a suo favore la complementariet, gi precedentemente segnalata, fra i due momenti, quello dell'immanenza e quello della trascendenza nella moralit. Se l'ordine normativo in certo qual modo iscritto nell'ordine degli esseri e della natura, tuttavia esso diventa legge di natura attraverso la decifrazione da parte dell'uomo, attraverso Velevazione al piano della mente e dello spirito, al piano della persona. In tal modo anche quest'ordine cessa di essere dato solo come mondo della necessit, e viene dato all'uomo come compito nel mondo a lui proprio della libert. Diventa vera partecipazione alla Legge Eterna, participatio legis aeternae in rationali creatura. Per passare da questi pensieri a quanto inizialmente indicato: la norma personalistica designa la dirczione della giustificazione delle norme della moralit umana. Questa dirczione - come risulta dalle analisi fin qui condotte - diversa dalla dirczione della legge di natura, pur non essendole antitetica ma complementare.28 Attraverso la giustificazione prendiamo in considerazione in modo particolare le relazioni assiologiche che sono proprie della persona e derivano dalla sua realt ontica. Prendiamo quindi in considerazione la verit sul significato ultrautilitaristico della persona, la sua autoteleologia, che esclude la posizione di strumento per uno scopo, insomma

prendiamo in considerazione il valore particolare dell'amore che come principio di comportamento corrisponde pienamente alla realt costituita dalla persona. 6. Unit della norma e pluralit di norme II problema della unit della norma e pluralit di norme in certo qual modo presente in tutte le argomentazioni fin qui condotte. Esso contenuto anche nel [311] concetto di legge di natura, in quello di norma personalistica e infine - in un'altra ottica - in tutta la concezione di estrapolazione delle norme e di loro giustificazione. Il mondo delle norme non solo molteplice, ma anche graduato: in esso vi sono norme superiori e inferiori rispetto ad altre o anche secondarie. Queste si fondano su quelle e quelle spiegano queste. Il mondo delle norme ci si pu presentare come il campo della deduzione, se ammettiamo che la norma superiore o anche suprema ci sia nota e sia evidente al punto da potere, uscendo da essa, arrivare per mezzo della ragione alle norme subordinate. Tuttavia questo mondo delle norme sembra piuttosto il campo della riduzione su cui cerchiamo di acquisire l'evidenza dei singoli principi di comportamento, portandoli al semplice e evidente principio dell'essere buono come uomo e dell'agire bene. Tutta la giustificazione - condotta in questa parte - delle norme entra in questo processo di riduzione. La rivelazione, infatti, delle relazioni assiologiche corrispondenti su base ontica ci aiuta a capire che in una data norma si realizza veramente il principio fondamentale dell'essere buono e dell'agire bene. In questo modo le incombenze e gli obiettivi dell'etica entrano nella trama della moralit vitale, esistenziale. Ma se parliamo di unit della norma e di molteplicit di norme abbiamo in mente ancora un altro sistema elaborato nell'etica sulla base dell'esperienza. Si tratta per l'esattezza del sistema che nella tradizione etica normalmente considerato all'interno dell'aretologia come sistema delle virt (e rispettivamente dei vizi) morali. Questo sistema si appoggia al fatto ben individuato che il valore morale bene-male presente in molte forme significative che qualitativamente si differenziano le une dalle altre. In tal modo l'esperienza della moralit pu essere individuata come scambio bene-male, giustizia-ingiustizia, moderazione-sregolatezza, coraggio-vilt ecc. In questo campo ampio e differenziato dei valori [312] morali l'etica tradizionale ha operato non solo la loro registrazione ma anche una sistematizzazione precisa, la cui conseguenza per esempio la dottrina tomistica sulle virt cardinali, sulla subordinazione a esse di tutte le virt (partes virtutum) e sul loro reciproco legame (nexus virtutum). In questa dottrina tradizionale compreso in modo capitale il problema qui emerso dell'unit della norma e della molteplicit di norme. Siccome le norme sono i principi dell'agire, degli atti umani a cui direttamente devono la propria manifestazione, in questi atti, le diverse forme del bene o del male morale (in base alla conformit o alla discordanza da essi), il semplice, elementare e generale principio dell'essere buono e dell'agire bene si suddivide (come si pu vedere dall'esperienza e secondo la tradizione etica) in principi normativi molto particolari e sono questi i principi delle virt (e rispettivamente dei vizi). Il trasferimento di questi principi nella pratica si basa in definitiva sulla sinteresi e la loro realizzazione nella pratica ci fornisce atti che qualitativamente si differenziano tra loro come si differenziano gli stessi principi dell'agire che ne stanno alla base. In questo modo l'areto-logia entra nel campo della norma etica. Essa rappresenta piuttosto l'esito della dottrina tradizionale in questo campo. Infatti l'aretologia tradizionale indica nell'etica una molteplicit assiologica (molteplicit dei cambiamenti e delle forme del bene-male morale). Anzi indica nell'etica la molteplicit delle abilit morali, e da questo punto di vista la problematica delle virt e dei vizi entra nella pedagogia (cio

l'etica educativa). Tuttavia in questa accezione - che sembra un'accezione essenzialmente etica - vediamo soprattutto, sistematizzata in base all'esperienza della moralit e della tradizione dell'etica, la molteplicit delle norme che s'incontrano nella fondamentale unit della norma etica. La molteplicit ci permette di esercitare la scienza nel particolare e di approfondirla continuamente. [313] Note 1 Studio sul tema della concezione e della metodologia in etica. 2 Qui varrebbe la pena di riportare la citazione. 3 Quadro completo: a. devo agire per realizzare x; b. devo agire per non realizzare y; e. devo non agire per realizzare x; d. devo non agire per non realizzare y. Esempi potrebbero meglio chiarire la cosa. 4 Introdurre un eventuale svolgimento di questa tematica. 5 Indispensabile illustrare nel punto di partenza la situazione epistemologica. 6 La materia merita una trattazione pi ampia. 7 Indispensabile breve illustrazione di questa convinzione, in forza della quale assumiamo la posizione realistica. 8 Vedi Persona e atto. 9 NB: potrebbe essere molto interessante a questo punto un'analisi comparativa di san Tommaso e M. Scheler. 10 Si pu aggiungere che alcuni sistemi dell'etica metafisica hanno in certo qual modo oltrepassato il confine abituale della riduzione, che inevitabilmente porta a cancellare tutto lo specifico della moralit come realt data nell'esperienza dell'uomo. 11 Si pu dire, facendo riferimento a Persona e atto, che il dovere dato, nella coscienza che riflette, come fatto soggettivo condizionato dalla coscienza nella sua funzione di riflettere. 12 Vedi Persona e atto. 13 Vedi l'analisi dell'autodeterminazione in Persona e atto. 14 Vedi in merito l'analisi comparativa di comportamento e di condotta in Persona e atto. 15 Vedi Persona e atto. 16 Vedi la concezione kantiana. 17 Sorge l'idea che sia stato proprio questo utilitarismo ad aprire la strada a una concezione dell'uomo che si adatterebbe alle sue premesse assiologiche. is Vedi gi Hume. 19 NB: l'interesse molto problematico se gli esiti non sono raggiungibili direttamente ma solo occasionalmente. 20 Vedi la veemente reazione di Kant e poi dei fenomenologi. 21 Vedi Persona e atto. 22 Vedi Persona e atto. [314] 23 Ci troviamo continuamente nella prospettiva di questi due generi di domande: che cosa devo? che cosa bene e che cosa male? 24 Vedi san Tommaso. 25 Questo pone la convinzione che Passiologia abbia una base propria, un tema a s, anche vasto. 26 A questo punto occorrerebbe forse una argomentazione pi ampia sul tema del rapporto reciproco fra ontologia e assiologia e della conoscenza dell'essere e del valore. 27 Vedi Persona e atto. 28 Un esempio pu essere qui Amore e responsabilit. [315]

Indice TOC \o \h \z \t "Heading 3;3" HYPERLINK \l "_Toc33324118" Luomo e la responsabilit PAGEREF _Toc33324118 \h 1 HYPERLINK \l "_Toc33324119" Introduzione PAGEREF _Toc33324119 \h 1 HYPERLINK \l "_Toc33324120" SEZIONE PRIMA

PAGEREF _Toc33324120 \h 1 HYPERLINK \l "_Toc33324121" La moralit come campo proprio dell'etica PAGEREF _Toc33324121 \h 1 HYPERLINK \l "_Toc33324122" 1. Il problema dell'esperienza della moralit PAGEREF _Toc33324122 \h 1 HYPERLINK \l "_Toc33324123" 2. Esperienza e comprensione PAGEREF _Toc33324123 \h 2 HYPERLINK \l "_Toc33324124" 3. Dalla comprensione prescientifica a quella filosofica PAGEREF _Toc33324124 \h 3 HYPERLINK \l "_Toc33324125" 4. Comprensione e interpretazione PAGEREF _Toc33324125 \h 4 HYPERLINK \l "_Toc33324126" 5. La controversia sull'interpretazione della moralit PAGEREF _Toc33324126 \h 5 HYPERLINK \l "_Toc33324127" 6. L'interpretazione della moralit come rivelazione degli aspetti PAGEREF _Toc33324127 \h 6 HYPERLINK \l "_Toc33324128" SEZIONE SECONDA PAGEREF _Toc33324128 \h 7 HYPERLINK \l "_Toc33324129" Normativit dell'etica e responsabilit della persona PAGEREF _Toc33324129 \h 7 HYPERLINK \l "_Toc33324130" 1. La comprensione della moralit e le domande dell'etica PAGEREF _Toc33324130 \h 7 HYPERLINK \l "_Toc33324131" 2. Il mondo delle norme loro carattere analogico PAGEREF _Toc33324131 \h 8 HYPERLINK \l "_Toc33324132" 3. Tentativo di definizione pi prossima della norma della moralit PAGEREF _Toc33324132 \h 10 HYPERLINK \l "_Toc33324133" 4. L'utilitarismo: solo una controversia circa il fondamento della norma della moralit? PAGEREF _Toc33324133 \h 11 HYPERLINK \l "_Toc33324134" 5. Utilitarismo e teleologia PAGEREF _Toc33324134 \h 12 HYPERLINK \l "_Toc33324135" 6. La norma come verit sul bene PAGEREF _Toc33324135 \h 13 HYPERLINK \l "_Toc33324136" 7. Norma e modello PAGEREF _Toc33324136 \h 14 HYPERLINK \l "_Toc33324137" 8. L'etica: scienza normativa o pratica? PAGEREF _Toc33324137 \h 15 HYPERLINK \l "_Toc33324138" SEZIONE TERZA PAGEREF _Toc33324138 \h 16 HYPERLINK \l "_Toc33324139" La legge di natura e la norma personalistica PAGEREF _Toc33324139 \h 16 HYPERLINK \l "_Toc33324140" 1. Profilo completo dell'etica PAGEREF _Toc33324140 \h 16 HYPERLINK \l "_Toc33324141" 2. I limiti della scienza pratica PAGEREF _Toc33324141 \h 18 HYPERLINK \l "_Toc33324142" 3. I limiti della scienza normativa PAGEREF _Toc33324142 \h 19 HYPERLINK \l "_Toc33324143" 4. La legge di natura PAGEREF _Toc33324143 \h 21 HYPERLINK \l "_Toc33324144" 5. La norma personalistica PAGEREF _Toc33324144 \h 22 HYPERLINK \l "_Toc33324145" 6. Unit della norma e pluralit di norme PAGEREF _Toc33324145 \h 23 HYPERLINK \l "_Toc33324146" Note PAGEREF _Toc33324146 \h 24

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