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01/10/13

Tommaso d'Aquino (Mneme)

Mneme / Testo / Et cristiana / La scolastica / L'universit / Tommaso d'Aquino


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Tommaso d'Aquino
Presentazione 1. Filosofia e teologia 2. La metafisica 2.1. Essenza ed essere 2.2. I trascendentali 2.3. La metafisica come teologia razionale 3. La dottrina dell'anima 4. La morale 4.1. La beatitudine e le virt teologiche 4.2. L'atto umano e la legge Esercizi

Presentazione: Il valore dell'umano


Al centro della novit costituita dall'ingresso delle opere filosofiche greche nel mondo latino e dei susseguenti conflitti sulla loro compatibilit con la fede cristiana, Tommaso d'Aquino prende decisamente posizione a favore di Aristotele, sviluppando anzitutto una precisa distinzione di piani tra discorso filosofico e discorso teologico. Entrambi prendono a proprio oggetto le ultime realt, ma lo fanno con punti di partenza differenti: il primo quella della ragione naturale, il secondo quello della rivelazione di Dio. Solo il discorso teologico raggiunge dunque il fine soprannaturale dell'uomo, ma quello filosofico risulta non solo pienamente giustificato, ma anche indispensabile: l'esistenza di Dio per esempio dimostrabile razionalmente, e solo con questa premessa la teologia cristiana pu cominciare a muovere i suoi passi. Quest'ultima ha del resto un carattere pienamente scientifico in quanto al suo interno rispetta i criteri dell'argomentazione logica quanto qualsiasi altra scienza. L'originalit della metafisica di Tommaso discende in gran parte dall'integrazione creativa di tratti neoplatonici nel quadro aristotelico di fondo. L'elemento risultante che verr dai posteri ritenuto pi caratteristico la distinzione reale tra essere ed essenza: l'essenza di ogni cosa, in quanto contingente, significa una semplice possibilit, che si realizza solo quando si esprime in un atto di essere. Questa distinzione costituisce anche il punto di partenza per dimostrare l'esistenza di Dio e la creazione del mondo: essendo contraddittorio affermare che una cosa conferisce l'essere a s stessa e non potendosi andare all'infinito, bisogna ammettere che all'origine ci sia lo stesso essere sussistente, qualcosa cio in cui essere ed essenza non sono distinti, che va chiamato
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Dio. Una valutazione profondamente positiva della realt creata emerge dalla teoria dei trascendentali, che mostra che ogni cosa che esiste possiede, in quanto esistente, le caratteristiche dell'unit, della verit, della bont, della bellezza, che le vengono partecipate da Dio. La psicologia e la morale applicano tale sguardo positivo alla realt umana. Riguardo all'anima, in polemica con gli agostiniani, Tommaso ritiene che essa ha il potere naturale di conoscere la realt e non ha dunque bisogno di una continua illuminazione da parte di Dio. Riguardo alla morale viene rivendicato il valore di un'etica naturale, che non annullata dalla costatazione che il fine della perfetta beatitudine a cui aspira l'uomo non pu essere raggiunto con le sole forze naturali. Nella valutazione dell'atto umano Tommaso accoglie fin dove gli era possibile le coraggiose proposte di Abelardo, che assegnavano un ruolo determinante all'intenzione con la quale si agisce: per questo l'uomo ha sempre il dovere di agire seguendo la propria coscienza, e contemporaneamente il dovere di conoscere sempre meglio che cosa veramente bene.

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Mastro Matteo (1168-1188), Portico della gloria della Cattedrale di Santiago de Compostela (particolare). L'arte a cavallo tra l'epoca romanica e quella gotica, che assunse caratteri notevolmente uniformi nell'intera Europa, l'espressione di una civilt ricca e dinamica, che crea un linguaggio comune in cui all'interno dei consueti moduli dell'arte sacra prendono un grande spazio sensibilit per l'individuale, naturalismo, espressivit. Spesso il pensiero di Tommaso, per la finezza e l'armonia delle sue distinzioni, stato paragonato ad una cattedrale gotica; ma pi ancora Tommaso condivide lo spirito del suo tempo animando le costruzioni concettuali con una grande sensibilit per il valore irripetibile dell'umano, nel cui quadro la sapienza assume il carattere di un grande e nobile gioco: La contemplazione della sapienza viene opportunamente paragonata al gioco a causa di due elementi che si possono trovare in esso. Il primo che il gioco genera piacere, e la contemplazione della sapienza procura il pi grande piacere [...]. In secondo luogo perch gli atti del gioco non sono subordinati ad altro, ma vengono cercati per s stessi, e questa stessa cosa accade nei piaceri della sapienza.

Roccasecca (Frosinone), 1224 -- Fossanova


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Tommaso d'Aquino (Mneme)

(Latina), 1274. Dopo aver frequentato la Facolt della Arti a Napoli, entr nell'ordine domenicano e frequent la Facolt di Teologia a Parigi sotto la guida di Alberto Magno. Qui cominci la sua carriera universitaria (1252-1259), impegnato soprattutto nel ripensamento di Aristotele, che si stava diffondendo nel mondo latino anche grazie a nuove traduzioni. Dopo un decennio passato in Italia al seguito della Curia pontificia (1260-1269) torn all'universit di Parigi, lacerata dai contrasti sull'aristotelismo. Gli ultimi due anni venne richiamato a Napoli. Opere principali: l'opuscolo Sull'ente e l'essenza (1253), Commentario alle Sentenze (1254-1256), Somma contro i gentili (1259?-1264?), Somma teologica (1266?-1273: completata alla sua morte da un discepolo); inoltre numerosi commentari ad Aristotele, Dionigi l'Areopagita, Boezio, la Sacra Scrittura e raccolte di Questioni, in cui spesso va cercato il suo pensiero pi maturo.

1. Filosofia e teologia
Uno dei tratti pi caratteristici del pensiero di Tommaso d'Aquino senza dubbio il tentativo di armonizzare, nella loro reciproca autonomia, filosofia e teologia. Per Tommaso il problema si poneva in maniera molto forte: la sostanziale accettazione della filosofia aristotelica, che pareva a prima vista conciliabile con molta difficolt con il pensiero cristiano, poteva suscitare l'impressione di una subordinazione della rivelazione al pensiero razionale (come sembrava essere avvenuto nella filosofia araba di ibn Rushd ovvero Averro [1126-1198]). Bisogna quindi anzitutto mostrare che oltre le scienze filosofiche necessaria all'uomo un'altra dottrina, superiore per valore alle scienze filosofiche e certa quanto esse. La necessit della teologia fondata da Tommaso sulla necessit della rivelazione stessa: dato che l'uomo diretto per la sua natura ad un fine che eccede le sue capacit naturali (un tema che diverr pi chiaro parlando della morale), per la salvezza dell'uomo necessaria una rivelazione divina. La dottrina basata sulla rivelazione non va per confusa con la teologia razionale: quest'ultima prende a proprio oggetto Dio cos come egli pu essere conosciuto alla sola luce della ragione (come per esempio aveva fatto Aristotele), la teologia rivelata cos come egli ha voluto rivelare s stesso. In questo modo assicurata anche l'autonomia della speculazione puramente razionale: tutt'altro che essere esautorata, essa diviene invece la premessa (il preambulum) della teologia, presentando le verit cui l'uomo pu giungere con le sue sole forze, che attendono poi completamento dalla rivelazione. Un caso tipico costituito dall'esistenza di Dio: Il fatto che dio esista, e altre cose di questo tipo che tramite la ragione naturale possono essere note su
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dio, come viene detto in Rom. 1,19, non sono articoli [= princpi] di fede, ma premesse agli articoli: infatti la fede presuppone la conoscenza, cos come la grazia presuppone la natura, e come la perfezione presuppone ci che pu essere reso perfetto. Tuttavia nulla proibisce che ci che di per s dimostrabile e conoscibile venga accettato come credibile da qualcuno che non capisce la dimostrazione (Somma teologica 1, q2a2ad1). L'ultima annotazione significa questo: l'esistenza di Dio per esempio una verit razionale, e quindi pu essere conosciuta; ma chi non ne capisce la dimostrazione potr semplicemente credervi, per esempio fidandosi di chi gli assicura che essa corretta (se cos non fosse la fede cristiana sarebbe accessibile solo al filosofo!). Ma la teologia in s (o sacra dottrina, come preferisce chiamarla Tommaso) pu essere definita scienza? Ecco per intero la discussione del problema:

Se la sacra dottrina sia una scienza


Per il secondo articolo si procede cos: sembra che la sacra dottrina non sia una scienza. 1. Infatti ogni scienza procede da princpi noti per s. Ma la sacra dottrina procede dagli articoli di fede, che non sono noti per s, non essendo ammessi da tutti: la fede infatti non di tutti, come si dice in 2Tess. 3,2. Dunque la sacra dottrina non una scienza. 2. Inoltre, la scienza non riguarda le cose singolari. Ma la sacra dottrina tratta di cose singolari, per esempio delle gesta di Abramo, Isacco e Giacobbe, e simili. Dunque la sacra dottrina non una scienza. Ma contro c' ci che dice Agostino in De Trinitate 14,7: A questa scienza si attribuisce solo ci tramite cui la fede che d la salvezza viene generata, nutrita, difesa, rafforzata. Ma ci non appartiene a nessuna scienza se non alla sacra dottrina. Dunque la sacra dottrina una scienza. Rispondo dicendo che la sacra dottrina una scienza. Ma bisogna sapere che ci sono due generi di scienze. Infatti alcune sono quelle che procedono da princpi noti alla luce naturale dell'intelletto, come l'aritmetica, la geometria e le scienze di questo tipo. Altre invece sono quelle che procedono da princpi noti alla luce di una scienza superiore: come la prospettiva procede da princpi resi noti dalla geometria, e la musica da princpi noti tramite la matematica. E in questo modo la sacra dottrina una scienza, perch procede da princpi noti alla luce di una scienza superiore, vale a dire la scienza che posseggono dio e i beati. Quindi, come la musica crede ai princpi trasmessile dal matematico, cos la sacra dottrina crede ai princpi rivelatile da dio. Alla prima obiezione dunque bisogna dire che i princpi di qualsiasi scienza o sono noti per s, o si riconducono alla notizia di una scienza superiore. E tali sono i princpi della sacra dottrina, come stato detto. Alla seconda bisogna dire che le cose singolari vengono trasmesse nella sacra dottrina non perch si tratti principalmente di essi: ma vengono introdotti sia come esempio di vita, come nelle scienze morali; sia anche per rendere chiara l'autorit degli uomini tramite cui giunse a noi la rivelazione divina, sulla quale si fonda la sacra Scrittura ovvero la sacra dottrina (Somma teologica 1, q1a2).
Si osservi la struttura della quaestio medioevale, derivata dal Sic et non di Pietro Abelardo (10791142): anzitutto viene enunciato il problema e prospettata la soluzione contraria a quella che sar alla fine sostenuta (titulum); quindi vengono elencati gli argomenti a sostegno di tale soluzione
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(obiecta ); poi viene avanzato un argomento (in genere d'autorit, cio basato sull'affermazione della Scrittura o di un maestro di riconosciuta importanza) che suggerisce la soluzione opposta (sed contra ); viene discusso il problema e presentata la risposta definitiva (responsio ); infine vengono risolte le difficolt rappresentate dagli argomenti contrari all'inizio esposti (responsiones ad obiecta ).

In sintesi: la teologia trae i suoi princpi da una scienza superiore, che la conoscenza che Dio ha di s stesso (e che posseggono per quanto possibile anche coloro che sono giunti alla beatitudine eterna); e come il musicista si fida delle informazioni che il matematico gli d riguardo alla sua scienza, cos il teologo (come ogni altro credente) si fida delle notizie che Dio ha dato di s stesso rivelandosi. Ma il carattere scientifico della teologia assicurato dal suo metodo razionale e argomentato, che permette di ricavare conclusioni logiche da premesse di fede e anche di ragione. Ci non significa per Tommaso (come s'intender pi tardi) che la teologia sia esclusivamente una scientia conclusionum, una scienza cio che non fa altro che tirare conseguenze da princpi indiscutibili: anche nei confronti dei princpi di fede la ragione ha infatti il compito di mostrare che essi sono credibili. Ci pu essere fatto in due modi: o evidenziando l'autorit del rivelante, o dimostrando che i princpi rivelati non solo non sono contrari alla ragione, ma anzi si trovano intimamente d'accordo con essa. La fede non infatti concepita come qualcosa di irrazionale e privato, ma l'atto tramite cui accettiamo come vero sulla base di buoni motivi qualcosa rivelato da qualcuno. Questo il senso anche delle molte dimostrazioni di convenienza: delle opere di Dio non possibile mostrare la necessit (ci significherebbe negare la libert di Dio); si pu per, a posteriori, comprendere che sono coerenti con la sua natura. Un esempio tipico tra i molti possibili la discussione sull'incarnazione di Dio: La stessa natura di dio la bont. ... Quindi qualsiasi cosa appartenga al carattere del bene conveniente a dio. Ma appartiene al carattere del bene che si comunichi ad altri. ... Quindi al carattere del sommo bene appartiene che si comunichi alla creatura nel modo pi alto. Ci in verit avviene per il fatto che congiunge a s la natura creata di modo che venga una sola persona da tre elementi, verbo, anima e carne, come dice Agostino in De Trinitate 13,17. Dunque chiaro che fu conveniente che dio si sia incarnato (Somma teologica 3, q1a1c). Bisogna inoltre notare che Tommaso, nonostante affermi che l'unico scopo dei fatti singolari servire o da esempio morale o da prova dell'autorit, non pu rimanere fedele a quest'assunto di origine aristotelica. Una parte importante della Somma Teologica infatti dedicata a Cristo: alla sua persona, alla sua vita, alla sua passione, morte e resurrezione, tutti aspetti o fatti singolari per eccellenza. evidente allora che, malgrado le affermazioni di principio contrarie, la teologia di Tommaso non pu rinunciare a quel fatto del tutto unico e particolare che costituito dal compimento della salvezza nella storia. In questo modo la fede cristiana, eminentemente storica, rivendica i suoi diritti, costringendo Tommaso a trasgredire tacitamente le regole della scientificit della cultura del suo tempo.
Riassumendo, in Tommaso la ragione svolge un triplice compito a servizio della teologia: 1) dimostra le premesse che permettono l'accoglienza dei princpi di fede; 2) mostra la credibilit, cio in ultima analisi la coerenza, dei princpi di fede; 3) offre il metodo argomentativo tramite cui dedurre dalle premesse razionali e dai princpi di fede ulteriori verit. Nel seguito toccheremo quasi esclusivamente gli aspetti pi originali della filosofia di Tommaso che, proprio per le ragioni dette, facilmente separabile dalle discussioni teologiche. Si noter tuttavia che si tratta di una separazione che ha un carattere provvisorio: la filosofia infatti secondo Tommaso capace di comprendere i propri stessi limiti, e dunque di attendere un completamento da una scienza guidata da una luce superiore alla ragione naturale. Inoltre, il ruolo chiarificatore che la ragione assume nei confronti degli articoli di fede fa s che molte delle discussioni filosoficamente pi interessanti si trovino in un contesto propriamente teologico.
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Tommaso d'Aquino (Mneme)

Johannes Lohmann, S. Toms e os rabes - Estruturas Lingsticas e Formas de Pensamento, Videtur, n. 11.

2. La metafisica
2.1. Essenza ed essere
Nelle sue linee generali, la metafisica di Tommaso si presenta come un'intenzionale ripresa di Aristotele, le cui opere proprio in quell'epoca cominciavano a circolare nella loro interezza nel mondo culturale di lingua latina. L'aristotelismo di Tommaso d'Aquino tuttavia fortemente impregnato di elementi neoplatonici, desunti da varie fonti (Porfirio [232-304], Proclo [410-485], Dionigi l'Areopagita [5 secolo], ibn Sn ovvero Avicenna [980-1037]). L'influenza neoplatonica si pu rilevare anzitutto nella maggiore sottolineatura della distinzione tra gli enti sensibili e quelli puramente intellegibili, distinzione che in Aristotele veniva attenuata dall'identificazione dell'ousa con la forma. Secondo Tommaso ci pienamente vero solo nel caso degli enti privi di materia (detti sostanze separate e identificati con gli angeli), la cui natura o essentia (questa l'originaria traduzione latina di ousa) solo forma; ma nel caso degli enti necessariamente possedenti materia (le sostanze composte, per esempio l'uomo), l'essentia il composto di forma e materia. Tale precisazione di sapore neoplatonico in Tommaso sembra per ottenere un risultato contrario a quello originario: non una svalutazione delle sostanze composte, ma piuttosto una maggiore stima della corporeit. Affermare che la materia fa parte dell'essenza significa infatti sostenere per esempio che la perfezione dell'uomo include necessariamente anche la corporeit (donde la giustificazione razionale dell'articolo di fede sulla resurrezione della carne). Parimenti influenzata dal neoplatonismo la diversa concezione dell'essenza. Mentre in Aristotele l'ousa e il t n inai (l'essere-per-ciascuna-cosa) erano anzitutto singolari, in Tommaso l'essentia (o quidditas) universale, e viene cos ad avvicinarsi alla nozione logica di idos, cio di specie. Da qui nasce un problema che in Aristotele non poteva porsi: vale a dire il problema dell'individuazione. Se l'essentia universale, ma la realt del resto solo singolare (in questo Tommaso accetta integralmente la critica d'Aristotele a Platone), che cosa conferisce l'individualit alla singola cosa? Sfruttando un'osservazione marginale di Aristotele e seguendo Avicenna, Tommaso risponde che si tratta della materia: Il principio di individuazione la materia. Da ci sembrerebbe seguire che l'essenza, che comprende in s la materia e assieme la forma, sia soltanto particolare e non universale. ... E dunque bisogna sapere che non la materia comunque intesa principio d'individuazione, ma solo la materia determinata (materia signata). E dico materia determinata quella che viene considerata sotto certe dimensioni. ... Nella definizione dell'uomo viene posta la materia non determinata: infatti nella definizione dell'uomo non si pone questa carne e queste ossa, ma carne e ossa in assoluto, che sono la materia non determinata dell'uomo (Sull'ente 2,6). Nel caso dell'uomo dunque, non l'anima in quanto tale che conferisce individualit (l'anima forma), ma solo in quanto fatta per unirsi ad un corpo (la moltiplicazione delle anime secondo la moltiplicazione dei corpi, Somma teologica 1, q72a2ad2). Diverso il caso degli angeli: non avendo essi materia, l'individualit sar necessariamente data dalla forma, che dunque sar diversa per ogni angelo e si identificher con lui. comunque solo l'ente pienamente individuato che pu ricevere il nome di sostanza
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(traduzione del greco hypstasis), indicante ci che sussiste realmente e autonomamente.


In questo mutamento di prospettiva c' anche una importante conseguenza di carattere gnoseologico. Con l'affermazione dell'universalit dell'essenza Tommaso riesce infatti ad aggirare una difficolt della filosofia aristotelica, nascente dalla giustapposizione tra l'individualit della realt e l'universalit della scienza: in quale modo la scienza pu allora avere una sua verit? In Tommaso il problema risolto perch l'universale non solo un prodotto dell'astrazione dell'intelletto (universale post rem), ma anche realmente presente nella singola cosa (universale in re), anzi la precede pure (neoplatonicamente) nella mente di Dio, che possiede i modelli esemplari di tutte le cose create (universale ante rem, ovvero ideae). Questa era gi la soluzione che aveva dato al problema degli universali Pietro Abelardo. La scienza dunque valida anzitutto perch non si basa solo su generalizzazioni (in quanto tali fallibili), ma sulla capacit che l'intelletto possiede di riconoscere l'universale incarnato nelle singole cose.

La totale assenza di materia negli angeli (sostenuta in polemica con il contemporaneo Bonaventura [12211274], che vedeva in essi la presenza di una materia spirituale) pone di fronte ad un ulteriore problema. Affermare che essi sono forme pure non equivale forse a designarli come atti puri, eguali quindi a Dio stesso? Tommaso evita questa conseguenza con la dottrina della distinzione reale tra esse ed essentia: Qualsiasi cosa non faccia parte della comprensione dell'essenza o quiddit, le viene dall'esterno ed entra in composizione con l'essenza, perch nessuna essenza potrebbe essere compresa senza ci che fa parte dell'essenza. Ma ogni essenza o quiddit pu essere compresa senza che si comprenda alcunch del suo essere di fatto (de esse suo facto). Posso infatti comprendere che cos' l'uomo o la fenice, e tuttavia ignorare se abbiano essere nella natura reale (an esse habeant in rerum natura). Dunque evidente che l'essere altro dall'essenza o quiddit (Sull'ente 5,3). Ci significa che le cose di cui abbiamo esperienza sono contingenti, non posseggono cio in s stesse nulla che richieda necessariamente la loro esistenza. Anche nell'angelo, liberamente creato da Dio, c' dunque una tale composizione tra essere ed essenza, che impedisce di considerarlo un essere assolutamente semplice. Fin qui, Tommaso segue sostanzialmente l'opinione che era gi stata di Guglielmo di Alvernia (1190-1249). Il passo ulteriore invece pi originale. Come pi chiaramente viene detto in testi successivi al Sull'ente e l'essenza, la relazione tra essenza ed essere va chiarita con l'aiuto dei concetti aristotelici di potenza e atto: Nelle cose materiali si trova una duplice composizione. La prima quella di forma e materia, dalle quali viene costituita una certa natura [ovvero essenza]. Ma la natura cos composta non il suo essere, ma piuttosto l'essere il suo atto. Dunque la stessa natura in rapporto con il suo essere come una potenza con un atto. Dunque, eliminata la materia, e posto che la stessa forma sussista senza materia, rimane ancora il rapporto della forma con lo stesso essere, come della potenza con l'atto. E questa composizione bisogna intenderla negli angeli (Somma teologica 1, q50a2ad3). Quindi, i termini potenza e atto possono indicare due cose distinte: o la materia in rapporto alla forma (questo il significato aristotelico), o l'essenza (materia pi forma o forma pura) in rapporto all'essere. Quest'ultimo andr quindi definito l'attualit di tutti gli atti -- per questo viene spesso chiamato anche actus essendi -- e costituisce l'autentico vertice della conoscenza metafisica. In questo modo Tommaso integra all'interno della metafisica aristotelica la tendenza neoplatonica a considerare l'essere come un qualcosa dotato di una sua autonomia (non solo concettuale, ma reale) rispetto a tutte le possibili determinazioni degli enti.
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La distinzione di Tommaso tra essere ed essenza, per quanto non venga presentata con molta enfasi da lui stesso, venne presto ritenuta il tratto pi caratteristico del suo pensiero, e come tale vivacemente contestata o difesa, per lo pi sotto la forma della coppia concettuale essentia / existentia (un termine quest'ultimo poco amato da Tommaso). Tale distinzione ha cos costituito un punto di riferimento fondamentale per pressoch tutte le filosofie posteriori, fino all'esistenzialismo contemporaneo. Andrea Porcarelli, Guida allo studio del De Ente et Essentia di Tommaso d'Aquino, Il Giardino dei Pensieri, http://www.ilgiardinodeipensieri.com/storiafil/tommaso1.htm. Jude Chua Soo Meng, Neo-platonic Infinity and Aristotelian Unity: a critique of W. Norris Clarke SJ's reconstruction of Aquinas' metaphysical development, Quodlibet, http://www.quodlibet.net/meng-essence.shtml. Luiz Jean Lauand, Ludus in the Fundamentals of Aquinas's World-View, International Studies on Law and Education , n. 2, http://www.hottopos.com/harvard2/ludus.htm. Luiz Jean Lauand, Toms de Aquino e a metafsica das lnguas Bantu e Tupi, Notandum, n. 6 (jul.-dez. 2000), http://www.hottopos.com/notand6/jean.htm.

2.2. I trascendentali
Un'importanza particolare ha nella metafisica di Tommaso d'Aquino la teoria dei trascendentali (come saranno in realt solo pi tardi chiamati), sostanzialmente originale rispetto ad Aristotele (ma in parte ripresa da Alessandro di Hales [1185-1245]). I trascendentali sono gli attributi generalissimi che riguardano l'ente in quanto tale. Essi quindi oltrepassano, trascendono le categorie (o predicamenti), che dividono invece l'ente in differenti generi (altro la sostanza, altro la quantit, e cos via). La distinzione tra i trascendentali non quindi reale, ma solo di ragione (e infatti convertuntur, dice Tommaso); proprio per questo per essi aiutano a comprendere la ricchezza di un termine -- ente -- che altrimenti rischierebbe di rimanere vago e indeterminato. Il passo pi completo sui trascendentali si trova nella prima questione Sulla verit, che opera una precisa deduzione dei caratteri dell'ente: Alcune cose vengono dette aggiunte all'ente per il fatto che esprimono un modo dell'ente stesso che non viene espresso dal nome ente. Ci accade in due maniere: nella prima cosicch il modo espresso un qualche modo speciale dell'ente [= categorie]. ... Nella seconda cosicch il modo espresso sia un modo generale che consegue ad ogni ente; e questo modo pu essere inteso in due maniere: nella prima in quanto consegue a qualsiasi ente in s; nella seconda in quanto consegue ad un ente in rapporto ad un altro. Se nella prima maniera, ci avviene in due maniere, perch esprime nell'ente qualcosa o affermativamente o negativamente. E non si trova nulla che sia detto affermativamente in modo assoluto, che possa essere inteso in ogni ente, se non la sua essenza, secondo la quale si dice che esso ; e cos viene assegnato il nome cosa, che differisce da ente, secondo ci che dice Avicenna all'inizio della Metafisica, perch ente viene tratto dall'atto di essere, ma il nome cosa esprime la quiddit o essenza dell'ente. E la negazione che consegue ad ogni ente in maniera assoluta la non divisione, che viene espressa dal nome uno: infatti l'uno non nient'altro che l'ente indiviso. E se il modo dell'ente viene inteso nel secondo modo, cio secondo il rapporto di una cosa all'altra, ci pu avvenire in due maniere. Nella prima secondo la divisione di un ente dall'altro, che viene espressa dal nome qualcosa: infatti si dice qualcosa come se si dicesse un'altra cosa; dunque come l'ente viene detto uno in quanto in s non diviso, cos viene detto qualcosa in quanto diviso dagli altri.
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Nella seconda maniera secondo l'accordo di un ente con un altro; e ci per non pu avvenire se non si prende qualcosa che possa per natura accordarsi con ogni ente: e ci l'anima, che in un certo senso tutte le cose, come viene detto nel terzo libro Sull'anima. Ma nell'anima c' una facolt conoscitiva e desiderativa. Dunque l'accordo dell'ente con il desiderio viene espresso dal nome buono, cos come all'inizio dell'Etica [Nicomachea] si dice che il buono ci che tutti desiderano. E l'accordo dell'ente con l'intelletto viene espresso dal nome vero (Sulla verit q1a1c). In conclusione, sei sono (contando anche ens) le nozioni trascendentali: ens, res, unum, aliquid, verum, bonum. Ci significa che ogni ente (cio ogni cosa che ha essere) una cosa in quanto determinato (cio in quanto ha un'essenza), un'unit in quanto identico a s (come gi esplicitamente rilevava Aristotele), un qualcosa in quanto distinto dagli altri enti, vero in quanto conoscibile, buono in quanto desiderabile.
Questo in sintesi lo schema del ragionamento di Tommaso: attributi speciali (praedicamenta ) attributi generali (trascendentia ) conseguono all'ente in s affermativamente (res) negativamente (unum [indivisio]) conseguono all'ente in rapporto ad altro secondo la divisione di un ente da un altro (aliquid [aliud quid]) secondo l'accordo di un ente con un altro con l'intelletto (verum) con il desiderio (bonum) Qualche osservazione aggiuntiva. La prima riguarda il verum. Il fatto che esso sia un trascendentale dell'ente non significa che la verit sia una propriet pi delle cose che dell'intelletto: Tommaso tiene infatti ferma la nozione aristotelica di verit come corrispondenza soggettiva tra la mente umana e la realt. Piuttosto, ogni cosa ha gi, in quanto possiede essere ed essenza, una naturale predisposizione ad essere conosciuta. La definizione di verit come adaequatio rei et intellectus, che rimarr classica nei secoli, intende tener conto sia dell'aspetto soggettivo, che primario, sia di quello oggettivo, che derivato. La seconda notazione riguarda il trascendentale bonum. Esso suppone la tesi della irrealt del male, che viene ripresa dal neoplatonismo: il male soltanto la mancanza di bene, cio di essere, e pi precisamente di un essere dovuto : la cecit un male per l'uomo, ma non per l'albero. L'ultima osservazione riguarda il pulchrum, bello. Esso riceve discreta attenzione, ma non viene incluso nella lista dei trascendentali in quanto sostanzialmente omologato al verum. Tommaso interpreta infatti l'esperienza estetica come il piacere che si accompagna spontaneamente alla percezione della verit: Il bello e il buono in un soggetto sono lo stesso, perch si fondano sulla stessa cosa, cio sulla forma: e per questo il buono viene lodato come bello. Ma differiscono per il carattere. Infatti il buono propriamente riguarda il desiderio: infatti il buono ci che tutti desiderano. E perci ha il carattere di fine: infatti il desiderio quasi un certo movimento verso una cosa. Il bello invece riguarda la facolt conoscitiva: vengono dette infatti belle quelle cose che piacciono quando sono viste. Dunque il bello consiste in una debita proporzione, perch il senso prova diletto nelle cose debitamente proporzionate, come in cose simili a s; infatti anche il senso una certa ragione, come ogni virt conoscitiva. E giacch la conoscenza avviene per assimilazione, e la somiglianza riguarda la forma, il bello propriamente riguarda il carattere della causa formale (Somma teologica 1, q5a4ad1).

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La dottrina dei trascendentali acquista anche un immediato rilievo dal punto di vista conoscitivo. Seguendo Avicenna, Tommaso afferma ripetutamente che l'ens il primo oggetto dell'intelletto. Quest'affermazione non contrapposta all'altra (di origine aristotelica) secondo cui l'oggetto proprio dell'intelletto umano costituito dalla quidditas rei materialis, ma ne costituisce piuttosto la base: ogni essenza pu essere conosciuta infatti solo in quanto esistente, e ogni concetto si former dunque per addizione rispetto alla nozione trascendentale di ente. In questo modo viene affermata l'originaria e immediata consonanza della mente umana con la totalit della realt, quantunque originariamente colta solo nella sua assoluta generalit (a questo proposito egli parla di esse commune). In questo modo possibile fondare anche, in modo pi rigoroso di quanto aveva fatto Aristotele, la supremazia del primo principio dell'intelletto, il principio di non contraddizione. Esso infatti la diretta traduzione in un giudizio del trascendentale unum, cos come in campo morale il trascendentale bonum a costituire la premessa per il primo principio pratico: Nelle cose che cadono sotto l'apprensione di tutti, si trova un certo ordine. Infatti ci che cade per primo sotto l'apprensione l'ente, la cui comprensione inclusa in tutte le cose che uno conosce. E dunque il primo principio indimostrabile che impossibile contemporaneamente affermare e negare, che si fonda sul carattere dell'ente e del non ente; e su questo principio si fondano tutti gli altri. Ma come l'ente la prima cosa che cade sotto l'apprensione in assoluto, cos il bene la prima cosa che cade sotto l'apprensione della ragione pratica, che ordinata all'azione: tutto ci che agisce infatti agisce per un fine, che ha il carattere di bene. E dunque il primo principio nella ragione pratica quello che si fonda sul carattere del bene, che : il bene ci che tutti desiderano. Questo dunque il primo precetto della legge: il bene dev'essere fatto e cercato, il male evitato. E su di esso si fondano tutti gli altri precetti della legge di natura: in modo che cio facciano parte dei precetti della legge di natura tutte le cose da fare o da evitare che la ragione pratica conosce essere beni umani (Somma teologica 2/1, q94a2c).
difficile sopravvalutare l'importanza di questa dottrina. Con essa infatti sembra giungere alla propria meta l'originaria intenzione di Aristotele, quella di costruire una scienza dell'ente in quanto ente. La successiva storia della filosofia in gran parte seguir questa intuizione di Tommaso, e gi Giovanni Duns Scoto (1266-1308) definir la metafisica scientia transcendens (una definizione questa che, seppure in una prospettiva diversa, giunger fino a Kant). Francesco Bertoldi, Provocazioni sul tema della verit nel tomismo, Dialegesthai, anno 2 (2000), http://mondodomani.org/dialegesthai/fb01.htm. Bill King, Aquinas on the metaphysical problem of evil, Quodlibet.

2.3. La metafisica come teologia razionale


In maniera simile a quanto avveniva in Aristotele, lo studio dell'ente in quanto tale culmina per Tommaso nella teoria dell'ente sommo, ovvero nella teologia: Tutto ci che compete a qualcosa o causato dai princpi della sua natura, come la capacit di ridere nell'uomo, o viene da qualche principio esterno, come la luce nell'aria per influenza del sole. Ma non pu essere che lo stesso essere sia causato dalla stessa forma o quiddit della cosa (intendo come causa efficiente): perch cos una qualche cosa sarebbe causa di s stessa, il che impossibile. Dunque necessario che ogni cosa, tale che il suo essere diverso dalla sua natura, abbia l'essere da un altro. E
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poich tutto ci che tramite un altro si riconduce a ci che per s come alla causa prima, dunque necessario che ci sia qualcosa che sia causa dell'essere per tutte le cose per il fatto che essa soltanto essere. Altrimenti si andrebbe all'infinito nella cause, giacch ogni cosa che non soltanto essere ha una causa del suo essere, come s' detto. chiaro quindi che l'intelligenza [l'angelo] forma ed essere, e che ha l'essere dal primo essere che soltanto essere (et quod esse habeat a primo esse quod est esse tantum); e questo la causa prima, che dio (Sull'ente 5,4). Perci, Dio dev'essere indicato come ipsum esse subsistens, come cio l'unico ente che l'essere, a differenza di tutti gli altri che hanno l'essere. Non soltanto egli s'identifica con la sua essenza (come gli angeli), ma anche con il suo stesso essere. In questo modo viene confermato razionalmente il nome che Dio rivela sul roveto ardente: Cos dirai a loro: "Io Sono mi ha mandato a voi" (Es. 3,14): questo infatti il nome che pu indicare meglio di qualsiasi altro il mare infinito dell'essere (che per va tenuto chiaramente distinto dall'esse commune, l'essere che possiedono tutte le cose create considerate astraendo dalle loro determinazioni). Il brano che abbiamo riportato presenta anche la struttura fondamentale della prova dell'esistenza di Dio secondo Tommaso: la stessa esistenza di cose che posseggono un essere soltanto partecipato mostra la necessit di qualcosa che sia originariamente l'essere e dunque causa prima di tutto il resto -- ci che appunto si indica con la parola Dio. Si noti che questo ragionamento ha una forma induttiva di tipo aristotelico (si parte da ci che sott'occhio per giungere al principio primo), ma un punto di partenza niente affatto aristotelico, e cio la distinzione reale di essenza ed essere nelle cose diverse da Dio.
Un articolo celeberrimo della Somma Teologica (I, q2a3) elenca cinque diverse vie per dimostrare l'esistenza di Dio, alcune di ispirazione pi aristotelica (la prima, la seconda, la quinta), altre di sapore pi neoplatonico (la terza e la quarta). La struttura delle cinque vie per simile: in tutte infatti si tratta di mostrare come ci di cui si ha esperienza sarebbe inspiegabile se non si ammettesse un Dio che sta al di fuori del campo dell'esperienza stessa. Ecco in sintesi i ragionamenti seguiti: 1. il movimento impossibile se non si ammette un primo motore che non mosso da nulla; 2. il divenire impossibile se non si ammette una prima causa efficiente; 3. il contingente o possibile non pu essere se non c' qualcosa che di per s necessario (questa via si identifica con la dimostrazione prima considerata); 4. i vari gradi di essere (e anche di verit, di bont ecc.) sono impossibili se non c' un ente supremo in riferimento al quale giudicarli; 5. il finalismo della natura, anche inanimata, impossibile se non c' un intelletto che la ordina.

Sulle stesse basi Tommaso dimostra razionalmente la creazione, cio la produzione di tutte le cose dal nulla (cio non da qualcosa di preesistente): necessario dire che tutto ci che in qualsiasi modo, sia da dio (omne quod quocumque modo est, a deo esse). Se infatti qualcosa si trova in un'altra cosa per partecipazione, necessario che sia causato in essa da ci a cui conviene essenzialmente (cos come il ferro diventa infuocato per opera del fuoco). Ma stato mostrato ... che dio lo stesso essere sussistente per s. E poi stato mostrato che l'essere sussistente non pu essere che uno. ... Resta dunque che tutte le cose altre da dio non siano il loro essere, ma partecipino dell'essere (non sint suum esse, sed participant esse) (Somma teologica 1, q44a1c). E ricevere l'essere per partecipazione proprio ci che si indica con il termine creazione (ci tuttavia non equivale a negare l'eternit del mondo, una tesi questa che viene confutata solo dalla rivelazione: il
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tema dell'opuscolo Sull'eternit del mondo contro i mormoratori). La nozione platonica di partecipazione, assente dalla metafisica di Aristotele, diventa allora centrale in Tommaso: essa indica appunto la condivisione di qualche cosa da parte di chi la possiede originariamente e dunque definisce il rapporto originario tra Dio e le creature. Altrettanto importante la nozione di analogia, che significa non pi, come in Aristotele, solo l'uguaglianza di rapporti tra cose diverse (analogia proportionalitatis), ma anche la diversit di rapporti rispetto ad una stessa cosa (analogia attributionis). In questo secondo senso, l'analogia una qualifica primaria della nozione di ente: l'essere infatti si trova in tutte le cose, ma non nello stesso modo, soprattutto nelle creature e in Dio: le prime hanno essere, il secondo essere. perci possibile formulare su Dio affermazioni che, pur limitate, non sono tuttavia false. La stessa cosa si dovr anzi dire a proposito di tutti gli attributi che si possono dire di lui: Alcune cose vengono dette di dio in maniera analoga, e non puramente equivoca, n univoca. Infatti non possiamo nominare dio se non a partire dalle creature. ... E cos qualsiasi cosa venga detta di dio e delle creature si dice per il fatto che c' un qualche ordine della creatura rispetto a dio, come al principio e alla causa in cui preesistono in modo eminente tutte le perfezioni delle cose. E questo modo di comunanza si trova tra la pura equivocit e la semplice univocit. Infatti nelle cose che vengono dette per analogia non c' una sola relazione (ratio), come in quelle univoche, n una relazione totalmente diversa, come nelle equivoche: ma il nome che cos viene detto in molti modi significa diverse proporzioni nei confronti di qualcosa di unico (Somma teologica 1, q13a5c). Uno dei pi importanti fili conduttori per parlare analogicamente di Dio costituito per Tommaso dalla teoria dei trascendentali. Se infatti Dio ente nel significato pi alto, i trascendentali gli competono per eccellenza: qualsiasi cosa conviene all'ente in quanto ente necessario che si trovi soprattutto nel primo ente (Commento a Boezio, Sulla trinit, q1a4ob1). Si potr dunque dire che Dio assolutamente unico (in quanto unum), che racchiude in s ogni possibile verit (in quanto verum), che massimamente desiderabile da qualsiasi ente intelligente (in quanto bonum). Cose simili si potrebbero senza dubbio dire per gli altri trascendentali (anche se Tommaso non lo fa esplicitamente): Dio possiede l'essenza pi ricca e anzi infinita (in quanto res), massimamente individuato perch il suo essere coincide con la sua essenza (in quanto aliquid). Anche in questo modo Tommaso si pone sulla scia di Aristotele, considerando la teologia (razionale) come il coronamento della scienza dell'ente in quanto tale: ma contemporaneamente l'immagine di Dio -- gi ad un livello puramente razionale -- muta profondamente: se da una parte c' un Dio pensiero di s stesso che non pu amare il mondo pena la perdita della propria perfetta attualit, dall'altra c' un Dio che proprio in quanto atto puro partecipa il proprio essere a tutte le creature, come dono dalla propria ricchezza. Infatti, il fatto stesso che le cose di cui abbiamo esperienza ci sono pur non godendo della coincidenza di essere ed essenza dimostra che il loro essere ricevuto in dono. Ci che si deve dire dell'essere va allora ripetuto per tutti gli altri trascendentali: Dio partecipa l'essenza, l'individualit, l'unit, la verit, la bont a tutto il creato, che cos porta la traccia della sua perfezione. Per la sua importanza storica, conviene inoltre toccare il problema della potenza di Dio (affrontato con dettaglio nelle questioni Sulla potenza e riassunto nella Somma). In Dio c' potenza? Certamente essa non c' nel senso in cui si oppone all'atto: Dio infatti atto puro. Tommaso sfrutta per un secondo significato di potenza, che era stato gi evidenziato (ma meno usato) da Aristotele: la potenza cio non come possibilit di essere modificato, ovvero imperfezione (potentia passiva), ma come possesso di un principio di movimento o mutamento, ovvero perfezione (potentia activa). In questo secondo senso Dio non solo potente, ma anzi onnipotente, essendo perfettissimo. Ma che cosa significa che egli pu tutto?

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Dio viene detto onnipotente perch pu tutte le cose possibili in assoluto. ... Ma l'essere divino, sul quale si fonda il carattere della potenza divina, l'essere infinito, non limitato a qualche genere dell'ente, ma recante in s la perfezione di tutto l'essere. Dunque qualsiasi cosa possa avere il carattere di ente fa parte delle cose possibili in assoluto, rispetto alle quali dio viene detto onnipotente. Ma nulla si oppone al carattere di ente, se non il non ente. Esso dunque ripugna al carattere del possibile in assoluto, che sottomesso alla potenza divina, perch implica in s l'essere e contemporaneamente il non essere. ... Tutte le cose dunque che non implicano contraddizione fanno parte di quelle cose possibili rispetto alle quali dio viene detto onnipotente (Somma teologica 1, q25a3c).
Tale precisazione consente a Tommaso d'Aquino di respingere l'opinione secondo cui il mondo creato da Dio sarebbe il migliore possibile: Quando si dice che Dio pu fare qualcosa meglio rispetto a ci che fa, se meglio un nome, vero: infatti di qualsiasi cosa pu farne un'altra migliore. ... Ma se meglio un avverbio e riguarda il modo da parte di colui che fa, allora Dio non pu fare meglio di come fa: perch non pu fare con maggiore sapienza e bont (Somma teologica , 1, q25a6ad1). Insomma, lo stesso concetto di mondo migliore possibile contraddittorio, perch di qualsiasi cosa finita sempre possibile una pi perfetta (allo stesso modo, per esempio, contraddittorio il concetto di numero maggiore possibile). Tuttavia anche in Tommaso, soprattutto nelle opere giovanili, si trovano dichiarazioni di ispirazione neoplatonica (analoghe a quelle che molto pi saranno caratteristiche di Leibniz), in cui viene riconosciuto anche al male un ruolo nella bont complessiva del mondo: Un universo in cui non ci fosse nulla di male non avrebbe tanta bont quanta ne ha quest'universo, perch non ci sarebbero in quello tante buone nature quante in questo, in cui ci sono alcune nature buone alle quali non si aggiunge del male, e alcune alle quali si aggiunge: ed meglio che ci siano entrambi i tipi di nature piuttosto che le prime soltanto (Commento al Libro delle sentenze, 1, d44q1a2ad5).

La facolt di parlare analogicamente di Dio non toglie che la sua essenza sia assolutamente impossibile da conoscere tramite le facolt naturali dell'anima umana: questa, che essendo unita al corpo la forma di una materia, pu infatti conoscere solo ci che le connaturale: cio le cose individuate nella materia (tramite i sensi) e le forme universali astratte dalle cose (tramite l'intelletto). Ma conoscere lo stesso essere sussistente che Dio al di sopra delle possibilit naturali di qualsiasi intelletto creato, che possiede l'essere solo per partecipazione. Dimostrare che Dio c' (an est ) infatti ben diverso dal sapere che cosa egli sia (quid est ). In questo modo Tommaso interpreta l'affermazione del prologo del vangelo di Giovanni: Dio nessuno lo ha mai visto (1,18), e contemporaneamente valorizza la tradizione della teologia negativa o apofatica (soprattutto Dionigi l'Areopagita), secondo la quale di Dio si pu dire propriamente solo ci che egli non . D'altra parte, l'ignoranza dell'essenza di Dio l'unico motivo per cui Tommaso contesta Anselmo d'Aosta (1033-1109), che riteneva che l'affermazione dell'esistenza di Dio sia per s nota, cio immediatamente evidente. Il difetto di questa opinione non consiste per Tommaso (come spesso poi affermato) in un indebito passaggio dal piano mentale a quello reale (per quanto riguarda Dio perfettamente lecito dedurre dall'essenza l'esistenza), ma nella supposizione che l'uomo conosca l'essenza di Dio, il che equivale sostanzialmente ad una petitio principii. Ma dato che cos non , il concetto di Dio come essere sussistente viene formato dall'uomo solo a partire dalle cose contingenti che sono a lui pi vicine:
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Questa proposizione: dio esiste, in quanto in s, nota per s, perch il predicato identico al soggetto: dio infatti il suo essere. ... Ma poich noi non sappiamo di dio che cosa egli sia, per noi non nota per s, ma ha bisogno di essere dimostrata tramite le cose che sono pi note dal nostro punto di vista e meno note dal punto di vista della natura, vale a dire tramite gli effetti (Somma teologica 1, q2a1c). Il risultato finale della metafisica di Tommaso dunque differente da quello di Aristotele: la domanda sull'essere, che muove la meraviglia dell'uomo, pu giungere alla fine solo ad una indicazione, ma non ad una risposta intellettualmente completa. Si potrebbe dire che anche davanti ad una pietra risulta impossibile chiarire fino in fondo che cosa significhi per essa esistere: si potr s dire che ci vuol dire avere l'atto di essere partecipato da colui che l'essere, ma quale sia l'essenza dello stesso essere rimane ignoto. La metafisica culmina cos in un grande interrogativo, dietro al quale per gi assicurato che non si trova il nulla, ma al contrario la sovrabbondanza di tutte le perfezioni che conosciamo solo imperfettamente e limitatamente e tuttavia desideriamo spontaneamente nella loro totalit. Il problema dell'essere si sposta cos dal campo speculativo al campo morale.
John Tomarchio, The Emergence of the "Supposit" in a Metaphysics of Creation, The Paideia Project, http://www.bu.edu/wcp/Papers/Medi/MediToma.htm. Scott David Foutz, An Examination of Thomas Aquinas' Cosmological Arguments as found in the Five Ways, Quodlibet, http://www.quodlibet.net/aqu5ways.shtml. Josef Pieper, Luz Inabarcvel. O Elemento negativo na filosofia de Toms de Aquino, Convenit Internacional, n. 1, http://www.hottopos.com/convenit/jp1.htm. Gerald Cresta, Es Posible el Conocimiento de Dios? Aproximaciones y diferencias entre Santo Toms y San Buenaventura, Revista Internacional d'Humanitats, n. 4 (2001), http://www.hottopos.com/rih4/gerald.htm.

3. La dottrina dell'anima
Come la fisica nel suo complesso, anche la dottrina dell'anima in Tommaso pressoch interamente ripresa da Aristotele. Alcune correzioni dovevano per essere introdotte per renderla compatibile con la rivelazione cristiana. I due punti pi delicati erano costituiti dalla dottrina dell'intelletto agente (o produttivo) e dall'immortalit. Riguardo al primo, Tommaso, prendendo posizione in una celebre questione che Aristotele aveva lasciato poco definita, ritiene che vada necessariamente ammesso che l'intelletto agente sia qualcosa appartenente alla singola anima: Alcuni hanno affermato che quest'intelletto separato secondo la sostanza sia l'intelletto agente, che, quasi illuminando le immagini sensibili, le rende attualmente intellegibili. Ma, concesso che ci sia un tale intelletto agente separato, purtuttavia bisogna affermare che nella stessa anima ci sia una qualche facolt partecipata da quell'intelletto superiore, tramite la quale l'anima umana le rende attualmente intellegibili. ... E questo lo conosciamo sperimentalmente, quando percepiamo di astrarre forme universali da condizioni particolari, il che significa renderle attualmente intellegibili. Infatti nessuna azione conviene a qualche cosa se non tramite un qualche principio che gli inerisca formalmente. ... Ma l'intelletto separato, secondo i documenti della nostra fede, dio stesso, che creatore dell'anima. ... Dunque da lui l'anima
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umana partecipa la luce dell'intelletto (Somma teologica 1, q79a4c). In questo modo Tommaso modifica drasticamente anche la dottrina agostiniana dell'illuminazione: l'uomo conosce non perch attualmente lo illumini Dio (che alcuni identificavano con l'intelletto agente unico di cui parlava Avicenna), ma perch il suo proprio intelletto ha ricevuto -- una volta per tutte -- una luce naturale sufficiente a garantire l'autonomia e la correttezza della sua conoscenza. A maggior ragione risulta confutata la teoria di Averro e dei suoi seguaci, che teorizzavano l'unicit anche dell'intelletto possibile, affermando cos un'unica anima per tutta la specie umana (questo l'argomento affrontato nell'opuscolo polemico Sull'unit dell'intelletto contro gli averroisti).
La posizione di Agostino e dei contemporanei maestri francescani viene rifiutata anche da un altro punto di vista: in quanto cio essa sosteneva che nell'uomo esistano pi forme, che cio le anime intellettiva, sensitiva e vegetativa siano realmente distinte. Seguendo Aristotele, Tommaso afferma invece che nell'uomo c' un'unica anima intellettiva, che assume anche le funzioni delle anime inferiori e dev'essere dunque definita ancora forma corporis. Infatti, lo stesso uomo che percepisce di sentire (tramite il corpo) e di pensare (tramite il solo intelletto). Ci un ulteriore segno che solo l'unione di anima e corpo pu essere indicata come uomo.

Ma non viene in questo modo negata l'immortalit? Tommaso ritiene di no. La chiave dell'argomentazione costituita dal mostrare che l'anima intellettuale, quantunque sia forma del corpo, tuttavia un principio incorporeo e sussistente, cio autonomo. Gli atti intellettuali infatti manifestano un carattere di universalit che non pu essere attribuito ai sensi corporei, neanche come semplici strumenti: la corporeit impedirebbe infatti, essendo legata al qui e all'ora, lo svolgimento di una conoscenza universale. Ora, qualcosa di sussistente pu corrompersi solo perdendo la propria forma. Ma l'anima forma, ed impossibile che una cosa si separi da s. Dunque l'anima incorruttibile. Ma c' anche un argomento pi immediato, di sapore agostiniano, tramite il quale si pu indurre l'immortalit dell'anima: Un segno di questa cosa pu essere preso anche dal fatto che ciascuna cosa naturalmente desidera essere a suo modo. Ma nelle cose conoscenti il desiderio segue la conoscenza. Il senso non conosce l'essere se non sotto il qui e l'ora: ma l'intelletto apprende l'essere assolutamente e secondo ogni tempo. Dunque chiunque ha intelletto desidera naturalmente essere sempre. Il desiderio naturale non pu del resto essere vano. Dunque ogni sostanza intellettuale incorruttibile (Somma teologica I q75a6c). Il presupposto ovviamente costituito dalla coerenza e dalla bont dell'intera natura, che, in quanto esistente grazie alla partecipazione dell'essere divino e ad esso orientata, non pu mai ispirare un desiderio irrealizzabile. Sul piano teologico, con un argomento simile si pu sostenere la convenienza della resurrezione finale dei corpi: quantunque infatti -- come si vedr -- l'anima pu giungere di per s alla beatitudine, la riunione con il corpo la render pi perfetta.
La dottrina dell'anima di Tommaso suscit numerose discussioni presso i contemporanei. In essa infatti sembravano essere presenti troppe concessioni alla filosofia pagana, che rendevano problematici perfino elementi essenziali della fede cristiana. Dietro alle discussioni speculative c'era tuttavia una questione fondamentale di atteggiamento culturale: in Tommaso la rivendicazione della verit della psicologia aristotelica supponeva implicitamente una piena valutazione dell'autonomia e della globale bont dell'essere umano -- anima e corpo -- che poteva apparire pericolosa per la religione cristiana. Il tempo avrebbe in realt dato ragione a Tommaso, e la sua psicologia divenne addirittura parte dell'insegnamento ufficiale della Chiesa: nel 1312 il Concilio di Vienne addirittura anatematizzer chi affermi che anima rationalis seu intellectiva non sit forma corporis humani per se et essentialiter (DS 902).

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Jean Lauand, Basic Concepts of Aquinas's Anthropology, Mirandum, n. 13 (2002). Peter Hoffmann, ber die Fhigkeit menschlicher Erkenntnis bei Thomas von Aquin anhand seiner Schrift Expositio super librum Boethii De trinitate, Convenit Internacional, n. 5, http://www.hottopos.com/convenit5/07.htm. Luiz Jean Lauand, Antropologia e forme quotidiane. La filosofia di S. Tommaso d'Aquino soggiacente al nostro linguaggio d'ogni giorno, Notandum, n. 1 (ene.-jun. 1998), http://www.hottopos.com/notand1/antropologia_e_forme_quotidiane.htm. Luiz Jean Lauand, Fools in Aquinas's Analysis, Quodlibet, http://www.quodlibet.net/lauand-aquinas.shtml.

4. La morale
4.1. La beatitudine e le virt teologiche
Anche nella morale Tommaso d'Aquino si ispira da vicino ad Aristotele, tanto che la sua esposizione sembra spesso obbedire solo alla preoccupazione di mettere maggiore ordine e precisione nella teoria aristotelica. In realt, la stessa assunzione dell'etica aristotelica molto significativa: essa sottolinea, una volta di pi, che il piano puramente naturale -- quello che era stato raggiunto dalla filosofia pagana -mantiene una sua autonomia e validit anche all'interno della prospettiva cristiana. L'aspetto pi interessante della morale di Tommaso consiste allora proprio nel modo in cui quest'ultima viene integrata all'interno della struttura classica. Il punto di partenza, cos come per Aristotele, consiste nel precisare che l'uomo agisce sempre -- in maniera pi o meno consapevole -- in vista di un fine, e nel cercare quale mai possa essere questo fine. Anzitutto bisogna mostrare come tutti i beni naturali, che sono alla portata delle sole forze dell'uomo, non riescono a soddisfare la sua sete di felicit: n le ricchezza, n gli onori, n la fama, n il potere, n la perfezione corporale, n il piacere, n la perfezione dell'anima, n in generale alcun bene creato pu costituire la sua felicit ovvero beatitudine: La beatitudine infatti un bene perfetto, che sazia totalmente il desiderio: altrimenti non sarebbe il fine ultimo, se restasse ancora qualcosa da desiderare. Ma l'oggetto della volont, che il desiderio umano, il bene universale (cos come l'oggetto dell'intelletto il vero universale). Da ci evidente che nulla pu soddisfare la volont dell'uomo all'infuori del bene universale. Ed esso non si trova in nulla di creato, ma solo in dio, perch ogni creatura ha solo una bont partecipata. Dunque solo dio pu soddisfare la volont dell'uomo, secondo le parole del Salmo 102,5: Colui che ricolma di beni il tuo desiderio. Dunque, solo in dio consiste la beatitudine dell'uomo (Somma teologica 2/1, q2a8c). Dire che Dio la beatitudine dell'uomo per non basta. Bisogna precisare pi da vicino in quale modo l'uomo possa conquistare questa felicit ultima: La beatitudine ultima e perfetta non pu consistere in altro che nella visione dell'essenza divina. Affinch ci sia evidente bisogna considerare due cose. In primo luogo, che l'uomo non perfettamente beato finch gli resta qualcosa da cercare e desiderare. In secondo luogo, la perfezione di qualsiasi facolt in rapporto al genere del suo oggetto. Ma l'oggetto dell'intelletto il che cos', cio l'essenza della cosa. ... Dunque la perfezione dell'intelletto procede in tanto in quanto esso conosce l'essenza di qualche cosa. Se dunque un intelletto conosce l'essenza di qualche effetto, tramite la quale non possa
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Tommaso d'Aquino (Mneme)

essere conosciuta l'essenza della causa (non si possa cio sapere che cosa sia la causa), non si deve dire che l'intelletto abbia raggiunto in senso assoluto la causa, sebbene tramite l'effetto possa conoscere della causa che essa c'. E dunque all'uomo rimane naturalmente il desiderio, quando conosce l'effetto e sa che esso ha una causa, di sapere anche che cosa sia quella causa. E questo desiderio la meraviglia, che causa la ricerca, come viene detto all'inizio della Metafisica. ... Se dunque l'intelletto umano, conoscendo l'essenza di qualche effetto creato, di dio sa soltanto che c', la sua perfezione non raggiunge ancora in senso assoluto la causa prima, ma gli rimane ancora un desiderio naturale di cercare la causa. Dunque non ancora perfettamente beato. Dunque per la perfezione della beatitudine si richiede che l'intelletto giunga alla stessa essenza della prima causa (Somma teologica 2/1, q3a8c). In questo modo morale e metafisica vengono legate in modo ancora pi stretto di quanto gi avveniva in Aristotele. Se in lui la felicit maggiore veniva individuata -- al termine dell'analisi del comportamento umano -- nella vita teoretica, che per era realizzabile solo in maniera parziale ( impossibile per l'uomo passare la vita a contemplare soltanto), in Tommaso la stessa morale fin dall'inizio mossa da quella meraviglia che costituisce il primo movente della ricerca, e dunque orientata ad un fine ultimo di sua natura assoluto e perfetto. Si realizza allora un curioso contrasto: il fatto stesso che l'uomo possa desiderare il bene perfetto mostra che egli di fatto lo pu raggiungere (altrimenti esisterebbe un desiderio naturale smentito dalla natura stessa, il che contraddittorio); ma tuttavia le sue forze naturali sono palesemente insufficienti a raggiungerlo: ciascuna creatura infatti conosce secundum modum substantiae eius, cio adattando l'oggetto conosciuto alla propria natura: ma l'essenza divina eccede infinitamente qualsiasi essenza creata. Ci mostra la necessit di ammettere razionalmente la possibilit di altre virt oltre quelle intellettuali (dianoetiche) e morali (etiche): quelle teologiche (o teologali), la cui realt testimoniata dalla rivelazione cristiana: C' una duplice beatitudine ovvero felicit dell'uomo. Una proporzionata alla natura umana, cio alla quale l'uomo pu giungere tramite i princpi della sua natura. Un'altra la beatitudine che eccede la natura dell'uomo, alla quale l'uomo pu giungere solo per virt divina, secondo una certa partecipazione da parte della divinit, secondo ci che viene detto in 2Pt. 1,4, che tramite Cristo siamo diventati partecipi della natura divina. E poich una tale beatitudine eccede la proporzione della natura umana, i princpi naturali dell'uomo, in base ai quali procede per agire bene secondo la sua proporzione, non bastano per ordinare l'uomo verso la suddetta beatitudine. Dunque necessario che all'uomo vengano aggiunti da parte di dio alcuni princpi per mezzo dei quali egli venga ordinato alla beatitudine soprannaturale. ... E tali princpi vengono detti virt teologiche: sia perch hanno dio come oggetto, in quanto tramite esse veniamo rettamente ordinati verso dio; sia perch solo da dio vengono infuse in noi; sia perch solo tramite la rivelazione divina, nella Sacra Scrittura, simili virt vengono tramandate (Somma teologica 2/1, q62a1c). Le virt teologiche -- cos come enumerate da Paolo in 1Cor. 13,13 -- sono fede, speranza e amore (caritas). Ciascuna di esse porta a perfezione un aspetto dell'anima razionale in relazione al suo fine ultimo: la fede perfeziona l'intelletto, la speranza il tendere della volont al sommo bene, l'amore il suo conformarsi al fine ultimo. La loro trattazione compito della teologia e non pi della filosofia, ma ci non toglie che anche su di esse possibile e necessario riflettere in maniera razionale. Notiamo solo due aspetti interessanti. Il primo consiste nel fatto che le virt teologiche, a differenza di tutte le altre (secondo Tommaso anche di quelle intellettuali), non consistono nel giusto mezzo: nei confronti di Dio non possono infatti esistere eccessi, ma anzi vi sono sempre difetti: nessun uomo -- in quanto creatura finita -- potr infatti mai amare Dio o credere o sperare in lui quanto sarebbe giusto. Il secondo consiste
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Tommaso d'Aquino (Mneme)

nella preminenza che viene accordata all'amore. Esso da giudicare la pi grande delle virt, anzi la loro stessa forma (in quanto indirizza tutte le altre al fine ultimo che Dio), ed l'unica ad avere un carattere definitivo: la fede riguarda infatti ci che non si vede (dunque scomparir quando si vedr l'essenza divina), la speranza ci che non si ha (e dunque non avr pi motivo quando si posseder Dio): solo l'amore conduce in assoluto all'unione con colui che si ama. Questo mostra anche che solo in un certo senso la meraviglia che motiva la vita morale destinata ad essere spenta: nella visione dell'essenza divina infatti la cosa pi importante non comprendere Dio tramite l'intelletto, ma piuttosto amarlo: Le virt teologiche hanno un oggetto che al di sopra dell'anima umana. ... Ma in ci che sopra l'uomo l'amore pi nobile della conoscenza. Infatti la conoscenza si realizza nel fatto che le cose conosciute sono nel conoscente; ma l'amore, nel fatto che l'amante viene attratto verso la cosa amata (Somma teologica 2/1, q66a6ad1). In questo modo il tipico intellettualismo greco, che Tommaso dapprima sembra condividere, viene corretto sulla base della creaturalit dell'uomo e degli insuperabili limiti del suo intelletto. Il primo oggetto del pensiero dell'uomo l'essere: ma questo nella sua forma pi perfetta, dunque come beatitudine, destinato a rimanere sempre incomprensibile, chiedendo solo l'adesione dell'amore.

4.2. L'atto umano e la legge


Il principio della destinazione soprannaturale dell'uomo conferisce importanza centrale ad un tema che non poteva interessare molto un'etica puramente naturale: il problema cio dei criteri di valutazione degli atti umani. Laddove in Aristotele il loro valore veniva immediatamente attribuito dalla capacit di contribuire ad una felicit naturale, in Tommaso essi sono tanto buoni quanto rendono l'uomo meritevole di ricevere in dono -- dopo il corso della vita terrena -- la visione dell'essenza divina. In questo modo la felicit naturale non viene per negata, ma piuttosto ordinata alla felicit completa e infinita cui l'uomo aspira. per questo che il criterio fondamentale della moralit delle azioni resta ancora la recta ratio (corrispondente all'orths lgos aristotelico): se la ragione in grado di dirigersi verso un fine soprannaturale, essa sar capace anche di ordinare le azioni dell'uomo verso di esso. insomma alla ragione che spetta l'insostituibile compito di dare senso e valore all'intero campo dei comportamenti autenticamente umani. In questa prospettiva per si crea un grande problema, che costituir nelle sue implicazioni tema di interminabili discussioni nella morale cristiana. Nella sua forma pi semplice pu essere espresso cos: se tutto ci che viene fatto volontariamente dall'uomo scelto sub specie boni, cio perch in esso viene visto qualcosa di buono, su quale base si potr parlare dal punto di vista della volont -- l'unica che rende un'azione realmente umana -- di un'azione cattiva? Ancora pi semplicemente: come pu esistere un peccato realmente imputabile all'uomo? Il problema nasce appunto perch viene presupposta l'esistenza di un giudice delle azioni umane che non guarda solo al loro aspetto materiale, ma piuttosto all'intenzione con la quale esse vengono compiute. La risposta di Tommaso (in buona parte ispirata a Pietro Abelardo) piuttosto articolata. Anzitutto bisogna distinguere pi cause che possono rendere cattiva un'azione umana: L'uomo, come anche qualsiasi altra cosa, ha naturalmente desiderio di bene (appetitum boni). Dunque il fatto che il suo desiderio devi al male accade a causa di una qualche corruzione o disordine in qualcuno dei princpi dell'uomo: cos infatti si trova l'errore nell'azione delle cose naturali. Ma i princpi
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degli atti umani sono l'intelletto e il desiderio, sia razionale (che viene chiamato volont), sia sensitivo. Dunque il peccato negli atti umani accade sia per difetto d'intelletto, per esempio quando uno pecca per ignoranza; e per difetto del desiderio sensitivo, come quando uno pecca per passione; cos anche per difetto di volont, che un suo disordine (Somma teologica 2/1, q78a1). Esaminiamo brevemente i tre casi. Il primo si verifica quando l'uomo agisce in sguito ad un'ignoranza volontaria o a cui egli avrebbe potuto rimediare. Per esempio, nessuno potr scusarsi dell'adulterio adducendo la sua ignoranza della legge di natura che proibisce di andare con la moglie di un altro: perch proprio questa ignoranza colpevole. L'unica ignoranza che scusa un'azione in s cattiva infatti quella che non causata da negligenza n tanto meno intenzionale. Ma che cosa accade se la ragione, senza alcuna colpa, presenta ad un uomo come buona un'azione che invece in s cattiva? L'uomo ha il dovere di seguirla; se viceversa agisse contro la propria ragione, commetterebbe peccato, perch sceglierebbe un'azione in quanto cattiva. Un esempio estremo e paradossale: Credere in Cristo per s cosa buona e necessaria alla salvezza: ma la volont non vi si dirige se non secondo ci che la ragione propone. Dunque, se dalla ragione ci fosse proposto come un male, la volont vi si dirigerebbe come ad un male: non perch sia in s male, ma perch male per accidente, in seguito all'apprensione della ragione (Somma teologica 2/1, q19a5). In conclusione: l'uomo ha sempre il dovere di agire secondo ragione (o, come anche si esprime Tommaso, secondo coscienza). Ma, parimenti, ha il dovere di rendere il pi corretto possibile il giudizio della ragione. Il secondo caso succede quando l'uomo, pur conoscendo la legge universale (che dettata dalla ragione), si lascia tuttavia sopraffare dalla passione sensibile, che gli suggerisce un bene che per quanto abbia una sua validit (per esempio il puro piacere), tuttavia disordinato per l'uomo, in cui la forma essenziale costituita dall'intelletto: si tratta quindi di un bene apparente, e non di un bene reale. Il terzo caso avviene quando l'uomo coscientemente preferisce un bene subordinato ad uno sovraordinato: quando per esempio preferisce la ricchezza (che in s un bene) alla vita di un altro uomo (che un bene immensamente pi grande): in questo caso si pu quasi dire che l'uomo scelga coscientemente il male, sebbene sarebbe pi corretto dire che sceglie consapevolmente un bene palesemente minore. Sostanzialmente originale rispetto ad Aristotele anche la dettagliata trattazione che Tommaso offre del concetto di legge, definita come ordinamento razionale diretto al bene comune, promulgato da colui che ha la cura della comunit (quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata, Somma teologica 2/1, q90a4c). lo strettissimo nesso con la ragione umana che permette di assumere la legge come criterio della bont dei comportamenti. Ma non certamente la legge umana quella che interessa di pi Tommaso, ma piuttosto quella che, promulgata dal Dio onniprovvidente (o meglio coincidente con il suo intelletto), tende al massimo bene comune dell'intero universo: questo il concetto di lex aeterna. Nella misura in cui essa viene partecipata all'uomo tramite la ragione, essa va poi chiamata lex naturalis. Questa tuttavia sarebbe sufficiente solo se l'uomo fosse ordinato ad un fine puramente naturale: ma dato che la sua destinazione soprannaturale, necessario che egli riceva anche una lex divina positiva, tramite le quale anche la legge naturale acquisti maggiore certezza ed efficacia. La legge divina -- la cui trattazione compito non pi della filosofia ma della teologia -- quella che la rivelazione ci trasmette nella duplice forma di legge antica e legge nuova (cio evangelica), la seconda delle quali perfeziona e adempie pienamente la prima. Ma in che cosa consiste la legge divina nella sua forma definitiva assunta nel
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Vangelo? Qui la risposta di Tommaso molto originale: la legge nuova non una legge scritta, non contiene quindi precetti, ma piuttosto la stessa grazia dello Spirito Santo, che viene data ai credenti in Cristo (Somma teologica 2/1, q106a1c), che quindi scritta nel cuore stesso dell'uomo. La legge nuova non cos un insieme di norme da rispettare, ma piuttosto la stessa capacit, donata da Dio all'uomo, di portare a realizzazione l'obiettivo della sua perfetta umanit e perfetta felicit, nella comunione con lui. Infatti, come l'intenzione principale della legge umana di fare amicizia reciproca tra gli uomini, cos l'intenzione della legge divina di costituire principalmente l'amicizia dell'uomo verso Dio (Somma teologica 2/1, q99a1). Per questo la legge nuova non una legge che condanna, ma piuttosto una legge che iustificat , cio perdona: Alla legge del Vangelo appartengono due aspetti. Uno in maniera principale: cio la stessa grazia dello Spirito santo data interiormente. Quanto a ci, la legge nuova giustifica. Per questo Agostino dice in De Spiritu et littera, 17: L -- cio nell'Antico Testamento -- la legge era posta dall'esterno, per spaventare gli ingiusti; qua -- cio nel Nuovo Testamento -- stata data dall'interno, per giustificarli. Un altro elemento appartiene alla legge del Vangelo in maniera secondaria: cio le testimonianze della fede e i precetti che ordinano gli affetti umani e gli atti umani. E quanto a ci, la legge nuova non giustifica. Per questo l'Apostolo dice in 2Cor. 3,6: La lettera uccide, ma lo Spirito d la vita. E Agostino spiega, in De Spiritu et littera, che con lettera s'intende qualsiasi scrittura che sta fuori dell'uomo, anche quella dei precetti morali quali sono contenuti nel Vangelo. Dunque anche la lettera del Vangelo ucciderebbe, se non ci fosse dall'interno la grazia sanante della fede (Somma teologica 2/1, q106a2c). Dunque, cos come le virt naturali vengono portate a perfezione e completate da quelle teologiche, cos la legge naturale assunta e trasfigurata all'interno della libera autocomunicazione di Dio attraverso quel dono di s che lo Spirito.
Lo straordinario successo ottenuto lungo i secoli tanto dalla filosofia quanto dalla teologia di Tommaso d'Aquino certamente un segno del loro valore. La profondit, l'equilibrio, l'armonia tra esigenze razionali ed esigenze di fede condussero rapidamente alla loro assunzione nell'insegnamento ordinario della Chiesa. Non va per dimenticato che il pensiero di Tommaso si sviluppa in un contesto culturale estremamente vivace e ricco, all'interno del quale la sua figura non affatto quella di un genio isolato. Bisognerebbe anzi notare che la recezione dei secoli successivi, oltre che essere legata ad un giudizio sul valore delle tesi di Tommaso, in gran parte motivata dalla sua grande sensibilit didattica. Il testo pi letto e studiato diventa la Somma teologica , che si presenta espressamente come un'opera solo ad eruditionem incipientium, per la formazione dei principianti. Bisogna per rammaricarsi che spesso lo spirito del pensiero di Tommaso sia stato frainteso e dimenticato: la ricerca instancabile ed equilibrata di nuove soluzioni, rigorosamente confrontate usando tutti gli strumenti razionali e le pi aggiornate premesse filosofiche, divenne cos o una disquisizione puramente verbale su questioni pressoch impalpabili (che susciter la rivolta del Rinascimento), oppure una stanca e arida ripetizione di tesi (che nella Chiesa cattolica sar travolta dal rinnovamento ispirato dall'ultimo Concilio ecumenico). La riflessione e la valutazione della filosofia di Tommaso cos ancora oggi un compito in gran parte da svolgere. Mauro de Medeiros Keller, Notas para a compreenso do conceito de sindrese no pensamento aristotlico-tomista e suas principais implicaes prticas, Mirandum, n. 11 (ene.-jun. 2001), http://www.hottopos.com/mirand11/mauro.htm. Douglas C. Langston, Aquinas on Conscience, the Virtues, and Weakness of Will, The Paideia Project, http://www.bu.edu/wcp/Papers/Medi/MediLang.htm.
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Scott David Foutz, Aquinas on Human Action and Culpability, Quodlibet, http://www.quodlibet.net/aqaction.shtml.

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