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Mauro Staccioli. In copertina: Seul 88, Parco Olimpico, Seul, Olympiade des arts, 1988. Ferro e cemento rosso, 2600 x 3700 x 150 cm. (Foto Louise Descamps).

Per una sinistra cosmopolita

EDITORIALI

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Maurizio Ferraris Fra le tante sentenze passate in giudicato ce ne una, emessa dal tribunale della storia tantissimo tempo fa, su cui credo si possa creare un consenso universale: Luigi XVI era un conservatore e Napoleone era un innovatore. Tuttavia vorrei portare lattenzione su un punto che a mio avviso cruciale: chi potrebbe seriamente sostenere che Napoleone era di sinistra? La domanda assurda e non ha nemmeno un senso. Da quando, con la rivoluzione francese, il governo si identificato con linnovazione, la trasformazione e la razionalizzazione, e non con il mantenimento di un ordine garantito dalla tradizione e dal diritto divino, del tutto ovvio che linnovazione venga dalla destra, ossia dalla forza di governo. Il che, peraltro, spiega per quale motivo la sinistra, se e quando giunge al governo e deve imporre trasformazioni, diventa di destra: non perch, esaurita la spinta rivoluziona-

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ria, diventi conservatrice, ma, proprio al contrario, perch risponde allesigenza di innovazione che, negli Stati successivi allancien rgime, consustanziale allazione di governo. Nessuna sorpresa dunque sul fatto che tra i grandi innovatori politici italiani si trovino Mussolini, Craxi, Berlusconi, non Matteotti, o Gramsci (che peraltro filosoficamente la pensava come Gentile), o Berlinguer. Sono stati i primi a segnare le grandi trasformazioni del paese e a raccogliere il consenso popolare. Che poi queste si siano risolte nella maggior parte dei casi in catastrofi purtroppo non , nella fattispecie, rilevante: resta che i veri trasformatori sono stati loro. Sono loro che hanno ratificato o addirittura promosso la laicizzazione del paese, la separazione della politica dalla morale, la statalizzazione prima e la liberalizzazione poi. A un certo punto, nelle grandi strutture totalitarie del Novecento, indubbiamente pi innovative di tutti i sogni socialdemocratici, la destra ha inventato il populismo, che ha realizzato un grandissimo obiettivo politico: far accettare entusiasticamente i sacrifici ai deboli, anzi, far s che fossero i deboli a chiederli. tuttora in questo orizzonte che si muove il dibattito politico in Italia, nella gara tra una destra che strutturalmente innovativa e una sinistra che strutturalmente conservatrice, e che tuttavia si mette in testa (secondo me, sbagliando) di inseguire la destra nei suoi comportamenti e nei suoi slogan.

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Che linseguimento della destra sia un errore dimostrato da un apparente mistero della politica italiana, il fatto cio che una sinistra che potrebbe assumere per s il motto di Beckett, fallire ancora, fallire meglio, continui ad avere un margine di consenso, e una presenza elettorale che sorprende i suoi stessi rappresentanti politici. Chi la vota vuole ottenere protezione, che nella fattispecie significa conservazione. E tutto diventa chiaro: c una struttura costruttiva, che innovatrice, e una struttura decostruttiva, che conservatrice. Chi sostiene che la sinistra dovrebbe diventare di destra commette un errore morale (a che pro rinunciare alle prospettive di giustizia?) ma soprattutto politico, perch lelettorato di sinistra si attende dalla sinistra conservazione, e se vuole innovazione (qualunque cosa, non necessariamente buona, ci significhi) vota a destra. Da questo punto di vista, la sinistra, invece di estenuarsi in un futile inseguimento della destra (un inseguimento anzitutto ideologico, che iniziato quando, ormai trentanni fa, autori di estrema destra come Nietzsche, Heidegger e Schmitt sono diventati le stelle polari della sinistra), dovrebbe piuttosto concentrarsi su quella che considero la grande opportunit per la sinistra: dissolvere le peculiarit e i particolarismi in una prospettiva europea, in una sinistra cosmopolita (perch non penso che il concetto di sinistra, proprio perch storicamente determinato, si possa applicare altrove che in Europa) che possa enunciare vecchi e obsoleti principi di tutela dei deboli, rispetto delle regole, paga-

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mento delle tasse, avendo anche la forza di farli osservare. E insisto sullEuropa perch solo lEuropa pu garantire quello che manca allItalia, che non la politica, ma il governo, cio anzitutto lo Stato. Proprio su questo punto il cosmopolitismo diventa decisivo, perch lunico rimedio a una tendenza radicata nei secoli e che ha ragioni storiche, che sarebbe lungo e anzitutto superfluo indagare qui. Mussolini, alle prese con gerarchi che rubavano e soldati che scappavano, aveva giustamente osservato che governare gli italiani inutile. Gli stessi italiani, per, quando vanno in altri paesi, accettano le regole, a meno che decidano di impiantare dei sistemi mafiosi. Invece di sognare un impero latino, lunione di tutti i paesi in cui questi problemi sono strutturali, sarebbe a mio avviso conveniente auspicare che sempre pi, nel tempo, decresca la sovranit degli Stati, si stemperino le peculiarit nazionali, si uniformi lEuropa sotto un impero che soprattutto non sia latino. Per mettere la cosa in termini senzaltro troppo concreti: preferibile essere governati da un laureato dellEcole nationale dadministration o da un cancelliere tedesco come Adenauer, o Brandt, o Schmidt, o Merkel, oppure da un dipendente di unazienda televisiva o da un funzionario che passa il suo tempo su Facebook? Io personalmente, visto che sono di sinistra e dunque conservatore, non ho dubbi: i primi mi danno pi garanzie dei secondi. Se poi qualcuno, innovatore perch di destra, volesse controobiettarmi che ci sono elementi infinitamente pi inno-

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vativi nei secondi, e che magari (ma raramente si giunge a questa sincerit) la mafia e la ndrangheta sono le uniche multinazionali originate in Italia che funzionino davvero, e che la camorra la realizzazione di una politica rizomatica che va oltre i pi audaci sogni dellAnti-Edipo, gli risponderei: Hai perfettamente ragione: gli innovatori sono loro. Gli emancipatori sono loro, nel senso che chi fa da s fa per tre, e loro indubbiamente emancipano anzitutto e soprattutto se stessi. Ci detto, visto che non siamo pi nel Settecento, non vedo perch io dovrei lottare per linnovazione come se il nemico da battere fosse lancien rgime. Il nostro obiettivo non rinnovare, ma governare (o pi esattamente, per quel che mi riguarda come privato cittadino: essere governati) e creare una situazione in cui lapplicazione delle sentenze non suoni come un funesto paradosso, ma come unovviet che non merita neppure di essere discussa. Altri percorsi di lettura: Franco Berardi Bifo La rivolta che non crede nel futuro Augusto Illuminati Distrazioni di massa

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La rivolta che non crede nel futuro

EDITORIALI

La rivolta che non crede nel futuro


Franco Berardi Bifo Verso la fine degli anni Novanta, a un giornalista che gli chiedeva se non fosse stato un errore armare gli islamisti afghani, Zbigniew Brzezinski, consulente della presidenza Carter, rispondeva con larroganza di chi ha non capito lessenziale: Cos pi importante nella storia del mondo? I talebani o il collasso dellimpero sovietico? Qualche esaltato musulmano o la liberazione dellEuropa centrale e la fine della guerra fredda? Adesso sappiamo che la fine della guerra fredda non ha aperto unepoca di armonia universale con qualche marginale disturbatore esaltato, ma ha inaugurato unepoca di aggressivit identitaria e di follia suicida. Il suicidio non faceva parte dellarmamentario dei sovietici, mentre un elemento essenziale dellislamismo contemporaneo. Perci la guerra che Bush dichiar infinita ha caratteri di asimmetria e dimprevedibilit che non si possono ricondurre ad alcun

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pensiero strategico. Lilluminismo protestante che sta a fondamento dellepisteme strategica americana incapace di interpretare i segni della cultura islamica, e la nozione formale di democrazia inadatta per interpretare levoluzione attuale della guerra che si va diffondendo nel continente euroasiatico. Nessuna potenza militare pare in grado di ridurre la violenza contemporanea perch questa sfugge alle categorie della politica. La disperazione non una categoria della scienza politica, ma il movimento islamista non pensabile se non lo si comprende come testimonianza di disperazione delle masse, scrive Fethi Benslama nel suo libro La psychanalyse face lIslam, unindagine sulle origini psicoanalitiche dellinfelicit congenita alla cultura degli arabi, discendenti di Agar, la madre ripudiata e rimossa nella memoria dei suoi figli. Lislamismo contemporaneo una sfida al razionalismo della politica moderna e della democrazia: interpretare quel che accade tra Kabul a Bengasi con la terminologia della democrazia e dellilluminismo protestante un modo per andare incontro alla sconfitta. Nello scacchiere del mondo islamico si combattono diverse guerre, e nessuna di queste ha molto a che fare con la democrazia, questo feticcio che, svuotato di contenuto e di efficacia in Occidente, viene pubblicizzato con insistenza come un prodotto di scarto che gli occidentali sperano di rifilare a chi non lha mai visto.

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Sullo sfondo, naturalmente, la guerra che Israele non pu vincere. Ma quella guerra promessa per un futuro in(de)finito il premio per il vincitore delle guerre che intanto si combattono. Anzitutto la guerra religiosa che oppone Islam sciita e Islam sunnita. Il disegno strategico dellemirato sunnita che appariva una follia quando Osama Bin Laden lo dichiar allinizio del secolo, oggi in piena sanguinosa realizzazione. Intere zone dellAsia centrale sono militarmente governate dalla logica dellemirato: da Falluja ad Aleppo lemirato sunnita forza dominante, come nellarea che copre larga parte del territorio afghano e intere regioni pakistane. La guerra civile siriana ormai soltanto una guerra per il predominio sunnita, cui la minoranza alawita oppone una resistenza insormontabile. Vi poi la guerra sociale: la ricchezza concentrata nelle mani dei padroni del petrolio (integrati al ciclo della finanza globale), e la miseria di massa che ne consegue alimenta in paesi come lEgitto o come il Pakistan una conflittualit disperata perch incapace di aggredire il nodo essenziale della distribuzione della ricchezza e delle risorse. Democrazia non significher niente fin quando la propriet del petrolio, principale risorsa dellarea, rimarr nelle mani di una minoranza culturalmente retriva e finanziariamente globalizzata. La rivoluzione egiziana del 2011 stata preparata da un quinquennio di lotte operaie intense e vaste, ma dopo la rivoluzione del 2011 le condizioni di vita degli operai sono peggiorate e leconomia egiziana non d segni di ripresa.

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Le rivolte arabe non cambieranno la realt di quellarea fin quando non aggrediranno il forziere saudita. C infine la guerra culturale che il lavoro cognitivo cosmopolita conduce contro lautoritarismo politico e contro loscurantismo religioso. Milioni di studenti, di lavoratori della rete globale, di blogger giornalisti e artisti hanno messo in contatto la dimensione culturale della rete con la strada provocando un cortocircuito che ha rimesso tutto in movimento. Ma questo terzo fronte per il momento minoritario, e scatena processi che non in grado di governare. A Tunisi come al Cairo come a Istanbul come a Damasco i movimenti sono iniziati da lavoratori precari ad alto grado di scolarizzazione e di integrazione nel lavoro cognitivo globale. Ma questi movimenti sono stati utilizzati ed emarginati dalle forze islamiste, oppure repressi dallislamismo al governo, come nel caso della Turchia, dove lesercito , almeno per il momento, integrato e sottomesso al neoliberismo islamista di Erdogan. Questi movimenti continueranno a produrre rivolte che rimarranno subalterne sul piano politico, ma serviranno per consolidare ed estendere lautonomia di una parte crescente della nuova generazione dalloscurantismo religioso e dalla violenza militare. Ero al Cairo in aprile, quando uscito in alcune sale della citt il film di Ibrahim El Batout, El sheita elli fat (Winter of Discontent), presentato a Venezia lanno scorso. Sono andato a vederlo con un gruppo di amici che lavorano nel mondo dellarte e che viaggiano molto spesso nei paesi occidentali.

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Il film non piaciuto a nessuno. Tutti lo hanno trovato ipocrita perch presenta la rivoluzione come linizio di un tempo nuovo in cui finalmente il popolo egiziano potr prendere in mano il suo destino nella libert. I miei amici avevano tutti partecipato alle rivolte dellinverno 2011 come attivisti, giornalisti o media-artisti, ma nessuno di loro sembrava attendersi un mutamento positivo n (certamente) dal governo islamo-liberista della Fratellanza islamica, n da alcun altro rivolgimento possibile nel prossimo futuro. Ci mi ha fatto riflettere su questa generazione che si ribella con forza e radicalit senza nutrire alcuna speranza, senza attendersi alcun miglioramento. Come se la rivolta fosse, in s, la sospensione temporanea di una condizione intollerabile e il momento di riconoscimento di tutti coloro (e il numero cresce) che non vogliono pi condividere nulla, credere in nulla, n partecipare a nulla. Solo vivere, inventando un altro mondo, non importa quanto impossibile. Vedi anche www.alfabeta2.it/2013/07/18/la-rivolta/#sthash.xQgWSm3w.dpuf Altri percorsi di lettura: Augusto Illuminati Distrazioni di massa

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Distrazioni di massa

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Distrazioni di massa
Augusto Illuminati Di come andr a finire Berlusconi, non ce ne pu fregare di meno. Delle procedure bizantine di decadenza, incandidabilit, ineleggibilit, ricalcolo interdizione: idem come sopra. Lagibilit o inagibilit politica del Grande Pagliaccio non questione indifferente, ma neppure il nostro peggiore incubo notturno. Non invidiamo le ossessioni diurne di Travaglio e le notti insonni di Asor Rosa, popolate di legalit repubblicana e carabinieri. Altre cose, piuttosto, ci preoccupano. Cosucce materiali che condividiamo con la maggioranza indistinta degli italiani (Imu, Tares, Iva, disoccupazione, mutui) e altre pi strutturali. Per esempio, il degrado dellagire politico, forma primaria della vita liberamente associata, del bios. I suoi nemici sono la necessit e lindifferenza, i paletti posti da logiche esterne presunte costrittive e la palude del rassegnato disincanto.

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Ora, la prassi italiana la nostra agibilit politica, quella che sola ci interessa gi fortemente perimetrata da stringenti vincoli economici europei (pareggio di bilancio costituzionalizzato, fiscal compact, mannaia dello spread, pressioni per liberalizzazioni e svendite per fare cassa) e vi si aggiunge, aggratis, lobbligo di imperniare gli spazi residui di manovra sul destino di Berlusconi e la sopravvivenza di un sistema pseudobipolare di grandi intese. Con laggiunta di un appassionante dibattito sui regolamenti del Pd, le primarie aperte o chiuse e la finale scelta del leader (cio del piccione da impallinare) tra Epifani, Cuperlo e Renzi, magari pure Pippo Civati e Debora Serracchiani. Chi non eromperebbe tutto dun fiato: il personale politico! Tanto pi che, con loccasione, abbiamo ripassato come in unantologia dei film di Romero lintera sfilata dei morti viventi, da Ualter al Baffino. Nel mondo ne succede di ogni ascese e cadute di imperi regionali, scontri epocali fra sunniti e sciiti, cambi di regime, droni vaganti, stragi chimiche e manuali ma noi, in saggia atarassia, discettiamo se le sentenze si rispettano o si applicano, si amano o si esecrano, si scontano nel senso di andar dentro o nel senso di ridurle, tipo saldi. Meno male che da noi guerra civile vuol dire questo, mica stiamo in Siria o in Egitto. Leffetto palude, appunto, che soffoca nella melma quanto della politica sopravvissuto alla (presunta) necessit.

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Ma mi si obbietter: diavolo, mica tutto va cos male, ci sono ancora progetti, battaglie, scadenze che superano questo quadro asfittico! Come no, c vita su Marte, ovvero nella sinistra. Leggiamo con avidit il dibattito agostano. Lasciamo perdere le dichiarazioni al vento di Ingroia o le comparsate televisive di Cacciari e lasciamoci sedurre da un bel titolo filosofico: contro le passioni tristi. Troveremo un sorso dacqua dissetante, una folata che spazza via il grigio dei rancori? Ahim, ancora una volta il titolista del manifesto pi bravo dellestensore del pezzo, Massimiliano Smeriglio, che tira in ballo le passioni tristi in modi che evocano pi il benemerito Spinoza.it che lautore dellEthica. Se infatti vogliamo conseguire un pi di potenza e di gioia di cui essere causa attiva accozzando sinistra radicale e sinistra di governo (Sel e Pd) sotto legida di Bettini e Renzi, beh, alla beatitudine mentale ci manca molto, per non dire alla sanit del corpo e al benessere delle tasche. Ecco, questo piccolo esempio mi fa pensare che il danno maggiore del capitolo terminale della berlusconeide ancora una volta lo spostamento del conflitto fuori dallorizzonte politico, la neutralizzazione risentita e verbosa della sofferenza sociale e della natura di classe della crisi: larghe intese, falchi, colombe e pitonesse, Letta zio-nipote, fronte della legalit con immancabili idoli giudiziari, il bene contro il male, la virt contro il vizio, tanti sermoni di Napolitano e Scalfari e alla fine e nel migliore dei casi, se proprio non vogliamo farci sgranocchiare dal Caimano gli stornelli blai-

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riani di Renzi intonati a cappella da Pd e Sel. Mentre il mondo intorno a noi va in pezzi, piuttosto indifferente temiamo a quante rate dellImu aboliremo e se si andr a votare con il Porcellum o il Porcellinum. Gi, il mondo. Che non quello dei piccoli segnali di uscita dalla crisi, ma delle nubi indistinguibili di una nuova crisi incombente e di una quasi sicura guerra che strana coincidenza, vero? Le reazioni farsesche della classe dirigente italiana possiamo gi prevederle, in base allesperienza libica, ma i movimenti daranno qualche segno di vita, malgrado la campagna di distrazione di massa condotta da Repubblica, Fatto, Micromega e compagnia manettante? La risposta alla guerra e non le elezioni italiane o europee sono il banco di prova di una sinistra non subalterna. Laggettivo rivoluzionario per il momento meglio non evocarlo. Altri percorsi di lettura: Michele Emmer Si investe nella scienza, in Trentino Ornella Tajani Sul rischio manicheo di certe Ztl Maurizio Ferraris Per una sinistra cosmopolita

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Si investe nella scienza, in Trentino

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Si investe nella scienza, in Trentino


Michele Emmer A chi interessa veramente la scienza? A parte il ritornello, a cui difficilmente seguono i fatti, che bisogna aumentare i finanziamenti alla ricerca? Serve a qualcosa la scienza di base? Serve diffondere la cultura e in particolare la cultura scientifica? In fondo, a che serve la scienza? Si sono mai chiesti i nostri geniali politici (senza generalizzare) come si costruisce la conoscenza, come si costruisce linteresse, come si trovano nuove idee, come si inventano nuovi prodotti, che porteranno a nuovi posti di lavoro, magari altamente innovativi? Si sono mai chiesti perch ventanni fa la Cina ha deciso di investire nei science center in tutto il vastissimo paese? Certo non basta solo la conoscenza scientifica, ma, con parole desuete nel nostro paese, un giusto equilibrio tra le due culture. E pensare, investire nel futuro, parola da non pronunciarsi: il nostro il paese della perenne emergenza e della grande, forse in esaurimento, creativit italiana.

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Emblematica la discussione durata decenni sul costruendo museo della scienza di Roma, iniziata quando ancora era sindaco Argan. Giustamente la discussione stata lasciata cadere da qualche anno dato che la situazione era diventata francamente grottesca, con le infinite discussioni di architetti sul dove, sul come, e con gli esperti che volevano dire la loro. Si preferito puntare su effimeri festival e feste senza nessuna progettazione sul futuro. Si preferito far proliferare i centri, i musei, gli spazi per larte contemporanea. Creandone solo a Roma un numero spropositato tra istituzioni pubbliche e private, con grande svantaggio, come si pu intuire, per la qualit delle scelte. Il 27 luglio 2013, a pochi mesi della distruzione della Citt della Scienza a Napoli, stato inaugurato a Trento il Muse Museo della Scienza, nome antico del museo di scienze naturali che a Trento esiste dal 1922. Una sede tutta nuova, ideata da Renzo Piano. Un grande investimento sul futuro con una spesa di 70 milioni di euro. Un museo naturalistico con un occhio di riguardo alle montagne. La costruzione stessa pensata come un insieme di montagne di cristallo, di ghiaccio e neve. E allinterno uno spazio vuoto, al centro di tutti i piani, con in alto un ghiacciaio artificiale che si affaccia su quel vuoto. Certo, sono rimasti alcuni animali impagliati del vecchio museo, ma la concezione del nuovo spazio non ha nulla di quella antica. Il modello quello di una grande science center interattivo, per fare esperimenti, per stimolare linteresse e la creativit. Puntando sulle montagne, sul

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cambiamento climatico, sui grandi acquari, sulla biodiversit, ma anche sullevoluzione e sui dinosauri, sempre con un occhio alla regione, o meglio alla provincia trentina. Ed ecco allora il FabLab per sperimentare e realizzare in prima persona, con un occhio di riguardo ai pi piccoli, come in tutti i science center del mondo. Con uno dei settori riservato alla fauna tropicale, ma di montagna, per restare in tema con il luogo, con specie che provengono dallEastern Arc, una catena di montagne dellAfrica tropicale orientale, compiendo una visita virtuale ai monti Udzungwa. Non una scelta casuale, ma il frutto di tanti anni di cooperazione fra il Trentino e lAfrica. Citando la presentazione del museo: La serra il luogo simbolo dellincontro tra ambienti lontani legati dalla cultura e dal rispetto della montagna. E pazienza per tutti i razzisti e xenofobi di questo paese. Ha alcuni grandi vantaggi il Muse. La disponibilit finanziaria, anche se ha risentito della crisi, della provincia autonoma di Trento. La grande capacit di decidere per il futuro come dimostrano, oltre al Muse, lUniversit che diventata un centro di eccellenza della ricerca in Italia e allestero (come hanno parzialmente dimostrato le tabelle delle valutazioni delle universit pubblicate qualche settimana fa, tabella da valutare con tutte le precauzioni del caso). Il Mart di Roverto, a pochi chilometri di distanza dal Muse, unaltra grande scommessa iniziata nel 2002. Un edificio ridisegna sempre nuove relazioni, non pu essere indifferente. Il Mart nel suo spazio centrale raccoglie e valorizza il linguaggio

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dellintorno. La diversit dei linguaggi, moderno-antico, diviene ricchezza: parole di Mario, Botta, larchitetto che lo ha realizzato, parole che si adattano anche al Muse. Il futuro del Muse, come quello del Mart, dipender dalle idee, dalla creativit, dalla coerenza che coloro che sono chiamati a dirigere queste istituzioni saranno capaci di sviluppare. E non scontato ovviamente, ma le premesse ci sono. Altri percorsi di lettura: Ornella Tajani Sul rischio manicheo di certe Ztl Maurizio Ferraris Per una sinistra cosmopolita Franco Berardi Bifo La rivolta che non crede nel futuro Augusto Illuminati Distrazioni di massa Torna al men

Sul rischio manicheo di certe Ztl

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Ornella Tajani Si tramanda a Bersabea questa credenza: che sospesa in cielo esista unaltra Bersabea, dove si librano le virt e i sentimenti pi elevati della citt. Limmagine che la tradizione ne divulga quella duna citt doro massiccio, tutta intarsi e incastonature. Si crede pure che unaltra Bersabea esista sottoterra, ricettacolo di tutto ci che c di spregevole e dindegno; una citt infera di pattumiere rovesciate da cui franano croste di formaggio, carte unte, vecchie bende. La citazione, rimaneggiata da Le citt invisibili di Italo Calvino, si presta a efficace immagine della marcata polarizzazione che si verifica oggi nelle grandi citt: laddove il centro aspira a un modello sempre pi ideale, in cui vige un preciso codice di bellezza da rispettare, il resto della citt sembra destinato a raccogliere tutto ci che non soddisfa determinati standard estetici.

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Cos, in unarea urbana che somiglia a una scatola di legno grezzo, si racchiude quel che somiglia a un gioiello da sfoggiare nelle grandi occasioni: dove si godono i panorami pi belli e si visitano gli edifici storici; dove non v traccia di pompe funebri o posti di pronto soccorso; dove non ci si ammala e non si infelici, non si muore e spesso neanche si vive, se si pensa ad alcuni casi di esodo verso i sobborghi; dove vanno i turisti, e i cittadini solo quando non hanno niente da fare. Se la periferia finisce, come rilevava Pierandrea Amato nel suo lavoro La rivolta del 2010, col delimitare uno spazio frequentabile, quello della citt normale, di contro a uno infrequentabile, larea urbana al di fuori del centro pare invece destinata a quella porzione di vita cittadina non particolarmente interessante da un punto di vista decorativo. Di questa operazione manichea un aspetto non trascurabile mi sembra essere la pedonalizzazione. Ormai, davanti a una foto di piazza Navona o di piazza del Duomo a Milano piene di automobili, il nostro occhio classifica istantaneamente loggetto come reperto depoca. Questo perch oggi il centro storico delle citt italiane sempre, o quasi, una zona a traffico limitato: un modo per preservare le bellezze storicoartistiche e consentirne una migliore fruizione. Ma verrebbe da chiedersi con le parole che pare avesse usato larchitetto Kenzo Tange, quando lallora sindaco di Napoli Bassolino gli mostr per la prima volta piazza del Plebiscito chiusa al traffico e adesso le auto dove sono?.

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Le auto altro elemento antiestetico sono espulse dallo scrigno. naturale, si dir: le auto inquinano laria e la bellezza del luogo. Il centro fatto per la promenade. Eppure, azzardando ma non troppo, la sensazione che il messaggio subliminale non sia tanto se vuoi, puoi passeggiarci, ma piuttosto se vuoi passeggiare, devi farlo qui (e l invece no). Non difficile prevedere sta gi accadendo che, seguendo questo modello di pascolo forzato, qualsiasi amministrazione comunale investir sempre pi fondi nella cura del centro, nellobiettivo di renderne il suolo gradevolmente calpestabile, mentre si occuper sempre meno di consentire in altre aree urbane la presenza di pedoni. Lungi da qualsiasi velleit apocalittica, basta rifletterci un istante e non sar difficile ricordarci di quando, in un punto o un altro della citt, ci siamo ritrovati a pensare che, vuoi per lassenza di marciapiedi, vuoi per la presenza di incroci ardui da attraversare, camminare era impossibile. Il sospetto che sia la pedonalizzazione stessa a legittimare la rigida separazione: se stata prevista una zona apposita, perch pretendere di passeggiare altrove? chiaro che avere un intero lungomare pedonalizzato per farci jogging un lusso considerevole. Correre al centro della strada una sensazione quasi irreale, come se il resto del mondo fosse altrove, dove succede qualcosa di molto importante che tu, mentre ti dedichi ai tuoi quaranta minuti di sport, ignori. Ma proprio per antitesi scaturisce il pensiero che nel resto della citt, la presunta parte infera dove si

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svolge la vita quotidiana, si stia pagando il prezzo di quel lusso non comune: nel satellite che per Calvino consisteva nella vera Bersabea, un pianeta sventolante di scorze di patata dove, sotto un cielo di comete dalla lunga coda, risplende tutto il bene della citt. Altri percorsi di lettura: Maurizio Ferraris Per una sinistra cosmopolita Franco Berardi Bifo La rivolta che non crede nel futuro Augusto Illuminati Distrazioni di massa Michele Emmer Si investe nella scienza, in Trentino Torna al men

Lessico delluomo indebitato

SEMAFORO & LESSICO

Lessico delluomo indebitato


Maurizio Lazzarato Austerit I 500 pi fortunati di Francia si sono arricchiti del 25% in un anno. In un decennio la loro ricchezza quadruplicata e rappresenta il 16% del Pil del paese. Equivale anche al 10% del patrimonio finanziario dei francesi, cio un decimo della ricchezza in mano a un centomillesimo della popolazione (Le Monde, 11 luglio 2013). Mentre i media, gli esperti, i politici si riempiono la bocca di pareggi di bilancio, assistiamo a una seconda grande espropriazione della ricchezza sociale, dopo quella messa in pratica a partire dagli anni Ottanta dalla finanza. La particolarit della crisi del debito che le sue cause ne sono diventate il rimedio. Questo circolo vizioso non il sintomo dellincompetenza delle nostre lite oligarchiche, ma del loro cinismo di classe, poich persegue un fine politico preci-

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so: distruggere le residuali resistenze (salari, redditi, servizi) alla logica neoliberista. Debito pubblico Con lausterit i debiti pubblici hanno raggiunto picchi da record in tutti i paesi che utilizzano lo strumento della cartolarizzazione del debito, il che significa che anche le rendite dei creditori hanno raggiunto picchi da record. Imposta Per il governo delluomo indebitato lo strumento principale limposta. Che non uno strumento di redistribuzione successiva alla produzione. Al pari della moneta, essa non ha unorigine commerciale, ma direttamente politica. Quando, nella crisi del debito, la moneta non circola pi n come strumento di pagamento n come capitale, quando il mercato non assicura pi funzioni di misura e di collocamento delle risorse, allora interviene limposta come strumento di governamentalit politica. Limposta garantisce la continuit e la riproduzione del profitto e della rendita bloccate dalla crisi; esercita un controllo economico-disciplinare sulla popolazione; misura lefficacia delle politiche di austerit sulluomo indebitato. Crescita Oggi lAmerica a un punto morto. Il motore della sua macchina gira, ma lAmerica non va avanti. Il motore gira uni-

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camente perch la banca centrale compra ogni mese 85 miliardi di titoli del Tesoro e di obbligazioni immobiliari e dal 2008 garantisce denaro a costo zero. LAmerica non in recessione unicamente perch oggetto di trasfusione monetaria, ma incapace di trainare il resto del mondo al di fuori di una crisi che essa stessa ha provocato. Lenorme quantit di denaro iniettato ogni mese dalla Fed si limita a produrre un lievissimo aumento di posti di lavoro, per lo pi di servizio, a bassissima retribuzione e part-time. Si continuano cos a riprodurre le cause della crisi, e non solo perch il solco tra le differenze salariali allinterno della popolazione continua ad approfondirsi, ma anche perch si continua a finanziare e a rafforzare la finanza. Mentre la politica monetaria fallisce nel far ripartire leconomia e limpiego, col rischio di alimentare unaltra bolla finanziaria, favorisce il boom economico di un unico settore, quello finanziario. Lenorme disponibilit di denaro per finanziare leconomia passa anzitutto per le banche che, nel transito, continuano ad arricchirsi. Nonostante la crescita anemica degli altri settori, i mercati finanziari hanno toccato livelli record. Tutti sono in attesa della crescita, ma tuttaltra cosa ci che sintravede allorizzonte: supremazia della rendita, disuguaglianze abissali tra i lavoratori dipendenti e i loro manager, gigantesche differenze patrimoniali tra i pi ricchi e i pi poveri (in Francia il rapporto 900 a 1), classi sociali cristallizzate nella loro riproduzione, blocco della gi debole

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mobilit sociale (soprattutto negli Stati Uniti dove il sogno americano resta ormai solo un sogno) Tutto ci, pi che al capitalismo, fa pensare allancien rgime. Crisi Quando parliamo di crisi, ovviamente intendiamo la crisi scoppiata nel 2007 dopo il crollo del mercato immobiliare americano. In realt si tratta di una definizione restrittiva e limitata, poich dal 1973 che subiamo la crisi. La crisi permanente, a cambiare sono solo la sua intensit e il nome che le si d. La governamentalit liberale e liberista si esercita passando dalla crisi economica alla crisi climatica, alla crisi demografica, energetica, alimentare e cos via. Col variare del nome varia solo il tipo di paura. Paura e crisi costituiscono lorizzonte insuperabile della governamentalit del capitalismo neoliberista. Non usciremo dalla crisi (tuttal pi ne varier lintensit), semplicemente perch la crisi la modalit di governo del capitalismo contemporaneo. Capitalismo di Stato Il capitalismo non mai stato liberale, sempre stato capitalismo di Stato. La crisi dei debiti sovrani mostra senza alcun dubbio la pertinenza di questa affermazione di Deleuze e Guattari. Il liberalismo solo una delle possibili forme di soggettivazione del capitalismo di Stato: sovranit e governamentalit funzionano sempre insieme e di concerto.

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Nella crisi i neoliberali non cercano affatto di governare il meno possibile, al contrario cercano di governare qualunque cosa e fin nel pi piccolo dettaglio. Non producono libert, ma la loro continua limitazione. Non propongono larticolazione tra libert del mercato e Stato di diritto, ma mettono in pratica la sospensione della gi debole democrazia. La gestione neoliberista della crisi non esita a integrare uno Stato massimo tra i dispositivi di una governamentalit che esprime la propria sovranit unicamente sulla popolazione. Governamentalit La crisi rende evidenti i limiti di una delle pi importanti categorie di Foucault, quella di governamentalit, e ci spinge a completarla. Governare, secondo Foucault, non significa sottomettere, comandare, dirigere, ordinare, normalizzare. Non forza fisica n divieto, n norma di comportamento, la governamentalit incentivo, attraverso una serie di regolamentazioni flessibili e capaci di adattarsi, a congegnare un ambiente che porti lindividuo a reagire in un modo piuttosto che in un altro. La crisi, invece, ci rivela che le tecniche di governamentalit sono imposizione, divieto, norma, direzione, comando, ordine e normalizzazione. La privatizzazione della governamentalit ci obbliga a tenere conto dei dispositivi biopolitici non statuali. Fin dagli anni Venti si sviluppano tecnologie di governance a partire dal consumo che si annidano nel marketing, nei sondaggi, in

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televisione, su Internet, nelle reti sociali che informano la vita delle persone in tutte le sue dimensioni. Questi dispositivi biopolitici sono contemporaneamente di valorizzazione, di produzione di soggettivit e di controllo poliziesco. Lotta di classe Il capitalismo neoliberista ha instaurato e governa una lotta di classe asimmetrica. Vi solo una classe, ricomposta intorno alla finanza, al potere della moneta di credito e al denaro come capitale. La classe operaia non pi una classe. Dagli anni Settanta il numero di operai nel mondo enormemente aumentato, ma essi non rappresentano pi una classe politica e non la rappresenteranno mai pi. Gli operai hanno certamente unesistenza sociologica, economica, ma la centralit del rapporto creditore/debitore li ha confinati in modo definitivo alla marginalit politica. A partire dalla finanza e dal credito il capitale continuamente allattacco. A partire dal rapporto capitale/lavoro ci che resta del movimento operaio continuamente sulla difensiva e regolarmente sconfitto. La nuova composizione di classe emersa nel corso degli ultimi decenni senza passare dalla fabbrica, costituita da una molteplicit di situazioni di impiego, di non-impiego, di impiego intermittente, di povert pi o meno grande, dispersa, frammentata, precarizzata ed ben lontana dal darsi i mezzi per essere una classe politica, anche se rappresenta la maggioranza della popolazione. Come i barbari alla fine

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dellImpero romano, essa compie incursioni veloci e intense, pronta a ripiegare subito dopo sui propri territori, sconosciuti ai pi e soprattutto ai partiti e ai sindacati. Essa non si insedia. D limpressione di tastare la sua stessa forza (ancora troppo debole) e quella dellImpero (ancora troppo forte), per poi ritirarsi. Finanza Una molteplicit di dibattiti inutili tengono impegnati giornalisti, esperti, economisti e uomini politici: la finanza parassitaria, speculativa o produttiva? Controversie oziose, perch la finanza (e le politiche monetarie e fiscali che laccompagnano) la politica del capitale. Il rapporto creditore/debitore introduce una forte discontinuit nella storia del capitalismo. Per la prima volta dacch esiste il capitalismo non pi il rapporto capitale/ lavoro a essere al centro della vita economica, sociale e politica. In trentanni di finanziarizzazione il salario, da variabile indipendente del sistema, si trasformato in variabile di aggiustamento (sempre al ribasso per quanto riguarda il salario e al rialzo per quanto riguarda la flessibilit e il tempo di lavoro). Trasversalit Ci che occorre sottolineare non tanto la potenza economica della finanza, le sue innovazioni tecniche, ma piuttosto il fatto che la finanza funzioni come un dispositivo di gover-

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nance trasversale alla societ e al pianeta intero. La finanza opera trasversalmente alla produzione, al sistema politico, al welfare, al consumo. La crisi dei debiti sovrani conferma, approfondisce, radicalizza in senso autoritario le tecnologie di governo trasversali, poich siamo tutti indebitati. Unorganizzazione delle lotte fondata su base nazionale e su una divisione tra salariati a tempo pieno e precari, tra societ ed economia, tra economia e sistema politico, incapace anche solo di resistere alla trasversalit della finanza. Capitale umano (o imprenditore di s) La crisi non solo economica, sociale e politica. anzitutto una crisi del modello soggettivo neoliberista incarnato nel capitale umano. Il progetto di sostituire il lavoratore salariato del fordismo con limprenditore di s, trasformando lindividuo in impresa individuale che gestisce le proprie capacit come risorse economiche da capitalizzare, , nello stesso tempo, crollato con la crisi dei subprime e riproposto perch il capitalismo non ha alternative. Da questo punto di vista la situazione dei paesi ricchi e quella dei paesi emergenti, anzich divergere, con la stagnazione e il declino dei primi e la crescita e il progresso dei secondi, converge nella produzione di uno stesso modello di soggettivit: il capitale umano, che comporta un massimo di privatizzazione economica e un massimo di individualizzazione collettiva. Le politiche sociali, al contrario, introducono ovunque un minimo (un salario minimo, un reddito mini-

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mo, servizi minimi) perch nessuno cada al di sotto di una soglia di povert che gli impedisca di essere mobilizzabile dal e per il mercato. Per attivare i governati bisogna che non siano troppo poveri, perch non avrebbero le risorse necessarie (economiche e soggettive) per lanciarsi nella concorrenza di tutti contro tutti. Una soglia che vale anche per paesi come la Germania, dove il salario minimo non esiste ma esistono otto milioni di lavoratori poveri. La globalizzazione capitalistica si ammanta di aver fatto uscire milioni di poveri dallestrema miseria del Sud del mondo. In realt, queste politiche non sono affatto incompatibili con il neoliberismo. Quando sono condotte su vasta scala, come in Brasile, arrivano persino a rappresentare una sperimentazione per fornire una parte della forza lavoro adeguata al capitalismo dei paesi emergenti. In Brasile, tra le molte cause della mobilitazione degli scorsi mesi, c anche questa. Sia la minoranza uscita dallestrema povert sia la nuova composizione di classe metropolitana in via di impoverimento si sono trovate di fronte non solo a una macroeconomia organizzata secondo i pi classici principi neoliberisti, ma anche a un welfare state a doppia velocit: da una parte servizi sociali di qualit mediocre (minimo di servizi) e dallaltra buone scuole, un sistema sanitario funzionante, servizi di qualit, ma tutto a pagamento. Per accedervi occorre mobilitarsi e gettarsi nella mischia del darwinismo sociale in salsa socialista. Con grande giudizio, la mobilitazione invece avvenuta per la giustizia sociale e contro la

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versione Sud del capitale umano. In Europa il processo inverso, bench giunga al medesimo risultato: la costruzione di un welfare state a duplice velocit si accelerata con la crisi del debito. Pubblichiamo qui parte dellintroduzione a Governo delluomo indebitato. Tecnologie delle politica neoliberista di Maurizio Lazzarato, edito da DeriveApprodi e disponibile da ottobre in libreria.

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Mauro Staccioli, Volterra 73, Fortezza Medicea, Volterra, 1973. Travi di legno, mattoni forati in cotto, fascia di cemento e ferro, 280 x 200 x 200 cm. (Foto Enrico Cattaneo).

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Ilva, lacciaio che uccide

ILVA, LACCIAIO CHE UCCIDE

Ilva, lacciaio che uccide

Italia il posto una volta conosciuto come il Belpaese punteggiata da Zone Interdette, Zone Rosse, Zone Proibite: oltre a LAquila, Taranto e lIlva, il cantiere Tav in Val di Susa, Lampedusa e i numerosissimi Cie sparsi per la penisola. Queste Zone, che disegnano un arcipelago, sono al tempo stesso la struttura del presente distopico italiano e le microrealizzazioni in questo presente di uno dei futuri del nostro paese e dellOccidente. Allinterno di questi spazi un futuro precipita nel presente. Larcipelago delle Zone Interdette vive sovrapposto a quello delle microutopie, anchesse concentrate nello spazio e nel tempo: i molti luoghi italiani in cui la cultura agisce per la trasformazione e non per la rimozione dei traumi, in cui la cultura ha avviato quei processi di ricostruzione dellidentit individuale e collettiva di cui abbiamo bisogno. Questi due esperimenti di futuro per il momento convivono:

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coesistono. In questo senso: Taranto lItalia; lItalia Taranto.


c.c.

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Parlano gli operai

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Conversazione di Christian Caliandro I: Dove lavori tu? C: Insegno a Milano, scrivo libri e curo progetti culturali. I: Quindi non stai qui in paese? C: No. Torno durante le vacanze I: Sei riuscito a fare quello che ti piace, no? C: S, anche se un casino comunque. Fai quello ci ti piace fare, ma non hai alcuna garanzia. I: Viviamo alla giornata. Abbiamo sempre vissuto alla giornata, fin da quando eravamo piccoli, e continuiamo a farlo C: Il fatto che vivi e lavori sempre in condizioni fuori dalla normalit: e lobiettivo sarebbe proprio quello di ristabilire le condizioni normali. Vedi in ogni campo quelli pi grandi che si approfittano del tuo lavoro: loro hanno tutto e tu non hai quasi niente, e questo uno squilibrio assurdo, insostenibile. Credo che anche nel caso dellIlva ci sia un meccanismo del genere: dallidea che mi sono fatto, al netto di tut-

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ti gli altri problemi, gli operai pi giovani stanno scontando molti problemi derivati dalla situazione precedente. Se non ci fossero stati quegli sprechi nei decenni passati, oggi forse I: Sai, prima era un bacino di voti, un calderone politico: oggi non lo pi. E quindi, essendo privato, bisogna lavorare. Bisogna andare l e lavorare. T: Cerano molti pi operai rispetto alla necessit effettiva. Per alla fine si sono arricchiti un po tutti, la gente stava bene Il politico di turno chiudeva un occhio, cos come i vari controllori. C: S, io ho la sensazione che lintero dispositivo mediatico e informativo costituisca una gigantesca distorsione prospettica di questo fenomeno. Quando leggi gli articoli sui quotidiani o quando guardi i servizi nei tg, da pi di un anno, vedi questi giornalisti che piombano a Taranto (senza probabilmente averla mai sentita nominare prima), arrivano da altrove, si fanno raccontare la vicenda in quattro e quattrotto da quelli che secondo loro sono i protagonisti, elencano qualche fatto di cronaca, e in tutto ci gli operai diventano solo una nota di colore. Forse in questa maniera non solo non riusciamo mai a capire le vere ragioni di chi dentro questa situazione, ma non riusciamo mai ad attingerne la realt, a cogliere latmosfera psicologica: a vedere e a sentire quello che c. I: La sensazione quella dellattesa. Stiamo l ad aspettare, e nel frattempo lavor lavoricchiamo. Siamo in attesa.

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unattesa che ci distrugge, per dobbiamo stringere i denti e andare avanti sperando che non ci licenzino. O che, peggio ancora, lIlva chiuda: sarebbe una catastrofe. Non so, onestamente, se qualcuno stia valutando le conseguenze di un passo del genere, o se invece noi siamo solo numeri. Duemila famiglie su sessanta milioni di persone non sono niente Vivi cos, sospeso. Non puoi fare un progetto per il futuro, neanche pensare a domani. Non fine mese: domani. Domani, che luned, se lo chiamano scende a lavorare, se non lo chiamano rimane nel letto a rigirarsi. C: E che succede se non ti chiamano? T: Senti, noi stiamo scontando le ore di ferie. Poi non lo so, una volta esaurito il monte ferie, se la cosa si prolunga dovrebbe scattare la cassa integrazione. Perch, voglio dire C: E quindi in questa sospensione c anche un sentimento di rabbia? I: No, ormai passata la rabbia. Noi abbiamo cominciato a combattere gi a marzo 2012, quando nessun politico o giornalista si permesso di intervenire. Noi il 30 marzo stavamo manifestando, ma come al solito non facevamo notizia e nessuno se n accorto. Ormai adesso la rabbia diventata T: rassegnazione. A lungo andare, lattesa diventa stallo. Hai sempre una vaga speranza che la situazione si risolva, per cominciano le ansie, le paure normale per il futuro. Poi, vabb, un po di rabbia la avverti se pensi, anche se non ne hai la certezza, che sia stato un po tutto bloccato, paralizzato in anni precedenti. Qualcuno sapeva che si sareb-

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be arrivati a questo punto; voglio dire, molte cose che si sarebbero dovute fare (ammodernamento degli impianti ecc.) sono state rimandate, hanno detto no, aspettiamo, vediamo. Uno magari non lo sa che cosa pu realmente succedere, poi adesso che stanno vedendo i blocchi della produzione, i sequestri Uno si dice: ecco perch non hanno portato avanti determinati lavori, perch si aspettavano una stangata. C: Ma se fossero stati portati avanti quei lavori, la stangata non ci sarebbe stata. T: S, quello di cui tu parli il processo di modernizzazione nel tempo, a lungo termine. Ma io ti parlo anche dei lavori minimi, piccoli aggiustamenti: evidentemente non ne valeva la pena. C: Cio, hanno atteso che la situazione esplodesse. T: Ma perch il tira-e-molla stato costante, con i media e con gli enti locali e nazionali. La corda stata tirata al massimo. Noi abbiamo fatto una manifestazione in piazza a Taranto a favore dellazienda I: Per difendere il nostro posto di lavoro. Il problema che a Taranto siamo tutti colpevoli. Perch la politica, quando lo Stato ha venduto lItalsider negli anni Novanta, non ha mandato i controllori? Adesso in sei mesi si vuole chiudere lintera fabbrica, quando solo per spegnere gli altiforni ci vuole un anno. Un anno. C tutto un processo di sicurezza, le temperature sono altissime, non come il fornello di casa, che chiudi il gas e basta. un intero ciclo produttivo. La no-

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stra domanda, da ignoranti, : adesso ci siamo svegliati, tutti quanti? E in un periodo brevissimo vogliamo risolvere i problemi di quarantanni? Non mi sembra normale. Questi macchinari enormi richiederanno il loro tempo per essere aggiornati; certo, si pu fare di pi: tutti i giorni possiamo fare di pi, per ci deve essere il controllo da parte dei magistrati, mentre dallaltra parte c qualcuno che si forse cullato oppure (noi pensiamo, perch non stiamo ai vertici, non sappiamo come funziona il meccanismo), oppure ci vogliono venti-trentanni per aggiustarli. Perch ogni investimento non sono millecinquecento euro di marmitta catalitica, ma otto miliardi di euro, che sono una cifra che io non so neanche immaginare. C: Quindi voi e tutti gli altri che tipo di scenario vedete, prospettate nellimmediato futuro? T: Ci siamo gi passati con la precedente cassa integrazione Allora cera linizio della crisi globale, e l c stato un primo tentativo di ammodernare gli impianti. Per si dovuto ricorrere a questo come posso dire stato tutto dovuto al fatto che cera la crisi e siamo stati fermi Questo ti fa capire quanto siamo messi male: brasiliani, cinesi, indiani hanno portato avanti negli ultimi anni e decenni piani industriali molto avanzati. Magari con criteri non adeguati riguardo alla sicurezza del e sul lavoro, le sue garanzie, la tutela dellambiente. Anche altre nazioni sono andate avanti, sono state attente: la Germania e la Russia hanno impianti a norma e anche accoglienti rispetto a noi che abbiamo mac-

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chinari datati, alcuni almeno: alcuni nuovi e alcuni datati, che fanno fatica poi a mettersi al passo. C: E che tipo di rapporto c tra voi, gli operai della vostra generazione, e quelli pi anziani, che hanno vissuto tutte le fasi? T: Siamo quasi tutti della stessa et. I colleghi pi anziani che conosco vengono tutti da altre realt, dismesse, fallite. Realt industriali che sono state fatte implodere e li hanno riassorbiti. E quindi comunque vengono da realt diverse quelli che sono rimasti. I: Per loro almeno la richiesta di lavoro cera. Invece noi, dove andiamo? C: Non c I: Dove andiamo? Lunica cosa prendere le valigie e andare nei paesi in via di sviluppo, la Cina, lIndia, il Brasile. Quella lunica chance che ci rimane. C: Cio, sfruttare il fatto di essere operai qualificati, e andare I: e andare l a insegnare. Imparare a conoscere quelle realt.

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Mauro Staccioli, Le Balze, Mura Etrusche, Volterra, Sculture in citt, 1972. Sei elementi, legno verniciato, 300 x 30 cm cad. (Foto Enrico Cattaneo).

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Il groviglio, le scelte

ILVA, LACCIAIO CHE UCCIDE

Il groviglio, le scelte
possibile modificare la fabbrica?
Alessandro Leogrande
My sweet Jenny Im sinkin down Here darlin in Youngstown (Bruce Springsteen)

La vera linea di frattura che taglia in due Taranto non tanto la scelta tra salute e lavoro, come raccontano da oltre un anno i mass media. uninterpretazione che ha il suo fascino, apparentemente chiara nella sua lampante dicotomia. Eppure troppo semplicistico metterla cos. Come se a Taranto (in Italia, in Europa) ci fossero operai-ultimi-dei-mohicani disposti a prendersi qualsiasi tipo di sarcoma pur di continuare a colare ghisa. E come se sul fronte opposto ci fossero fanatici antindustrialisti che non tengono in nessun conto i costi sociali di una possibile chiusura dellIlva, lo

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stabilimento siderurgico pi grande dEuropa, tuttora il primo insediamento industriale del paese, pi grande anche di ci che resta di Mirafiori. Certo, posizioni estremiste in un campo o nellaltro ce ne sono. Tuttavia la citt segnata da unaltra faglia a geometria variabile che corre intorno a una domanda cruciale: possibile o meno, in tali condizioni, riformare questi impianti? questo, in realt, il dilemma su cui ci si divide in varie posizioni (non necessariamente due). Ed un dilemma su cui riflettere, se si vuole capire qualcosa di Taranto. Quella dellIlva non semplicemente una vertenza ambientale. Non solo un caso giudiziario. piuttosto un groviglio economico, sociale, politico che affonda le sue radici nellindustrializzazione novecentesca e nel suo fallimento, e che perpetrandosi oggi diventa a sua volta banco di prova per scelte future: quali idee di democrazia, di partecipazione ai processi decisionali, di industria possano convivere in questo lembo dEuropa nel XXI secolo. Cosa produrre, quanto produrre, come produrlo e soprattutto chi sono i soggetti che possono e devono argomentare tali scelte. Ma, per arrivare a discutere tutto ci, bisogna riflettere ancora una volta sulla domanda da cui tutto discende: quella fabbrica riformabile? Finora ho sempre pensato di s, per almeno due motivi. Il primo che dalla miglior tradizione del movimento operaio recuperabile lidea secondo cui il lavoro che non ci piace non va rifiutato luddisticamente, bens trasformato (e quindi liberato) modifican-

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do i rapporti e i luoghi di lavoro. Il male di Taranto stato in gran parte determinato dallaccettazione acritica non dellacciaio, bens di quel modo di produrre acciaio, specie nei quindici anni di gestione Riva. In Germania, in Austria, in Corea del Sud si produce acciaio in maniera molto diversa, ad esempio Il secondo che ne sono convinto chiudendo oggi lIlva, lo scenario pi probabile che ne verrebbe al di l della crisi occupazionale che si aprirebbe come una voragine non la bonifica, ma lo spettro di Bagnoli: una vasta landa postindustriale, senza bonifica, senza lavoro, senza alternativa. E allora, poich lo status quo inaccettabile, la domanda non pu essere aggirata: possibile trasformare lIlva? Verranno realizzati i necessari ammodernamenti degli impianti? Si copriranno i parchi minerari e i nastri trasportatori? Si rifaranno le batterie della cokeria, gli altiforni, le acciaierie? Si compir davvero (come auspicato dalla legge Ilva, e dal piano industrial-ambientale che dovrebbe essere presentato in autunno) questo percorso? I prossimi mesi, dallautunno fino alla primavera del 2014, sono il vero banco di prova. In tale arco di tempo risulter evidente se un cambiamento realmente possibile. In caso contrario la citt sar nuovamente dilaniata dalle sue contrapposizioni, e la tesi della irriformabilit della fabbrica si inverer, risucchiando ogni cosa in un enorme gorgo. Non detto che tale scenario sia irrealistico. Anzi: la crisi economica e le incertezze del mercato dellacciaio, lassenza di clas-

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si dirigenti locali e nazionali che possano dirsi tali, lo strano limbo prodotto dallo stallo politico, sono tutti potenti alleati di un possibile scenario catastrofico. Al di qua della domanda principe ( possibile modificare la fabbrica?) continuano poi a vivere la citt e i suoi operai. Paradossalmente, sono proprio loro cio la pi grande concentrazione operaia in unItalia sempre pi deindustrializzata i meno raccontati di tutti. Tale rimozione spiega molto della nostra incapacit di guardarci allo specchio. Non solo a Taranto, ma in tutta Italia: la rimozione della questione operaia un enorme processo che attraversa lultimo ventennio tanto quanto il trionfo del berlusconismo. Eppure, osservando proprio il laboratorio Ilva, si possono capire molte cose. Linquinamento devastante stato innanzitutto il prodotto di devastanti relazioni di lavoro. Chi, come me, ha iniziato a raccontare i nuovi operai assunti dal colosso privatizzato alla fine degli anni Novanta, mentre parallelamente si palesava lo scandalo dellistituzione di un reparto-confino per i pi recalcitranti tra gli anziani (e quindi: i contratti di formazione lavoro, limpatto con gli impianti, leccesso di straordinari, la virulenta desindacalizzazione, gli infortuni costanti, il numero incredibile di morti per incidenti ancora prima che per tumore), si trovato a descrivere una fabbrica sullorlo del caos, tra fumi e mancate manutenzioni, abitata da una generazione profondamente diversa da quelle precedenti, irreggimentata in una gabbia disciplinare ultramoderna.

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Chi sono i giovani operai dellIlva (et media trentanni, assunti quando ne avevano venti o poco pi)? Cosa pensano della politica o del sindacato? Come vivono? Dove vivono: in citt o nei paesi della provincia? Cosa sognano? Di cosa si ammalano quando si ammalano? Perch si incazzano quando si incazzano? Perch sovente stanno zitti? Perch in genere pensano che questo lavoro sia meglio di altri? Ogni volta che non ci si posti queste domande, lenorme campana di vetro che avvolge lintera questione Ilva ha irrobustito le sue pareti. E questo non un problema politicosindacale. Riguarda innanzitutto noi: i libri che potevano essere scritti e non sono stati scritti, le inchieste che potevano essere fatte e non sono state fatte, i romanzi che potevano essere ideati e non sono stati ideati. La gran mole di pagine scritte su Taranto negli ultimi anni sfiora appena tale questione. In un noto reportage scritto nel 1979 Walter Tobagi evoc la categoria del metalmezzadro per spiegare la stramba classe operaia che era sorta nellItalsider di Taranto: non ancora pienamente staccati dal passato contadino, quegli operai erano stati inseriti in un ciclo produttivo calato dallalto. Si erano cos prodotte le condizioni per lalienazione futura. Ci nonostante quella fabbrica di Stato, tra mille sperperi, aveva prodotto maestranze, una cultura del lavoro e dei diritti a esso connessi. Aveva prodotto anche un tasso di sindacalizzazione molto elevato: intorno al 90% dei dipendenti.

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Oggi appena il 40% degli operai ha una tessera sindacale. LIlva in gran parte una fabbrica non rappresentata, non solo per errori e ritardi dei sindacati, ma soprattutto perch cos ha voluto la dirigenza Riva: favorendo massicciamente assunzioni in cambio della non-iscrizione, e quindi costruendo un rapporto diretto tra i vertici e il singolo dipendente. La stessa categoria di metalmezzadro oggi andrebbe rivista, dal momento che in uno scenario mutato sono stati fatti molti passi indietro. A costo di apparire retr, vorrei ribadire ancora una volta che linquinamento la manifestazione esterna dei rapporti e dei modi di lavoro interni alla fabbrica. E che per abbattere linquinamento vanno anche abbattuti quei modi. Sar possibile farlo? Bench le ombre siano ancora molte, con il commissariamento una fase di privatizzazione scellerata si chiusa. Nei prossimi mesi la strada sar tutta in salita. Dentro e fuori la grande fabbrica. Altri percorsi di lettura: Leonardo Palmisano Dal tramonto allalba Crist Il sapore dellacciaio sporco

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Dal tramonto allalba

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Dal tramonto allalba


Dalla fabbrica alla citt
Leonardo Palmisano
Lavoro, poco male per mi so arrangiare. Tutto il giorno allaltoforno senza andata n ritorno (Daniele Di Maglie, cantautore tarantino)

Il tramonto Quando apro la mia vecchia Treccani e cerco Taranto, trovo una cartina in bianco e nero di tanti anni fa che ancora per sattaglia alla citt. Due occhi convergenti come quelli di un comico, due ali duna falena bruna, due valve I due mari. E un viluppo di strade che come lame di sciabola si congiungono sul ponte girevole. Il ponte che raccoglie le vite dei tarantini che da fuori vanno dentro, dove pi reale il tramon-

Dal tramonto allalba

to del luogo, dove il giorno si spegne al di qua dellIlva. Di fiammeggiante alcune citt come Praga hanno il gotico, un sistema architettonico che dimora nelle cattedrali e nei castelli e che serve ancora a dare movimento alle volute delle colonne portanti di amplissimi saloni e navate. A Taranto di fiammeggianti ci sono almeno due cose: le vampe di fuoco che sinnalzano intermittenti dai fumaioli e il sole che si riflette sugli scorticati muri del vecchio borgo e del rugginoso quartiere dei Tamburi. Questa citt un panorama di contrasti tra colori: blu, rosso, nerofumo, ruggine. Ed essa stessa locchio nel quale si specchia il Sud che non ce lha fatta a diventare Nord. Un occhio sofferente e glauco che vorrebbe chiudersi su se stesso per nascondere al Mediterraneo la pena del fumo che sale come una grande lacrima grigia contro il blu carnoso e sensuale del cielo sopra il mare Jonio. Larrivo a Taranto da Bari preceduto da una cartolina che dal Novecento, dal secolo scorso, si stampa sullocchio inesperto dellautomobilista. Una piana che arriva al mare irta di comignoli di altezza variabile e di braccia meccaniche che come dinosauri in pensione stanno l, arrampicati sul cielo, incombenti sulla citt come robot pronti ad animarsi per uninvasione barbarica o per lattacco di una trib messapica, antica e cattiva. Taranto la fotografia della storia e della preistoria, la fabbrica e lantichit che non si devono dimenticare mai. Ci si arriva da una strada ampia, scorrevole, soltanto a tratti ristretta per lincuria degli amministratori, dellAnas, di chiss quale altro ente sovrumano che si

Dal tramonto allalba

strutturato nella corruzione delle Puglie democristiane e socialiste. Dopo aver lasciato la noiosa pianura barese ci si immette, scendendo, nellarteria che porta lautomobilista come un globulo rosso carico dossigeno a intossicarsi passando sotto il rullo trasportatore del cuore acceso dellIlva, sul quale campeggia un ironico cartello di benvenuto. Se la citt fosse unaltra o meno molle, il suo occhio avrebbe gi assorbito il collirio ocra e gelatinoso che la ricopre. Invece vive nel suo morente tramonto infiammata dalle arrabbiature dei tarantini per bene, ma fiaccata dallincoscienza desolante dei suoi amministratori. Il tramonto, qui, di una portentosa schiettezza. Tutto il bello e il brutto guerreggiano in un tramonto elettrico, gassoso e fordista. Mentre altrove, a Bari o a Palermo, ogni tramonto scettico come scettico il sole nel suo percorso serotino, a Taranto la gagliardia del lume solare esplode in un ultimo lento colpo di cannone proprio al tramonto, quando la citt fordista prende il sopravvento su quella antica con le mille luci da presepe e le bocche aperte dei crateri fumanti dellIlva. Come spronate da una vendetta antica, le tante architetture della citt finalmente emergono alla vita solo in quei brevi minuti di tramonto. Spiccano come falli eretti o come capezzoli eccitati da un sole lascivo e morente. Questo il tramonto delle chiese del Borgo Vecchio che si eclissano in pochi istanti sopraffatte dalla luminescenza ineluttabile della cattedrale dellacciaio.

Dal tramonto allalba

La notte La notte tarantina silenziosa come una timida agonia. La citt vecchia dorme con un occhio aperto, al pari dun felino sempre pronto a ingoiare una preda tra i vicoli lucidi dove qualche ragazzetto di strada sosta fuori dei radi locali. Ai Tamburi si dorme sui cuscini impolverati dal fumo, si respira laria espulsa dal mostro, si inalano veleni e morte. Negli altri quartieri ci sinebetisce davanti alla tiv o per strada, in giro, alla ricerca di unidea, di un avvenire, di uno scampolo di lavoro dentro il quale rimettere insieme i cocci di un disastro prima di gettarli via per sempre. La notte tarantina porta consiglio? Nei mari la raccolta delle cozze si estingue come la pesca in mare aperto. In centro i turisti non ci vengono pi, se non per caso, e i marinai scodinzolano dietro a qualche ragazza senza pretendere troppo. La citt vuole scuotersi, certo, ma per fare cosa? Il silenzio ogni tanto interrotto dalla sirena di una nave mercantile, il buio spezzato dalle luci del porto e della fabbrica. Qualche motoscafo si lancia coraggioso oltre il Mar Piccolo, sotto il ponte girevole, per approdare chiss dove, portando chiss quali passeggeri, chiss quale nostalgia. Come nei film dove la tristezza calma e la tempesta passata, Taranto vive la sua ultima lunghissima notte. Nel diverbio della politica e della corruttela, ciascuno ha il suo dire e il suo sognare sulla citt. Ma nessuno osa ancora dire che domattina, al risveglio, la citt potrebbe essere morta.

Dal tramonto allalba

I Riva non mollano laffare, il governo non sa come comportarsi, i magistrati insistono, qualcuno insorto spontaneamente, la politica distante, i sindacati obiettano e discettano, eppure un sogno o un progetto questa lunga notte non riesce ancora a partorirlo. Sarebbe bello svegliarsi senza pi distrazioni, con la certezza di avere davanti ventanni per chiudere lacciaieria, smontare il mostro, riprendere fiato e fare unaltra citt. Ma come? La seconda citt della Puglia non riesce a sognarsi diversa da com adesso. Ogni tanto si scuote, con un sussulto, come un vecchio dal sonno leggero. Ogni tanto la cronaca raccoglie unidea: facciamo dellarsenale un grande hub per idee, un museo darte contemporanea, un centro di stoccaggio per innovazioni e imprese; dellIlva un centro come il Lingotto di Torino; del porto il pi grande approdo del Mediterraneo; della citt vecchia e degli Ori lattrazione turistica pi importante dello Jonio. Bello Tutto bello. Chi lo fa? E come? E i mesi passano I bambini dei Tamburi ingrassano al latte di piombo sulle mammelle delle mogli degli operai, mentre i padri si saturano i polmoni di polveri e cancro. Le lastre dacciaio arrugginiscono sulle banchine come enormi covoni. Le proteste muoiono e il carro della luna piano piano scompare oltre lorizzonte col suo carico di incubi e pensieri. Lalba Poi la citt si sveglia con lo sbadiglio di un bambino. I primi dentini, la lingua rosa e la speranza di vivere, conoscere,

Dal tramonto allalba

crescere. La fabbrica spenta c ancora, testimonianza di un passato estinto, ma il bambino tenuto sotto costante monitoraggio, portato in un parco e al mare a respirare pulito. Le scuole pi lontane dallIlva raccolgono finalmente i figli dei Tamburi e li trattengono tutto il giorno assieme agli altri, s da dar loro respiro. Sul mostro giovani tarantini hanno fatto una citt delle scienze, dellaccoglienza, dellarte, della cultura, del cinema industriale, dove chiunque pu evocare lidea dellindustria senza rimetterci la pelle. Dalla fabbrica alla citt il percorso sportivo, ciclabile, pedonale, e da l, senza soluzione di continuit, entra nellisola della citt vecchia, dove le chiese, le case, le botteghe artigiane, i locali si susseguono animando un luogo altrimenti morto. Nei palazzi antichi requisiti dal Comune persone dogni parte del Mediterraneo hanno dato vita a un grande acceleratore di competenze, a luoghi semplici dove un nuovo senso di comunit si innestato sul vecchio ripristinando la regola del controllo sociale orizzontale, non repressivo, non poliziesco o mafioso, ma conviviale. E sempre da l, attraversando altri pezzi della citt, nel vecchio Arsenale si stabilita unimportante Universit del Mare con una fiorente Facolt di Medicina, con le sue cliniche dedicate alle patologie del fordismo seminate nella citt, associata allUniversit de la Mditerrane di Aix-en-Provence e Marsiglia, dove studenti egiziani, turchi, greci, libici, tunisini, italiani, spagnoli, francesi, albanesi ecc. si fanno unidea di questo bacino nel cuore del bacino stesso, studiando sul lungomare, sotto om-

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brelloni e pannelli fotovoltaici, passeggiando nei Peripati della nuova Taranto. E i pescatori, gli allevatori di mitili, i vecchi metalmezzadri ora riconvertiti in operatori del benessere, guide turistiche nel ventre del mostro sconfitto, lavorano ovunque per una nuova economia, etica e sociale, che dallex Ilva innerva la citt. Quindi il porto straripa di turisti portati a rivivere lantichit e la modernit, con trasporti agili e leggeri, a impatto zero. Dal porto al mostro ucciso, dal mostro alla citt rinata: strato su strato, epoca su epoca, stile su stile, tutto si tiene nella nuova citt. Mentre velocemente il sole si alza, apre il suo occhio imponente che da Brindisi da est raggiunge Taranto e la copre, la irradia, la sana illuminando i due mari come ali blu di una meravigliosa farfalla Icaro. Altri percorsi di lettura: Crist Il sapore dellacciaio sporco Ilva, lacciaio che uccide Conversazione di Christian Caliandro Parlano gli operai

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ILVA, LACCIAIO CHE UCCIDE

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Crist

aranto una citt lontana che sta su un altro mare e che ha un dialetto ispido. Per uno di Bari, in genere, cos. Ottanta chilometri scarsi, ma verso la Calabria, la Basilicata. I centocinquanta di Lecce sono una passeggiata al confronto: sono tutti sullo stesso mare. Invece per andare a Taranto devi venire a patti col fatto che esiste unaltra Puglia, anzi due: una senza mare e una su un altro mare. Le Puglie che inerpicano i paesi sulle alture e poi li ridistendono sullo Ionio fanno paura, in genere, a uno nato a Bari, gli danno un senso di spaesamento. Qui non sappiamo quasi niente di Taranto, le notizie che ci arrivano dal telegiornale o che leggiamo online ci interessano solo per la loro portata nazionale, come se non fosse cosa nostra. Parliamo della questione salute o lavoro come se non fosse anche la nostra salute e il nostro lavoro a essere messi in discussione,

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come se fosse solo un esercizio ideologico, come se stessimo facendo unindagine sociologica. Guardiamo sui canali nazionali la gente che protesta, i pediatri che testimoniano la morte di bambini per tumore ben sopra la media nazionale, le vedove e gli orfani dei Tamburi, e pensiamo al fatto che la settimana scorsa abbiamo mangiato tutte quelle cozze tarantine, piccole ma piene, e speriamo che non fossero contaminate. Invece quelle facce sembrano lontane, molto pi lontane dello studio televisivo di Roma da cui si sta trasmettendo il collegamento esterno. Le immagini di quei volti e i suoni di quelle voci partono da Taranto e passano da Roma prima di venire a Bari; potrebbero arrivare da qualsiasi posto del mondo e sembrerebbero ugualmente lontane. Incontri il tuo amico tarantino che vive a Bari dai tempi delluniversit e che uno di sinistra, uno che si interessa, e invece scopri che sa le stesse cose che sai tu e che sanno tutti, nonostante sia cresciuto ai Tamburi, nonostante abbia visto la polvere nera poggiarsi quotidianamente sul balcone di casa sua. A parte i suoi ricordi dinfanzia e adolescenza non ti sa dire nulla di nuovo, nulla di diverso. Taranto troppo lontana anche per lui. lontana nonostante le librerie si riempiano anche a Bari di libri sul caso Ilva, con gli editori locali che si affannano a inseguire quelli nazionali, nonostante i titoli in prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, nonostante i dibattiti cittadini e gli incontri pubblici con oncologi, sindacalisti, reporter, assessori, ambienta-

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listi, scrittori, cantautori e operai. Nonostante tutto questo Taranto resta sempre e solo una notizia, non mai una ferita aperta, una questione personale. Da questo punto di vista la distanza psicologica tra Bari e Taranto mi sembra emblematica di un meccanismo tipico di questi ultimi anni, un sentimento pi o meno comune che chiamerei interessato disinteresse. A Bari non facciamo altro che chiederci perch i tarantini non insorgano davvero e continuiamo a chiedercelo anche quando i tarantini insorgono. Ce lo chiediamo come se noi fossimo osservatori esterni, come se facesse cos tanta differenza abitare a ottanta chilometri dallIlva piuttosto che nel quartiere Tamburi. Nello stesso modo ognuno di noi continua a chiedersi perch questa nazione non sia ancora insorta contro la plateale incapacit di un apparato dirigente corrotto e arrogante. Ce lo chiediamo come se non spettasse a ognuno di noi cominciare, non dico ad alzare le barricate, ma almeno a pretendere con fermezza quello che ci dovuto. Continuiamo a dibattere sulla scelta salute o lavoro e non consideriamo neanche lipotesi che averli entrambi sarebbe il minimo accettabile, che bisognerebbe pretenderlo. Per ogni volta che vai a Taranto ti stupisci di quanto sia bella, e attraversare il ponte girevole con la macchina ti fa sentire bambino, ma lIlva a darti il benvenuto e larrivederci e, mentre ti allontani sulla strada verso Bari, ci che ti rimasto dentro il sapore dellacciaio sporco che copre tutto, e la citt non te la ricordi pi.

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Mauro Staccioli, Piramide 38 Parallelo, Fiumara dArte, Motta dAffermo, 2010. Acciaio Corten e calcestruzzo, 3000 x 2200 cm. (Foto Luca Guarneri).

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li interventi presentati in questo nodo di alfabeta2 sono spunti di riflessione per la preparazione del primo convengo europeo delleditoria indipendente, che si svolger a Roma nella primavera 2014. Un primo momento di confronto sulle problematiche che legano leditoria indipendente e leditoria di progetto in genere si tenuto a Madrid nel maggio 2013 per iniziativa dellassociazione di editori spagnola Contrabandos. Allincontro madrileno hanno partecipato, oltre a numerose sigle editoriali spagnole, anche editori e collettivi francesi, inglesi e italiani. Base del dibattito erano lappello del Collettivo francese 451, redatto da un gruppo eterogeneo di attori della filiera del libro (librai, redattori, tipografi ecc.) e pubblicato nellautunno 2012, e il manifesto degli editori indipendenti dellosservatorio Odei presentato a Roma nello stesso periodo per iniziativa di pi di settanta case editrici. Dallincontro di Madrid emerso con flagranza che le premesse del lavoro editoriale sono, in Europa e non solo, ovun-

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que le stesse: concentrazione della filiera del libro, fenomeni di monopolio, finanziarizzazione, impoverimento della qualit a favore di uneditoria mass market, tagli ai diversi presidi del libro e della cultura in nome della riduzione delle spese statali Obiettivo dellincontro di Roma della primavera 2014 la stesura di un manifesto europeo delleditoria indipendente e di progetto che, a partire dallanalisi delle comuni condizioni della produzione culturale nei diversi paesi, immagini forme e strumenti di valorizzazione di un patrimonio di bibliodiversit da preservare e da promuovere.
I.B.

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Per una critica al mass-market editoriale
Ilaria Bussoni

llautomobilista autostradale vacanziero in viaggio per lItalia nellestate 2013 non sar sfuggita, tra un Camogli e unofferta Toblerone 2 3, loccasione dei libri a 0,99 centesimi di euro, con tanto di espositore, disponibili negli autogrill (ma anche in libreria per chi non andasse in vacanza). Non una scopiazzatura in euro del famoso millelire in auge a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, spillato, senza dorso, un foglio di carta 70 100 ripiegato su se stesso, autocopertinato, copyright del geniale Marcello Baraghini. No, stavolta un libro vero: svariate centinaia di pagine, un dorso, una copertina di cartone a colori e persino un espositore a misura nel quale far entrare classici e non solo, spesso in traduzione. Tiratura un milione

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e mezzo di copie, sbandiera lo stesso editore che li promoziona come libri anticrisi, di che fare invidia alla tiratura delle pagine gialle. Unidea editoriale contro quale crisi, per la precisione? Senzaltro non quella delle librerie indipendenti (scarsine sullA1 e sulla Salerno-Reggio Calabria), ormai alla canna del gas per il calo di vendite e le condizioni economiche fuori parametro; non quella delle case editrici indipendenti, che semmai possono limitarsi a guardare sbavando laudace iniziativa di un collega che, nonostante lo slogan della sua casa editrice, indipendente del tutto non pi; non quella delle tasche dei lettori (parola diversa da acquirenti) che buona parte dei classici l riprodotti gli sar gi capitato di leggerli e di averli in casa, forse dalle scuole medie. La retorica marketing vuole che gioverebbe al non-lettore, a colui che non legge, che passa in libreria solo per caso, che non va in biblioteca, che ha finito di comprare libri il giorno della tesi di laurea, questo s un potenziale acquirente. Da qui la specifica missione culturale degli autogrill dellestate 2013: alfabetizzare, diffondere letteratura, riportare al libro chi preferiva il Toblerone (costa molto meno!), alla faccia di Marc Aug e dei suoi non-luoghi. Nonostante il neoliberismo ci abbia da tempo abituati alla corsa al ribasso, non solo del costo del lavoro salariato ma anche del costo di qualunque bene di consumo, con un libro di carta, nuovo, stampato, magari pure tradotto, infilato in un pacco, spedito e messo su un apposito espositore, a 0,99

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euro, si arriva pressoch allapice: oltre questo c solo la gratuit. Certo, non una logica nuova, la si era gi vista con gli allegati editoriali dei grandi giornali: piccolissimi margini di guadagno su una grandissima tiratura e unenorme distribuzione possono fare molto profitto. E di questo si tratta: di unidea commerciale che sa usare la grande distribuzione organizzata, una buona logistica, le librerie di catena e i luoghi ad altissima frequentazione per vendere una merce che a produrla costa tot, per ricavarne un tot in pi; non di uniniziativa per la diffusione della lettura. E di per s non affatto uno scandalo. Ma lo specifico paradosso del libro in quanto merce che per vendersi deve ancora ammantarsi di qualcosa in pi, deve darsi unaura, continuare a dire a quel po di lettore che resta nellacquirente: Guarda che non sono solo una merce. Per venderlo, non basta che costi poco. Diversamente da unofferta di Toblerone, che non ha bisogno di spacciarsi per uniniziativa contro la fame nel mondo. Eppure, solo della merce-libro, solo di un supporto di carta con dentro parole messe in fila, si continua a supporre che sia ben pi di una merce con un prezzo fisso, che abbia un valore aggiunto non misurabile incorporato, che in qualche modo, per chi lo compra, se lo tiene e semmai se lo legge, abbia un beneficio superiore al prezzo di vendita, insomma che faccia bene. Tutte le iniziative di promozione della lettura battono su questo punto: leggere a qualunque costo. A prescindere dal libro, dal suo autore, da come sia fatto, da

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dove sia stato prodotto, da quale sia la sua distribuzione, da quali attori coinvolga, dalle condizioni della sua produzione. In ambito agroalimentare, ormai lo sanno anche i sassi che comprare verdure al supermercato non uguale a comprarle in un mercato a filiera corta o attraverso un gruppo dacquisto. Non perch siano necessariamente pi buone quelle del mercato (ma quasi sempre lo sono), ma perch un sistema distributivo in grande scala ha un impatto notevole su tutta la filiera, al punto da determinare le condizioni in cui si produce, la scelta di cosa produrre, da influire (al ribasso) sui margini di guadagno di chi produce aumentando quelli di chi distribuisce, da costringere il produttore a ununiformit del prodotto. Perch la grande distribuzione non pu accettare le differenze: pu accettare la differenza di un brand, il biologico ad esempio, ma a condizione che sia tutto uguale. Ed proprio in virt di queste differenze, a volte buone, a volte no, che chi non pu o non vuole coltivare verdure a queste condizioni, e chi non ne pu pi o non vuole pi mangiare verdure tutte uguali, sceglie di incontrarsi in un luogo diverso, in un altro mercato. Perch per il libro dovrebbe funzionare altrimenti? Perch la distribuzione di una produzione editoriale massificata, diffusa in grande scala e venduta negli autogrill, nei supermercati o nelle librerie in franchising dovrebbe avere condizioni diverse? E infatti non ne ha. Identico limpatto sulle scelte di cosa produrre, identico quello sullerosione dei margini delleditore a vantaggio di chi distribuisce e ri-

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vende, identica la corsa al ribasso sui costi (tipografia, lavoro editoriale) legati alla produzione, identica leconomia di scala che funziona solo se in grande, che funziona solo con una logistica integrata che da subito prevede il macero (esattamente come per le arance), spesso identico leffetto sul consumatore che si abitua, anche editorialmente, sempre allo stesso gusto. Diversa, invece, resta la percezione del prodotto: quellalone di miseria gustativa e iniquit sociale che ormai accompagna la produzione agroindustriale non si applica allindustria culturale destinata alla produzione di un libro. E per quel lettore al quale venisse il dubbio di considerare una semplice merce un vero libro, seppure piazzato in un supermercato, seppure a un prezzo irrisorio, a contenere il suo dubbio se davvero valga qualcosa in pi del prezzo esibito, se davvero abbia ancora un valore-libro oltre che un valore-merce, beh, a questo pensa il marketing: costa poco, perch un libro anticrisi. Costa poco ma vale molto, perch comunque un libro! allora sorprendente che oggi in Italia non esista nemmeno labbozzo di un discorso sulla differenza editoriale, su quelleditoria che nella sua proposta culturale o nelle sue forme di produzione prova (non sempre riuscendoci) a conservare il segno di una differenza. Su quelleditoria che non impatta il mercato editoriale con una logica del tutto mio e che non muove la leva del prezzo, o dello sconto librario, come una clava. Su quelle librerie che non sanno che farsene dei libri anticrisi, perch anche a venderne cento co-

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pie guadagnerebbero qualche decina di euro. Su quelle librerie e quelle proposte editoriali che non puntano per forza (perch non vogliono o non possono) sul mass market, sul miglior prezzo, e che ancora si pongono come mediatori culturali, che si sforzano di tenere insieme il valore-libro e il valore-merce e che sanno vedere cosa li distingue. sorprendente che le istituzioni pubbliche nemmeno si siano accorte che il problema della non-lettura affonda anche in queste premesse. Come se con lobesit statunitense McDonalds non centrasse affatto! Eppure, forse non ancora per molto, anche nelle nostre contrade rimane chi si inoltrato nellavventura editoriale per ragioni diverse dal non aver trovato adeguato impiego nella gestione immobiliare. Non tutta leditoria anticipi bancari, fattorizzazione, finanziarizzazione, algoritmi di vendita, sell-in, sell-out, buyers, merchandising, franchising, stock, flussi Ancora qualche libraio e, nonostante tutto, non pochi editori provano a tenere duro su progetti culturali (missioni? vocazioni? ossessioni?) che continuano a esistere nonostante le pastoie di chi organizza il mercato. Chi ha orrore del Novecento pu continuare a dormire tranquillo, la critica delle condizioni della produzione culturale in ambito editoriale non coincide con la trasformazione delle librerie in soviet e delle case editrici in tribunali del popolo. Formulare una critica del mercato editoriale, delle sue logiche spesso antieconomiche, delle sue dinamiche dilapidanti interi patrimoni culturali e interi bacini di lettori, e

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persino indicare degli agenti responsabili o designare alcuni dei fattori dannosi che ne sono allorigine, non significa proporre la logica del baratto o della nazionalizzazione della filiera editoriale. Persino le banche e i banchieri, finanche la finanza e le assicurazioni riescono ad accettare la parola critica, non fossaltro per bon ton o perch viene dallilluminismo, che difficile rinnegare. Quanti oggi provano a formulare una critica delle condizioni di lavoro, di circolazione, di produzione, di fruizione del libro nella filiera editoriale sono appunto quei soggetti che ritengono ancora possibile (e urgente) trovare strumenti per arginare quella corsa al ribasso endogena al neoliberismo che si abbatte (peraltro in modo alquanto maldestro) sulla nuova frontiera dei prodotti culturali. Cosa che, con diversi gradi di intensit, avviene grosso modo ovunque in Europa e non solo. Se contadini, vignaioli, coltivatori e consumatori (o meglio coproduttori) hanno trovato pi modi per segnare una differenza, costruendo le condizioni di altri mercati e di altre produzioni, forse ci riusciranno anche gli intellettuali impiegati nelleditoria e coloro che per il momento si ostinano a definirsi lettori. Magari, oltre il ristretto orizzonte dellitalianit, urge un incontro delleditoria indyeuropeo.

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Rimettere in discussione il modo in cui lavoriamo
Collettivo 451 Quella che pubblichiamo una versione ridotta del testo La querelle des modernes et des modernes, redatto dal Collettivo francese 451. Il Collettivo 451 lautore dellAppello dei 451 pubblicato dal quotidiano Le Monde il 6 settembre 2012, di riflessione e critica sulla situazione della produzione culturale relativa al libro in Francia. Fanno parte del collettivo vari addetti del mondo editoriale, da correttori di bozze a stampatori, passando per agenti commerciali e bibliotecari. Alla pubblicazione dellappello, per altro sottoscritto da decine e decine di intellettuali e scrittori, seguito un intenso dibattito poi sfociato nellopuscolo La querelle des modernes et des modernes, disponibile in versione integrale in http://les451.noblogs.org

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na delle dimensioni essenziali del libro quella di essere una merce, della quale il pensiero materia prima. La sua concezione, produzione, foliazione, rilegatura, diffusione, distribuzione, vendita, fino allacquisto, avvengono a partire da ci che autori ed editori hanno pensato: e ci accade tanto per la ricetta di cucina quanto per la teoria fenomenologica passando per i versi in rima. Viene poi fabbricato con macchinari e computer, stampato con inchiostri chimici su carta proveniente da foreste. Se ne fa la pubblicit. Lo si vende nuovo. Lo si scambia, lo si ruba, ci si specula sopra. Lo si rivende doccasione. Poi, macerato e riciclato, lo si rivende di nuovo. Come tutte le merci, il libro inscritto nella societ capitalistica e genera sia valore che sofferenza. Uno dei miti che intendevamo contestare con lAppello dei 451 risiede nella diffusa illusione che le idee sarebbero separate dalleconomia, che se ne starebbero l ad agitarsi in un mondo etereo, sconnesso dalla realt. Laddove unidea, uscendo dalla sfera dellintimit e del privato, diventa un oggetto suscettibile di essere trasformato, diffuso, negoziato in forme artigianali o industriali, dentro economie globalizzate o filiere corte. Per questo abbiamo paragonato il libro a un pomodoro: per ribadire la necessit di una riappropriazione dei saperi pratici allinterno dei quali si inscrivono le produzioni intellettuali. infatti possibile fare un parallelo pertinente tra la storia della produzione agricola e quella del libro: in entrambi i

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settori ritroviamo gli stessi processi di massificazione, di abbassamento della qualit, di aristocraticismo del gusto e di concentrazione monopolistica. Oggi la filiera del libro articolata, ad esempio, intorno al problema della distribuzione, settore decisivo che spesso impone i propri interessi agli altri attori, agli editori a monte, ai librai a valle: situazione che ricorda quella meglio conosciuta delle grandi catene di distribuzione agroalimentare, delle verdure o del latte ad esempio, che hanno progressivamente portato, nei confronti dei contadini, alla confisca del diritto di scelta sulle loro produzioni e a una concentrazione dei luoghi di vendita. Il parallelo regge anche per la situazione di sovrapproduzione dei libri, dove la smisurata quantit di unit fabbricate per uno stesso titolo dipende non dalle valutazioni di vendita, ma da un intento di saturazione del mercato. Si sa che presso i principali editori, ben prima della messa a scaffale, una buona parte della produzione destinata al macero. Inoltre il termine di due mesi concesso ai librai per pagare i distributori, quello di tre mesi concesso ai distributori per pagare gli editori, e la possibilit di restituzione delle rese fanno s che i libri siano prodotti e distribuiti a partire da ci che ne dicono gli agenti di vendita in libreria (non sempre sinceri) o dalla notoriet degli autori, molto raramente da una vera lettura dei libri. Infine, la tendenza degli editori a pagare importanti anticipi agli autori di successo ben prima della stesura del libro, o a non pagare affatto autori esordienti, comporta una produzione di titoli la cui qualit

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spesso incerta. Tutto ci rivela che il denaro che circola nel mondo del libro tende a finanziarizzarsi, a fondarsi sul credito e su uneconomia immateriale svincolata dai veri dati di vendita e dal valore delle opere proposte. La catena del libro (dalla produzione di idee fino alla sua commercializzazione passando per la fabbricazione delloggetto-libro) cos sottoposta a logiche di management gi denunciate altrove, guidate dal profitto e da unideologia della crescita. Pu quindi finire per essere accompagnata dagli stessi orrori economici delle industrie petrolchimiche o agroalimentari. Rispetto a questa situazione c chi cerca di resistere, ovvero di organizzarsi per svolgere una professione a condizioni che non cedano alla barbarie circostante. A niente serve contrapporre piccoli e belli a grandi e cattivi: le pratiche sono diversificate e non possibile circoscrivere il valore di un libro alla sua origine. Un bellissimo libro pu provenire da procedure industriali e uno mediocre da una piccola casa editrice indipendente che stampa presso una tipografia di quartiere. Eppure, se la qualit delle idee e degli argomenti o la bellezza di un testo non sono in funzione del loro supporto, opportuno valutare i diversi modi di produzione mettendoli in relazione con le idee che diffondono. Anzich accontentarci di leggere e scrivere delle malefatte del capitalismo sulle pagine di un libro, abbiamo allora provato a metterci in condizione di agire sulla nocivit direttamente connessa alla produzione di libri. Cerchiamo cos di

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prendere coscienza di quale sia il nostro posto nella societ moderna, riflettendo sulla nostra produzione e sui nostri modi di fare: riflettere ad esempio sul modo in cui un saggio sul capitalismo si inserisce nel capitalismo stesso. E da qui proponiamo di rovesciare quel luogo comune il quale vorrebbe che in uno scritto conti solo il messaggio ivi contenuto poco importa come sia diffuso, poco importa il suo contenitore. In un mondo in cui le idee sono confusamente mischiate, i valori relativizzati e le discussioni depoliticizzate, formuliamo la seguente domanda: il modo in cui si produce un libro oggi non conta pi, o almeno altrettanto, delle idee che contiene? O, per dirla altrimenti, perch sembra accessorio trovare una coerenza tra medium e media nella produzione editoriale? Una volta scostato il sipario delle idee, facile osservare cosa sia in gioco in ogni passaggio della produzione e della diffusione di un libro: ognuno cerca di aumentare i propri margini, di negoziare vantaggi, di conservare corsie preferenziali o di divorare gli altri Anche nel mondo del libro ciascuno tira a s la coperta. Da un editore a un altro, da un libraio a un altro, tra stampatori e tra autori, la legge banale: quella della concorrenza, incrementata da un gioco egoico forse pi esacerbato che altrove, dato il carico simbolico veicolato dagli oggetti intellettuali nella societ moderna. E queste dinamiche iperliberiste si scatenano nella totale ignoranza delle specificit di ciascuno, da un mestiere allaltro.

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Per questo, come Collettivo 451, ci siamo interrogati sulla separazione in quanto specificit di questa condizione comune, e una delle nostre aspettative, per quanto modesta, quella di facilitare la reciproca conoscenza degli interessi, delle contraddizioni e dei vicoli ciechi di ognuno di questi segmenti che formano la filiera del libro. Daltra parte certo che, al di l delle separazioni indotte dalla struttura economica nella quale siamo immersi, altre gerarchie costituiscono la nostra relazione con il mondo: ad esempio, la divisione tra manuale e intellettuale, tra scritto e orale, tra maestro e ignorante. Queste categorie sociali che separano i membri di una societ, attraverso la sedimentazione del movimento delle idee, impongono effetti di potere e di dominio; vanno quindi pensate collettivamente, cosicch si faccia uno sforzo di decostruzione e di invenzione di forme capace di contenere tale tendenza. In questo il libro e la cultura in genere giocano un ruolo fondamentale rispetto a molti altri meccanismi di potere. In unepoca che vede i paesi dominanti su una soglia postindustriale, e il lavoro immateriale oggetto di svalorizzazione, il capitale culturale si lega pi che mai al capitale finanziario ed entrambi non smettono di marcare la frontiera tra il dentro e il fuori delle nostre societ. Possiamo anche affermare, deplorandolo, che di pari passo alla costituzione di unindustria culturale si costituita una cultura dellindustria, in tutte le sue forme: materiale e soggettiva. Lacquisizione di piccole case editrici indipen-

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denti da parte di grandi gruppi, in una logica di concentrazione dei capitali, impone una redditivit e una produttivit che lambiente delleditoria pu sopportare solo a condizione di pubblicare libri di qualit mediocre ma che vendano. Cos si insinua tra gli editori una logica sorniona: consapevolmente pubblicheranno sempre pi libri brutti per dare vita a pochi titoli di qualit, sempre pi esigui. Allo stesso modo la moltiplicazione di megalibrerie a spese di piccole strutture indipendenti comporta unostentazione di titoli seduttivi e molti tentennamenti nellordinare opere difficili, alla fine reperibili solo su Amazon, se abbiamo la fortuna di averne sentito parlare. La conseguenza quella di un impoverimento e di unomologazione del pensiero: i modi per formulare una critica o esprimere un parere si stemperano, indicizzati sul criterio del profitto, e diventano parte di una produzione industriale di soggettivit. I libri, con il vaglio delle idee che contengono, con le singole scelte editoriali, con la produzione di manualistica scolastica, si riducono a veicolo di idee ricalcate sui valori dei dominanti. Per questo la riflessione sui mestieri che facciamo non si riduce a poste in gioco corporative, ma interroga la responsabilit che tutti abbiamo nei confronti del divenire dellambito critico, delle esperienze estetiche e dei problemi sociali. Sappiamo anche che siamo parte di un meccanismo sociale e culturale generatore di violenze e di umiliazioni. Nello slancio che ha portato alla nascita del Collettivo 451 cera il

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desiderio comune di rimettere in discussione il modo in cui lavoriamo. Se si considera che lavorare con i libri ha una dimensione politica, allora bisogna porsi domande come queste: qual la funzione sociale di un libro? Come si veicolano effetti di potere nei luoghi destinati al libro? La produzione intellettuale chiusa in un ambiente autoreferenziale? Ci che accade nel settore editoriale molto simile a ci che accade in altri settori: si tratta di una logica diffusa che va oltre le specificit di singole professioni o attivit. Per questo, per formulare correttamente una critica che vada oltre i nostri interessi, bisogna avviare una discussione con insegnanti, educatori, tecnici, lavoratori sociali Il filo che stiamo tirando attraverso il libro ci serve da guida per parlare degli sconvolgimenti antropologici in corso. Lautomatismo del ricorso allinformatica da quando suona la sveglia finch si va a letto, le pratiche compulsive davanti a uno schermo, o pi semplicemente la trasformazione dei nostri modi di pensare in relazione ai cambiamenti delle pratiche di lettura, tutto questo ha delle conseguenze su ci che diventiamo, sia per quanto attiene le nostre facolt fisiologiche e neurologiche, sia per il nostro essere sociale. Nellanalizzare questo modo di essere al mondo, imposto dallinformatica e dal marketing, acuito da un liberismo esistenziale, ci confrontiamo con un altro problema: quello del tempo. per darci il tempo di affinare la nostra critica, ma anche di ridere e sognare, che intendiamo procedere passo per passo. Nello scrivere queste righe continuiamo a imma-

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ginare le premesse di quelle che potrebbero essere misure concrete di fronte alla situazione attuale: sindacati, cooperative, assistenzialismo, spazi comuni Per precisare tutto questo, oltre che di parole nuove, abbiamo bisogno di incontri. Traduzione dal francese di Ilaria Bussoni

Mauro Staccioli, Arecibo 04, Universidad de Puerto Rico, III Sculpture Symposium, 2004. Acciaio Corten, 500 x 500 x 30 cm. (Foto Jos Prez-Mesa).

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Per farla finita con le briciole


I cento fiori delleditoria spagnola
Alfonso Serrano

ulla terrazza di un bar i clienti bevono birra, e allimprovviso arriva una folata di vento. Un breve e fortuito elemento di disordine, e le patatine cadono a terra. Famelici si avventano un paio di piccioni e un passerotto, poi ne arrivano altri. Qualche tavolino pi in l altri clienti finiscono laperitivo. Una scena creata dal vento, unimmagine eloquente per lo stato delleditoria in Spagna: grandi gruppi seduti al tavolo e unorda di piccole case editrici indipendenti che lottano per accaparrarsi qualche patatina. Ora dovr spiegare perch questa immagine mi sembra esplicativa Prima di tutto, chi sono i piccioni e il passerotto? Piccole case editrici, distributori e librerie che si inseriscono nella

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filiera economica della catena del libro. Persone con orientamenti e obiettivi molto diversi. Per alcuni si tratta solo di lavoro, di commercio, per altri in gioco una vocazione, per altri ancora si tratta di militanza Persone diverse che condividono uno spazio comune e che negli ultimi anni hanno dato vita a una molto apparente profusione di nuove piccole librerie, case editrici, collane Dal 2002 sono comparsi in Spagna pi di 3100 nuovi marchi editoriali, quasi 300 allanno ma pi della met di questi nascono per pubblicare un solo titolo. Un dato rilevante anche il fatto che dal 2002, ogni anno, un migliaio di editori cessano di operare in maniera temporanea o definitiva. Abbondanza, certo, ma anche sterminio di massa. Passiamo alle patatine: non sono tante, ma qualcosa c. Osservando in dettaglio i dati forniti da ministeri, sindacati e istituti di statistica di Francia, Italia e Spagna, la conclusione non pu essere che una ripetizione di quanto gi si dice in molte sedi: la maggior parte delle cifre sembrano uscire da una seduta spiritica. A fronte della seriet con la quale lUnione Europea si impegna a studiare la diffusione delle nuove tecnologie nei diversi paesi europei, la lettura e le pratiche culturali associate al libro non godono della minima attenzione. Non esistono statistiche e studi seri che rendano possibile confrontare la realt del libro e della lettura nei diversi paesi dellUnione. Lunico modo per impostare un confronto consiste nellanalizzare la contabilit nazionale di ogni singolo Stato. L possibile individuare una voce

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di spesa specifica dedicata alleditoria, che pu ulteriormente suddividersi in voci dedicate alla pubblicazione di libri. Sorpresa: nella maggior parte dei casi gli ultimi dati disponibili sono del 2010; per avere accesso a documenti pi dettagliati bisogna fare domanda, ma questi dati sembrano comunque riservati agli uffici studi delle banche (sic!). Un altro confronto possibile: lanalisi della composizione della spesa privata che comprenda una voce dedicata ai libri, alle librerie e agli articoli di cancelleria. Qui la spesa e questo uno dei dati pi significativi nel caso spagnolo non neanche la met di quella francese, e rimane molto lontana anche dal dato italiano, che pi vicino a quello francese. Continuiamo con le patatine. Un confronto sar utile anche per smontare il mito di uneditoria spagnola florida che potrebbe contare sullimportante bacino di lettori latinoamericani. In realt ci ritroviamo un settore editoriale (libri) con un peso in termini commerciali inferiore alla met di quello francese, e pi o meno equivalente, o di poco superiore, a quello italiano. E a proposito delle famigerate esportazioni in America Latina: esistono, ma non pareggiano la cifra delle esportazioni del libro francese. E continuano a diminuire con picchi significativi nellultimo decennio (nel 2011 meno 50% rispetto al 2001). Riassumendo: il volume di denaro che si muove intorno al libro in Spagna non neanche la met di quello francese, e i parametri sono pi vicini a quelli italiani (per numero di addetti, volumi stampati, giro daffari). Italiani e spagnoli, insieme, non raggiungono la

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Francia n per giro daffari n per quantit di copie stampate Certo, vero che tra questi paesi ci sono differenze significative anche dal punto di vista demografico, ma la tendenza rimane quella: a sud delle Alpi e dei Pirenei regressione, mentre le cifre francesi continuano a crescere. Che invidia! In Spagna il volume daffari si ridotto di oltre un quarto dal 2007, e non si tratta di un dato legato solo alla contingenza della crisi pi recente: si tratta di una riduzione progressiva che dura ormai da una decina danni, tanto che nel 2011 sono state pubblicate un terzo delle copie pubblicate nel 2005. Ancora un confronto: nel 2011 le case editrici spagnole hanno speso in totale 193 milioni di euro per pagare i diritti di autori, traduttori ecc., mentre la Francia ne ha spesi 427. Pi del doppio. Ma le patatine non spiegano tutto possibile delineare un quadro strutturale continuamente messo a dura prova da meccanismi totalmente antieconomici. Tutti noi abbiamo conoscenza e/o esperienza di case editrici e librerie economicamente in perdita, che tuttavia rimangono in piedi grazie a chi ci lavora. E le statistiche non danno conto di alcuni fenomeni poco comprensibili, come per esempio le cifre elevate di produzione teorica (in titoli) che si registrano in Spagna. Cifre che per non hanno un ritorno concreto neanche per quanto riguarda le tirature: la tiratura media dei titoli in Spagna inferiore di quasi sei volte rispetto a quella francese.

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Le cifre non ci portano molto lontano, ma forse ci aiutano a spiegare qualche ulteriore dettaglio. Come, per esempio, la relativa salute di cui godono le librerie indipendenti (cio non facenti parte di nessuna catena) rispetto alla situazione francese o italiana. In Spagna queste non soffrono troppo per la crescita delle vendite via Internet, n per la concentrazione delle vendite come nel caso italiano (catene librarie per un 40%, a fronte di un 14,5% nel caso spagnolo e un 23% per la Francia). Sembra cos che in Spagna la posizione delle librerie indipendenti si sia consolidata negli ultimi anni. Sono state le grandi catene a subire maggiormente un calo di vendite. Congratulazioni, vecchi librai! E per chiudere con le cifre, ancora una curiosit che gioca a favore delle piccole case editrici: mentre queste hanno un fatturato complessivo cinque volte inferiore a quello dellinsieme dei grandi editori (approssimativamente 329,46 milioni di euro a fronte di 1.774, 97), dedicano alle traduzioni un investimento molto maggiore di quello dei grandi editori (1,72 milioni di euro contro 1,27). Finora ci siamo affannati a contare le patatine e a stabilire le differenze tra i piccioni, i passeri e gli altri convitati al tavolino. Ma ci sfugge la cosa pi importante. Le patatine sono volumi di vendita, dietro i quali ci sono i libri. E chi ci lavora. Libri, carta, lettere, lettura Unattivit molto particolare. Buona o cattiva? Utile o inutile? Non ci sono pi cifre che tengano: qui bisogna scoprirsi, bisogna saltare. Saltiamo!

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Qual il ruolo dei libri, delle librerie, delle case editrici nella contemporaneit sociale? Qui finiscono le cifre e inizia linterpretazione. La maggior parte della produzione libraria, la maggior parte dei luoghi e dei contenuti dedicati al libro sono mero intrattenimento e mero consumo. Le patatine che passeri e piccioni si contendono sono libri che non servono a niente. Sono mero infotainment. E chi scrive non sa che farsene Anche se persino nei prodotti peggiori rimane un po di potenza, quella di un tempo e di un pensiero diversi. E qui ho finito con le patatine Libri, librerie e case editrici si collocano sempre in un ambiente, in un determinato contesto. Sarebbe facile cavarsela dicendo che un momento caotico, il nostro. Monopoli, disoccupazione, disuguaglianze, insicurezza, precariet, difficolt per chi povero e vantaggi per chi ricco, sfruttamento (o auto sfruttamento, o anche entrambi), spettacolarizzazione mediatica, cacofonia questo il nostro contesto, e questo il contesto dei libri, cos come quello delle mele, dei vini, dei salumi lo stesso contesto per tutti. Ma, come editore, sono stato io a scegliere i libri, non loro a scegliere me. Ed stata una scelta cosciente. Ho scelto di combattere, perch sopravvivere una battaglia. Ho scelto i libri, e come me molti altri: aprendo librerie, case editrici, organizzando festival letterari e distribuzioni indipendenti. In molti hanno scelto di mettere in movimento libri, prototipi mentali e una temporalit del tutto particolare. Prototipi e temporalit anticiclici come parte di quel lento processo

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che fare rete. Reti che continuano a crescere, nonostante i molti attacchi subiti. Noi continuiamo a intrecciare reti: i libri lo consentono, con i loro tempi lenti, con i loro prototipi mentali, con le loro differenze. Reti che strutturano comunit a Madrid, a Barcellona, in Andalusia, nei Paesi Baschi O, per meglio dire, accompagnano e, nei casi migliori, connettono. Tracciano un sentiero, disegnano una mappa. Oggi in Spagna e siamo ben lontani da tutta quella massa di piccioni in cerca di patatine e briciole tutto questo movimento di case editrici indipendenti, librerie, distribuzioni alternative, biblioteche nate nei centri sociali, fiere alternative e festival di poesia impegnata, disegna una mappa. I nodi e i rapporti che si sviluppano sono differenziati, a volte conflittuali, ma in grado comunque di tracciare percorsi. Di costruire supporti, di propiziare transiti, di facilitare derive. E tutto questo lo fanno in una societ del capitale, dello sfruttamento del lavoro, eppure si continua a tessere. Con un ritmo di lavoro lento e faticoso. Perch le cifre passate in rassegna poco sopra mostrano come la diminuzione delle vendite si sia fatta sentire soprattutto nelle grandi librerie, mentre le piccole librerie, le piccole case editrici indipendenti e alternative continuano a esistere. E, forse, continueranno a esistere proprio perch non sarebbero mai dovute esistere. Perch sono antieconomiche. Perch sono il risultato di illusioni, forse di volont sbagliate Ed attraverso esse che vogliamo riuscire a disegnare la meravigliosa mappa di una ragione antieconomica. Una ragione materiale, ma

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profondamente antieconomica, se per economia dobbiamo intendere la subordinazione del volo alla lotta per le briciole. Traduzione dallo spagnolo di Nicolas Martino

Mauro Staccioli, Rotonda della Besana 87, Milano, Besanaottanta, 1987. Ferro e cemento, 700 x 2000 x 100 cm. (Foto Enrico Cattaneo).

Altri percorsi di lettura: Editoria Indyeuropea

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Ilaria Bussoni Libri a qualunque costo Collettivo 451 La querelle dei moderni e dei moderni Torna al men

Il tempo delle scelte

SCUOLA DIGITALE

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La didattica e i feudatari del web
Giuseppe Dino Baldi

a storia dellintroduzione delle tecnologie digitali nella scuola italiana fatta tutta o quasi di paradossi, nei modi, nei tempi, nelle convinzioni dei protagonisti. Un esercizio utile per non rimanerne intrappolati potrebbe allora prescindere di netto dal quadro di realt: fare come se la maggioranza delle classi disponesse di infrastrutture adeguate a utilizzare contenuti e strumenti digitali, gli insegnanti fossero formati e motivati a guidare il processo di innovazione, gli editori scolastici fossero a loro volta pronti e ben disposti ad assecondare il cambiamento, e infine il quadro legislativo fosse chiaro, coerente, accompagnato da opportune azioni di sistema e soprattutto stabile. Viceversa, per tacere del resto, la legislazione che obbliga al

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passaggio dal cartaceo al digitale si barcamena tra accelerazioni e frenate, tra laspirazione a una forte discontinuit (nella convinzione inespressa che unistituzione conservativa come la scuola non possa cambiare per un processo naturale) e la necessit di mediare con gli interessi degli editori, lostilit e linadeguatezza di una parte degli insegnanti, la mancanza delle risorse economiche indispensabili per sostenere il piano, lincertezza negli obiettivi. Nel frattempo di scuola digitale si dibatte molto, e molte sono le sperimentazioni e i progetti speciali: la scuola italiana, anche per lambito delle tecnologie, il regno delle splendide eccezioni, dei casi di studio da convegno; mentre sarebbe necessaria e urgente una fase di applicazione strutturale dellinnovazione: non solo per non disperdere le poche risorse disponibili in mille rivoli spesso senza esiti, ma anche perch la normalit una delle poche armi utili a disinnescare il protagonismo naturale delle tecnologie, che inficia molte delle discussioni su questo argomento. Dal digitale come fine al digitale come mezzo al servizio della didattica, come ulteriore strumento nella cassetta degli attrezzi dellinsegnante: avremo modo di ritornarci. Per adesso, tutta questa premessa serve solo a porre un assunto che ha il valore di una petizione di fiducia: pur tra difficolt, incoerenze e rallentamenti, si avviato allinterno della scuola un percorso in una direzione ormai tracciata. Ma qual , per quanto si pu capire oggi, questa direzione? Quale tipo di cambiamento asseconda e presuppone?

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Le motivazioni che guidano lintroduzione dallalto del digitale nelle classi sono, mi sembra, sostanzialmente quattro: diminuire il peso degli zaini; diminuire il costo dei libri; aggiornare la scuola a quel che accade fuori dalla scuola; rinnovare le pratiche didattiche. Tralasciando il primo punto, non centrale in questo contesto, il secondo implica che il costo di produzione dei libri digitali sia in assoluto minore del costo di produzione dei libri cartacei. un presupposto solo parzialmente vero che sottende al tempo stesso il consueto ma non meno insidioso massimalismo rispetto alla nozione di digitale, dietro al quale pu stare di tutto, dalla scheda in pdf alla simulazione interattiva. Qui basti dire che, anche prescindendo dal Cd-Rom o da altri supporti di distribuzione offline (e dunque a fronte del risparmio in stampa, magazzino e distribuzione), la produzione di risorse digitali di qualit pu avere costi molto elevati; che per un editore diciamo tradizionale le voci di spesa non comprendono soltanto lo sviluppo a regime, ma anche linvestimento necessario a implementare una nuova macchina progettuale, produttiva e organizzativa; che, se queste risorse non vengono concepite in maniera obsoleta, occorre uninfrastruttura tecnologica che le accolga e dia loro un senso, la quale va creata e a sua volta mantenuta nel tempo (un tempo che nellinformatica, noto, viaggia molto rapidamente); che, infine, in questa fase di transizione nella quale non esistono veri standard, un produttore costretto a barcamenarsi tra formati e device che impongono spesso sviluppi e percorsi

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di testing differenziati. Sono le prime cose che chi viene chiamato a occuparsi di sviluppo digitale costretto a spiegare al proprio editore, vittima spesso anchegli del luogo comune secondo il quale il digitale costa meno. Se poi i contenuti multimediali-interattivi possono diventare in prospettiva una leva per la diversificazione dellofferta scolastica, a oggi per questo ambito un mercato non esiste, e il digitale viene solitamente offerto gratuitamente a chi adotta il libro tradizionale. Del resto, se venisse venduto, il pedaggio imposto dai distributori (30% Apple e Amazon) e lIva al 21% anzich al 4% difficilmente giustificherebbero un prezzo di vendita inferiore del 30% rispetto al cartaceo (come indicato nel decreto Profumo, ancora in vigore nel momento in cui scrivo). Larretratezza tecnologica della scuola italiana invece un dato di fatto incontestabile; per si pu contestare che nella scuola debba valere la stessa idea di progresso che vige fuori dalla scuola. Giustamente Roberto Casati (Contro il colonialismo digitale) polemizza con quanti concepiscono linnovazione come un processo automatico, da accettare senza discutere. La scuola italiana, nella logica dei modernizzatori, sarebbe inadeguata a instaurare un dialogo con i cosiddetti nativi digitali, ovvero con quei giovani, nati convenzionalmente dopo il 1996, per i quali il digitale una lingua madre, mentre per gli immigrati sarebbe una seconda lingua appresa e compitata con difficolt. Le tecnologie, dunque, non soltanto come strumento per migliorare il

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setting di studio, ma come modalit per attivare un processo conoscitivo con chi non conosce altro modo per comunicare. Qualcuno, ad alti livelli, ha spinto la fiducia in questa nuova umanit fino al punto di considerare i nativi digitali un veicolo di innovazione spontanea, portatori per cos dire di un contagio che, se accolto e favorito, invader progressivamente la scuola e poi la stessa societ, modernizzandola dal basso. laltro paradosso degli studenti che insegnano ai maestri, un luogo comune al quale si lega molta della diffidenza, o addirittura del rifiuto, che gli insegnanti nutrono nei confronti delle tecnologie, rispetto alle quali sono in qualche modo condotti a provare un senso di inadeguatezza (nel comprenderle, nellutilizzarle concretamente). Eppure, come ormai da tempo chiaro, i nativi digitali non esistono: sono una trovata mediatico-promozionale che non ha riscontro nella realt se non in un senso assai meccanico e sterile. Chiunque abbia a che fare con bambini e ragazzi anagraficamente nativi sa bene quanto siano lontani dallavere con le tecnologie un rapporto spontaneamente maturo e consapevole. Al pi si pu parlare di una certa manualit, di unempira: non esiste alcuna competenza digitale innata da parte di chi nato dopo una certa epoca, non c nessun cambiamento antropologico in corso. Al contrario, in un contesto mediatico cos ricco di stimoli e di rumore, diventa letteralmente vitale la capacit di svolgere ragiona-

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menti complessi, di utilizzare puntualmente lintelligenza critica: la scuola, anzich imparare dagli allievi, dovrebbe dunque rivendicare il proprio ruolo anche per lambito dei contenuti e degli strumenti digitali, in parte rafforzando le competenze di valutazione delle fonti e aggiornandole ai casi della rete, in parte introducendo in classe temi di web education: quali sono in Internet i centri e i modelli di diffusione delle informazioni, come funzionano i meccanismi autoritativi che ne sono alla base, quali sono le forme di condivisione, quali i linguaggi. Al fondo di molte delle iniziative ministeriali pare esserci la convinzione che le tecnologie siano portatrici di innovazione di per s. Introduciamo in classe un tablet per studente, una lavagna interattiva, dei contenuti digitali, una connessione che permetta di accedere ad altri contenuti open e magari a qualche forma di socialit di rete, ed ecco che la scuola si rinnova: limportante ridurre il ritardo rispetto al mondo circostante. Su temi cos delicati io credo sarebbe lecito attendersi maggiore lucidit. Se si assolutizza il concetto della rispondenza tra fuori e dentro, la scuola a rigore serve a poco, perch non c niente di pi allineato al mondo esterno del mondo stesso. Se invece la scuola deve continuare a essere quel luogo altro nel quale accade qualcosa che ha a che fare con la didattica, allora non le si pu chiedere, rispetto alle tecnologie, di arrendersi senza condizioni. Lintroduzione di strumenti e tecnologie digitali in classe utile e auspicabile, ma bisogna essere in grado di mettere

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in gerarchia gli obiettivi e avere consapevolezza del contesto di riferimento. Lingresso del digitale, come di tutto il resto, deve essere subordinato a un progetto, al fondo del quale ci sar la trasmissione e preservazione del paradigma culturale che ci rende quello che siamo (una tradizione, dunque), e anche, nei casi migliori, leducazione a un dialogo critico con la tradizione e con il mondo. Questo soprattutto se si intende il digitale in funzione non solo strumentale (e gi sarebbe un obiettivo nobile e ambizioso), ma come leva per il rinnovamento dei metodi di insegnamento; che unaltra, come si detto, delle motivazioni a cui viene legata lintroduzione del digitale a scuola. banale ma forse non inutile ripetere che linnovazione nella didattica ha una curva diversa rispetto allinnovazione nella tecnologia. Si possono usare strumenti vecchi per fare cose nuove, e strumenti nuovi per fare cose vecchie. Se do allinsegnante un testo in pdf da stampare o lo leggo su un eBook reader, se metto un test a risposta multipla sulliPad o introduco lo stesso contenuto in forma di gioco multimediale, non innovo la didattica. Ma un foglio e una penna sono sufficienti per impostare in classe un sofisticato modello di Problem based learning. Purtroppo oggi pi frequente il caso in cui la tecnologia, lasciata in mano ai tecnologi e non presidiata (o solo subita) dai didatti, contribuisce a reintrodurre in classe metodologie vecchie capziosamente rivestite di uninnovazione solo formale, modelli obsoleti di derivazione comportamentista, dinamiche biunivoche di insegnamento/

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apprendimento, la concezione di un sapere chiuso, nozionistico, non problematico. Se dunque si vogliono aggiornare i metodi e le forme tradizionali di trasmissione del sapere, io temo che le tecnologie da sole non siano la strategia giusta. Non lo sono nella scuola come non lo sono, per dire, nella politica: non c nessuna relazione tra un iPad e nuova didattica, come non c fra streaming e democrazia. Il che non vuol dire che le tecnologie siano neutre, fredde, inerti. Al contrario, sono portatrici di una propria intelligenza, hanno una forza intrinseca che tuttavia conduce spesso in una direzione divergente rispetto a quella propugnata dai paladini dellinnovazione. Per quello che oggi il quadro delle forze in campo, portare in classe una tecnologia con un certo livello di sofisticatezza significa introdurre una componente che di fatto fuori dalle possibilit di controllo dei legislatori e degli insegnanti, e quindi esporsi al rischio di contaminare lambiente di apprendimento con qualcosa di fortemente connotato da ogni punto di vista. Per questo io credo che sia prioritario mettere gli insegnanti e gli studenti in grado di fare una scelta, pi che imporla per legge. un aspetto che mi pare troppo sottovalutato, forse perch espone allaccusa di vieto anticapitalismo; qui tuttavia non si tratta di ideologie, ma di qualcosa di molto pi concreto e reale. Apple, Google, Microsoft, Amazon, per citare i maggiori protagonisti del settore, non stanno lottando fra loro per imporre un prodotto hardware o software, ma ecosistemi complessi e sostanzialmente

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chiusi (de facto, se non de iure) nei quali i contenuti formativi e informativi sono, prima ancora che un business, la leva per introdurre ad altri prodotti e servizi, tutti indissolubilmente legati fra loro. Questi ecosistemi presuppongono non utenti generici e meno che mai studenti, ma consumatori. Chi lavora nel settore educativo ha ben presente quanto possano essere generosi con la scuola i feudatari del web. La scuola per loro non primariamente un mercato diretto: troppo piccola, almeno fino a oggi, la torta disponibile. La scuola quel luogo in cui viene messo in mano agli studenti, agli insegnanti e alle loro famiglie un filo dArianna che, tirato piano piano, conduce dentro al labirinto; un luogo talmente pervasivo e con una tale capacit di attrazione che rischia di fagocitare la scuola stessa. quello che accade quando si mettono accanto entit di cui una ha a malapena le risorse per sopravvivere, e laltra invece assomma una capacit di investimento e di azione che raramente organizzazioni private hanno avuto in passato. la pericolosa illusione che si possano colmare le lacune di investimento rispetto alla prima utilizzando le risorse messe a disposizione dalla seconda. La storia piena di esempi su cosa accade, tipicamente, in casi del genere. una delle cose che mi hanno insegnato a scuola.

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Mauro Staccioli, Senza titolo Fosso, Mercato del Sale, Milano, 1981. Cemento, scavo in profondit 220 cm, dimensioni ambientali 500 x 2500 x 220 cm. (Foto Enrico Cattaneo).

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Educazione americana

EDUCAZIONE AMERICANA

Educazione americana

Rio de Janeiro, lo scorso luglio, sono nuovamente apparsi i book bloc, quella pratica politica intrapresa a Roma e poi dilagata in diverse mobilitazioni in Europa e non solo. Tra i molti scudi-libro che hanno attraversato la capitale brasiliana ne comparso uno con la scritta + educao opresso, segno della persistente centralit della formazione anche in quelle esplosioni tumultuose nate al di fuori di scuole e universit. Le recenti manifestazioni muovono dalla chiara rivendicazione di voler condividere la ricchezza prodotta socialmente da uno dei principali protagonisti delleconomia sudamericana. Al contempo la richiesta di accesso alle risorse e al welfare va di pari passo con il rifiuto dellesclusione sociale e dei processi di gerarchizzazione che hanno cristallizzato la societ brasiliana. Eppure, nonostante le specificit locali e levidente affinit dei tumulti brasiliani con quelli recentemente diffusi nel Mediterraneo, intravediamo una costante presenza di rivendicazioni legate alla formazione co-

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s come il protagonismo di soggetti esclusi dalle istituzioni educative o imbrigliati in sistemi di dipendenza e misurazione come quello del debito studentesco. Queste rivendicazioni sono divenute patrimonio condiviso dei movimenti sociali dispiegati nel continente americano e, in molti loro aspetti, sono estremamente affini ai problemi posti dai movimenti studenteschi europei durante gli ultimi anni di radicale contestazione del Processo di Bologna. La scelta di dismissione del pubblico, la mercificazione e la dequalificazione del sapere, cos come la produzione di processi di gerarchizzazione ed esclusione sociale possono essere considerati i cardini attorno ai quali si costituita una guerra allintelligenza, un feroce attacco a tutti quei soggetti protagonisti delle nuove forme di cooperazione sociale. Al contempo le mobilitazioni organizzate inizialmente negli ambiti classici della formazione hanno immediatamente posto il problema del suo superamento, rifiutando le vertenze settoriali e intrecciandosi con le pi eterogenee figure produttive che abitano le metropoli. I recenti movimenti hanno tentato, spesso riuscendovi, di costruire un immaginario e pratiche comuni a livello transnazionale nel segno dellirrappresentabilit e della rottura con il paradigma neoliberale, aprendo nuovi spazi in cui creare una radicale alternativa sia nel mondo della formazione che nella societ pi ampia. La scelta di collocarsi nello spazio americano non ha nulla a che vedere con il volgere lo sguardo europeo verso il la-

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boratorio latinoamericano per rintracciare una sorta di materia empirica su cui applicare teorie o esperienze maturate nellormai decaduta fortezza. Piuttosto evochiamo il Processo di Bologna, di matrice europea, in quanto esperimento neoliberale caratterizzato da uno statuto tendenzialmente globale. Cos come ha avuto carattere transnazionale il ciclo di lotte sulla formazione che, dalla bolla della new economy fino allattuale crisi economica, ha contestato il modello educativo, svelandone liniquit e lideologia della retorica meritocratica. I quattro discorsi di una provocatoria educazione americana compongono uno scenario ridotto rispetto al pi vasto continente, una mappa parziale di sperimentazioni politiche nate allinterno delle pi recenti mobilitazioni: analisi di parte legate a una costante ricerca di dispositivi organizzativi capaci di diffondersi nella societ a partire dal processo educativo e dalla critica dei saperi. In questa mappa non ci sono laboratori, n la riduzione dellambito americano allormai decaduta potenza statunitense, ma territori che compongono nuove regionalit, affatto coincidenti con i confini degli Stati. Una mappa che interroga la nostra esperienza e arricchisce la riflessione politica attraverso uno spazio di relazione con attivisti e ricercatori la cui presa di parola, in forma di testo o di intervista, intensifica le connessioni dal Nord al Sud del continente. Discorsi che provengono da Buenos Aires, Montral, Rio de Janeiro e Valparaso per intercettare le tendenze comuni, le affinit tra corpi

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capaci di produrre sapere vivo e i nodi problematici su cui i movimenti si stanno confrontando nel presente. Innanzitutto limpatto delle politiche neoliberali e della finanziarizzazione nellambito educativo, nonostante le specificit locali, ha avuto esiti piuttosto omogenei in termini di privatizzazione e smantellamento dellistruzione pubblica. Da un lato questo processo ambisce ad aumentare il numero degli studenti indebitati, tanto che ormai sono molti a guardare alla mole del debito, in particolare nordamericano, come la prossima bolla speculativa pronta a esplodere. Dallaltro lobiettivo di innalzare il confine dellaccesso alla formazione moltiplicando le linee di segmentazione e ampliando cos lesclusione sociale di un numero sempre maggiore di persone. Tale esclusione si basa su processi di razzializzazione che impongono una linea del colore netta e rigida anche allinterno dei luoghi della formazione, ma anche sullo stigma del fannullone inadeguato alla competizione capitalista e disadattato rispetto alla societ. Insomma, corpi che sono perennemente fuori luogo per il loro essere troppo formati o poco bianchi, troppo radicali o poco docili alleducazione del biocapitalismo. Gli scioperi a oltranza, le affirmative action e le imponenti manifestazioni hanno imposto lirriducibilit dei movimenti sulla formazione alla vertenza studentesca, affermando la centralit delle strade delle metropoli come territorio sovrano in cui si fa nuova soggettivit.

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Nellaffrontare le esperienze di resistenza e dunque la relazione tra lotte sociali e formazione ci inoltriamo, infine, nel mondo variegato delle esperienze di educazione popolare e delle pratiche di autoformazione, in cui la critica dei modelli pedagogico-educativi conduce alla creazione di vere e proprie istituzioni autonome.
Claudia Bernardi e Alioscia Castronovo

Altri percorsi di lettura: Eric Martin Oltre gli scioperi studenteschi Bruno Cava Il colore della quota Roberto Vargas Universit autonoma e lotte sociali Intervista a Natalia Polti di Claudia Bernardi e Alioscia Castronovo Bachilleratos populares Torna al men

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Dopo la primavera degli aceri in Qubec
Eric Martin

l Canada non si mai opposto alle pressioni internazionali di aumentare le tasse universitarie. Secondo la Canadian Federation of Students la quota dei bilanci universitari coperta dalle tasse studentesche pi che raddoppiata fra il 1985 e il 2005, ci che a sua volta spinge al raddoppio del debito studentesco. Gli studenti dellOntario hanno un debito medio di 25.000 dollari canadesi e il debito complessivo supera i 15 miliardi, mentre in Qubec gli scioperi su larga scala del 2005 e 2012 hanno contenuto il debito studentesco e le tasse di iscrizione a un livello pi basso. Al contempo sono forti le pressioni politiche e ideologiche per adattarle alla media canadese e al modello americano delluniversit-azienda.

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Nel libro Universit Inc. Maxime Ouellet e io abbiamo dimostrato come linsistenza sullincremento delle tasse e del debito sia giustificata da un discorso falso e ideologico sul sottofinanziamento autonomo delluniversit. La vera ragione, secondo Pierre Dardot e Christian Laval, cos come per Maurizio Lazzarato, di creare una serie di costrizioni per produrre un comportamento coerente con le richieste dellaccumulazione capitalistica finanziarizzata. Questa nuova forma di governamentalit non poggia sullautorit, sulla dottrina politica o la forza per imporre costrizioni sulle soggettivit studentesche. Piuttosto crea un ambiente di semimercato nel settore educativo, con suoi propri indici di prezzo (le tasse di insegnamento). La sottostante convinzione ideologica afferma che il processo decisionale decentralizzato e individuale migliore della pianificazione statale centralizzata nello scegliere dove gli studenti dovrebbero investire il loro tempo e il loro denaro, ci che a sua volta porta a un miglior adattamento del mercato delleducazione ai bisogni del capitale finanziario che cambiano rapidamente. Questo apparato scenico incompleto senza la trasformazione dello studente in imprenditore del proprio capitale umano, che deve scegliere il programma sulla base di una logica costi/benefici. Naturalmente i soldi per cominciare il gioco non sono regalati, ma prestati mediante un credito; questo chiude il sistema, dal momento che ognuno vincolato nel nuovo mercato educativo, scommettendo su ideologia e comportamento: se

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non calcolano e non investono bene, andranno in bancarotta. Questo meccanismo disciplinare non si presenta come un controllo autoritario verticale, bens come la libert di investire su se stessi. Gli studenti sono liberi di comportarsi da investitori, ma questo significa altres che non sono pi liberi di comportarsi... da studenti. Per le lite canadesi e del Qubec luniversit con i suoi studenti fannulloni uno spreco di soldi se essi non possono dimostrare la loro rilevanza e utilit in termini misurabili, economici. Il ruolo delluniversit di forgiare cervelli per la grande industria, ha detto lanno scorso Guy Breton, rettore dellUniversit di Montral. Llite si presenta come desiderosa di usare luniversit per aiutare il Qubec a essere competitivo e lottare nella guerra economica globale. Studenti, professori e universit sono descritti come disadattati alla realt del XXI secolo. Il recente sciopero studentesco contro laumento delle tasse universitarie, il pi esteso nella storia del Qubec, stato considerato violento dai media a causa delle proteste di massa, e le richieste di abolizione delle tasse sono state ridicolizzate e bollate come utopiche e irrealistiche. Ma gli studenti sono stati capaci di svelare gli interessi di classe celati sotto il discorso ideologico sugli aumenti e hanno guadagnato un significativo appoggio popolare contro un governo afflitto da scandali per corruzione e allontanato dal potere nelle elezioni del settembre 2012.

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Infatti il movimento studentesco del Qubec molto ben organizzato, mentre nel resto del Canada non esiste in pratica una resistenza efficace alla mercificazione delle universit. Con lappello delllite a dissociarsi dalladattamento al modello canadese lo sciopero ben presto diventato il problema di preservare leccezionalismo socialdemocratico del Qubec in un Nord-America neoliberale. Sebbene molti studenti radicali si ispirino allanarchismo e dunque siano antinazionalisti, si potevano vedere parecchie bandiere del Qubec durante le proteste pi vaste. Questa riviviscenza del nazionalismo progressivo illustra ancora una volta la differenza nella cultura politica fra il Qubec e il resto del Canada (Roc), ed precisamente per tale motivo che le nuove lite neoliberali vogliono conformarsi al Roc: distruggere i residui di socialdemocrazia e normalizzare la situazione della provincia. Storicamente, il nazionalismo progressivo del Qubec stato spesso dipinto dalla destra anglo-canadese come razzista e fascista. La recente vittoria del Parti qubcois ha segnato la fine dello sciopero, sebbene i problemi di fondo non siano stati risolti. Le proteste sono continuate contro gli attacchi allo stesso diritto di protesta a causa di nuovi restrittivi regolamenti municipali. Gli attivisti radicali sono stati coinvolti in assemblee popolari di vicinato, mentre i riformisti appoggiano un partito politico di sinistra, Qubec solidaire, che mira a costituire una rete eco-socialista. Inoltre sono emersi

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numerosi progetti di universit popolare: c gi un sentiero aperto da seguire per gli attivisti dellultimo anno. Il sentimento generale, ora come ora, di stanchezza e incertezza. Nessuno credeva che lo sciopero fosse una rivoluzione, ma adesso circola nelle menti degli attivisti una domanda: che altro dobbiamo fare dopo un movimento cos vasto e senza precedenti? Le forme autonome, locali, alternative di organizzazione ed educazione sono interessanti, ma resta ancora un problema su tutta la faccia del globo: trovare una via duscita dal neoliberismo e dal capitalismo per linsegnamento e per il Qubec nel suo complesso. Le lite transnazionali sembrano aver trovato un nuovo modo di accumulazione per spossessamento in cui non devono pi farsi carico della crescita economica nazionale come accadeva nel capitalismo fordista. Ma la soluzione in Qubec non pu essere un semplice ritorno alla difesa del nostrano eccezionalismo socialdemocratico. Occorre ora una sintesi delle sue particolarit culturali e della necessit di un progetto universale per sostituire al capitalismo una societ pi giusta ed ecologica. Dopo il pi vasto movimento sociale nella sua storia, il Qubec sembra impaludarsi nellincapacit di articolare la salvaguardia della propria cultura con il rovesciamento del capitalismo, mentre dibattiti falsi e spettacolari oppongono conservatori culturali e liberali multiculturalisti. Invece ci potrebbe essere, da qualche parte, un sentiero ancora non battuto per riconciliare passato e futuro oltre il capitalismo. Lenergica rivolta della

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primavera degli aceri del 2012 spinge ora il Qubec alla paziente ricerca di tale nuova complicit. Traduzione dallinglese di Augusto Illuminati

Mauro Staccioli, Senza titolo, Fondazione Mudima, Milano, 1992. Legno verniciato. (Foto Enrico Cattaneo).

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Il razzismo nelle universit brasiliane
Bruno Cava

al 2002 le affirmative action sulle quote razziali hanno intensificato il dibattito e polarizzato il campo politico della sinistra e della destra. Le prime universit a riservare un numero di quote a studenti neri e indigeni sono state quella dello Stato di Rio de Janeiro e lUniversit di Stato del Nord Fluminense. Se da un lato una politica affermativa non un successo assoluto, dallaltro ha cambiato il volto delluniversit, portando un colorito del tutto particolare con nuove rivendicazioni, valori, idee, stili. Nonostante i buoni risultati nel rendimento degli studenti e il supporto del 65% dei brasiliani, permane una risposta reazionaria. Coinvolgendo criteri razziali, il sistema delle

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quote sta ricevendo un attacco pi feroce rispetto alle altre politiche di inclusione, come i posti per gli studenti nelle scuole pubbliche. Per molti il problema il colore della quota. Nella Universidade Federal do Rio Grande do Sul alcuni gachos indignati hanno scarabocchiato a grandi lettere sulla facciata del campus: Il nero solo nella cucina dello Hu. Altri avversari, pi sofisticati, pubblicano lunghi e imparziali libri per dimostrare che la quota razziale dannosa proprio perch non siamo razzisti. Molti mantengono unattitudine tipicamente brasiliana: essere contrari in silenzio e salvaguardarsi dal razzismo, negandolo e disprezzando la storia del Brasile. Ma non sempre il razzismo cos cordiale, come si visto nel caso degli studenti africani alla Universidade de Brasilia, occasione nella quale stato appiccato il fuoco alle loro porte in stile Ku Klux Klan. Che il Brasile sia un paese razzista del tutto evidente: storicamente razzista, economicamente razzista, esteticamente razzista, culturalmente razzista. La democrazia razziale un mito che serve a perpetuare le disuguaglianze socio-economiche attraverso una modulazione razziale. La tesi del popolo brasiliano come mescolanza di bianco, indigeno e nero ossia il meticcio come substrato della brasilianit camuffa la nostra storia, che lesplicita egemonia del bianco. Sostenere che scientificamente non si possa definire la razza tanto stupido quanto affermare che il nero non esiste. La razza non un concetto biologico. Coinvolge nozioni culturali, economiche e politiche. Il nero c. il risul-

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tato di un processo di esplorazione attraversato da migrazioni forzate, alienazione del lavoro e violenta repressione che si protratto fino a oggi e nel quale il colore sia esso marrone, mulatto, scuro, bruno solo una manifestazione. Laffirmative action non promuove il razzismo, tuttavia riconosce che necessario fare giustizia contro i suoi effetti. Il nodo non eliminare le differenze razziali, ma non permettere loro di continuare a riflettere disuguaglianze brutali. Se riconoscere lovviet dellesistenza di razze razzismo, allora necessario, per cos dire, essere razzista, perch solo in questo modo si potr consentire una discriminazione positiva. Affermare che la quota razziale incompatibile con la repubblica, a causa della cittadinanza formale, vuol dire vivere nel mondo astratto delle fiabe, unastrazione che favorisce la perpetuazione delle disuguaglianze e dellingiustizia. Luguaglianza formale appiattisce le differenze materiali che sono la sostanza stessa della giustizia. Trattare i disuguali a misura di disuguaglianza. Assolutizzare la meritocrazia vuol dire approvare legoismo e lindividualismo. La meritocrazia ingiusta e i concorsi di ammissione sono una fotografia che non cattura la struttura socio-economica e familiare, la quale determina anche la preparazione degli studenti. Il concorso non pu essere un criterio esclusivo. La quota puramente economica, ossia basata sul reddito, non va bene. Anche se in linea di principio un bianco povero

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ha le stesse possibilit di un nero povero, essi non hanno le stesse opportunit nella societ nel suo complesso. Luniversit non un microcosmo o una torre davorio, come ritengono molti intellettuali, ma connessa alla societ. Una societ giusta dipende da uneducazione giusta, motivo per cui anche la migliore educazione. Difendere il generico miglioramento della formazione elementare e secondaria come misura meno onerosa rispetto alle quote significa rinviare le affirmative action alle calende greche, perpetuando la dittatura razziale. Una cosa differente dallaltra. Le due politiche non si escludono a vicenda, si complementano. Ci sono voluti molti anni di negligenza e di ipocrisia su questo tema. Vi ora lesigenza di realizzare una democrazia razziale nella concretezza delle differenze non in dieci o cento anni, ma qui e subito. La militanza dei movimenti neri il modo migliore per far fronte alloppressione razziale: attraverso la resistenza essa manifesta il suo progetto di giustizia e si definisce come soggetto politico. Pi che un catalogo di differenze empiriche, nella lotta comune che risiede la singolarit della razza, espressa a una societ che da sinistra a destra, compresi i giovani non approva o, quando lo fa, si riduce a comoda indignazione. Traduzione dal portoghese di Claudia Bernardi

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Ultime notizie da Valparaso
Roberto Vargas

partire dal 2007 il Preuniversitario Popular y Revolucionario El Cincel e il Centro di Estudios Revolucionario uniscono i loro sforzi per creare uno spazio comune finalizzato a contribuire allorganizzazione dei lavoratori e dei settori popolari. Ci che al momento era solo unidea oggi si chiama Universidad Popular de Valparaso (Upv), un lungo percorso di attivit animate da diverse organizzazioni sociali e studentesche e da numerosi intellettuali. La Upv unorganizzazione che non solo appoggia i movimenti sociali emergenti, ma cerca anche di essere uno strumento capace di contribuire alla creazione di unalternativa, di unorganizzazione capace di

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governare insieme alla maggioranza degli esclusi e degli sfruttati in Cile. La Upv si pone lobiettivo di costruire e connettere gli spazi eterogenei che rivendicano sanit, casa e lavoro a partire dalla formazione dei soggetti in lotta. La Upv non una tradizionale istituzione educativa e non intende riprodurne i meccanismi e i contenuti. Al contrario. Essa prende posizione contro le diseguaglianze e le ingiustizie generate dal sistema per collocarsi nel dibattito politico in maniera critica e radicale rispetto ai contenuti e alle pratiche educative. Mediante corsi, conversazioni e lezioni tratta temi come la ricomposizione sociale, il processo di accumulazione neoliberista e il suo impatto sulle lotte dei lavoratori, la storia del movimento studentesco, i diritti e i conflitti sindacali, i mezzi di comunicazione, leconomia critica e le teorie marxiste contemporanee, le lotte femministe e ambientaliste, ecc. Lesperienza della Upv non pu essere compresa se non a partire delle varie lotte sociali e politiche che si sono dispiegate negli ultimi anni. Esse sono nate dallo scontento sociale, in costante crescita esponenziale, che culminato nel 2011 con lesplosione dei conflitti legati alla questione del gas a Magallanes, con gli scioperi dei lavoratori del rame, il saccheggio delle risorse naturali, la privatizzazione della sanit, il collasso del sistema pubblico, le condizioni indegne di lavoro, la costante e sistematica repressione contro i popoli Mapuche e Rapa Nui, i conflitti regionali che compon-

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gono il lungo elenco di richieste e insoddisfazioni dei cileni rispetto al modello attuale. Il caso pi emblematico di questo acuto malessere legato alla crisi del sistema educativo. Abbiamo visto come migliaia di manifestanti hanno invaso le strade per protestare contro il profitto nel campo delleducazione. Il 2011 ha segnato una rottura per il movimento studentesco, con un salto radicale dalle rivendicazioni e dalle pratiche di resistenza fino a esplicitare questioni programmatiche che il movimento ha messo in campo di fronte al processo neoliberista. Lapporto significativo delle lotte studentesche consiste nellaver reso comuni nella societ cilena rivendicazioni strutturali volte a instaurare un nuovo ordine economico, politico e sociale a partire dalleducazione, che immediatamente si estende a tutta la societ. In questo processo diventa evidente lintenzione di costruire un discorso politico che si ponga lobiettivo della lotta per legemonia: per esempio, rispetto allesigenza di rinazionalizzare il rame e alla necessit di una riforma tributaria che favorisca la gratuit universale delleducazione pubblica. Il corpo studentesco ha fatto proprie le rivendicazioni politiche complessive trovando un ampio appoggio nella societ civile e rompendo cos la nefasta logica dellapatia. Tutto ci emerge chiaramente nella semplice e potente parola dordine impressa nellimmaginario cileno di oggi: No al profitto nelleducazione. Contro lesclusione sociale e lemarginazione provocate dai meccanismi di indebitamen-

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to e privatizzazione, il movimento studentesco sta continuando ancora oggi a lottare. I fatti del 2011 hanno segnato linizio della crisi del modello politico-economico egemone, lorientamento ufficiale ha cominciato a perdere prestigio e credibilit, le ragioni di chi vive un malessere sociale hanno riscosso un vasto consenso tra la cittadinanza. La Upv considera come compito proprio quello di accettare la sfida della costruzione di unalternativa, superando il settarismo ideologico, il riformismo strumentale e il mito della purezza proprio della sinistra. Nel contesto attuale dobbiamo comprendere la realt e saper agire per la costruzione di un potere reale, rafforzare i processi di elaborazione, organizzazione e formazione politica: questo il compito fondamentale di una sinistra che voglia avere come progetto quello di lottare complessivamente per costruire la propria egemonia nella societ. Traduzione dallo spagnolo di Alioscia Castronovo

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Mauro Staccioli, Senza titolo Muro, XXXVIII Biennale internazionale darte, Venezia, 1978. Cemento, 800 x 800 x 120 cm. (Foto Enrico Cattaneo).

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Pedagogia autogestita a Buenos Aires
Intervista a Natalia Polti di Claudia Bernardi e Alioscia Castronovo Lesperienza dei bachilleratos populares nasce dieci anni fa a Buenos Aires, quando il sistema educativo pubblico entra in crisi e arriva al collasso a causa delle politiche neoliberiste. Qual la relazione tra la nascita dei bachilleratos populares e il processo di esclusione dei giovani dalla scuola? Non possibile spiegare la nascita dei bachilleratos populares senza considerare il processo di ristrutturazione dello Stato argentino, che inizia nel 1976 con lultima dittatura e si sviluppa fino al decennio del neoliberismo sfrenato del 1989-1999. Nellambito educativo queste trasformazioni hanno prodotto il decentramento amministrativo e il conseguente passaggio della responsabilit delleducazione ai

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livelli provinciale e municipale (di fatto un disinvestimento rispetto al sistema educativo). Contemporaneamente la legge federale sulleducazione ha ridimensionato limportanza dei programmi educativi per adulti inserendoli allinterno di uno spazio semiresiduale, quello dei cosiddetti regimi speciali, dimostrando un evidente disinteresse rispetto ai giovani e agli adulti in quanto soggetti in formazione. La conseguenza di questa scelta stata disastrosa: nel 2001 circa 14 milioni di giovani e adulti in Argentina erano esclusi dal sistema educativo (il 67% era costituito da giovani dai quindici anni in su). In questo contesto i bachilleratos populares sorgono per dare una risposta a chi vive in una condizione di rischio educativo, cio corre il pericolo di emarginazione dalla vita sociale, economica e politica proprio perch non ha accesso alleducazione. Sebbene la nascita di queste esperienze si iscriva allinterno di una situazione di emergenza, le proposte pedagogiche non vogliono essere semplicemente un aggiustamento provvisorio, superabile col risolversi eventuale di tale situazione, bens il contrario. Si tratta di una proposta politico-pedagogica che intende ripensare e trasformare la funzione sociale della scuola recuperando la tradizione freireana di educazione popolare. Come si pu descrivere il progetto pedagogico-politico dei bachilleratos populares e cosa significa concretamente autogestire il processo scolastico?

Bachilleratos populares

Nel progetto pedagogico-politico delle scuole popolari implicita una visione della scuola che la qualifichi come unorganizzazione sociale, con lobiettivo di formare politicamente i soggetti favorendo lo sviluppo di capacit critiche e riflessive e i processi di autogestione del lavoro. Questo emerge tanto dalle forme organizzative quanto dalle pratiche pedagogiche sperimentate. Per esempio, lassemblea mensile di docenti e studenti il luogo in cui si discute e si prendono decisioni comuni su come debba svolgersi il processo di insegnamento-apprendimento, di quali regole dotarsi, come organizzare le pulizie dei locali, oltre ad analizzare la situazione delle scuole in rapporto allo Stato e realizzare attivit con altre organizzazioni. Il lavoro in classe ci permette di portare avanti un modello educativo sensibile alle diversit degli studenti (sia relativa allet che ai percorsi educativi pregressi) e rompe con il monopolio del discorso favorendo gli interventi personali. Infine vi sono le commissioni di lavoro miste tra studenti e docenti, funzionali a organizzare collettivamente la dimensione amministrativa, la manutenzione degli spazi, le iniziative culturali e lattivit quotidiana della scuola. Come stato possibile ottenere il riconoscimento dei titoli, le borse di studio e gli stipendi? Qual limportanza della lotta nellesperienza educativa?

Bachilleratos populares

Tutti i bachilleratos populares sono daccordo che tocca allo Stato garantire laccesso alleducazione e si sono organizzati fin da subito per esigere il riconoscimento dei titoli, laccesso a borse di studio da parte di tutti gli studenti senza discriminazioni, lo stipendio per i docenti e il finanziamento complessivo dei bachilleratos. Da sempre, come Bachillerato Chilavert, noi abbiamo partecipato, docenti e studenti, a innumerevoli manifestazioni, escraches e lezioni in piazza e continuiamo a farlo perch non tutti i bachilleratos populares hanno ottenuto il riconoscimento e il finanziamento. Cos nel 2008 si sono ottenuti il riconoscimento dei titoli e le borse di studio e nel 2011 la retribuzione per i docenti (ma non per i tirocinanti). La partecipazione degli studenti a questi processi decisiva per la loro formazione in quanto soggetti politici, proprio perch valorizzano i saperi che si formano nellesperienza della lotta. Gli studenti partecipano spesso anche alle mobilitazioni legate ad altri spazi autogestiti, in particolare le fabbriche recuperate. Molte scuole popolari si trovano, infatti, allinterno delle fabbriche recuperate e autogestite dai lavoratori (Ert). Qual il rapporto tra il progetto pedagogico e i movimenti sociali, in particolare con le Ert? Pensare la scuola come organizzazione sociale implica pensarla come spazio di lotta, dove i saperi sono continuamen-

Bachilleratos populares

te messi in discussione. La scuola pu essere uno spazio dove si riproducono rapporti sociali di dominio, oppure un luogo in cui si creano nuovi rapporti sociali, valori e saperi, idee e azioni che tendono alla trasformazione sociale. Presso i bachilleratos populares situati nelle fabbriche recuperate centrale lo studio di una materia particolare, il cooperativismo, proprio perch lesperienza dei lavoratori senza padroni considerata unalternativa reale utile a pensare forme diverse di organizzazione del lavoro. La relazione fra i lavoratori di Chilavert e la proposta politico-pedagogica della scuola si andata consolidando con il tempo, tanto che questanno un gruppo di lavoratori diventato parte del gruppo docente dei corsi di cooperativismo. Gli studenti stanno vivendo unesperienza pratica di autogestione attraverso la realizzazione di una produzione grafica che viene stampata nella stessa fabbrica. La classe si organizza come una vera e propria cooperativa che decide e porta avanti collettivamente tutto il processo produttivo, determinando quanto si deve produrre, curando lediting e la veste grafica, la stampa e la commercializzazione del prodotto, appoggiando al tempo stesso le rivendicazioni e le lotte degli operai e dei movimenti sociali. Traduzione dallo spagnolo di Alioscia Castronovo

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Mauro Staccioli, Arco rampante 08, Giardino di Daniel Spoerri, Seggiano, 2009. Acciaio Corten, 805 x 805 x 90 cm. (Foto Aulo Guidi).

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Personaggi deccezione

PERSONAGGI DECCEZIONE

Personaggi deccezione

ono almeno quattro gli aspetti fondamentali di alcune fiction televisive americane che vogliamo qui mettere in luce. Il primo la dimensione attoriale: queste fiction sono imperniate su personaggi che non si pongono pi come un vessillo di unemancipazione identitaria o di un ethos, non sono dunque pi eroi, ma personaggi deccezione che promuovono nuove forme di identificazione. Il secondo aspetto la questione categoriale che pertiene a tale eccezione: essa si presenta come unestremizzazione delle procedure (professionali e criminali) che finisce per neutralizzare la convenzione morale e lipocrita calcolo sociale dei contrappesi. Non manca infine una determinazione spaziale precisa di tali personaggi (terza caratteristica pregnante): alla centralit di rappresentanza delleroe si sostituisce infatti il carattere intenso della perifericit delleccezionalista. La marginalit sociale del protagonista delle fiction consente di esaltare lautonomia del suo sapere e del suo volere a scapito dei doveri e dei poteri istitu-

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zionali. Infine, sul piano temporale, il personaggio deccezione sogna la rimozione, lamnesia se non lamnistia, perch la sua condotta spesso ingloriosa, disonorevole e senza decoro. Il polo delleccezione cos la protesi spettatoriale esaltante rispetto a unintimit perdente o irrisolta che consente di trovare un polo di comunione.
Laboratorio di Semiotica dello IULM

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Nelle fiction di conservazione
Pierluigi Basso Fossali

a ricerca ansiosa di leader, il solerte credito concesso ai guru, la voga dellopinionismo e il discredito del metodo (soprattutto nellambito delle scienze umane) sono tendenze sociali tuttaltro che irrelate. Attraverso di esse passa ambiguamente tanto la presunta ricetta per i mali della democrazia occidentale quanto la possibile diagnosi delle patologie endemiche di questultima. Si pu ragionevolmente sospettare che la civilt sia malata delle proprie stesse cure o che si autoinduca uno stato di malattia temendo uno sguardo lucido su se stessa. I civili pi illuminati, tuttal pi, inviano una visita fiscale. Allinterno di unindagine sullo stallo che affligge il presente politico ci si pu chiedere se esso non abbia subito ef-

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fetti di rinforzo attraverso diete culturali che sotterraneamente hanno influito in modo del tutto impensato sulle attitudini dei cittadini. Facile prendersela con certa cultura televisiva berlusconiana che, tra laltro, stata in larga parte evitata proprio da quelli che lo stallo lo percepiscono e lo vivono come una condizione personale da cui sortire. Servono altre risposte per spiegare una paralisi che si sospetta possa essere solo immaginaria: risposte di finzione. E queste possono forse cominciare a emergere non appena ci si domandi quale spazio stato riservato negli ultimi anni ai personaggi deccezione nelle nostre diete televisive. Lo sdoganamento della fiction televisiva come un prodotto degno del consumatore culturale pi scafato e raffinato ha consentito di allentare le briglie critiche a favore di una fruizione sempre pi catartica e appagata della saga di protagonisti che rompono regole sociali, metodi ripercorribili, finanche interdetti morali. Questi prodotti arty, almeno da Twin Peaks in poi, hanno condotto unintellighenzia sempre pi deposta nel garage della frustrazione, o parcheggiata nei talk show con lobbligo del motore spento, a coltivarsi in privato una passione: la solerte identificazione in figure come House, un geniale medico malato e di irraggiungibile cinismo (House M.D., 2004-2012); il dottor Lightman, un acido segugio della verit alquanto incline alla menzogna (Lie to Me, 2009-2011); Walter White, un chimico fallito, malato terminale e spacciatore (Breaking Bad, 2008-2013); Dexter Morgan, un poliziotto psicologicamente instabile e avveduto

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serial killer (Dexter, 2006-2013). Non sono che pochi esempi delle ormai innumerevoli fiction, spesso di grande qualit, che pongono al centro un personaggio ambiguo, contraddittorio, uneccezione a resto zero. Infatti questi personaggi di cui non mancano versioni al femminile scompaginano il sociale per la loro individualit incontenibile e irregolare, ma nel contempo non offrono affatto esemplificazioni di come lambiente sociale in cui si muovono potrebbe cambiare davvero. Le fiction si guardano bene dal mettere in scena figure profetiche o che pi semplicemente possano dare lidea di una reale presa sul presente, talch il loro modello possa essere proficuamente esportato. Al contrario, la loro eccezione sub condicione: vale come frattura locale della norma, certo catartica ma che li destina ad apparire comunque come iceberg alla deriva in un oceano di senso comune. In ogni caso non potranno fare scuola, e a tranquillizzare gli educatori vi il fatto che sono un po tutti personaggi disperati. Pi che portatori di un avvento, gli eroi eccezionisti sono degli avventizi. Il primo aspetto individuabile nel personaggio finzionale deccezione quindi il suo paradossale apporto ecologico; porta scompiglio ma rilascia ordine, infrange leggi ma a fin di giustizia (o di scienza), cosicch infine non apre alcuna reale controversia. un rimedio locale al senso di impotenza covato a latere e in segreto dallo spettatore. O forse come una pianta perversa che la notte rilascia tanta anidride sul-

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furea proprio per permettere a giorno di riconsegnarci alluso delle solite bombole dossigeno che chiamiamo consumi. Non bastasse, i nuovi personaggi deccezione esemplificano spesso la superfluit di un periodo di formazione. La loro condizione anomala e impareggiabile dipende tuttal pi da un accadimento mitico, ma la folgorazione dellaccadimento X non spiega mai le loro prestazioni. La straordinaria serie Bbc dedicata recentemente a Sherlock Holmes (Sherlock, 2010-2013) trasforma il personaggio di Doyle non in qualcuno che in grado di fare molte inferenze perch ha prestato la massima attenzione al proprio intorno sociale, ma in un elaboratore di informazioni che provengono dalla pi vasta enciclopedia di saperi che si possa immaginare. Inutile spiegare come Sherlock possa avere immagazzinato tutta quellenciclopedia fatta di informazioni totalmente distanti dalla sua esperienza diretta; sta di fatto che, per comfort narrativo, si d per buona ogni sua suggestiva, vertiginosa ricostruzione. House non studia quasi mai, ma ha freschi tutti i paradigmi eziologici che consentono a un diagnosta di sventagliare le possibilit interpretative anche pi remote e rare. Con ci arriviamo alla seconda caratteristica del personaggio deccezione, vale a dire che questi non ha bisogno di spiegare le proprie competenze; e in tale ellissi della loro acquisizione si nasconde lalibi sociale per cui inutile tentare qualsiasi emulazione, tanto pi che nel personaggio vi

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un gene di genialit non trasmissibile. Ci afferma latamente un paradossale paradigma culturale che si accompagna anche con labbandono di qualsiasi metodo, dato che sono lintuizione, la sensibilit, quando non le doti pi o meno paranormali, a consentire al protagonista di realizzare le sue performance straordinarie. Ci che certo che leccezione finisce per opporsi alleccellenza, visto che questultima richiede la memoria di un perfezionamento; e, coerentemente, i nostri personaggi finzionali non perseguono nemmeno la glorificazione, ossia leccellenza riconosciuta. A ogni buon conto tali personaggi non inducono affatto unemulazione, non invitano a dirigersi verso una ricerca di conoscenza, tanto meno prospettano una mobilitazione civile. Ecco allora che personaggi di questo tipo finiscono per promuovere nello spettatore solo una catarsi sterile, nel mentre paiono incarnare il punto limite di unesaustione della tenuta del sociale. Se sono esaltanti, inoculano nel contempo un po di calmante, se non di oppiaceo per rimanere a una facile allusione al Vicodin con cui House si impasticca tutto il tempo, e cos anche il suo omologo femminile Jackie Peyton (Nurse Jackie). Che importa se mostrata una certa dose di cinismo o di immoralit? Lecologia mediatica ha la buona coscienza di eroi a impatto zero. Non bastasse, pi che pionieri di un avvenire gi in nuce nel presente, i personaggi deccezione svolgono un ruolo grazie agli effetti mediatici a lungo termine di agenti della conservazione.

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Si dir che ci fortemente ripagato dal carisma di queste figure. Ma questultimo appunto la grazia ricevuta di esercitare uninfluenza proprio malgrado: un dono che diviene ben presto lalibi, anche per lintellighenzia, per abbassare le armi critiche. Si cerca un epicentro carismatico per giustificare meglio la propria disoccupazione o lindolenza a prendersi responsabilit dirette. La grazia poi non si insegna, ma si permuta: infatti chi ha la grazia del carisma facilmente graziato da coloro che potrebbero impugnare gli arbitr, se non i crimini perpetrati sotto le insegne del dono. Attorno al carisma si impernia una doppia scusante: riflessiva, tanto c infatti chi risolver tutto (laltro con il dono), e transitiva, tanto c chi assolver gli effetti collaterali (noi stessi del condono). A forza di dosi omeopatiche di quelleccezione che noi stessi fingiamo, la democrazia si fa sempre pi esangue e la societ stessa vive il suo medical drama. Qualcuno dir che la vera malattia non della societ civile, ma dei poteri economici e chiss, in particolare finanziari. Ora, pare auspicabile che venga quanto meno confessata una qualche correit nellinfezione dilagante dello stallo. Certo, si ricorder che gli stati deccezione assegnano alla politica unappariscenza carismatica, ma che infine, pi o meno sotto traccia, prevale un pensiero gestionale, economicista. Senza accorgersi, il desiderio di cambiamento si unisce cos alla comicit provata compulsivamente di fronte a chi vorrebbe una parola politica nuova: c seriet solo

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nellamministrazione, e il carisma serve solo per far spettacolo e ritenere che le poste sociali si muovano in un fronte dellazione rispetto al quale siamo solo spettatori. Sul palcoscenico salgono cos assieme figure istituzionali carismatiche e personaggi finzionali, tanto ricercati quanto poi intransitivi, incapaci di incidere nel presente. Il difetto della realt caso mai che il carisma ha la gambe corte, tant che opinionisti, guru e ameni personaggi della provvidenza si rivelano presto uneccezione forzosa, richiesta su commissione, malgrado lapparenza modesta e posticcia potesse gi suggerire la desistenza. La resistenza democratica si cos cristallizzata in una posa dopo inopportuno testacoda: come raggelata, guarda solo iceberg che hanno il dono di svettare, senza merito o competenza, eccezioni puntuali sospinte da unondata mediatica, nel mentre non si ha pi speranza in alcun avvento che non sia il global warming. Il panorama cinico ha sostituito quello critico, e chi ha il genio di opporsi soltanto caso clinico degno di fiction. Il vero calcolo della nostra condizione (malattie, comunicazione, destini sociali ecc.) vertiginoso e ormai operabile solo da menti che viaggiano a una velocit di elaborazione che finzionalmente surclassa qualsiasi computer. Pensiero per analogia o estensione paranormale delle facolt spopolano come eccezioni narrative che impediscono poi di intentare dei processi alla realt. Il versante delleccezione che va messo a fuoco non quello dellopposizione strenua al-

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la rubricazione (il vecchio spauracchio dellomologazione), ma piuttosto quello della neutralizzazione: nel nostro amare la fiction si nascosta subdolamente uneccezione di rito. In qualche maniera, abbiamo rigettato anche noi il tribunale. E ormai ci comincia a fare storia.

Mauro Staccioli, Al bimbo che non vide crescere il bosco, SR 68 Podere San Nicola, Volterra, Luoghi desperienza, 2009. Ottone, rame, acciaio inox, alluminio, acciaio Corten, 1530 x 25 cm. (Foto Bob Tyson).

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Eccezion fatta, eccezion ficta

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Eccezion fatta, eccezion ficta


Quando la fiction pare denegare se stessa
Giacomo Festi

dai tempi in cui Umberto Eco rifletteva da par suo sul fumetto Superman (Apocalittici e integrati, 1964) che il tema delle relazioni tra mondi finzionali seriali e societ ha conquistato una sua piena dignit. Trasposizione figurata della catena di montaggio, emblema del moderno industriale, la serialit alimenta unattitudine conservatrice dello status quo. In Superman, per dire, lintemporalit del mito si fondeva con la civilt del romanzo. Risentiamo per leco di quei tempi: In una societ industriale contemporanea [...] lavvicendarsi dei parametri, il dissolversi delle tradizioni, la mobilit sociale, la consumabilit dei modelli e dei principi, tutto si riassume sotto il segno di una continua carica informazionale che procede per

Eccezion fatta, eccezion ficta

via di scosse robuste, implicando continui riassestamenti della sensibilit, adeguamenti delle assunzioni psicologiche, riqualificazioni dellintelligenza. La narrativa della ridondanza apparirebbe allora, in questo panorama, come un indulgente invito al riposo, lunica occasione di reale distensione offerta al consumatore (ivi, p. 252). Si fa largo un modello del rispecchiamento: le strutture dei mondi seriali riflettono pedagogicamente i valori dominanti socialmente, in una circolarit di formazioni congiunte (si educa il sociale e si d forma sempre variata allo stesso schema narrativo soggiacente). Sotto sotto, la finzione ridondante sarebbe una forma di doping sociale, calmante o eccitante, ma propria a una versione del consumo intransitivo, incapace di portare su altro, di trasporsi su scenari identitari davvero implicativi come quelli propri alla dimensione politica. Come per le sostanze psicotrope, per, la serialit provoca assuefazione e si richiede una continua inoculazione di dosi di innovazione per rigenerare quel carattere avvincente necessario a far presa sullo sguardo spettatoriale. Da qui linteresse a osservare da vicino il panorama contemporaneo della fiction televisiva, dato che essa si trasforma in accoppiamento con i pubblici che ne godono, indicandoci come mutano i modi di sensibilizzarsi, cosa sia in grado di avvincere ancora, e come si estenda lorizzonte del consumabile dal punto di vista delle logiche produttive. La fiction, insomma, una frontiera del consumo grazie alla propria capacit di costruire mondi narrativi e laborato-

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ri identitari. Proprio per questo, si direbbe, essa paga oggi lo stallo e la crisi: la carenza di un immaginario dellavvenire, lassenza di nuovi assi valoriali portanti, lo sfibramento delle logiche di genere (science-fiction, western ecc.). Di qui i processi di estremizzazione o di contaminazione dellesistente e il tentativo di reperire sfondi narrativi relativamente vergini. A volo duccello, oggi la fiction presidia parabolicamente la Storia e i suoi periodi (le fiction dambientazione, da Mad Man alla produzione scorsesiana Boardwalk Empire), infonde di magia tecnologica le sempreverdi detection poliziesche (i vari Csi), si bea di un gioco narrativo metalinguistico (vedi le filiazioni lynchiane, Lost su tutti). Ma c qualcosa daltro, recentemente, che pare indicare un salto qualitativo nellofferta della fiction e, quindi, nel rapporto con il pubblico. Ci riferiamo a House M.D., a Dexter, a Breaking Bad, a Bones, a Lie to Me, per citare le principali. Fiction non pi interessate a mettere in scena una coralit collettiva ma centrate su un unico personaggio, spesso urtante, difficilmente accettabile socialmente, financo riprovevole. Insomma, si scalza la figura delleroe modello per sostituirlo con alcuni personaggi che qui proponiamo di leggere sotto la chiave delleccezione. Il personaggio deccezione lesito della ricerca di uno stralcio di identit ancora consumabile da uno spettatore sempre pi avveduto. Non ci sono pi nuove fondazioni come per leroe del mito, non ci sono nuovi orizzonti valoriali da far traspirare, incarnandoli, solo linfittirsi di una complessit senza scampo che si intreccia

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con le rovine dei mondi passati. Ma come si declina il personaggio deccezione? Leccezione implica innanzitutto un chiamarsi fuori. House insofferente a regole e protocolli, non indossa il camice, malato come i pazienti, si sottrae al rispetto comunicativo dellaltro, esibendo nelle relazioni interpersonali il proprio cinismo corrosivo e uninsensibilit programmatica. Dexter e White si chiamano entrambi fuori dalla legge e dalla morale, con una differenza. Dexter gi ci che , avendo inventato un suo codice penale, di cui il tribuno e il boia, mentre Walter White (Breaking Bad) scopre pian piano di cosa capace sul versante del socialmente ripugnante pur di racimolare qualche soldo, spacciando, uccidendo, fingendo e mentendo. Leccezione, in secondo luogo, elabora un pensiero del resto e della marginalit. Il destino identitario dei protagonisti esso stesso un resto di vita. La solitudine senza scampo di House trova un rigurgito di significativit nella sfida diagnostica, il resto noia. A Dexter non rimane che elaborare il mascheramento sociale del normale perfetto, per coltivare il suo impulso assassino come unico motore diniziativa. A White diagnosticano un resto di vita, che vorrebbe chiudere con un lascito, se non altro economico. Ma ogni progettualit che mette in campo produce eccedenze e imprevisti che lo trascinano in un circuito infernale di abbruttimento del s, fino a farlo diventare davvero un antieroe, in una sorta di chiusura del cerchio.

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Leccezione, infine, funziona come squarcio sulle cornici costruite del sociale, grazie anche a quel ricordo deroe che il barlume dellintelligenza. Il personaggio deccezione tanto irrisolto sul piano affettivo quanto capace di una cognizione deccezione. House, ad esempio, da un lato spoglia le interazioni dalla comodit dei giochi di faccia e dallaltro getta luce, grazie ai pazienti che gli arrivano in ospedale, su alcune tensioni che attraversano i domini sociali. Giochi di potere, difficili convivenze di medicina e religione, imprevisti risvolti legali ecc.: ogni puntata riannoda a suo modo plausibili pezzi di societ contemporanea. La voice over di Dexter, invece, ci fa vivere quasi da fuori, in osservazione di secondo ordine, tutte le situazioni che lo vedono recitare sul palco del sociale, denunciando una dimensione affettiva programmaticamente inaccettata. White, infine, una figura di frontiera che riannoda la facciata da salvare dei rapporti inter e intrafamiliari al rimosso di ogni possibile abiezione, mostrandoci il lato nero della societ americana. Se il personaggio deccezione non pi, quindi, un modello mitizzabile, preserva tuttavia un tratto portante del concetto antropologico di mito (leggi Lvi-Strauss), invitando a chiedersi se oggi non sia demandato proprio alla fiction il compito di costruire narrativamente qualcosa di simile ai miti antichi. Egli infatti un trickster che incarna contraddizioni, traduce tensioni culturali senza risolverle davvero. Volendo riassumerle nel loro scheletro strutturale: House

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sperimenta la dialettica tra volont di sapere e guarigione. Assorto interamente dallinteresse per la scoperta di una verit della malattia, cinicamente indifferente alle sorti del paziente, incontra nonostante tutto lefficacia curativa. Dexter invece un giustiziere che fa sparire i portatori di morte della societ, i serial killer, ma lo fa uccidendoli, non chiamandosi fuori dallo stesso insieme. La serialit si confronta qui con il proprio doppio fantasma, la serialit assassina. In Breaking Bad il sacrificio personale per la famiglia (concedersi al narcotraffico per garantire una sopravvivenza economica alla propria famiglia) travolge e sacrifica tutto il senso dellagire. Tali fiction, in sostanza, sfruttano la contrapposizione tra architettura narrativa e semantica identitaria. Mentre da un lato preservano nella sintassi degli episodi un orizzonte minimamente socializzabile e apprezzabile (una guarigione, la neutralizzazione di un serial killer, il futuro di una buona famiglia americana), si addentrano nelloceano del riprovevole, dellinganno, del negativo, elaborando una sofisticata semantica delle identit in gioco. Lambiente interno dei personaggi deccezione, come esemplificano i dilemmi etici di White o i paesaggi interiori disegnati dalla voce di Dexter, pareggia i conti con lambiente esterno. Il personaggio deccezione ci attrae come una voragine di senso pronta a implodere. Il paradosso apparente che qui la fiction sembra persino denegare se stessa: Breaking Bad il caso limite, saga quasi

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cinematografica in cui lepisodio singolo non lascia pi intravedere alcuno schema ripetitivo. Tali esperimenti si sottraggono, in fondo, al patinato, alle passioni spettatoriali del monitoraggio, recuperando una schiettezza e una durezza nel mettere al centro la morte, la violenza ingiustificata, labbruttimento morale. un sociale, insomma, di cui si mostra la carne viva, e leffetto di vividezza dipende proprio dallimpressione di una complessit di scrittura analoga a quella dei mondi extratestuali, laddove il carattere securizzato di altre serialit invita fin da subito a una distanza critica. Qui, noi spettatori consumiamo il consumarsi dei personaggi deccezione, in una vertigine di combustioni incrociate, dissolvenza incrociata del senso. Non rimane allora che una domanda: ci sar un dopo? Altri percorsi di lettura: Valentina Carrubba Lo specchio di Calibano Personaggi deccezione Pierluigi Basso Fossali Effetti di carisma Torna al men

Lo specchio di Calibano

PERSONAGGI DECCEZIONE

Lo specchio di Calibano
Sulle soglie dellidentificazione
Valentina Carrubba

n personaggio deccezione in una serie televisiva sembra quasi una contraddizione. Perch la serie, normalmente, cerca di catturare un pubblico vasto, e il pubblico vasto dovrebbe corrispondere alluomo comune. Leccezione, per, non affatto comune, e anzi dovrebbe essere proprio il contrario di quel che di tutti. Eppure il personaggio deccezione arrivato nelle serie ottenendo, suo malgrado, un gran successo. Intendiamo parlare di individui come Gregory House (House M.D., 2004-2012), Dexter Morgan (Dexter, 2006-2013), Walter White (Breaking Bad, 2008-2013) e Sherlock Holmes (Sherlock, 2010-2013), ma gli esempi si potrebbero moltiplicare e si moltiplicano nelle nuove serie. Sono personaggi di genio

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che, per intelligenza e creativit, si distaccano per ogni verso dalla norma e dalla banalit di tutti gli altri, violando regole, leggi e costumi. Se ci si chiede cosa ci faccia un carattere simile in un serial tv, si potrebbe ragionevolmente pensare che interpreti il diffuso bisogno di rottura degli schemi, e si potrebbe pure fantasiosamente sperare che indichi qualcosa come una nuova tavola di valori. Un personaggio che fungesse da modello, daltra parte, dovrebbe prestarsi a una qualche forma di assimilazione, mentre il suo potere mobilitante dipenderebbe da unidentificazione. Ma nelle serie di cui parliamo il protagonista non qualcuno di cui si possano calcare le orme identitarie: troppo geniale per poterlo emulare, troppo particolare per poterlo modellizzare, sembra non volersi concedere allidentificazione. E sembrer che questa sia una conseguenza necessaria delleccezionalit. Contro questo parere basta immaginare qualche soluzione diversa, la quale mostrer che (e come) si scelto di valorizzare leccezionalit. Certamente leccezione comporta una dose dirriducibilit, la descrizione di una singolarit che evade ci che comune. Ma un personaggio eccezionale potrebbe comunque ammiccare alleccezionalit dello spettatore, potrebbe mettere in scena unindividualit che ispiri una ricerca esistenziale, potrebbe agire argomentando una scelta di autenticit, potrebbe insomma spostare lidentificazione sul piano di un principio generale, un principio di ricerca, un principio di metodo, un principio filosofico, come quello che

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dice che tutti siamo unici e irripetibili, o che dobbiamo diventarlo, come lui, passando per la terra di nessuno. Oltre al fatto che il personaggio non si possa n seguire n emulare, queste serie fanno s che la sua eccezionalit sia a tal punto irriducibile che finisce per corrispondere a unantisocialit. Tra le doti delleccezione, come nel suo concetto, ci sarebbe una disposizione al conflitto con la norma. Ci che si argomenta, narrativamente, unopposizione tra laffermazione di una singolarit e la violazione di uno o pi punti del contratto sociale. Lidentificazione del personaggio parte perci da uno zero in condotta per avanzare, in via deccezione, verso un regime di concessivit: nonostante sia un serial killer, Dexter uccide solo i killer; nonostante tratti male i pazienti, nonostante li umili e si prenda gioco di loro, House il migliore dei medici; nonostante sintetizzi metanfetamine, White un paladino dei valori familiari; ecc. Entro questi limiti si rende possibile unidentificazione, che procede di soglia in soglia e che arretra quando le si mostra laspetto reversibile della concessione (nonostante Dexter uccida solo i killer, tuttavia un killer). Lo scoglio etico superato quando levasione del protagonista dalle regole si sia spiegata nei termini di un trauma infantile, di una malattia, di unipertrofia di qualche facolt. Le sue doti eccezionali, daltra parte, non mancano di suscitare ammirazione, facendo apparire, se non la realt, il miraggio di unemulazione. E se questa mobilitazione finisce per urtare contro lesclusivit della dotazione, si pu cercare di abita-

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re leccezione nel suo rapporto con quel che comune. Ci si trova allora da una parte e dallaltra del conflitto, provocati a provocare con un semplice assenso spettatoriale. La soglia dellidentificazione si pu spostare allinterno del personaggio, per seguire la sua voce finch non diventa il canto delle sirene. Cos, in Dexter, il conflitto di sangue con la societ si assume fino al limite di unestetizzazione del corpo a corpo e del carnale. Il colpo, il taglio, la variet del fendere e dello stringere, gi dalle immagini della sigla, sono azioni di cui si mostra la bellezza quotidiana, mentre si apre unambiguit sugli oggetti cui potrebbero riferirsi. La passione del killer si pu assimilare sotto ogni aspetto formale, ma il suo contenuto resta ripugnante. Coscienti in buona parte dellanimo di Dexter, e della parte buona, si assiste a quella che la sua rappresentazione sociale. Ci che socialmente accettato, socialmente conveniente, socialmente ammirato, appare nella cornice della menzogna, che mostra i canoni della costruzione di un bravo ragazzo. Questo conflitto di sangue, che si descrive nella prima persona, trova una direzione narrativa inversa nel conflitto intellettuale di Sherlock. Oggettivato e in terza persona, il suo sguardo si oppone allo sguardo parziale, limitato e soggettivo degli altri. Lidentificazione si ferma sul protagonismo metonimico dei suoi occhi, glacialmente intelligenti e inaccessibili da un punto di vista passionale, fatta eccezione per la passione di sapere. Quel che si pu partecipare della sua identit appartiene alla scienza che lui stesso, e soltanto

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lui, potrebbe costruire. La sua visione delle cose ci offerta a titolo di una dimostrazione che, in secondo ordine, dimostra la sua eccezionalit, assieme ai limiti delle altrui facolt. I nostri ragionamenti lo irriterebbero, i nostri discorsi lo annoierebbero, i nostri sentimenti genererebbero disprezzo: noi non sapremmo intrigarlo, mentre lui ci riesce a tal punto che lo vediamo in una doppia rappresentazione, attraverso il nostro schermo e attraverso gli schermi del suo mondo, come se avessimo bisogno di molti occhiali per capirlo. Il caso di White quello di un conflitto di volont, tra eteronomia e autonomia. Il suo genio nella chimica fa da scorta allaffermazione progressiva e asintotica, ma soprattutto faticosa, di unindipendenza. Il protagonista si evolve nella serie, riscattandosi dallimmagine iniziale di un uomo medio, perdente, impotente, frustrato, impacciato, represso. A tutto questo la prima puntata aggiunge la sfortuna, nella diagnosi di un tumore che, oltre a dargli due anni di vita, lo fa tossire e vomitare e quindi resistere figurativamente ai nostri impulsi didentificazione. Ci si comincia a identificare quando il personaggio intraprende il suo percorso di antisocialit, dandoci qualche prova di un carattere deccezione. Eppure tra il suo piano demancipazione e i suoi tratti attoriali c uno scarto che fatica a ricomporsi: la sua imperizia nellazione, le sue esitazioni, la sua ingenuit estenuano anche lidentificazione, che si sposta sempre un po pi in l del personaggio, come se fosse lui a seguirla, ma lentamente

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e arrancando. una lacunosit della realizzazione, una sua imperfettivit che si d anche a livello di rappresentazione sociale. White non riesce a nascondere del tutto le sue occupazioni e deve mentire, ma non mente mai del tutto, come non dice mai tutta la verit. Confessa alla moglie di aver compiuto unazione illegale, ma le confessa un crimine inferiore rispetto a quello che ha commesso. E lo stesso far pi tardi coi suoi amici, scrivendo e recitando, assieme alla moglie, il finto copione di chi incappato nel vizio del gioco. Anche qui, come in Dexter, si fanno appunti sulle sceneggiature del sociale. Appunti che diventano centrali nella serie di House, dove il conflitto un conflitto che verte sulle rappresentazioni, sui costumi e sugli usi ritenuti convenienti. il personaggio che esprime in maniera pi compiuta lanelito alla catarsi delleccezione, a cominciare dalla sua capacit di costruire per differenza una cornice del sociale. La figura del medico stravagante tiene insieme il doppio riferimento della parola catarsi al campo medico e al campo teatrale. House cura i malati sul piano fisico e per li ferisce sul piano sociale, convinto che la loro guarigione dipenda dallo svelamento di una qualche menzogna. Del resto, dal suo punto di vista, mentono tutti, in una farsa sociale che egli non evita mai di svelare, mancando ovunque di tatto e discrezione. La sua eccezione mira a sospendere ogni valore condiviso, dalle regole della conversazione alle norme di comportamento, che vengono scimmiottate, iperbolizzate, ridicolizzate, pro-

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iettate insomma entro i confini di una rappresentazione. Lidentificazione con House avviene nei limiti della sua mancanza di tatto, e nella concessione di qualche momento lirico che ci fa intravedere il suo animo tormentato, chiuso sul fronte della comunicazione. Ma la questione si complica quando diventiamo doppiamente spettatori, mentre il medico teatrante ci presenta la sua caricatura del sociale. Allora si resta sulla soglia dellidentificazione, tra la riflessione di Calibano e uno specchio che non sembra fare nientaltro che deformare. Sono casi che interpretano diversamente uno stesso rapporto tra eccezione e conflitto, in una progressione al limite dellidentificazione. Ognuno provoca e offende qualche rispetto di un uomo sociale: la sua dimensione corporea, la sua intelligenza, la sua volont, le sue rappresentazioni. La norma violata su pi livelli, dai costumi alle leggi, dalle regole di conversazione alle massime di comportamento. Eppure, se leccezione mette in questione parecchi principi del viver comune, non ci presenta, delluomo eccezionale, nessuna immagine positiva. Quando si raccolga quello che il personaggio ci ha lasciato al di qua della soglia dellidentificazione, dopo aver denunciato lovviet del vivere comune, non ci resta che qualcosa di astratto: ogni contenuto delleccezione sembra scomparire quando si faccia scomparire quello cui si oppone. Disgiunta dalla parodia sociale, la rappresentazione di House diventerebbe una specie di pura riflessivit critica;

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sganciata dalla passione criminale di Dexter, lestetizzazione del corporeo non indica nessuna azione; senza un confronto con la stupidit degli altri, lintelligenza di Sherlock solo un inno alla deduttivit; senza lopposizione del mondo, il volere di White non si sarebbe mai nemmeno faticosamente destato. Ci resta dellintelligenza, del genio, anche della creativit; ma non sono che vuote facolt. Lidentificazione sembra dover perdere di vista il proprio legame con luniverso dei valori, con una proposta di contenuto. Ci si trova soltanto a spostare delle soglie, tra linterno e lesterno del personaggio, tra la sua immagine privata e quella pubblica. Decidiamo in modo vario i confini della menzogna, comprendiamo i meccanismi della societ e, siccome la serie intelligente, se siamo intelligenti comprendiamo anche il nostro decidere dei confini della menzogna, comprendiamo il nostro comprendere il meccanismo della societ ed chiaro come lo spettatore raffinato possa sentirsi attirato da cotanta coscienzialit. Ma, a parte un ottimo esercizio di riflessione, non si capisce cosa ci sia dentro a tutte queste comprensioni, n tanto meno cosa ci sia dentro al personaggio deccezione, se non questo gioco di specchi. Lidentificazione ci porta sul suo contorno negativo, costruito e ispessito nel conflitto con la normalit. Al di l di questo confine c una landa desolata in cui si vede qualche meccanismo della serialit. Se ci si chiede quale sia il destino del suo carattere nel mondo della serie, si potrebbe pensare che la serie vada avanti anche per-

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ch crediamo di poter inseguire una qualit e di poterla, in qualche modo, assimilare. Cos speriamo che House diventi propositivo o che White si emancipi del tutto, ma bisogner ammettere che, se mai lo diventassero, dovrebbero consegnarsi alla normalit: il personaggio, nella serie, vive per evasione dalla sua eccezionalit.

Mauro Staccioli, Parco della Cupa 09, Perugia, 2009. Cinque elementi, pietra serena, 210 x 50 cm cad. (Foto Thomas Clocchiatti).

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Mauro Staccioli

MAURO STACCIOLI

Mauro Staccioli
La scultura attraverso lobiettivo
Simona Santini Il viaggio alla scoperta del lavoro di un artista non pu dirsi completo se non accompagnato dallesperienza e dal rapporto diretto con le sue opere. La forma, la materia, il colore, le dimensioni, ma anche gli odori, i suoni, la luce, insomma tutto ci di cui lopera vive, possono essere apprezzati appieno solo entrando in diretto rapporto con esse e con il loro contesto. Questo tanto pi vero per gli artisti che fondano la loro ricerca sullinterazione con lambiente, e tra questi sicuramente Mauro Staccioli. Solo attraversando la Fiumara dArte e salendo sulla collina di Motta dAffermo, trovandosi davanti alla Piramide 38 Parallelo, possiamo apprezzare i suoi trenta metri di altezza e il suo ergersi, guardiana del mare. Solo entrando nel suo ven-

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tre possiamo sentire questo grande corpo che respira al ritmo della natura circostante e che protegge la terra che le d sostegno. Solo avventurandosi nella campagna volterrana possiamo scoprire, inaspettate, le sculture che lartista ha voluto installare per segnare un paesaggio culturale a lui conosciuto e caro, in occasione della grande mostra organizzata nel 2009, il cui titolo, Luoghi desperienza, in questo senso non pu essere pi esplicito. Solo sbarcando al molo e imboccando come dabitudine il viale dingresso ai Giardini della Biennale di Venezia, nel 1978, scontrandoci contro il Muro alto e largo otto metri, avremmo potuto percepire il senso profondo di quellostacolo e della necessit, imposta, di deviare da un percorso ormai sterile. Difficile documentare una ricerca di questo tipo, difficile sintetizzare lattivit di quarantanni in poche immagini, ma quelle selezionate e pubblicate in questo numero di alfabeta2 vanno osservate con questa ottica: un modo per trasmettere linfinita emozione che le sculture di Staccioli evocano. Certamente un lavoro arduo, quello del fotografo che queste opere ha interpretato, ritratto e documentato. A lui demandato ci che i nostri sensi non possono provare, a lui si richiede la capacit di trasmettere la sensibilit del luogo, di farci vedere ci che la sola vista non pu. Unimpresa doppiamente difficile quando lopera vive proprio del rapporto con lo spazio che la ospita. Ne nasce un gioco di equilibri, sottile, delicato: il fotografo inizia un dialogo serrato con lopera e il suo contesto, un confronto in cui continuamente

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cambiano i punti di vista, in cui lievi movimenti stravolgono la percezione e segnano il trascorrere del tempo. infatti il mondo intero che passa attraverso le opere di Staccioli e dentro lobiettivo; questultimo deve saper cogliere il momento, la luce, la presenza umana, il significato. Con Staccioli la fotografia deve riuscire a diventare sintesi estrema e allo stesso tempo infinita possibilit. grazie alle acrobazie dei fotografi che lo hanno seguito che possiamo, oggi, apprezzare e rivivere le sensazioni, il clima, la tensione degli anni dei suoi esordi, con immagini che testimoniano la realizzazione di opere create appositamente per luoghi ben definiti, durate il tempo di unesposizione e poi distrutte. grazie ai loro occhi attenti che possiamo visitare il mondo di Staccioli, provando lo stupore di un equilibrio instabile, di una presenza imprevedibile, o abbandonarci alla calma contemplazione di un paesaggio che lo scultore ha posto in cornice. sicuramente Enrico Cattaneo il pi attento interprete del lavoro di Staccioli, fin dallinizio degli anni Settanta. Con il suo uso espressionista del bianco e nero Cattaneo coglie il messaggio dellartista, riduce alle due dimensioni un lavoro che cresceva nelle strade e nelle piazze infiammate, trasforma in immagine una sensazione, traduce lesperienza in icona, come nellormai celebre scatto del passo che varca il Fosso scavato nel pavimento della galleria Mercato del Sale di Milano nel 1981. Sempre questo stesso scatto mostra daltro canto luso paradigmatico che Cattaneo fa della presenza

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umana, soggetto che interviene inconsapevolmente agendo negli spazi. Il fotografo rende cos evidente ci che sottende il lavoro dello scultore, obiettivo che sarebbe comprensibile appieno solo attraverso lesperienza diretta dellopera: la volont di intervenire sugli spazi per dialogare con luomo e trasformarlo da oggetto in soggetto, da semplice e muto spettatore in attenta voce critica. Con larrivo degli anni Ottanta gli interventi di Staccioli si fanno pi sottili e meditati, e anche la fotografia accompagna questa evoluzione e traduce i nuovi, precari equilibri che lartista va componendo, sottolineando insieme il suo rinnovato rapporto con la natura, legame che nel corso degli anni Settanta era rimasto latente, schiacciato dalla volont di analizzare il rapporto conflittuale instaurato dalluomo con lambiente urbano. Vediamo cos, con gli occhi di Cattaneo, sorgere paradossalmente placida la scultura tra gli alberi della Fattoria di Celle, mentre attraverso lobiettivo di Bob Tyson assistiamo al prodigio di un frammento di cemento calato dal cielo e incastonato tra due rami nella rigogliosa natura californiana alla Djerassi Foundation. Immagini diverse, ma capaci entrambe di trasmettere la meraviglia dellinaspettato che ci induce a rivalutare un ambiente che, viceversa, avremmo liquidato con uno sguardo distratto. Sar proprio Tyson, con la sua particolare sensibilit, affinata negli studi di geologia, a scattare le immagini delle opere realizzate a Volterra nel 2009. In questo caso proprio lesaltazione dei colori della terra

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toscana a uscire in tutta la sua potenza espressiva, in sintonia con il desiderio dellartista di celebrare un paesaggio che mostra evidenti i segni di un antico rapporto tra luomo e il suo territorio. Recentemente lo sguardo di Luca Guarneri ha raccontato la piramide in acciaio Corten sospesa tra terra, cielo e mare allinterno della Fiumara dArte, mentre quello altrettanto esperto di Antonio Renda ha saputo sintetizzare le molteplici suggestioni della mostra ospitata nel Parco Archeologico di Scolacium a Roccelletta di Borgia, vicino a Catanzaro. Qui le sculture di Staccioli, rileggendo i resti di un luogo crocevia di civilt, hanno saputo sbalordire il visitatore, come appare evidente nella fotografia che ritrae le vestigia di una chiesa abbaziale normanna attraversata dalla Diagonale rossa. Un segno netto, incisivo, essenziale come solo lopera di Staccioli pu essere.

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Mauro Staccioli, Diagonale rossa, Parco Archeologico di Scolacium, Catanzaro, Cerchio imperfetto, 2011. Legno cementato, 2500 x 100 x 50 cm. (Foto Antonio Renda).

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La geometria deviata del grande costruttore


Alberto Fiz

uardare un oggetto significa venire ad abitarlo. Questa perentoria affermazione del filosofo Maurice Merleau-Ponty appare fondamentale per cogliere la scultura non come oggetto ma come meccanismo dinterazione percettiva. Larte plastica come sguardo a distanza si trasforma, tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, in luogo dello spazio che accentua il proprio ruolo come elemento teso verso il cambiamento, determinando una rinnovata relazione con il mondo. In Italia, gi alla fine degli anni Quaranta, Lucio Fontana realizza alla Galleria del Naviglio di Milano lAmbiente spaziale a luce nera. Negli anni Sessanta loccupazione progressiva di uno spazio esterno avviene attraverso lArticolazione tota-

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le di Francesco Lo Savio, lo Spazio elastico di Gianni Colombo, gli interventi di Giuseppe Uncini, Nicola Carrino e Giuseppe Spagnulo. Nellambito della nascente arte povera va ricordata la mostra Arte abitabile tenuta alla Galleria Sperone di Torino con la presenza, tra gli altri, di Michelangelo Pistoletto, Gianni Piacentino e Piero Gilardi, come pure Arte povera +Azioni povere ad Amalfi nel 1968, cui partecipano Anselmo, Boetti, Fabro, Kounellis, Mario e Marisa Merz, Paolini, Piacentino, Pistoletto e Zorio, insieme a Richard Long e Paolo Icaro. Non c dubbio che il dibattito intorno allenvironment appaia subito di particolare importanza. Lelemento unificante di esperienze tanto diverse sta nella volont di rendere lopera darte partecipe di un contesto globale. In tal modo lesperienza plastica simpone come presenza imprescindibile, come proiezione del mondo e non pi come elemento transitorio definito a priori. Chi in Italia, con maggior coerenza, segue la strada dellarte ambientale Mauro Staccioli, la cui opera si pone in relazione dialettica con le esperienze minimaliste e concettuali. Sin dalle sue prime installazioni del 1969-70, come Barriere, dove una serie di cubi in cemento sono attraversati da lame in ferro, appare evidente la componente ideologica e politica di opere interventiste che agiscono lo spazio, dove lambiente non pi contenitore ma elemento strutturale del nuovo contenuto. E a tale proposito Staccioli scrive nel 1976: Le mie sculture non sono pensate come oggetti di

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abbellimento stabile della citt, come monumenti, non illustrano o celebrano un evento; sono strumenti di provocazione, di coinvolgimento e rilevamento critico, richiamo e condizione esistenziale presente, occasione di una discussione pubblica collettiva. Se le neoavanguardie privilegiano un atteggiamento riduzionista e tautologico, Staccioli sceglie una strada ben pi impervia, che quella della scultura-intervento, dichiarando la propria sfida al contesto sociale attraverso una metafora militare. Le Barriere, cos come gli Autocarri, sono gli strumenti di una guerriglia estetica che si consuma nei primi anni Settanta senza alcuna forma di compiacimento o di retorica. La prima mostra di Staccioli in uno spazio urbano del 1972, a Volterra, sua citt natale. In quelloccasione espone cinque installazioni destinate a rivitalizzare il processo storico e che assumono un significato civile e politico: davanti alla Porta Etrusca, difesa dai cittadini durante linvasione tedesca del 1944, sistema unasta in ferro; alle Balze, il luogo dove si trovano i resti delle mura etrusche, posiziona una serie di pali neri inclinati verso lesterno. In piazza dei Priori la lotta tra guelfi e ghibellini rievocata da una barriera di forme piramidali inclinate. Staccioli, dunque, innesca un meccanismo di riflessione critica e dialettica profonda, dove il luogo stesso attiva nuove energie; i suoi manufatti edili realizzati in ferro e cemento sono concepiti per il luogo dove vengono costruiti per

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un uso temporaneo. Dopodich vengono distrutti. In tal modo non fa altro che ribadire la componente processuale ed esistenziale di unindagine che intercetta la precariet del mondo. Un procedimento radicale, quello di Staccioli, che con i suoi interventi giunge addirittura a vietare laccesso ai luoghi dellarte: nel 1975 chiude la Galleria Bocchi a Milano con una parete rostrata in cemento a cuneo e nel 1978, alla Biennale di Venezia, realizza in loco un Muro quadrangolare in laterizi e cemento di fronte al Padiglione Italia (il Muro compare in una celebre sequenza del film di Alberto Sordi Le vacanze intelligenti del 1978), una vera e propria barriera fisica per gli spettatori che di fronte a questo imprevisto monolito sono costretti a deviare dal percorso consueto. Nella scheda di partecipazione alla mostra Staccioli spiega le ragioni della sua scelta affrontando un tema cruciale, ovvero la mancanza di comunicazione dellopera darte che diventa ostacolo a se stessa. Evidentemente, lartista coglie la crisi di un sistema che corre il rischio di implodere, condizionato dal proprio narcisismo autocelebrativo. Il significato del Muro emerge con evidenza proprio nella fase caotica che stiamo attraversando di fronte al prevalere di modelli linguistici consumati e ampiamente metabolizzati, privi di una loro autonoma forza creativa. Quali che siano i loro significati metaforici, le opere di Staccioli hanno un determinante impatto fisico che implica la partecipazione attiva dello spettatore, parte in causa di un

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processo conoscitivo dove lindividuo costretto a interagire con il luogo attraverso unesperienza non solo razionale ma anche emotiva. datato 1981 il suo intervento pi provocatorio, che si pone nella medesima direzione concettuale del Muro: allinterno della galleria milanese Mercato del Sale rompe il pavimento e scava un fosso profondo che taglia in due lo spazio, ponendo gli spettatori di fronte a unimprovvisa scossa tellurica dove ciascuno pu decidere o meno di superare il fossato. Unazione svolta con coerenza in sintonia con lidea di una scultura-segno che sin dallinizio degli anni Settanta stata al centro dellindagine processuale e situazionista. Se lartista americano Robert Smithson aveva coniato il termine non-luogo, Staccioli agisce sul superluogo fecondandolo attraverso le sue opere plastiche, oggetto e soggetto per un rilevamento critico della condizione umana nella societ, come afferma lui stesso. piuttosto curioso come nel 2007 Doris Salcedo abbia realizzato alla Turbine Hall della Tate Gallery Shibboleth, uninstallazione site-specific che prevedeva una crepa attraverso tutta la pavimentazione del museo secondo un principio sorprendentemente simile a quello realizzato da Staccioli ventisei anni prima. Appare chiara lattualit di un messaggio che ha avuto ampie ripercussioni sullarte di oggi, trovando verifiche inimmaginabili da parte di artisti entrati nel mainstream del contemporaneo.

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Un aspetto di notevole interesse che vale la pena di essere approfondito la relazione con il minimalismo. Su questo punto Staccioli stato molto esplicito e in un testo del 1993 ha scritto: Non mi riconosco nellarte minimal, in quelle esperienze che muovono da presupposti molto lontani dai miei. Nel mio lavoro non c tanto una preoccupazione formale, quanto quella di produrre, attraverso la scultura, una comunicazione forte che agisca sugli aspetti profondi del nostro stare, del nostro essere, del nostro vivere il mondo. Nel mio caso c unevidente intenzionalit, unevidente elaborazione finalizzata al senso del dire pi che al modo di dire. Sebbene tali considerazioni siano in buona parte condivisibili, la questione appare assai pi complessa e, a mio avviso, rappresenta un nodo centrale su cui riflettere per comprendere la specificit dellindagine condotta da Staccioli. Il punto di congiunzione pu essere rintracciato nelluso di materiali edili (il cemento viene privilegiato anche da Richard Serra), ma soprattutto nellutilizzo di strutture primarie. Lassunto dellarchitetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe Less is more potrebbe valere sia per Staccioli sia per i minimalisti. Il grande collezionista Giuseppe Panza di Biumo nel 1999, in un saggio di particolare significato, ha affermato che con Staccioli ci troviamo di fronte a opere minimaliste per ideazione e forma che, nello stesso tempo, possiedono un dinamismo interno pi umano. Ma se lo sviluppo formale

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dellopera rientra in un contesto minimalista, esistono differenze fondamentali tra i due procedimenti, che sono rintracciabili nel rifiuto da parte di Staccioli di una ripetizione modulare e in una ferma opposizione a unindagine che privilegi il concetto rispetto alloggetto, annullando lapproccio di tipo manuale. Per lui la scultura la costruzione dellidea attraverso il lavoro manuale. Staccioli un costruttore in grado di rinnovare il significato del proprio intervento evitando unalienazione di carattere intellettuale. Le immagini di Enrico Cattaneo che documentano le sue azioni degli anni Settanta, quando cementifica le opere nei luoghi stessi dove le colloca, hanno un valore emblematico paragonabile a quelle di Ugo Mulas che coglie lattimo in cui Lucio Fontana taglia la tela. Staccioli prende parte alle controversie del mondo e ne rimane implicato attraverso una serie di installazioni che non rinunciano mai a un corpo a corpo con il luogo. I suoi interventi sono caratterizzati da un equilibro sospeso e ansioso, come dimostrano i tanti elementi oscillanti che impongono la loro architettura arbitraria su luoghi ben connotati. Basti pensare al poligono irregolare in bilico sulla scalinata della Galleria Nazionale dArte Moderna a Roma (1981), che appare in netta opposizione rispetto alla retorica magniloquente delledificio. Ma vanno in questa direzione anche il muro di Tel Hai del 1983 sospeso sulle montagne della Galilea, vicino al confine tra Israele e Libano, cos come, lanno dopo, la

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lunga stele appoggiata in discesa sulla gradinata che conduce alla University Gallery di Amherst nel Massachussets. Sono sculture sempre protese oltre il baricento, come ha scritto Panza di Biumo, caratterizzate da un dinamismo potenziale che si trasferisce al paesaggio tanto da riconnotarlo. questa una prerogativa fondamentale dellopera di Staccioli che ha sviluppato la propria geometria deviata, latente, fondamentalmente irregolare, senza mai rinunciare alle premesse poste allinizio degli anni Settanta. Se allora le sculture avevano un aspetto persino inquietante, negli anni successivi si andata attenuando la componente espressiva attraverso una pi sofisticata integrazione tra lintervento installativo e il contesto spaziale, sino a creare quello che Staccioli, con felice intuizione poetica, definisce sensibile ambientale. Non venuta meno, per, la forza provocatoria delle sue opere che, pur rilevando una sempre maggior sofisticazione, continuano a rilasciare la loro energia rispetto a un contesto che, ogni volta, va incontro a una nuova verifica; il paesaggio parte dellopera in base a interventi site-specific, dove la scultura respira allunisono con lambiente. Nellultimo decennio tutto ci reso pi esplicito dalle grandi strutture in acciaio Corten che assorbono il paesaggio e, nello stesso tempo, ne vengono assorbite. Sono luoghi dinterferenza che creano un dialogo tra pieno e vuoto, dove viene accentuata la componente temporale e non passa istante senza che lopera proietti unimmagine differente di

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s e del mondo. Il dinamismo statico trova la sua piena applicazione mettendo in rilievo le potenzialit di un procedimento dove lopera darte una presenza che esiste solo in quanto parte del reale da cui si alimenta. Una scultura espansa, insomma, che mantiene intatta la propria fisicit pur dialogando con linfinito. Staccioli, del resto, interviene sulla memoria immanente dei luoghi ispirando una nuova fruizione della storia, non pi legata alla contemplazione, bens alla rigenerazione. Nel 2011, in occasione del suo importante intervento al Parco Archeologico di Scolacium in provincia di Catanzaro, riuscito a creare un rapporto osmotico tra le sue installazioni e lantica citt romana di Minervia Scolacium, superando lo iato del tempo. Edificare la forma trasporta nellipotesi, nellutopico senso delle cose, d significato profondo allesistenza, afferma Staccioli, il grande costruttore che ha saputo proiettare larte ambientale nel XXI secolo.

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Mauro Staccioli. Primi passi 2009, localit Piancorboli, Volterra, Luoghi desperienza, 2009. Acciaio Corten, 805 x 1300 x 40 cm. (Foto Bob Tyson).

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bbiamo voluto parlare di poesia contemporanea non per proporne una qualche sommaria geografia. Ci implicherebbe uno sforzo di equanime perlustrazione allinterno di un campo frastagliato e irriducibilmente plurale. La nostra perlustrazione stata invece preorientata, e questo la rende pi simile a una visuale. Se essa non pretende di fornire unimmagine esaustiva del campo, ambisce a restituirne una sufficientemente esemplare. Abbiamo scelto come filo conduttore due incontri che si sono tenuti nella primavera del 2013 ad Albinea e a Rieti. Il primo incontro metteva a confronto principalmente il lavoro di artisti e poeti, italiani e non. Il secondo chiamava al dialogo poeti e critici italiani. Entrambi gli eventi erano accomunati da un interesse per la ricerca di nuove forme di scrittura, che spesso esulano non solo da vocabolari e metri tradizionali, ma dalla stessa scrittura in versi. Non tutti coloro che praticano la ricerca in poesia erano presenti ad Al-

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binea o Rieti, ma tra gli autori emersi nellultimo decennio ve nera senza dubbio un buon numero.
a.i.

Mauro Staccioli, Senza titolo, (particolare) Djerassi Foundation, Woodside, 1987-1991. Cemento, 900 x 40 x 70 cm. (Foto Bob Tyson).

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Per una poesia irriconoscibile

POESIA

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Andrea Inglese

qualcosa di cos palesemente inattuale nella figura del poeta da renderla nonostante tutto ancora allettante e carismatica. Nessuno sa pi bene cosa farsene, ma sembra impossibile rinunciarvi una volta per tutte. Ci dipende, credo, da una buona ragione. Si percepisce oscuramente che il poeta un po lantitesi degli eroi del nostro tempo: i manager, gli imprenditori, le star dello sport e dei media di massa, gli scrittori di best seller planetari. Daltra parte la poesia nella sua forma moderna, ossia lirica, nasce con questa precisa connotazione ideologica: nella metropoli ottocentesca, lattitudine del poeta, almeno da Baudelaire in poi, si costruisce per opposizione a quella delluomo daffari; da un lato lenunciato lirico che corrisponde alla singolarit di un oggetto o di unesperienza, dallaltro il denaro come equivalente universale e ratio economica che ne governa luso.[1]

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A questa buona ragione, per, se ne aggiungono alcune cattive, che contribuiscono a mantenere vivo, seppure in modo intermittente e disinvolto, il culto del poeta. Le pagine culturali dei quotidiani ce ne forniscono alcuni esempi quando saltuariamente decidono di evocare le bizzarre vicende biografiche di un poeta defunto, oppure di onorarne la senile saggezza. Lantitesi di cui sopra, con tutto ci che implica di irrisolto e problematico, diviene nella versione giornalistica una pacifica divisione del lavoro: al poeta il privilegio di predicare e di promettere un supplemento danima, a tutti gli altri di dedicarsi impietosamente, per quanto possibile, alle carriere redditizie e ai lauti consumi. Da qui una convinta retorica della resistenza che piace molto ai poeti del nuovo secolo, giovani e meno giovani. Ecco allora la poesia farsi custode di autenticit, di valori antichi (bellezza formale), di cura artigianale per il linguaggio, di rurale immaginazione, ma anche di civili indignazioni e velleit epiche. Di fronte alle minacce dellincultura e dello spettacolo a oltranza la poesia sarebbe lespressione, e dunque la garanzia, di una qualche incontaminata interiorit: sentimenti schietti, immagini profonde, significati ultimi. Questo vario fronte poetico, che resta in qualche modo dominante in Italia, e soprattutto ben riconoscibile allinterno del mondo letterario, ignora per o si comporta come se le ignorasse alcune circostanze storiche: nella societ tardo-capitalistica in cui viviamo lautenticit una merce, e lintimit un mercato estremamente dinamico e in

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espansione. Lindustria dellinformazione ha compiuto meglio di qualsiasi altra il ciclo che va dalla produzione generalista a quella individualizzata. E soprattutto ha fornito a ogni individuo, come nel sogno delle avanguardie novecentesche, le protesi tecnologiche per una (sedicente) libera creazione di s. Ogni consumatore degno di questo nome oggi sorgente e terminazione di un flusso in entrata e in uscita di immagini ed enunciati che gli forniscono lillusione di essere padrone, se non della propria vita, almeno della fetta pi intima di essa quella comprimibile in uno smartphone o nella propria pagina Facebook. Nessuno vuole qui dire che il doppio flusso non comporti un qualche grado di creativit, di libera e marxiana produzione di se stessi, a patto per di riconoscere a monte una coesistenza inestricabile di stereotipi e invenzioni, di idiozia e intelligenza, di autonomia e alienazione, di regressione ed emancipazione. Solo accettando di esplorare questo intreccio in modo assolutamente spregiudicato mi sembra sia possibile alimentare ancora oggi la componente critica insita nella poesia. Ci significa che la scrittura poetica si pone non solo in conflitto con lideologia dominante e con i suoi modelli di percezione della realt, ma anche con qualsiasi discorso edificante, fosse pure quello associato a prospettive antagoniste e rivoluzionarie. La scrittura poetica, infatti, si fa carico soprattutto di ci che mina quella indispensabile articolazione tra discorso e azione, tra dicibile e visibile, su cui si erge ogni ordine sociale, ma anche ogni organizzata forma di conte-

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stazione.[2] Da qui il carattere tendenzialmente non narrativo della scrittura poetica, che si specializza nella configurazione di paesaggi pi o meno disastrati e discontinui. Gli elementi primi di questi paesaggi sono inevitabilmente parole vuote e oggetti muti, e pi generalmente residui inerti di flussi che tendono a fondersi con linesauribile e insignificante materialit del mondo. Per questo motivo chi pretende di scrivere in nome o a difesa della nostra umanit si muove nel cerchio rassicurante di ci che d senso e corrisponde alle figure conosciute dellumano, senso e figure ogni giorno smentite non solo dal volto disumano della storia, ma anche dalla distruzione del non-umano a cui la nostra specie dedita con crescente successo. Il partito preso delle cose significa, allora, privilegiare nella costruzione del paesaggio tutto ci che non umano, viaggiando attraverso salti di scala che oscillano tra il micro e il macro, e discontinuit temporali che giustappongono cronologie individuali e collettive, di specie e planetarie. La concentrazione sul dato materiale e oggettivo non implica la riproposizione di qualche caricaturale azzeramento del soggetto. Il soggetto, infatti, ci che ogni volta, seppure in modo incompiuto e provvisorio, tenta di comporre il paesaggio di cui fa parte. una sorta di agente rivelatore che con cura lascia emergere quanto le narrazioni individuali e collettive della societ attuale lasciano nellombra, sorta di universo residuale, estraneo ai piani ordinari di soddisfacimento o sfruttamento dellesistente. Ma lorientamento alloggetto

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neppure deve essere salutato come loccasione per liquidare la specifica materialit del linguaggio in favore di unideale trasparenza comunicativa. Si tenga a mente la nettezza concettuale del Tractatus di Wittgenstein: Il mondo si divide in fatti; Noi ci facciamo immagini dei fatti; Limmagine un fatto. Francis Ponge ce lo ha ricordato a sufficienza: il poeta vive tra il mondo delle cose e quello delle parole; mondi diversi, ma entrambi materiali e dotati di un ineliminabile grado di opacit. Queste riflessioni non hanno come scopo di indicare tendenze o poetiche che dovrebbero garantire in qualche modo della qualit letteraria di chi scrive poesia. La poesia che pi ci interessa, oggi, non (spesso) nemmeno riconosciuta come tale. Invece di resistere si fa invadere o invade, invece di esprimere linteriorit si fa strumento di ricezione dellesteriorit del mondo, invece di procedere secondo ordini formali ereditati costruisce di volta in volta forme al limite del disordine, invece di celebrare i grandi significati si espone al non-senso e allinsignificanza. A dirla tutta, molti scrittori in Italia rinuncerebbero volentieri ai dubbi privilegi della figura del poeta per praticare semplicemente, indifferenti alle corsie editoriali e alle tassonomie critiche, una letteratura generale. 1. Ma economia monetaria e dominio dellintelletto si corrispondono profondamente. [] Luomo puramente in-

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tellettuale indifferente a tutto ci che propriamente individuale, perch da questo conseguono relazioni e reazioni che non si posso esaurire con lintelletto logico esattamente come nel principio del denaro lindividualit dei fenomeni non entra (Georg Simmel, La metropoli e la vita dello spirito [1903], Armando, Roma, 1995, p. 38). 2. stato forse Jacques Rancire, nella sua Politique de la littrature (2007), ad aver meglio di altri indagato le ragioni che distinguono la scrittura letteraria dalloratoria rivoluzionaria.

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Mauro Staccioli, Da sinistra a destra, Parco Archeologico di Scolacium, Catanzaro, Cerchio imperfetto, 2011. Acciaio Corten, 400 x 1500 x 70 cm. (Foto Antonio Renda).

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Per riconoscerla: tre connotati

POESIA

Per riconoscerla: tre connotati


Andrea Cortellessa Esperienza Una delle nozioni pi equivocate, in poesia, quella di esperienza: convocata con particolare enfasi da chi insiste su questa scrittura come se il suo specifico fosse la dizione pi immediata e diretta del vissuto di chi scrive. Facendo appello, con la stessa immediatezza, al riconoscimento di chi legge: alla sua immedesimazione, ai suoi precordi, alla sua riconoscenza. La pagina come specchio, insomma. In cui il lettore possa riflettere, nellesperienza di chi ha scritto, la propria: la shylockiana libbra di carne palpitante, esposta a crudo: di l da tutti gli schermi linguistici (ma anche intellettuali, filosofici, culturali o non sia mai! ideologici) che quel vissuto allontanano, traducono, lavorano. A partire dal vissuto, certo: la lingua della poesia quel vissuto lo lavora, lo diparte da s (anche nel senso che lo seziona nei suoi componimenti primi: come unanalisi chimica, una spettroscopia) facen-

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do s che, davvero, possa essere compartecipato. In una delle conversazioni video con Claire Parnet, Gilles Deleuze lo ha detto con brutalit: la scrittura ha fondamentalmente a che fare con la vita, ma non con la biografia individuale: la vita qualcosa pi che personale ed disgustoso chi riduce la letteratura ai propri affari privati: letteratura da supermercato, da bazar, da best-seller, la vera merda. Al riguardo una volta Edoardo Sanguineti proprio in una poesia della sua seconda maniera, in apparenza pi legata al suo vissuto individuale si rifatto a una celebre dicotomia benjaminiana (con distinzione terminologica assente in italiano): fare / dellesperienza unesperienza: (risolvere ogni Erlebnis in Erfahrung). La dicotomia stata richiamata a Rieti, nelle animatissime giornate di maggio dedicate da ESCargot a Poesia 13, da Gilda Policastro. In un magnifico, breve saggio su Paul Celan mai tradotto in italiano, e che sintitola proprio La posie comme exprience, Philippe Lacoue-Labarthe si richiamava alletimo di queste espressioni: delle due Erfahrung a contenere la radice germanica faran, viaggio o trasporto, comunque spostamento; questo lequivalente pi corretto del termine esperienza, che contiene lex-periri latino, attraversamento di un pericolo (lo stesso termine pericolo deriva da quelli greci peiro, attraversare, e peras, termine, limite). Ora, se lesperienza di chi scrive pu essere trasposta nel testo, quella di chi legge non pu invece consistere che nel proprio atto di lettura. Dunque la poesia davvero

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unesperienza: lesperienza del limite rappresentato dalla poesia stessa. Mentre il vissuto di chi ha scritto ci remoto e intangibile, tangibilissimo il testo che sposta lesperienza da chi scrive a chi legge: ne il tramite, il veicolo, il legame. Il travaglio, il lavoro (psichico, emotivo, in una parola cognitivo) che esercitiamo sul testo quando lo leggiamo davvero lequivalente del lavoro esercitato, da chi scrive, sul proprio vissuto. In questo doppio lavoro, precisamente, consiste il fare dellErlebnis un Erfahrung. Resistenza Ed proprio per questo travaglio (e non certo per esoterismo gratuito, strizzata docchio fra iniziati), che la poesia si trova a essere spesso oscura. Quante discussioni, negli ultimi decenni, su oscurit e chiarezza, leggibilit e illeggibilit A me sempre parsa se vissuta come il pi delle volte stata, un match fra contrapposti snobismi la peggio posta delle questioni. La poesia per definizione loggetto strano strano attrattore, se si vuole, per la sua lingua strana, per dirla con Giovanni Giudici , irriducibile agli altri, non solo nel senso strettamente linguistico di Jakobson. Si fa esperienza della poesia come di uno stato anomalo: con una percezione intensificata e un po maniaca, una disciplina se non una mistica dellattenzione (leggere una poesia come una preghiera naturale, per parafrasare di nuovo Benjamin), un po di febbre insomma. Dimprovviso si devono fare i conti con qualcosa che sta l, e oppone resistenza. Anche questo

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termine, resistenza (ha tutte le ragioni a protestare, qui, Andrea Inglese), spesso equivocato in poesia. Il senso in cui va preso quello in cui lo ha impiegato una volta Paul Valry: Confesso che non afferro quasi nulla di un libro che non mi opponga resistenza. Quello della poesia il suo uso in cui pi di frequente incontriamo questa resistenza della lingua: resistenza al nostro desiderio di comprensione immediata, di comunicazione lineare, di senso dato subito e una volta per tutte. Ma malposta pure laltra contrapposizione, spesso dibattuta (anche a Rieti), fra poesia e comunicazione: la resistenza non annulla la comunicazione (altrimenti non si vedrebbe perch impiegare la lingua): semmai la accresce, sino alliperbole, merc il suo differimento. Ha scritto una volta Andrea Zanzotto: Pensate al filo elettrico della lampadina che manda la luce, il messaggio luminoso, proprio grazie alla resistenza del mezzo. Se devo trasmettere corrente a grande distanza, mi servo di fili molto grossi e la corrente passa ed arriva senza perdita a destinazione. Se metto, invece, fili di diametro piccolissimo, la corrente passa a fatica, si sforza e genera un fatto nuovo, la luce o il colore. quella che in amore si chiama delectatio morosa: nella sua attesa si moltiplica a dismisura il piacere che si prover, poi, allo scioglimento. Il differimento, la differenza della poesia, il contrassegno di quella che Giorgio Agamben (non a caso commentando il proverbialmente oscuro, ma mai gratuitamente tale, Osip Mandeltam) ha definito lessere contem-

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poraneo come anacronismo: il contemporaneo colui che percepisce il buio del suo tempo come qualcosa che lo riguarda e non cessa di interpellarlo. Come contemplare la luce delle stelle, che percepiamo attraverso loscurit a infinita distanza nel tempo e nello spazio, leggere una poesia essere puntuali a un appuntamento che si pu solo mancare. Diffusione La mente diffusa un sintagma che prelevo da uno dei testi letti, a Rieti, da Laura Pugno. Lattributo designa bene un connotato della poesia di ricerca di questi primi anni del XXI secolo. Cos come si parla di cinema espanso per alludere al diffondersi della sintassi cinematografica in quella degli altri media e, insieme, alla diffusione delle immagini del cinema attraverso gli stessi media , oggi la poesia diffusa quella che, anzich racchiudersi nei territori di riserva delle proprie dizioni pi collaudate e dei propri circuiti pi risaputi, si nutra di altri immaginari, altri concetti, altre tradizioni; e al contempo estenda i propri confini nei territori dellimmagine, della performance, dellinstallazione. Solo la frequente pigrizia intellettuale di chi la poesia la pubblica, la promuove, o semplicemente la legge, vede in questo un indebolirsi dello specifico poetico. La poesia forte proprio in quanto inclusiva, pi inclusiva che in passato. (Ma in fondo Ezra Pound, come si ricorder, sosteneva che gi la sua age demanded era un cinema di prosa.)

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La mente diffusa, inoltre, ci riporta alla questione del soggetto e dellesperienza. A Rieti un connotato trasversale, tra autori considerati post-lirici e altri oggettivisti, mi pare sia superata la dicotomia novecentesca fra un io ridotto, tendenzialmente annullato, e un soggetto restaurato, sino al suo trionfo narcisistico una soggettivit neutra. Il soggetto in questi testi ha una presenza pi o meno marcata (non solo in senso grammaticale: magari cogli shifters assonimici sui quali a Rieti ha richiamato lattenzione Paolo Zublena), ma non esercita pi la sua tradizionale funzione regolatrice o coordinatrice, delle percezioni e delle cognizioni (la metropolitana driverless evocata da Lidia Riviello in uno dei testi che verranno prossimamente proposti da alfabeta2; il moto senza direzione di Renata Morresi What do we know? Were just drivers ; la registrazione di eventi dialogici nelle Inattuali di Gilda Policastro). La poesia espansa, o diffusa, del 2013 una poesia che forse, dopo averli tanto invocati, sta finalmente costruendo ponti: tra luno e i molti, tra lio e il noi, tra poesia e prosa, tra parola e immagine, tra il Novecento e il tempo che gli sopravvenuto. Con la categoria di neutro Maurice Blanchot, come si ricorder, aveva designato il luogo specifico della scrittura; ma, ha sottolineato Roberto Esposito, anche il contenuto stesso dellatto politico. E sempre a proposito del neutro citava Marx, Roland Barthes: soltanto nellesistenza sociale che antinomie come soggettivismo e

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oggettivismo, spiritualismo e materialismo, attivit e passivit perdono il loro carattere antinomico. Un altro componimento presentato a Rieti (e anticipato su alfabeta2 n. 29) di Giovanna Marmo, sintitola Oltre i titoli di coda. Lo schermo una volta terminato il film, il grandioso film del Novecento resta illuminato; ma non vi scorrono pi le immagini di prima, n si vedono ancora quelle nuove. pura potenza, come una squadratura del foglio. Siamo qui, seduti in sala: un nuovo film sta per cominciare. Gilles Deleuze, Abecedario [1996], a cura di Claire Parnet, regia di Pierre-Andr Boutang, DeriveApprodi, 2005. Edoardo Sanguineti, 44, in Id., Scartabello [1980], in Id., Segnalibro. Poesie 1951-1981, Feltrinelli, 1982. Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire [1940], in Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Einaudi, 1962. Philippe Lacoue-Labarthe, La posie comme exprience, Christian Bourgois, 1986. Giovanni Giudici, Vaga lingua strana. Dai versi tradotti, a cura di Rodolfo Zucco, Garzanti, 2003. Walter Benjamin, Franz Kafka. Per il decimo anniversario della sua morte [1934], in Id., Angelus Novus, cit. Paul Valry, Talvolta, dicevo a Stphane Mallarm [1931], in Id., Variet, a cura di Stefano Agosti, Rizzoli, 1971.

Per riconoscerla: tre connotati

Andrea Zanzotto, Intervento [1981], in Id., Le poesie e prose scelte, a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta, Mondadori, 1999. Giorgio Agamben, Che cos il contemporaneo?, nottetempo, 2008. Ezra Pound, Hugh Selwyn Mauberley [1920], traduzione di Giovanni Giudici, in il verri, n. 3, 1959; poi in Id., Opere scelte, a cura di Mary de Rachelwitz, Mondadori, 1970. Maurice Blanchot, Linfinito intrattenimento. Scritti sullinsensato gioco di scrivere [1969], traduzione di Roberta Ferrara, Einaudi, 1981. Roberto Esposito, Terza persona. Politica della vita e filosofia dellimpersonale, Einaudi, 2007. Roland Barthes, Barthes di Roland Barthes [1975], traduzione di Gianni Celati, Einaudi, 1980.

Per riconoscerla: tre connotati

Mauro Staccioli, La Boldria 2009, SR 68, Volterra, localit La Boldria, Luoghi desperienza, 2009. Cemento e ferro, 600 x 60 cm. (Foto Sergio Borghesi).

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Esempi da Poesia 13
Cantiere aperto di ricerca letteraria
(Rieti, 17-19 maggio 2013) Maria Grazia Calandrone da Rosa dellanimale
io estraevo da un suolo di calce il passo bianco di un animale estinto non lasciavo residui, ero bianchissima e nucleare, tutto il mondo faceva un silenzio iniziale ti sei abbattuto come una centuria sui miei passi come una legione di galli rossi: al bianco hai aggiunto il canto. dovera il bianco intervenuto il canto, fino a dove la schiuma della terra piegava oltre questo segnale di confine niente

Esempi da Poesia 13 stava in piedi. dio, donna, uomo e bestia ciecamente erano solo canto

Alessandra Cava da La camera rovesciata (Timequakes)


stanno come stanno restano a guardare e vanno ancora per le strade e cambiano citt allungano lo sguardo dove quello che era canto ora sfondamento e superano vanno sconfinando: contro i giardini i capolinea gli ingressi dei cinema controvoglia dentro i treni non c fine la citt espone sguardi quando affaccia al fiume aggancia il cielo fa cerchio rotto e specchia e schiude - dimentica dilaga la sorgente mette ponti virgole e due punti fa disegno sa grafia

Renata Morresi da Bagnanti


vicino al luned ce n uno vuoto di ore, tutto specie eccitate e contemporaneo niente, mancante minore

Esempi da Poesia 13 lo sguardo fa da filtro allestraneo delle cose per esempio fermo in fila di semaforo solo il piove

da Trenitalia
non siamo sole almeno, dice al self nel tunnel piastrellato giallo tu-tun tu-tun tu-tun tu-tun fanno le rotelle mentre andiamo dirette al nostro numero dj-vu rosso di endometrio life is all around la mente un altro posto non ereditario ci vediamo, ciao arrivederci, ci vedremo su Chi lha visto con laltezza, i numeri e gli aggettivi giusti un immenso colore degli occhi

Esempi da Poesia 13

Laura Pugno da Home


il letto nel legno dulivo, la mente diffusa il bagliore attraversa la pelle il ramo che brucia di colpo nel buio del bosco, limboscata, lincendio dici che fuoco controllato nei campi perfezione terrestre

Sara Ventroni da Le relazioni


Hereafter Lia dice: ho ricevuto talmente tanto che adesso non c vuoto. Si tratta di una superba menzogna senza peccato che significa me la caver, mi hai fatto forte abbastanza. Ma ora il dialogo interrotto e si prosegue nel monologo. concesso solo un margine di piet oggettiva per noi dellaldiqua. Che tutto poi, si sa. Uno solo il cielo che ci preme a terra staccato il cordone.

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Tre giorni a Rieti

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Tre giorni a Rieti


Minicronaca di un evento memorabile
Cetta Petrollo Pagliarani

uona parte del gruppo degli Escargottini li ho conosciuti a Roma alla fine degli anni Novanta, alla manifestazione-reading Voce!, organizzata dalla Biblioteca Alessandrina presso lAula Magna dellUniversit La Sapienza. Alcuni di loro, come Tommaso Ottonieri e Sara Ventroni, erano da tempo assidui a casa Pagliarani: e ci presentarono i pi giovani e allora sconosciuti, come Florinda Fusco, Giovanna Marmo o Vincenzo Ostuni; o che gi conoscevamo bene, come Lidia Riviello. Lidea era quella di rompere gli ambiti della parola poetica e di quella didattica, realizzando empatia di ascolto e accrescimento di vitalit. E Voce! fu: declamante e performativa. Seduto al centro della sala Pagliarani batteva il tempo con la

Tre giorni a Rieti

mano incoraggiando ritmi e sottotracce ritmiche, imprimendo col gesto direzioni di marcia. Poi stato il tempo di ESCargot: letture e discussioni di questi autori allinterno del centro sociale ESC a via dei Volsci, a San Lorenzo. Da questa esperienza, che ha ormai un paio danni di vita, nata lidea del Cantiere aperto: al quale membri del gruppo hanno invitato alcuni coetanei coi quali confrontarsi di fronte a un pubblico di critici chiamati a intervenire come nei precedenti convegni del Gruppo 47 e poi del Gruppo 63, pi di recente di RicercaRE a Reggio Emilia e RicercaBO a San Lazzaro di Savena su testi di autori, magari, mai sentiti nominare prima: una tre giorni affannatissima (la prima sessione si chiusa ben oltre la mezzanotte) tenutasi a Rieti, nelle Officine della Fondazione Varrone. Il colpo docchio, o meglio dorecchio, al di l delle differenze fra i singoli, restituisce un cambiamento nella postura della voce: dalla voce centrata e significante di Ventroni, Fusco, Calandrone, Policastro, Marmo e Ostuni allestremo nascondimento di Morresi e Annovi, attraverso la trasparenza frammentata di Riviello, Zaffarano, Marzaioli, Pugno, Socci e Giovenale, fino al territorio indistinto dove poesia e prosa si incontrano nella pi ampia dizione di scrittura con movimento tuttavia inverso rispetto alla prosa poetica (criptometri che vanno verso la prosa e non-narrazione che si muove verso la musicalit poetica): Fianco, Guatteri, Cava e Renda.

Tre giorni a Rieti

Si ha limpressione che il terzo millennio con la nuova misura del linguaggio digitale, il suo viluppo video-linguistico, il presente interattivo della comunicazione e la sua misura breve sia entrato nella scrittura di queste ultime generazioni, superando le resistenze di chi vorrebbe tenerne fuori la scrittura poetica (come se un amanuense insistesse a negare lesistenza del libro a stampa). Cos si venuto sostituendo al plurilinguismo novecentesco luso di compresenti modalit comunicative (penso a Elisa Davoglio): dalla visionariet trasfigurante il quotidiano dei versi di Florinda Fusco allintensit poematica di Sara Ventroni e Maria Grazia Calandrone, dal flusso di coscienza di Gilda Policastro al gesto minimo dei pi giovani (i gi citati Annovi e Morresi). La discussione si incentrata su questioni mai sopite del nostro tempo e di quello che lo ha preceduto: il soggetto, lio, la memorabilit, il significato e la valenza politica della scrittura. Alla fine Andrea Cortellessa ha tentato di rispondere alla domanda che riassume tutte le altre: cosa voglia dire ricerca, quale il suo significato politico. E lo ha fatto citando Lezione di fisica (1964): e invece non ci basta nemmeno dire no che salva solo lanima / ci tocca vivere il no misurarlo coinvolgerlo in azione e tentazione / perch lopposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni.

Tre giorni a Rieti

Poesia13 Cantiere aperto di ricerca letteraria


Rieti, 17-19 maggio 2013

a cura di ESCargot - Scrivere con lentezza (Maria Grazia Calandrone, Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Elisa Davoglio, Michele Fianco, Francesca Fiorletta, Marco Giovenale, Massimiliano Manganelli, Giulio Marzaioli, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Cetta Petrollo, Gilda Policastro, Laura Pugno, Lidia Riviello, Franca Rovigatti e Sara Ventroni), con letture poetiche di Gian Maria Annovi, Alessandra Cava, Florinda Fusco, Mariangela Guatteri, Giovanna Marmo, Renata Morresi, Marilena Renda, Luigi Socci e Michele Zaffarano; e interventi critici di Vincenzo Bagnoli, Cecilia Bello Minciacchi, Paolo Febbraro, Giulio Ferroni, Federico Francucci, Roberto Galaverni, Paolo Giovannetti, Antonio Loreto, Arturo Mazzarella, Giorgio Patrizi, Fabio Zinelli e Paolo Zublena Altri percorsi di lettura: Marco Giovenale Spettri che parlano Massimiliano Manganelli EX.IT: contesti aperti Frammenti da EX.IT

Tre giorni a Rieti

Gilda Policastro Non come vita Poesia Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Esempi da Poesia 13 Torna al men

Spettri che parlano

POESIA

Spettri che parlano


Marco Giovenale
La letteratura, come la politica, conta pi corpi di quanti ne identifichi lordine poliziesco. Tutte e due includono nelle loro invenzioni dei quasi-corpi che non sono che spettri per lo sguardo dellordine dominante del visibile. (Jacques Rancire, Ai bordi del politico)

un elemento, carattere o segnale politico nelle scritture? In alcune scritture? Diremmo che affiora o si nasconde sempre in tutte, e che sta in qualsiasi articolazione del linguaggio. Ma si tratter solo di un carattere frontale, esplicitante, della pagina? Un carattere assertivo? Non si incarner piuttosto, tale carattere, in strategie formali diverse, in tracce diverse, e in differenti aperture al lettore? Vorrei suggerirlo. Vorrei anche solo accennare al proficuo scompiglio portato nellordine dominante del visibile da quei graffi e grafie che abitano fuori dal vocabolario del

Spettri che parlano

dominio (assertivo), e fuori dallincasellamento matematico e poliziesco nei generi letterari. Vorrei dunque, magari in parentesi, lateralmente, anche solo installare una freccia che indica alcune scritture de/generate. (Come di un frumento, anche, si dice che pu essere deglutinato, privato di un coesivo che si rivela non essere unico n indispensabile). Chi ha ancora bisogno di rastrellare e tenere sotto controllo ogni possibile emissione di nuove pagine entro il recinto di un centro di permanenza temporanea, in attesa di smistarle nei campi dei generi letterari, inizia solitamente col catalogarle secondo quei parametri con i quali ha pacificamente o conflittualmente gi fatto i suoi conti. Ne parler dunque come di poesia, decapitando ogni differenza; oppure ne parler come di testi che vengono dal periodo/eredit delle avanguardie o delle nuove avanguardie. Dir: a volte sembrano tali, ergo sono tali. A nessuno pare venir in mente che un etiope non un eritreo non un macedone non un polacco non un cinese. Se arrivano ex abrupto (?) da fuori sono tutti extracomunitari, no? Certo: ovviamente la comunit una, santa cattolica italiana. Il romanzo della comunit! (La comunit del romanzo). Il resto non conta se non appunto come resto, scarto. E poco importa, agli occhi miopi della tassonomia livellante, il fatto che per esempio tante nuove scritture di ricerca non italiane, anche semplicemente sotto forma di microoccorrenze di senso che ci fanno vivere senza per forza essere

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opere, e mostrandosi davvero diversissime tra loro (googlism, scrittura concettuale, flarf, glitch, prosa in prosa, microracconto, animazioni flash, post di rigorosa filologia digitale, twit pseudoinformativi, terabytes di poesia visiva archiviata online, gif o jpg virali su tumblr, esperimenti grafici asemantici, video astratti, mp3 lobit su soundcloud...), siano gi linguaggi, differenze condivise, e siano gi materia e materiale presente attorno a noi. Non conta che si tratti gi adesso della semiosfera e del senso delle nostre mail o sms, delle sintassi verbovisive che implementiamo nei post, della natura stessa dei social network (ma intaccata, criticata, magari), dei giornali in rete e fuori, dei blog, dei videogiochi, dei gruppi di discussione, dei muri siglati in spray, delle chiacchierate non certo lineari e assennate che facciamo a quattrocchi, quotidianamente, extra skype, al bar, ovunque nei canali adsl e in quelli fisici di conoscenza e condivisione che riguardano e innervano i signa e le vite di milioni di persone, di vecchie e nuove generazioni. Che tante nuove scritture configurino picchi di senso inatteso, di cui facciamo tessuto mentale quotidiano. Che esistano perfino festival e rave e incontri, per chi fa googlism o glitch; e corsi universitari e riviste. Che larte contemporanea abiti l e non (solo) nelle gallerie. Che, insomma, i nuovi codici siano materia verbale del mondo l fuori. Nulla. Per chi resta impigliato nel conteggio razionale/razionante dei corpi, tutti in casella, si tratta e si tratter sempre di scritture minoritarie, ma in senso spregiativo (non come gli irraggiamenti del minus loquens

Spettri che parlano

Kafka, di cui sappiamo). Delle nuove scritture diranno nulla; o che non esistono. O che si tratta, al pi, di cattivi o poco meno che cattivi epigonismi appunto delle stagioni delle avanguardie: solo spettri, quasi-corpi, frazioni poco sopra lo zero. Pagine che di fatto tutti leggono e scrivono? Nulla. Editoria e storiografia non sono in ascolto, non ascoltando le voci attorno. Invece proprio unidea di littrature gnrale quale era osservata e aperta (non chiusa) in rivista gi ventanni fa da Olivier Cadiot e Pierre Alferi era ed lidea anche fenomenologica e perfino mappante, ostile al computo e al numero chiuso dei corpi, che risponde pi articolatamente e fedelmente alla situazione contemporanea e alla sua complessit. Per il contesto in cui ci troviamo a vivere, esiste s una letteratura, dunque: viene prima dei generi che conosciamo, che conoscevamo, e pu talvolta felicemente prescinderne. Ha spessore, ha autori che da decenni in tutto il mondo scrivono e dialogano. Si tratta infine di tradurli (e tradursi), dar loro il corpo che gi le loro voci hanno. , la traduzione stessa, un atto pi di molti altri politico.

Spettri che parlano

Mauro Staccioli, Tondo pieno 2009, SR 68, localit La Mestola, Volterra, Luoghi desperienza, 2009. Cemento e ferro, 600 x 60 cm. (Foto Sergio Borghesi).

Altri percorsi di lettura: Massimiliano Manganelli EX.IT: contesti aperti Frammenti da EX.IT Gilda Policastro Non come vita

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Poesia Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Esempi da Poesia 13 Cetta Petrollo Pagliarani Tre giorni a Rieti Torna al men

EX.IT: contesti aperti

POESIA

EX.IT: contesti aperti


Massimiliano Manganelli

n tempi di prospettive glocal (parola non proprio gradevole), pu capitare che un piccolo Comune emiliano, Albinea, diventi per qualche giorno un nucleo pulsante di scritture, anzi di materiali fuori contesto, come recita il sottotitolo di EX.IT, le tre giornate di incontri ospitate appunto dalla Biblioteca Comunale di Albinea tra il 12 e il 14 aprile di questanno. Tre giornate densissime di letture, di suoni e di immagini, perch di materiali si tratta, appunto, e non solo di testi in senso stretto, il tutto ascrivibile a unarea che con una buona dose di approssimazione si qualifica come scrittura di ricerca, espressione sotto la quale si tende sovente a rubricare un po di tutto, senza discernere troppo tra le varie poetiche. E invece qualcuno nella fattispecie i quattro organizzatori di EX.IT: Marco Giovenale, Mariangela Guatteri, Giulio Marzaioli e Michele Zaffarano trova ancora necessario provare a

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differenziarsi, a definirsi, in una maniera che non polemica n drastica, senza dunque proporre movimenti o manifesti, limitandosi invece a circoscrivere un territorio e a interrogare chi lo abita. E bench quel territorio sia variamente popolato sono ben 31, e assai diversificate, le voci presenti nellantologia che dallincontro di Albinea scaturita abbastanza agevole riconoscerne i contorni e attribuirgli un nome: nuovo oggettivismo. questa la formula, senza alcun dubbio approssimativa e generica, che, eventualmente declinata al plurale, sembra unire le numerose esperienze italiane, francesi e statunitensi messe in campo nellantologia, legate tra loro da vincoli non tanto di discendenza ancorch siano presenti decani come Charles Bernstein, Bob Perelman e Jean-Marie Gleize quanto soprattutto di affinit. Fornire una definizione di tale affinit davvero arduo, eppure essa balza facilmente allocchio, soprattutto di chi, come il sottoscritto, ad Albinea cera e ha potuto vedere e ascoltare tutti i materiali, anche quelli video (spesso realizzati dai poeti stessi), che per ragioni comprensibili nellantologia sono solo evocati e non direttamente fruibili. Allingrosso si possono rintracciare alcune linee di ricerca comuni, per esempio quella sorta di poetica del mostrare che mette a nudo i procedimenti del testo come i materiali che lo compongono, spesso prelevati dal contesto globale della comunicazione. In sostanza si mostra loggetto, magari isolato e ricontestualizzato, senza aggiungere ulteriori so-

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vraccarichi del soggetto, che ovviamente non rimosso, giacch esso medesimo a costruire il testo, mentre il famigerato io lirico viene meno. La logica che sottende in larga misura queste scritture di ricerca e forse ogni scrittura di ricerca prevede che il testo si configuri come unesperienza, se non condivisa, quanto meno condivisibile, e non giocoforza riconducibile a un soggetto individuale. E almeno in questa circostanza i termini esperimento ed esperienza rivelano la propria radice comune, tanto etimologica quanto semantica. Altri ancora sono i nessi sotterranei che si possono rintracciare tra gli autori partecipanti a EX.IT. Per esempio, il costante uso dellimmagine (fotografica o video), la quale non si presenta in veste di mero rimando, ma ingaggia con la parola una ininterrotta dialettica intermediale, al punto da entrare a pieno titolo nelleconomia del testo. cos che finiscono per deflagrare del tutto i confini di genere, tanto idolatrati dalleditoria contemporanea: sia quelli tra generi letterari (in molti degli autori presenti la dicotomia prosa/poesia semplicemente insensata), sia quelli che dividono i diversi linguaggi del fare artistico. Ed ecco perch si parla di materiali e non di testi. Materiali fuori contesto, per, perch estranei alla distribuzione generalista e dunque spesso invisibili o non facilmente fruibili. Lo scopo di EX.IT allora, tra gli altri, creare un contesto in grado di ospitare quei materiali e metterli a confronto, farli dialogare tra loro. Si scopre cos che, pur col-

EX.IT: contesti aperti

locati fuori, essi sono pienamente in sintonia col nostro presente, non appaiono come qualcosa di alieno dal modo che abbiamo di esperirlo. Risiede qui il loro essere in contesto, oltre che la loro consistenza allegorica e politica, suggerita forse da una delle possibili interpretazioni della formula EX.IT: exit, cio uscita. unindicazione per sperimentare delle vie duscita, magari in direzione del futuro. Segnato com da un carattere intrinsecamente aperto, tale progetto pertanto non trova la propria conclusione nellincontro di Albinea e nella conseguente pubblicazione dellantologia. Il lavoro prosegue anche per altre vie: la costituzione, presso le Biblioteche Pablo Neruda di Albinea e San Gerardo di Monza, di due fondi che ospiteranno i documenti di questa scrittura di ricerca; e un blog (eexxiitt.blogspot.it) dove possibile reperire anche alcuni documenti video. E altro ancora, perch la ricerca non pu fare a meno di guardare avanti, altrimenti non esiste, in quanto ricerca. EX.IT. Materiali fuori contesto

a cura di Marco Giovenale, Mariangela Guatteri, Giulio Marzaioli e Michele Zaffarano. Albinea (RE), 12-14 aprile 2013. Tipografia La Colornese-Tielleci editrice, 2013, 249 pp., s.i.p.

Pietro DAgostino, Elisa Davoglio, Daniele Bellomi, Alessandro Broggi, Mariangela Guatteri, Andrea Inglese, Riccardo Cavallo, Manuel Micaletto, Florinda Fusco, Giulio Marzaioli,

EX.IT: contesti aperti

Fiammetta Cirilli, Bob Perelman, Roberto Cavallera, Nathalie Quintane, Alessandro De Francesco, Miron Tee, Charles Bernstein, Michele Zaffarano, Marco Giovenale, Andrea Raos, Luigi Severi, Jean-Marie Gleize, Gherardo Bortolotti, Rosa Menkman, Rachel Blau DuPlessis, ric Suchre, Fabio Teti, Simona Menicocci, Jennifer Scappettone, Rosaire Appel, Marco Ariano Altri percorsi di lettura: Frammenti da EX.IT Gilda Policastro Non come vita Poesia Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Esempi da Poesia 13 Cetta Petrollo Pagliarani Tre giorni a Rieti

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Frammenti da EX.IT

POESIA

Frammenti da EX.IT
Gherardo Bortolotti da Quando arrivarono gli alieni 27. Dalle distanze della periferia, risuonavano gli allarmi antiaerei e si vedevano i fumi di alcuni incendi in corso, isolati, tra i condomini ed i parcheggi dei centri sportivi. bgmole sapeva che alcune cellule di estrema sinistra avevano iniziato una campagna di guerriglia nei quartieri, assaltando uffici decentrati, piccole filiali di crediti cooperativi e di finanziarie minori. Ogni tanto, il pomeriggio, vedeva arrivare di corsa, da dopo la rotatoria, drappelli informali di giovani con il volto coperto ed un tascapane a tracolla. Cera chi si fermava, una mezzoretta, a prendere a sassate la vetrina di unagenzia di lavoro interinale. Pi spesso, proseguivano verso le uscite della tangenziale, in attesa delle prime colonne di blindati delle forze dellordine.

Frammenti da EX.IT

28. I cinque consigli di amministrazione pi importanti dellarea di Singapore decisero di passare alla rete, spinottando i propri componenti ad un hub organico di produzione texana. I corpi, in stato di sonno rem per pi di dodici ore al giorno, galleggiavano in un composto nutritivo innestato di colonie di batteri modificati e di tessuti nanotecnologici, incaricati di smantellare sistematicamente le connessioni cellulari, senza interrompere lattivit cognitiva, e infine disciogliere i corpi stessi in una gelatina ipocosciente, attraversata dallhardware di un elaboratore dedicato. Erano stoccati in alcuni magazzini sotterranei alla periferia di Losanna, gestiti da un consorzio di laboratori terrestri ed orbitali, ed i loro cicli onirici venivano quotati sui mercati europei a scadenze mensili. Da quel momento, una serie di operazioni al ribasso avevano congelato limpennata borsistica corrente, producendo, sui mercati nord-americani, strane speculazioni ai danni delle filiere della produzione di contenuti e del settore psicofarmaceutico. Di colpo, iniziarono a spuntare, sul territorio, nelle citt di media importanza, piccole finanziarie che offrivano abbonamenti virtualmente gratuiti alle proprie linee di credito, dando luogo a fenomeni di iperinflazione molto localizzati ed alla generazione di economie parallele basate sullassenza di moneta e di propriet. Come soluzioni improvvise di lente mareggiate, fronti di capitali senza controllo si riversavano su alcune comunit periferiche e si incanalavano nei distretti industriali e agrico-

Frammenti da EX.IT

li secondari, disfacendo le articolazioni dei ceti, le distribuzioni e le abitudini di consumo, limpiego della forza-lavoro, per poi infrangersi in distanza. Simona Menicocci da Saturazioni
anche vero che / cosa a: crisi urla e laltra dispnea pena respiro a / e breve a / capo senza mimo / gestus plus / gusto a: solo un non a pi non pu come anno: ecco lo: primo errore lasciato () immesso / grato tombato dentro *

Frammenti da EX.IT lo spazio coartato destinato a: ivi frattura non che / non solo spazio crepanato torto nodo non pi beh cera: realt / rete alta / altra cella tutta gi nsita / inqua nellindentro non muta imago mai immune muta

Luigi Severi da Sinopia


controlla la posizione, disegna laccaduto poi sporziona pezzo per pezzo in bocca mastica bene prima di inghiottire / ovvero: crepa la carne, scardina le fibre, confondi e impasta la grana intorno ai fasci liquida i nessi, bevi dalle giunture fino al battito

Frammenti da EX.IT carne e crepa, mastica, liquida il nesso succhia limpulso, lanima dai forami, trita a fondo, incorpora i diciotto milioni di respiri di quel corpo, le paure dellombra quando a sera, lodore del fieno e della pioggia, leccitazione al fumo di una femmina, i sogni nella stalla di giorno, presagi, fiato dellerba, senso della notte, il terrore al brillare della lama-stella, e quei secondi finali quando il sangue si scarica (testa in gi, corpo in gi) da tutte le vene aperte, quello sguardo del tutto scoperchiato sulle cose, quellultimo fiato rifluito dentro la carne-mondo che ora spolpi lentamente come se fosse unostia * quantit: pesa, riempi allea cose alle cose: le linee che combaciano le togli quantit prima di qualit, o in altri termini: temperatura peso associazione di elementi luce gi un po altrove, spiace dirlo, per un pittore poi, ma un pittore archivia la materia, la giustifica in forme, prima che arrivi luce (nel buio ronza tutto, lontananze (rappresentare i pesi, faldoni di materia: sei sette dieci cento, conta i nodi, i passi, le zampe (per esempio) del frosone che scompare come un treno in un tunnel: anche leco ha un profilo

Frammenti da EX.IT (la luce dopo la luce arriva quando ( come in volo

Fabio Teti da Sotto peggiori paragrafi E per che soprastare alle passioni e acti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partir da esse, e trapassando molte cose, le quali si potrebbero trarre dallo exemplo onde nascono queste, verr a quelle parole le quali sono scripte nella mia memoria sotto maggiori paragrafi (Dante Alighieri, Vita nova, I, 11) mi ha fatto un animale, una macchina, una macchina, un animale, come posso assicurare che sia io il responsabile di tutto? e se una poesia che ho nel mio vecchio cerchio di dolore generato dalla morte di un capello, ho scritto ma lo stesso anche a causa delle guerre dei segni: perch io, a sua volta, porta alla morte e vi si lascia inoculare senza i vari arredamenti, le applicazioni, dimenticate, per lespulsione di rifugiati a vario titolo nellincubo cotidie di bruciato il ragno della, verit, ma mai la tela del regno centripeto e cos in astratte e le scanalature inferiori del piano detto astrale, in cui il divario di transizione o unaltra formula a scavare allimprovviso un panorama di corpi celesti e di sangue. prepararvi un proprio moto, in luogo, ma una catena anche umana e girare in ogni caso non contando

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su quellaggettivo, comune a tutti, o peggio o meglio. invece, si ha giusto una vaga idea della guerra poi coinvolti in un dialogo da strada, e come prorogati o postergati a unestensione permanente della pressione diastolica e sistolica dai vostri, piccoli conti controllati dai computer, negli eoni con successo infine, stata accettata, o non lo stata. la gente chiama lui un umano, o altro di simile, purch lo si assimili, ch in le scoperte fuori quello toglie cosa solo solo antropomorfa ma gestita dalla scienza come vera: si sta distrutti hanno creato pensa proprio una cassetta, di sicurezza, per labuso di potere e la semplicit della larghezza di banda. poi alcuni, di voi o senza ricorrere a dellacqua, non si ricordano ma niente della tenia n del fuoco: eppure, la passione morale una parte naturale del corpo come il seno o unascella o le dita se lasciate senza protesi Alessandro Broggi da Protocolli a Mousse Sebbene sembri caotico questo lavoro strettamente legato a problematiche relative allorganizzazione. Latto o la proposta di posizionare, spostare, misurare, tagliare, incollare e giustapporre solleva interrogativi sullordine dei sistemi e

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sulla struttura delle gerarchie. Crea cose di cui non si consapevoli. Ognuno di noi pu fare ci che vuole e ottenere dagli altri una reazione intelligente. C un certo grado di realt nel fare concretamente qualcosa osservando il mondo senza manuali. Mentre parli, puoi sottolineare lesattezza dei contenuti modulando linflessione verbale come un possibile primo passo verso la pi sofisticata forma di parabiografia. Lego finzione, non c un me, si tratta soltanto di una tecnica discorsiva. La creazione di qualit culturali, la tua cosiddetta vita in vari momenti di lavoro, riposo, tempo libero, attesa e affetto fisico : unininterrotta attenzione ai cambiamenti tecnologici, alle economie industriali, al modo in cui viviamo. La verit solo un sistema che cerca di controllare un territorio per un certo periodo di tempo. Fino alla nausea. Come artista avrai percepito pi o meno soltanto serie di zeri e di uno. Come scriveva Baudrillard, non c pi trascendenza, non c divergenza, non c niente da unaltra scena, un gioco che riflette il mondo contemporaneo cos com. Per questo larte contemporanea vuota e senza valore. Essa e il mondo producono unequazione a somma zero. Come spettatore avrai creato versioni fittizie di chiunque conosci. Dei tuoi amici, di te stesso e di fatto quelle qualit immaginarie saranno i tratti migliori di quasi tutte le persone. Le cose si formano e si dissolvono in fretta, spesso questione di raccogliere la giusta qualit di pensiero formale

Frammenti da EX.IT

per proseguire la conversazione: la ricerca analogica attende che le congiunzioni materiali ti piombino in testa. La speranza per una nuova sequenza di fatti. Cercando rifugio nellinteresse materiale il sogno parametrico schiacciato lateralmente. una strategia che funziona allinterno di diverse economie. Artista, spettatore non c una corrispondenza perfetta tra queste figure, ognuna guarda le spalle dellaltra. Anzich unimplausibile posizione che immagina se stessa al di fuori delle circostanze, avrai sperimentato con le relazioni performative dei meccanismi duso nei quali ti sarai trovato coinvolto, vettori proattivi di narrazione rispetto ai quali sar possibile rapportarsi. Avrai preso in considerazione gli elementi esistenti e gli oggetti nello spazio e, piuttosto che nasconderli o evitarli, avrai provato ad usarli come elementi compositivi integrali (la tua pratica avr cos evitato qualsiasi forma di riduzionismo). Avrai tentato di introdurvi un protocollo soggettivo, affinch il tuo approccio non diventasse una definizione o una chiusura del senso, ma rappresentasse veramente quello che pu voler dire incontrare i significati. Avrai immaginato che lopera avesse una forza superiore alla tua e a quel genere di problemi; desiderato che mal si adattasse alle categorie che reclamava o a cui faceva riferimento. Questo sar un mo-

Frammenti da EX.IT

do per delineare i confini del linguaggio e delle convenzioni espositive. Unopera che abbia abbastanza spazio in s da consentire al fruitore di fare esperienza della creazione del significato: in essa trova espressione uninterpretazione ideologica del potenziale dello spettatore. La complessit ha raggiunto il punto di non-coagulazione. Frammenti tratti da EX.IT - Materiali fuori contesto http://eexxiitt.blogspot.it/2013/04/exit-2013-libro.html Altri percorsi di lettura: Gilda Policastro Non come vita Poesia Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Esempi da Poesia 13

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Ri-Situazionismo

RI-SITUAZIONISMO

Ri-Situazionismo

testi raccolti in queste pagine sono un compendio di interventi pi ampi ospitati in occasione del convegno internazionale Situazionismo: teoria, arte e politica tenuto a Roma il 30 maggio 2013 presso la Facolt di Lettere e Filosofia dellUniversit di Roma Tre. Gli studiosi che vi hanno partecipato hanno cercato di evidenziare cosa sia rimasto oggi del movimento situazionista, domandandosi se la furia iconoclasta del cinema di Debord e il suo radicalismo politico siano categorie ancora applicabili alla contemporaneit. Le conclusioni sono state piuttosto disarmanti, dal momento che lespressione pi attuale del movimento situazionista sembra essere proprio una rielaborazione dei concetti filosofici di Debord applicati al cinema, allarte contemporanea e alla politica internazionale; il pensiero di Debord ritorna attuale nelle pratiche locative inaugurate dalla rete e nel pensiero che sottost ai movimenti di liberazione dei paesi in via di sviluppo. Gli atti completi del convegno usciranno

Ri-Situazionismo

sulla rivista Agalma (edita da Mimesis) nella primavera del 2014.


Ivelise Perniola

Altri percorsi di lettura: Mario Perniola Ci che vivo e ci che morto Anselm Jappe Lotta nelle strade contro lo spettacolo? Carsten Juhl Dalla critica allo spettacolo al corpo critico Laura Rascaroli Ancora alla deriva? Amalia Verzola Come ripensare la contestazione Torna al men

Ci che vivo e ci che morto

RI-SITUAZIONISMO

Ci che vivo e ci che morto


Il paradosso situazionista
Mario Perniola Che cos il movimento situazionista? Occorre innanzitutto precisare che cosa sintende per movimento situazionista e per situazionismo. Si possono intendere tre cose differenti. La prima lInternazionale situazionista, un gruppo davanguardia artistico-politica che si costituito in Italia a Cosio dAroscia (Cuneo) nel luglio 1957 e si dissolto nellaprile 1972. Questa stata unassociazione chiusa, cui hanno partecipato complessivamente nei quindici anni della sua esistenza 70 persone (63 uomini e 7 donne). La pratica delle esclusioni e delle dimissioni fece s che nel gruppo fossero contemporaneamente presenti non pi di una decina di membri. Il leader del gruppo stato il francese, di origine

Ci che vivo e ci che morto

italiana per parte di madre, Guy Debord (1931-1994) che ha svolto un ruolo egemonico per tutto il periodo della sua esistenza. La frequenza delle espulsioni (45 membri su 70 furono espulsi), unitamente alla pratica delle rotture a catena e al dogmatismo esasperato per cui le affermazioni di ognuno impegnavano anche tutti gli altri, confer a questo gruppo quel carattere settario cui sono sempre stato refrattario: perci nel periodo in cui fui in stretto rapporto con loro (tra il 1966 e il 69) non entrai a farvi parte. Il gruppo produsse tra il giugno 1958 e il settembre 69 dodici numeri di una rivista, il cui direttore fu sempre Guy Debord. LInternazionale situazionista ha fin dallinizio rifiutato di riconoscersi nel termine situazionismo, attribuendo a questa parola un significato negativo: essa, infatti, sarebbe stata connessa col ricupero da parte del mercato artistico delle produzioni dei membri del movimento. Nel mio testo I situazionisti (Castelvecchi, 2005) ho raccontato la storia di questo gruppo artistico-politico. Altra cosa invece la storia della ricezione e dellinfluenza che lInternazionale situazionista ha avuto sul maggio francese del 1968, sulla cultura e sulla controcultura dei decenni successivi. Bisogna pertanto distinguere i situazionisti (cio i membri dellInternazionale situazionista) dai situs, che sarebbero quanti hanno sostenuto e sviluppato le prospettive situazioniste al di fuori dellIs. Fino al 66 lIs era conosciuta da pochissime persone: io venni a conoscenza della sua esistenza in occasione della Dcade sul surreali-

Ci che vivo e ci che morto

smo che si tenne presso il Centre Culturel International di Cerisy-la-Salle (10-18 luglio 1966). Nel dicembre dello stesso anno scoppia lo scandalo di Strasburgo, che la prima manifestazione della contestazione studentesca in Europa. Con due compagni mi precipito in auto a Strasburgo, dove osservo con una certa amarezza e disappunto che laccordo tra i situazionisti e gli studenti locali si gi incrinato e nel mese successivo si rompe definitivamente: segue una serie di accuse e insulti reciproci. Questa piccola vicenda indicativa perch anticipa uno dei tratti caratteristici della mentalit rivoluzionaria dellepoca: la tendenza a mettere sotto accusa e a escludere con critiche infamanti e insulti chi non sarebbe degno di fare la rivoluzione. C infine un terzo aspetto da considerare: gli individui da cui era formata lInternazionale situazionista. Questi erano molto diversi tra loro e ben pochi sono stati coloro che si possono considerare geniali, se appunto questa era una condizione di appartenenza (Is IX, 43). Tra chi ne fece parte nel primo periodo indubbiamente geniali furono lartista danese Asger Jorn e larchitetto olandese Constant. In seguito la personalit di Debord ha marcato il movimento. Si tende generalmente a porre laccento sul rapporto di Debord col suo tempo, mentre si trascura il suo rapporto con la tradizione culturale e con la geografia. In un atlante inglese degli anni Trenta Debord ha indicato gli autori che sono stati importanti per la sua formazione culturale, divisi per nazione. Alcuni sono segnati in lettere capitali: tra questi

Ci che vivo e ci che morto

lEcclesiaste, Tucidide, Dante, Machiavelli, Montaigne, Bossuet, Cervantes, Shakespeare, Stendhal, Hegel, Marx, Novalis. Vale a dire buona parte del canone occidentale. Questo ancoramento nella tradizione ci che distingue Debord dai situs, unitamente a un culto della precisione e della forma che appartiene a ci che Nietzsche chiamava il grande stile, quanto mai estraneo al vitalismo spontaneistico e comunicativo che caratterizz la contestazione e la controcultura della sua epoca. Quando si parla di movimento situazionista, esistono pertanto tre soggetti: il gruppo Internazionale situazionista, che ha prodotto la rivista omonima; linsieme dei simpatizzanti (i situs); e infine Guy Debord, senza il quale il movimento non sarebbe esistito. Debord riuscito? Quale destino storico si suppone possa avere avuto Debord, il pensatore pi estremista della seconda met del Novecento? Uno che si definiva nato virtualmente rovinato (D 1661), dottore in niente, amico dei ribelli, completamente estraneo e aspramente ostile al mondo delluniversit, delleditoria, del giornalismo, della politica, dei media e di qualsiasi tipo di lavoro, grande spregiatore dello Stato, delleconomia, della Chiesa, dellarte e di tutte le istituzioni esistenti, per di pi in guerra costantemente col mondo intero? Chi avrebbe predetto a un simile individuo una fine oscura e miserevole sarebbe stato facile profeta. Eppure sa-

Ci che vivo e ci che morto

rebbe stato un falso profeta. Perch il 29 gennaio 2009 gli archivi di Debord, che era morto quindici anni prima, sono proclamati dal ministro della Cultura della Repubblica Francese dellepoca, Christine Albanel, tesoro nazionale: e in quanto tali accolti nella Bibliothque Nationale de France. Dunque Debord avrebbe raggiunto la massima riuscita inimmaginabile, specie se si considera che essa proviene da quello Stato la cui distruzione egli auspic con estremo accanimento senza mai alcuna esitazione. Consideriamo la questione da un punto di vista pi serio. La vera domanda riguarda, per adoperare linterrogativo che Benedetto Croce si poneva a proposito di Hegel, ci che vivo e ci che morto del pensiero di Debord. Quanto i testi di Debord possono essere utili alla critica radicale del capitalismo odierno? Quella che mi sembra superata una teoria rivoluzionaria che consideri come opposizione fondamentale (in termini marxiani Hauptwiderspruch) quella tra borghesia e proletariato. Il nuovo spirito del capitalismo tende a eliminare tanto luna quanto laltro. La prima perch il mantenimento delle categorie socio-professionali troppo costoso e il neoliberismo non pi disposto a pagare il cosiddetto salario dellideale: il primo colpo al vecchio ordinamento assestato con la distruzione del sistema universitario, la liberalizzazione delle professioni colte, leliminazione delle piccole imprese e del piccolo commercio e gli ostacoli posti alla mobilit sociale verticale attraverso il capitale umano. Il neoliberismo non ha pi bisogno di una classe me-

Ci che vivo e ci che morto

dia, n di un bagaglio di conoscenze, n di saper-fare diffusi e generalizzati. Esso mira altres allabolizione del proletariato attraverso la marginalizzazione dei sindacati, la precarizzazione del lavoro e la deindustrializzazione. Ne deriva che quanto in Debord appartiene ancora alleredit della tradizione dei Consigli operai mi sembra debba essere lasciato da parte. Ci sono per molte altre cose in Debord che meritano, anzi obbligano a una lettura integrale della sua opera. Per esempio, importante chiarire il malinteso che riguarda il rapporto tra Debord e la contestazione studentesca del 68. Sul suo esito positivo Debord non si fece nessuna illusione, come risulta dalle lettere che mi scrisse proprio nel maggio. A luglio di quellanno, quando fui con lui e altri situazionisti a Bruxelles, mi parve gi evidente che esisteva uno iato tra lui e lo spontaneismo insurrezionale del gauchisme. Nei tempi successivi mi sono reso conto che la ragione di quello iato fosse da ricercare nella confusione tra autoritarismo e autorevolezza. Debord sempre stato critico del primo, ma ovviamente non poteva accettare di essere considerato lui stesso come autoritario per il semplice fatto di avere delle idee ben precise e saperle scrivere! Perci tendo a credere che egli sia stato una vittima del gauchisme non diversamente da Adorno. Un altro punto dimportanza decisiva lattenzione che egli dedica in un testo del 1971, La plante malade, alle trasformazioni del capitalismo: questo non pu pi sviluppare le

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forze produttive [] qualitativamente, ma solo quantitativamente (D 1065). Cos cogliendo con molto anticipo un aspetto fondamentale del mondo attuale, che si rivela oggi di estrema attualit. Quando il capitalismo non riesce a fornire pi nulla di qualitativamente valido, la spinta progressiva da cui nato, e che ha ancora mantenuto fino agli anni Settanta del Novecento, si completamente esaurita. Oggi avviene proprio ci che Debord descrive: per la societ dello spettacolo solo il quantitativo il serio, il misurabile, leffettivo; il qualitativo non che lincerta decorazione soggettiva o artistica del vero reale stimato al suo vero prezzo. Per il pensiero dialettico al contrario [] il qualitativo la pi decisiva dimensione dello sviluppo reale. Lottimismo scientifico del XIX secolo crollato: Oggi la paura ovunque, e non se ne uscir che confidando sulle nostre proprie forze (D 1069). Puntare sul qualitativo sembra perci lunica strategia possibile. A chi considera questa strategia come una manifestazione di passatismo, bisogna ricordare che lessere assolutamente moderno diventato la legge speciale proclamata dal tiranno! In conclusione, in cosa consiste il paradosso situazionista? Nellavere portato contemporaneamente allestremo i due opposti orientamenti della modernit: luno verso leccellenza, la lotta per il riconoscimento, la competizione; laltro verso legualitarismo, il livellamento, la negazione delle differenze. Il progresso dipende dalla capacit di trovare un punto di equilibrio tra queste due istanze.

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Testi citati D = Guy Debord, uvres, Gallimard, Parigi, 2006. Is = Internationale situationniste 1957-1969, Fayard, Parigi, 1997.

Mauro Staccioli, Roma 2011, Galleria Nazionale dArte Moderna, Roma, 2011. Acciaio Corten, 1000 cm.

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RI-SITUAZIONISMO

Lotta nelle strade contro lo spettacolo?


La critica della vita quotidiana, mezzo secolo dopo
Anselm Jappe

e teorie sociali nascono per spiegare gli eventi della loro epoca, con pi o meno pertinenza. Con gli anni che passano, e la societ che cambia, il loro valore euristico ha la tendenza a diminuire. Il tribunale della storia ritiene allora solo quelle letture della realt che dimostrano di potersi applicare a situazioni diverse da quelle in cui tali letture sono nate perch hanno colto le tendenze generali di unepoca pi ampia. Queste teorie non sono profetiche (categoria vuota), ma hanno saputo comprendere lessenza di un lungo periodo storico. Coloro che oggi si rifanno ancora allopera di Tocqueville, o Marx, o Weber, o Pareto, affermano che costoro hanno colto, uno o persino qua-

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si due secoli fa, elementi della societ moderna che sono ancora presenti oggi, anche se in forma diversa. Al contrario, teorie anche pi recenti, che, tanto per fare un esempio, vedevano nellalleanza tra operai e contadini un elemento capace di trasformare la societ capitalista, ci sembrano ormai irrimediabilmente datate. Le teorie elaborate negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso dai situazionisti, e in particolare da Guy Debord, fanno parte di queste analisi dalleffetto prolungato? Sono in grado di aiutarci a comprendere fenomeni che questi autori ancora non potevano conoscere? La categoria critica di spettacolo, una volta chiarito che essa descrive un fenomeno molto pi vasto del solo strapotere della televisione, si applica anche alla dimensione politica e sociale del mondo globalizzato quarantacinque anni dopo luscita del libro di Debord? ancora troppo presto per esprimere un giudizio sulle contestazioni che dal maggio 2013 hanno scosso prima la Turchia, poi il Brasile. Questi movimenti di protesta, di un tenore ben diverso dagli Indignados, da Occupy Wall Street e dalle primavere arabe come si spiegher in seguito hanno sorpreso tutti gli osservatori e prodotto molte analisi visibilmente imbarazzate e insufficienti. In compenso alcuni concetti situazionisti possono forse aiutare a cogliere tratti salienti e innovatori di questi movimenti che sembrano sfuggire alla sociologia e alla politologia tradizionali, di destra come di sinistra.

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I situazionisti si erano attribuiti il merito di aver fortemente contribuito a preparare il clima da cui nato il maggio 68 in Francia, e di averne espresso il contenuto profondo, indipendentemente dalla questione di un influsso diretto. Il 68 francese colse di sorpresa quasi tutti gli osservatori; non era la conseguenza di una crisi economica. Le proteste in Turchia e in Brasile arrivano in modo altrettanto inspiegabile, cio dopo anni di vivace sviluppo economico e protestano soprattutto le stesse nuove classi medie, e i giovani che hanno grandemente approfittato di questa crescita. Sembra un paradosso. Alcuni economisti si affrettano ora a spiegare il malcontento con un rallentamento della crescita e il ritorno dellinflazione. O, in modo pi generale, con le aspettative che questo sviluppo avrebbe creato senza poterle soddisfare, soprattutto nellambito dei servizi pubblici. Questo significa per dare per scontato che lo sviluppo capitalistico, la sua forma di ricchezza e il consumo che permette siano di per s desiderabili e che lo scontento sociale nasca solo dalla loro assenza, o dal loro ridimensionamento. Ora, i situazionisti sono stati tra i primi a proclamare che la vita nel capitalismo sempre alienante, anche quando la povert di massa viene meno. La questione non di constatare che la gente vive pi o meno poveramente; ma sempre in un modo che sfugge loro, diceva Debord in un suo film del 1961, e nel libro La societ dello spettacolo affermava nel 1967 che ora labbondanza capitalista che ha fallito ( 115). Essa pu ga-

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rantire la sopravvivenza, ma non la vita. Questa analisi, che era in contraddizione col marxismo tradizionale, ma in parallelo con un pensiero come quello di Herbert Marcuse, si dimostr lungimirante riguardo allesplosione del 68 e al suo seguito: la vita nella societ capitalista risulta sempre insopportabile, anche quando la scodella piena. E se le persone che manifestano oggi con tanta costanza nelle strade delle citt turche e brasiliane di rado esprimono idee chiaramente anticapitaliste, si vede allo stesso tempo che i pretesti iniziali (taglio degli alberi in un parco a Istanbul, prezzo dei trasporti pubblici in Brasile) sono stati rapidamente superati. Quello che si percepisce uninsoddisfazione generale per la vita che si costretti a condurre, anche se non sempre si sa dire il suo nome. Il fatto stesso di trovarsi in tanti per strada, di bloccare il corso abituale dellinfelicit, la rottura con il quotidiano, il sentimento di potenza e di rivincita che deriva dalloccupazione dello spazio pubblico e dallo stare insieme implicano quella critica della vita quotidiana in atto che fu sempre al centro dellagitazione situazionista. Non si manifesta solo per ottenere laccoglimento di una rivendicazione concreta e poi tornare a casa e al lavoro, ma anche per sfuggire alla passivit organizzata e alla noia di una vita gestita da altri. We want to riot, not to work, dicevano gi i rivoltosi di Brixton nel 1981, scandalizzando i benpensanti di sinistra come di destra. Mentre la sinistra tradizionale rimane sconcertata di fronte al carattere apolitico del

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movimento in Brasile, alcuni suoi tratti sembrano la conferma di quanto i situazionisti preconizzavano: un movimento senza capi n programmi, che si situa al di fuori di partiti e sindacati, n desideroso di formarne altri, perch rifiuta la politica tradizionale tout court e ritiene che la presunta sinistra non si distingua dalla destra. (Certo, per altri aspetti esso ben lontano da quanto volevano i situazionisti, che evocavano rivolte proletarie, consigli operai e occupazioni di fabbriche.) I situazionisti erano anche pionieri quando indicavano un nuovo terreno centrale delle lotte sociali nellorganizzazione dello spazio urbano e nellopposizione alla sua ristrutturazione autoritaria e mercantile, che impedisce gli incontri e gli scambi diretti fra gli individui. Si subito constatata limportanza di questi temi in Turchia, dove il pomo della discordia stato la trasformazione di un parco in centro commerciale, e in generale la devastazione di Istanbul mediante megaprogetti architettonici; e in Brasile, dove ha fatto da detonatore la questione dei trasporti. Ma laspetto pi notevole sembra risiedere in quella che si pu chiamare la contestazione dello spettacolo. Per spettacolo Debord e i situazionisti non intendevano solo i media, ma unorganizzazione sociale in cui gli individui consumano sotto forma di immagini e ideologie tutto quello che la societ capitalista impedisce loro di vivere realmente. Vi entrano la religione cos come il consumismo, lo star system come la politica dei partiti e dei leader. Quel che non esiste

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nella vita viene visto su un palcoscenico o su uno schermo (termini da prendere anche in senso pi largo). Lo spettacolo dunque una continuazione della religione allepoca delle merci, dellimmagine riprodotta massicciamente e del consumo compensatorio. Ora, le rivolte in Turchia e in Brasile contestano un aspetto centrale dellalienazione spettacolare nei rispettivi paesi. In Turchia (e ci costituisce una grande differenza con le primavere arabe) si combatte il ritorno allordine morale imposto da un governo islamista che vuole bandire lalcool e incita le donne a fare almeno tre figli. Ancora pi spettacolare la messa in discussione dello spettacolo in Brasile: come tutti sanno, il calcio vi svolge da molti anni un ruolo assolutamente centrale nellalienazione quotidiana e come oppio del popolo. Il governo poteva aspettarsi che anche le spese pi folli e inutili e la devastazione dei quartieri popolari vicini agli impianti sportivi sarebbero stati accettati, visto che si trattava del calcio. Il diffuso rifiuto, manifestatosi allimprovviso, di sacrificare gli interessi immediati della vita allo spettacolo sportivo costituisce allora una vera sorpresa. Decine o centinaia di migliaia di persone marciano a ogni match della Confederations Cup per raggiungere lo stadio, scontrandosi spesso con la polizia, mentre alcuni tifosi contestano allinterno dello stadio. Lo slogan pi pane, meno circo, coppa per chi? ha trovato un largo consenso. Secondo i sondaggi un terzo dei brasiliani contrario allo svolgimento nel paese dei campionati mondiali programma-

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ti per lanno prossimo. Altrettanto notevoli sono le contestazioni dei media, soprattutto dellonnipresente Rede Globo, la seconda pi grande del mondo. Molti osservatori si dicono perplessi di fronte a un movimento che apparentemente non sa che fare della sua forza, al cui interno convivono le anime pi diverse e dove ognuno arriva con la sua rivendicazione personalizzata su un cartello. Ma si pu dire gi adesso che lideologia sportiva, chiave di volta della passivizzazione della popolazione brasiliana, ha subito un duro colpo. E questo, per il sistema, potrebbe essere pi grave della perdita di fiducia nei confronti dei partiti e degli uomini politici, cio dello spettacolo politico in cui nessuno crede pi da molto tempo (e che continua ugualmente). La vita reale, quotidiana, scopre la sua miseria e non accetta pi di dimenticarla nella contemplazione di una perfezione illusoria. Evidentemente molti altri aspetti di queste contestazioni non sono immediatamente leggibili con le categorie annunciate a loro tempo dai situazionisti. Ma considerando lo sgomento della maggior parte dei commentatori professionali, e levidente obsolescenza di molte categorie interpretative, lutilit, almeno parziale, delle intuizioni situazioniste di quasi mezzo secolo fa non pu che confermarne la pertinenza.

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Mauro Staccioli, Senza titolo 2011, Villa Adriana, Tivoli, Villa Adriana. Dialoghi con lantico, 2011. Due elementi, acciaio Corten, 55 x 250 x 30 cm cad. (Foto Giovanni Bulian).

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A monte delle Femen e delle Pussy Riot
Carsten Juhl

uy Debord non era il solo, ai suoi tempi, a nutrire forti sospetti nei confronti dellapparenza e della spettacolarizzazione. Lo storico dellarte Michael Fried si muoveva in parte nella stessa direzione quando attaccava indirizzi dellarte figurativa di quegli anni come la minimal, la land art e, pi tardi, larte concettuale. Fried criticava come una mossa spuria, da parte degli artisti, la teatralit della presentazione delle loro opere. Invece di fermarsi a forme e colori, materiali e rappresentazioni, essi agivano anche sul contesto in cui le loro opere venivano presentate. Per lo storico dellarte americano la ricerca essenziale della creativit si era snaturata con una specie di ca-

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priola da parte degli artisti: i quali, invece di lasciare lopera aperta alla libera contemplazione, volevano determinare il suo effetto sulla cultura, o che addirittura rappresentasse una presenza antagonistica nella societ. Ad accomunare la critica dello spettacolo di Debord alle idee di Fried lipotesi di una zona del sociale da evitare per diverse ragioni. Mentre Debord identifica la spettacolarit con il dominio del capitale, e dunque con lalienazione, Fried interpreta lo stesso spazio come una scena nella quale la ricerca artistica perde il suo contenuto per occupare invece un ruolo culturale e quindi aumentare il suo potere sulla societ. Un aumento di potere che per Debord resta unillusione. Allinterno della spettacolarit vige invece la strumentalizzazione da parte di interessi tuttaltro che critici. Da qui tutta unanalisi storica dei limiti dellesperienza del dada o dei surrealisti, e della fine delle avanguardie artistiche del modernismo alto. Ci che vorrei tentare di precisare ora quello spazio intermedio della spettacolarit o della scena culturale di cui diffidavano tanto i due autori. Nel 1931 Ernst Cassirer tenne una conferenza sullo spazio, Spazio mitico, estetico e teorico. Senza polarizzarli in modo eccessivo, Cassirer separava lo spazio mitico da quello estetico qualificando il primo come assoluto, identitario, unitario e ontologico: in esso il sentimento della vita doveva essere confermato da unilluminazione, quasi una rivelazione. Lo spazio estetico, invece, si costituisce con un ragionamento di tipo kantiano,

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che mantiene la separazione tra soggetto e oggetto partendo da unipotesi di ordine in relazione al molteplice. Invece della conferma della vita, vi si svolge un formarsi di immagini il cui movimento riguarda i modi della libert. Lo spazio teorico tra il mitico e lestetico era poi intravisto come zona extracategoriale, nella quale potevano sorgere quelle Wesen, o essenze locali e intrinsecamente diverse, che sono le opere darte. Cassirer si riallacciava qui alla tradizione filosofica che mantiene una separazione tra sublime e bello, volont e Vorstellung; oppure tra dionisiaco e apollineo. Tralasciando ora bruscamente i necessari distinguo, si possono qui ritrovare le questioni di Debord e Fried: che da una parte possiamo individuare in unestetica delliniziazione e del rituale e, dallaltra, in unestetica della percezione e della spontaneit. Interessa qui, come si detto, la zona intermedia: quella della ricerca artistica, per esempio, di Fluxus o della performance. Questa ricerca era gi messa in discussione allinterno dellInternazionale situazionista nei primi anni Sessanta quando, sulla scia dellazionismo austriaco e di tentativi paralleli da parte di artisti scandinavi, si arriv alla separazione tra Asger Jorn e Jrgen Nash proprio sulla questione della scena e della presentazione delle opere darte. Mentre Jorn cercava di mantenere una forza critica allinterno delloperare artistico, e un legame forte con larte ancestrale e popolare, Nash rivendicava una vita comunitaria artistica in azioni come la famosa ablazione della testa della Sirenetta a Copenaghen (1964).

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In fondo i situazionisti volevano mantenere una separazione tra larte e le situazioni, inscrivendo queste ultime nella preparazione rivoluzionaria: la creazione di situazioni doveva in qualche modo aprire a una comprensione dellalienazione mediante azioni esemplari, capaci di segnalare limportanza di uno spazio teorico e pratico autogestito. Non siamo lontanissimi dallipotesi di Cassirer, poich anche il filosofo tedesco poneva una possibile autonomia nello spazio teorico della ricerca e della riflessione artistica. Lo stesso spazio teorico costituisce le premesse delle azioni dei gruppi postfemministi tipo Pussy Riot o Femen. Come nel caso di Fluxus o della performance, sarebbe infatti limitativo cercare di analizzare le figure delle maschere delle Pussy Riot, o le cadenze rap dei loro slogan anti-Putin, come lo sarebbe descrivere le scritte sui seni nudi delle Femen al pari di graffiti o tatuaggi. invece evidente che abbiamo a che fare con una furia sovversiva che si vuole situare fuori dai giochi della politica o delle istituzioni culturali. Scegliendo spazi e contesti carichi di autorit come le chiese, gli incontri tra uomini di Stato, giochi sportivi o elezioni, questi gruppi commentano e aggrediscono allo stesso tempo le autorit e i loro rituali sottolineandone la dimensione ipocrita e la doppia morale. Invece di fare appello in modo discorsivo allindignazione popolare, la loro presenza radicale e oscena diventa portatrice di un senso tutto da interpretare. Tale radicalit legata al pericolo che corre il corpo nudo femminile quando si espone in quel modo allintervento

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delle autorit. Pericolo che scavalca senzaltro laudacia artistica mostrata nelle performance o nelle situazioni. Ogni pericolo ricercato nuovo, se vogliamo accettare questo aggettivo di comodo, poich ogni rischio un rischio a se stante, definitivo, legato allaprirsi allarbitrio delle scelte dei potenti. I due anni di gulag inferti alle Pussy Riot o la condanna di Amina Sboui parlano chiaro. Lo spazio che stanno aprendo questi gruppi postfeministi mostra limportanza dellipotesi di Cassirer: tra lidentit mitica e lesperienza estetica esiste uno spazio teorico che non si pu assimilare a funzioni sociali come lopinione pubblica o la spettacolarit mediatica, ma molto pi vicino alla ricerca. Non aperto di per se stesso, ma pu essere dischiuso da un operare investigativo relativamente complesso. Non infatti un operare isolato, ma si inserisce in un topos diverso da quello della politica o della cultura. Aggiungerei qui, per esempio, le lotte contro il sexual harassment da parte di gruppi femminili sparsi in tutto il mondo, dal Brasile allIndia, dallEgitto al Sud Africa, che si riconoscono nel Manifesto contra-sessuale di Beatriz Preciado (pubblicato in Italia da Il dito e la luna nel 2002 a cura del centro studi Gltq): un manifesto radicalmente antidentitario o almeno assolutamente trasversale nei confronti di unidentificazione del soggetto con un essere genitale, etero o omosessuale che sia. Mediante un tono di tipo parodico e sia le Femen che le Pussy Riot usano la parodia come forma di intervento si argomenta a favore duna eguaglianza anale tra gli es-

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seri umani per uscire dal dominio delluomo sulluomo e approdare a una societ di scambi rituali mediati da quel feticcio magico che Preciado individua nel dildo! Con tali toni parodici questi gruppi postfemministi riescono a reinterpretare zone di comportamento che i movimenti precedenti avrebbero considerato di cattivo gusto. Un simile dischiudersi dellosceno si rivela quanto mai necessario per espandere il potenziale di interventi di questi corpi critici. Altri percorsi di lettura: Laura Rascaroli Ancora alla deriva? Amalia Verzola Come ripensare la contestazione Ri-Situazionismo Mario Perniola Ci che vivo e ci che morto Anselm Jappe Lotta nelle strade contro lo spettacolo? Torna al men

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Su alcune pratiche filmiche e locative postsituazioniste
Laura Rascaroli

ratica sperimentale legata allesplorazione degli effetti psicogeografici delle zone urbane, la deriva situazionista unoperazione che tende a riorganizzare e cambiare la citt, ricostruendola come spazio potenziale, aperto e nuovo. Essa si manifestata a tre livelli: come esperienza di individui o gruppi di situazionisti dediti alla pratica del passaggio veloce attraverso ambienti cittadini, guidati dalle attrattive del territorio stesso e dagli incontri che vi si fanno; come attivit teorico-critica sulla societ capitalista e lo spazio da essa forgiato e controllato; e come produzione riflessiva e culturale, per esempio di resoconti scritti o di cartine psicogeografiche, come la celeberrima

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The Naked City. La pratica situazionista della deriva urbana oggi tornata potentemente alla ribalta anche grazie allo sviluppo di tecnologie che offrono modi alternativi, individuali e personalizzati di interagire con lo spazio, di mapparlo e di registrare la propria presenza quotidiana al suo interno. Il Geographic Information System (Gis) ha avuto un ruolo centrale nel rilancio della deriva situazionista come pratica critico-artistica nel mondo contemporaneo. E non sono solo gli artisti ad aver recuperato tecniche situazioniste sullo stimolo fornito dal Gis: si pensi per esempio alle app per iPhone come Situationist, sviluppata da Benrik, dove la tecnologia Gps utilizzata per identificare e incontrare persone disposte a interagire con noi in situazioni casuali, dalle pi amichevoli alle pi sovversive; o al WalkSpace di Conor McGarrigle, descritta dal suo creatore come un metodo alternativo di navigare la citt (Dublino, nel caso specifico) in maniera nuova e imprevedibile. App di questo tipo sollevano linevitabile domanda non solo sulla mediazione dellesperienza della deriva attraverso la tecnologia, ma anche sul trasferimento dellesperienza stessa su Internet. Dove situata la deriva guidata o registrata da tecnologia Gps? Nella citt o nella rete? O da nessuna parte? Nonostante il fervore postsituazionista che imperversa su Internet e linteresse di molti artisti per luso del Gps applicato alla mappatura di camminate e citt, alcune voci critiche mettono in dubbio lopportunit di legare queste nuove forme al situazionismo incluso il filosofo Simon Critchley,

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il quale ha adottato lespressione manierismo situazionista alludendo a un fenomeno tardivo, decadente e compromesso rispetto alloriginale. I problemi identificati dai critici includono la logica calcolativa che caratterizza il Gps come tecnologia di origine militare; lenfasi posta sui pattern di dati piuttosto che sullessenza della deriva; e, pi in generale, limpossibilit di sviluppare una dimensione davvero estranea al capitale, alla scienza e alla tecnologia, e alla realt mediata e mediatizzata in cui viviamo. Altri critici fanno notare invece come luso che questi artisti fanno di tecnologie nate per altri scopi sia sovversivo in s, concetto per niente estraneo al situazionismo, che incitava al dtournement, visto come deviazione e sovversione. tuttavia innegabile che le tecnologie a base di Gis pongano lenfasi sulla raccolta e sui pattern di dati pi che sullesperienza della deriva, come si evince da una disamina di vari progetti artistici, per esempio le camminate registrate da Gps di Thorsten Knaub; cartine come Traverse Me, mappatura situazionista del campus dellUniversit inglese di Warwick commissionata dalla Maed Gallery a Jeremy Wood; e resoconti attraverso blog che possono includere scrittura diaristica, cartine, dati, fotografie e video, come quello delle derive urbane in bicicletta di Ryan Raffa. Tutte queste metodologie di registrazione, resoconto e comunicazione contengono specifiche tracce della deriva e dellesperienza fatta. Le sintesi grafiche e le cartine sono spesso affascinanti oggetti estetici, e certamente possono modificare la nostra immagi-

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ne di una citt o di una zona, ma non ci avvicinano in maniera sostanziale allesperienza della deriva, di cui offrono una visione astratta, come dallalto. I blog o progetti multimediali sono resoconti pi informativi e completi; ma sono i video che promettono una visione pi fedele e una partecipazione pi diretta, personale ed emotiva allesperienza di una deriva (salvo parteciparvi in prima persona). Se da un lato offrono meno dati, essi forniscono molte tracce esperienziali in pi. Un esempio il progetto multimediale Divergent Metropolis di Social Agency Lab, un collettivo di urbanisti nordamericani. Nel video di una loro deriva attraverso Houston (visionabile sul sito socialagencylab.org) colpiscono certi aspetti del linguaggio filmico: la grana e il colore dellimmagine ripresa con telecamera a infrarossi; limmagine mossa della camera a mano; la velocizzazione dellimmagine; il commento musicale. I codici audiovisivi sono sfruttati per creare un senso di immediatezza, casualit e imprevedibilit, presenza e vicinanza fisica al gruppo, parzialit (e quindi soggettivit) dellimmagine e della visione, e di emozione. Non sono pochi i video e i film riconducibili alla pratica situazionista. Alcuni nascono come documentazione di una deriva, come quello di Divergent Metropolis, altri ne costruiscono una e, per cos dire, la mettono in scena. Fra i primi, High Wycombe: Psychogeographic Nodules of Energy Walk un video caricato su YouTube da Fuguer, nome sotto il quale operano i britannici Cathy e John Rogers. Girato in Super 8,

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High Wycombe il documento di una camminata effettuata durante il solstizio dinverno del 2004. La camera in soggettiva e la macchina a mano producono un senso di presenza e di partecipazione emotiva; il montaggio veloce imita le tecniche situazioniste del passaggio rapido, dei differenziali di velocit e del cambiamento di paesaggio. Il Super 8, formato amatoriale del passato, produce al contempo un senso di familiarit e un insolito spaesamento temporale che si aggiunge a quello geografico. Quella che si vuole ricreare la sensazione, lemozione, la partecipazione, in altre parole lesperienza della deriva. Anche film professionali di derive spesso fanno uso di codici simili. Fra gli esempi, Cycling the Frame (1988) e The Invisible Frame (2009) di Cynthia Beatt, che seguono le pedalate dellattrice Tilda Swinton lungo il Muro di Berlino, prima e dopo la sua caduta; London Orbital (2002) dei registi-scrittori Chris Petit e Iain Sinclair, girato lungo la tangenziale M25 di Londra; e il primo episodio di Caro diario (1993), che segue una deriva di Nanni Moretti in Vespa per le strade di Roma. La trilogia di film saggio del regista-architetto inglese Patrick Keiller London (1994), Robinson in Space (1997) e Robinson in Ruins (2010) un esempio di film per i quali una deriva non mai esistita. Un narratore fittizio segue le tracce dellelusivo Robinson e delle sue ricerche sul problema di Londra e dellInghilterra: cos offrendo una controlettura dellultimo secolo inglese, visto attraverso le tracce lasciate da capitalismo e imperialismo e dalla politica del

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partito conservatore sullo spazio urbano ed extraurbano. La trilogia di Keiller ideologicamente vicina al situazionismo e alla sua critica/distruzione dei valori borghesi, capitalisti e colonialisti, anche se con un tono pi disincantato, scettico e postmoderno. Essa adotta uno stile del tutto dissimile dai video e film fin qui considerati, essendo composta da lunghe sequenze di immagini girate con una camera fissa, che osserva senza mai muoversi. In questo caso i film non ci avvicinano alla deriva di Robinson, fatta in soggettiva, ma ce ne propongono tracce disgiunte focalizzandosi, per usare la terminologia di Debord, sui centri di attrazione; il movimento della deriva, prodotto da correnti e vortici, stato eliminato dalla rappresentazione visiva, ma suggerito dalla narrativa in voce fuori campo, e ricostruito mentalmente dallo spettatore. In altre parole, la deriva qui unesperienza interamente filmica; lesperienza della deriva lesperienza del film stesso. In questo senso i film di Keiller sono performativi; essi sono la performance di una deriva che interamente filmica, e che esistita ed esiste solo come film. In altre parole, il film la deriva.

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Mauro Staccioli, Senza titolo Celle 82, Fattoria di Celle, Santomato di Pistoia, 1982. Cemento, 810 x 1770 x 105 cm. (Foto Enrico Cattaneo).

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Come ripensare la contestazione

RI-SITUAZIONISMO

Come ripensare la contestazione


Errata e Toni Arno a Parigi negli anni Settanta
Amalia Verzola

ella prima met degli anni Settanta un giovane romeno esule a Parigi, Toni Arno, fonda la rivista Errata. Pubblicata per la prima volta nel novembre 1973, essa rappresenta un esempio ben costruito di militanza intellettuale. Quindici anni di proposte, progetti, idee e alternative, e un solo scopo: spiegare il fallimento del 68 e superarlo. Un superamento che, dunque, anche e soprattutto un attraversamento. Peccato per che lavventura avanguardista che accompagna la pubblicazione di Errata sia pressoch sconosciuta. Peccato, perch le tematiche che emergono dalla lettura della rivista sono davvero suggestive.

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Al primo impatto Errata sembrerebbe collocarsi nel solco del postsituazionismo, ma non affatto cos. Lo stesso Toni Arno, daltronde, fa parte dellInternazionale situazionista, ma solo per qualche mese. Conosce e frequenta Guy Debord per prenderne poi bruscamente le distanze. Perch? Errata voleva rispondere a una sostanziale esigenza: innescare un processo efficace e trasversale di ridefinizione delle culture di sinistra. Forse anche lIs, cos come il movimento rivoluzionario moderno, non era stata in grado di comprendere realmente la sua epoca? O meglio: lIs era riuscita a ingaggiare quella che Arno avrebbe definito una lotta storicamente situata? Critica e socialit sono i concetti chiave attorno ai quali ruota il lavoro del gruppo avanguardista che gravita intorno ad Arno. Un gruppo che stenta, tuttavia, a definirsi tale. Errata lincontro autentico di individui che condividono le medesime prospettive, le medesime aspirazioni. Non settarismo, ma partecipazione. Ripensare non solo il presente ma anche e soprattutto i rapporti interpersonali: su questo terreno si gioca la partita. Ma in che modo la rivoluzione deve avvenire nel presente? Innanzitutto rompendo col passato. Con una rinnovata lucidit, con unaffinata capacit critica. Il rapporto con la dimensione storica non deve pi fondarsi su unattitudine contemplativa, fatalista o addirittura millenarista: tendenza che invece stata la cifra peculiare degli anni Settanta. I movimenti rivoluzionari avevano in effetti dimostrato scarsa capacit di aderire al presente, ripro-

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ponendo schemi di pensiero e azione ormai obsoleti, stantii. Il primato della teoria, inoltre, aveva contribuito a rendere ancora pi difficoltoso qualsiasi ripensamento critico del dato. Il fallimento stesso della contestazione aveva portato con s una serie innumerevole di piccole rivendicazioni astratte. Per Errata, invece, fare la storia, e ingaggiare una lotta storicamente situata, vuol dire essenzialmente avere una cognizione chiara del momento storico: essere in grado di soggiornarvi. Per capire il presente importante insistere, persistere, considerare senza precipitazione tutto ci che in via di formazione sostiene Toni Arno in Jours critiques, pubblicato sullundicesimo numero della rivista . Non risparmiarsi di fronte a nessuna difficolt che si presenti, ma affrontare queste per intero, senza scorciatoie n vie traverse. I cambiamenti reali non sono i pi visibili, ma i pi sensibili. Il rapporto dei vecchi rivoluzionari con la dimensione potenziale dellesistenza era assolutamente patologico, morboso, proprio perch non attento al presente. Errata vuole invece accogliere e tesaurizzare il momento storico. Questa nuova attitudine critica in quanto valutativa, analitica. Una disposizione a lasciarsi attraversare dalla vie courante che porta con s anche la possibilit di risignificare le relazioni interpersonali attraverso un contatto pi profondo con laltro orientato allospitalit, alla scoperta e privo di pregiudizi. Non c alcun rapporto di antecedenza logica tra la critica e questa rinnovata socialit: affinare larma della criti-

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ca, infatti, significa al contempo acquisire coscienza del contenuto eversivo della relazione, dellincontro. E cos questa socialit, la capacit di vivere consapevolmente le relazioni interpersonali, permette di articolare unopposizione specifica allo statu quo. La critica, incanalata nella socialit, pu dunque finalmente tradursi in sapere operativo. La socialit critica, ovvero il saper-essere-presenti-lucidamente nella relazione, rappresenta in Errata il punto di arrivo di un percorso di indagine estremamente interessante. Ma, al contempo, anche il punto di partenza. Il presente non offre mai un adeguamento perfetto dellaltro: farsi carico di questa differenza irriducibile vuol dire predisporsi allemergenza dellimprevisto, e dunque al cambiamento. Una nuova generazione di intellettuali rimpiazza cos quella precedente. Lintellettuale di Errata vuole conoscere il mondo senza lasciarsi intrappolare dal vecchio. Rispondere alle esigenze dei tempi non equivale a guardare con occhio nostalgico al passato, n tanto meno a proiettarsi in una dimensione futura tanto fumosa quanto irreale. Rispondere alle esigenze dei tempi vuol dire aprirsi, piuttosto, a un contatto pi autentico con il presente. Quello di Errata fu un progetto culturale di ampio respiro e di estrema attualit. Forse sottovalutato.

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Mauro Staccioli, Portale 2009, Fattoria di Lischeto, Volterra, Luoghi desperienza, 2009. Acciaio Corten, 1000 x 805 x 55 cm. (Foto Bob Tyson).

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GRECIA

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Un colpo di stato mediatico
Dimitri Deliolanes

on possibile comprendere le responsabilit delle classi dirigenti per la profonda crisi in cui si trova dal 2009 la Grecia senza affrontare la cruciale questione del sistema informativo, con particolare attenzione verso quello televisivo, che poi quello che conta di pi nel formare il consenso e indirizzare il voto. In Grecia inoltre si ha la particolarit che il sistema televisivo privato uno dei pi forti centri di potere del paese. Fin dalla sua nascita, negli anni 1990-91, il sistema delle tv private si distinto per il suo fortissimo intreccio con i due partiti di governo (i socialisti del Pasok e i conservatori di Nuova Democrazia), e proprio questo intreccio ha definito a sua volta tutte, senza eccezione, le successive scelte poli-

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tiche ed economiche del potere politico. Un forte intreccio, quindi, tra imprenditorialit in affari con lo stato e informazione politica fortemente controllata. Il motivo di questo intreccio trae le sue radici, come hanno rilevato economisti quali Kostas Vergopoulos, dalle origini dellattuale classe imprenditoriale greca, in gran parte composta dai discendenti di chi si arricchito con la criminalit, la borsa nera o la collaborazione con i nazisti durante la seconda guerra mondiale. La successiva guerra civile ha sdoganato, in funzione anticomunista, queste bande di nuovi ricchi che hanno preso in mano le redini delleconomia del dopoguerra, avendo gradualmente emarginato e poi espulso le grandi famiglie costantinopolitane. Il regime dei colonnelli (1967-1974) ha segnato laffermazione definitiva di questa borghesia parassitaria, che prospera unicamente grazie agli affari con lo stato. proprio questa classe imprenditoriale che oggi controlla i principali cinque canali privati greci, i quali nel complesso rappresentano quasi l80% dellinformazione televisiva. Grandi audience, ma scarsa credibilit. Il modello informativo applicato infatti quello dellinfotainment, informazione resa intrattenimento, facilmente digeribile, drammatizzata ed enfatizzata. Ovviamente, con tutte le manipolazioni del caso: notizie scomode scomparse e informazioni dubbie riportate come fatti, a seconda degli interessi politici ed economici delleditore. Un esempio eclatante stata laffermazione di Kostas Simitis nel 1996 come nuovo lea-

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der del Pasok dopo la morte del fondatore Andreas Papandreou. Simitis era un esponente di una corrente ultraminoritaria dentro il Partito socialista. Grazie a unintensa campagna propagandistica promossa dai canali privati egli si ritrovato a capo del partito, pronto a truccare i conti pubblici pur di ottenere ladesione della Grecia alleurozona. Va inoltre segnalato che alcuni editori televisivi sono anche proprietari di giornali, cos il controllo sullinformazione diventa molto pi efficace. Ad esempio, il gruppo dellappaltatore Bobolas lazionista di riferimento del canale privato Mega (ai vertici dellaudience) e del gruppo editoriale Pegasus, mentre il gruppo editoriale Lambrakis, che ha interessi nelle forniture pubbliche, ha una partecipazione in Mega e pubblica due giornali, Ta Nea e To Vima (domenicale). Nella Grecia della crisi lintreccio perverso tra i due partiti di governo e le televisioni private non solo non stato minimamente intaccato, ma al contrario si rafforzato. La Troika (Bce, Fmi, Commissione europea) ha colpito duramente il lavoro dipendente, ma non ha sollevato alcuna obiezione sul fatto che tutti i canali privati occupano da pi di un ventennio le frequenze pubbliche senza versare un euro alle casse dello stato. Non stato neppure sollevato il problema dei mancati versamenti della pur esigua tassa sulla pubblicit trasmessa e dei contributi dei dipendenti. Ma c un motivo per questa distrazione. I canali privati sono stati fin dallinizio della crisi tra i pi tenaci sostenitori

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della politica di austerit, giustificata e difesa grazie alla diffusione di informazioni manipolate. Un esempio: per pi di un anno i canali privati hanno propalato la falsa notizia secondo cui gli impiegati pubblici greci erano pi di un milione e mezzo. E quando lallora premier socialista George Papandreou fece un censimento e scopr che nel 2011 erano poco pi di settecentomila (sotto la media europea), la notizia fu sepolta. Anche per lattuale premier Antonis Samaras il sostegno dei canali privati stato decisivo nelle doppie elezioni di maggio e giugno 2012. Ma soprattutto adesso che lui non pu permettersi di perdere il loro sostegno. Il governo greco si trova infatti in una situazione estremamente scomoda: pur avendo promesso agli elettori una rinegoziazione della politica di austerit, ora costretto ad applicare una serie senza fine di nuove misure in nome di una politica che ha perso ogni legittimit perfino agli occhi del Fmi. Incapace di stringere alleanze con gli altri paesi indebitati delleurozona e restio a sollevare di fronte allEuropa il problema della gravissima situazione sociale che ha comportato la politica della Troika in Grecia, il governo di Samaras ha gradualmente trasformato la sua funzione in modo da diventare un mero organo esecutivo delle imposizioni della Troika stessa. Una politica con altissimi costi sociali che non lascia intravedere alcuno sbocco. Lunica maniera per far accettare al popolo greco questo scempio la repressione poliziesca coniugata con grandi

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campagne propagandistiche. Queste ultime sono una specialit dello staff dei collaboratori del premier, composto per la maggior parte da ex esponenti dellestrema destra, che spesso non esita a ricorrere a vere e proprie falsificazioni. Come, per esempio, il montaggio ad arte delle dichiarazioni di un deputato dellopposizione di sinistra Syriza per farlo sembrare un apologeta della violenza terroristica. Lultima campagna in grande stile stata intrapresa a giugno. Sosteneva che la politica di austerit era certo dura, ma cominciava a dare risultati: continue rivalutazioni nella Borsa di Atene, stabilit politica, unuscita dalla recessione gi nel 2014. Il ministro delle Finanze, Yannis Stournaras, si spinto perfino a preannunciare il ritorno della Grecia nei mercati entro lanno prossimo. Anche qualche autorevole giornale italiano ha abboccato e qualche giornalista imprudente ha usato le fatali parole ristoranti pieni. Pochi giorni dopo stato rivelato il documento del Fmi sullerroneit della politica europea in Grecia, mentre si scatenata una valanga di dati e valutazioni tutti incentrati sul fatto che, dopo tre anni di sofferenze, non c alcuna luce in fondo al tunnel. Alla fine persino Wolfgang Schauble ha dovuto riconoscerlo. in questo contesto che l11 giugno scattata la brutale chiusura della televisione pubblica Ert. Sulla stampa italiana sono comparse molte imprecisioni: avendo in mente la Rai, si parlato di privatizzazione e si descritta la Ert come un carrozzone mangiasoldi. La verit per che la priva-

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tizzazione non stata mai presa in considerazione da Samaras, mentre si ignorato il fatto che dal 2010 la Ert in attivo. Lanno scorso ha chiuso i suoi bilanci con un guadagno netto di circa 40 milioni. La guerra allemittenza pubblica, quindi, stata scatenata dalla componente di destra del governo non per ragioni economiche ma per ragioni puramente politiche e si inserisce nella preoccupante svolta autoritaria che caratterizza il governo Samaras. Dallinizio dellanno ben diciannove scioperi di categoria (dai portuali agli insegnanti) sono stati repressi con la precettazione. A Skouries, nel dito mediano della Penisola Calcidica, da marzo la popolazione vive in condizioni di stato di polizia, con continui controlli e perquisizioni, violenze e blocchi di interi villaggi. Il motivo che gli abitanti protestano perch una societ mineraria greco-canadese (la parte greca rappresentata dallazionista di maggioranza dellemittente Mega) sta distruggendo la splendida penisola per aprire nuovi pozzi alla ricerca di oro. Lemittenza pubblica era di ostacolo a questa politica del governo, non perch si prodigasse in critiche e obiezioni, ma perch si rifiutava di appiattirsi sulle veline della Presidenza del Consiglio. Samaras ha ritenuto che lunica soluzione fosse la completa privatizzazione dellinformazione televisiva. Un grande regalo ai signori dei canali privati per ottenere il pieno controllo dellinformazione. Non un caso che lunica forza politica che ha sostenuto tale scelta, oltre alla stessa Nuova Democrazia, fossero i nazisti di Alba Dorata.

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GRECIA

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Vassilis Vassilikos

aduta come un fulmine a ciel sereno, la chiusura della radio-televisione pubblica Ert, del sito Internet e dei canali satellitari non altro che un colpo di stato mediatico, il primo a livello mondiale. Neanche la giunta militare andata al potere con i carri armati il 21 aprile 1967 aveva decretato la chiusura della radio pubblica (allepoca non cerano radio private, n una stazione televisiva). Si era limitata a trasmettere marce militari e proclami deliranti dei colonnelli. Quel che voglio dire che la chiusura, il lucchetto, la cancellazione, lapparizione del no signal nel piccolo schermo dal punto di vista semantico segna un ritorno alla barbarie. Parafrasando la formula socialismo o barbarie di Cornelius Castoriadis, di fronte al dilemma capitalismo o barbarie il presidente del Consiglio Antonis Samaras ha optato senza dubbio per la seconda.

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Avendo ricoperto lincarico di vicedirettore generale della Ert negli anni 1981-1984, conosco bene il ruolo svolto dalla tv per quanto riguarda i problemi di difesa del paese, ma soprattutto per quel che riguarda i greci della diaspora, che sono altrettanti dei residenti nel paese: circa 11 milioni di ellenofoni che risiedono oltre le frontiere, sparsi nei cinque continenti. Tutti costoro sono rimasti allimprovviso orfani, privati dellunico legame ombelicale che li teneva in contatto con la madre patria. La televisione privata ha fatto la sua apparizione nel 1990 in maniera arbitraria e sregolata, e il suo status rimasto invariato fino a oggi. I suoi programmi si caratterizzano per populismo e volgarit e i suoi telegiornali sono asserviti agli interessi dei singoli editori. Questo ha fatto in modo che i telespettatori si spostassero in massa verso la televisione pubblica, specialmente negli ultimi anni, come assetati nel cuore del Sahara in cerca di unoasi di qualit dove abbeverarsi. Ovviamente i pubblicitari hanno sistematicamente manipolato le loro misurazioni dellaudience e non hanno mai assegnato alla Ert gli indici di ascolto dei suoi tre canali sul digitale terrestre, pi uno satellitare, pi sei programmi radiofonici con copertura nazionale. Anche in questo caso, come durante la primavera araba e poi in Turchia, Internet ha funzionato come provvisoria valvola di sfogo per i gas tossici del golpe mediatico. Inoltre due canali televisivi, uno della sinistra radicale Syriza e un altro pi piccolo, hanno continuato a trasmettere program-

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mi con interviste e dibattiti con coloro che facevano visita ai coraggiosi giornalisti delloccupazione, in studios provvisori dentro la sede centrale della Ert, mentre migliaia di cittadini li proteggevano da una probabile invasione della polizia. La quale, alla fine, non ha osato entrare in azione ad Atene, mentre ha sgomberato con le maniere forti la sede del canale pubblico regionale Et3 a Salonicco. Un sondaggio effettuato durante i giorni delloccupazione della Ert ha mostrato che il 70% degli intervistati, in ogni angolo del paese, si espresso contro la chiusura della televisione pubblica. I cittadini hanno mandato un messaggio chiaro al premier che ha preso la decisione di chiuderla in maniera unilaterale, tenendo alloscuro gli altri due partiti che partecipano alla coalizione di governo, i socialisti del Pasok e la Sinistra democratica. La verit che non avevamo fatto in tempo a digerire pienamente la notizia di aver evitato il grexit quando ci capitato tra capo e collo il no signal delle frequenze della tv pubblica. Avevamo aperto con tanto ottimismo le porte dellestate ai circa 17 milioni di turisti previsti, e di colpo ci siamo trasformati in un paese antieuropeo agli occhi di tutto il mondo. stato un errore imperdonabile. E insistere nellerrore, come il partito di centrodestra ha continuato a fare nelle settimane seguenti, ancora pi imperdonabile. Certo, la Ert non era unimpresa perfetta. Dominavano cordate sotterranee, clientele, raccomandazioni, un sistema di governo tipi-

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co del periodo in cui, per quattro decenni, si erano alternati al governo i socialisti del Pasok e i conservatori di Nuova Democrazia. Cera stato un tentativo di risanamento durante il governo di George Papandreou, ma si era scontrato in Parlamento con lallora opposizione di Nuova Democrazia di Samaras. Quello stesso Samaras che ora ripropone praticamente lo stesso piano di risanamento, ma compresso nellarco di tre mesi. Con alcune modifiche sostanziali: coloro che saranno riassunti dovranno possedere un dottorato di ricerca e passeranno al vaglio dellorganismo per i concorsi pubblici Asep. Ma i giornalisti, i produttori, i registi e tutti coloro che in qualche modo lavorano nel mondo dellinformazione e dello spettacolo non devono avere necessariamente titoli accademici di alto livello. Forse i capi dei servizi tecnici s, ma non certo gli operai, i cameraman, i fonici. In conclusione, tutto appare per il momento confuso. Lunica cosa inammissibile loscuramento delle frequenze, il buio pesto della cultura e dellinformazione pubblica. Traduzione dal greco di Dimitri Deliolanes Per ulteriori informazioni si veda anche www.alfabeta2.it/2013/ 06/19/no-signal/#sthash.Ou8YFU8K.dpuf

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Cinquantanni dopo

Cinquantanni dopo

al 3 all8 ottobre 1963, allHotel Zagarella di Solunto, presso Palermo, nasceva il Gruppo 63. A cinquantanni di distanza, nei prossimi mesi di ottobre e novembre, una serie di appuntamenti si terranno fra Roma e Los Angeles secondo il programma dettagliato qui a p. 36. Il Gruppo 63 non fu solo letteratura, si sa (del resto il primo incontro si tenne in occasione della Settimana internazionale di Nuova Musica, organizzata da Francesco Agnello), come ricorder un ampio speciale sul prossimo numero di alfabeta2. Ma certamente il suo nucleo fu composto da scrittori e critici. E fra ottobre e novembre usciranno anche alcuni loro libri, vecchi e nuovi, dei quali presentiamo qui in anteprima qualche assaggio.

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I testi di Umberto Eco e Giorgio Manganelli sono compresi nel volume Il romanzo sperimentale, a cura di Nanni Balestrini, uscito nella collana Materiali di Feltrinelli nel 1966 con gli atti del convegno omonimo tenuto ancora a Palermo lanno prima: e ora di nuovo in uscita presso Lorma, a inaugurare la seconda serie della collana fuoriformato, a mia cura, i cui primi 31 titoli sono stati pubblicati dal 2006 al 2012 da Le Lettere. Il testo di Manganelli, che non era presente a Palermo, era in appendice al volume originario, mentre quello di Eco, scritto per questa occasione, fa parte di una sezione dal titolo Il senno di poi che comprende interventi dei reduci di quelloccasione e di una quantit di scrittori e critici postumi, appartenenti alle generazioni successive. I brani in versi di Elio Pagliarani, originariamente compresi nella Bella addormentata nel bosco, edita presso Corpo 10 nel 1987 (e in parte remixati dallautore otto anni dopo nella Ballata di Rudi), sono ora compresi nel volume Tutto il teatro, in uscita presso Marsilio a cura di Gianluca Rizzo, che raccoglie i testi scritti per la scena da Pagliarani e una scelta di suoi saggi e articoli teorici al riguardo. Il frammento narrativo di Enrico Filippini prelevato dal racconto In negativo, pubblicato su Marcatr nel 1964 e mai raccolto in volume (se non parzialmente in Gruppo 63. La nuova letteratura, a cura di Nanni Balestrini e Alfredo Giuliani, Feltrinelli, 1964). Il testo integrale figura nel volume Lultimo viaggio, in uscita presso Feltrinelli a cura di Alessan-

Cinquantanni dopo

dro Bosco, che raccoglie tutti gli scritti narrativi e teatrali di Filippini. Il testo di Giulia Niccolai tratto dal terzo capitolo del romanzo Il grande angolo, la sua opera prima pubblicata da Feltrinelli nel 1966, e ora in uscita per la prima volta da allora presso Odipus, a cura e con introduzione di Milli Graffi e una nota dellautrice, come titolo desordio della nuova collana rebours diretta da Cecilia Bello Minciacchi. Il brano di Carla Vasio, infine, fa parte del volume Vita privata di una cultura, in uscita presso nottetempo, che raccoglie i ricordi dellautrice su figure ed episodi della cultura degli anni Sessanta. La frase che qui intitola il frammento su Amelia Rosselli di Giacinto Scelsi, e nel libro d il titolo alla sezione sul mondo musicale.
a.c.

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Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?

Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?


Umberto Eco Rimettendomi a sfogliare gli atti dellincontro di Palermo 1965 ho limpressione che possano dire molto dinteressante anche al lettore doggi pure se appaiono datate alcune dispute ideologiche e la discussione se Brasilia fosse pi importante di Praga, avvenuta quando Praga era ancora una citt soffocata dallo stalinismo e Brasilia, se pure gi si avviava al collasso, era lesempio di un esperimento utopistico ma quanti dei neoavanguardisti dallora non erano in qualche modo ancora ricattati da un dovere dellimpegno politico, anche quando si sfarinava il linguaggio del realismo socialista? Per non voglio rileggere i saggi di questo libro o,

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se lho fatto, non ne terr conto. Quel che vorrei ricordare limpressione che la discussione mi aveva fatto allora. Anzitutto, la vulgata giornalistica voleva che il Gruppo 63 fosse unassociazione di neoavanguardia che pervicacemente seguiva la propria poetica unitaria e massiccia, e solo per far dispetto a Carlo Cassola. Niente di pi falso: quanto il gruppo non fosse omogeneo si vede dalla discussione, campionario di reciproci e ferocissimi insulti, anche se formulati in belle maniere. E in secondo luogo il convegno del 1965 mostra linee di pensiero (e di ripensamenti) del tutto nuove rispetto agli scritti e alle posizioni del 1963. Cito solo i due punti che mi erano parsi allora (e che mi paiono ancora adesso) pi significativi. Il primo che si stava stabilendo che un conto sono i movimenti di avanguardia, che tendono allazzeramento di ogni poetica del passato e mirano alla provocazione del pubblico, tanto da far prevalere lazione provocatrice sulle ragioni dellopera. Il fatto stesso che si intitolasse il convegno al romanzo sperimentale significava che si era introiettato il principio che cera una bella differenza tra azione davanguardia (che io allora chiamavo provocazione esterna) e ricerca sperimentale (che allora chiamavo provocazione interna al testo). E il fatto che molti tra noi litigassero su questo punto significa che si stava toccando un nervo scoperto. Da allora (e forse da prima) il lavoro di chi partecipava alle riunioni del gruppo (partecipare era come iscriversi, e la nozione di appartenenza era estremamente fluida) si specificato sul versante sperimen-

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tale e solo i mass media hanno continuato a parlare di neoavanguardia, e lo fanno ancora oggi; ma pazienza, i clich sono pi facili da usare dellanalisi critica, e daltra parte chi scrive per i media non pu pensare in modo sperimentale, altrimenti lo licenzierebbero. Accanto a questa virata in direzione dello sperimentale stava forse anche una mia polemica (che anni dopo ho avuto a Parigi con Boulez e Robbe-Grillet) sul fatto che ormai le provocazioni e davanguardia e di sperimentalismo tendevano a essere gradatamente accettate da un pubblico nuovo, e da l la mia analisi della ricezione del bellissimo Verifica incerta di Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi. Ma il secondo punto che mi rimasto pi impresso e che certamente ha influenzato il mio modo di pensare (e di scrivere) negli anni successivi. Ed era il richiamo di Renato Barilli alle nuove strade che stava prendendo la narrativa: da un lato luso dellepifania e dellestasi materialistica, come narrazione bassa di una quotidianit rivisitata attraverso gli schemi non edificatori, ma dallaltro un ritorno inevitabile allazione, allintreccio (cos vituperato dalla neoavanguardia del 63), sia pure un intreccio usato in modi diversi, non teso, come diceva Alfredo Giuliani, a uneducazione sentimentale. Barilli parlava di avventura autre. Ora, nel momento in cui Barilli teneva la sua relazione (1965), non si parlava ancora di postmoderno in letteratura: i saggi fondamentali in argomento sono pi tardi, come La letteratura dellesaurimento di John Barth (1967) o quelli di Le-

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slie Fiedler (inizio degli anni Ottanta). E sarebbe nata lentamente lidea che una forma di avventura autre non sarebbe stata soltanto rappresentata da uno stravolgimento dei canoni classici dellintreccio, ma anche da una rivisitazione ironica (e fatta di citazioni) dei suoi passati trionfi. Credo sia stato per queste impressioni che nel 1972 dedicavo lAlmanacco Bompiani al Ritorno dellintreccio, dove le strategie classiche dellazione romanzesca venivano rilette non con la meravigliata eccitazione dei lettori di Dumas, ma con un occhio critico, o meglio cinico, che le analizzava senza pi farsene coinvolgere. E naturalmente senza evitare, anzi volendo, che tra maglie smandrappate di molti intrecci folgorassero proprio le epifanie alle quali ci richiamava Barilli. Cos, almeno nella mia memoria (e si sa che la memoria non registra ma ricostruisce), lincontro del 65 si era profilato come una divinazione del postmoderno a venire e in questo senso, mirando allo sperimentalismo, liquidava i conti con lavanguardia. Lavanguardia storica cercava di regolare i conti con il passato. Abbasso il chiaro di luna stato il programma tipico di ogni avanguardia: bastava mettere qualcosa di appropriato al posto del chiaro di luna. Lavanguardia distrugge il passato, lo sfigura: Les demoiselles dAvignon sono il gesto tipico dellavanguardia. Poi lavanguardia va oltre: distrutta la figura, lannulla, arriva allastratto, allinformale, alla tela bianca, alla tela lacerata, alla tela bruciata, in architettura sar la condizione minima del curtain wall, ledificio come stele, parallelepipedo puro, in

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letteratura la distruzione del flusso del discorso, sino al collage alla Burroughs, sino al silenzio o alla pagina bianca, in musica sar il passaggio dallatonalit al rumore, al silenzio assoluto (in questo senso il Cage delle origini moderno). Ma arriva il momento in cui lavanguardia (il moderno) non pu pi andare oltre, perch ha ormai prodotto un metalinguaggio che parla dei suoi impossibili testi (larte concettuale). La risposta postmoderna al moderno consisteva nel riconoscere che il passato, visto che non poteva essere distrutto, perch la sua distruzione portava al silenzio, doveva essere rivisitato in modo non innocente. Ironia, gioco metalinguistico, enunciazione al quadrato. I collage di Picasso, di Juan Gris e di Braque erano moderni, e per questo la gente normale non li accettava. Invece i collage che faceva Max Ernst, montando pezzi di incisioni ottocentesche, erano postmoderni: si potevano anche leggere come un racconto fantastico, come il racconto di un sogno, senza accorgersi che rappresentano un discorso sullincisione, e sul collage stesso. Se il postmoderno questo, chiaro perch in uno stesso artista possano convivere, o seguirsi a breve distanza, o alternarsi, il momento moderno e quello postmoderno. Si veda cosa accade con Joyce. Il Portrait la storia di un tentativo moderno. I Dubliners sono pi moderni del Portrait. Ulysses sta al limite. Finnegans Wake gi postmoderno, o almeno apre il discorso postmoderno: richiede, per essere compreso, non la negazione del gi detto, ma il suo ripensamento quasi sardonico.

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Forse stato dopo Palermo 1965 che ho iniziato a chiedermi se non avessi voglia di raccontare una storia romanzesca ma letterariamente cinica, iniziando con un centone di inizi salgariani, personaggi che entravano in scena portando alla fascia damascata, che gli stringeva il petto ansimante sotto una fine batista, pistole dal calcio arabescato e ornate di diamanti grossi come nocciole. Ma non ero sicuro che il double coding sarebbe stato capito. Se col moderno chi non capisce il gioco non pu che rifiutarlo, col postmoderno anche possibile non capire il gioco e prendere le cose sul serio. Che poi la qualit (il rischio) dellironia. Cos questi miei progetti sono rimasti per quindici anni pure fantasie episodiche, come sognare ogni tanto di fuggire su unisola deserta. Era ancora presto per giocare sullintreccio, ed naturale che poi (quando ho scritto un romanzo e Staino mi ha fatto una bella vignetta con Molotov che dice a Bobo: Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?) alcuni compagni del vecchio Gruppo mi rimproverassero di aver abbandonato gli ideali sperimentali dei miei trentanni. Non avevano tratto dallincontro di Palermo il potenziale esplosivo che conteneva. Insomma, questo quello che mi viene in mente riaprendo gli atti del 65. E se mi sono sbagliato a leggere quei fondi di caff, significa proprio che le vie della provvidenza sono infinite.

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Sgomberare le macerie

Sgomberare le macerie
Giorgio Manganelli Temo che questo mio intervento, aggiunto in calce al dibattito cui non ho avuto il piacere di partecipare, risulti insieme pi apodittico e pi generico del necessario. Comunque, se un angelo intervistatore mi ponesse una domanda sulla condizione attuale del romanzo, io penso che, con la compunzione necessaria, risponderei allincirca cos: io provo uno scarso interesse per il romanzo in genere inteso come protratta narrazione di eventi o situazioni verosimili e talora un sentimento pi prossimo alla ripugnanza che al semplice fastidio; ho limpressione che oggi codesto genere sia caduto in tanto irreparabile fatiscenza che il problema solo quello dello sgombero delle macerie,

Sgomberare le macerie

non del loro riattamento a condizioni abitabili; codesto sprofondamento ha, a mio avviso, una causa precisa. I romanzieri sono persone serie, o si comportano come tali. Sono persuasi che nelle pieghe del loro raccontare debba essere disposto il coonestante aroma di una qualche idea generale, di un messaggio. Diventato nutrimento ideologico, insaporito di frammenti di idee, il romanzo decaduto come nota Giuliani a messaggio edificante; questo di per s non sarebbe ancora rovinoso, giacch le vie della salvezza letteraria sono infinite; ma ci rattrista constatare a qual punto i romanzieri siano riusciti nel loro compito. Non per caso, il romanzo appare nella letteratura europea proprio nel momento in cui decadono il gusto e lintelligenza della retorica classica: quando, cio, entra in crisi lidea dellopera letteraria come artificio; in particolare, lesplosione ottocentesca del romanzo coincide con la liquidazione della retorica classica. Dimentico che non v discorso letterario se non come macchinazione, il romanziere si via via persuaso che quel che egli faceva aveva qualcosa a che fare col mondo in cui viveva; critici pazienti gli hanno spiegato che, di quel mondo, il romanzo era volta a volta specchio, testimonianza, interpretazione; indotto da queste insinuazione a sottovalutarsi, il narratore si coinvolto in un rovinoso compito ideologizzante; non pago del messaggio, ha tentato la visione del mondo. Corrotto dalla seriet propria e dei critici, ha perso la limpida gioia della menzogna, lirresponsabilit, la dop-

Sgomberare le macerie

piezza morale, lilare arroganza che sono, a mio avviso, le virt fondamentali di coloro che attendono a quel perpetuo scandalo che il lavoro letterario. Persuaso di avere delle idee, e che il romanzo sia mezzo atto a esprimerle, lo scrittore ha perso il candido cinismo, in primo luogo il cinismo verso se medesimo. Ha scelto di balbettare delle verit, mentre era suo compito declamare delle fluenti menzogne, anzi esaltare il vero a menzogna; ha cercato di far capire che egli si proponeva di interpretare il mondo per i suoi lettori, invece di rivolgersi a lettori non nati, gi morti, o destinati a non nascere mai; ha voluto collocarsi nella storia, che fra tutti gli abitacoli che la letteratura ha sperimentato si rivelato il pi estraneo e disagevole. Infine ha rinunciato alla disubbidienza, si fatto morigerato: e ora si stupisce che la letteratura, aureolata sgualdrina, respinga e irrida la sua corte goffa e onesta. Naturalmente, non tutta la verit: tra le reliquie dellimpero romanzesco, accampati accanto ai deserti, frantumati ideodotti, si affacciano i nuovi, acerbi visigoti: battono le loro aspre oreficerie, si rallegrano di riconoscervi i segni astratti e arbitrati, i quadrati, i triangoli; incidono i loro scacchi in un avorio duro, si dispongono a giocare le loro eterne, fatali, inutili partite.

Sgomberare le macerie

Mauro Staccioli, Andorra 91, Ordino dArcalis, Principato di Andorra, Symposium de sculpture en plein air, 1991. Acciaio Corten, 1200 x 60 cm.

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Sgomberare le macerie

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Una mappa di terremoti

Una mappa di terremoti


Elio Pagliarani Tutta oro e pizzi barocchi la signora dellalta moda SFILANO LE SACERDOTESSE DEL LUSSO
Con la mantella di visone c anche la gonna di volpe. Si emoziona e piange Gianfranco Ferr quando esce in passerella a raccogliere la grande ovazione. Fa tenerezza anche perch cos grasso, ha la taglia forte dellorso buono. Lo applaudono dal privilegio della prima fila giovani e ardenti mogli di scrittori famosi, note contesse con lenti a contatto turchese,

Una mappa di terremoti attrici del nudo in lattei dcollet, grandi dame arroganti dai culi in proporzione, autori di libri gonfiabili, soubrettes passate allaerobica, ambasciatrici ingioiellate coi gorilla custodi, pallidi principi in baciamano non stop. Mi sono innamorato del velluto (a canzone) e dei suoi riflessi, che in natura si trovano nella viola pans. Coro: Plissettato Lho sposata a forme tonde e esuberanti. Plissettato Abbondano le gran cappe di zibellino biondo, con strascico di due metri, le enormi mantelle di visone intessute di ricami doro. Cortissime le gonne da giorno, ma di pelliccia di castoro, breitschwanz, addirittura di volpe; un tubino da cocktail doro damascato si porta con guanti lunghi pure doro, e bordati di volpe. Le top model pagate mille dollari lora non versano una stilla di sudore sotto gli zibellini maestosi o nei velluti rinascimentali color rubino.

Un computer come giudice Centosessantamila in gara per duecentosettantaquattro posti allInps


Torino avrebbe dovuto ospitare lesercito di aspiranti allo stadio comunale perch i diecimila candidati del Piemonte non avrebbero potuto trovare spazio in nessun istituto. Ma, alla fine, i potenziali nuovi impiegati Inps hanno svolto la loro prova nelle aule del Politecnico;

Una mappa di terremoti infatti ieri mattina si sono presentati soltanto il cinquanta per cento di quanti avevano fatto domanda. Sarebbe stato inutile, spiegano i dirigenti Inps, mettere in piedi un concorso allo stadio. Le aule del Politecnico sono state riempite e tutto si svolto secondo il regolamento. La novit, interviene Claudio Porcia, segretario torinese della funzione pubblica della Cgil, che il test di questo concorso garantisce imparzialit; questa una gara pulita perch c il computer che giudica, e non gli uomini sensibili alla raccomandazione. Tutto pulito, tutto sicuro. Le buste sigillate destinate ai candidati erano state custodite nel caveau della sede regionale dellInps in via XX Settembre. I quiz sono stati portati sotto buona scorta al Politecnico e consegnati ancora incartati nel cellophane ai partecipanti.

ENEL PREPARA UNA MAPPA DI TERREMOTI Franco Graziosi


Nel 1953 con la scoperta della struttura del dna, la lunga molecola filamentosa che contiene i geni responsabili di ogni nostra caratteristica fisica, si aperto un campo di intervento di dimensioni gigantesche: in pratica la possibilit di manipolare gli esseri viventi.

Una mappa di terremoti Con degli enzimi, detti di restrizione, si anche in grado di tagliare la catena del dna, estrarne un gene e, usando virus vettori, collocarlo allinterno del patrimonio nucleico di unaltra cellula. Si cos riusciti a costringere batteri a produrre sostanze utili, come linsulina. Quindi il biologo (Franco Graziosi) ha rilevato nel suo intervento leventualit che nel rimescolamento del genoma (ossia del patrimonio genetico di una specie) si creino forme di vita imprevedibili, che vengano realizzate forme microbiche aggressive, sia intenzionalmente a scopi bellici, sia per incidenti connessi a scopi industriali.

Monsignor Sgreccia
Monsignor Sgreccia sembra ammettere, sia pure con qualche riluttanza, una possibilit di sperimentazione e innovazione, come del resto luomo fa da millenni con lallevamento e la selezione di animali e piante. Se il seme possa o no adire artificialmente la vagina, questo come e quando lo decide il cardinal Ratzinger, bisogna chiederlo a lui e poi siamo fuori tema Ach so! Se il seme possa o no adire artificialmente la vagina, questo come e quando lo decide il cardinal Ratzinger, bisogna chiederlo a lui e poi siamo fuori tema Ach so!

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Una mappa di terremoti

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Segni divergenti che non convergevano mai

Segni divergenti che non convergevano mai


Enrico Filippini
Para una chica sola

Vom Glck: che era del tutto soltanto eventuale e chiss sotto quale segno e non dipendente per intero da lei: getuscht: in un giorno di un inverno: per lei non sarebbe stato facile. Perch primo: io: in un pomeriggio di pioggia: seduto al Caff Verbano: intento a bere e a scarabocchiare su un tovagliolino di carta segni divergenti che non convergevano mai e a tener lontana lumida imminenza di un telegramma che dovevo scrivere e che poi: scritto: dopo due ore sarebbe arrivato: bevendo pensai: per lei non pu essere facile perch.

Segni divergenti che non convergevano mai

Quando lui avrebbe finito di decidere che era meglio abolire la faccenda della composizione: di quellinsieme di tetti: alla determinazione di ci che andava detto: e detto andava tutto: in vista anche di una liberazione e di un migliore futuro dellumanit (e non detto bens semplicemente suggerito o qualche cosa del genere) sopra ci e in rapporto con ci o in distinzione totale da ci che era hinweggeschwunden contribuirono in eccesso alcuni fatti: peraltro irrilevanti e marginali ma provvisti della capacit di incarnare se stessi: di rendersi concreti e presentarsi l. Per esempio: pensai: di fronte a certi fatti molto difficile: e dentro la pioggia: sceverare la whatness e la howness e mi fermai qui. I tetti sarebbero stati spolverati di neve e vaghi e mobili e in certo modo privi di un punto di riferimento: provare la mancanza di questultimo doveva voler dire volerli descrivere in rapporto con qualcosa che era totalmente di altro genere e nei cui confronti essi avrebbero dovuto semplicemente servire da trampolino: da constatazione empirica iniziale: da prima e relativamente casuale immagine evidente. Come quando io dico: e piove. Precipitando vorticosamente: pensai e avrebbe potuto essere linizio ma non precipitavo. Perch secondo: lui avrebbe provato la mancanza di qualcosa che poteva anche essere sbagliato e oltre cui non sarebbe riuscito ad andare ma che insomma avrebbe anche potuto essere un centro di attenzione e avere un alone: l dentro tutto sarebbe confluito insieme con la storia e il senso di tutti i singoli atti di una vita e di una vita: che da due anni ave-

Segni divergenti che non convergevano mai

va il bisogno e lintenzione di recuperare e rendere pubblica esponendola al giudizio altrui (che sarebbe stato in rapporto: necessariamente: con la responsabilit e con lavvenire del mondo): che adesso si sentiva in corpo inerte e sbriciolata e recalcitrante a tornare su ma nello stesso tempo richiedeva di venir caricata di unenorme emblematicit: della vera esemplarit. Io: avrebbe potuto pensare: e cos si sarebbe distinto da me e poi gli sarebbero venute a mancare tutte le aggiunte: i verbi e gli attributi e il resto delle cose. Invece: abolita leventualit quasi evidente di quellinsieme di tetti (visti dallalto): sulla citt si versa ristagnando un tetro nebbione: e tutto che sinnera e tutto che sinsozza e aspetta di finire e e nello spazio tetro della simultaneit: passato il ponte il treno lancia un lungo fischio e poi si ferma: un semaforo rosso e non si pu passare. Per cominciare da lei: per lei non poteva essere facile e non soltanto perch nellattesa da qualche parte nello spazio intriso dallimpiastro nero (che risucchiava gli alberi e le case e le lontananze e limminenza della citt) si form una domanda che era: dopo due anni di assenza e distrazione dalla sua natura: qual la mia vera natura? e la risposta si fece aspettare e poi venne e fu una frase che non centrava niente: Well, to begin with: she is black. A essa si aggiunse: aber beweglich, und jetzt vielleicht: endgltig: ENDGLTIG selbstverneinend:

Segni divergenti che non convergevano mai

Vom Glck: dissi e la cameriera disse: Prego? E io dissi: No, niente, mi scusi: sorridendo: nella pioggia: al riparo dalla pioggia nel caff pensando: ciondolando insieme col bicchiere: dissi: Black? e la cameriera disse: and white? Io dissi: No, mi scusi: ciondolando: di fronte a me: dallaltra parte della strada cera la vetrina di un gioielliere: installata nella sua eternit. Il mio telegramma avrebbe dovuto dire s oppure dire no: e senza sfumature e vigere per il resto della vita.

Segni divergenti che non convergevano mai

Mauro Staccioli, Parma 73, Piazza della Steccata, Sculture contemporanee nello spazio urbano, 1973. Tre elementi, cemento e acciaio, 220 x 240 cm cad. (Foto Enrico Cattaneo).

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Nella vasta mattina di luce implacabile

Nella vasta mattina di luce implacabile


Giulia Niccolai Il suo passo non silenzioso come quello dei servi che camminano scalzi, porta babbucce di cuoio rosse con le punte rialzate. Si alzano dalle sedie, si voltano e vedono lHombda inquadrato nella porta. Saluta da quella distanza con lantico e ospitale gesto di benvenuto del suo paese: appoggia la mano destra alla fronte poi alla bocca poi al petto, china la testa avvolta nel turbante bianco di mussola, non dice parola e allarga il braccio sottile nella manica ampia del caffettano nero che gli scende alle caviglie. Sorridendo indica il parco la villa e li guarda ne-

Nella vasta mattina di luce implacabile

gli occhi uno per uno come per dire che tutto quanto gli appartiene anche loro. Avanza e si mette a sedere su una poltroncina di vimini. Aggiusta le pieghe ampie della veste, incrocia le gambe, appoggia i gomiti ai braccioli, unisce tra di loro allaltezza della bocca i polpastrelli delle otto dita mentre i due pollici sincrociano sotto il mento e li guarda sempre in silenzio al di sopra delle mani lunghe e nodose. Lei la sola donna e si sente in dovere di parlare per prima. Mentre si risiede si volge a Domnguez chiedendogli di tradurre allHombda il suo pensiero. Vuole che lo ringrazi per linvito, che gli esprima la sua gratitudine e gli dica che il suo parco le sembra il pi bello che abbia mai visto. LHombda ascolta Domnguez e quando ha finito si volge di nuovo a lei chinando la testa per ringraziarla a sua volta. Karlheinz toglie dal portafoglio il suo biglietto da visita, lo porge al padrone di casa e chiede a Domnguez di dirgli che onorato di avere lavorato nel suo paese allinstallazione della nuova industria di fertilizzanti nella citt dellAlta Diga. LHombda sorride, parla per la prima volta: dice che uno dei suoi figli studia agraria nel paese di Karlheinz alluniversit di Hannover. Domnguez gli domanda cosa prova un uomo come lui, sempre vissuto su queste terre, che le possiede le ha irrigate e coltivate tutta la vita, a sapere che tutto deve venire sommerso e scomparire entro sette otto anni.

Nella vasta mattina di luce implacabile

la.

LHombda sorride di nuovo e allarga le braccia. Stanno con lui tre giorni perch li invita, li ospita alla vil-

Vengono a sapere che ha dodici figli e tre mogli e che la sua famiglia possiede queste terre fertili da cinquecento anni. Mangiano con lui. Lo vedono mangiare reclinato sui cuscini o seduto in terra a gambe incrociate. Dal tavolo basso di rame intarsiato e dai piatti che vi sono posati si serve con le dita pezzi di montone formaggi salati di capra riso e selvaggina che porta alla bocca. Lo vedono fumare il narghil: ogni profonda boccata fa gorgogliare lacqua profumata nel recipiente di vetro attraverso il quale passa il fumo prima di salire nel lungo cannello flessibile e nel bocchino tenuto al centro delle labbra. Lo seguono nei campi di canna da zucchero e di tabacco, tra le coltivazioni di papiro. LHombda fa strada, cammina sempre avanti e loro seguono in fila indiana. Al sole il suo caffettano nero lucido e liso sulla schiena nei punti dove si appoggia e si siede. Con le due mani alza un poco la veste ampia quando salta i canaletti dirrigazione. Lacqua scorre nei condotti di cemento adagiati nella sabbia. Vedono il suo cranio di capelli bianchi e rasati e le sue mani veloci e automatiche che avvolgono per trentadue volte la lunga benda di mussola bianca attorno al fez calcato sulla testa.

Nella vasta mattina di luce implacabile

(LHombda aveva allora sessanta settanta ottanta? anni. Domnguez che gli parlava da due giorni nella sua lingua diceva che non aveva mai espresso un pensiero un giudizio o unopinione: dava solo notizie. Quando pensa a lui o ne parla lei se lo figura sempre in quel primo gesto che gli vide fare: lHombda che sorride e allarga le braccia. Forse il suo parco gi stato devastato dalle onde, o imputridisce nellacqua che si alza e avanza adagio. Tutte le sue terre, forse, sono gi sommerse. Le sue mogli e i suoi figli forse lo hanno gi Nella morte, su una branda la sua pelle scura forse nella luce di una lampada a petrolio la linea sottile dei baffi bianchi la barba corta sul mento il naso ancora pi affilato e aquilino le rughe pi profonde gli occhi grigi le dita lunghe e nodose ) Che nel ricordo lHombda come il Padre. Vanno con lui al paese che dista sei chilometri sul fiume. Quando arrivano al pontile viene ossequiato dagli uomini che si occupano della sua barca a motore e anche per i sentieri del villaggio la gente si china profondamente a salutarlo. LHombda ha da fare, d loro appuntamento tra unora in un locale vicino al molo dove ai tavoli sotto una tenda ci sono uomini che bevono t fumano e giocano a dadi.

Nella vasta mattina di luce implacabile

Loro tre girano da soli per le strade di terra battuta tra le case bianche senza finestre. Nella vasta mattina di luce implacabile che ha lodore del cammello vedono le vele colorate delle feluche sul fiume, gli uomini che dondolano sulle groppe, le donne nere e velate che camminano a fronte china ma alzano un attimo gli occhi profondi e bistrati per guardarli. Le collane e i monili dargento sui loro petti tintinnano a ogni passo scalzo e veloce. I palmi delle mani e le piante dei piedi sono tinti con il cinabro. Vorrebbero trovare qualcosa da regalare allHombda prima di partire. Girano tutto il paese ma non vedono negozi, non ne trovano e pensano che nemmeno ce ne siano. Camminano nellultimo sentiero del villaggio delimitato dal fiume da una parte, e qui da un largo canale dirrigazione. Camminano sotto largine alto allombra dei muri di fango e di sterco di cammello che in questa strada sono istoriati e rinforzati da cocci di terracotta premuti nellimpasto. Guardano allinterno di una corte e vedono orci ammucchiati che asciugano al sole. Ci sono forni e botteghe di vasai. Un uomo fa loro cenno di entrare. Si lasciano convincere, sperano di trovare qualcosa da regalare allHombda anche se hanno il dubbio che queste botteghe gli appartengono. []

Nella vasta mattina di luce implacabile

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S, sono suoni, ma difficili da sentire

S, sono suoni, ma difficili da sentire


Carla Vasio Nel numero 8 del Menab che esce nel 1965 sono presentate quindici poesie della Serie Ospedaliera di Amelia Rosselli. Amelia Rosselli padrona di tre lingue, linglese, il francese, e litaliano come lingua paterna essendo figlia di Carlo Rosselli ucciso a Bagnoles de lOrne, insieme al fratello Nello, da un commando di militanti della Cagoule, organizzazione francese di estrema destra. Amelia scrive poesie di una terribile rarefatta intensit, ricomponendo vocaboli e frasi di molte lingue in una catena di nuovo significato: La memoria corre allora alle pi fantastiche imprese, spazi versi rime tempi. Scrive di se stessa.

S, sono suoni, ma difficili da sentire

Quanto alla metrica: La metrica, essendo libera, variava gentilmente a seconda dellassociazione o del mio piacere. sempre inquietante il controllo con cui per lunghi periodi Amelia sosta sul confine fra la purezza di una sapiente architettura poetica e la deformazione della malattia, e intanto il suo grande potere di concentrazione la trascina a costruire catene di parole e di significati con cui si compongono nuovi sistemi di descrizione del dolore. Perch le sue poesie ignorano la lamentazione in rima o il vaneggiamento elusivo: sono solide strutture verbali/musicali che attingono nel deposito delle sue tre lingue e nei suoi studi al pianoforte, per creare una forma letteraria intensa e originale che non evade dalla sofferenza e neppure se ne compiace. La sua preparazione musicale le permette anche di comporre al pianoforte musiche equivalenti, oppure di pensarle e ascoltarle soltanto nella propria mente. Per tutta la vita Amelia si battuta contro loscurit come una guerriera, e chiedo perdono se accetto per lei di svariare nella metafora, ma la frequentazione della sua vita ammalata mi ancora penosa e il pensiero della sua sofferenza inconsolabile. Allinizio di una delle ultime crisi ho telefonato al suo medico chiedendogli quali modalit seguire per aiutarla meglio, mi ha risposto: Tu per un po riposati, si trova sempre qualche amica che si sacrifica. Una risposta che non mi piaciuta. Facevo, come si dice, tutto quello che potevo fare, ma avrei voluto fare meglio, e avrei voluto anche stare me-

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glio perch dopo ogni sua crisi lei si quietava e io avevo una cattiva insonnia. Andavamo spesso ai concerti di musica contemporanea dove Amelia trovava un soddisfacente riscontro. Come a un concerto di Giacinto Scelsi particolarmente atteso nel marzo del 59, dove siamo arrivate in compagnia di Achille Perilli e di qualche altro amico di musica. Esecuzione perfetta, commenti positivi nellintervallo. Ma improvvisamente Amelia ci assale con grida disperate, ci accusa di non aiutarla, non riesco a entrare in contatto con lei, alcuni estranei si avvicinano senza capire. Finch arriva Scelsi e semplicemente la trascina in un difficile discorso sulle dissonanze che la appassiona facendole dimenticare ogni altra cosa. Molte volte, Amelia chiede aiuto da una estrema lontananza, e bisogna capire come raggiungerla. Una sera, sul tardi, suona alla mia porta, entra, si getta su una poltrona, tenta di dirmi qualche cosa ma non riesce a formularla perch ogni volta che ci prova un acuto dolore al cranio lavverte che non deve parlare. Per tre ore continua a provarci, con unespressione di sofferenza e insieme di attesa: Sei disposta a riconoscere che un altro pi forte di te? Anche una donna? E allora chiedimi chiedimi chiedimi. Lo so che devo chiederle la cosa giusta, che non devo sbagliare, ma non capisco quale sia la cosa giusta da chiedere, tutti i miei tentativi di capire quale sia la cosa giusta vanno a vuoto, e lei sempre pi agitata. Dopo quattro ore di lotta contro le sue elisioni e insieme di fatica per non perderla, sento che

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sto per soffrire anchio i suoi fantasmi non conciliati e questo non la aiuter. La abbraccio stretta e le dico: Amelia, non ci siamo riuscite, non colpa nostra, e vado in unaltra stanza. Subito mi segue. Quando entra ha gi cominciato a parlare a piena voce, come una cascata. Un sogno la cosa proibita, il terribile sogno della notte precedente che le proibito confessare, langoscia di tutta la notte precedente che permane, insostenibile. Ha sognato che Anna, la sua compagna allospedale psichiatrico, le ripeteva infinite volte al telefono: Melina, tu sei una piccola mela e io ti taglio con il coltello a pezzi piccoli piccoli, ti taglio tutta a fette con il coltello. Parla della sua amica Anna con cui ha condiviso alcuni ricoveri. Mi racconta che Anna una ragazza ragionevole: quando sente arrivare la crisi chiede alla mamma di avvertire il medico, ed cos che si dovrebbe fare. Parla per pi di unora, e dopo usciamo, e andiamo a mangiare insieme: un buon modo innocuo per avviare il contenimento di uno scompenso psicotico. Lei stessa scrive:
Conto di farla finita con le forme, i loro bisbigliamenti, i loro contenuti contenenti tutta la urgente scatola della mia anima la quale indifferente al problema farebbe meglio a contenersi.

Spesso mangiamo con altri amici nelle piccole trattorie vicino alla sua casa in Trastevere. contenta, rilassata, le piace

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star seduta nella piazzetta, assaggiare qualcosa. Ma quando si alzano le voci e lallegria si fa rumorosa, diventa inquieta, finch fugge correndo per i vicoli. Bisogna seguirla, che non si perda, che non cada, e mi rifiuto di dire inseguirla perch sarebbe come agire le sue paure di essere inseguita, catturata, imprigionata, uccisa. Nellinverno del 1996 Amelia mi telefona di notte a unora molto tarda chiedendomi di portarle da mangiare, perch non esce da giorni e in casa non c niente e si sente male. Raccatto quello che ho e corro da lei. Ma di fianco alla sua porta, appoggiati al muro, ci sono altri pacchi e pacchetti con carte di pasticceri. Sono troppi e hanno laria di essere abbandonati l da giorni. Non ha voluto aprire la porta, e ho capito che questa volta era troppo tardi. stata lei a scrivere:
Era potentissima la sua gioia. Era davvero un peccato non avvenisse diversamente lilluminamento che con la pasticca del peccato. Era potentissima la sua libert ma non sapeva farne uso. Era necessario alla sua altezza morale che fosse registrato su dellinchiostro nero la sua fallimenta. Non era necessario alla sua bassezza morale morire.

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50 anni del Gruppo 63

50 anni del Gruppo 63


Calendario delle manifestazioni settembre-novembre 2013
PALERMO
Teatro Massimo - Conservatorio Vincenzo Bellini Concerto Cantieri Culturali alla Zisa Mostra Sinestetica Cantieri Culturali alla Zisa Letture e dibattito

6 ottobre 7 ottobre 8 ottobre

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TORINO
Museo Nazionale del Cinema - Cineteca Massimo Cinema sperimentale Circolo dei Lettori - Sparajuri Recital di poesia

9 ottobre

ROMA
Auditorium Parco della Musica Mostra Arte totale - Cinema sperimentale Auditorium Parco della Musica I poeti del Gruppo 63 Auditorium Parco della Musica Il teatro del Gruppo 63 Auditorium Parco della Musica I musicisti con il Gruppo 63

18 ottobre - 3 novembre 18 ottobre 19 ottobre 20 ottobre

50 anni del Gruppo 63

MILANO
MITO SettembreMusica I musicisti con il Gruppo 63 Castello Sforzesco - Museo degli Strumenti Musicali Musica elettronica e Gruppo 63 Fondazione Marconi Gli artisti con il Gruppo 63 Fondazione Mudima I fotografi con il Gruppo 63 Spazio Oberdan Cinema sperimentale Bookcity - Castello Sforzesco Gruppo 63. Tavole rotonde Teatro Elfo Puccini I poeti del Gruppo 63 Teatro Elfo Puccini Il teatro del Gruppo 63

19 settembre 26 ottobre

29 ottobre-16 novembre

9 novembre

23-24 novembre 25 novembre 26 novembre

50 anni del Gruppo 63

GENOVA
Galleria UnimediaModern Mostra La visione fluttuante #2 - Ricerche verbo-visuali in Italia 60-70 Biblioteca Universitaria Proiezioni di videopoesia e letture Palazzo Ducale - Atrio Proiezioni di videopoesia Palazzo Ducale - Spazio 42R Mostra I libri del Gruppo 63 Palazzo Ducale - Sala del Camino Poesia - Riscritture I Teatro della Tosse Poesia - Riscritture II Teatro della Tosse La linea surrealista del Gruppo 63 Musei dArte Contemporanea di Villa Croce La rivista Marcatre - Mostra bibliografica

1-15 ottobre

10 ottobre

15 ottobre

18 ottobre 23 ottobre

23 novembre - 7 dicembre 2013

50 anni del Gruppo 63

BOLOGNA
Biblioteca dellArchiginnasio Convegno 50 anni del Gruppo 63 Storia, bilanci, prospettive Libreria Zanichelli Video e letture

16-17 ottobre

PERUGIA
Universit - Facolt di Lettere Convegno Letteratura e contestazione

8-9 novembre

LOS ANGELES
Universit UCLA Convegno On the Fringe of the Neo-Avant-Garde

17-19 ottobre

Programmi dettagliati sul sito www.alfabeta2.it. Altri eventi, previsti nel mese di dicembre a Roma, Napoli, Venezia, Firenze, Parigi, Berlino, verranno annunciati sul prossimo numero

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Logo Gruppo 63 di Gianfranco Baruchello

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Le armi dellarte e della gentilezza

PAOLO ROSA 1949-2013

Le armi dellarte e della gentilezza


Manuela Gandini

ipiombo nella stanza, improvvisamente. Quella stanza buia con gli uomini e le donne virtuali che emergono dalloscurit guardandoci da tre megaschermi. la stanza dei primi cinque capitoli della Genesi, dedicata alla Creazione, di Studio Azzurro al Padiglione della Santa Sede nella 55a Biennale di Venezia, ancora in corso. la prima immagine che affiora quando, mentre sto cucinando pollo alle mandorle, arriva la notizia della morte di Paolo Rosa in pieno agosto. Un momento di vuoto, di sospensione. Cerco un ricordo al quale aggrapparmi: vita e morte fluiscono, Paolo adesso al di l dello schermo, giovane, cerco di ricordare la sua voce gentile, ferma. La sola certezza, mi dico, limpermanenza. E torno indietro, al Padiglione Vaticano, in quella faticosissima giornata di fine maggio, con Tiziana Migliore. Siamo entrambe nauseate dalla quantit di patologie reificate

Le armi dellarte e della gentilezza

in mostra lungo tutto lArsenale. Fabrio Cirifino, laltra anima di Studio Azzurro (fondatore del gruppo con Rosa e Leonardo Sangiorgi nel 1982), ci sta indicando come interagire con le persone proiettate che, a uno sguardo distratto, possono ricordare le immagini di Bill Viola. Ma lintensit emotiva di questo lavoro non ha niente a che vedere con quello dellartista americano. Toccando una delle persone proiettate, la nostra mano attiva un suo movimento, lasciando una traccia. In uno degli schermi vi sono alcuni detenuti del carcere di Bollate: la persona sfiorata, e prescelta, si avvicina e pronuncia il suo nome, poi quelli dei genitori e dei nonni, e racconta di s. Mentre, negli altri due schermi, vi sono dei sordomuti. I due gruppi di sordomuti spiegano il regno animale e il regno vegetale descrivendo, con il proprio linguaggio, un animale o un albero. Il tocco della nostra mano forma una nebulosa che si aggiunge alle altre creando unimmagine pittorica destinata presto a evaporare. Stiamo bene in quella stanza, dove compare Paolo che sta mangiando una banana. Ha gli occhi raggianti: Siamo stati invitati due mesi fa, abbiamo fatto tutto molto velocemente. Li immagino giorno e notte in carcere e in un istituto per sordomuti a scambiare storie e umanit. Adesso che Paolo morto sulla spiaggia a Corf dopo il tramonto, fumando lultima sigaretta, quellingresso nella Creazione, quel contatto impossibile tra noi e i detenuti, tra noi e i sordomuti, assume un valore universale che travalica larte. Non sappiamo in realt se i sordomuti siamo noi o lo-

Le armi dellarte e della gentilezza

ro; se i prigionieri siamo noi o loro; visto che noi forzati dellarte non riusciamo a parlare che il nostro linguaggio autistico e siamo imprigionati nel circuito ristretto dellego e della vanit finanziaria. Due anni fa Paolo Rosa, con Andrea Balzola, pubblic per Feltrinelli Larte fuori di s. Un manifesto per let post-tecnologica, un testo che analizza lautoreferenzialit del sistema dellarte e la perdita delle origini dellopera: un simulacro infinito al servizio del mercato. Secondo gli autori larte fuori di s perch ha perso codici e valori, ma anche per potere spostarsi da un piano di rappresentazione a un piano di praticit politica. Alla critica i due contrappongono infatti proposte concrete di formazione di comunit attive. La tecnologia e larte usate come collante, come possibilit di relazione, come rete di ribellione, possono costituire la cura ai mali sociali contemporanei, ponendosi in antidoto alle patologie dellet post-tecnologica, spostando il baricentro dalla creazione individuale a quella collettiva, dallopera compiuta al processo aperto, dalla centralit dellartista genio allo spettatore, con una circuitazione totalmente diversa, gratuita e molto pi partecipata degli eventi artistici. La pluralit, come scrive qui Paolo Fabbri, la prerogativa del lavoro di Paolo Rosa, il quale negli anni Settanta, a Milano, fonda il Laboratorio di comunicazione militante con Tullio Brunone, Giovanni Columbu, Ettore Pasculli. I quattro sono tra i primi in Italia a porre lattenzione sulle strategie di

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comunicazione, compiendo esperimenti legati a teatro, performance, fotografia, cinema, pittura. Come si visto nella recente mostra Armamentari darte e comunicazione alla Fondazione Mudima, il linguaggio mediatico e le strategie di informazione come tecniche di guerra costituiscono il materiale danalisi della poetica politica del gruppo che, senza interventi ulteriori, ingrandisce i volti degli uomini di potere studiandone lantropometria (Columbu), oppure ricostruisce la disposizione fotografica delle armi sequestrate dalla polizia nei blitz rivelandone i codici (Rosa), analizza la manipolazione (Brunone) e le iconografie rappresentative del potere (Pasculli). I singoli lavori sono indistinguibili e, come piaceva a Rosa, sono privi di autorialit. Il Laboratorio, attivo sino al 1978, porta in seguito alloccupazione della chiesa abbandonata di San Carpoforo. Gi allora Paolo, con altri, vuole trasformare il luogo in centro darte. Da l passa Brian Eno, si mettono in scena Beckett, Cage e Duchamp; Mario Merz, Enrico Baj, Alik Cavaliere donano loro lavori per finanziare loperazione. Il gruppo sottrae al degrado uno spazio che ora in gestione allAccademia di Brera. Lattenzione al sociale e al politico, da parte di Paolo Rosa e Studio Azzurro, non cesser mai e si concretizzer nella costituzione della Fabbrica del Vapore dove, oltre a loro, hanno sede alcune tra le pi attive associazioni milanesi. Nei suoi piani, spesso osteggiati, vi era per Milano un nuovo concetto di partecipazione, collettivo e riproduttivo, che ha de-

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finito stazioni creative. Recentemente ha dichiarato: necessario e urgente attivare luoghi di convergenza e di confronto capaci di essere produttivi, di generare valori in grado di affrontare la crisi pi generale di questo momento storico, di valorizzare i talenti e le qualit. Occorrono luoghi in grado di generare valore attraverso differenze collaborative, capaci cio di mettersi in rete, di orchestrarsi in un sistema di stazioni creative che irradi la citt e la accenda dal centro alle periferie. [] Un circuito che sappia governare una propria economia non necessariamente dipendente da finanziamenti pubblici, che sappia sollecitare il volontariato e sia capace di coinvolgere la cultura dimpresa limitrofa, offrendo in cambio un valore territoriale forte e spendibile, oltre che stringendo unalleanza di reciproca utilit. Coniugare vita politica, sociale, spirituale con la tecnologia stata la missione di Studio Azzurro che, oltre a produrre lavori indimenticabili, ha documentato, negli anni, centinaia di azioni, eventi, performance. Tra questi tutte le edizioni di Milano-poesia. doloroso parlare di Paolo dice Gino Di Maggio , era una delle rarissime persone serie che abbia mai conosciuto. Il linguaggio dellarte e la vita reale sono sempre stati inseparabili nel suo lavoro. Paolo seguiva me e Gianni Sassi non per soldi, perch non ne avevamo, ma per complicit intellettuale. Paolo era nella vita di tutti i giorni. Lo era per Gino ma anche per noi che eravamo abituati a vederlo un po dappertutto, nei luoghi strategici dellarte,

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della didattica, della politica. Un evergreen che aveva ancora tante cose da fare, che lavorava sempre proiettato in avanti per riconfigurare dei comportamenti e delle sensibilit collettive; che concepiva larte come evento di transito dal museo della collezione, statico e chiuso, al museo della narrazione, evenemenziale e umanistico. Alla cerimonia funebre, alla Fabbrica del Vapore, si percepivano sia il dispiacere collettivo sia la fertilit del suo pensiero. Il mondo dellarte, spogliato delle sue mostrine, era per un momento come piaceva a Paolo, solidale e compatto. In conclusione torno alla stanza della Creazione, nellinstallazione intitolata In principio (e poi). l che lo potr rincontrare mentre fa merenda tra quellumanit che si ricongiunge a noi attraverso un tocco. Lascolto dellaltro, il tatto, linfinito qualcosa di Paolo mi ricorda Yves Klein il blu, le mani, il vuoto. Altri percorsi di lettura: Paolo Fabbri Artista plurale Torna al men

Artista plurale

PAOLO ROSA 1949-2013

Artista plurale
Paolo Fabbri

aolo Rosa, artista plurale. Il primo modo che viene a mente per mettere insieme un nome e una definizione che gli stava e mi sta a cuore. Un artista e pi precisamente un regista che, in collaborazione col suo Studio Azzurro, ha esplorato, dallinizio degli anni Ottanta, tutti i linguaggi nuovi della creazione e della comunicazione. Bottega darte, laboratorio singolare di sperimentazioni e di esperienze, fondato con Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi come Collettivo militante di controinformazione, Studio Azzurro un luogo riflessivo e performativo del fare e del pensare, documentato nel libro e dvd Videoambienti e ambienti sensibili (Feltrinelli, 2009). Come regista penso a realizzazioni che mi sono care: al teatro (Il nuotatore, Venezia, 1984; Vedute. Quel tale non sta mai fermo, 1985; La camera astratta, da Documenta 8, Kassel); e soprattutto al cinema espanso per sua definizione non nella direzione del vi-

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deogioco ma della videoarte (Il giardino delle cose, 1992). E alle installazioni nei musei e sui musei, veri affreschi digitali e interattivi, tra creazione artistica e ricerca antropologica, didattica e ricezione estetica (Tavoli. Perch queste mani mi toccano?, 1995). Opere costitutivamente aperte che hanno preso la misura immersiva delle nuove tecnologie. Opere che indicano e invitano a una inversione dellarte e della cultura contemporanea: passare dalla forma e dalla rappresentazione alla relazione e alla partecipazione. Unattivit di esplorazione e di continua ricerca che Paolo Rosa (con Andrea Balzola) ha articolato teoricamente nel suo ultimo libro, Larte fuori di s. Un manifesto per let posttecnologica (Feltrinelli, 2011). Un manifesto formato discorsivo delle avanguardie di analisi e di proposta che parte da una constatazione radicale: la rete un connettore semantico, una forma simbolica che ha il valore che ebbe ai suoi tempi linvenzione della prospettiva. Per Paolo Rosa, artista e docente, essere connessi non essere in rapporto; la sola tecnica non condizione sufficiente alla generazione di legami collettivi, estetici e culturali. Estetici in primo luogo: linterattivit permette la produzione di opere impermanenti che hanno un carattere di evento e provocano (diamogli la parola) responsabilizzazione etica ed estetica dello spettatore e [] comportamenti fruitivi imprevedibili che [] producono a loro volta delle possibili trasformazioni dellopera. E legami culturali: come dimostra il lavoro sui musei narrativi (Percorsi narrativi e affreschi multimediali,

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Silvana, 2011), sulla didattica e la memoria, la cui realizzazione promette un inatteso rinnovo della funzione e del senso dei musei, tramutandoli in luoghi interagenti di conoscenza e in cliniche per gli sguardi. Unattivit internazionale (Usa, Cina, Giappone ecc.) e nazionale, come il ruolo recente di progettista e direttore artistico della mostra Fare gli italiani. 150 anni di storia italiana, per le celebrazioni dellUnit dItalia. Contro il consumismo e la mercificazione, cos Rosa pensava al progetto dun museo felliniano a Rimini, di cui chiedeva la realizzazione nella sua risposta alla consegna, da parte della sua e mia citt, del Sigismondo doro. Paolo Rosa sapeva che non solo le connessioni, ma neppure le relazioni bastano. Ci vuole attachment, cio capacit di attaccamento, di prossimit sensibile e affettiva. Qualit singolare che lamico Paolo, aperto e generoso, possedeva in sommo grado, nonostante gli impegni di insegnamento al Dipartimento di progettazione e arti applicate dellAccademia di Belle Arti di Brera e di gestione, e nonostante le delusioni politiche. Ma venuto per me il momento lasciare limperfetto che non avrei voluto usare per ricordare a futura memoria il suo progetto di stazioni creative. Moltiplicare il collettivo felice di Studio Azzurro? Comunicare e realizzare una pratica teorica delle arti? Non c bisogno di sperare per crederci. Toccher al futuro per quel che resta oggi della tensione verso quel tempo dirci se sar soltanto unutopia.

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Roberto Barni Passi doro

GLI ARTISTI DI ALFABETA2

Roberto Barni Passi doro


Giovanna Giusti Nella ricorrenza del ventennale della strage di via dei Georgofili a Firenze, la Galleria degli Uffizi ha voluto rimanesse un segno, come monito duraturo, di quella tragedia. Il pensiero andato a una scultura che ne serbasse forte memoria, e a un artista, Roberto Barni, che per il suo importante operato scultoreo corrispondeva a tale progetto. A concretizzare loperazione, assecondando questo desiderio, intervenuta lAssociazione Friends of Florence, donando alla Galleria la scultura di Roberto Barni Passi doro, realizzata in bronzo e oro per loccasione. Collocata in alto, su una superficie muraria del complesso vasariano che prospetta il cortile aperto su via dei Georgofili, la figura di un uomo in cammino, poggiante su un basamento bronzeo che, come una lama, sporge dal muro, porta con s cinque animule, presenze evocative delle cinque vittime dellattentato.

Roberto Barni Passi doro

In piena coerenza con il suo tracciato di scultore, ancora una volta Barni, artista intellettuale-filosofo, esprime la passione travolgente del suo percorso creativo, che passa anche attraverso la musica, quando le note di unopera di Schubert guidano la mano e il cuore dello scultore, in unascesa emozionale che trova la via demersione in questo monumento aereo. In Passi doro pare infatti coesistere ogni segmento della ricerca di Barni: la coerenza della scelta del passo delluomo, resistente allinsidia del supporto/rasoio, lilluminazione di un pensiero riflesso nel bagliore delloro, scelto come metallo regale, simbolo di eternit, di illuminazione interiore, resistente allaggressione, come levocazione morale degli innocenti, uniti accorpati, vincenti sul male. Spiega lo stesso Roberto Barni: Fin dal primo momento, quando mi stata commissionata questopera per ricordare le vittime dellattentato di via dei Georgofili e insieme le opere che sono andate distrutte nellesplosione, ho pensato che avrei voluto realizzare un lavoro che, pi che ricordare la morte di coloro che non ci sono pi, ce ne ricordasse la vita. Ho immaginato una figura capace di riportarli tra noi. Una figura lass sospesa che pare emanare dal luogo dellarte per eccellenza, anchesso ferito. Una figura che larte e il suo perenne tentativo di superare la tragedia in un atto di

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esistenza. E penso a Masaccio, alla morte di Anania trasformata in una maternit, forse la pi sguarnita, ma la pi bella. Ho pensato di usare i materiali pi eterni, il bronzo e soprattutto loro che con la sua luce acceca le tenebre. Ho pensato che su una lama simbolo di morte si erga una figura come una vittoria, come una Nike, che con passo deciso avanza portando con se le cinque persone dorate proprio per ricordare gli esseri umani nel loro splendore della vita, nelle loro case, nelle loro strade. Perch questa figura che cammina ha anche qualcosa del Wanderer di Schubert. Un viandante alla ricerca delle sua terra sempre sognata, una terra dove i suoi amici se ne vanno in giro e i suoi morti risorgono. Una figura che simbolo stesso dellarte e che nel suo vagare viene sospinta a ricominciare sempre il suo viaggio, e qui imprevedibilmente proprio dalle mura pi alte di uno dei luoghi pi significativi del mondo, aggredito dalla barbarie.

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Alfabeta2 n.24

Roberto Barni Passi doro

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Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)

GLI ARTISTI DI ALFABETA2

Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)


Andrea Fiore Larte non serve a niente. Se con questo adagio qualche tempo fa Emilio Isgr ci poneva dinanzi a un paradosso alla stregua di quello del mentitore cretese (Epimenide di Creta), questa volta lartista siciliano ci introduce a una riflessione sullidentit di un popolo affetto da amnesie storiche. Modello Italia (2013-1964) un modello identitario che, partendo dallarte, vuol recuperare quellunicit culturale che dal Rinascimento al futurismo ha imposto lItalia al rispetto del mondo. Perch s, vero, siamo economicamente e politicamente in crisi [] tuttavia restiamo pur sempre una grande potenza culturale in grado di competere sui mercati globali. da questa consapevolezza che dobbiamo ripartire noi artisti se vogliamo segnare le vie del coraggio anche alleconomia e alla politica. Direi che il nostro un dovere patriottico (E. Isgr, 2013).

Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)

La mostra, allestita presso la Galleria Nazionale dArte Moderna di Roma, traccia il percorso di un artista costretto a cavarsela con astuzia e coraggio tra il fuoco incrociato della borghesia e dei burocrati, come lo stesso Isgr si descrive in un brano riproposto nel volume Come difendersi dallarte e dalla pioggia (ed. Maretti, 2013). Una rivelazione che riconosce al poeta un cervello di volpe e un cuore di leone, mutuando le parole di Machiavelli e trasponendole dalla figura del principe a quella dellartista. Il percorso espositivo parte da una monolitica affermazione di straordinaria consapevolezza: Dichiaro di essere Emilio Isgr (2008). Un buon inizio per introdurre unindagine sulla questione italiana. Una fiumana di formiche percorre la candida statua di Giuseppe Garibaldi e un pianoforte con lanima di carillon intona la Casta diva ricordano lepico Sbarco a Marsala (2010). In questo stato di assoluta precariet e sospensione il proverbiale obbedisco dellEroe dei due mondi si cancella e attraverso una coltre di omissis diviene un Disobbedisco (2010), questa volta pronunciato dallEroe della cancellatura. Nella sala successiva i volumi della Costituzione cancellata (2012) sono adagiati con solennit profetica, come fossero le tavole della legge, ma cancellate e brulicanti di api. Il modello di democrazia che la Costituzione cede il passo a un altro prototipo altrettanto democratico: la cancellatura. Al centro della sala dorme unItalia turrita assediata da scarafaggi, acuta metafora di una nazione che noncurante par-

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tecipa alla trasformazione del suo egro talamo in sepolcro patinato (LItalia che dorme, 2010). Un tentativo auspicabile quanto ironico quello della Cancellazione del debito pubblico (2011), che concede, generosamente, una nuova possibilit alla nostra nazione. Isgr, come un implacabile angelo sterminatore, cancella tutto, non si salvano neanche i Codici ottomani (2010) in cui il testo, come sentenzia lo stesso titolo dellopera, c e non c (Var ve yok). Un percorso a ritroso riporta alla luce reperti che testimoniano cancellazioni di altri tempi in cui linteresse passa dal concettuale allassoluto, come in Dichiaro di non essere Emilio Isgr (1971), opera in cui lartista non cancella le parole di un testo, ma cancella se stesso. Il percorso espositivo procede nelle sale del piano superiore con altri lavori storici come Jacqueline (1964), le cancellazioni dellEnciclopedia italiana Treccani (1970) e Volkswagen (1964), in cui ironicamente riportata liconografia di un Dio perfettissimo come una Volkswagen che va e va e va. Modello Italia dimostra, infine, un senso di identit nazionale attraverso il sentimento di responsabilit civile che affiora dai drammi riconosciuti dalla memoria collettiva di una nazione. I venti tondi dellOra italiana (1985) ne sono un chiaro esempio. Di certo non semplice parlare di patriottismo mentre la decadenza di una nazione si manifesta tra atti di cannibalismo culturale e quotidiane mutilazioni di dignit. Davanti allincalzare dei rumori degli orologi e al processo di cancellazione che avviene attraverso limmagine, Lora italia-

Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)

na si impone come unicona del nostro tempo, una suggestiva Biblia pauperum della contemporaneit. Modello Italia (2013-1964) un percorso attraverso cui riconoscibile la teoria della cancellatura e la franchezza con la quale messa in pratica. Per comprendere meglio il punto di vista dellautore gli ho posto alcune domande. La cancellatura un atto di prepotenza nei confronti dei sistemi di comunicazione, oppure pu essere intesa come unazione silenziosa e composta, anche se radicale? Direi entrambe le cose, ma principalmente un atto di difesa dalla prepotenza di una comunicazione indiscriminata, rischiosa per la stessa democrazia. La cancellatura quindi un distacco epico tra larte che inganna e locchio che guarda. Larte, quindi, diventa una forma di difesa democratica e lartista ha la responsabilit di segnalare un pericolo e di fornire al pubblico uno strumento per difendersi. Con questo non voglio dire che larte debba essere necessariamente uno strumento di dissenso, ma di certo deve rappresentare uno strumento critico, finalizzato alla difesa democratica. Conviene aiutare il pubblico a comprendere qual il suo effettivo interesse, e in una situazione di stallo politico e culturale chiaro che la riflessione pu indicare delle vie duscita. Ora non si tratta pi di prendere la Bastiglia o il Palazzo dInverno, ma di battere il conformismo che ci sta soffocando, una forma di conformismo planetario. para-

Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)

dossale che proprio gli artisti, un tempo campioni della discussione, ora diventino i campioni del conformismo. Secondo me un artista, se vuole sopravvivere in questa epoca, deve sviluppare i suoi difetti prima di accrescere le sue qualit. Potrebbe spiegare meglio questultimo concetto? Certo. Oggi cosa fa un artista per piacere o per compiacere? Sviluppa le proprie qualit: le qualit pittoriche, le qualit di scrittura, le qualit dellorecchio se fa il musicista, questo serve per agganciare il pubblico; se invece si cerca di sviluppare la propria sordit, la propria cecit e la propria mancanza di tatto, anche quando si usano le parole, allora lartista sar costretto a supplire con limmaginazione ai propri difetti inventandosi altre cose. Se lartista ha delle qualit, per quanto sviluppi i propri limiti, esse saltano fuori; un artista pericoloso quando non ha alcun difetto. Se lei si propone di coltivare i propri difetti, si propone di vincerli e, vincendoli, indica alle persone che la circondano la possibilit di vincere i propri limiti. In pi occasioni lei ha sostenuto che la cancellatura non uno stile, ma un linguaggio poich sopravvive al tempo, quindi deve essere inteso come un processo in divenire. Per questo mi piacerebbe chiederle: come immagina le sue cancellature nel futuro? La cancellatura come potr cambiare?

Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)

Potr avvenire che a un certo punto verr cancellata essa stessa da una visione completamente costruttiva della realt, quindi dellarte. In effetti la cancellatura sempre sottesa anche quando non appare, come procedimento contrario alla scrittura o alla pittoricit. Non obbligatorio che essa ci sia. In molte mie opere la cancellatura diventata pittura. Penso che la cancellatura esista in natura come esiste laria e come esiste lacqua, si cancella da sempre; diciamo che io lho trasformata in qualcosa daltro, ma senza cavarle quella carica dirompente che ha gi di suo, perch continua a generare dubbio, curiosit e attenzione.

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Alfabeta2 n.11

Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)

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Semaforo

SEMAFORO & LESSICO

Semaforo
Maria Teresa Carbone Agenda La letteratura russa del XXI secolo ha unagenda importante davanti a s: digerire unintera epoca; descrivere una nuova societ e le persone che la compongono; sollecitare i lettori e sconvolgerli con visioni postapocalittiche. Deve anche cercare forme degne di nota e scoprire nuovi talenti.
Alena Tveritina, in RBTH, 6 agosto 2013

Alcol Il piccolo gruppo linguistico dellEstonia, poco pi di un milione di persone di madrelingua nel mondo, riesce a produrre una scena letteraria incredibilmente vivace. Una delle ragioni il successo della vendita di alcolici, rivolta essenzialmente ai turisti finlandesi in cerca di bevande meno costose che in patria. Parte del denaro ricavato dalla vendita di al-

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colici destinata a enti culturali che sostengono numerose opere pubblicate in estone.
Yle, 20 agosto 2013

Condivisioni Nella sua ricerca pi recente, Extended Self in a Digital World (Il s esteso in un mondo digitale), che uscir sul Journal of Consumer Research a ottobre, Russell W. Belk, docente di marketing alla York University di Toronto, sostiene che il nostro rapporto con i social media sta gradualmente rendendo pi complessa la nostra idea di noi stessi in quanto individui. Attraverso Pinterest, Instagram e YouTube, il cui precedente slogan era Broadcast Yourself (Trasmettiti), noi costruiamo le nostre identit in un modo che non era mai stato possibile prima. Quando guardiamo lo schermo, non ci confrontiamo fisicamente con qualcuno che pu reagire subito ai nostri stimoli, per cui pi facile lasciarsi andare: come se fossimo invisibili, spiega Belk a proposito delleffetto disinibizione che la condivisione in rete contribuisce a creare. Il paradosso che, invece di una sola persona, ci sono potenzialmente migliaia o centinaia di migliaia di persone che ricevono quello che noi mettiamo l fuori.
Paul Hiebert, The Real Reason Why So Many People Overshare on Facebook, in Slate, 19 agosto 2013

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Doposcuola Kim Ki-hoon guadagna quattro milioni di dollari allanno in Corea del Sud, dove noto come un docente-divo, due termini che di rado si trovano accoppiati nel resto del mondo. Kim insegna da oltre ventanni presso gli hagwon, accademie private che tengono corsi doposcuola. A differenza della maggior parte degli insegnanti del pianeta, pagato in base alla domanda per le sue competenze, domanda molto alta nel suo caso. [] I servizi di tutoring si moltiplicano ovunque, dallIrlanda a Hong Kong e anche nelle aree suburbane della California e del New Jersey. Definiti talvolta come sistemi educativi ombra, rispecchiano il sistema istituzionale, offrendo classi doposcuola in ogni materia, a pagamento. Ma in nessun paese hanno raggiunto la penetrazione di mercato e la sofisticatezza degli hagwon sudcoreani, dove i tutor privati oggi superano di numero gli insegnanti delle scuole. Da vicino, il sistema ombra insieme eccitante e conturbante. Promuove competizione e innovazione fra gli studenti come fra i professori e ha aiutato la Corea del Sud a diventare una superpotenza accademica. Ma al tempo stesso d origine a una lotta spietata nel sistema educativo, garantendo i servizi migliori alle famiglie pi ricche, per non parlare del fardello psicologico sui ragazzi. Con questo sistema di fatto gli studenti vanno a scuola due volte: una volta di giorno e

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una di sera, agli hagwon. un tritacarne in perenne funzione.


Amanda Ripley, The $4 Million Teacher, in The Wall Street Journal, 4 agosto 2013

Ideali La tendenza degli uomini gay a enfatizzare laspetto fisico non si pu liquidare facilmente, dice Duane Duncan, ricercatore presso lAustralian Research Centre in Sex, Health and Society. Nel suo articolo Out of the Closet and into the Gym (Via il velo, si va in palestra) Duncan sostiene che il fisico maschile idealizzato uno dei maggiori riferimenti culturali nella rappresentazione dominante degli uomini gay. Siamo stati noi a farlo, afferma David Brennan, sociologo allUniversit di Toronto. La nostra cultura mostra una sola immagine del corpo e dobbiamo chiederci quanto questo ci condizioni. Ovviamente una questione carica di implicazioni politiche. Gli esponenti antigay sono prontissimi a patologizzare qualsiasi tratto gli uomini gay possano avere in comune. Daltro canto molti attivisti per i diritti gay fanno di tutto per negare che ci siano caratteristiche specifiche di quel che gli avversari connotano negativamente come lo stile di vita gay. [] Brennan, egli stesso omosessuale, insiste che la

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preferenza della cultura gay per un determinato ideale fisico condiziona chi non rientra nel canone dominante.
Brandon Ambrosino, The Tyranny of Buffness, in The Atlantic, 16 agosto 2013

Macchie Fra cinquantanni la gente guarder al caso Manning come a unaltra macchia in unepoca oscura per gli Stati Uniti e per i valori che essi affermano di avere cari.
John Cassidy, History Will Pardon Manning, Even if Obama Doesnt, in The New Yorker, 21 agosto 2013

Sms Sapevo che sarei stato in grado di fare questo lavoro perch ha a che fare con avvenimenti catastrofici. In un istante una vita pu essere spazzata via o cambiata per sempre. Personalmente non mando sms quando guido, e anzi non mando proprio sms, ma non posso fare a meno di rilevare che nella nostra civilt sta accadendo qualcosa che ci investe con grande veemenza.
Werner Herzog, citato da Associated Press in Herzog on Tackling Texting and Driving in New Film, a proposito del suo documentario From One Second to the Next sui rischi di mandare sms mentre si guida (il documentario si pu vedere gratuitamente su ItCanWait.com), 9 agosto 2013

Semaforo

Verbi Fra sei secondi mi odierai. Ma fra sei mesi sarai uno scrittore migliore. Dora in avanti, per almeno sei mesi, non potrai usare verbi di pensiero. Essi includono: pensa, sa, capisce, si accorge, intuisce, crede, immagina, desidera e cento altri che ti piace usare. Lelenco dovrebbe comprendere anche ama e odia.
Chuck Palahniuk, Nuts and Bolts: Thought Verbs, in LitReactor.com, 12 agosto 2013

Vetrine Nella nostra epoca saturata dai social media lipotesi che la tecnologia abbia trasformato il concetto di intimit non particolarmente rivoluzionaria. Dallaggregazione di comunit politiche agli incontri amorosi online la tecnologia offre un cumulo di opportunit eccitanti e di possibili ansie. Prendiamo il caso di Grindr. Per uomini attratti dallo stesso sesso, me incluso, diventato il simbolo della possibilit di organizzare sesso, amicizie e relazioni cliccando sullo schermo dello smartphone. Il marketing del prodotto lo dice chiaramente: Grindr rapido, conveniente e discreto. Ed anonimo quanto tu vuoi che sia. E ha milioni di utenti in tutto il mondo. Che tu stia leggendo in biblioteca o sia sdraiato in un parco, ovunque ti trovi, col tuo telefonino quello diventa un luogo di possibilit sessuali. [] Dal momento in cui mi iscrivo al sito i corpi sono presentati come un assortimento

Semaforo

di piccole foto ordinate in termini di prossimit geografica. Passare in rassegna i vari profili mi fa sentire come un ragazzino in un negozio di caramelle per adulti: passeggio di vetrina in vetrina sperando di trovare il tipo giusto che corrisponda al mio stato danimo attuale. Forse voglio solo un po di sesso, oppure sono in cerca di un partner romantico, o magari tutte e due le cose insieme!
Senthorun Raj, How Grindr Has Transformed Users Experience of Intimacy, in The Guardian, 2 agosto 2013

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Una protesta urbana

ALFATURK UNA RIVOLTA TRASVERSALE


Lo speciale a cura di Eleonora Castagna

Una protesta urbana


Franco La Cecla

osa sta accadendo in Turchia? Forse la chiave di interpretazione pi attendibile da cercare nelle parole imbarazzate e colpevoli del primo ministro Tayyip Erdogan. Di fronte alla mobilitazione di enormi fette delle popolazione a Istanbul, ad Ankara, a Izmir e in tutto il paese, dopo aver cercato di criminalizzare la protesta e di attribuirla a facinorosi pagati da una potenza straniera, egli ha dichiarato che tutto ci non aveva nulla a che fare con le primavere arabe, ma si trattava di una protesta come quella di Occupy Wall Street o dei giovani ad Atene o in unaltra capitale europea. interessante che un politico come lui, convinto di poter restare al potere per un altro decennio come capo supremo del paese abbia scoperto

Una protesta urbana

unopposizione che attraversa tutti i ceti, le generazioni, le classi, le professioni e i credo presenti nel paese. In questo imprevisto ostacolo la prima cosa che vuole evitare di essere identificato con il dittatore di un paese arabo da abbattere, al pari di Assad che nella vicina Siria minacciato da forze che lo stesso Erdogan appoggia. Facendo questa mossa d credito ai suoi oppositori in piazza che appunto rivendicano per la Turchia un futuro da paese europeo. Erdogan si trova di fronte a un tipico doppio vincolo da schizofrenico: allontanarsi dallEuropa dalla quale non vuole essere giudicato, ma allo stesso tempo paragonarsi allEuropa per non restare schiacciato nel destino di un qualunque prepotentello alla Ben Ali, alla Gheddafi, alla Mubarak. Dalla parte sua ha la carta vincente fino a ieri di uno sviluppo economico che somiglia molto a un capitalismo alla cinese, unoligarchia che si appoggia in Turchia come caso specifico a unideologia islamica populista che somiglia a un pensiero maoista rivisitato. Il suo problema che la Turchia un paese molto diverso dalla Cina. In Turchia la societ a essere cresciuta forse addirittura pi in fretta del capitale. Ci sono una marea di giovani che vogliono far parte del mondo in cui la democrazia significa non dovere sottostare a uno Stato etico e poliziesco, per cui modernit significa diritti delle donne e diritti delle minoranze, ma soprattutto un futuro di partecipazione, di social network, di presenza democratica nella gestione delle citt. Accanto a loro ci sono varie compagini, una

Una protesta urbana

classe media ben strutturata, una popolazione urbana che si identifica nellidea di cittadinanza espressa nei giorni di Gezi Park come appartenenza spaziale e cura per la qualit della vita nella propria citt. La Turchia dimostra che il potere di un uomo proveniente da un partito populista islamico che si rivolge anzitutto alla Turchia profonda dellinterno qualcosa che decresce proporzionalmente allinurbamento, al peso che le citt hanno nella vita del paese. Gli stessi movimenti religiosi legati a una rinascita spettacolare del sufismo, con enormi confraternite maschili e femminili e una rete di solidariet invidiabile, non sono sicuri di potersi identificare con unideologia politica che corteggia la sharia. I sufi turchi hanno tutto da temere da un capo dello Stato che vuole dettare le leggi morali del paese, perch ricordano che Atatrk ha fatto lo stesso, anche se al contrario, alla fondazione della Turchia moderna. E non c da sottovalutare il peso degli aleviti, questa minoranza compatta e molto presente nella vita del paese che oggi alza il capo pretendendo di rappresentare un Islam laico al punto da non celebrare il Ramadan e non andare in moschea (gli aleviti hanno unorigine ibrida e in parte sciita che li rende invisi al mondo turco sunnita). Ma c in ballo la questione curda, di cui Erdogan si fa bello promettendo la pace attraverso un patto con Abdullah calan, il capo del Pkk in carcere. Laltra gatta da pelare la riscoperta in tutta la Turchia delle origini di molti cittadini, origini nascoste

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fino a ieri nel timore di ripercussioni, origini armene, greche, ebraiche, circasse. I miei amici turchi, studenti, giornalisti, artisti, musicisti prima che avvenisse Gezi Park mi parlavano preoccupati del futuro del loro paese. A me sembrava un mondo con una forte contraddizione, dove alcune persone vivevano con una maniera di pensare e di agire molto simile a persone del resto dEuropa e con la coscienza di rischiare di essere repressi da un giorno allaltro. La mia amica Gulseh, attrice dei serial televisivi pi guardati nel mondo arabo le Tv turche sono diventate le prime nella produzione di sitcom, ne fanno centocinquanta allanno e le vendono ad Algeria, Tunisia, Emirati, Indonesia e a tutto il mondo islamico alla mia domanda su come vedeva il presente del suo paese mi rispondeva: caos. E mi portava alla manifestazione in un teatro di Istiklal Caddesi, la grande via pedonale di Beyoglu, in difesa del pi grande pianista turco, Fazil Say, accusato di aver stilato un twitter in cui, lamentandosi di un muezzin che aveva stonato una delle cinque preghiere dal minareto vicino a casa sua, aggiungeva: Non basta che io sia ateo, devo anche sopportare questo? Il twitter gli era costato un processo per blasfemia e la proibizione per lui, pianista di fama internazionale, di fuggire allestero. Eppure, la sera della manifestazione con tutti gli artisti e i musicisti solidali riuniti nel teatro a leggere poesie di Nazim Hikmet e testi di scrittori e pensatori indipendenti, avevo

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avuto limpressione di unaccozzaglia di idealisti di sinistra un po troppo lontani dalla realt di un paese in cui lIslam comunque ha un peso quotidiano nella vita delle persone. E mi sbagliavo. Gezi Park ha dimostrato che quelli che sono andati in piazza non erano una minoranza di nostalgici cheguevaristi, n un mondo di anime belle, ma invece gente con una forza di organizzazione e una voglia coraggiosa di battersi e una capacit di fare comunella con amplissime frange della societ. A questo c da aggiungere che, per chi conosce piazza Taksim, questo spazio non ha nulla per cui commuoversi. unorrenda rotatoria di traffico con qualche salvagente di verde. Una cerniera mal partorita tra due parti di citt, tra Beyoglu e Galata che il simbolo della citt pi europea (dei giovani, dei consumatori, ma anche di coloro che amano la parte antica di questa citt che sta sparendo sotto i picconi dellimpresa che appartiene alla famiglia di Erdogan). In pi Beyoglu storicamente il simbolo della parte meno disciplinata della citt, artisti e puttane dellOttocento, il luogo dove si beveva liberamente e dove si cantava e suonava. Questa parte confina con zone meno antiche e abbastanza devastate dalledilizia degli anni Novanta. Eppure questa cerniera a essere diventata il simbolo di una nuova identit cittadina. Qui come a piazza Tahrir e qui Erdogan non ha capito la gente si impossessata di uno spazio che dia unit a una voglia generale di protesta, che unisca il mosaico dello scontento sotto unetichetta che non sia politica ma urbana.

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questa la grandissima novit della protesta in questultimo decennio. La gente si riappropria e si fa riappropriare dallo spazio urbano. Vuol essere anzitutto fisicamente presente insieme, proprio il contrario di tutta la demenza sociologica che parla di protesta via Facebook e Twitter. Sono i luoghi cittadini con la loro fisicit ad avere ridato alla politica il senso di unincarnazione sociale e il disprezzo per la politica di professione e di pura rappresentanza (lavessero capito i grillini, non starebbero ancora a smanazzare sulla tastiera). Il corpo venuto fuori con tutta la sua forza, nelle danze, nelle barricate, negli standing men and women che hanno ribaltato lo spazio di piazza Taksim, reinventando il proprio corpo come spazio simbolico.

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apoliticismo giovanile turco era unidea parecchio diffusa prima degli eventi relativi alla protesta. Purtroppo questo risveglio stato sfruttato dai nostalgici appartenenti alla mia generazione che lhanno visto come un buon pretesto per risollevare lantico spirito rivoluzionario dei vecchi partiti di sinistra durante le epopee degli anni Sessanta e Settanta. sbagliato oltretutto generalizzare volendo parlare solamente della generazione pi giovane e volendo analizzare solo questa parte della popolazione, essendo il movimento di protesta, sin dagli ultimi giorni di maggio, assolutamente trasversale. Il nostro un paese che presenta divisioni interne di pensiero politico molto importanti: lAkp, il partito ora al governo, ha ottenuto il 50% dei voti a livello nazionale (questo non assolutamente da sottovalutare). I partiti dopposizione so-

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no molti e frammentati anche al loro interno: i maggiori sono lMhp, ultranazionalistico, che ha ottenuto tra il 13 e il 15% dei voti alle ultime elezioni, e il Chp, fondato da Atatrk, che ha ottenuto tra il 25 e il 28%. Lopposizione votata soprattutto dai nostalgici del partito unico (dagli anni Venti agli anni Quaranta). La manifestazione in piazza Taksim ha visto una partecipazione molto composita, che va al di l di quelle che possono essere le prese di posizione politica o laffiliazione ai partiti dopposizione. A difesa di Gezi Park si sono mossi tifosi di calcio, membri e simpatizzanti dei piccoli partiti di sinistra, alcuni giovani curdi arrabbiati ma al contempo entusiasti, attivisti del movimento Lgbt e soprattutto studenti e giovani professionisti che si trovano a fronteggiare la situazione di precariato (che esiste anche qui in Turchia, nonostante la nostra nazione venga spesso presentata come lisola felice per quanto riguarda la crescita economica e lofferta di posti di lavoro). Molti di questi ragazzi li conosco personalmente, in quanto sono miei studenti o lo sono stati fino a pochi anni fa (la maggior parte di loro sono filmaker, giornalisti, videoartisti...). Penso che a Taksim si sia palesata la stessa situazione descritta da Pasolini nella sua poesia sugli scontri di Valle Giulia a Roma nel 1968: gli agenti della polizia stanbuliota, infatti, provengono dai ceti medio-bassi degli ambienti pi conservatori. Giovanissimi vengono mandati, dalle famiglie dei villaggi pi interni della Turchia, nelle grandi citt a intra-

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prendere il servizio di polizia. Anche la promozione che si fa di questa professione, a livello visivo di billboard, ricorda molto quella della chiamata alle armi dello Zio Sam negli Stati Uniti. Al contrario, la maggior parte dei manifestanti provengono dalle classi pi altolocate. Questa distinzione fondamentale ed una cosa sulla quale si poco riflettuto: negli scontri di piazza si sono fronteggiati elettori dellAkp (i poliziotti conservatori) e giovani sostenitori della politica di Atatrk, il Chp. Come stato riferito anche dalla stampa internazionale, il movimento di protesta a Istanbul solo in un primo momento si concentrato sulla salvaguardia di uno degli ultimi spazi verdi pubblici al centro della citt. Loccupazione di Gezi Park stata solo un pretesto per manifestare contro le sempre pi palesi e numerose restrizioni che il governo di Erdogan sta applicando tramite lapprovazione di leggi che impediscono ai cittadini turchi di vivere con una reale libert personale di scelte. Lautorit dittatoriale del governo si palesata fortemente durante le proteste soprattutto per quanto riguarda la diffusione delle informazioni tramite i media nazionali: le televisioni turche, la sera in cui gli scontri hanno raggiunto lapice della violenza, trasmettevano documentari sui pinguini e programmi televisivi comici, impedendo ai cittadini di assistere alle violenze in piazza Taksim e nel quartiere di Besiktas. Lautorit governativa ha anche posto sotto controllo le informazioni diffuse in tempo reale dai social media: Facebook e Youtube hanno subto

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censure e cancellazioni e molti ragazzi, soprattutto a Izmir nei primi giorni di giugno, sono stati arrestati nelle loro abitazioni con laccusa di diffondere false informazioni sul web tramite la piattaforma di Twitter. Purtroppo il primo ministro Recep Tayyip Erdogan impone e mantiene il pugno di ferro grazie a due suoi tratti fondamentali: un carattere irascibile e prepotente, e la legge islamica che brandisce ogniqualvolta ne senta il bisogno per rafforzare i propri discorsi populisti. Condivide in questo molti connotati di leader musulmani e uomini politici islamici che mostrano una certa intolleranza per la libert. Non vorrei apparire ora troppo generalizzante, so che non esiste un solo modo di vivere lIslam come legge e fede religiosa: non esiste infatti ununica lettura del Corano. Detto ci, mi permetto di tentare unanalisi puramente personale al riguardo perch credo che comunque il Corano non promuova esattamente gli stessi valori che si possono trovare nel Vangelo cristiano. Anche la figura principale del libro sacro islamico, il profeta Maometto, indubbiamente presentato come un uomo estremamente irascibile e vendicativo, e nonostante non sia il figlio di Dio, e anzi se ne ricordi pi volte lumile origine di orfano e poi di commerciante, viene spesso paragonato a una divinit dai fedeli. Basti pensare a quali reazioni violente hanno provocato, qualche anno fa, le caricature del profeta disegnate in un fumetto olandese. Gli storici e gli islamisti vorranno sicuramente obiettare a questo mio discorso, e so bene che una delle loro prime ri-

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sposte in difesa dellislamismo sar quella di sottolineare lestrema tolleranza di molti Stati e leader musulmani durante il medioevo, comparati alla violenza distruttiva dei crociati cristiani. Il problema che spesso ci si dimentica di riflettere su un fatto che secondo me invece importante: lIslam non ha dato vita a nessun tipo di pensiero umanistico e non presenta alcuna apertura verso ci che fuoriesce dal credo monoteistico ufficialmente accettato; questo ha portato a non avere alcuna apertura alle differenze sociali ed etiche ancora al giorno doggi. Si intuisce che anche il primo ministro piuttosto insofferente riguardo allaccettazione di una popolazione multiculturale, e che ogni volta spera di trovare o promuovere leggi che possano annullare qualsiasi tipo di idiosincrasie. So che potrebbe risultare un pensiero paranoico quello che sto esprimendo, ma sono convinto di non essere il solo a pensarla cos. Per placare questa paranoia Erdogan non sta facendo nulla; anzi non fa che alimentarla minacciando il popolo turco con nuove imposizioni ogni giorno. Queste mie osservazioni circa limmobilit e linefficacia della cosiddetta democrazia islamica in Turchia sono rafforzate dal fatto che non si sia mai voluto promuovere un pensiero critico al riguardo: la libert non viene mai posta come un argomento da approfondire, anche solo storicamente parlando. Fin dal XIX secolo, inoltre, la maggioranza musulmana ha sempre cercato di sottomettere le minoranze cristiana ed

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ebraica fino a tentare una vera e propria purificazione da queste etnie. Nonostante ci anche oggi la popolazione non ha una sola origine comune perch ci sono state varie contaminazioni di stampo balcanico-caucasico, le quali si sono progressivamente fuse nella popolazione stanbuliota preesistente dopo la caduta dellImpero ottomano; inoltre vi sono state massicce migrazioni di etnie provenienti dallAnatolia a partire dal 1927. Queste minoranze rappresentano circa la met dei 13 milioni di abitanti di Istanbul, ma sono anche la parte pi liberale e moderna: fanno meno figli (molti dei miei studenti non hanno fratelli e i figli unici rappresentano quasi il 20% dellintera popolazione) e inoltre appartengono alla confessione alevita (gli aleviti sono un gruppo religioso subetnico e culturale presente in Turchia che conta circa 10 milioni di membri; lalevismo considerato una delle molte sette dellIslam e i suoi riti vengono celebrati in lingua curda) che non vista assolutamente di buon occhio dagli islamici conservatori. Queste minoranze hanno rimpiazzato le precedenti minoranze cristiana ed ebraica. Con la nascita della Repubblica, nel 1922, si impose a tutta la popolazione turca il moderno stile di vita di queste minoranze: oggi il nuovo governo sembra voler auspicare un ritorno alla purezza della razza turca mediante labolizione di certe libert che sono state indotte precedentemente dalla convivenza con queste minoranze progressiste. La parte della popolazione pi ricca e politicamente rappresentata quella pi conservatrice che vede al suo interno

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molti imprenditori, professionisti, burocrati, capi di istituzioni sociali private. Nonostante il mercato capitalista pi potente sia supportato anche da un crescente gruppo di anatolici conservatori, questi sono ben lontani dal ricevere un appoggio concreto e raggiungere il sopravvento. Le minoranze avvertono di vivere in una citt allinterno di unaltra citt che tende costantemente a emarginarli. Inoltre il governo continua, quasi impercettibilmente ma costantemente, a minacciarle e opprimerle mediante restrizioni legali, non perdendo alcuna occasione pubblica di fare pesanti insinuazioni circa lo stile pagano di vita che conducono. Traduzione di Eleonora Castagna Approfondimenti sul sito www.alfabeta2.it

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Alberto Fabio Ambrosio

a Turchia e le vicende di cui stata protagonista negli ultimi mesi sono tuttaltro che un fatto puramente locale e regionale. Di fronte a questo grande laboratorio sociale e politico, nazione da poco pi di ottantanni, i media del mondo intero si sono posti quesiti e hanno formulato riflessioni che non sempre sono stati il vero specchio della realt. La Turchia il simbolo reale di una problematica fondamentale nel contesto geopolitico mondiale: la religione, e come questa venga percepita dallopinione pubblica. Non vi bisogno di citare Huntington per farsi unidea di quanto il ritorno della religione influenzi le stesse analisi sociologiche e politologiche, ma certo il suo apporto ha non poco indirizzato le rotte della riflessione. La domanda che affianca quella precedente riguarda da vicino la regione medio-orientale. LIslam compatibile con

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una vera democrazia? una religione che pu davvero farsi carico dellesperienza della modernit? Gli studi sulla vicenda storica della secolarizzazione, o meglio della modernizzazione della Turchia repubblicana, sono numerosi per chi volesse approfondire la questione, che solo in parte quella odierna. Ma qui c ben di pi. Quanto un partito islamico alla direzione di un paese come la Turchia, che conta parecchi decenni di storia laica e di modernit, pu continuare in quel processo lo si d per scontato, ma da verificare di perpetua modernizzazione? A dire ancora di pi la verit, in gioco qui quanto la religione possa essere capace di stare alla testa di un paese. Certo, il partito al governo sin dal suo nascere non ha mai voluto dirigere un paese dal punto di vista religioso. Il fatto che lEuropa non voglia riconoscere unorigine religiosa alla sua stessa compagine la dice lunga su questa diffidenza fondamentale nei confronti delle religioni. La Turchia va situata quindi nella ricezione della diffidenza scettica europea nei confronti del religioso. Segnale che conferma in un certo qual modo un carattere turco ormai profondamente europeo. La grande novit dellAkp era di essere un partito moderato, democratico, liberale e conservatore, costituito certo da buoni musulmani, ma lIslam non era e si pensa che non sia la priorit. Qui giace tutto il problema. Quanto si pu dare fiducia al religioso che, non volendo dirigere un paese con la religione, pu sempre avere una certa sterzata durante la

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corsa? Questa una delle questioni che si pone oggi la Turchia. Quanto le proteste contenevano implicitamente o addirittura esplicitamente questa accusa? Buona parte dellopinione pubblica europea si subito rivolta a criticare la troppa islamicit delle posizioni del governo. I giovani di Taksim, per, in generale non si sono mai scagliati contro questo nuovo orientamento del paese, anche perch ogni nuova legge pu certo essere letta in chiave di islamizzazione, ma anche e pi semplicemente come barriera per una certa decadenza morale e sociale della giovent turca. Questa ambiguit di interpretazione ha lasciato aperta la strada a fraintendimenti quando non a scontri diretti. Questi si sono giocati pi sulle questioni legate allurbanistica, allecologia e, pi in generale, ai simboli della laicit repubblicana della Turchia. La sfida soggiacente a tutte queste proteste di strada legata alla rappresentativit politica in democrazia da una parte e alla capacit, per lIslam turco, di superare lesame della modernit rappresentato dalla gestione dei diritti individuali, dallaltra. Nel momento in cui negli Usa la Corte suprema riconosce il diritto di matrimonio per le coppie omosessuali, lOccidente dellOriente alias la Turchia si vede confrontato con gruppi che rivendicano diritti, seppur di minoranza neanche rappresentata politicamente. Questa una chiave di lettura fondamentale per comprendere di fronte a quale situazione si trovi la Turchia: affrontare come governo di ispirazione conversatrice, e in

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ultima analisi religiosa, la questione della rappresentativit dei diritti delle minoranze, oppure arrestare il processo di modernizzazione. Questultima ipotesi sembra da escludersi secondo i teorici e gli storici della modernizzazione, che la comprendono come unazione ormai ininterrotta e incessante. Le resistenze sono da situare a questo livello: rappresentativit politica delle minoranze e rivendicazione dei diritti delle stesse. A Taksim vi era un numero impressionante di gruppi, soprattutto di una certa cultura di sinistra, che avevano sempre lavorato come attivisti nel loro ambito di competenza o di interesse. Il fatto di Gezi Park ha fatto s che questi gruppi si riunissero in un solo insieme. Questo stato in un certo qual modo il miracolo di Taksim. Non c poi per da pensare che la parte opposta ai gruppi, cio buona parte dei componenti e dei sostenitori del partito al governo siano un insieme unico e monolitico. Questo rende la lettura dei fatti ancora pi erronea. LAkp lespressione politica di numerose correnti, anche religiose, che si ritrovano in una politica conservatrice e liberale, ma si tratta di unespressione tuttaltro che monolitica. LIslam turco dotato di una ricchezza straordinaria che sembra sia molto caratteristica di questa nazione. NellIslam turco si va dallordinario fedele che segue scrupolosamente i dettami della religione, cos come viene esplicitata dalla tradizione e impartita nel caso della Turchia sotto il controllo del Ministero degli affari di culto (Dib), a numerosissime

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altre espressioni. La grandezza dellIslam in Turchia rappresentata dal numero di gruppi che si rifanno alla tradizione sufi vissuta tanto in termini tradizionali e un po folcloristici quanto in termini di autentica fedelt agli insegnamenti di un maestro spirituale. Non il caso di scendere nei dettagli, ma questi gruppi le confraternite sufi, ufficialmente proibite sono anchessi una sorta di minoranza religiosa. Le confraternite sufi, a causa di questa soppressione risalente al 1925, hanno lasciato il posto allinvenzione di gruppi religiosi, di vere comunit che fanno capo a un leader. Numerose sono queste comunit in grado di riunire migliaia di fedeli intorno allinsegnamento di un leader carismatico. Questa la forza religiosa della Turchia contemporanea. Poi ci sono gli intellettuali musulmani che hanno sempre pi parte nella storia del paese e nelle scelte politiche. Queste categorie allinterno della grande compagine dellIslam turco mostrano quanto questo non sia un monolito, ma forse una composizione di minoranze che si sono battute fino a pochi anni fa contro una modernizzazione laicista considerata esagerata. Da anni il discorso politico di maggioranza stato quello dellunit del paese, che ricalca anche quello pi nettamente nazionalistico lunit della nazione e forse anche questo discorso ha ancora la sua ragion dessere a una condizione. Se per unit si intende ununit dinamica che sappia tenere in considerazione le correnti minoritarie tanto di una parte quanto dellaltra, allora la Turchia sapr risolvere le tensioni interne di dibattito con la modernit e la

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rappresentativit. Se per assurdo dovesse arrestarsi di fronte a questa ipotesi, allora tutta la Turchia ne uscirebbe indebolita da tutti i punti di vista, compreso quello economico. La Turchia nella sua ricchezza interna costituisce il simbolo e la cifra di quanto altrove si vive senza talvolta sentirne la tensione, e forse, proprio per questo motivo, addirittura in anticipo sui tempi per la soluzione di domande fondamentali cui si faceva cenno allinizio, tra le quali quella del religioso capace di gestione politica democratica e liberale.

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stanbul, nei giorni della protesta, non si mai piegata di fronte alla minaccia della legge. Le immagini pi emblematiche mostrano giovani che fronteggiano, in piedi, fermi e fieri, i mezzi pi violenti usati dalle forze di polizia. C la ragazza che apre le braccia e viene colpita dal getto dacqua di un idrante; c la giovane dal vestito rosso che viene accecata dal getto di liquido urticante spruzzato da un poliziotto; ci sono gli hacker del movimento RedHack che stanno in mezzo alla piazza a documentare ogni cosa sui blog con i loro cappucci neri e la bandana rossa; c il giovane uomo che legge poesie di fronte alla polizia in tenuta antisommossa; c ladorabile vecchina impavida che con tanto di fionda casalinga si unisce alla resistenza con orgoglio, e c lartista performer Erdem Gunduz che sta per quattro ore in silenzio davanti al centro culturale dedicato ad Atatrk, assorto quasi in unestasi mistica a osservare lenorme volto

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del fondatore della Repubblica che si staglia tra due altrettanto grandi bandiere turche al centro delledificio. Ancora una volta mi trovo a ragionare sul significato della parola resistenza. Questo termine, per il lettore italiano, indubbiamente legato a un determinato periodo storico e subordinato a un certo tipo di ideologia. Qui a Istanbul, nei giorni della protesta, ho assistito, grazie a questi esempi di tenacia e di applicazione della non violenza e della protesta pacifica, a un rinnovamento della parola. Vorrei rifarmi al suo secondo significato etimologico per cui il termine resistenza indica la propriet di un corpo di non cambiare se viene sottoposto a forze esterne che vorrebbero invece manipolarlo, sottometterlo alla propria potenza. Al popolo turco, se volessimo continuare a richiamare laccezione scientifica del termine, andrebbe assegnato un undicesimo posto nella scala di Mohs. Il modo con cui ogni cittadino continua a credere nella forza della propria compattezza come popolo che persegue un obiettivo comune ha dellincredibile. O forse no. Forse siamo noi italiani che invece abbiamo perso di vista questo nostro potere. Durante i miei sei mesi di permanenza in terra turca ho assistito a malincuore alla snervante passivit con cui i miei connazionali hanno, ancora una volta, accettato le decisioni di una classe politica che ormai sembra costituire un universo a parte, al quale non possibile avere accesso. La nostra critica di popolo si ridotta ai commenti e alle vignette

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sarcastiche anche sulle maggiori testate, e anche dallestero traspare una rassegnazione sconcertante. palpabile quanto le risate suscitate da questo approccio, che ha del vabb ma tanto noi che ci possiamo fare o del si sa che sono tutti raccomandati ed cos che gira il mondo, siano intrise di amarezza e insoddisfazione. Tutto ci mi stato confermato da amici e giornalisti di passaggio a Istanbul i cui primi commenti, di fronte ai cori e ai concerti di quartiere suonati con pentole e padelle fuori dalle finestre da gente di ogni et, sono stati: Ma da noi questo casino si fa solo se lItalia vince una partita ai mondiali di calcio! e: Dovremmo imparare da loro a muovere una reale e forte protesta di popolo. La grandezza di questa protesta che stata guidata proprio dal tipico spirito turco che in questi mesi a volte ho biasimato, a volte amato alla follia: un animo contraddittorio pervade ogni campo lavorativo, sociale, economico. E anche durante le manifestazioni contro il primo ministro Erdogan, solo nella citt di Istanbul, stata evidentissima questa poliedricit di atteggiamenti che pure sono riusciti ad amalgamarsi perfettamente in un coro di voci meraviglioso. Gi i primi giorni di corteo, mentre i poliziotti lanciavano lacrimogeni addosso ai manifestanti cerano ragazzini che in bicicletta, forti del loro spirito di piccoli commercianti impavidi, sfrecciavano in mezzo alla folla per vendere limoni, latte e mascherine antigas. In Istiklal Caddesi poi, fino allo sgombero della piazza, si potevano trovare piccoli tavoli abusivi che offrivano bicchieri di superalcolici a prezzi pi

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che economici, mentre poco lontano erano stese a terra delle coperte su cui si era improvvisato un piccolo commercio di maschere di Guy Fawkes da parte di vecchi baffuti. Le sere degli sgomberi di Taksim e di Gezi Park, inoltre, passeggiando per le viuzze che scendono verso i quartieri di Cihangir e Tophane, si potevano osservare le terrazze illuminate dei grandi ristoranti piene di coppie intente a condividere bottiglie di vino pregiato e sguardi languidi, o gruppi in cene aziendali sui cui tavoli troneggiavano raffinate portate di pesce. Questi e altri episodi di convivenza di reazioni spesso mi hanno portato a un senso di straniamento e dubbio nei confronti delle mie convinzioni spazio-temporali. Eppure rimango convinta del fatto che gli stessi imprenditori eleganti che quelle sere si stavano godendo dellottimo branzino e una vista mozzafiato sul Bosforo, il pomeriggio, dopo il lavoro, un giro al Gezi se lerano fatto anche loro, oppure sarebbero usciti di l a poco dal ristorante per unirsi al corteo di protesta. Questi ruoli sociali che improvvisamente hanno iniziato ad autosovvertirsi hanno spiazzato Erdogan stesso, soprattutto quando ha ammonito le madri dei giovani che stavano occupando il parco di andare a riprendersi i figli: queste in tutta risposta si sono subito palesate nellarea verde piena di tende, ma solo per piazzarne una anche loro, per condividere la resistenza con i propri figli. Tuttavia a resistere sono anche i giovani poliziotti, molti poco pi che diciottenni e provenienti dai vilaggi pi interni

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della Turchia, che da quasi un mese vivono a sorveglianza dei luoghi sgomberati, dormendo su autobus pubblici occupati e offrendo lavoro costante ai ristoratori della piazza di cui sono divenuti clienti pi che abituali. E cos chi dovesse passare ora, mentre scrivo, da piazza Taksim, vedrebbe due file di stanti che imperterriti si fronteggiano giorno e notte nonostante si legga la stanchezza imperante sui loro volti: le forze dellordine con le loro camicie blu e i manganelli neri appesi alla cintura da una parte, e i ragazzi che seguono lesempio di Gunduz con scarponi da trekking, zaini e le immancabili pashmine dallaltra. Tra pochi giorni il mio permesso di residenza scadr e io dovr lasciare Istanbul cos, senza avere la certezza di poter capire, una volta rientrata in patria, quello che sta accadendo realmente qui. Purtroppo infatti so che quello che legger o vedr alla televisione in Italia sar solo una strisciata labile dellarcobaleno di colori che sono riuscita a osservare in ogni sua sfumatura vivendo qui. Lunica speranza e volont che ho, una volta rientrata, di vedere un altro trionfo di colori cos anche a casa. Se vero, come dicono qui, che noi italiani siamo simili e affini ai turchi, spero che sapremo reagire con la loro poliedrica ma forte compattezza e unione quando ne avremo loccasione.

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La casa editrice Otonom
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no dei miei ultimi, caldissimi pomeriggi, qui a Istanbul, scendo le piccole, intricate vie del quartiere di Firuzaga per andare a trovare i ragazzi che hanno fondato e gestiscono la casa editrice indipendente Otonom. Il loro stato uno dei gazebo pi frequentati durante loccupazione di Gezi Park e voglio capire come questa protesta stata vissuta realmente e fisicamente dai cittadini turchi che per pi di dieci giorni hanno abitato il parco costruendo una vera e propria comunit auto-organizzata. Quando siete entrati a far parte della comunit del Gezi installando il vostro gazebo?

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Subito dopo la notte del 31 maggio, quando la polizia ha tentato il primo sgombero entrando e bruciando le tende degli occupanti. Abbiamo seguito la reazione di molta altra gente che come risposta si riappropriata del parco grazie alla forza numerica. Abbiamo montato il nostro gazebo vicino allingresso principale, quello che fronteggia piazza Taksim, e abbiamo vissuto in questa neocomunit prendendone parte attivamente. Il nostro ruolo come casa editrice e il fatto di sponsorizzare i libri pubblicati stato assolutamente marginale rispetto a quello che abbiamo vissuto e condiviso con gli abitanti dello spazio verde. Avete incontrato lettori interessati a discutere circa gli argomenti trattati dalla maggior parte delle vostre pubblicazioni (politica, filosofia ecc.)? Per lo pi le persone si accostavano alla nostra tenda in quanto interessate a comprare un libro per leggerlo nel tempo libero trascorso nel parco. Sono state poche le occasioni per approfondire un certo tipo di discorsi perch si viveva il tempo presente: il parco andava costantemente ripulito, le attivit collaterali e le conferenze erano tantissime e anche noi ci siamo sentiti molto coinvolti a livello attivo. Ora per noi il momento di lavorare e pubblicare ci che abbiamo visto e ci che abbiamo sentito allinterno del parco. Durante questa pausa di decompressione dobbiamo cercare di raccogliere pi materiale possibile anche per po-

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terlo poi pubblicare nel prossimo numero della nostra rivista (Otonom Magazine) a luglio. Stiamo raccogliendo articoli di ragazzi che parlano del movimento di protesta in Turchia anche dallestero. Molti ci scrivono via mail e ci mandano i link di pezzi che hanno gi pubblicato sulla piattaforma virtuale: tuttavia sentono il bisogno di produrne documenti fisici, stampati. Il governo turco ha applicato spesso politiche restrittive circa svariati aspetti riguardanti le scelte e libert personali. I media televisivi, durante le prime giornate di scontri, non hanno mandato in onda nulla e quando si sono decisi a farlo, molte notizie risultavano falsate o sottoposte a censura. Voi, in quanto casa editrice che si occupa soprattutto di testi politico-filosofici, avete mai dovuto fronteggiare personalmente politiche restrittive di questo tipo? Grazie al cielo non sono arrivati a tanto. La Turchia ha tuttavia una lunga storia di censura per quanto riguarda linformazione pubblica. Durante gli anni Sessanta e Settanta le case editrici erano costantemente sorvegliate e molti giornalisti e scrittori furono arrestati e uccisi: gli esecutori a tuttoggi non sono ancora conosciuti e sono rimasti impuniti. Molte persone assassinate appartenevano alla minoranza curda, e molte erano donne. Ci sono sempre stati scontri durissimi, ma sempre circoscritti a una parte della popolazione. La protesta di questi giorni ha fatto s che questi confini di lotta siano stati abbattuti da una collettivit

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prorompente. Le strutture delle classi sociali sono state scardinate e la solidariet pi totale si manifestata in piazza. Nonostante il governo tenti di censurare con tutti i mezzi la lotta di popolo, noi non siamo intenzionati ad arrenderci in quanto abbiamo imparato a utilizzare la creativit in modo attivo e reattivo, inventando ogni volta nuovi mezzi despressione. Allora potremmo dire, un po meno bene ma dal nostro punto di vista, che larte ci che resiste; forse non la sola cosa a resistere, ma ci che resiste. Di qui, il rapporto cos stretto tra latto di resistenza e lopera darte. Nessun atto di resistenza unopera darte, bench lo sia in un certo qual modo. Nessuna opera darte un atto di resistenza, bench in un certo qual modo lo sia (Gilles Deleuze, Che cos latto di creazione). Avete appena accennato alla creativit come matrice del vostro spirito di protesta. Uno dei simboli della resistenza stanbuliota stato Erdem Gunduz, il Duranadam, lo Standingman: un giovane performer che mi ha fatto pensare quanto larte, qui e ora, possa realmente essere anche politica. Qual il vostro pensiero al riguardo? Una delle reazioni pi sconvolgenti stata quella del sovvertimento dei ruoli sociali. La creativit ha spinto molte persone a esprimere le proprie capacit artistiche e lattivismo ha portato molti artisti a rivedere le proprie pratiche focalizzandosi sul movimento di protesta e sviluppando tematiche prettamente politiche. Lepisodio dello

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Standingman stata una vera e propria chiave di volta: quel pomeriggio eravamo tutti molto tristi e depressi perch la protesta sembrava potesse collassare sotto le pressioni delle forze dellordine. Poi unimmagine potentissima ha caricato nuovamente tutti di energia. Erdem Gunduz se ne stava l, fermo, immobile con uno zaino sulle spalle. Alcuni poliziotti in borghese hanno cercato di bloccarlo (ma come si pu bloccare una persona che se ne sta gi ferma?) e hanno perquisito la sua borsa, sperando forse di trovarci qualche ordigno. La grandezza di questo gesto stata proprio quella di impedire qualsiasi tipo di reazione contraria tramite la passivit. Un creativo atto di resistenza. Questo poi ha portato tanta altra gente a imitarlo creando folle di stanti che, fermi in diversi punti della citt, hanno voluto non solo essere solidali con la protesta attuale ma anche testimoniare le tante ingiustizie e i massacri irrisolti. Ad esempio, ci siamo fermati in Kazanci Yokusu per tre ore, la scorsa settimana, per ricordare il massacro che c stato in quella strada nel 1977: quaranta persone morirono a causa del sovraffollamento e della chiusura delle vie duscita da parte delle forze dellordine. Non si ha pi paura della repressione perch siamo forti del potere della creativit. E anche il senso di autoironia e critica fondamentale, in quanto rispecchia lo spirito turco. Basti pensare ai diversi slogan che sono stati inventati con la parola apulcu (nullatenente, ladro, approfittatore) che Er-

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dogan ha affibbiato ai contestatori, o ai graffiti raffiguranti pinguini stilizzati che indossano maschere antigas (il primo giorno della manifestazione i canali televisivi turchi mandavano in onda i programmi pi disparati, tra cui un documentario sui palmipedi delle zone antartiche). Alluniversit mi capitato di confrontarmi con unamica turca circa lattivismo e la discussione politica allinterno degli ambiti studenteschi. vero che in Turchia, prima di questa grande protesta, la classe dei ragazzi nati alla fine degli anni Ottanta e negli anni Novanta veniva considerata apolitica? A che cosa sono dovuti questo improvviso risveglio e questa forte aggregazione comunitaria? Parlare di apoliticit sbagliato a prescindere. I giovani hanno sempre fatto scelte politiche, che tuttavia erano perfettamente conformi a quelle che il governo si aspettava facessero: individualismo imperante, capitalismo e consumismo erano le gabbie entro le quali i ragazzi si muovevano fino al mese scorso. Evidentemente, per, queste gabbie hanno iniziato a essere percepite e alla fine, in pratica, la potenza della ricerca di libert e di pensiero critico venuta alla luce spontaneamente perch semplicemente era giusto cos: era arrivato il momento dellesplosione. Uso questo termine forte in quanto i turchi stessi sono rimasti scioccati dalla potenza con cui si sono manifestate contemporaneamente queste potenzialit finora inespresse

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dalle generazioni pi giovani. Questo risveglio ha dato anche maggior fiducia agli adulti e ai pi anziani che si sono uniti immediatamente a sostegno dei propri ragazzi. La politica discussa negli spazi pubblici: dopo lo sgombero di Gezi Park le persone stanno continuando a riunirsi in altri parchi pi piccoli in tutta la citt. Avete partecipato a questi incontri? Di che cosa si discute? Si ha una vaga idea di come organizzarsi praticamente per avere una reale rappresentanza politica che rispecchi il pensiero del popolo? veramente difficile potersi immaginare cosa accadr nel futuro prossimo. Non certo una soluzione quella della caduta del governo Erdogan. Ora il momento di pensare in maniera propositiva e cercare di capire come e quale dovr essere il modo di avere un contatto pi diretto e partecipato a livello governativo. Si stanno facendo sondaggi per capire quale potrebbe essere un sincero rappresentante del movimento e si discute di cambiare il sistema elettorale (che oggi prevede una rigida soglia di sbarramento nazionale al 10%). Durante le riunioni nei parchi, tuttavia, si sollevano anche questioni pi pratiche circa la gestione del suolo pubblico e la gentrificazione di molti quartieri al centro della citt. Si parla e si cerca il dialogo con le minoranze curda e rom. Ci si autocritica: emblematico il caso dei cartelloni con pesanti insulti contro il primo ministro e la sua famiglia, che sono stati subito censurati da un gruppo di

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femministe le quali hanno commentato il loro gesto dicendo: La resistenza si fa con linsistere e il perdurare, non con linsultare loppositore. Staremo a vedere quel che questo risveglio di massa andr a creare. Noi siamo fiduciosi e continuiamo a ripeterci che, arrivati a questo punto, non si pu che continuare a salire grazie alle nostre capacit creative improvvisamente risvegliate.

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ALFATURK UNA RIVOLTA TRASVERSALE

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Video virali vs censura mediatica
Sena Basoz

a sera del 2 giugno uno dei maggiori canali televisivi in Turchia (la Cnn Turk) ha mandato in onda un documentario naturalistico sui pinguini mentre il pi grande movimento di protesta civile degli ultimi ventanni stava affollando le strade principali della parte europea della citt di Istanbul. Allo stesso modo le altre televisioni, come Ntv, Haber Turk e Trt hanno seguito il palinsesto prestabilito da tempo senza interrompere nessuna trasmissione per mandare in onda una cronaca degli eventi stanbulioti. I canali sopra citati hanno mantenuto lo stesso tipo datteggiamento informativo anche la mattina del giorno successivo. Quando le notizie sulla protesta di piazza hanno

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iniziato a diffondersi, lo scandalo si fatto palese: i telegiornali turchi hanno cominciato a fornire informazioni molto, troppo sommarie sui fatti e a manometterle, creando un quadro poco attinente alla realt dei fatti. Personalmente posso affermare che la censura attuata dai media in questo contesto mi ha dato la terribile sensazione dellimpossibilit di urlare quando ci si trova in un incubo dal quale difficile svegliarsi. Una condizione schizofrenica si impadronita di me: essere testimone diretto degli eventi e rendermi conto di quella che la realt dei fatti, ma anche di come questi vengano manipolati da quelli che dovrebbero essere i canali diretti dinformazione, fa andar fuori di testa. A un certo punto, paradossalmente, i miei amici che vivono in paesi stranieri, grazie ai social network, erano pi informati dei miei genitori che vivono pochi chilometri fuori Istanbul. Durante la protesta molti movimenti, solitamente frammentati e rivali tra loro, hanno iniziato ad agire tutti assieme per la prima volta: i nazionalisti, i kemalisti, i curdi, il movimento Lgbt, i musulmani anticapitalisti, le tifoserie delle maggiori squadre di calcio... Allo stesso tempo una crepa allarmante ha cominciato ad allargarsi tra il partito di maggioranza al governo, lAkp, i suoi sostenitori e lopposizione. A meno che non ci si trovasse fuori, sulla strada, o tramite le piattaforme multimediali, non si poteva avere una visione effettiva e reale della protesta. La mancanza di uninformazione televisiva diretta ha giocato un ruolo deci-

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sivo nel provocare unulteriore spaccatura nel popolo perch ha creato un ambiente nel quale era impossibile si formasse unempatia di collaborazione indiretta. Questa sorta di polarizzazione della popolazione uno dei problemi oggi pi urgenti da risolvere in tutta la Turchia. Le persone hanno cercato di resistere alla censura dei media nazionali inscenando proteste anche davanti alle sedi delle televisioni e mediante vignette o video di satira diffusi tramite i social network. Ci sono stati casi di persone che hanno tentato di sabotare i programmi in diretta: una signora ospite del programma Doktorum (Il mio dottore) ha chiesto di farsi prescrivere una cura speciale per la sua emicrania diventata davvero insopportabile negli ultimi dieci giorni di occupazione del parco, poi la paziente occasionale ha iniziato a parlare della situazione allinterno di Gezi Park. Unaltra risposta alla censura mediatica stata quella dei cosiddetti video remixati. Il neologismo remixaggio sta a indicare una vera e propria tecnica di rimontaggio per cui vengono prese immagini di ci che si vuole contestare e le si ripropone con una logica narrativa diversa entro la quale sono inseriti altri frammenti visivi. Molti video di propaganda governativa vengono cos riutilizzati e trasformati in materiale di resistenza. Molti remix sono video di protesta contro la disinformazione che viene utilizzata e rimontata per creare invece informazione. Come risposta al documentario sui pinguini mandato in onda dalla Cnn il 2 giugno, ad esempio, un paio di

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remix video mandati in onda online riportavano filmati di pinguini con il logo della Cnn turca: le immagini per erano supportate da un audio che riportava i suoni degli scontri tra i contestatori e la polizia. Cos la visione di una foca che attacca un pinguino stata sincronizzata con il rumore di una formazione di poliziotti che attacca i manifestanti.

CNN Turks Penguin Documentary Remixed; https://www.youtube.com/ watch?v=ez8ZlSwB4N4 https://www.youtube.com/watch?v=SXJHNLEyuiI

Un altro remix stato il video di Nefes Al intitolato Take a Breath: una combinazione di video giustapposti di quello che i media nazionali mandavano in onda o scrivevano sui gior-

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nali e quelle che erano le notizie reali diffuse tramite i social network. Quello che lartista vuole mostrare la profonda e incredibile discrepanza tra i mezzi dinformazione ufficiali e non.

Nefes Al, Take a Breath (subtitled): http://vimeo.com/69011454

Per il grosso flusso dinformazioni e il ritmo veloce con cui gli eventi si sono susseguiti nei primi giorni di giugno, questi video sono stati creati molto velocemente. Poco dopo il discorso del sindaco di Istanbul, Hseyin Avni Mutlu, mandato in onda sui canali nazionali il 15 giugno (nel quale il primo cittadino cercava di spiegare come gli interventi della polizia non fossero poi cos pesanti come invece mostravano

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i video amatoriali sulle piattaforme social), un video virale ha iniziato a girare su Facebook: il filmato un montaggio dellintervento del sindaco con immagini del programma per bambini Teletubbies dove quattro piccoli alieni multicolorati vivono in un mondo allegro dove splende sempre un sole che ha il sorriso e la gaiezza di un bimbo di pochi mesi.

Mutluyum, I am Happy (subtitled): https://www.facebook.com/ photo.php?v=10151624538917171&set=vb.502437170&type=2&theater

Anche il sindaco della capitale turca, Melih Gkek, ha tentato di utilizzare i video virali per una propaganda pro Akp pubblicando un filmato in cui condanna e minaccia i cosiddetti stranieri, che secondo lui avrebbero fomentato i tu-

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multi in tutta la nazione, e dedica loro la canzone intitolata Kendim Ettim Kendim Buldum, la cui traduzione suona pi o meno come: Lho fatto a me stesso e ora ne sto soffrendo. Ma subito il suo vano tentativo si rivoltato contro di lui in quanto il suo video stato trasformato e il primo cittadino di Ankara si visto trasformare in un dj che ogni volta che preme il tasto del suo computer per avviare la canzone ne manda in loop tante altre, o montaggi audio che riprendono frammenti di discorsi dei politici dellAkp musicati grazie a programmi di editing. Questa semplice manipolazione sonora ha fatto s che il significato iniziale fosse completamente riconvertito, per cui un video che doveva cercare di persuadere le persone grazie a un tono forte e sicuro diventato un filmato virale che in mille modi ne scardina il significato primo e porta anzi a vedere anche loriginale secondo la logica della presa in giro.

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Melih Gkek ile ark Gndermece, Sending Songs with Melih Gokcek: https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=phg-M3WnxCo

Everyday Im Chapulling riprende il video del gruppo musicale Lmfao Everyday Im Shuffling e tramite un abile fotomontaggio sostituisce i volti dei due cantanti con quelli del primo ministro Erdogan e del sindaco Mutlu. In modo autoironico si gioca sul termine apulcu (straccione, nullatenente, ladro) con il quale il primo ministro ha designato tutti i manifestanti. Grazie a una riappropriazione di tale parola si sono creati slogan, canzoni ed stata operata una riconversione del termine per cui i contestatori si sentono ora fieri di chiamarsi tra loro apulcu.

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Everyday I'm apuling: http://www.youtube.com/watch?v=b6tny62zXv4

Tutti questi video virali sono stati prodotti per una necessit impellente. Ma possono definirsi opere di videoarte (come alcuni hanno cercato immediatamente di definirli)? Nel suo saggio Art and Propaganda William Pickens sostiene che la propaganda stata sempre terreno fertile per lo sviluppo dellarte. Pickens ritiene che lopera darte abbia uno scopo propositivo, e tutti i video virali sopra menzionati soddisfano appieno questo criterio in quanto sono stati creati con uno scopo ben preciso. Pickens, inoltre, sottolinea la differenza che intercorre tra un elemento artistico e un elemento di propaganda allinterno di unopera darte e scrive che

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mentre il primo destinato a perdurare nel tempo in quanto eternamente apprezzabile perch legato a unestetica trascendente, il secondo legato molto di pi allimmanenza del fenomeno politico. Quindi potr definirsi davvero un lavoro artistico ci che rimarr anche oltre il tempo della manifestazione e della propaganda. Questi video verranno ammirati anche in un prossimo futuro? Ce ne sar almeno uno destinato a perdurare nel tempo quanto Guernica di Picasso? Lelemento propagandistico davvero forte nei lavori sopra menzionati: larte viene surclassata dalla contingenza dellevento politico. C da sottolineare tuttavia che la produzione di filmati in questo contesto non si sta fermando, e chiss a cosa potr portare tutto ci. Il fatto poi che questi video siano diventati veri e propri elementi di consumo non da sottovalutare. Il consumo e luso che se ne fa, tuttavia, estremamente collettivo e ha come presupposto la condivisione: non esistono nomi che pretendano un riconoscimento o loghi che sottolineino la propriet intellettuale dei video o dei fotomontaggi. Si consci del fatto che i prodotti sono di pubblico dominio e che verranno sicuramente a loro volta rimanipolati. La produzione creativa al di fuori di quello che il mercato dellarte ufficiale si avvicina molto a quello che stato il movimento dei graffiti ai suoi esordi: presenta anche il medesimo rischio nel quale incappata larte dei writer, ovvero quello di essere a poco a poco inglobata dalla piattaforma artistica predominante (come mostra il celeberrimo docu-film

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distopico realizzato da Banksy e intitolato Exit Through the Gift Shop). La XIII Biennale di Istanbul si inaugura a settembre. Il tema? Larte nello spazio pubblico (siamo tutti molto curiosi di sapere come verr trattato!). Alcuni sostengono che una simile Biennale sar obsoleta dopo il movimento di resistenza creativo che ha preso piede dalloccupazione di Gezi Park: io sono interessata a capire quanto questo sar rappresentato allinterno di tale evento artistico ufficiale. Il rischio di un sovraccarico di informazioni sui social media c e si percepisce, soprattutto quando gli eventi si susseguono in modo molto rapido e ricco di fatti. Spesso si superano quelli che sono i limiti della capacit percettiva del cervello umano. La domanda : in quale modo noi cogliamo i messaggi proposti da queste migliaia di video? La condizione in cui lo spettatore consuma il video virale pu essere confusa con latteggiamento distratto di cui parla Walter Benjamin a proposito di ci che succede quando subiamo in modo passivo le immagini durante una proiezione cinematografica, per cui la nostra reazione risulta in un certo senso progressivamente ritardata. In realt colui che guarda un video virale viene a trovarsi in uno stato di concentrazione molto intensa, dovuta alle emozioni che si producono nel breve lasso di tempo della durata del video. Inoltre il ruolo dello spettatore risulta essere molto pi attivo sia per la breve durata dei montaggi, sia per i riferimenti ad altri filmati virali che generalmente si trovano sulle pagine o i

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siti Internet su cui sono stati caricati i prodotti audiovisivi. Il tempo e gli spazi multimediali dutilizzo di un singolo video possono essere gestiti in maniera molto libera. Alzarsi la mattina e leggere le notizie sui social network, invece di andare a comprare e leggere i giornali, diventata una nuova abitudine gi assai comune, soprattutto per le nuove generazioni. I video virali sono anchessi una fonte entro questo enorme flusso di informazioni: ora pi che mai questo tipo di canale di notizie si incorporato attivamente nelle nostre vite. Bibliografia W. Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica (1936), Einaudi, Torino, 1966. W. Pickens, Art and Propaganda. Extract from The Messenger (1924), cit. in S.K. Wilson, The Messenger Reader, Random House, New York, 2000. Altri percorsi di lettura: Franco La Cecla Una protesta urbana Turgul Artunkal Democrazia islamica

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Alberto Fabio Ambrosio La Turchia come simbolo Eleonora Castagna Un coro di voci meraviglioso Conversazione di Eleonora Castagna con Melis nan e Sinem zer La potenza della ricerca di libert Torna al men

Non come vita

POESIA

Non come vita


Gilda Policastro Estate
Bambina ti levavo dai seni gli occhi Nella riproduzione delle macchie a seguire limpiet di guardare le masse colliquate intatte dallerbitux Inerti nel dolore inconvertibile ti poso addosso le dita per la misurazione delle masse (coi tronchi meno grossi si fanno i coperchi delle casse)

Non come vita Filamenti dovatta mentre ti lavo i capelli e ben bene sotto le braccia (le masse denutrite non proliferano in meno di sei/dodici mesi nel quaranta per cento dei casi) Godere in analettico conforto anche di cose qui per noi indifferentissime (sfilaccia, lacqua, lovatta, prendimi per favore dellaltra acqua) E poi mai pi, che lavorare stanca le masse e il contenimento il vero successo, in oncologia Questa non sei tu: Non il bene vecchio ma il cattivo nuovo, una massima di B., diceva B.*: *Brecht; Benjamin.

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Fili
a chi parlano la gente ai telefoni a chi dice, lei sei come un domatore: prima la frusta e poi lo zuccherino a quali fili sono appesi quando si muovono nella danza quelli che aspettano treni che volano aerei lontani com inspiegabile i fili che tengono insieme che ti staccano gli altri certi, vivono di comunicati arrivi e partenze e interferenze ho fatto il numero per sapere come stavi, ma ho messo gi perch se ceri non lo davi a quelli che non ci sono telefonano di continuo a tutte le ore hanno bisogno di dire pensavo che non ce lavresti fatta a sopravvivere ti faccio le mie condoglianze ti sei rifatto una vita, meno male coi morti per essere buoni bisogna essere duri dentro al telefono le pause sono mortali quando si parla di noi non dire niente agli altri, non capirebbero

Bill Viola
Avvicinati, pi lento e dimmi cosa vedi La madre, vedo lui, non vedo nessuno, lacqua, il fuoco, vedo chi li riceve e i morti e i vivi capovolti nel riflesso che appare

Non come vita Andiamo, andiamo piano passiamo attraverso e guardiamo com il corpo ch mosso, per finta, a far fine quando muore, lo guardano altri e da lontano tutti pi lenti di cos, molto di meno ci vanno accanto, dondolandosi piano Prendi quei due, sembrano vivi e sono nellacqua ch mossa non dai fiati ma da come li vedi, piano, andando altrove che fine, e ricomincia, per tutti, piano

Hora
E chi si muove da terra Si sta cos bene [Non si sente dolore, non si sente niente Cos vivono quegli altri, strisciando Senza illusioni [Gi pronti al ritorno bello qui Non si deve andare da nessuna parte [Si pu rimanere fermi, e aspettare

Non come vita Oppure anche solo rimanere fermi Stare cos [Insomma, senza attivit Quale sarebbe poi lalternativa Andare in ospedale, [oppure______a quella cena di amici No, rimanere senzaltro meglio Rimanere senza [aspettare, senza andare, rimanere col dolore, e a poco a poco sperare, [sperare che vada via, ricominciare a respirare, ma senza la pretesa di alzarsi ha una sua logica, ordinato, risponde [a uno schema Lo schema dello stare, del rimanere Senza agitarsi, smanie Quanti ora, a parte quegli altri, sono l, in questa [posizione a fare questa cosa che non unattivit, solo stare Probabilmente non tanti, ma qualcuno s, qualcuno [ a terra, cos, steso coi palmi delle mani che aderiscono al pavimento Stare qui perch nessuno te lo chiede, nessuno se lo aspetta, anzi, qualcuno vuole che ti alzi, e, se stai male davvero, in ospedale Ma se non stai male, allora, c quella festa a cui bisogna subito andare Cambiarsi dabito, mettersi il trucco giusto, le scarpe abbinate, il cappotto figo Andare, andare subito, guardare gli altri con la faccia opportuna, con le parole intonate, la rilassatezza domenicale Sorridere, sorridere anche col dolore allo stomaco, che se era un dolore serio a questora ti trovavi in ospedale, invece sei l, e allora puoi sorridere, rilassarti, goderti il vino, che al tuo stomaco come un colpo di frusta sulla schiena di un cavallo Le tartine, mangia le tartine, hai ancora mal di stomaco, poi passa

senza

Non come vita Ma no, sento come un tappo, una puntura, non va gi nulla, nemmeno lacqua Mangia, guarda che poi i vestiti ti cadono di dosso e non normale Devi mangiare, dice cos, vuole che mangi, mangia E tu rimani sdraiato, disteso coi palmi a terra, dove non devi mangiare, non devi ridere, non devi essere alla festa, non devi Puoi rimanere cos, sdraiato E chi si muove da terra Si sta cos bene: non si sente dolore, non si sente niente Cos vivono quegli altri, strisciando: senza illusioni, gi pronti al ritorno bello qui: non si deve andare da nessuna parte Si pu rimanere fermi, e aspettare oppure anche solo rimanere fermi Stare cos Senza illusioni Gi pronti al ritorno bello qui Non si deve andare da nessuna parte Si pu rimanere fermi, e aspettare Si sta cos bene Non si sente dolore, non si sente niente

Gilda Policastro

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Aragno, i domani, 2013, 98 pp., 10,00

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Altri percorsi di lettura: Poesia Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile

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Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Esempi da Poesia 13 Cetta Petrollo Pagliarani Tre giorni a Rieti Marco Giovenale Spettri che parlano Massimiliano Manganelli EX.IT: contesti aperti Frammenti da EX.IT Torna al men

Virginia Woolf ha colpito ancora

ilRACCONTO

Virginia Woolf ha colpito ancora


Copi Ero seccato con il mio editore perch voleva per forza farmi aggiungere un racconto alla raccolta: sette secondo me era un numero che portava male; daltra parte erano racconti piuttosto esili, come si suol dire, e non bastavano a raggiungere un numero di pagine decente per un libro. Gli proposi delle poesie che avevo scritto in giovent; le rifiut educatamente, adducendo la scusa che in linea di massima una raccolta di racconti dovrebbe contenere solo racconti. E illustrazioni? Da qualche parte, in un cassetto, avevo ancora alcuni miei vecchi disegni, potevamo servircene per rimpolpare la raccolta, magari ritagliando le singole vignette e ingrandendole in modo da riempire con ognuna unintera pagina. Il che avrebbe ridotto notevolmente il mio lavoro. Leditore mi fece notare che quei disegni erano passati di moda, invece si aspettava grandi cose dal mio talento letterario. Avevo gi sbagliato diversi romanzi, insistetti, e poi

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non avevo la bench minima idea per un racconto, ecco tutto. Riattaccammo, salutandoci da buoni amici. Era almeno da un anno e mezzo che non mi veniva unidea per un racconto, quelli che gli avevo rifilato al momento di firmare il contratto li avevo ricavati da vecchi numeri di Hara-Kiri e non ne ricordavo n largomento n il titolo, con ogni probabilit si trattava di quel genere di racconti che si scrivono in fretta e furia per arrivare a fine mese quando si a corto di marijuana. Allinizio di luglio mi imbattei nel mio editore in una discoteca gay del nostro quartiere. Ci ritrovammo a ballare il twist uno di fronte allaltro. Il mio editore pi alto di me, sembra Sylvester Stallone. Che ci fai qui? Ti credevo alle prese con il racconto. Che racconto? Lultimo racconto per il tuo libro. Devo consegnarlo al tipografo entro il 15, senn poi iniziano le vacanze e non sar pi possibile farlo uscire a ottobre, e per lanno prossimo non ho neanche un buco! Ce ne andammo al bar a bere una birra in lattina. Eravamo venuti a rimorchiare ognuno per conto proprio, e per entrambi quellincontro era una vera rottura di scatole, soprattutto con quella storia del racconto. Non che per caso hai unidea per un racconto? gli chiesi.

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Mi guard perplesso. Gli passai lo spinello, che per qualche secondo assorb tutte le sue energie. Alla fine se ne usc con una vera perla di saggezza: Qualsiasi idea buona per un racconto. Vedi che mi tocca sentire da un editore! esclamai, anche se in fondo ne ero convinto anchio. E visto che lidea gli era piaciuta, insistette: Un editore e uno scrittore che si incontrano per caso in discoteca: puoi iniziare cos. E poi, che ci succede? Ce ne torniamo a casa insieme? No, ci conosciamo da troppo tempo. E se io ti uccidessi perch non hai scritto il racconto, non sarebbe un buon soggetto? E poi chi lo scriverebbe, questo benedetto racconto? Io! Non sopporto lumorismo di Jean-Pierre. Erano le tre e mezza del mattino e non cera pi nessuno di rimorchiabile. Erano rimasti solo tre o quattro intellettuali che, affascinati dalle nostre chiacchiere, non staccavano le chiappe dagli sgabelli del bar. Al piano di sotto una decina di analfabeti si sbaciucchiavano, ciucciandosi i baffi nelloscurit. Questo posto fa schifo. Tu devi arrivare ad Anvers, no? Io a Blanche. Andiamo a bere un ultimo bicchiere in place Pigalle, che a met strada. Scendemmo le scale per raggiungere luscita.

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Il guardarobiere non cera. Gli lasciammo sul bancone i numeri e due monete da dieci franchi e riprendemmo dalle grucce i nostri giubbotti di pelle. Tirammo su la cerniera fino al mento, temendo la rugiada parigina che minaccia la gola delicata dei nottambuli. La porta dingresso era sprangata. Sar andato a fare una marchetta. Non un buon motivo per chiudere a chiave la porta. Ha in custodia una decina di giubbotti di pelle, un patrimonio. In una tasca del mio giubbotto trovai due spinelli gi rollati. Ce ne accendemmo uno a testa per coprire lodore dei popper. Guarda che dico sul serio, quel racconto mi serve. in gioco il futuro della mia casa editrice, spar. Sei la mia Virginia Woolf. Potresti leggermelo al telefono nel fine settimana, oppure lasciarmelo nella segreteria telefonica. Ti ho gi detto che non ho la minima idea per un racconto, Jean-Pierre, non insistere! Da fuori bussavano forte alla porta. chiuso! gridammo. Ma che fine ha fatto il guardarobiere? Risalimmo le scale della discoteca. Dietro il bancone il barman non cera pi. Mi girai verso una vecchia checca islandese che mi era stata presentata diverse volte al Flore, quando ancora bazzicavamo Saint-Germain-des-Prs. La porta dingresso chiusa.

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E allora? Non possiamo uscire. Uscire, e perch? Non vi piace qui? Decidemmo di andare a cercare qualcuno del personale al secondo piano, dove ci sono i bagni e la famosa camera oscura che qui, come a New York, tutti chiamano The darkroom. N io n lui avevamo voglia di farci palpare da persone di cui non saremmo riusciti a distinguere nemmeno il colore della parrucca, tanto pi che allepoca eravamo tutti preoccupatissimi per le cosiddette malattie sessualmente trasmissibili, di cui si faceva un gran parlare. Rinchiudono i clienti nella discoteca e se ne vanno al secondo piano a farsi spompinare! Potrebbero almeno andarci a turno! Salimmo al secondo piano. Vai a dare unocchiata nella dark, mi disse Jean-Pierre, io vado a vedere in bagno. Allingresso del secondo piano ci separammo. Io mi avventurai nella darkroom, cercando di tenermi alla larga da quella massa umana dalle mille mani rapaci. Ci sono per caso il guardarobiere o il barman? ripetei varie volte a voce altissima. Nessuna risposta, a parte rumori ripugnanti tipo un cigolare di catene e il cic-ciac di quelli che si inculavano. Raggiunsi Jean-Pierre in bagno. Lo trovai in piedi, appoggiato alla parete. Aveva un coltello da cucina in mano e gli avambracci che grondavano sangue. Le ginoc-

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chia gli tremavano, stava per svenire. Senza pensarci troppo gli diedi uno schiaffo. Lui si riprese cos in fretta che me lo restitu subito, insudiciandomi la faccia di sangue. Il barman era seduto sul water, con i pantaloni calati e la testa rovesciata allindietro. Da unampia ferita che gli solcava la gola sgorgava una marea di sangue che ricadeva a fiotti nella tazza tra le sue gambe. Non avrei mai creduto che un barman potesse contenere tanta emoglobina. Sentii la vista che mi si annebbiava; stavolta fu Jean-Pierre a soccorrermi: mi prese per le ascelle, mi trascin fino al lavandino e mi mise la testa sotto il getto di acqua fredda. In quel momento entr la checca islandese che si mise a gridare come unossessa. JeanPierre cerc di calmarla, ma riusc solo a macchiarle la camicia di sangue. Lei, in ginocchio, supplicava: Abbiate piet, vi prego! Sono padre di famiglia! Attirate da quella sarabanda, vennero a unirsi alla festa anche le checche che stavano nella darkroom. Urlavano e inalavano popper. La cosa che le spaventava di pi non era la vista del barman trucidato, bens noi due, perch era chiaro che ci avevano scambiato per assassini. Una di loro prese il coltello e lo avvolse nel suo foulard di seta per non cancellare le impronte digitali; i masochisti misero a disposizione le loro catene per legarci, anche se nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi troppo a noi. Non siamo stati noi, balbett Jean-Pierre senza perdere la calma. Se ci credete colpevoli, chiudeteci nella darkroom e aspettate che arrivi polizia.

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Non vedete lora di levarvi di torno, vero? grid qualcuno. Anche voi, mi pare, rispose Jean-Pierre. Tenga a freno la lingua, signore! Non dimentichi che rischia di finire sulla ghigliottina! La checca islandese diede a intendere di essere stata testimone oculare del delitto; giurava e spergiurava di essere stata minacciata da Jean-Pierre con il coltello. Ci spinsero verso la darkroom con la punta delle dita. Le pi cattive ci sputarono addosso mentre passavamo, ma ci fu anche una buona samaritana che and al bar a prenderci due birre prima che ci rinchiudessero. Il problema era riuscire ad avvertire la polizia senza mettere in allarme i vicini; i fili del telefono erano stati tagliati, la porta dingresso era sprangata e lunica finestra, che si trovava proprio nella darkroom, era al secondo piano. Ci intimarono di non cercare di avvertire i vicini se non volevamo peggiorare la nostra situazione. Ma noi avevamo pi paura dei vicini che della polizia. Pensavamo, non a torto, che un qualsiasi ragazzino munito di Kodak avrebbe potuto fare fortuna immortalando quella danza macabra. Notammo che la porta della darkroom si apriva verso lesterno e che la serratura era tenuta insieme da ununica vite traballante. Jean-Pierre, che era abbastanza robusto, avrebbe potuto, al momento buono, farla saltare con una spallata. Aprimmo le imposte della finestra e la luce della luna inond la stanza in cui fino ad allora aveva sempre regnato il buio pesto. Era un cubo di circa cinque metri di lato. Sul pavimento luccicante

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di sborra cerano bottiglie di birra, un dildo, un impermeabile. Chiss cos che li fa eiaculare tanto? si chiese Jean-Pierre ad alta voce. Perch hai preso in mano il coltello? Non lo so, stato un gesto istintivo. Aveva il coltello piantato nel petto; forse ho pensato che gli avrebbe dato sollievo o che, magari, lo avrebbe riportato in vita. Un istinto da intellettuale! Voglio vedere come lo spiegherai alla polizia! Secondo te, lha chiusa lassassino la porta dingresso? Impossibile. Siamo stati i primi ad accorgerci che eravamo prigionieri. Quando abbiamo deciso di uscire, il barman era ancora dietro al bancone? Certo, abbiamo pagato a lui. Quanto tempo siamo rimasti gi? Il tempo di farci uno spinello parlando di Virginia Woolf. Non meno di quattro minuti! Lassassino ha avuto tutto il tempo di commettere il delitto. Ma ha fatto un tale macello che avrebbe dovuto essere coperto di sangue dalla testa ai piedi. Jean-Pierre and a prendere limpermeabile rimasto per terra e lo guard alla luce della luna che filtrava dalla finestra. Era inzuppato di sangue. Lassassino doveva essere per forza uno di quelli che stavano nella darkroom quando abbiamo scoperto il corpo. Li passammo mentalmente in rassegna

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uno per uno. Non riuscivamo proprio a immaginare che tra quegli esseri senza qualit, che avevano il coraggio di esprimersi liberamente solo alle quattro del mattino, travestiti e nelloscurit pi totale, si nascondesse un assassino. Un assassino deve avere sangue freddo! E nervi dacciaio! Ma perch non scappato? Che domande! Ha trovato la porta chiusa. E allora chi ha chiuso la porta? Il guardarobiere. Qui dentro non c da nessuna parte, probabilmente se n andato prima che venisse commesso il delitto. molto probabile che tra i due fatti non ci sia nessun rapporto. Lidea di un gruppo di checche chiuse a chiave in una discoteca aveva tutta laria di una burla, ma il delitto era un delitto vero, un delitto atroce. Secondo me stata la vecchia islandese, disse Jean-Pierre con aria di mistero mentre si accendeva una sigaretta. Ma lunica ad avere un alibi. Non dimenticare che quando siamo rientrati nella discoteca era seduta al bancone del bar; siamo stati noi a dirle che la porta era chiusa a chiave. Appunto, altrimenti se ne sarebbe andata tranquillamente! E avrebbe ucciso il barman mentre noi stavamo chiacchierando allingresso? Il delitto stato commesso in pochissimo tempo. La checca islandese deve averlo seguito quando salito al secondo pia-

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no per fare i suoi bisogni, nel preciso istante in cui noi ce ne siamo andati. Era seduto con i pantaloni abbassati, completamente indifeso. Lislandese lo sgozza senza difficolt e poi gli pianta il coltello nel petto. Lascia limpermeabile nella dark, si lava le mani e torna al bar dove labbiamo trovata. Poi risalita e ci ha trovato in bagno accanto al cadavere! uno squilibrato, ma ha ideato un piano diabolico. Uno di quegli emarginati convinti che gli omosessuali siano lincarnazione del demonio. Ma perch il barman? Di tutti noi era lunico a non avere proprio niente di diabolico, era solo un barman. Ma forse non era un barman come gli altri. Lo conoscevi da molto tempo? Da parecchio, ma solo di vista. Se non sbaglio, ventanni fa lavorava alla Pergola. Ma era una persona discreta, a stento salutava. Io lo conoscevo bene, mormor Jean-Pierre. Rimasi sorpreso dalla sua dichiarazione. Jean-Pierre era seduto sul davanzale della finestra; teneva la sigaretta fra le labbra ma non aspirava. Nella luce della luna il fumo sembrava immobile. Cera una calma irreale. Forse stavo solo sognando. Jean-Pierre, non che voglio dire, non che per caso hai perso la testa e e lhai UCCISO? No, disse Jean-Pierre, ma avrei dovuto. Avrei dovuto ucciderlo un sacco di tempo fa.

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Il tono con cui me lo disse mi fece correre un brivido lungo la schiena. In una discoteca come questa, continu, tutti i clienti hanno qualcosa da nascondere, basta capire cosa. Jean-Pierre, mi dispiace di aver pensato che voglio dire Non ti preoccupare, tagli corto. Io stesso, per una frazione di secondo, ho creduto di essere un assassino. Non puoi capire fino a che punto si pu odiare un ricattatore. Stasera avevo appuntamento con lui, pretendeva che gli consegnassi un somma di denaro che era decisamente al di sopra delle mie possibilit, a meno di non sbarazzarmi della casa editrice. Gli ho chiesto una proroga di una settimana, giusto il tempo per ottenere un prestito in banca, ma lui stato inflessibile. Domani avrebbe reso pubblici certi documenti che mi riguardano, documenti che mi avrebbero screditato agli occhi di tutti. Quelle parole stuzzicarono la mia curiosit. Jean-Pierre, ti giuro che non lo dir mai a nessuno, ma coshai da nascondere di tanto importante? Ho ucciso un uomo. Azzardai: Chi era? Un barman. Mi chiesi se fosse uno scherzo. Quanti barman hai ucciso in vita tua? Uno solo. Avevo quindici anni.

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Sentii un tale turbamento nella sua voce che ebbi limpressione di aver risvegliato con le mie domande un grande dolore sopito, cos preferii non aggiungere altro. Da dietro la porta ci giunsero delle grida. Ci precipitammo a guardare, io dal buco della serratura, e Jean-Pierre, che pi alto, dalla feritoia che si apriva nella porta. I bagni si trovavano proprio di fronte alla darkroom e davano sullo stesso pianerottolo in cima alle scale. Quattro checche a torso nudo ne trascinavano unaltra per i piedi. Quella si dibatteva con tutte le sue forze, nonostante le catene che le tenevano stretti polsi e caviglie. Era lislandese! Lhanno capito da soli che era lui lassassino Dobbiamo fermarli! esclam Jean-Pierre. Gli impedii di buttare gi la porta. Speriamo piuttosto che si dimentichino di noi! Lislandese venne sgozzato in quattro e quattrotto e gettato nel bagno accanto al barman, dove non potevamo vederlo. Mi sentii mancare, e corsi alla finestra per prendere una boccata daria. Due grosse auto nere stavano parcheggiando contemporaneamente lungo la strada. Da ognuna uscirono quattro uomini. Jean-Pierre, arrivata la polizia! Non possibile, i poliziotti non indossano maschere! E che maschere! Erano fatte con piume di tutti i colori. Sembra una compagnia di musical. Ma chi sono?

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Forse solo una comitiva che ha voglia di fare baldoria e non ha trovato altri locali aperti a questora a Parigi. Ma come mai hanno la chiave?. Te lavevo detto che non cera nessun rapporto fra la porta chiusa e lomicidio del barman. Non possibile! Lo scopriremo presto! Tornammo alla porta della darkroom per vedere cosa stava succedendo nei bagni. Gli assassini dellislandese si erano inginocchiati e pregavano. Una setta? In quel momento il crepitio di una mitragliatrice li fece sobbalzare. E fece sobbalzare anche noi. Ebbimo tutti la stessa reazione: ci stringemmo luno allaltro. Due donne nude con maschere di piume sulla faccia (due indiane?) e in pugno delle mitragliatrici leggere fecero irruzione nei bagni. Per la liberazione delle lesbiche cubane! grid una delle due mentre laltra apriva il fuoco sulle checche inginocchiate, che caddero le une sulle altre come tante bambole. Fortunatamente per noi le lesbiche cubane non immaginarono che dietro la porta chiusa ci fosse una darkroom, probabilmente pensarono si trattasse di uno sgabuzzino. Andammo alla finestra e le vedemmo uscire dalla discoteca con indosso gli impermeabili e le maschere di piume. Dal modo in cui aprirono e chiusero le portiere ci sembr che avessero movenze tipicamente femminili. Le due macchine partirono

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a tutta velocit. Nelledificio di fronte qualche finestra si illumin. Jean-Pierre si gett con tutto il suo peso contro la porta, che non oppose alcuna resistenza, tanto che lui si ritrov a terra sulla porta scardinata. Lanci un grido di dolore: si era lussato il mignolo della mano sinistra. Scendemmo di corsa le scale. Al primo piano trovammo altri sette ex clienti della discoteca sparsi tra i tavoli e la pista da ballo, un altro cadavere sbarrava le scale dellingresso. Lo scavalcammo. La porta era spalancata. Risalimmo rue Pigalle. Albeggiava. Nella zona lunico bar aperto era La Nuit. Alcuni travestiti del terzo mondo chiacchieravano con i loro magnaccia. Ci sedemmo a un tavolino in fondo alla sala e ordinammo una bottiglia di Veuve-Clicquot, come vedemmo fare dagli altri. Donne? Lesbiche cubane! Considerata la loro situazione, si capiva che fossero fanatiche, ma di l a prendersela con una discoteca gay di Pigalle non aveva senso. Niente in tutta quella storia sembrava rispondere a una logica. Potevi rigirarla come volevi, ma il puzzle restava sempre incompleto. Durante il primo atto avevamo chiacchierato vicino al guardaroba, durante il secondo avevamo discusso nella darkroom. In fondo, non avevamo la pi pallida idea di cosa ci fosse sotto veramente! Jean-Pierre and a telefonare a France Soir dove aveva dei contatti. Torn al tavolo con un sorriso a trentadue denti.

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Nessuno ci capisce niente. Attribuiscono tutti i delitti alle lesbiche, anche lomicidio del barman e quello dellislandese. Ma loro chi sono? Quanto a questo, abbiamo veramente preso un abbaglio: sono dei travestiti! E perch militano nelle file delle lesbiche? Beh, ovvio, se consideri la cosa dal punto di vista cubano. Vorrebbero che tutti gli omosessuali si facessero evirare. See, una parola! Ci vorrebbe Dio in persona!... In effetti. Chiss da chi sono manovrati! E le quattro checche che hanno ucciso lislandese sotto i nostri occhi, anche loro erano delle fanatiche? Una guerra tra uomini, come al solito. Una guerra tribale. E il barman? Chi ha ucciso il barman? Jean-Pierre intinse il cornetto nella sua coppa di champagne, tenendo sollevato il mignolo lussato. Ho dovuto scegliere tra lui e la casa editrice. Accendemmo un ultimo spinello. E limpermeabile macchiato di sangue? Lavevo lasciato l allinizio della serata. Quindi un crimine premeditato! E sei stato tu a chiudere la porta dingresso? No. Deve essere stato il guardarobiere. Ma perch? Non lo so. Forse era daccordo con le lesbiche cubane.

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Non credo a una sola parola della tua storia. Jean-Pierre, sei sicuro di aver ucciso tu il barman? Arross. Non ti sembra una buona idea per un racconto? Non contare su di me! Sono tuo complice! Non voglio finire i miei giorni a Clairvaux! Pensa ai capolavori che potremmo scrivere in prigione! In place Pigalle La Nuit stava chiudendo, e come sempre la vecchia zingara vendeva le sue rose. Jean-Pierre mi regal una rosa rossa, io gliene regalai una bianca. C unaria troppo bella per andare a dormire. Se ce ne andassimo a passare la mattinata alla Piscine Deligny? Si rimorchia? Bisogna alzarsi presto per rimorchiare i figli dei morti ammazzati del giorno prima. Chi lha detto, Fassbinder? No, Khomeini. Sei insopportabile quando fai lintellettuale, Jean-Pierre. Noleggeremo dei costumi da bagno. Attraversammo Parigi diretti verso la Senna, lasciando strascicare per terra i giubbotti di pelle, ognuno con la sua rosa dietro lorecchio. Luglio 1983 (Traduzione dal francese di Lorenza Di Lella)

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Eredi di Copi, per gentile concessione di Raul Schenardi L'autore Ral Damonte Botana, in arte Copi, nacque a Buenos Aires nel 1939 e mor nel 1987 a Parigi, dove risiedeva dal 1962, vittima dellAids. Nipote di un magnate della stampa argentina e di una eccentrica femminista, figlio di un uomo politico costretto allesilio per le sue posizioni antiperoniste, trascorse gran parte dellinfanzia in Uruguay, rivelando gi da adolescente un notevole talento per il disegno e la caricatura. Stabilitosi a Parigi, cominci a pubblicare le celebri strisce della Femme assise sul Nouvel Observateur (riprese in Italia da Linus) e partecip inizialmente alle attivit del Teatro Pnico di Jodorowsky, Arrabal e Topor. Il teatro a cui si dedic per tutta la vita in veste sia di drammaturgo che di attore en travesti e il fumetto sono forse i versanti pi noti in Italia della poliedrica attivit di questo artista, che scelse la lingua francese per la maggior parte delle sue opere. Una raccolta di undici pices stata curata da Franco Quadri (Teatro, Ubulibri, 1988 e 2004), e anche da noi Copi uno degli autori pi amati dai gruppi davanguardia. Nel fumetto, dopo la Femme assise vennero altre raccolte, fra cui Les vieilles putes, pubblicata anche in Italia (Storie puttanesche, Mondadori, 1979). Rimane invece pressoch sconosciuta da noi la sua opera narrativa, che consta di sei romanzi e due raccolte di racconti: solo LInternationale argentine e Le bal des folles sono sta-

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ti editi alla fine degli anni Settanta, poi sceso inspiegabilmente il silenzio. Di recente in Spagna Anagrama li ha pubblicati tutti riunendoli in due volumi (oltre ai due gi citati, Luruguayen, La cit de rats, La guerre des pds e La vie est un tango, e i racconti di Une langouste pour deux e Virginia Woolf a encore frapp), e in Argentina lapprezzamento da parte della critica e dei lettori non fa che crescere. Il racconto che presentiamo ai lettori di alfabeta2, pubblicato originariamente nel 1983, emblematico della narrativa di Copi, oltre che un esempio fedele della sua poetica: lautobiografismo esasperato, stravolto e autoironico, lambientazione nel mondo gay parigino, limpronta ludica e grottesca, la vertiginosa trasformazione delle situazioni e dei personaggi, la leggerezza, la velocit e quella meravigliosa continuit che per Csar Aira sono state una rivelazione e una grande influenza, forse la pi grande di tutte. Spesso Copi stato definito un autore inclassificabile: un traguardo invidiabile per un artista che metteva la libert anche quella creativa al di sopra di tutto, il che lo rende estremamente attuale e necessario al giorno doggi.
Raul Schenardi

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Claude Simon

Le Georgiche

a cura di Domenico Pinto, traduzione e postfazione di Emilia Surmonte, Lavieri Arno, 2013, 380 pp., 25,00

Claude Simon nasceva giusto cento anni fa. Come Vittorio Sereni, e un anno dopo Giorgio Caproni. Per parlare brevemente della bellissima e opportuna traduzione delle Georgiche di Claude Simon, curate da Domenico Pinto e tradotte e introdotte da Emilia Surmonte, forse opportuno partire da qui, cio da un confronto tra lautore francese, Premio Nobel per la letteratura nel 1985, che partecip alla seconda guerra mondiale, fu fatto prigioniero dai nemici (i tedeschi, nel suo caso) e infine entr nella resistenza (come Samuel Beckett), chi and in guerra e fu fatto prigioniero dagli alleati (Sereni) e chi, dopo una

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breve esperienza militare, prese invece la strada della colline partigiane (Caproni). La ragione di questo parallelo semplice: ricordare che lesperienza della guerra combattuta nel proprio territorio e dentro le proprie coordinate culturali (cio: non solo vista in televisione; non solo letta attraverso i giornali) ha costituito lorizzonte permanente della letteratura europea del secondo Novecento. Si tratta di un tema delicato e al tempo stesso fondativo di quella che si ama dire la nostra identit collettiva, che ha trovato forma e resistenza in particolare attraverso la letteratura, che ha poi contaminato limmaginario cinematografico, visivo e musicale degli ultimi decenni. In questo suo straordinario romanzo Simon sigla lintera esperienza della modernit europea sotto il segno della guerra, incrociando le storie di tre personaggi: un ufficiale della rivoluzione francese che attraversa il continente durante le lunghe campagne napoleoniche; un anonimo inglese (ma si tratta di una trascrizione dellesperienza di George Orwell) che va a combattere in Spagna durante la terribile guerra civile; un discendente dellufficiale francese che, accolta la paradossale eredit dellavo napoleonico eredit di distruzione familiare , si trova a percorrere in fuga quella Strada delle Fiandre che port le truppe della Germania nazista a installarsi nel cuore della Francia. Le tre storie non sono solo apparentate dal generico radicamento bellico. Non si tratta cio di un fatto tematico, come chi dicesse che Le Georgiche parlano della guerra. No. Le tre

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storie sono presentate come tre declinazioni di una stessa storia, che la forma della guerra, e cio il suo radicamento soggettivo a partire dalla percezione, ossia dalla partecipazione corporea dellindividuo. Lo illustra bene una preziosa nota della traduttrice, dov spiegato che cifra caratteristica dello stile di questo romanzo luso del participio presente (reso in italiano con il gerundio). unosservazione illuminante, innanzitutto per chi ha nelle orecchie le cadenze della scrittura partigiana di Fenoglio (inscritto anche lui nello stesso orizzonte), nella quale gli studiosi hanno sottolineato la probabile influenza della forma verbale in -ing dellinglese: come nello scrittore di Alba, anche nellautore francese il participio presente, cio la forma continua e impersonale (infinita, si dice in grammatica), serve per rendere la processualit percettiva e fusionale dellevento bellico: e cio il fatto che la guerra non pu essere raccontata come evento terminato, ma pu essere restituita solo come evento in corso. Di questo scorrimento dellevento Claude Simon ha fatto la sua grande ossessione, stringendo tutta la civilt occidentale in una grande sequenza in scorrimento permanente (appunto: un orizzonte), che per limitarci a due soli titoli risale dalla Strada delle Fiandre (con cui la seconda guerra mondiale giunse al suo culmine nel continente europeo) alla Battaglia di Farsalo (con cui, di fatto, nacque lImpero romano). Scorrimento, ho scritto. E in effetti impressionante come la profonda cultura figurativa dellautore (ne ha scritto da

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noi Alberto Casadei in Romanzi di Finisterre, Carocci, 2000), che qui assume un ruolo decisivo nel quadro descrittivo con cui quasi enigmaticamente si apre la narrazione, non venga piegata allinquadramento naturalistico di uno spazio, ma al contrario si apra, prospettando al lettore un campo di forze. Nella bellissima sequenza iniziale, infatti, le due figure maschili che introducono alla questione delleredit, del lascito che lEuropa giacobina ha trasmesso allEuropa del Novecento sono circoscritte da due muri, che si limitano a formare un angolo dentro il quale i due corpi risultano incassati: come in geometria descrittiva scrive Simon si conviene che due rette implicano e non rappresentano lesistenza di un piano, cos per i due muri, che implicano un piano di coappartenenza, ma non lo rappresentano. L, colti nellangolo della prospettiva, i fatti si mobilitano in eventi: la sequenza pacificante della cronologia si muove nella partecipazione convissuta del participio presente. Le Georgiche di Claude Simon, finalmente pubblicate in italiano un anno prima del centenario della prima guerra mondiale, ci restituiscono questo scorrimento al presente, questa attualit della guerra che nuovamente ogni volta riaggalla: questo orizzonte permanente che circoscrive la nostra stessa identit di europei. Giancarlo Alfano

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Jos Donoso

Il luogo senza confini

a cura di Francesca Lazzarato. Sur, 2013, 149 pp., 14,00

Secondo romanzo dello scrittore cileno Jos Donoso (1925-1996), Il luogo senza confini torna oggi in libreria per i tipi delle Edizioni Sur e le cure di Francesca Lazzarato che ha ripristinato, dove manchevole, una pi coerente testualit rispetto alla precedente versione di Gianni Guadalupi e Marcello Ravoni (Bompiani, 1972). Sorta di aperu tematico nato da una costola dellenorme mole di materiale accumulata durante la stesura de El osceno pjaro de la noche (pubblicato solo nel 70), El lugar sin limites (uscito invece gi nel 66) traduce, in una perfetta circolarit iperreale e trasfigurata, ossessioni e fantasmi di unimmaginazione creativa consumata dal dubbio e martoriata da unulcera psicosomatica che solo la pubblicazione dellOsceno uccello avrebbe placata. Rispetto al romanzo principale (il pi noto di Donoso tradotto dalla stessa Bompiani nel 73 sebbene nel 78 gli sia seguito un capolavoro come Casa di campagna, riproposto in italiano, nel 2009, da Cavallo di Ferro), Il luogo senza confini imbriglia i demoni privati dello scrittore nellarco temporale di una sola giornata grazie al ricorso insistente allallegoria delle situazioni e, insieme, allesplicitezza del dettato. Come in una tragedia classica, la scena principale si svolge tutta fra le strade polverose e abbandonate di uno sperduto paesino cileno, El Olivo, feudo privato di don Alejandro e

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dei suoi quattro cani neri, che tutto sorvegliano e ogni palmo perlustrano, incessantemente alla ricerca delle tracce di unapocalisse imminente che fiutano nellaria e sui panni degli abitanti del villaggio. E lapocalisse ha un nome e una fisionomia ben precisi: quelli di Pancho Vega, epitome delluomo primordiale, un groviglio di brutalit e sensualit che tiene in scacco il cuore di Manuela, il travestito che, insieme alla figlia diciottenne Giapponesina, gestisce il bordello locale. Ed proprio tratteggiando il profilo di Manuela, dando corpo di voce ai suoi sfilacciati monologhi interiori, ai suoi pensieri e ai suoi desideri, che Pepe Donoso affronta, per la prima volta in maniera esplicita, il tema dellambiguit sessuale, della confusione dei generi, della lotta aperta tra pulsioni inconsce e censure (come, dieci anni prima, il Guimares Rosa del Grande Serto). E lo fa calandosi in unatmosfera dinferno quotidiano perch, come recita lepigrafe dal Faust marlowiano, linferno non ha confini, n viene circoscritto / a un solo posto, perch linferno / qui dove siamo / e qui dov linferno dobbiamo rimanere. Cos, in questo aperto confronto con lEdipo, il sadomasochismo e il senso di colpa che affligge luomo che provi un misto di attrazione e repulsione per la sorte che gli toccata, Il luogo senza confini diventa la formula algebrica in cui si risolve la contraddizione di un inferno imprescindibile dalla nostra presenza; un inferno profondo i cui muri sono tremuli, labili, spesso solo un riverbero dei molti specchi interio-

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ri che si frantumano, vanno in mille pezzi lasciandoci brancolare nel vuoto, minacciati dal disordine e dalla morte. Per questa forza e la sua violenta coerenza, a un passo dal tracollo, il romanzo di Donoso resta fra quei libri che come si legge in una lettera a lui indirizzata da Julio Cortzar sono i soli che valga la pena di leggere: quelli che avanzano verso lesterno, per cos dire, iniettandoci nel sangue e nei sensi una nuova, pi ricca e a volte pi orribile maniera di intendere lenorme assurdit in cui ci muoviamo. Stefano Gallerani
douard Glissant

La Lzarde

traduzione di Geraldina Colotti e Marie-Jos Hoyet, introduzione di Claudio Magris, postfazione di Cristina Brambilla. Jaca Book, 2013, 250 pp., 16,00

La Lzarde, uscito in Francia nel 1958 e salutato dal successo del Premio Renaudot, il primo romanzo di douard Glissant. Esce ora in Italia con unintroduzione di Claudio Magris e una postfazione di Cristina Brambilla, entrambe preziose per capire, di Glissant, la coesistenza tra una lingua letteraria piena di diversioni, di preziosit difensive, quasi una ricerca barocca della totalit, con una nitidezza cos aperta e franca da poter abbacinare. Alluscita del romanzo Glissant,

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nato nellisola della Martinica nel 1928, era a Parigi da dodici anni, coinvolto nella lotta intellettuale della generazione della ngritude e sulla via per superare la ricerca identitaria postcoloniale con la scoperta della creolit: il rumore delle presenze, delle forze, degli odori della libert in quel suo mare caraibico che non sarebbe mai stato nostro, n di nessuno, perch inesplorabile e avvolgente come lo ogni alterit; un mare che sembrava fatto, insomma, per aprire, per ramificare e disseminare. E il rumore, poi, di un grande fiume, la Lzarde del titolo: il suo corso non ha ritorno, e attraversa la storia degli uomini in anse indecise, grumi di detriti, fabbriche di rum, morgane e foreste, fino a perdersi in un delta trascolorato. Il mare il narrabile, il fiume il narrato: i due tipi di inquietudine fanno pensare lo scrive Magris a Faulkner; e forse, di rimando, anche alla grande perennit che Pavese si ostinava a cercare con locchio fisso nelle sue colline, calme nellattraversamento del dolore. Ora, il narratore di Glissant un bambino che sente di crescere insieme alla propria storia; ognuno dei suoi personaggi per conto proprio un ulisside in cammino senza bussola, senza unidea prefigurata di paesaggio. C un tempo da cambiare, e per cambiarlo si soffrir. C un atto politico da compiere: uccidere un rinnegato, un fantoccio del governo che spadroneggia e opprime. Ci sono tracce continue di leggenda che tuttavia non richiamano, come si potrebbe immaginare, il passato: rispondono, al contrario, a una parte inesplorata dellavvenire, co-

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me i sogni per i surrealisti, come i paradisi perduti di SaintJohn Perse o i ricordi brasiliani di Ungaretti. Sono grandi sedimenti di immagini, che lazione di una natura opaca, scurita dal ritorno della notte, rintraccia sotto le superfici lisce, a specchio. Leggende nelle quali un uomo si guarda, si cerca: nessun altro pu confutarle o smentirle, perch la loro voce si fonde, irrimediabilmente, a ogni rivendicazione di verit. Cos, quando il gruppo di giovani rivoluzionari affida la missione di uccidere a un compagno che nessuno conosce, Thal il montanaro che agisce distinto, chiuso nel brulicare fantastico delle sue leggende , nessuno pu prevedere che proprio la casa del rinnegato, delluomo da fare fuori, includa in s la sorgente della Lzarde. Cos lignoto, in quel punto, chiama lignoto. Il fiume inizia la sua canzone caotica e selvaggia, che affianca e sorveglia ognuno dei destini. Ecco che cos dunque, per Glissant, la storia. Man mano che quel fiume e quel racconto si scavano la via, le parole vanno alla ricerca di una loro forza precisa, e di un nuovo riflesso continuamente cangiante, per addentrarsi in ciascuno dei nodi: nellopacit che si trova ancora, per fortuna, nel fondo dello specchio. Stefano Colangelo

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John Berger

Contro i nuovi tiranni

a cura di Maria Nadotti. Neri Pozza, 2013, 249 pp., 14,90

Quanto mai opportuna unantologia come questa a cura di Maria Nadotti, per presentare soprattutto ai pi giovani una figura poliedrica di scrittore e intellettuale fra le pi interessanti del nostro tempo. Berger scrive con altrettanta acutezza di arte, politica, letteratura e attualit; e lo fa con lo sguardo dellartista, la parola del narratore e limpegno del testimone. I materiali raccolti nel volume soprattutto saggi ma anche stralci da romanzi, poesie, lettere, diari, resoconti di inchieste, appelli militanti ecc. coprono un arco di sessantanni, dal 1958 al 2012. Non sono presentati in ordine cronologico n tematico, ma secondo un ordito che rivela via via la straordinaria vivacit e tenuta di questo autore che ancora oggi, a quasi novantanni, ha voglia di scrivere, viaggiare, testimoniare, inviarci i suoi messaggi dal mondo. Quando nel 1972, dopo lassegnazione del Booker Prize al romanzo G., Berger decise di trasferirsi in un villaggio di contadini dellAlta Savoia, dove vive tuttora, volle esprimere il rifiuto dellestablishment letterario inglese, nei confronti del quale era stato comunque sempre un outsider. A Quincy, Berger comincia a fare il contadino, a occuparsi di fienagioni, di api e vitelli, ma continuando a scrivere, a disegnare, a partecipare a suo modo alle vicende del mondo. Stanno a testimoniarlo le visite, in anni recenti, a due paesi difficili

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e quanto mai emblematici dei conflitti nel mondo contemporaneo: nel 2003 si recato in Palestina, a Ramallah e nei territori occupati, dove ha tenuto insieme ad artisti palestinesi un workshop sulla narrazione; e nel 2008, a ottantun anni, andato in Chiapas a incontrare il subcomandante Marcos, il mitico rivoluzionario messicano. Il bel saggio Appunti su un ritratto nella selva riferisce di questo incontro, ci offre questo ritratto: Dietro il passamontagna, sotto il grande naso, una bocca e una laringe che dallabisso parlano di speranza. Ho disegnato quello che ho potuto. E cos Berger pu anche ricostruire con rapidi tratti il contesto sociale, culturale ed economico dello zapatismo. In un altro saggio, Un luogo in lacrime, si legge: Gaza, la pi grande prigione della terra, trasformata in mattatoio. La parola striscia fradicia di sangue, come sessantacinque anni fa successe alla parola ghetto. Questa apertura al mondo, il coinvolgimento in prima persona, coerentemente con i principi e gli ideali professati, da sempre informano la scrittura di Berger. Instancabile nellindagare e tratteggiare la nuova topografia del male, nelle sue forme occulte come nella fisionomia ingannevole dei nuovi tiranni di tutte le latitudini, in abiti impeccabili e rassicuranti, impegnati a prendere decisioni pur senza sapere niente di niente sullessenza delle cose. La stessa sensibilit lo porta a occuparsi con grande anticipo di temi oggi pervasivi come lemigrazione, in un libro sui lavoratori migranti in Europa del 1975, Il settimo uomo; oppure a riflettere

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sulluso spregiudicato da parte della stampa delle fotografie dagonia durante la guerra in Vietnam. Chiude il volume il testo del discorso con cui Berger, in quel 72 accett s il Booker Prize, ma attaccando senza quartiere, nelloccasione, i Booker McConnell che potevano farsi protettori delle arti coi proventi dello sfruttamento della canna da zucchero nella Guyana britannica. Tutto da leggere. Paola Splendore
Teju Cole

Citt aperta

traduzione di Gioia Guerzoni. Einaudi, 2013, 270 pp., 17,50

Come un sofisticato Pollicino della letteratura, Teju Cole dissemina nel suo romanzo desordio Citt aperta, a mo di luccicanti pietruzze bianche, diversi indizi, piccole frasi o riferimenti che aiutano il lettore a orientarsi in questo testo denso e affascinante, dove racconti e citazioni, riflessioni e rimandi si susseguono ininterrotti. Tanto pi utile dunque che, in una delle primissime pagine del libro, lio narrante spieghi di avere appreso da un docente molto amato labilit di costruire una storia partendo dalle omissioni. A parlare il protagonista del romanzo, Julius, specializzando in psichiatria, figlio di padre nigeriano e di madre tedesca, trapiantato da anni a New York e appassionato flneur,

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che rievoca quello che gli accaduto negli ultimi mesi (il libro ambientato fra il 2006 e il 2007): le lunghe passeggiate per Manhattan, la ricerca quasi volutamente vana della nonna materna a Bruxelles, il ritorno a New York. Ma potrebbe benissimo essere Teju Cole, nigeriano statunitense, fotografo e storico dellarte, esperto di pittura olandese del XVI secolo, che proprio intorno alle ellissi e alle omissioni fonda il suo libro. Lo stesso Julius non viene mai mostrato in piena luce, dal momento che sembra dire lo scrittore a dispetto dei nostri sforzi nessuno riesce a conoscersi per intero (a un certo livello ciascuno di noi [] deve immaginare che lo spazio della sua mente [] non pu essergli interamente opaco osserva il personaggio, sottintendendo lillusoriet di questa idea). E sulle assenze del nostro presente, su quello che non vediamo (taciuto o dimenticato) e che tuttavia continua a proiettare la sua ombra su di noi, punta Cole il suo radar. Sono ovviamente, nellAmerica degli anni Zero, gli spettri delle Twin Towers e del conflitto iracheno, lontano e gi pronto a essere sostituito da nuovi scenari di guerra; ma sono anche, per lafricano Cole, le tracce di stermini antichi e recenti (il cimitero degli schiavi i cui resti riaffiorano a pochi passi dai grattacieli di Wall Street, i ragazzi ruandesi che ballano in un locale di Bruxelles e appaiono sereni a dispetto del genocidio alle loro spalle), o semplicemente la scoperta tardiva della morte di una vicina, proprio al di l della parete di casa.

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Non ti accorgi mai dellossigeno finch non finisce, dice a Julius uno dei tanti messaggeri di vita, se non di verit, che luomo incontra lungo i suoi percorsi. Molti gli raccontano storie, alcuni gli scaraventano addosso ossessioni e aggressivit, con altri (in particolare il marocchino Farouq, dotto e disilluso impiegato di un internet caf belga) intavola discussioni di politica e filosofia alla luce delle comuni letture, da Foucault a Serres a Chomsky. , questo, uno dei rari libri contemporanei, dove la teoria critica e letteraria non sia oggetto di satira o pretesto per sfoggiare la cultura dellautore, ma faccia parte del contesto di una persona, ha scritto sul New Yorker James Wood, fra i pi convinti sostenitori di un libro che ha avuto notevole successo negli Stati Uniti e nei vari paesi in cui stato tradotto, e che stato paragonato con insistenza a Austerlitz di Sebald, sicuro modello di Cole. E tuttavia laccostamento, per quanto fondato, non mette in risalto forse lelemento pi interessante del romanzo: la sua tecnica agglutinante, che giustappone i materiali e solo poco alla volta lascia intravedere un tessuto coerente. Autore di tweets fulminanti e sarcastici, Cole ha dichiarato di avere costruito Open City per un lettore lento, pronto a riprendere in mano il libro appena finito, per cogliere gli indizi sfuggiti nella prima lettura. Segnale, se non altro, di una sicurezza di s che pochi scrittori hanno di questi tempi. Maria Teresa Carbone

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Jan Peter Bremer

Linvestitore americano

traduzione di Marco Federici Solari. Lorma, 2013, 144 pp., 15,00

Bentornato, inetto. Viene da salutarlo cos, il primo libro (dei tanti) di Bremer tradotto (bene) in italiano da Lorma. Personaggio del tutto sconosciuto ai pi (il mondo letterario tedesco contemporaneo presenta, per il lettore italofono, non falle, ma vere e proprie voragini), il berlinese Bremer, classe 65 e una capigliatura afro piuttosto interessante in un bianco caucasico biondo, ha al suo attivo parecchi romanzi, per adulti e ragazzi. Se si cercano notizie su di lui, facile che saltino fuori i nomi di Kafka e Walser. Scusate se poco, verrebbe da dire. Questo Investitore, smilzo al punto giusto, il monologo di uno scrittore in pieno blocco creativo, affettivo, esistenziale, percettivo. Uso la parola monologo in senso forse improprio, perch il libro ufficialmente narrato in terza, ma lingombranza e la multiformit del personaggio-inetto occupano ogni interstizio dello spazio del racconto. La situazione questa: il protagonista (scrittore, appunto, non percipiente reddito) vive con la moglie (che lo mantiene) e due figli in un grande appartamento allinterno di un caseggiato degli anni Quaranta segnato dallusura. Tale caseggiato viene acquistato da un grande investitore americano che vuole ristrutturarlo e renderlo pi redditizio. E qui cominciano i guai. I lavori al piano di sotto mettono

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in luce danni strutturali alledificio, il pavimento dellappartamento si crepa e comincia lentamente a sprofondare. La nuova amministrazione cerca di convincerli ad andarsene. Point blank. Da qui sar un crescendo assoluto di paranoia. Le crepe nei muri si rivelano ben presto abissi dellanima che generano un flusso di pedante e angosciosa riflessione (o meglio logorrea) sul fallimento. Il binomio quello classico, in fondo: non riesco pi a scrivere e mia moglie non mi ama. Ma le forme dello sgorgo sono pi variegate e maniacali che mai. Il primo bersaglio proprio linvestitore. Figura inconoscibile, eppure presentissima, cui lo scrittore vorrebbe scrivere, appunto, una lettera che non scriver mai. Si immagina di conoscerlo, di vederlo trasvolare i cieli, ipotizza di guidare una rivolta di inquilini contro di lui. Dicono che questo libro sia unironica denuncia della speculazione edilizia. Certo, anche. Lo si pu supporre. Ma se mai dovessi descriverne il focus, direi che qui la follia a farla da padrone, nel privato dello scrittore e nel pubblico del mondo. Lipertrofia del razionale che finisce per autofagocitarsi. La solitudine delluomo dietro al vetro che si incarna in continue prosopopee, scenari, masturbazioni, ipotesi per poi scoprirsi, ogni volta di pi, con gli occhi fissi al soffitto. La follia della finzione borghese che, ancora, cerca di credere alle proprie parole, alla propria falsit strutturale; che si autonarra, estenuata, intrecciando autisticamente maschera e realt. Ma quale realt, poi? Qui torniamo a Kafka, ap-

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punto. Allo spopolamento del mondo che, apparentemente intatto, dismette dun tratto, in tragica epifania, la vita. Non dato sapere se al nostro scrittore verr offerta una chance di riscatto. Se riuscir ancora a scrivere, a farsi in qualche modo amare. Se dovr davvero traslocare. Quel che certo che ha passato la frontiera. Ormai di l. Condannato a unirresistibile infelicit. Fabio Donalisio
Paolo Morelli

Racconto del fiume Sangro

Quodlibet Compagnia Extra, 2013, 210 pp., 14,00

Afferma di voler descrivere prima di tutto, magari annotare: soprattutto contemplare e descrivere il fiume, oltre non mi era chiaro che volevo fare. Per questa sua avventura umana e letteraria Paolo Morelli si affida a un movimento dallalto verso il basso, laddove la vocazione a scendere cambia segno diventando risalita: di un fiume, di un pellegrinaggio solitario che vede aprirsi a ventaglio (per chi sappia raccoglierle) le possibilit date dalla discesa a piedi di un piccolo corso dacqua. Racconto del fiume Sangro comincia proprio dallidea di camminare col naso allingi, nel nome di un guardare in basso intrapreso per evitare troppi compiacimenti. In questa

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impressione che nel continuo mirare e fallire stava la forza dellesercizio si consolida e perfeziona una declinazione dellosservare, dellascoltare. Nel percorso che conduce il fiume abruzzese fino allAdriatico si infila Morelli, curioso di misurarsi con la forza e la potenza concreta, immaginativa, dellacqua. Ed significativo che nel seguire a piedi il flusso di un fiume, nel ricercarne le sorgenti, nellindividuarne tutta la serie di piccole appendici (polle descritte come spumose, graziose, terreno umido e asciutto, giravolte, anse, gole, solo per rendere un poco la sostanza del libro), sia possibile rintracciare un percorso, uno sguardo orientato. Utile anche per intercettare il carattere del fiume. Quando la materia sfugge, scivola via, come lacqua stessa, pi salda si fa la capacit di Morelli di trattenerla, rapirla allindagine, al ragionamento. Sottrarla alla divagazione confusa, distratta. Perci chiamato racconto, quello del fiume Sangro. Perch ogni pagina procede come un racconto, con la descrizione di un particolare bordo del fiume, o la modalit con la quale lacqua fuoriesce dal sottosuolo, illuminata dai raggi di un sole che le regala striature mobili e irregolari, come disegni sul manto di una tigre che crollano appena disegnati. Nel vagare dellautore intorno a questo corso dacqua, nella restituzione sulla pagina di dati orografici mischiati a unevidente attitudine letteraria, in questa calata un po folle verso il basso, quella forza dellesercizio che si diceva prima diviene un gradiente della perfezione: pare impossibile, ma si individua un percorso, nel seguire i

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122 chilometri di questo fiume che nasce nel Parco Nazionale. E alla fine questo, un percorso, quanto di pi prezioso possa essere contenuto in un libro, lunico indice interiore da tenere a mente per mantenere dritta la rotta. Ed a mio parere da sottolineare come questo sia avvenuto mettendo al centro della narrazione un argomento cos poco narrativo. Soprattutto giunto dopo lultimo lavoro pubblicato nel 2010, Il trasloco (nottetempo), in cui la divagazione non raggiungeva questa precisione fisiologica data dalla necessit. a questo livello che saggezza e intuizione, cultura e ignoranza si fondono. Nel nascere e morire di un fiume, da tempo immemorabile, nella fuoriuscita dellacqua senza sforzo, o con impeto, nella mezza delusione di chi si guarda intorno sapendo di doversi fare bastare qualcosa, fissato un nucleo di autenticit che tiene per tutte le 210 pagine, per brillare con grazia e semplicit quando ci si ricongiunge con il mare. Raffaella DElia
Angelo Ferracuti

Il costo della vita

Storia di una tragedia operaia. Einaudi, 2013, 212 pp., 19,00

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Una delle frasi migliori con cui si potrebbe condensare il contenuto e il senso dellultimo, importante libro di Angelo Ferracuti lha scritta un personaggio da lui distante come Oscar Wilde. Lepigrafe dun capitolo del Costo della vita recita: Una cosa di cui non si parla non mai esistita. Da diversi anni, e cio almeno dal romanzo-inchiesta Le risorse umane (Feltrinelli, 2006), Ferracuti ha scelto di dedicare la sua scrittura a questo compito, civile e intellettuale insieme: quello, appunto, di ricordare, di testimoniare, di strappare dal silenzio e dallinvisibilit le storie dei pi deboli (i migranti, gli operai, i lavoratori precari). Il costo della vita dunque un reportage o inchiesta narrativa che vuole far esistere la vicenda di tredici operai dei cantieri Mecnavi di Ravenna morti asfissiati nelle stive della nave Elisabetta Montanari il 13 marzo 1987, mentre eseguivano lavori di ripulitura. Il pi giovane di loro, Marco Gaudenzi, aveva diciotto anni, mentre il pi anziano, Vincenzo Padua, era alle soglie della pensione, e di anni ne aveva sessanta. Dovevo cercarli, trovarli tutti. I familiari, gli avvocati, i magistrati, la gente che lavorava al porto, i cronisti che avevano scritto e che erano l quella mattina, i poliziotti, i carabinieri, larmatore: con questo monito rivolto alla pagina e a se stesso Ferracuti intraprende il suo viaggio e la sua ricerca, lasciando spesso la parola ai testimoni della tragedia e riuscendo a trasmettere ai lettori la loro dignit e umanit, quasi che ogni gesto inteso a ricordare delle vittime, come avvertiva Carmelo Bene dalla Torre degli Asinelli di Bologna nel 1981, sia anche un

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omaggio a chi resta e ha subito una perdita irrimediabile e ingiusta. S, perch la morte dei tredici picchettini della Mecnavi fu tutto fuorch una fatalit: Ferracuti dipinge un ritratto impietoso dellarmatore Enzo Arienti, fiero oppositore del sindacato e vertice di un sistema di sfruttamento e caporalato che calpestava sistematicamente i diritti degli operai e le norme pi elementari di sicurezza (Paolo Volponi, uno dei sicuri fari di Ferracuti, lavrebbe forse definito una mosca del capitale). Facendo questo, per, Il costo della vita non ricostruisce solo tredici vicende individuali, ma porta alla luce le fondamenta di quello che poi sarebbe diventato il modello della precariet necessaria, triste e annichilente stigma della nostra contemporaneit. Il racconto di Ferracuti parte da Ravenna, fulcro narrativo del libro, ma tocca anche molti altri luoghi: da Termoli (dove Arienti si rilanci dopo il disastro) ad Alfonsine (paese in cui vive il figlio di Padua), dalle Marche (la Navigazione Montanari di Fano) al ventre del Cairo, citt di origine di Mohamed Mased, uno dei tredici picchettini morti asfissiati, di cui Ferracuti ricostruisce con attenta dedizione la fatale storia di emigrazione in Italia. Nel suo viaggio lautore interroga giornalisti, sindacalisti, fotografi, vigili del fuoco, e persino il novantasettenne cardinale Ersilio Tonini, che nel giorno del funerale scagli una feroce omelia contro lo sfruttamento del lavoro e il culto del guadagno. Oltre ai sicuri modelli letterari (su tutti Volponi, Kapuscinski, Orwell), Ferracuti

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si scelto anche illustri compagni di viaggio: il libro infatti corredato da alcuni disegni di Mauro Cicar e soprattutto dalle foto di Mario Dondero, altro grande reporter civile, che nel marzo 1987 document in presa diretta i giorni successivi alla tragedia e i funerali. In un paese che dimentica persino il passato prossimo con una disinvoltura agghiacciante, il racconto-inchiesta di Ferracuti, in dialogo con altre opere simili come quelle recenti di Leogrande (Il naufragio, Feltrinelli, 2011) o di Di Stefano (La catastrfa, Sellerio, 2011), un libro emozionante che tiene viva la memoria e ci racconta, con passione, una verit: due parole tab, in questa Italia e in questo momento storico. Massimo Gezzi
Luigi Socci

Il rovescio del dolore

con una nota di Massimo Raffaeli. italic pequod, 2013, 143 pp., 10,00

In copertina cos discreta da poter passare per un logo astratto c unimmagine che vale invece, per il libro, come unimpresa perfetta. Una caffettiera rossa, dipinta col sussiego anodino di Magritte, che ha per manico e beccuccio dallo stesso lato. La Caffettiera per masochisti fa parte degli Oggetti introvabili dellartista francese Jacques Carelman: og-

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getti non solo antifunzionali ma deliziosamente persecutor (una clessidra a ciottoli che non passano per il suo collo; un martello ricurvo su se stesso; una poltrona fatta di tubi di termosifone; una sedia a dondolo che dondola da destra a sinistra eccetera). Cos la scrittura di Luigi Socci, quarantasettenne marchigiano: masochista perch nel rovesciare il fiotto bruciante dellesistere, ben lungi dal liberarsene, se lo versa ogni volta addosso. La prima volta che lessi suoi versi (poi apparsi, nel 2004, anche sullOttavo quaderno di poesia contemporanea curato da Franco Buffoni, con presentazione di Aldo Nove) fu addirittura sedici anni fa: e che solo ora venga alla luce lopera prima la dice lunga, circa il Socci, tanto nellantifunzionalit quanto nell(auto)persecuzione. Recavano lo stesso titolo di adesso, Il rovescio del dolore, ma il Socci non mi pareva aver ancora elaborato, allora, quel sorriso tirato, raggelato, che fa oggi di lui (tra laltro) uno dei pi efficaci performer in assoluto: a giorno la radice gaddiana del dolore, unico strumento di cognizione di s e del mondo, non ancora la capacit di rovesciarlo, quel dolore, nel suo (apparente) contrario: quel comico assoluto baudelairiano che, ha ragione Massimo Raffaeli, la sua cifra quietamente tragica. E che in ambito italiano non pu che far pensare a Palazzeschi. Su Lacerba si leggeva: Schivare il dolore, fermarsi inorriditi alle sue soglie, da vili. [] Entrarci e risolutamente andare [], eroismo grande. Uscirne carbonizzato e guarito, con questo superbo fiore allocchiello e un garbato sorriso sulle labbra. Sublime filtro: ironia.

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Oggi quellironia, riposata nelle sezioni del libro come su tavole dobitorio, fa leffetto di una bic [] lamarasoio che squarcia ogni luogo comune sentimentale: al padre morto, topico oggi quanto mai, ci si rivolge cos: Non ho il tuo naso e te ne sono grato. Una scrittura insieme tutta nervi (Saldi, i nervi, di fine stagione) e minuziosamente esatta (Per scriverci in corsivo / finita la matita / la morte entra nel vivo / si tempera le dita), fin quasi al minimalismo terminale della mirlitonnade beckettiana (Chiuso nel mio cunicolo. // Munito di binocolo. // Non cerco lironia, trovo il ridicolo). Ricorrono come controfigure pi dei clown della topica starobinskiana i maghi da strapazzo, i prestidigitatori da tre carte o quelle figure incongruamente patetiche che sono i loro assistenti pescati dal pubblico (Ti ho amato da una sedia / in bilico, precario su uno zampo, / risvegliandomi al tre / io non in me). Una poesia del tutto soggettiva ma, insieme, perfettamente impersonale; una poesia che non odora di chiuso / e poi / non si fa i fatti miei: una poesia, dunque, squisitamente teatrale. Che parla in maschera e, conia anzi il Socci, quel che ha da dire lo vice dice. Si ride a denti stretti, come di una freddura: ma questo gelo, il freddo da palco che intitola una sezione, viene da una scena crudele dove le cose tremende che appaiono, in effetti, si producono davvero ( un tipo di teatro / che va oltre il suo orario): come leffetto speciale reale della morte della terrorista cecena, gasata al Teatro na Dubrovka dalle forze dassalto di Putin ma che in una foto famosa pare solo ad-

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dormentata al suo posto 12 fila C: il teatro russo degli anni zero / vero. Perch poi dietro alla maschera della vita il dolore che si finge, come sapeva Pessoa, quello che davvero si sente. O, come sigla il Socci: Carne professionale / siamo del carnevale / del finto farsi male la ferita / che maschera la piaga. Applausi. Andrea Cortellessa
Mario Moretti

Processo di Giordano Bruno

premessa di Michele Ciliberto. Edizioni della Normale, 2013, 96 pp., 10,00

Nellimpostazione generale del lavoro, ho anche cercato di resistere alla tentazione brechtiana, soprattutto per evitare le secche di una maniera cui, in definitiva, mi sento abbastanza estraneo. Una seconda tentazione forse inevitabile per chi opera su materiale storico, sia esso preesistente nella sua integrit o tale da aver bisogno di essere distribuito nel tempo teatrale non ha avuto nessuna incidenza nel mio lavoro: la tentazione dellattualizzazione non mi ha infatti neppure sfiorato, trovandomi ad operare con materiale riguardante unopera ed una figura straordinariamente contemporanee, che ogni forzatura avrebbe steccato nella

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compatta ed armoniosa modulazione del Bruno personaggio e pensatore. Chi cos scrive Mario Moretti, autore di un Processo di Giordano Bruno, pensato e composto per il teatro nel 1969 (un momento esplosivo per la vita della Chiesa di Roma) e ora ripubblicato dalle Edizioni delle Normale in una collana nuova di zecca di piccoli classici della quale si dir tra breve. Non sempre, anzi di rado, un autore cos buon recensore di se stesso. Non casualmente, considerata la maniacale attenzione con cui questo teatrante organico da mezzo secolo instancabile ambasciatore della drammaturgia italiana contemporanea, oltre che scrittore di teatro lui stesso, e regista e direttore artistico guarda alle cose e alla vita del teatro, sino a confondersi con esse. In tutto il Processo, plastica rappresentazione delle inquisizioni di Venezia e Roma, sino al rogo di Campo de Fiori add 17 febbraio 1600, evidente lo sforzo di tenersi a distanza dalle tentazioni del fantastico, del romanzesco e del mitologico, cos frequenti quando sono a tema la vicenda e la figura del martire per eccellenza del libero pensiero. Il difficile sta, per, nel non cadere nellestremo opposto, nel didascalismo proprio del teatro-documento, e nel preservare, come osserva Michele Ciliberto, freschezza e autenticit. Questo equilibrio , ci pare, la cifra stessa dellopera morettiana: ci che in una miscela sapiente di verit storica e dintenti paradigmatici ne fa gi un piccolo classico.

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E cos veniamo alla collezione una raccolta, appunto, di piccoli classici che ospita questa nuova edizione. Da qualche anno tornata sul mercato editoriale con una produzione assai vivace (www.sns.it/scuola/edizioni), la Normale di Pisa vara ora la collana Variazioni con lintento di riunire lavori di non vasta mole afferenti a generi letterari diversi (saggi, interviste, testi teatrali, recensioni) ma legati tra loro dalla convergenza di antico e moderno, propria del classico. Oltre al Processo di Moretti hanno sin qui visto la luce (tutti nel 2013) il Ritratto di Tocqueville di Sainte-Beuve, a cura di Giulia Oskian; la Vita di Pascal scritta dalla sorella Franoise Gilberte Prier, a cura di Domenico Bosco; il classico Leon Battista Alberti di Eugenio Garin, con unintroduzione di Ciliberto; il saggio di Roberto Gronda Filosofie della praxis, su Giulio Preti e John Dewey; il Trattato sul governo di Firenze del Savonarola, con una premessa del medievalista Gian Carlo Garfagnini. Titoli che parlano da s. E che ci pare testimoniano di una coraggiosa impresa in controtendenza, in questi tempi di vita agra per leditoria italiana di cultura. Alberto Burgio
Francesco M. Cataluccio

La memoria degli Uffizi


Sellerio, 2013, 184 pp., 14,00

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Tutto nasce da un rito laico, nella Memoria degli Uffizi. Uneducazione sentimentale che diviene passo dopo passo leducazione al bello: ogni domenica, insieme al fratello, lautore si reca a vedere una sala sempre diversa della Galleria degli Uffizi, guidato dal padre e ispirato dalla struggente passione per larte della madre. Cosa vede lo scrittore-bambino nella Wunderkammer a due passi da casa? Moltissimi dettagli. Lettere di un alfabeto dello sguardo, aneddoti narrati dalle immagini, suggerisce lautore, citando Gombrich, che lasciano sospesa la nostra incredulit: lombelico del Crocifisso (Croce 432) di un anonimo pittore fiorentino, una sorta di leggera spirale che ruota in senso antiorario, che gli ricorda lomphalos la pietra simile a un uovo o a un fallo visto nel santuario di Delfi molti anni dopo, il fascino emanano dai colori: la regalit delloro, la nobilt trascendente del blu o lintensit del rosso, il colore dellamore. E la prima donna senza veli tutta per s: la Venere di Botticelli. Enorme, bellissima, si dirige verso lautore volando su una conchiglia: la versione al femminile della sensualit di Cristo che cammina leggero sulle acque. Un archetipo vivo come tutte le splendide Madonne descritte con spontanea ammirazione che si insinua nello sguardo e nei pensieri dellautore spinto a cercare la propria Simonetta Cattaneo Vespucci, la modella del quadro morta a ventitr anni, rimpianta da poeti e pittori e celebrata da Lorenzo il Magnifico e Agnolo Poliziano.

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E poi c il Cataluccio adolescente-adulto, che convive armoniosamente con le proprie memorie infantili e racconta una serie di episodi sorprendenti: lentusiasmo di Bill Viola dopo una visita agli Uffizi, lo stupore di Andrej Tarkovskij rapito dalla maestosit delle stanze metafisiche con le tre Maest di Cimabue, Duccio di Buoninsegna e Giotto e lingresso nel Terzo Corridoio, il luogo delle scoperte, che coincide con lingresso nel mondo adulto: i segreti del Tondo Doni di Michelangelo, rivelati dalla lettura di Freud e la psicologia dellarte di Ernst Gombrich, la passione per il malinconico Pontormo e per le opere del Sodoma. Accanto a questi istanti di felicit intellettuale e umana, vi sono le sue altrettanto sorprendenti letture diramazioni nervose di una traccia bibliografica innestata nel corpo del testo che gli consentono di descrivere le stanze degli Uffizi con labilit di un critico darte. Gli Uffizi divengono cos unarchitettura linguistica dove la memoria si trasmuta in narrazione e il ricordo si imprime sulla pagina. Cataluccio scrive come se stesse passando la punta di una matita lungo le figure dei quadri, nel medesimo modo di un bambino che inizia a scrivere: dapprima ogni lettera ha una forma bizzarra e poi giunge lentamente a prendere contorni regolari. La pulsione descrittiva, velata di nostalgia, induce il lettore a lasciarsi cullare fra le stanze di questo museo-palinsesto in equilibrio tra vita, narrazione, candore dello sguardo, allo stesso modo dellautore del libro: un piccolo testamento colmo di dettagli intimi e salvifici.

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Poich la bellezza, davvero, pu salvare dalla morte. Lo suggerisce la vicenda di una ragazza con cui Cataluccio conclude il suo viaggio: Vanessa Capodieci, sedici anni, che rest ferita nellattentato di Brindisi in cui mor la sua compagna di scuola Melissa Basso, ha subto cinque trapianti di pelle. uscita ieri dal Centro Ustioni dellOspedale Cisanello di Pisa e ha chiesto al padre di visitare gli Uffizi. Da qui inizia la vera lettura, da qui tutto pu rinascere, da qui ogni lettore pu scrivere la storia del suo sguardo. Silvia Mazzucchelli
Brunella Antomarini

La preistoria acustica della poesia


Aragno, 2013, 105 pp., 10,00

Impegnata nellambito della filosofia e come traduttrice, Brunella Antomarini sintetizza i suoi interessi ampliandone lo spettro allantropologia e ci consegna unopera che potremmo considerare di attraversamento. La preistoria acustica della poesia trattato e tracciato a un tempo, studio e campagna di carotaggi nellera primaria della poesia. Ne emergono campioni di conoscenza inediti: apprendiamo che lorigine melodica della comunicazione rifugge da dinamiche mimetiche, prescindendo, quindi, da qualsiasi componente metaforica (la fase mimetica viene

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presa in considerazione dallautrice, che tuttavia con Darwin intende per mimesi la funzione che consente lo sviluppo da trasmissione emotiva a comunicazione simbolica; per mimesi si intende non gi la riproposizione di una realt, bens la ri-creazione di condizioni di coinvolgimento emotivo che facilitino la comunicazione stessa, come luso della metrica o la recitazione). Allo stesso modo lorigine della poesia come formula rituale esclude lelemento rappresentativo, perseguendo invece una ricorsivit basata su un ritmo binario (dentro/fuori, giorno/notte, inspirazione/espirazione ecc.) che ci riporta alla frequenza dellavvicendamento in natura. Quando poi le immagini fanno ingresso nella pratica rituale, la loro oscurit sarebbe da ricondurre a un accostamento prettamente analogico. Da questi primi rilievi si pu fornire una prima giustificazione della definizione di apertura: opera di attraversamento ovviamente in senso temporale ma anche, sia pure non espressamente, di codici culturali. Quella sulla crisi della metafora infatti riflessione quanto mai attuale nella riflessione letteraria ed estetica, mentre la ripetizione seriale di formule alla base di alcune delle riflessioni ed esperienze musicali pi interessanti del Novecento (dalla musica seriale alla trance-music), e laccostamento analogico di immagini allorigine di alcune delle ricerche cinematografiche pi apparentemente visionarie (un esempio per tutti, Inland Empire di David Lynch).

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Con lavvento del sistema culturale e nel dialogo con altri ambiti di conoscenza, e soprattutto con laffermazione della scrittura, laspetto prettamente acustico/ritmico viene complicato e depotenziato. Lautrice problematizza la questione, offrendo esempi di scrittura che invece riconoscono la propria scaturigine anche nella componente ritmica (vengono riportati brani di Amelia Rosselli), e in virt di tale legame divengono comunque leggibili, al di l della lingua di appartenenza. Allo stesso modo si riconduce al ritmo la traducibilit (o intraducibilit, laddove di una traduzione si riconosca la non necessariet) di qualsiasi prodotto di scrittura. In tal senso il fine ultimo della funzione ritmica il ricongiungimento a una percezione condivisa e quasi fisiologica che rende quasi ininfluente il referente culturale. Di attraversamento pu infine parlarsi considerando la struttura stessa del libro, che si presenta come diario di unesplorazione condotta a partire dallorigine del linguaggio poetico e che viene poi acquisendo i tratti di una riflessione a carte scoperte sul significato ultimo (e primo) del fare linguaggio (fare con il linguaggio). Assumendo la sopravvivenza della partecipazione sensoriale come forma cognitiva, e quindi limportanza di mantenere in vita la radice arcaica delle forme rituali, Antomarini chiude la sua esplorazione interrogandosi sulla possibile permanenza di tale radice in unera in cui domina la tec-

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nologia e le scritture, non solo poetiche, vanno ridefinendo continuamente campi e orizzonti. Giulio Marzaioli
Laura Mulvey

Cinema e piacere visivo

a cura di Veronica Pravadelli. Bulzoni, 2013, 256 pp., 25,00

Nel 1975 Laura Mulvey ha avviato il dibattito della Feminist Film Theory con un saggio fondamentale, Piacere visivo e cinema narrativo. La sua prospettiva era fondata sulla nozione di sguardo, cio la discriminante attraverso cui il cinema inscrive le differenze di gender della societ patriarcale dominante, e garantisce il piacere visivo al solo spettatore maschile. Questa svolta teorica trova uneco sorprendente nelle successive elaborazioni sul desiderio femminile nellambito della teoria femminista, ma influenza anche gli studi sulla mascolinit e quelli sullidentit razziale e culturale. Mulvey stessa, nel corso degli anni, rivedr le posizioni assunte in quel suo saggio fondativo, fino a declinare il piacere visivo del cinema classico hollywoodiano nelle pi recenti intuizioni sullo spettatore possessivo della pi avanzata era tecnologica. proprio a partire dallarticolo del 1975 che Cinema e piacere visivo, curato e introdotto da Veronica Pravadelli, propone un percorso che attraversa il corpus teorico

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dellautrice, ne segue la progressione metodologica e concettuale, e ne individua le principali aree di indagine e i pi interessanti sviluppi di ricerca nel quadro della Feminist Film Theory. Le tre sezioni in cui suddiviso il libro (Teoria, Cinema americano classico e Cinema moderno) si intersecano, come in una spirale, creando un movimento vorticoso che coinvolge lanalisi degli aspetti stilistici e narrativi dei film, larticolazione dellesperienza spettatoriale e lo sviluppo di nuclei tematici ricorrenti. Lorganizzazione dei saggi, inoltre, lascia emergere il diverso modo in cui la nostra autrice ha declinato concetti psicoanalitici quali voyeurismo, feticismo e perturbante, facendone gli elementi-fulcro di una metodologia di analisi dei film e del cinema tout court. Il perturbante , in particolare, sia lelemento di raccordo tra il cinema classico e il cinema moderno, sia il concetto che struttura la dialettica tra inafferrabilit e afferrabilit dellimmagine cinematografica nel passaggio dalle vecchie alle nuove tecnologie, in cui si modifica lesperienza spettatoriale e si riconfigurano i rapporti di gender. Proprio il riferimento al perturbante garantisce continuit e coerenza teorico-analitica al percorso di Mulvey, la quale lo utilizza sia nellaccezione di ritorno del familiare rimosso (emblematiche le analisi di Velluto blu di David Lynch e di Quarto potere di Orson Welles), sia nellaccezione di fusione tra vita e morte, organico e inorganico (Psycho di Alfred Hitchcock). Una prima classe di perturbante, che potrem-

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mo definire performativa, inscrive il movimento rallentato dellattore nellinafferrabilit del flusso narrativo del film (cfr. il discorso sulla posa di Marilyn) e anticipa al contempo la seconda, che ri-esibisce lesibizione in forma amplificata attraverso la feticistica messa in pausa dellimmagine video. Questa possibilit di manipolare il flusso della visione accresce nello spettatore lillusione di possedere limmagine, sospendendo la sua natura inafferrabile. E al tempo stesso riconfigura le relazioni di gender: in quanto non pi solo limmagine spettacolare della donna ad arrestare la narrazione ma, in modo meno manifesto, anche la posa del personaggio maschile. Cogliendo la sfida della nuova estetica dellimmobilit, Laura Mulvey ripensa al cinema e a tutte le sue implicazioni teoriche fino allinterpretazione del ritardo come elemento estetico nel cinema di Abbas Kiarostami, capace di evocare limmagine-tempo di memoria deleuziana. La specificit del medium cinematografico integra limmobilit della singola immagine nellinafferrabilit del flusso narrativo e nasconde il perturbante. Diversamente, il medium elettronico lo esibisce nellarresto del fotogramma, configurando nuove esperienze di visione e di godimento del corpo filmico. Rossana Domizi

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Franco Voltaggio

Antigone tradita. Una contraddizione della modernit: libert e stato nazionale


Editori Internazionali Riuniti, 2013, 368 pp., 25,00

Di recente Alain Badiou, filosofo la cui ricerca fortemente improntata alla politica, ha sorprendentemente scritto un libro sullamore. Anche questo alla fine si rivelato essere un libro politico dove lamore, nelle forme che ricordano la radicalit ideale platonica, svolge un ruolo attivo e propositivo che per certi versi pu essere definito utopico. Se non utopica, certamente inattuale la forma rivoluzionaria della vita di coppia, dellamore stabile in cui Badiou vede lesercizio per una politica del cambiamento radicale. Nella ricostruzione che Franco Voltaggio fa del pensiero di Hegel si assiste a un percorso diverso rispetto a quello di Badiou nel metodo, ma simile nel merito, che prende spunto ugualmente dallamore. Il giovane Hegel, amico e sodale di Hlderlin, come lui non solo filosofo ma anche poeta, si innamora del personaggio sofocleo di Antigone. Successivamente linnamoramento e lamore e con essi la poesia vengono abbandonati perch troppo ideali e astratti, lontani da quello che sta succedendo in Europa con le guerre napoleoniche. Leroina Antigone e la sua femminilit radicale, agli occhi di Hegel non sembrano pi avere mordente politico, non sembrano pi rappresentare quello che accade, darne una comprensione. (Non a

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caso conoscere per comprendere e giustificare masticando amaro, ancorch conoscere per cambiare, uno dei leitmotiv che Voltaggio indica nella svolta del filosofo.) Hegel a un certo punto la abbandona come figura di riferimento e passa alla fase matura del suo percorso filosofico disincantato, concreto, realistico, improntato a una necessaria coscienza infelice. Ad Antigone succede un altro punto di riferimento: Napoleone un eroe in luogo di uneroina. In tal senso la dichiarazione di Hegel di aver finito il suo libro pi importante, La fenomenologia dello spirito, lo stesso giorno in cui le truppe napoleoniche sconfiggono quelle prussiane per Voltaggio rivelatrice. Il termine del progetto della Fenomenologia scandito dal riferimento napoleonico il primo e fondamentale passo che porta Hegel a completare con la Scienza della logica e i Lineamenti della filosofia del diritto un progetto teorico e politico ormai distante dagli ideali giovanili e dai primi compagni del suo viaggio intellettuale, Hlderlin e Schelling, a loro volta innamorati di Antigone ma, a differenza di Hegel, rimastile fedeli. Ma, si sa, il primo amore non si scorda mai. Anche dopo il suo abbandono, nellopera di Hegel, Antigone si rif viva come una sorta di ritorno del rimosso che aiuta a capire, secondo la lettura di Voltaggio, i nuovi obiettivi della sua ricerca e la sua principale eredit teorica e politica. Secondo Voltaggio questeredit consiste in una potente teorizzazione dello Stato nazionale e territoriale: un tradimento del diritto e della libert che fa il paio col tradimento nei confron-

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ti di Antigone. Cos che questo di Voltaggio finisce per essere un contributo importante alla riflessione sulle contraddizioni dello Stato-nazione: aporie rese sempre pi evidenti dal manifestarsi del paradigma bio-politico su cui, in ultima analisi, lo stesso Stato-nazione riposa. Marco Pacioni
Paolo B. Vernaglione

Filosofia del comune

manifestolibri, 2013, 186 pp., 25,00

Hopefulmonsters ci parla subito di una rottura irrimediabile con il passato, che coinvolge tutti, e di una lotta feroce per la sopravvivenza, che la abita: non un termine gentile, ma pieno di fascino, e tratta proprio delle cose di cui questione, cio di un mutamento genetico. Cos Lucio Castellano su Metropoli nel 1981. Hopefulmonster quindi la filosofia del comune, ovvero un mostro pieno di speranza, e il mutamento genetico quello del passaggio dalla sussunzione formale alla sussunzione reale, quellantropomorfosi del capitale o bio-capitalismo che comporta la messa al lavoro integrale di corpi, cervelli ed emozioni. Harvey e Jameson hanno chiamato questo mutamento condizione postmoderna, e per loro le teorie postmoderniste sarebbero le sentinelle che segnalano il passaggio in corso. bene allora chiedersi come

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abbia operato esattamente quel postmodernismo allitaliana sintetizzato dal pensiero debole e dalla transavanguardia. Queste teorie fanno proprio lesaurimento del progresso e la crisi del futuro come orizzonte aperto da colonizzare, mettono in crisi la retorica del superamento e costruiscono una retorica della fine del progresso. Il pensiero debole Verwindung ovvero torsione della metafisica moderna (che non si pu superare e alla quale rimettersi) e la transavanguardia Verwindung in quanto torsione della logica delle avanguardie moderne. In questo senso sono la stessa cosa: il tempo del progresso ripiegato su se stesso, torsione del moderno. Eppure la critica alla retorica della crisi del progresso era gi tutta dentro una magnifica intuizione di Valry quando scriveva: Allidolo del progresso rispose lidolo della maledizione del progresso; il che cre due luoghi comuni. In Italia il luogo comune del postmodernismo diventato un apparato di cattura, un dispositivo neutralizzante che ha frenato quella liberazione che in potenza era stata portata in superficie dalla Great Transformation degli anni Settanta e che il movimento del 77 aveva intuito. E questo, si badi bene, non perch ha rifiutato o disconosciuto la liberazione possibile, ma perch lha fatta propria neutralizzandola allinterno della retorica della fine della storia. Ideologia raffinata, dunque, tanto che si potrebbe dire che gli anni Ottanta sono stati un 77 rovesciato anche dal punto di vista culturale. Ma la critica si pu estendere al postmodernismo in generale, per cui la Underground Railroad non pu consiste-

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re n nel recupero del progetto incompiuto del moderno, n nelle fantasmagorie del postmodernismo che rimane in radice la logica culturale del tardo capitalismo. Si tratterebbe piuttosto di congedarsi da entrambi, dal moderno e dal postmoderno. Ed quello che ci si propone qui, ovvero costruire oltre il moderno una filosofia materialista del comune. Senza per disfarsi sbrigativamente del moderno: ch anzi nella sua genealogia del comune Vernaglione rivendica, per esempio, la rivolta degli anabattisti in Germania, lesperienza della Comune di Parigi e quella dei giacobini neri con la rivoluzione di Santo Domingo. Restituendo cos la profondit di campo della modernit che non una sola, quella bianca e quella del progresso, ma di fatto unidra dalle molte teste. La filosofia del comune non va neanche confusa, bene sottolinearlo, con i beni comuni: Mentre i secondi sono linsieme della ricchezza sociale valorizzata dal capitalismo, il comune la condizione di possibilit in cui i beni diventano riappropriabili, qualora siano sottratti sia al potere pubblico che a quello privato. Nulla a che vedere neanche con infausti comunitarismi n con comunit impolitiche di batalliana memoria. Il comune invece ci che si costruisce insieme disegnando quella rete ingioiellata di Indra che ci avvolge. Infine, nellepoca della crisi della sovranit statuale e della legge del valore-lavoro, se non costruiamo un pensiero del comune, il nemico non avr smesso di vincere. Perch solo organiz-

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zare il comune la grande bellezza che soppianta il postmoderno. Nicolas Martino


Gabriele Turi

La cultura delle destre Alla ricerca dellegemonia culturale in Italia


Bollati Boringhieri, 2013, 175 pp., 14,00

A chi provi ancora indignazione trovando il nome di Benito Mussolini nellelenco dei cittadini onorari di una citt della provincia italiana, e stupore nellascoltare ragazzini di una decina danni difendere tale scelta sulla base di esempi tratti da documentari televisivi e da visite guidate per la tutela del patrimonio, si pu oggi suggerire la lettura della Cultura delle destre. Il saggio intende leggere il berlusconismo come una strategia culturale che aspira a unegemonia in grado di forgiare la fisionomia di una societ attraverso non solo la sedimentazione di comportamenti e mentalit, ma anche la diffusione di conoscenze e consapevolezze. E consente di riflettere sullorizzonte culturale che dalla met degli anni Novanta va definendosi nel nostro paese. Il comune denominatore della cultura delle destre di governo passa, secondo Gabriele Turi, in primo luogo per linterpretazione della storia italiana e per il senso di ap-

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partenenza religiosa. Se i due temi caratterizzano da sempre la formazione e lidentit profonda delle classi dirigenti del paese, da storico Turi tiene in particolare a concentrarsi sul primo. Il revisionismo diventa cos il fulcro del libro, e viene indagato quale strumento per modellare la sensibilit collettiva e produrre consenso. Levanescenza dei confini tra conservatori ed estrema destra, che caratterizza lesperienza berlusconiana, ha innescato un edulcoramento storiografico della dittatura di Mussolini che non alimenta una vera e propria nostalgia per il fascismo ma porta a cancellare la rottura dellesperienza resistenziale. La continuit del percorso italiano privilegiata a discapito delle differenze tra vinti e vincitori; mentre il processo di pacificazione della memoria procede attraverso un annullamento della complessit del passato. Il discorso revisionista tende a unidea di cultura priva di ogni dimensione dialettica, di ogni voce dissonante. Lattacco a una lettura comunista e marxista del passato, conseguenza della presunta occupazione delle istituzioni culturali da parte della sinistra, anzich rifiutare davvero un discorso retorico e ideologico si rivela il presupposto per la creazione di una cultura nazionale assai ben caratterizzata, se i suoi cardini ripropongono Dio-Patria-Famiglia: unideologia che si richiama a valori semplici come la cultura italiana e la tradizione cristiana. In questa prospettiva Turi analizza la politica della destra sulla scuola, in cui si inseriscono tanto la battaglia per la re-

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visione dei manuali di storia quanto la difesa del crocifisso nelle aule, ma soprattutto mette in luce la riscoperta della funzione connettiva del ceto intellettuale: che si traduce in una rete di think tank e in un network di riviste e istituzioni in cui lelaborazione di un discorso revisionista la piattaforma di una rilettura del passato a uso della politica. Pur nella consapevolezza delleterogeneit di tali soggetti, e della differenza dei loro pubblici, la panoramica di Turi mette a fuoco, attraverso lintreccio di collaboratori, editori e centri di ricerca pubblici e privati, un progetto del centrodestra di espansione e occupazione di spazi culturali e politici. Ci ritroviamo di fronte alla consueta battaglia della destra contro legemonia della sinistra comunista e marxista: storicamente anacronistica dopo l89, certo, ma che qui tocchiamo nel suo potere di penetrazione in larghi strati dellopinione pubblica quale forza culturale in grado di cancellare la dimensione antifascista dallorizzonte mentale degli italiani. Elisabetta Ruffini Torna al men

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LA MUSICA

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Quattro vite jazz
Mario Gamba Che cos il jazz. Dopo la letteratura e la filosofia, tocca a questo filone della produzione artistica trovare i suoi Sartre e i suoi Deleuze. Un genere? Ormai la parola impronunciabile: si d per scontato che i generi nella musica si sono miscelati fino a scomparire, il contemporaneo colto post-seriale lo trovi nellart-rock e lelettronica duso si confonde, alimentandola magari, con quella che ha avuto come alfieri Varse, Stockhausen, Berio e Nono. Eppure un loro carattere lo mantengono, eccome se lo mantengono, gli integralisti del mlange dovrebbero accorgersene. Da Sanremo a Bruce Springsteen, da Darmstadt ai cantautori. Anche il jazz? Perch no. In tipi di musica diversissimi tra loro ci trovi il jazz. Un tocco, una inflessione. Una pronun-

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cia, soprattutto: degli strumenti e delle voci. Bix Beiderbecke, Booker Little o Bill Dixon non assomiglieranno mai, non solo per gli spunti melodici e armonici e per il senso della costruzione di un brano, ma proprio per la pronuncia, al Berio della Sequenza X per tromba (con pianoforte di risonanza). Cos come Billie Holiday o Jeanne Lee risultano comunque unaltra cosa rispetto, mettiamo, alla Cathy Berberian di Visage di Berio o di Stripsody della stessa Berberian. Questione di pronuncia. Di unanima inimitabile, con quella componente, lo swing, che nessuno mai riuscito a dire che cos, eppure esiste e si rintraccia nel dondolio e nello scatto dellorchestra di Benny Goodman come nellassenza di pulsazione del duetto Rebecca di Lee Konitz e Billy Bauer, brano che passava il confine della contemporanea classica gi nel 1950, molto prima che fosse inventato il free. Il jazz un territorio? Chiuso? Macch. La sua serialit da supermercato, se vogliamo (e se qualcuno si scandalizza, consulti i saggi di Massimo Ilardi sul valore sovversivo del consumo), da Lionel Hampton a Gerry Mulligan, da Count Basie agli hard-boppers della Blue Note, sprigiona mala languori ossessioni perversioni, apre i confini, chiama allo zig-zag sui punti dove sono stati segnati i limiti. Dal free in poi e poi con limprovvisazione totale, il tragitto creativo tra deterritorializzazione e riterritorializzazione garantito. E pure con le mille forme del jazz ultimo, ma l la molteplicit, bisogna dirlo, sfuma pericolosamente nelleclettismo e nei flirt stanchi col popular, la mescolanza nella povert ideativa, vedi la

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musica inerte di due celebrati campioni da referendum come Rob Mazurek e Vijay Iyer. Il jazz un genere. Uhm, brutta parola, al di l dei decreti di espulsione dal vocabolario critico aggiornato. Evoca una fissit. Non il caso nostro. Il jazz un capitolo aperto della storia della musica. Se si preferisce dribblare il concetto di storia della musica (quando un susseguirsi di esperienze artistiche o di rivolte sociali diventa storia di, il museo pronto e la cosa dispiace): un torrente di suoni scaturito allinizio del ventesimo secolo negli Stati uniti e da allora serpeggiante in tutto il mondo. Come succede nelle arti, ci sono nel jazz gruppi di suoni inattuali/contemporanei e gruppi di suoni cronologici, cio poco interessanti per la vita doggi. Eppure. La distanza di genere (musicale) tra la Jeanne Lee di Jamaica (dallalbum straordinario intitolato Conspiracy) e la Joan La Barbara di Tapesong minima. Stessa appartenenza a un genere pi ampio, seppure effimero, designato con unaltra parola divenuta proibita, avanguardia. Eppure. Il primo caso ha a che fare col jazz, il secondo no. Perch? La pronuncia, la presenza convenzionale di contrabbasso e batteria, un soffio di esistenza che con la scuola, laccademia, il registro non ha legami, per quanto siano tutte cose lasciate indietro, dimenticate, rovesciate da La Barbara. C chi osserva che il jazz ormai musica da camera. Vero. Musica da camera totalmente indisciplinare, furiosamente, estaticamente insensibile alle regole come The Topography of

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the Lungs di Evan Parker-Derek Bailey-Han Bennink? Buon esempio. Ma anche l non si riesce a non sentire lapproccio jazzistico, una pratica di vita molto speciale che stata introiettata e messa in gioco con la massima libert. Messa in gioco fino alla dissoluzione, sia chiaro. Una sintonia possibile si pu trovare con i lavori migliori, Es War Einmal (1968), per esempio, del mirabilissimo Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza. Aspettando i trattati di indagine teorica, anzi filosofica, si trovano scampoli utili in un libro del 1966 uscito solo ora in edizione italiana per minimum fax, Quattro vite jazz di Alfred B. Spellman (non si riusciti in nessun modo a scoprire quale nome si celi dietro liniziale B.). Si tratta delle vite difficili di Cecil Taylor, Ornette Coleman, Herbie Nichols, Jackie McLean. Due innovatori riconosciuti (tardi, almeno negli Usa) come capiscuola, Taylor e Coleman. Un solitario ricercatore, Nichols, morto a 44 anni nelloblio di tutti e nella quasi totale assenza di documenti del suo genio gentile ispirato da Tatum e Monk. Un graffiante/meditativo altosassofonista, McLean, seguace di Charlie Bird Parker e di Lester Young, sollecitato a un certo punto, nei primi anni Sessanta, dalla New Thing dei rivoluzionari afro-americani, un po clandestino, spesso privato della tessera per suonare nei club, la famosa cabaret card, per via della sua dipendenza dalle droghe. Usa terreno fertile per il jazz, da sempre il pi fertile. Industria americana del jazz quella minore ma pressoch

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unica, almeno fino a trentanni fa, dei locali notturni sorda, spietata, oltraggiosa verso gli innovatori, verso i musicisti non conformisti e visionari che non si adeguano alle regole, presunte auree, dellentertainment. Ecco il panorama nel quale Spellman inserisce il racconto di queste quattro vite, facendo molto parlare i protagonisti che ha scelto. Oggi, va detto, le cose vanno molto diversamente per i tre grandi autori viventi: Taylor e Coleman ricevono commissioni pubbliche e private, McLean dirige scuole di musica. Probabile che non siano rose e fiori nemmeno oggi per chi sperimenta linguaggi nuovi, ma si sa che le universit e le associazioni autonome (esemplare la celebre e illuminata Aacm di Chicago) offrono opportunit a molti talenti. Cecil Taylor nel libro linterlocutore pi interessante. Come musicista ha messo in campo lidioma pi azzardato, pi vicino allinformale, indifferente alla tonalit e a ogni tipo di armonia prestabilita, torrenziale, frenetico, fino allultimo respiro ma con squarci di lirismo solenne, pianista percussivo, campione di una danza sulle dita e anche con tutto il corpo che inebria ed elettrizza, a patto di non essere tra coloro che dallarte si aspettano conciliazione. Tra i jazzmen di gran nome il pi facilmente accostabile (ma assimilabile davvero no) alle esperienze delle avanguardie e neoavanguardie musicali europee. Chi non ha pensato almeno una volta a Stockhausen, magari quello degli ultimi Klavierstcke, ascoltando Cecil Taylor? Eppure lui rivendica la

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specificit del jazz. Ne illustra la grandiosit, il respiro, la vitalit. Forse il primato. Leggerlo nella trasposizione di Spellman un piacere. Piuttosto incalzante anche come parlatore. Un tipo che non si concede tanto facilmente ai critici e ai cronisti, specie se bianchi (Spellman nero), e quindi loccasione preziosa, visto che non c gran mole di sue dichiarazioni articolate negli archivi: Sento dire che io guarderei allEuropa, ma chi vede al di l del suo naso sa benissimo che sono gli europei a guardare verso il jazz. Le forme estese hanno esaurito le loro potenzialit. Nessuno le usa pi, scrivendo. Roba da Ottocento. La sonata vecchia, fuori moda. Ed ecco da dove esce fuori Webern. Insomma, stanno cercando di raggiungere il nocciolo, lenunciazione musicale breve, essenziale. Ci saranno quando arriveranno al punto in cui succede tutto: lo sviluppo, il climax.
Alfred B. Spellman

Quattro vite jazz. Cecil Taylor, Ornette Coleman, Herbie Nichols, Jackie McLean
traduzione di Marco Bertoli. minimum fax, 2013, 267 pp., 16,00

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LARTE

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Bill Viola a Londra
Flora Pitrolo In una recente intervista con Yvette Gresl, a proposito della mostra in corso a Londra allelegante galleria Blain Southern, Bill Viola afferma che spesso ci che manca il mistero non si vede pi nel mondo dellarte. Gli artisti non ne parlano. E io penso che il mistero forse laspetto pi importante del mio lavoro. Il mistero quando apri la porta, te la chiudi dietro, e non sai dove stai andando. Sei perduto. Questo essere perduti una delle cose pi importanti. Perdere e perdersi sempre stato molto pi interessante per Viola piuttosto che trovare, o trovarsi e questo chiaro anche questa volta, che in mostra ci sono nove nuovi lavori che non si risolvono, che sembra abbiano come obiettivo una non-risoluzione. Il titolo della mostra, Frustrated Actions

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and Futile Gestures, sembra puntare proprio a questo non-risolversi di tutti i lavori presenti alla Blain Southern, un nonrisolversi che non una questione di fallimento (si parla molto, troppo, di failure di questi tempi forse perch si ha paura di parlare di mistero?), o una mossa narrativa ben ingegnata per lasciare aperta una fine. Questo non-risolversi appartiene piuttosto a un ordine temporale. Il tempo di Bill Viola, qui, trasparente: non soltanto in loop, ma senza densit. Un tempo allo stesso tempo geologico e domestico, che cambia continuamente peso e misura, impossibile da acchiappare. Squisitamente narrativo eppure senza vettorialit: limpressione sempre quella di aver dimenticato la fine, come in certi grandi film o in certi grandi romanzi. La mostra prende il nome da uno dei lavori-cardine in esposizione, Chapel of Frustrated Actions and Futile Gestures, nove schermi orizzontali che mostrano un uomo e una donna che si guardano nel silenzio, rotto a tratti da uno schiaffo o un abbraccio; un uomo in esterno notte che scava e riempie un buco nella terra; una donna che sistema con cura delle porcellane in una valigia, che poi svuota per ricominciare tutto da capo. Ma lattenzione catturata soprattutto dallo schermo in alto a destra: c un uomo che traina un carro su per una collina giunto alla vetta ecco che il carro ridiscende, silenzioso, a velocit regolare. Luomo lo osserva un attimo prima di tornare a riprenderselo, e ricominciare nel suo ciclo inutile. Lallusione al Mito di Sisifo di Camus riporta le azioni domestiche a un piano pi cosmico, e il termine

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Chapel nel titolo assume una sua significativa religiosit: alle azioni frustrate e ai gesti futili si sommano i vizi assurdi. Oltre alla Chapel, la prima sala della Blain Southern che, occorre dirlo perch si sposa bene col lavoro di Viola, un gigantesco spazio bianco, impeccabilmente rifinito, che ricorda certe ville Californiane contiene tre pezzi del ciclo Mirage. Si tratta di opere girate a El Mirage, nel deserto del Mojave, che ritraggono lunghe camminate dallorizzonte verso lo spettatore, in cui i personaggi attraversano varie fasi di visibilit e invisibilit nel loro procedere lenti tra soffi di sabbia, di umidit, di foschie desertiche. Latmosfera mitica, addirittura biblica: sono figure che alla fine del percorso hanno attraversato qualcosa, e alla nitidezza dellimmagine corrisponde in qualche modo una nitidezza interiore, riflessa nei loro visi distesi, sereni, neutrali. Si parla molto nel catalogo della mostra, nelle recensioni, nelle discussioni fra i visitatori di passaggi interiori ed esteriori, attraversamenti geografici, mentali, spirituali. Ma ci che rende strano, ed estraneo, tutto questo la performativit quasi nave dei personaggi di Viola, questo loro fare mimetico, gesti quasi didattici, stati danimo ben disegnati sui visi eppure sospesi in una neutralit-serenit talmente innocente da rendere tutto abbastanza misterioso. Nelle messinscene di Viola c una specie di dramma di superficie, una narrativit di situazione, che sembra non avere mai degli effetti veri sui protagonisti. Puntano a uneventualit o a unaltra, illustrano scene quasi fossero parabole, ma tornano

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sempre al neutrale. Come se le opere fossero degli esempi, e i personaggi esemplari. Si vede bene nel terzo lavoro della prima sala, Man with His Soul, e il primo della seconda, Angel at the Door. Il primo un piccolo dittico raffigurante un uomo e la sua anima su due sedie, luomo a colori e lanima in bianco e nero. Luomo legge una lettera e la ripone in tasca, laria preoccupata e seria; lanima legge la stessa lettera e scoppia in lacrime. Aspettano qualcosa, non sapremo mai cosa. In Angel at the Door un uomo legge un libro ma viene continuamente interrotto da un bussare alla porta violento, minaccioso: quando finalmente avr il coraggio di aprire non trover nessuno. Poi luomo scompare, non sapremo mai dove o perch. Limpossibilit di leggere queste immagini in modo puramente narrativo viene non solo dalla neutralit serena degli attori, ma da quella degli interni minimali, perfettamente misurati; e dallaltissima definizione del video, da una messa a fuoco che sembra pi reale del reale, dalla sua pulizia e disarmante limpidezza. Eppure lelemento narrativo molto pi presente in Bill Viola che in altri video-artisti: come se questa limpidezza tecnica dovesse essere abitata da una limpidezza di esempio, come se il medium creasse il messaggio di s stesso, qualcosa che, come il medium, perfettamente in chiaro eppure stranamente oscuro. Altri due passaggi portano al piano inferiore. Man Searching for Immortality / Woman Searching for Eternity, proiettato su due grandi lastre di granito nero, mostra due attori anziani,

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nudi, che ispezionano con piccole torce i segni del proprio invecchiamento, comparendo e scomparendo quasi impercettibilmente nel nero della pietra. Inner Passage unaltra camminata nel Mojave interrotta, questa volta, da un lungo montaggio caotico di suono, luci, colori, esplosioni, incendi, automobili in corsa, cani inferociti. Di nuovo il momento drammatico non affidato allattore ma allimmagine stessa, limmagine da sola. Quando luomo torna sullo schermo, camminando a passi regolari, abbiamo limpressione di averlo seguito in un incubo il suo o il nostro poco importa, un incubo universale. E sembra anche che abbia bruciato la sua immagine sul video, e che le immagini di prima continuino a vivere nelle immagini di adesso, come se anche questo HD smagliante fosse, in fondo, composto come un antico palinsesto, in cui le tracce si confondono a ogni nuova lenta, silenziosa, lunghissima attraversata di El Mirage. Lopera in mostra nel sotterraneo della galleria forse la pi chiacchierata tra le nove, The Dreamers. Qui, Bill Viola torna allacqua, elemento chiave della sua ricerca ed elemento sia allegoricamente che fotograficamente denso, significativo. Sette schermi rivestono le pareti della saletta scura, e su ogni schermo c un sognatore: personaggi sottacqua, con gli occhi chiusi, che lentissimamente respirano. Uno dei dreamers limmagine usata per la promozione della mostra una bambina dalle lunghe trecce bionde con un vestitino rosso a balze che, vista da sola, fa pensare allOphelia di Millais. Vista insieme alle altre, invece, limmagine non

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ha nulla di tragico: si ha la sensazione di essere in pausa, come se tutti dormissero. Suoni acquatici si diffondono per la stanza, le bocche e i nasi dei sognatori producono minuscole bollicine, i loro visi vengono deformati dolcemente dal movimento dellacqua. Vediamo luomo daffari, la signora anziana ed elegante, la bambina in rosso, e pi che sentirci immersi nellopera come se ci riconoscessimo, tanto i sognatori si attengono alla preferenza stilistica di Bill Viola per la gente qualunque. come se la societ stessa, quelle che deambula tranquilla un piano pi in su, per le strade di Londra, fosse dun tratto sottacqua: il mondo sommerso. Ci si lascerebbe prendere da preoccupazioni fantascientifiche se non fosse per latmosfera, che cos lenta, rassicurante, calda. Bill Viola, Frustrated Actions and Futile Gestures. Londra, Blain Southern, 5 giugno - 27 luglio 2013

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IL CINEMA

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Alcuni film recenti su New York
Valerio Coladonato Che tipo di immaginario ha costruito il cinema recente su New York? Vengono in mente due versioni distinte e inconciliabili: c la citt dei blockbuster, teatro di eventi collettivi e disastri su vasta scala; e c quella vissuta in modo intimo e solipsistico, habitat del soggetto alienato da ogni contatto umano. Ma negli ultimi due anni una serie di nuovi film restituiscono una versione della vita nella Grande mela che sfugge a questa dicotomia. Lanello che mancava proprio il nesso tra individuo e contesto urbano. Emerge quindi il modo in cui lio sempre costituito e preso nella rete sociale, a maggior ragione in un luogo come New York, in cui gli scambi e gli scontri sono di frequenza e intensit eccezionali. Sono film di varia provenienza, accomunati da una produzione

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indipendente e dal passaggio in festival come Tribeca e Sundance (e in qualche caso, Cannes e Toronto). Ma le strettoie della distribuzione, non solo italiana, hanno impedito loro la visibilit che avrebbero meritato. Gimme the Loot, esordio di Adam Leon, segue lo scapestrato tentativo di due adolescenti del Bronx, Sophia e Malcolm, di guadagnarsi il loro quarto dora di celebrit. I due sono writers, ovvero marchiano di graffiti i muri della citt, e progettano di firmare la mela gigante nello stadio dei New York Mets. A caccia della grana (loot) per compiere limpresa, prendono di mira lappartamento di una facoltosa ragazza da scuola privata (Ginnie). questo lincontro pi riuscito del film, carico di allusioni alle differenze sociali di cui i personaggi manifestano acuta consapevolezza. Ma il segmento pi rocambolesco quello in cui, per dar tempo a Malcolm di svaligiarne lappartamento, Sophia insegue Ginnie nel suo jogging cittadino quasi una parodia dellangosciante sequenza che ritrae la stessa azione in Shame di Steve McQueen. Nel ritmo di Gimme the Loot si fondono lenergia delle culture giovanili urbane e i tempi serrati del cinema americano attuale. Anche Frances Ha si presenta, a tratti, come una commedia slapstick. La protagonista del film di Noah Baumbach unimprobabile ballerina che approda a Brooklyn per coronare le sue ambizioni, e si trova invece a fare i conti con let adulta. il pi classico dei canovacci newyorkesi, il racconto di formazione di un aspirante artista. Frances Ha confe-

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zionato in modo nostalgico: girato in bianco e nero, il film omaggia le colonne sonore di Georges Delerue ed stato avvicinato da molti a un Woody Allen dannata. Ma Baumbach intercetta anche unaltra tendenza nellindagare il desiderio di affermazione femminile nelle sue frustrazioni e nei suoi fallimenti, oltre che nella versione pi patinata (si pensi alla serie tv Girls, con la quale condivide lattore Adam Driver). Linfluenza dei migliori serial statunitensi evidente anche in Gun Hill Road, diretto da Rashaad Ernesto Green. Il film prende il titolo da una delle principali arterie del Bronx, in cui si sviluppa un tormentoso conflitto allinterno di una famiglia portoricana. Lex detenuto Enrique vuole riaffermare il ruolo paterno, ma il figlio adolescente Michael lo rifiuta: impegnato in una transizione dal gender maschile a quello femminile, modifica il proprio aspetto e il proprio abbigliamento. Gun Hill Road restituisce la tragica forza degli stereotipi e dei tentativi di normalizzazione coatta dellidentit sessuale, in un contesto ancorato a modelli tradizionali. Il regista presenta la duplice prospettiva del conflitto: langoscia di Enrique che sente minacciata la sua virilit, e la coraggiosa autoaffermazione di Michael. Tale scontro si avvale inoltre di due ottime prove attoriali, rispettivamente di Esai Morales e dellesordiente Harmony Santana. Anche Keep the Lights On (diretto da Ira Sachs) ruota attorno alla sessualit dei protagonisti: Erik un cineasta danese che cerca di farsi strada a New York, e affianca alla frenesia del lavoro una serie di fugaci incontri carnali. Quando incontra

Il noi e lio

Paul, un avvocato impegnato in una relazione eterosessuale, lattrazione li fa precipitare in un rapporto passionale quanto dannoso. Lintimit tra i due uomini sviscerata attraverso una narrazione episodica, drammaticamente depotenziata. Le strade affollate di Manhattan costituiscono un rifugio e un momento di quiete interiore per il protagonista. Ma linsistenza sulla claustrofobia della coppia va a discapito dellesplorazione del mondo che la circonda, e la dimensione forzatamente contemplativa del film finisce per indebolirlo. Altri titoli, come Restless City di Andrew Dosunmu, minano alla base la possibilit di tracciare un dentro e un fuori della citt, di isolare uno specifico newyorkese. La vicenda narrata rivisita un topos di lunga data: Djibril un giovane senegalese che sogna il successo nellindustria discografica; arrivato a New York sinvaghisce di una prostituta, tenta di farle cambiar vita, e rimane invischiato in affari pi grandi di lui. Il film mostra le interazioni tra la recente immigrazione africana e la comunit di Harlem: sul New York Times George Nelson lo ha inserito in una nuova linea del cinema nero, che problematizza lesperienza afroamericana. Restless City poi interessante per alcune scelte di messa in scena: lisolamento di Djibril tradotto attraverso angolazioni e movimenti anomali delle inquadrature, associate a suoni ovattati o distorti. Ma la solitudine del protagonista non una condizione intrinseca. Al contrario, le pur labili connessioni che egli riesce a stabilire testimoniano una ricerca e unapertura esistenziale forte.

Il noi e lio

Con lefficace titolo The We and the I (Il noi e lio), lultimo lavoro di Michel Gondry esemplifica meglio di ogni altro la tendenza che abbiamo provato a descrivere. Il film quasi un trattato sulla negoziazione tra le aspirazioni individuali e lambiente sociale, e sulla costante ridefinizione del s nel conflitto con gli altri. Ma non un film a tema: al contrario ha una struttura narrativa agile e frammentaria, che lascia irrisolte molte delle vicende evocate. Anche The We and the I ambientato nel Bronx. Un gruppo di liceali sale a bordo di un autobus dopo lultimo giorno di scuola, e nellaffollato tragitto condivide conversazioni, insulti, scherni, tentativi di approccio e conoscenza reciproca. Le interazioni dellinsieme multietnico di studenti, scandite a ritmo di hiphop, avvengono sia dal vivo che in modo virtuale. Ad esempio, laccesso via cellulare al video di un compagno di scuola determina linclusione o lesclusione dal gruppo dominante. Condensando una serie di temi metropolitani come il dinamismo, la volont di autoaffermazione, lesplorazione della sessualit, il confronto con lAltro e il passaggio allet adulta, il film li restituisce in forma fresca e contemporanea. Gli adolescenti di Gondry danno cos unefficace misura della vita di una citt conflittuale e vitale come New York. Adam Leon, Gimme the Loot (Usa 2012) Noah Baumbach, Frances Ha (Usa 2012) Rashaad Ernesto Green, Gun Hill Road (Usa 2011) Ira Sachs, Keep the Lights On (Usa 2012)

Il noi e lio

Andrew Dosunmu, Restless City (Usa 2011) Michel Gondry, The We and the I (Usa 2012)

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EDITORIALI Maurizio Ferraris Per una sinistra cosmopolita Franco Berardi Bifo La rivolta che non crede nel futuro Augusto Illuminati Distrazioni di massa Michele Emmer Si investe nella scienza, in Trentino Ornella Tajani Sul rischio manicheo di certe Ztl

Sommario

ILVA, LACCIAIO CHE UCCIDE Ilva, lacciaio che uccide Conversazione di Christian Caliandro Parlano gli operai Alessandro Leogrande Il groviglio, le scelte Leonardo Palmisano Dal tramonto allalba Crist Il sapore dellacciaio sporco EDITORIA INDYEUROPEA Editoria Indyeuropea Ilaria Bussoni Libri a qualunque costo

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Collettivo 451 La querelle dei moderni e dei moderni Alfonso Serrano Per farla finita con le briciole SCUOLA DIGITALE Giuseppe Dino Baldi Il tempo delle scelte EDUCAZIONE AMERICANA Educazione americana Eric Martin Oltre gli scioperi studenteschi Bruno Cava Il colore della quota

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Roberto Vargas Universit autonoma e lotte sociali Intervista a Natalia Polti di Claudia Bernardi e Alioscia Castronovo Bachilleratos populares PERSONAGGI DECCEZIONE Personaggi deccezione Pierluigi Basso Fossali Effetti di carisma Giacomo Festi Eccezion fatta, eccezion ficta Valentina Carrubba Lo specchio di Calibano MAURO STACCIOLI

Sommario

Simona Santini Mauro Staccioli Alberto Fiz La geometria deviata del grande costruttore RI-SITUAZIONISMO Ri-Situazionismo Mario Perniola Ci che vivo e ci che morto Anselm Jappe Lotta nelle strade contro lo spettacolo? Carsten Juhl Dalla critica allo spettacolo al corpo critico Laura Rascaroli Ancora alla deriva?

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Amalia Verzola Come ripensare la contestazione GRECIA Dimitri Deliolanes La guerra dellinformazione Vassilis Vassilikos No signal GRUPPO 63 Cinquantanni dopo Umberto Eco Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo? Giorgio Manganelli Sgomberare le macerie

Sommario

Elio Pagliarani Una mappa di terremoti Enrico Filippini Segni divergenti che non convergevano mai Giulia Niccolai Nella vasta mattina di luce implacabile Carla Vasio S, sono suoni, ma difficili da sentire 50 anni del Gruppo 63 PAOLO ROSA 1949-2013 Manuela Gandini Le armi dellarte e della gentilezza Paolo Fabbri Artista plurale

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GLI ARTISTI DI ALFABETA2 Giovanna Giusti Roberto Barni Passi doro Andrea Fiore Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964) SEMAFORO & LESSICO Maurizio Lazzarato Lessico delluomo indebitato Maria Teresa Carbone Semaforo ALFATURK UNA RIVOLTA TRASVERSALE Franco La Cecla Una protesta urbana

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Turgul Artunkal Democrazia islamica Alberto Fabio Ambrosio La Turchia come simbolo Eleonora Castagna Un coro di voci meraviglioso Conversazione di Eleonora Castagna con Melis nan e Sinem zer La potenza della ricerca di libert Sena Basoz Remixtenza POESIA Poesia Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile

Sommario

Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Esempi da Poesia 13 Cetta Petrollo Pagliarani Tre giorni a Rieti Marco Giovenale Spettri che parlano Massimiliano Manganelli EX.IT: contesti aperti Frammenti da EX.IT Gilda Policastro Non come vita ilRACCONTO

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Copi Virginia Woolf ha colpito ancora iLIBRI iLibri LA MUSICA Mario Gamba Un territorio aperto LARTE Flora Pitrolo Geologico e domestico IL CINEMA Valerio Coladonato Il noi e lio

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Autori

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Esempi da Poesia 13 Ilva, lacciaio che uccide Editoria Indyeuropea Educazione americana Personaggi deccezione Poesia Frammenti da EX.IT Ri-Situazionismo

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Cinquantanni dopo 50 anni del Gruppo 63 iLibri Collettivo 451 La querelle dei moderni e dei moderni Alberto Fabio Ambrosio La Turchia come simbolo Turgul Artunkal Democrazia islamica Giuseppe Dino Baldi Il tempo delle scelte Sena Basoz Remixtenza

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Franco Berardi Bifo La rivolta che non crede nel futuro Ilaria Bussoni Libri a qualunque costo Conversazione di Christian Caliandro Parlano gli operai Maria Teresa Carbone Semaforo Valentina Carrubba Lo specchio di Calibano Eleonora Castagna Un coro di voci meraviglioso Intervista a Natalia Polti di Claudia Bernardi e Alioscia Castronovo Bachilleratos populares

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Bruno Cava Il colore della quota Franco La Cecla Una protesta urbana Valerio Coladonato Il noi e lio Copi Virginia Woolf ha colpito ancora Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Crist Il sapore dellacciaio sporco Dimitri Deliolanes La guerra dellinformazione

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Umberto Eco Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo? Michele Emmer Si investe nella scienza, in Trentino Paolo Fabbri Artista plurale Maurizio Ferraris Per una sinistra cosmopolita Giacomo Festi Eccezion fatta, eccezion ficta Enrico Filippini Segni divergenti che non convergevano mai Andrea Fiore Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964)

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Alberto Fiz La geometria deviata del grande costruttore Pierluigi Basso Fossali Effetti di carisma Mario Gamba Un territorio aperto Manuela Gandini Le armi dellarte e della gentilezza Marco Giovenale Spettri che parlano Giovanna Giusti Roberto Barni Passi doro Augusto Illuminati Distrazioni di massa

Autori

Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile Anselm Jappe Lotta nelle strade contro lo spettacolo? Carsten Juhl Dalla critica allo spettacolo al corpo critico Maurizio Lazzarato Lessico delluomo indebitato Alessandro Leogrande Il groviglio, le scelte Massimiliano Manganelli EX.IT: contesti aperti Giorgio Manganelli Sgomberare le macerie

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Eric Martin Oltre gli scioperi studenteschi Giulia Niccolai Nella vasta mattina di luce implacabile Cetta Petrollo Pagliarani Tre giorni a Rieti Elio Pagliarani Una mappa di terremoti Leonardo Palmisano Dal tramonto allalba Mario Perniola Ci che vivo e ci che morto Flora Pitrolo Geologico e domestico

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Gilda Policastro Non come vita Laura Rascaroli Ancora alla deriva? Simona Santini Mauro Staccioli Alfonso Serrano Per farla finita con le briciole Ornella Tajani Sul rischio manicheo di certe Ztl Roberto Vargas Universit autonoma e lotte sociali Carla Vasio S, sono suoni, ma difficili da sentire

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Vassilis Vassilikos No signal Amalia Verzola Come ripensare la contestazione Conversazione di Eleonora Castagna con Melis nan e Sinem zer La potenza della ricerca di libert Torna al men

Argomenti

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Editoriali Ilva, Taranto & cultura Editoria indyeuropea Scuola digitale Educazione americana Personaggi deccezione Mauro Staccioli Poesia Ri-Situazionismo Grecia Gruppo 63 Paolo Rosa 1949-2013 Gli artisti di Alfabeta2 Semaforo & Lessico Alfaturk Il Racconto iLibri

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La Musica Larte Il Cinema Torna al men

Editoriali

Editoriali
Maurizio Ferraris Per una sinistra cosmopolita Franco Berardi Bifo La rivolta che non crede nel futuro Augusto Illuminati Distrazioni di massa Michele Emmer Si investe nella scienza, in Trentino Ornella Tajani Sul rischio manicheo di certe Ztl Torna al men

Ilva, Taranto & cultura

Ilva, Taranto & cultura


Ilva, lacciaio che uccide Conversazione di Christian Caliandro Parlano gli operai Alessandro Leogrande Il groviglio, le scelte Leonardo Palmisano Dal tramonto allalba Crist Il sapore dellacciaio sporco Torna al men

Editoria indyeuropea

Editoria indyeuropea
Editoria Indyeuropea Ilaria Bussoni Libri a qualunque costo Collettivo 451 La querelle dei moderni e dei moderni Alfonso Serrano Per farla finita con le briciole Torna al men

Scuola digitale

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Giuseppe Dino Baldi Il tempo delle scelte Torna al men

Educazione americana

Educazione americana
Educazione americana Eric Martin Oltre gli scioperi studenteschi Bruno Cava Il colore della quota Roberto Vargas Universit autonoma e lotte sociali Intervista a Natalia Polti di Claudia Bernardi e Alioscia Castronovo Bachilleratos populares Torna al men

Personaggi deccezione

Personaggi deccezione
Personaggi deccezione Pierluigi Basso Fossali Effetti di carisma Giacomo Festi Eccezion fatta, eccezion ficta Valentina Carrubba Lo specchio di Calibano Torna al men

Mauro Staccioli

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Simona Santini Mauro Staccioli Alberto Fiz La geometria deviata del grande costruttore Torna al men

Poesia

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Poesia Andrea Inglese Per una poesia irriconoscibile Andrea Cortellessa Per riconoscerla: tre connotati Esempi da Poesia 13 Cetta Petrollo Pagliarani Tre giorni a Rieti Marco Giovenale Spettri che parlano

Poesia

Massimiliano Manganelli EX.IT: contesti aperti Frammenti da EX.IT Gilda Policastro Non come vita Torna al men

Ri-Situazionismo

Ri-Situazionismo
Ri-Situazionismo Mario Perniola Ci che vivo e ci che morto Anselm Jappe Lotta nelle strade contro lo spettacolo? Carsten Juhl Dalla critica allo spettacolo al corpo critico Laura Rascaroli Ancora alla deriva? Amalia Verzola Come ripensare la contestazione

Ri-Situazionismo

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Grecia

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Dimitri Deliolanes La guerra dellinformazione Vassilis Vassilikos No signal Torna al men

Gruppo 63

Gruppo 63
Cinquantanni dopo Umberto Eco Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo? Giorgio Manganelli Sgomberare le macerie Elio Pagliarani Una mappa di terremoti Enrico Filippini Segni divergenti che non convergevano mai Giulia Niccolai Nella vasta mattina di luce implacabile

Gruppo 63

Carla Vasio S, sono suoni, ma difficili da sentire 50 anni del Gruppo 63 Torna al men

Paolo Rosa 1949-2013

Paolo Rosa 1949-2013


Manuela Gandini Le armi dellarte e della gentilezza Paolo Fabbri Artista plurale Torna al men

Gli artisti di Alfabeta2

Gli artisti di Alfabeta2


Giovanna Giusti Roberto Barni Passi doro Andrea Fiore Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964) Torna al men

Semaforo & Lessico

Semaforo & Lessico


Maurizio Lazzarato Lessico delluomo indebitato Maria Teresa Carbone Semaforo Torna al men

Alfaturk

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Franco La Cecla Una protesta urbana Turgul Artunkal Democrazia islamica Alberto Fabio Ambrosio La Turchia come simbolo Eleonora Castagna Un coro di voci meraviglioso Conversazione di Eleonora Castagna con Melis nan e Sinem zer La potenza della ricerca di libert Sena Basoz Remixtenza

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Il Racconto

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Copi Virginia Woolf ha colpito ancora Torna al men

iLibri

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La Musica

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Mario Gamba Un territorio aperto Torna al men

LArte

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Flora Pitrolo Geologico e domestico Torna al men

Il Cinema

Il Cinema
Valerio Coladonato Il noi e lio Torna al men

Indice delle cose citate

Indice delle cose citate


(Timequakes), in Esempi da Poesia 13. 44, in Per riconoscerla: tre connotati. Abecedario, in Per riconoscerla: tre connotati. Ai bordi del politico, in Spettri che parlano. Almanacco Bompiani, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. Ambiente spaziale a luce nera, in La geometria deviata del grande costruttore. Angel at the Door, in Geologico e domestico. Angelus Novus, in Per riconoscerla: tre connotati. Angelus Novus. Saggi e frammenti, in Per riconoscerla: tre connotati. Apocalittici e integrati, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Appello dei 451, in La querelle dei moderni e dei moderni. Appunti su un ritratto nella selva, in iLibri. Armamentari darte e comunicazione, in Le armi dellarte e della gentilezza. Art and Propaganda, in Remixtenza. Art and Propaganda. Extract from The Messenger, in Remixtenza.

Indice delle cose citate

Arte abitabile, in La geometria deviata del grande costruttore. Arte povera +Azioni povere, in La geometria deviata del grande costruttore. Articolazione totale, in La geometria deviata del grande costruttore. Austerlitz, in iLibri. Autocarri, in La geometria deviata del grande costruttore. Bagnanti, in Esempi da Poesia 13. Ballata di Rudi, in Cinquantanni dopo. Barriere, in La geometria deviata del grande costruttore. Barthes di Roland Barthes, in Per riconoscerla: tre connotati. Battaglia di Farsalo, in iLibri. Bella addormentata nel bosco, in Cinquantanni dopo. Biblia pauperum, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Boardwalk Empire, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Bones, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Breaking Bad, in Effetti di carisma. Breaking Bad, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Breaking Bad, in Lo specchio di Calibano. Caffettiera per masochisti, in iLibri. Cancellazione del debito pubblico, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Caro diario, in Ancora alla deriva?.

Indice delle cose citate

Casa di campagna, in iLibri. Casta diva, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Chapel of Frustrated Actions and Futile Gestures, in Geologico e domestico. Che cos il contemporaneo?, in Per riconoscerla: tre connotati. Che cos latto di creazione, in La potenza della ricerca di libert. Cinema americano classico, in iLibri. Cinema e piacere visivo, in iLibri. Cinema moderno, in iLibri. Citt aperta, in iLibri. Codici ottomani, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Come difendersi dallarte e dalla pioggia, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Conspiracy, in Un territorio aperto. Contro il colonialismo digitale, in Il tempo delle scelte. Costituzione cancellata, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Costo della vita, in iLibri. Creazione, in Le armi dellarte e della gentilezza. Croce 432, in iLibri. Csi, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Cultura delle destre, in iLibri. Cycling the Frame, in Ancora alla deriva?. Dexter, in Effetti di carisma.

Indice delle cose citate

Dexter, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Dexter, in Lo specchio di Calibano. Di alcuni motivi in Baudelaire, in Per riconoscerla: tre connotati. Diagonale rossa, in Mauro Staccioli. Dichiaro di essere Emilio Isgr, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Dichiaro di non essere Emilio Isgr, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Disobbedisco, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Divergent Metropolis, in Ancora alla deriva?. Documenta 8, in Artista plurale. Doktorum, in Remixtenza. Dubliners, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. Dcade, in Ci che vivo e ci che morto. EX.IT - Materiali fuori contesto, in Frammenti da EX.IT. El lugar sin limites, in iLibri. El osceno pjaro de la noche, in iLibri. El sheita elli fat, in La rivolta che non crede nel futuro. Enciclopedia italiana Treccani, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Erfahrung, in Per riconoscerla: tre connotati. Eroe dei due mondi, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Eroe della cancellatura, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Es War Einmal, in Un territorio aperto.

Indice delle cose citate

Everyday Im Chapulling, in Remixtenza. Everyday Im Shuffling, in Remixtenza. Exit Through the Gift Shop, in Remixtenza. Extended Self in a Digital World, in Semaforo. Fare gli italiani. 150 anni di storia italiana, in Artista plurale. Faust, in iLibri. Feminist Film Theory, in iLibri. Femme assise, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Fenomenologia, in iLibri. Filosofie della praxis, in iLibri. Finnegans Wake, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. Fosso, in Mauro Staccioli. Frances Ha, in Il noi e lio. Franz Kafka. Per il decimo anniversario della sua morte, in Per riconoscerla: tre connotati. Freud e la psicologia dellarte, in iLibri. From One Second to the Next, in Semaforo. Frustrated Actions and Futile Gestures, in Geologico e domestico. G., in iLibri. Genesi, in Le armi dellarte e della gentilezza. Georgiche, in iLibri.

Indice delle cose citate

Gimme the Loot, in Il noi e lio. Girls, in Il noi e lio. Governo delluomo indebitato. Tecnologie delle politica neoliberista, in Lessico delluomo indebitato. Grande Serto, in iLibri. Great Transformation, in iLibri. Gruppo 63. La nuova letteratura, in Cinquantanni dopo. Guernica, in Remixtenza. Gun Hill Road, in Il noi e lio. Herzog on Tackling Texting and Driving in New Film, in Semaforo. High Wycombe, in Ancora alla deriva?. High Wycombe: Psychogeographic Nodules of Energy Walk, in Ancora alla deriva?. History Will Pardon Manning, Even if Obama Doesnt, in Semaforo. Home, in Esempi da Poesia 13. Hopefulmonsters, in iLibri. House M.D., in Effetti di carisma. House M.D., in Eccezion fatta, eccezion ficta. House M.D., in Lo specchio di Calibano. How Grindr Has Transformed Users Experience of Intimacy, in Semaforo. Hugh Selwyn Mauberley, in Per riconoscerla: tre connotati. I situazionisti, in Ci che vivo e ci che morto.

Indice delle cose citate

Il costo della vita, in iLibri. Il giardino delle cose, in Artista plurale. Il grande angolo, in Cinquantanni dopo. Il luogo senza confini, in iLibri. Il naufragio, in iLibri. Il nuotatore, in Artista plurale. Il romanzo sperimentale, in Cinquantanni dopo. Il rovescio del dolore, in iLibri. Il settimo uomo, in iLibri. Il trasloco, in iLibri. In negativo, in Cinquantanni dopo. In principio (e poi), in Le armi dellarte e della gentilezza. Inattuali, in Per riconoscerla: tre connotati. Indignados, in Lotta nelle strade contro lo spettacolo?. Inland Empire, in iLibri. Inner Passage, in Geologico e domestico. Intervento, in Per riconoscerla: tre connotati. Jacqueline, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Jamaica, in Un territorio aperto. Jours critiques, in Come ripensare la contestazione. Keep the Lights On, in Il noi e lio. Kendim Ettim Kendim Buldum, in Remixtenza.

Indice delle cose citate

La Lzarde, in iLibri. La camera astratta, in Artista plurale. La camera rovesciata, in Esempi da Poesia 13. La catastrfa, in iLibri. La cit de rats, in Virginia Woolf ha colpito ancora. La guerre des pds, in Virginia Woolf ha colpito ancora. La letteratura dellesaurimento, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. La metropoli e la vita dello spirito, in Per una poesia irriconoscibile. La plante malade, in Ci che vivo e ci che morto. La posie comme exprience, in Per riconoscerla: tre connotati. La preistoria acustica della poesia, in iLibri. La psychanalyse face lIslam, in La rivolta che non crede nel futuro. La querelle des modernes et des modernes, in La querelle dei moderni e dei moderni. La rivolta, in Sul rischio manicheo di certe Ztl. La societ dello spettacolo, in Lotta nelle strade contro lo spettacolo?. La vie est un tango, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Le Georgiche, in iLibri. Le bal des folles, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Le citt invisibili, in Sul rischio manicheo di certe Ztl. Le poesie e prose scelte, in Per riconoscerla: tre connotati.

Indice delle cose citate

Le relazioni, in Esempi da Poesia 13. Le risorse umane, in iLibri. Le vacanze intelligenti, in La geometria deviata del grande costruttore. Leon Battista Alberti, in iLibri. Les demoiselles dAvignon, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. Les vieilles putes, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Lezione di fisica, in Tre giorni a Rieti. Lie to Me, in Effetti di carisma. Lie to Me, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Lineamenti della filosofia del diritto, in iLibri. London, in Ancora alla deriva?. London Orbital, in Ancora alla deriva?. Lost, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Luoghi desperienza, in Mauro Staccioli. LInternationale argentine, in Virginia Woolf ha colpito ancora. LItalia che dorme, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Larte fuori di s. Un manifesto per let post-tecnologica, in Le armi dellarte e della gentilezza. Larte fuori di s. Un manifesto per let post-tecnologica, in Artista plurale. Linfinito intrattenimento. Scritti sullinsensato gioco di scrivere, in Per riconoscerla: tre connotati. Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, in Remixtenza.

Indice delle cose citate

Lora italiana, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Lultimo viaggio, in Cinquantanni dopo. Luruguayen, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Mad Man, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Maest, in iLibri. Man Searching for Immortality / Woman Searching for Eternity, in Geologico e domestico. Man with His Soul, in Geologico e domestico. Manifesto contra-sessuale, in Dalla critica allo spettacolo al corpo critico. Memoria degli Uffizi, in iLibri. Milano-poesia, in Le armi dellarte e della gentilezza. Mirage, in Geologico e domestico. Mito di Sisifo, in Geologico e domestico. Modello Italia, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Modello Italia (2013-1964), in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Mousse, in Frammenti da EX.IT. Muro, in Mauro Staccioli. Muro, in La geometria deviata del grande costruttore. New Thing, in Un territorio aperto. Nurse Jackie, in Effetti di carisma. Nuts and Bolts: Thought Verbs, in Semaforo. Occupy Wall Street, in Lotta nelle strade contro lo spettacolo?.

Indice delle cose citate

Oggetti introvabili, in iLibri. Oltre i titoli di coda, in Per riconoscerla: tre connotati. Open City, in iLibri. Opere scelte, in Per riconoscerla: tre connotati. Ophelia, in Geologico e domestico. Ora italiana, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Osceno uccello, in iLibri. Ottavo quaderno di poesia contemporanea, in iLibri. Out of the Closet and into the Gym, in Semaforo. Passi doro, in Roberto Barni Passi doro. Percorsi narrativi e affreschi multimediali, in Artista plurale. Piacere visivo e cinema narrativo, in iLibri. Piramide 38 Parallelo, in Mauro Staccioli. Poesia 13, in Per riconoscerla: tre connotati. Politique de la littrature, in Per una poesia irriconoscibile. Portrait, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. Problem based learning, in Il tempo delle scelte. Processo, in iLibri. Processo di Giordano Bruno,, in iLibri. Protocolli, in Frammenti da EX.IT. Psycho, in iLibri. Quando arrivarono gli alieni, in Frammenti da EX.IT.

Indice delle cose citate

Quarto potere, in iLibri. Quattro vite jazz, in Un territorio aperto. Racconto del fiume Sangro, in iLibri. Rebecca, in Un territorio aperto. Restless City, in Il noi e lio. Ritratto di Tocqueville, in iLibri. Robinson in Ruins, in Ancora alla deriva?. Robinson in Space, in Ancora alla deriva?. Romanzi di Finisterre, in iLibri. Rosa dellanimale, in Esempi da Poesia 13. Saturazioni, in Frammenti da EX.IT. Sbarco a Marsala, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Scartabello, in Per riconoscerla: tre connotati. Scienza della logica, in iLibri. Segnalibro. Poesie 1951-1981, in Per riconoscerla: tre connotati. Sequenza X, in Un territorio aperto. Serie Ospedaliera, in S, sono suoni, ma difficili da sentire. Shame, in Il noi e lio. Sherlock, in Effetti di carisma. Sherlock, in Lo specchio di Calibano. Shibboleth, in La geometria deviata del grande costruttore. Sinopia, in Frammenti da EX.IT.

Indice delle cose citate

Sotto peggiori paragrafi, in Frammenti da EX.IT. Spazio elastico, in La geometria deviata del grande costruttore. Spazio mitico, estetico e teorico, in Dalla critica allo spettacolo al corpo critico. Storie puttanesche, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Strada delle Fiandre, in iLibri. Stripsody, in Un territorio aperto. Superman, in Eccezion fatta, eccezion ficta. Take a Breath, in Remixtenza. Talvolta, dicevo a Stphane Mallarm, in Per riconoscerla: tre connotati. Tapesong, in Un territorio aperto. Taranto, in Dal tramonto allalba. Tavoli. Perch queste mani mi toccano?, in Artista plurale. Teatro, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Teletubbies, in Remixtenza. Teoria, in iLibri. Terza persona. Politica della vita e filosofia dellimpersonale, in Per riconoscerla: tre connotati. The $4 Million Teacher, in Semaforo. The Dreamers, in Geologico e domestico. The Invisible Frame, in Ancora alla deriva?. The Messenger Reader, in Remixtenza.

Indice delle cose citate

The Naked City, in Ancora alla deriva?. The Real Reason Why So Many People Overshare on Facebook, in Semaforo. The Topography of the Lungs, in Un territorio aperto. The Tyranny of Buffness, in Semaforo. The We and the I, in Il noi e lio. Tondo Doni, in iLibri. Tractatus, in Per una poesia irriconoscibile. Trattato sul governo di Firenze, in iLibri. Traverse Me, in Ancora alla deriva?. Trenitalia, in Esempi da Poesia 13. Tutto il teatro, in Cinquantanni dopo. Twin Peaks, in Effetti di carisma. Ulysses, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. Un luogo in lacrime, in iLibri. Underground Railroad, in iLibri. Une langouste pour deux, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Universit Inc., in Oltre gli scioperi studenteschi. Vaga lingua strana. Dai versi tradotti, in Per riconoscerla: tre connotati. Var ve yok, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Variet, in Per riconoscerla: tre connotati. Vedute. Quel tale non sta mai fermo, in Artista plurale. Velluto blu, in iLibri.

Indice delle cose citate

Venere, in iLibri. Verifica incerta, in Ma ti paiono questi i tempi per scrivere un romanzo?. Videoambienti e ambienti sensibili, in Artista plurale. Virginia Woolf a encore frapp, in Virginia Woolf ha colpito ancora. Visage, in Un territorio aperto. Vita di Pascal, in iLibri. Vita privata di una cultura, in Cinquantanni dopo. Voce!, in Tre giorni a Rieti. Volkswagen, in Emilio Isgr Modello Italia (2013-1964). Winter of Discontent, in La rivolta che non crede nel futuro. Internationale situationniste 1957-1969, in Ci che vivo e ci che morto. uvres, in Ci che vivo e ci che morto.

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