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di Michael Baigent (tratto, per gentile concessione della Marco Tropea Editore, dal volume "Misteri Antichi" 1999)
di Michael Baigent
QUANTE ATLANTIDI IN FONDO AL MARE
di di Daniele Abbiati ("Il Giornale", 30 maggio 1999)
Se il sonno della ragione genera mostri, non c’è dubbio che quando la mente si limita a
sonnecchiare ciò che ne sortisce è il mito. Una via di fuga dalla realtà o, meglio, un modo
più elegante di spiegarla. Del resto secondo fior di scienziati, Einstein in testa, una teoria
che si rispetti dev’essere anche «bella». E allora, non ci sono dubbi: in questo senso
Atlantide stravince. Le notizie che giungono dall’Oceano Indiano e delle quali ha già
riferito Il Giornale, lasciano tutti a bocca aperta. Gli studiosi che lavorano a bordo della
nave «Joides Resolution» avrebbero finalmente trovato riscontri dell’esistenza del mitico
continente scomparso. Frugando nel plateau sottomarino delle Isole Kerguelen (Terre
australi e antartiche francesi), nell’Oceano Indiano, si sono rinvenuti frammenti di legno,
semi e pollini in un sedimento datato 90 milioni di anni. La prova che in tempi
remotissimi almeno una parte di quella regione, ha detto il geologo Mike Coffin, «era
sopra il livello del mare». Affiorato per la prima volta 110 milioni di anni fa a seguito di
colossali eruzioni vulcaniche, il «Sesto Continente» sarebbe poi naufragato per la
contrazione del magma. Ma dalla morte di una civiltà probabilmente avanzatissima
nacque un filone letterario. Il primo a intuire la straordinaria importanza di una leggenda
pervenutagli di ….. quinta mano fu Platone. Il filosofo greco, in due dialoghi, Timeo e
Crizia, riporta infatti le parole di Crizia, il quale a sua volta replica il racconto fattogli da
Solone che aveva riferito al fratello Dropide quanto gli avevano detto alcuni sacerdoti
egizi. Ebbene, proprio all’interno di queste «scatole cinesi» troviamo gli indizi del mito. In
estrema sintesi. Oltre 9mila anni prima di Solone un regno perfetto in tutte le sue
componenti, dominio di Poseidon, il dio del mare, e collocato oltre le Colonne d’Ercole,
finì a causa di un evento catastrofico. Detto per inciso, novemila anni prima di Solone
significavano, per Platone e i suoi contemporanei, qualche cosa molto vicina
all’incommensurabilità. Dopo Platone fu la volta di Aristotele, Erodoto, Diodoro Siculo,
Strabone, Gaio Plinio Secondo e Plutarco (per citare soltanto alcuni). Riportarono notizie
confuse, misero in relazione strane segnalazioni, rincorsero con la ragione e la fantasia
ciò che non si poteva toccare con mano. Dopo di loro vennero innumerevoli schiere di
altri autori, dal Medioevo in poi. A guidarci in questa saga infinita è ora un bel libro di
Lyon Sprague de Camp, Il mito di Atlantide e i continenti scomparsi, riproposto da
Fanucci dopo l’edizione dell’80. Ingegnere aeronautico, narratore prima per diletto e poi
per professione, precursore dello stile fantasy, prolifico romanziere, de Camp si è
divertito a fare le pulci ai suoi «colleghi» del passato. Chi chiama in causa le leggende
arturiane e quindi l’isola di Avalon, chi vede un legame con il Nuovo Mondo, chi invece
preferisce rifarsi all’Africa, o all’India, o a Iperborea, o alla Thüle del navigatore
marsigliese Pitea. Altri citano gli esploratori gallesi come il principe Madoc ab Owen
Gwynnedd, ipotetici ponti sull’Atlantico, l’isola Ogigia sulla quale capita Ulisse,
Cartagine, Creta, i Maya, i Polinesiani, la biblica Tartesso (la destinazione di Giona, nei
pressi dell’attuale Cadice), la deriva dei continenti. Lo scettico de Camp ha buon gioco
nel ricordare con ironia le parole di un personaggio di Lewis Carroll: «Ciò che vi dico per
tre volte è vero». Soprattutto quando sottolinea che l’Atlantide dei teosofi corrisponde
alle descrizioni di Marte che leggiamo nei romanzi di Edgar Rice Burroughs. O quando
riporta la teoria del tedesco Karl Georg Zschaetzsch (1922, data alquanto sospetta),
secondo cui i veri ariani furono gli Atlantidei. Alcuni, poi, negli ultimi tempi hanno
collocato il continente scomparso 80 miglia al largo delle Land’s End, nel Regno Unito, o
su un altopiano della Bolivia. Spetta ora all’équipe della «Joides Resolution» fare piazza
pulita di errori e bugie. Ma sappiamo già che se ci riuscirà rimpiangeremo l’Atlantide dei
nostri sogni.
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La tomba e le sue offerte sembrano differenziarsi per molti versi da un'altra tomba
trovata nel sito un anno prima. Tale monumento, associato in maniera chiara alla quarta
fase di sviluppo della piramide, ospitava soltanto un donna - una vittima sacrificale - così
come un lupo, un giaguaro, un puma, un serpente e scheletri di volatili, oltre a 400
offerte, comprese una grande pietra verde e figurine di ossidiana, coltelli cerimoniali e
punte di lancia. "Il contenuto di tale nuova sepoltura sembra significativamente
differente dalla tomba che abbiamo scoperto l'anno scorso", ha dichiarato Sugiyama.
"Ma vi sono molti aspetti, qui, forse simili a quelli che riscontrammo dieci anni fa nelle
tombe sotto la Piramide di Quetzalcòatl". Sugiyama nota la presenza di molte lame di
ossidiana verde nella nuova tomba - ossidiana che manca nella tomba della piramide
quattro, ma comune nelle sepolture della Piramide di Quetzalcòatl - e un pendaglio
nasale in pietra verde a forma di farfalla che è "esattamente dello stesso stile di quelli
trovati nella suddetta Piramide".
Fasi successive
L'attuale scoperta sembra collegarsi ad una fase dello sviluppo della piramide, che seguì
alla costruzione della piramide quattro - una fase distinta nella storia della struttura
sconosciuta fino ad ora. Gli abitanti di Teotihuacan edificarono piramidi più grandi sulla
cima di monumenti precedenti, spesso ricostruendo parzialmente i preesistenti. Da
ricerche passate si pensava fossero esistite cinque fasi per la Piramide della Luna, che
durante la fase uno (I secolo a.C.) assurse a monumento più importante di Teotihuacan.
Gli scavi mostrano un salto nelle dimensioni e nelle complessità dell'ingegneria con la
costruzione della piramide quattro. Sugiyama e Cabrera hanno trovato evidenze che
indicano un significativo rimodellamento della piramide quattro - un quinto periodo di
ricostruzione - che avvenne prima dell'aggiunta finale alla piramide. Questa quinta fase,
che comprende la tomba scoperta di recente, sembra essere un importante
modificazione dell'architettura, della posizione e delle dimensioni della quarta struttura.
Parte del rimodellamento coinvolse lo stile architettonico "talud-tablero" della Piramide
della Luna che domina le strutture oggi visibili, compresa la Piramide di Quetzalcòatl e la
Piramide del Sole. L'evidenza nelle differenze delle offerte cerimoniali tra la piramide
quattro e la sua versione rimodellata, la piramide cinque, suggerisce pertanto un
importante mutamento nella cultura che può essersi riflettuto nella costruzione della
Piramide di Quetzalcòatl e nella Piramide del Sole. Entrambe furono costruite in gran
parte in una volta e sono più recenti rispetto alla prima fase della Piramide della Luna.
"Non vi sono ancora abbastanza dati per dare una valutazione definitiva, ma la cosa
affascinante è che le immagini mitiche che osserviamo nei murali di guerra dell'ultimo
periodo di Teotihuacan - giaguari, coyotes e aquile con vestimenti e copricapi - sono
composti di elementi presenti nelle sepolture più antiche. Le usanze del periodo in
questione sembrano aver avuto un effetto duraturo", ha affermato Sugiyama.
Il luogo degli Dei
Sebbene gli archeologi siano rimasti a lungo affascinati dal sito, la cultura di Teotihuacan
e la sua storia sono ancora in gran parte misteriose. La civiltà ha lasciato enormi rovine,
ma non è stata trovata traccia di un sistema di scrittura e molto poco si conosce dei suoi
abitanti, cui succedettero per primi i Toltechi e poi gli Aztechi. Gli Aztechi non vivevano
nella città, ma furono loro a dare i nomi attuali al posto e alle sue strutture più grandi. Lo
consideravano il "Luogo dove nascono gli Dèi", dove sarebbe stato creato il mondo
attuale. Al suo apogeo intorno al 500 d.C., Teotihuacan conteneva forse 200.000
persone, una città superbamente progettata che copriva all'incirca 12 chilometri
quadrati, più grande ed avanzata di ogni altro insediamento europeo del tempo. La sua
civiltà era contemporanea dell'antica Roma, e durò a lungo - più di 500 anni. Gli scavi
attuali sotto la Piramide della Luna potrebbero essere una delle più grandi opportunità
per rispondere a domande ancora irrisolte sulla civiltà di Teotihuacan, poiché la sua
sottostante, antica e primitiva costruzione rocciosa non compatta, può aver protetto
segreti sepolti rendendo difficoltoso lo scavo sotterraneo. Sugiyama spera di trovare
ancora altre tombe. "Quello che abbiamo notato è che questa tomba si trova a pochi
metri ad est dell'asse nord-sud della città. Questa popolazione era di norma molto
precisa e raramente compiva qualcosa asimmetricamente. Con questo dato di fatto,
crediamo di poter scoprire altre sepolture basate su mappe accurate".
IL GIOCO INGEGNERISTICO DI GIZA
di John Anthony West (da "Hera" n. 4 - aprile 2000)
E' recente la pubblicazione di un libro dal titolo "Giza: The Truth" ("Giza: la Verità", Virgin,
Londra, 1999) in cui gli autori, Chris Ogilvie-Herald e Ian Lawton, espongono le loro
ricerche circa i monumenti della piana di Giza e su un ipotetica civiltà perduta. Poiché vi
sono state tirate in ballo le mie teorie, quelle di Robert Bauval e di altri professionisti e
studiosi, ho creduto opportuno rispondere attraverso più fonti, compresa questa rivista,
considerando che ciò possa rappresentare un'occasione per riassumere le mie teorie
sulla Sfinge.
Quello che Lawton non vuole accettare è che io e Robert Schoch "abbiamo ragione" circa
la retrodatazione dell'età del monumento leonino di Giza. Niente può spiegare l'erosione
nel muro di cinta del monumento, soprattutto alle estremità est e ovest, tranne la
pioggia, molta pioggia e per un lungo periodo di tempo. Sino a quando questo non sarà
spiegato nella cornice dell'Egitto Dinastico (e non può esserlo) la teoria di una civiltà
perduta, precedente le dinastie conosciute, resta valida. Nel loro libro Lawton e Gilvie-
Herald inoltre attaccano l'analisi forense eseguita sul volto della Sfinge da Frank
Domingo, disegnatore capo della polizia di New York, esperto in identikit. A parte
l'assoluta inadeguatezza delle loro argomentazioni quest'occasione mi permette di
riassumere lo splendido lavoro svolto da Domingo. Gli autori scrivono: "ad un livello non
forense la ricostruzione del volto della Sfinge e quello di Chefren, appaiono strettamente
similari, eccetto il fatto che quello della Sfinge è più squadrato. Osservandolo da un
punto di vista laterale, una volta che il naso è stato ricostruito, il volto della Sfinge è
apparentemente negroide. Ad ogni modo, il profilo degli occhi, del naso e delle labbra è
marcatamente somigliante al volto di Kefren, sebbene le loro relative posizioni non
coincidano perfettamente".
Frank Domingo è uno dei più quotati artisti forensi del mondo, una riconosciuta autorità
in un campo altamente specializzato. Al contrario la competenza dei due autori in questo
settore è praticamente zero. Arrivare a cambiare le asserzioni di Domingo sul viso della
Sfinge e affermare che questa coincide con il volto del faraone Chefren, è equivalente a
me che con competenza zero in medicina, eseguo un'analisi ai raggi X. Domingo, Schoch
ed io abbiamo dimostrato quanto la testa della Sfinge sia sproporzionatamente più
piccola rispetto al corpo di leone e certamente rilavorata da qualche sconosciuto faraone
in un'epoca imprecisata molto tempo fa. E' stato anche suggerito dall'egittologo Ahem
Fayed che la testa della Sfinge venne riscolpita in epoche successive, forse da
Tutankhamon. Per una serie di ragioni complesse non possiamo addentrarci in
quest'ultima ipotesi, ma non la condividiamo. Inoltre, nel caso si accettasse la teoria del
restiling facciale e ignorando totalmente le prove geologiche a favore di un'età più
vetusta per la Sfinge, l'ipotesi Tutankhamon potrebbe essere impiegata per mantenere
inalterata la cronologia standard della storia egizia. Per produrre il suo studio, Frank
Domingo si accertò che il viso della Sfinge e quello di Chefren, esposto al museo del
Cairo, venissero fotografati dalla medesima angolazione così che potessero essere
sovrapposti.
Domingo, dall'alto della sua competenza ha dimostrato che il pronunciato prognatismo
della Sfinge e la sua totale mancanza in quello di Chefren mostrano due differenti
individui. Pertanto la Sfinge non presenta il volto di Chefren e non è stata da questi
costruita, tantomeno riscolpita. Certo, Domingo non è infallibile, può sbagliare, ma in
questo caso specifico il giudizio di Lawton e Ogilvie-Herald è totalmente fuori da ogni
buon senso. A mio parere la Sfinge resta la migliore evidenza di una civiltà avanzata
vissuta in epoche remote.
Come vennero costruite le piramidi?
Vediamo ora cosa affermano i due, circa la costruzione delle piramidi: "le nostre ricerche
sono a favore della spiegazione ortodossa su "come" le piramidi vennero erette (nel
2.500 circa) e sul "perché" (in primo luogo come edifici funerari ma vi sarebbe coinvolta
anche una forte componente esoterico-simbolica). Crediamo che non esistano prove
conclusive che richiedano di andare a cercare spiegazioni al di fuori delle teorie non
ortodosse, sebbene vi siano casi "eccezionali" riguardanti i blocchi granitici da 70
tonnellate posizionati in alto (a nostro avviso mediante una rampa a spirale) tra un
mezzo ed un terzo dell'altezza della Grande Piramide, a formare il soffitto/pavimento
della Camera del Re e della Regina. Non crediamo che la logistica impiegata per la
costruzione della piramide di Cheope in 20 anni - o quella di suo padre Snefru che ha
costruito tre rilevanti piramidi nello stesso periodo - fosse "impossibile" o richiedesse
qualcosa di più avanzato rispetto ad una dedizione di massa ad un superbo progetto
"nazionale", ovvero al potenziamento del lavoro umano o animale grazie all'uso di una
"tecnologia avanzata", come Chris Dunn asserisce. I lettori saranno al corrente che
abbiamo approfondito anche le teorie alternative, in particolare, la retrodatazione della
Sfinge e la correlazione delle piramidi con Orione e pensiamo che queste siano
assolutamente errate, non per assunto ideologico ma perché crediamo che non vi siano
sufficienti prove a supporto".
Équipe di esperti asseriscono che attualmente è impossibile spiegare il fatto che blocchi
da 200 tonnellate siano stati posti con facilità a formare le strutture del tempio della
Valle e del tempio della Sfinge e i blocchi da 70 tonnellate siano stati impiegati per la
Camera del Re nella Grande Piramide. Dopo concertati e approfonditi studi, coinvolgenti i
metodi di costruzione della piramide, nessuna semplice rampa, leva o slitta (strumenti
che gli Egiziani potevano avere a loro disposizione) è capace di spiegare come quelle
pietre sono state posizionate. Questo comunque non esclude che gli Egiziani potessero
farlo in quel modo. A supporto di questa convinzione c'è solo un ingegnoso quanto
inappropriato esperimento fatto con rampe e funi, tentato dall'egittologo Mark Lehner,
mediante il quale blocchi da una tonnellata e mezza o due, vennero con successo ma
approssimativamente posti al di sopra di una rampa di 6 metri (l'esperimento venne
filmato, ma a telecamere spente un bulldozer spinse i recalcitranti blocchi ad una
distanza notevolmente più accessibile. La mancanza di tempo per l'esperimento fu la
spiegazione). Questo interessante piccolo esercizio venne avanzato da Lehner e ora da
Olgivie-Herald e Lawton, come "prova" che quello era il metodo impiegato dagli antichi,
ignorando completamente i problemi derivanti dallo spostamento di monoliti di 200
tonnellate nel Tempio della Valle e da blocchi di 70 tonnellate posti a circa 50 metri
d'altezza nella Grande Piramide. La tecnologia non lavora come il body building. I metodi
tecnologici hanno dei limiti auto-imposti. Ciò che funziona con 10 tonnellate non è
scontato che lo faccia anche con 70 o 200 tonnellate. Esiste su questo argomento una
totale mancanza di argomenti esplicativi validi. Come potrebbe essere stato fatto? Lo
stesso Zahi Hawass, direttore dei lavori a Giza ed egittologo ortodosso non sa realmente
come le piramidi vennero erette, sebbene egli si rifaccia alla teoria delle rampe in una
forma o in un'altra. Riconosciuti ingegneri si domandano come sia stato possibile per un
popolo così antico erigere quelle opere senza una pur rudimentale tecnologia. In ogni
caso, questo è vagabondare senza meta. L'ipotesi sulla costruzione delle piramidi è un
gioco senza regole ed ognuno può giocare. Credo che il metodo migliore per approcciarsi
a questo gioco sia quello di essere cauti e sistematici. E a questo fine offro il mio
contributo. Al contrario di molti preferisco evitare conclusioni di qualsiasi tipo e
catalogare i diversi soggetti per un più fruttifero approccio al problema. Esistono a mio
parere quattro possibili spiegazioni per la costruzione delle piramidi, nessuna delle quali
esclude le altre.
Tecnologia semplice
Rampe, funi, slitte e leve. Questa è la sola soluzione accettata dagli egittologi, sebbene
risulti evidente la sua inadeguatezza. In ogni caso non può essere esclusa. Mettere un
violino nelle mie mani e provare a farlo suonare può essere un'esperienza fallace,
mentre darlo ad un virtuoso può creare un armonico concerto. Il fatto che oggi non si sia
in grado di mettere 200 tonnellate su una rampa non esclude che gli antichi Egizi
potessero farlo. Significa solo che nel migliore dei casi, evidenze alla mano, a questa
teoria si potrebbe dare la precedenza rispetto alle altre spiegazioni, tutte ipotetiche
(inclusa questa!).
Tecnologia avanzata
I blocchi sarebbero stati innalzati e posizionati con tecnologie sconosciute (levitazione
sonica o antigravità). Non ci sono prove a sostegno di una tecnologia avanzata
nell'antico Egitto, ma chi può conoscere come sarebbe apparso un elemento tecnologico
di quei tempi? Supponete che fra 5000 anni venga ritrovato un computer e che la
tecnologia del futuro non impieghi più elettricità e microchip. Aggiungete che non
esistano registrazioni o reperti riguardanti tale strumento. Proveniente da qualche scavo
archeologico sarebbe un muto oggetto di plastica senza parti mobili. Probabilmente
sarebbe scambiato per un artefatto cerimoniale/religioso. Chi potrebbe capire che quei
chip, in un lontano passato, erano in grado di elaborare complessi calcoli matematici con
il solo tocco di alcuni tasti? Forse alcuni familiari ma misteriosi simboli dell'Egitto, lo Djed
(o Zed) per esempio, potrebbero essere degli strumenti tecnologici di cui oggi abbiamo
perso memoria e di cui non conosciamo più l'impiego. Graham Hancock nel suo libro
"The Sign and the Seal" ("Il Mistero del Sacro Graal", Piemme 1995) presenta ciò che
credo sia un buon esempio per questa ipotesi, scrivendo che l'Arca dell'Alleanza
potrebbe essere stata un congegno tecnologico. Testimonianze dell'Antico Testamento
alla mano, la descrizione dell'Arca non suona come un mero simbolismo religioso. In ogni
caso la possibilità di levitazione sonica fu da me in principio considerata nel video
"Mistery of the Sphinx". Dico in principio perché al momento attuale, nell'era spaziale,
con il suono siamo in grado di far levitare solo un pisello. E' indubbio comunque che
siano state rilevate proprietà di risonanza sonora a specifiche frequenze nella Camera
del Re della Grande piramide e nella Camera sepolta della Piramide Rossa di Dashur.
Forse questa risonanza combinata ad un'antica tecnologia anti-gravità avrebbe potuto
spostare i blocchi.
Meta-tecnologia
Il potere della mente è tra le ipotesi avanzate. Anche in tal caso non ci sono prove a
supporto. Potrebbe essersi trattato di una conoscenza segreta dell'Ordine sacerdotale
Egizio e i suoi riferimenti nei testi potrebbero essere stati mal interpretati. Gli Egiziani
erano maestri nel tenere segreti. Gli antichi testi egizi si riferiscono più volte ad una
conoscenza segreta. Furono i loquaci Greci e Pitagorici che portarono tali segreti fuori dal
tempio. L'antica lingua egizia, a differenza del Sanscrito, non è una tradizione vivente e
ha dovuto essere ricostruita attraverso frammenti da studiosi per lo più ostili alle
tradizioni mistico-esoteriche (con grave danno alla comprensione del pensiero della
classe dominante d'Egitto). Possibili riferimenti a quella meta-tecnologia (soft-
technology) potrebbero essere stati fraintesi o ignorati. Yogi, maestri Zen, sciamani
possono arrivare a prestazioni mentali che il resto dell'umanità reputa impossibili. Esiste
una mole di prove che i poteri mentali esistono e possono essere in grado di compiere
azioni straordinarie che nessuno potrebbe immaginare di poter compiere in un normale
stato di coscienza. E' anche ipotizzabile che le Piramidi siano il colossale risultato
dell'impiego di una forza mentale collettiva, una sorta di energia di coscienza di gruppo,
forse amplificata da tecnologia semplice e/o da tecnologia avanzata.
Ingegneria aliena
E' la spiegazione che gradisco meno delle altre. Preferisco pensare all'opera di gente
come noi ma sgombra del nostro banale bagaglio materialistico-razionalista. In ogni
caso, chi studia seriamente la fenomenologia UFO afferma che qualcosa c'è là fuori e
che periodicamente ci visita. Il perché non so immaginarlo, ma chi può saperlo? Noi
stessi viaggiamo nel cosmo, perché qualcun altro non potrebbe venire qui, e una volta
qui, per ragioni a noi oscure, costruire piramidi? L'ipotesi degli ingegneri alieni, fino a
quando qualcuno non fornirà dati sufficienti che possano adeguatamente spiegare come
le piramidi sono state erette è solo più stramba delle altre, ma forse non può essere
trascurata.
Conclusioni
Anche per le piramidi permangono quindi altrettanti dubbi di quanti ne presenta la
Sfinge. Con lo spirito di ricerca che ci contraddistingue torniamo in Egitto per continuare
la nostra campagna di ricerca geologica. Non è impossibile che in un momento del
prossimo futuro arriverà una chiarificazione su queste complesse questioni,
particolarmente quella della datazione della Sfinge. Per il Leone dalla testa umana di
Giza una data però è da escludersi con certezza: il 2.500 a.C. Non risiede comunque
nella data reale l'importanza della questione ma nelle implicazioni che questa
comporterà.
di John Anthony West
UNA NUOVA TEORIA AMMETTE I VIAGGI SPAZIO-TEMPORALI
LONDRA, 12 APRILE - Nell'Universo ci sarebbero misteriose scorciatoie, sfruttabili per
vertiginosi viaggi nello spazio-tempo. Un fisico russo, Serghiei Krasnikov, in forza in
osservatorio astronomico di San Pietroburgo, ha messo a punto una nuova teoria
secondo cui nel cosmo sono presenti "buchi" abbastanza grandi da permettere in pochi
secondi di saltare da un capo all'altro del creato o di andare avanti e indietro nel tempo.
L'esistenza di questi strani buchi (in inglese "wormholes" e cioè tarli) è stata per la prima
volta ipotizzata decenni fa dal fisico tedesco Ludwig Flamm sulla scia della teoria della
Relatività enunciata da Albert Einstein nel 1915, ma negli ultimi tempi è prevalsa tra gli
scienziati la convinzione che - se davvero esistono - questi enigmatici interstizi non
possono essere abbastanza grandi e abbastanza stabili per fulminei viaggi intergalattici
da parte di esseri umani. Secondo la rivista britannica New Scientist, che gli dedica un
articolo nel numero in edicola, Krasnikov ha ora individuato a livello teorico un nuovo
tipo di "buchi": "compatibili con le leggi conosciute della fisica, stabili e senza limiti di
dimensione".
Questi 'wormholes' su cui hanno rimuginato decine di scrittori di fantascienza (nel serial
di fantascienza Star Trek Deep Space Nine vengono utlizzati con regolarità), creano a
detta del fisico russo "il proprio rifornimento di materia in quantità sufficiente per
renderlo abbastanza grande e tenerlo abbastanza aperto a lungo per l'uso della gente".
La materia "esotica" necessaria per il funzionamento del tutto sarebbe generata "dalle
curve dello spazio e del tempo". "Se c'è ad esempio un buco che connette le vicinanze
della Terra con quelle della stella Vega potremo un giorno volare tramite quella
scorciatoia", ha detto alla rivista britannica lo scienziato di San Pietroburgo.
Non è però ancora tempo per allacciarsi le cinture e prepararsi a tour istantanei nelle più
lontane pieghe del cosmo: al momento l'uomo non possiede tecnologia così sofisticata
per rapidi spostamenti da una galassia all'altra tramite buchi che secondo il prof.
Krasnikov potrebbero essere "residui" del Big Bang di 15-20 miliardi di anni fa.
E' una teoria da prendere sul serio, anche se può naufragare su qualche dettaglio
tecnico, ha commentato il prof. Ian Moss, un esperto di relatività che insegna
all'università di Newcastle. Più scettico il prof. Paul Davies dell'Imperial College di Londra:
"provare che qualcosa è teoricamente possibile - avverte - non significa provarne
l'esistenza".
Da dove veniamo ?
Ci sono batteri nella polvere interstellare ?
Due ricercatori russi hanno dato la notizia che cambia molte teorie fino ad oggi scontate,
la vita non sarebbe nata sulla terra, ma bensì arrivata dal profondo cosmo. In un
frammento di meteorite caduto in Australia nel 1969 si sono trovati fossili di 4.5 miliardi
di anni, anteriori alla vita sulla Terra (3.8 miliardi di anni fa). I due studiosi che
propongono questa scoperta sono Stanislav Zhmur e Lyudmila Gerasimenko. I batteri
trovati sul meteorite sono del tipo cianobatteri, ossia molto simili a quelli terrestri. L'idea
che la vita sul nostro pianeta sia arrivato dal cosmo non è nuova, ma questa scoperta
sembra rafforzare le vecchie teorie (ipotesi panspermia). Il primo chimico ad ipotizzare
una simile teoria fu lo svedese Svante Arrhenius (Nobel), i primi anni del '900, immaginò
infatti che i microrganismi viaggiassero da un pianeta all'altro e persino fra sistemi solari
diversi, spargendo la vita in tutto l'universo, da qui nasce il nome panspermia, ossia
"semi dappertutto". Ma una domanda che ci si può fare è: come fanno i batteri a
sopravvivere ad un clima ostile come quello che lo spazio, con temperature di meno
270° e un bombardamento continuo di radiazioni ? Le risposte non si ebbero, così le
ricerche sull'origine della vita presero un'altra direzione, di tipo "terrestre" come la
vecchia ipotesi del "brodo primordiale", secondo cui i componenti chimici disciolti in
pozze d'acqua si combinarono dando vita alle prime cellule. Questa ipotesi dopo vari test
e studi sugli atomi fu scartata per la bassissima probabilità di veridicità. Lo studioso
Hoyle rilanciò però negli anni '70 la teoria della panspermia, considerando che le
radiazioni infrarosse emesse dalla polvere interstellare era sorprendentemente simile a
quella emessa in laboratorio da batteri disidratati, avanzò l'ipotesi che alcuni di questi
grani di polvere fossero batteri resistenti alle radiazioni simili a quelli terrestri. Il
deinococcus radiodurans, può sopportare una dose di raggi X milioni di volte superiore
alla maggior parte di esseri viventi. Un esperimento fatto dalla NASAÒ dimostrò che una
colonia di Bacillus subtilis mantiene la sua vitalità anche dopo 6 anni di esposizione al
vuoto e alle radiazioni cosmiche. In altri esperimenti questi batteri hanno evidenziato la
capacità di entrare in una specie di stato di vita sospesa, interrompendo il metabolismo,
e aspettando che la situazione esterna migliori. In questo stato gli scienziati hanno
dichiarato che possono vivere per più di circa 25 milioni di anni.
Il mito di Tifone e la distruzione di Atlantide
Axel Famiglini
Come già affermato ne " La fine di Atlantide", probabilmente il continente perduto fu
distrutto dalla caduta di un meteorite nel periodo che va dal 10000 al 9000 a.C. Platone
infatti sembra volercelo suggerire attraverso la storia del mito di Fetonte, inserita nel
"Timeo" proprio nei paragrafi dedicati ad Atlantide. Tuttavia mi sono reso conto che
esiste almeno un altro mito che potrebbe riguardare la distruzione di Atlantide avvenuta
attraverso la caduta di un piccolo corpo celeste.
Infatti nella "Storia Naturale" di Gaio Plinio Secondo ( libro II, 91) possiamo trovare un
interessante riferimento ad una cometa che avrebbe portato gravi danni all'Egitto e
all'Etiopia ai tempi del re Tifone. Molto probabilmente questo racconto fu portato
dall'Egitto ed ellenizzato, come poi avvenne per moltissimi altri miti.
Ecco cosa dice Plinio:
Una ( cometa ), tremenda, fu sperimentata dai popoli d'Etiopia e d'Egitto, e le diede il
suo nome Tifone, re di quei tempi: aveva un aspetto infuocato ed era ritorta a forma di
spirale, truce già a vedersi, più un nodo di fiamme, per così dire, che una stella.
Innanzitutto, seguendo l'interpretazione evemeristica, possiamo subito collocare
temporalmente il periodo storico-mitico in cui è ambientato l'avvenimento. Infatti Tifone,
re d'Egitto, è la traduzione greca del nome del dio egizio Seth, probabilmente vissuto nel
periodo dello Zep-Tepi nel 10000 a.C. Tifone-Seth è il famoso fratello di Osiride, che
uccise quest'ultimo per invidia e per ottenere la corona. Secondo quanto emerge dalla
mitologia (vedi: Fuga dalle colonie di Atlantide: Osiride e l'Egitto - L'opera civilizzatrice di
Osiride, Eracle ed Atlantide), Tifone era un re-governatore di Atlantide prima della
distruzione di quest'ultima ed era sottoposto ad un governatore superiore chiamato
Ammone (che a sua volta sarebbe il padre di Osiride e Seth/Tifone).
Quindi, considerato che il periodo storico coincide con quello della distruzione di
Atlantide, potremmo facilmente credere che la cometa Tifone fosse la responsabile delle
grandi catastrofi che hanno portato alla fine della glaciazione, all'estinzione di molte
specie viventi e alla fine della civiltà atlantidea, i cui sopravvissuti dovettero fuggire
dalla propria terra per ricominciare una nuova esistenza.
La versione greca del mito di Tifone è molto interessante. Qui ripropongo il riassunto
compiuto dallo Pseudo Apollodoro nella "Biblioteca" ( libro I, 6):
Quando gli dei ebbero vinto i Giganti, Gea, ancora più adirata, si unisce al Tartaro e, in
Cilicia, partorisce Tifone che aveva natura mista, di uomo e di bestia. Per la statura e la
forza, Tifone era superiore a tutti i figli di Gea; fino alle cosce la sua forma era di uomo,
ma di tale altezza da superare tutte le montagne; con la testa sfiorava spesso le stelle;
se stendeva le braccia, con uno toccava l'Occidente, con l'altro l'Oriente; dalle braccia
stesse emergevano le teste di cento serpenti, dalle cosce si dipartivano le spire di vipere
enormi che si estendevano fino alla testa, emettendo sibili acuti. Aveva ali su tutto il
corpo, dei capelli sudici ondeggiavano sulla testa e sulle guance, gli occhi lanciavano
fiamme. Così spaventoso e così enorme era Tifone quando sferrò il suo attacco contro lo
stesso cielo gridando e sibilando e scagliando pietre incandescenti; dalla bocca esalava
grandi vampe di fuoco. Quando gli dei videro che assaliva il cielo, andarono a rifugiarsi in
Egitto, e poiché lui li inseguiva, si trasformarono in animali. Mentre Tifone era ancora
lontano, Zeus gli scagliò contro i fulmini, quando fu più vicino, lo colpì con la falce
d'acciaio, quando si diede alla fuga, lo insegui fino al monte Casio che domina la Siria.
Qui, vedendolo coperto di ferite, lo aggredì. Ma Tifone lo avvolse nelle sue spire e lo
tenne fermo, gli strappò la falce e gli recise i tendini delle mani e dei piedi; poi se lo
caricò sulle spalle e attraverso il mare lo trasportò fino in Cilicia, giunse all'antro Coricio
e ve lo depose. Mise là anche i tendini, che nascose in una pelle d'orso, e vi pose a
guardia Delfine, che era per metà serpente e per metà fanciulla. Ma Ermes ed Egipan
sottrassero i tendini di nascosto e li riattaccarono a Zeus. Recuperato il suo vigore,
subito Zeus si mosse dal cielo sopra un carro trainato da cavalli alati e, scagliando
fulmini, inseguì Tifone fino al monte chiamato Nisa, dove le Moire lo trassero in inganno
dicendogli che avrebbe acquistato forza se avesse assaggiato i frutti effimeri. Inseguito
di nuovo, egli giunse in Tracia e, nella lotta che si scatenò presso l'Emo, scagliò intere
montagne. Ma il fulmine di Zeus le respingeva contro di lui, e, sul monte, il suo sangue
sgorgò a fiumi: per questo, dicono, il monte fu chiamato Emo. Mentre si lanciava in fuga
attraverso il mare di Sicilia, Zeus gli scagliò contro l'Etna, un monte che è in Sicilia, un
monte altissimo dal quale ancor oggi erompono fiamme che hanno origine, si dice, dai
fulmini scagliati da Zeus.
La lotta raccontata tra Zeus e Tifone potrebbe essere interpretata in modi diversi.
Innanzitutto potrebbe essere la versione greca delle lotte tra Horus, il figlio di Osiride, e
Seth per la rivendicazione del trono di Osiride. Inoltre nella figura gigantesca di Tifone si
nasconderebbe la vicenda della meteora che colpì la terra sconvolgendola radicalmente.
Esaminiamo questo enunciato:
Quando gli dei videro che assaliva il cielo, andarono a rifugiarsi in Egitto, e poiché lui li
inseguiva, si trasformarono in animali.
Probabilmente il "cielo" in questo caso è da identificarsi con Atlantide, la mitica terra ad
Occidente. Infatti gli antichi egizi collocavano il mondo degli dei e l'aldilà proprio nelle
terre occidentali. Questa terra, che era lo specchio del mondo dei morti celeste ( il
Duat ), era il luogo dove il faraone diventava Osiride e poteva rinascere. Per gli antichi
egizi il mondo dei morti era un luogo di beatitudine e quindi è molto probabile che
questa idea fosse nata dall'antico ricordo di una prosperosa patria occidentale. Tuttavia
anche il racconto della catastrofe, della distruzione e delle innumerevoli morti potrebbe
aver creato l'idea di un occidente pericoloso, esprimendolo attraverso il viaggio notturno
allegorico del Sole attraverso il mondo infero. Detto questo ci si accorge che c'è una
sorta di contraddizione tra un mondo infero positivo e quello negativo. Questa positività
e negatività potrebbero ricordare il periodo prima e dopo la distruzione di Atlantide.
Ritornando alla frase già analizzata, si ripropone la storia della venuta degli dei in Egitto.
Infatti la stessa mitologia egiziana asseriva che gli dei ("gli uomini rossi") venivano da un
luogo a occidente chiamato Punt. Il Punt era un luogo di grande beatitudine e benessere,
che dopo il periodo dell'antico regno veniva ricercato e identificato con l'Africa Orientale.
Tuttavia la collocazione di Punt originale era a occidente. Il Punt era con tutta probabilità
Atlantide e possiamo così asserire che gli dei d'Egitto erano forse abitanti di Atlantide
che stavano fuggendo dalla loro patria in cerca di una nuova terra dove andare . E dove
andare? In Egitto, che probabilmente era da tempo una colonia Atlantidea.
Inoltre il fatto che gli dei si trasformarono in animali può farci capire che questi uomini
eccezionali ( perché portatori di tecnologie e conoscenze ben presto dimenticate in
Egitto dopo la grande catastrofe meteorica) furono subito identificati dalla popolazione
imbarbarita come Dei dei culti locali animaleschi creati dagli Egiziani ritornati ad uno
stadio di vita selvaggio.
Uno dei capi di una delle innumerevoli spedizioni/migrazioni atlantidee era forse
"Osiride" ( direi con certezza che il nome degli dei non corrispondeva al reale nome delle
persone, poiché il dio Osiride potrebbe essere stato un dio predinastico che assimilò altri
culti e altre leggende, facendole proprie - Infatti Osiride soppiantò nei suoi santuari
maggiori neter più antichi: Andjiti a Busiri e ad Abido un lupo chiamato Khentimentiu. Per
questo dio vedi il commento ) che aveva portato con sè la moglie Iside, mentre il fratello
Seth e la cognata Nefti dovevano essere già in Egitto ( per il discorso sui nomi degli dei
vedi sopra). Comunque, nonostante il fatto che molto probabilmente molti fuggiaschi
atlantidei si diressero verso l'Egitto, per quanto riguarda Osiride, la questione sembra
essere stata più complessa. Osiride non sarebbe fuggito da Atlantide, ma da una sua
colonia. Per approfondire ciò, rimando all'articolo Fuga dalle colonie di Atlantide: Osiride
e l'Egitto.
Nonno di Panopoli, ultimo grande poeta antico, nelle "Dionisiache", descrive in modo
molto suggestivo e realistico il mito di Tifone. Vediamo alcuni versi:
Canto I, 239-256
(Tifone sta scuotendo con le mani gli astri.)
La volta celeste è tutta in fermento: le Pleiadi settemplici
fanno eco con pari numero di bocche
alle sette zone del cielo levando alto grido di guerra,
e con strepito uguale rispondono i pianeti.
Al vedere i serpenti che spaventosi formano il corpo del gigante,
il Serpentario fulgido scuote dalle mani salvifiche
i draghi screziati di verde, nutriti di fuoco,
e li scaglia a guisa di dardi maculati e sinuosi;
attorno alle vampe fischiando turbini e le saette anguiformi
scoccate oblique dall'arco scatenano nell'aria un delirio bacchico.
Anche il Sagittario spavaldo scaglia i suoi dardi,
compagno di percorso al Capricorno dalla coda di pesce.
Nell'orbita del carro, il Drago risplende a mezzo tra le orse gemelle,
e guizza la coda lucente nel suo dorso etereo.
Accanto a Erigone, Boote auriga del Carro
suo compagno di viaggio agita la verga con il braccio fulgente.
Alle ginocchia dell'Immagine e presso il Cigno suo vicino
la Lira stellata annunzia la vittoria di Zeus.
Questa descrizione delle catastrofi di Tifone nel cielo stellato può essere interpretata
anche come mito cosmologico secondo gli studi di Giorgio De Santillana e Hertha von
Deschend ne "Il Mulino di Amleto". Infatti Tifone potrebbe essere il grande "palo" o
"albero del mondo" (asse di rotazione terrestre) che si sposta, a causa della precessione
degli equinozi, e sconvolge la volta celeste cambiando posizione e forma agli astri e alle
costellazioni.
Concludendo, analizzando questo mito, abbiamo potuto vedere come questo possa
essere interpretato in modi diversi e secondo molte chiavi di lettura (vedi: I miti
nell’antichità). Il mito si presenta a strati e viene costruito anche in tempi successivi. La
difficoltà sta proprio nel trovare la giusta chiave interpretativa per ogni mito. In questo
mito c'era una chiave storica e astronomica. Attraverso queste nuove informazioni che
aggiungiamo alle conoscenze precedenti su Atlantide, possiamo solo sperare di arrivare
sempre più vicino alla verità.
COMMENTO:
Il significato di Khentimentiu è molto interessante: "Quello che marcia alla testa degli
occidentali". Forse Khentimentiu è un neter assimilato dal culto di Osiride che
divinizzava il capo degli Atlantidei che giungevano in Egitto dopo la distruzione di
Atlantide. Osiride avrebbe così assimilato le caratteristiche di Khentimentiu.
Probabilmente anche lo stesso Khentimentiu aveva assimilato altri culti ancora
precedenti: dalla distruzione di Atlantide al periodo protodinastico ci sono almeno 7000
anni! ( torna su )
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Il primo a scrivere di Atlantide fu lo scrittore greco Platone nei suoi dialoghi : il "Crizia" e
il "Timeo". A parlare è Crizia, parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo
prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella città di Sais che secondo gli
abitanti, l’origine della città si deve alla dea Neith, che nella lingua egiziana
corrispondeva a quella greca Atena, che avrebbe creato la città di Atene. Qui Solone
cercò di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando le antiche tradizioni greche, ma uno
di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei confronti di
quello egiziano che possedeva molta documentazione scritta. Tra questi testi c’era la
storia di una grande isola che si trovava nell’Oceano Atlantico(circa 9000 prima di
Solone). Il filosofo greco parla dell’isola misteriosa, sempre per bocca di Crizia, che prima
di descrivere di Atlantide disse :<...Questi erano presso il nonno e ora sono in casa mia,
e quand’ero fanciullo li studiai diligentemente. Se dunque udirete questi nomi,(quelli dei
re di Atlantide, che furono tradotti da Solone in greco)che ho detto, non ve ne
meravigliate, perché ne sapete il motivo. Quella lunga narrazione cominciava press’a
poco così...>(Op. Cit. Crizia cap. VII)
Nonostante tutto questo si è sospettato che Platone abbia voluto servirsi di una
tradizione come di un mezzo per diffondere le proprie idee politiche. Platone
contrappone Atlantide ad Atene, che si reggeva secondo i principi esplicati da Platone
nel dialogo "Repubblica"(gr. Politéia) ; infatti lo si nota nel "Timeo" durante il colloquio
tra Socrate, lo stesso Timeo, Crizia e Ermocrate sullo Stato perfetto, l’educazione etc..
ma poi a un certo punto la discussione si concentra sul problema di come si
comporterebbe la città perfetta in guerra ed in pace e quindi viene preso in
considerazione il racconto della guerra Atene - Atlantide. Oltre a Platone altri scrittori
classici scrissero di un continente scomparso :
- Omero, nell’Odissea scrisse di Ogigia, che ne parleremo poi.
- Aristotele anche se parlò delle Antille(localizzate come Atlantide)non diede molta
importanza alla narrazione del suo Maestro, e questa non - opinione ebbe un peso
determinante nel Medio Evo cristiano. Aristotele, infatti, era considerato un’autorità
indiscussa, e ciò che lui aveva detto("Ipse dixit"), e che non a caso concordava con la
visione geocentrica dell’universo sostenuta dalla Chiesa, non poteva essere contestato.
Per di più l’esistenza di un continente distrutto novemila anni prima non coincideva con
la data della creazione del mondo secondo la Genesi, calcolata nel 3760 a.C.
- Marcellino, scrisse di una diffusa convinzione sull’esistenza di Atlantide, e che "una
grande venne inghiottita".
- Proclo, riferiva che gli abitanti delle isole Atlantide ricordavano che quella più grande e
da cui dipendevano si inabissò nel fondo del mare.
- Plutarco, fece riferimento a un continente chiamato Saturnia.
- Timagene, parlò di "un’isola in mezzo all’oceano" da cui sarebbero generati i Galli
- Tertulliano, scrisse sull’inabissamento di Atlantide come di un esempio dei mutamenti
della terra facendo osservare che era stata "cercata invano".
Altri racconti antichi descrivono o parlano di Atlantide, ma non hanno pieno affidamento
come il resoconto fatto da Teopompo di una discussione tra Mida, re di Creta, e Sileno la
quale trattava di un continente lontano.
LA NARRAZIONE DEL "CRIZIA".
La descrizione dell’isola Atlantide incomincia nel III° capitolo. Platone racconta che circa
novemila anni prima la sua descrizione c’era un enorme isola chiamata Atlantide, la
quale era più grande della Libia e dell’Asia, che si trovava nell’oceano Atlantico al di fuori
delle colonne d’Ercole (stretto di Gibilterra). La popolazione atlantica combatté una
guerra contro gli Ateniesi i quali vinsero. Dopo questa lungo conflitto l’isola di Atlantide si
inabissò. Verso il VII° capitolo Platone riprende la descrizione di Atlantide parlandone
dettagliatamente. Un tempo le divinità dell’Olimpo si erano divisi la terra e Poseidone,
dio del mare( in latino Nettuno) ebbe l’isola Atlantide nell’oceano omonimo. Nel bel
mezzo dell’isola c’era una vastissima pianura fertile ed tutto intorno una cinta di monti
bassi ; in uno di questi colli viveva Clito, futura moglie del dio. Poseidone generò con
questa donna cinque coppie di gemelli. Il primo, Atlante ebbe come proprio regno la casa
materna(il colle il quale fu staccato dall’isola per opera del dio del mare) e il territorio
intorno ; il secondo figlio, Gadiro, ebbe la parte più estrema dell’isola verso le colonne
d’Ercole ; poi gli altri otto figli li chiamò rispettivamente : Anfere, Evemone, Mnseo,
Autoctono, Elasippo, Mestore, Azae e infine Diaprepe. Dopo aver descritto la fondazione
di Atlantide, Platone si addentra a nei particolari delle civiltà atlantica :< La stirpe di
Atlante fu numerosa e onorata, e tramandando sempre il re più vecchio il regno al
maggiore dei figli, lo conservarono per molte generazioni, e possedevano tanta copia di
ricchezza, quanta non ne fu mai per l’innanzi in alcuna dominazione di re, né mai
facilmente sarà nell’avvenire, e avevano accumulato tutto quello che nella città e nelle
rimanente regione occorreva accumulare. Molte cose in grazia della loro potenza
venivano ad essi dal di fuori,
moltissime ne forniva l’isola stessa per le necessità della vita, e in primo luogo tutte le
sostanze solide e fusibili, che si scavano dalle miniere : e quel metallo che ora solo si
nomina, allora era più che un nome, l’oricalco, che in molti luoghi dell’isola si scavava
dalla terra, ed era a quel tempo il più prezioso dopo l’oro.> (Cit. cap. VII). Questo
frammento del VII° capitolo ci testimonia la grande opulenza dell’isola, il filosofo greco
oltre a descrivere nei particolari le ricchezze del continente atlantico fa un accenno agli
elefanti :<V’era in essa anche una grandissima quantità di elefanti : perché per gli altri
animali, quanti pascolano nelle paludi, nei laghi e nei fiumi, e quanti sui monti e sui
campi, per tutti v’era pascolo abbondante, e così anche per quest’animale ch’è il più
grande e il più vorace.>(Cit. cap. VII). La descrizione della varietà di alimenti che
disponevano gli abitanti di Atlantide, fa pensare a un paradiso terrestre :<... quanti
profumi la terra ora fornisce di radici o d’erba o di legna o di succhi stillati dai fiori o dai
frutti, tutti questi allora produceva e forniva bene. Così i frutti molli o duri, che ci servono
per nutrimento, e quelli che usiamo inoltre per cibo e che chiamiamo legumi, e i frutti
legnosi, che ci danno bevande, alimenti e unguenti, e i frutti scorzuti, che usati per gioco
e diletto, difficilmente si ripongono, e quelli che come eccitanti contro la sazietà poniamo
nelle seconde mense per compiacere allo stomaco stanco, tutti questi frutti quella sacra
isola, che allora stava sotto il sole, produceva belli e meravigliosi e infiniti di
numero.>(Cit. cap. VII). Platone si cimenta a descrivere grandi opere di architettura le
quali ricordano le ciclopiche costruzioni esistenti in tutto il mondo :< VIII.- Anzitutto le
cinte di mare, che stavano intorno all’antica metropoli, le congiunsero con ponti,
formando una via tra il di fuori e la reggia. Avevano eretto subito fin da principio la
reggia in questa sede del Dio e degli antenati, e i re, ricevendola l’uno dall’altro, vieppiù
l’adornavano, e ciascuno cercava di superare sempre, per quant’era possibile, il
predecessore, finché si formò un’abitazione stupenda a vedere per la grandezza e la
bellezza delle opere. Infatti, cominciando dal mare, condussero fino all’ultima cinta una
fossa larga tre pletri, profonda cento piedi, lunga cinquanta stadi, e con essa diedero
accesso alle navi dal mare fino a quella cinta, come in un porto, allargandone la bocca in
modo che potessero entrarvi le navi più grandi. E le cinta di terra, che separavano quelle
di mare, le perforarono lungo i ponti tanto che potesse passarvi una trireme per volta, e
le ricopersero con tetti di modo che la navigazione si compisse di sotto perché gli orli
delle cinte terrestri si elevavano abbastanza sopra il mare. Ma la più grande delle cinte,
con la quale comunicava il mare, era larga tre stadi, e quella successiva di terra era
eguale ad essa: delle due cinte seguenti, la marittima era larga due stadi, la terrestre
era eguale alla marittima precedente : infine d’uno stadio era quello che circondava
l’isola nel mezzo. L’isola in cui stava la reggia, aveva il diametro di cinque stadi. Questa
d’ogni intorno e le cinte e il ponte largo un pletro li rivestirono da una parte e dall’altra
con un muro di pietra, imponendo torri e porte sui ponti lungo tutti i passaggi del mare.>
<L’isola in cui stava la reggia, aveva il diametro di cinque stadi (uno stadio equivale a
177,60 m) . Questa d’ogni intorno e le cinte e il ponte largo un pletro li rivestirono da
una parte e dall’altra con un muro di pietra, imponendo torri e porte su ponti lungo tutti i
passaggi del mare. E d’ogni intorno sotto l’isola, ch’era nel mezzo, e sotto le cinte di
fuori e di dentro tagliarono delle pietre, alcune bianche, altre nere, altre rosse, e così
scavarono nell’interno dell’isola due bacini profondi con la stessa roccia per
copertura.>(Op. Cit. VII ). Nel descrivere i colori delle pietre di Atlantide, Platone, senza
saperlo, citò i colori predominanti delle pietre che ancora si vedono nelle Canarie. Una
certa analogia possiamo riscontrarla nel diametro di Tenerife (830m) il quale è molto
vicino all diametro dove c’era la reggia che era cinque stadi ( 880m). Platone nella sua
opera parlò molto delle ricchezze del settimo continente come può testimoniare questo
frammento del "Crizia" :< E rivestirono di bronzo, a guisa di vernice, tutto il percorso del
muro della cinta esteriore, e spalmarono di stagno liquefatto quello della cinta interiore,
e d’oricalco dai riflessi ignei quello della stessa acropoli. IX.- Ma la reggia nell’intero
dell’acropoli fu costruita così. Nel mezzo il tempio sacro a Clito e a Poseidone vi era stato
lasciato inaccessibile, circondato d’una muraglia aurea : in questo tempio avevano da
principio generato e messo alla luce la stirpe dei dieci regoli, colà ogni anno da parte di
tutti dieci regni si compivano a ciascuno sacrifizi ordinari. Il tempio di Poseidone era
lungo uno stadio, largo tre pletri, d’altezza proporzionata a queste dimensioni, e con
qualcosa di barbarico nell’aspetto. Rivestirono d’argento tutto il tempio al di fuori,
fuorchè gli acroteri, e d’oro gli acroteri : nell’interno la volta si vedeva tutta d’avorio ed
era screziata d’oro e oricalco, e tutto il resto delle pareti, delle colonne e del pavimento
lo ricopersero d’oricalco. Vi collocarono statue d’oro, e il Dio ritto sul carro, auriga di sei
cavalli alati, tanto grande che toccava con la testa la volta, e cento Nereidi all’intorno
sopra delfini : perché allora credevano ch’egli ne avesse tante. E v’erano molte altre
statue dedicate da privati. Di fuori intorno al tempio stavano le immagini auree di tutti,
delle donne e d’ogni discendente dei dieci re, e molte altre grandi offerti di re e di privati
o delle stesse città o di quelle straniere, in cui imperavano.>(Op. Cit. VIII e IX ). Quando il
filosofo greco parla di sorgenti fredde e calde per le terme possiamo riscontrare una
similitudine cioè che oggi a Reykjavik, in Islanda, si riscaldano le case e si provvede ad
avere acqua calda sfruttando le sorgenti calde di origine vulcanica :< Avevano due fonti,
l’una fredda l’altra calda, molto copiose e adatte mirabilmente ad ogni uso per il diletto
della virtù delle acque. E vi stabilirono intorno case e piantagioni d’alberi, che amano
l’umidità, e anche vasche, quali a cielo scoperto, quali invernali e coperte per i bagni
caldi, da una parte quelle del re, da un’altra quelle dei cittadini, altrove quelle delle
donne, altrove ancora quelle dei cavalli e delle altre bestie da soma, dando a ciascuna
l’ornamento adatto.(Op. Cit. IX). Un cenno all’irrigazione ricorda uno dei grandi schemi
idraulici delle popolazioni precolombiane presenti sulle coste e gli altipiani dell’America
meridionale :< L’acqua corrente la conducevano nel bosco di Poseidone, che per la
fecondità della terra aveva alberi d’ogni genere, di bellezza e altezza meravigliosa, e
parte ne derivavano nelle cinte esteriori mediante canali lungo i ponti.>(Op. Cit. IX).
Platone descrive un po’ la città dicendo che lì erano stati costruiti templi consacrati a
molte divinità, poi si potevano trovare giardini, ginnasi, poi intorno all’isola vi era una
pista per le corse dei cavalli. E ancora intorno a questo <ippodromo> c’erano delle
caserme per la stragrande moltitudine di soldati. Nella descrizione del porto dell’antica
città si è sospettato che Platone si sia servito come
modello di quello di Tiro o di altre città fenici o cretesi, perché sembra impossibile che
siano stati traffici commerciali con il epoche passate. Però nonostante tutto, in popolo
atlantico in ogni caso, si può pensare che esistessero rapporti con i Fenici perché essi
raccontarono di aver visitato un’isola chiamata Antilla. Alcuni sostengono che i
Cartaginesi e poi i Fenici abbiano esplorato le isole Azzorre o la stessa Atlantide :< Gli
arsenali erano pieni di triremi e di tutti gli apparecchi necessari alle triremi, tutti in buon
ordine. E così era disposta l’abitazione del re. Ma di là dai tre porti esteriori cominciava
dal mare un muro circolare, distante per ogni parte cinquanta stadi dalla più grande
porto, e ritornava nello stesso punto presso la bocca della fossa situata verso il mare.
Tutto questo luogo conteneva molte e frequenti abitazioni, e il canale e il porto più
grande eran pieni di navigli e di mercanti che venivano da ogni parte del mondo e
sollevavano giorno e notte clamore e tumulto vario e strepito per il loro gran
numero.>(Op. Cit. IX). Nel decimo capitolo Platone descrive qualcosa sulla morfologia
dell’isola e del suo ordinamento :<X.- Dunque ora ho riferito press’a poco quanto allora
si diceva della città e dell’antica abitazione, ma occorre che tentiamo di ricordare qual
fosse la natura della restante e il suo ordinamento. Si diceva primamente che tutto il
luogo fosse molto e scosceso dalla parte del mare, e tutt’intorno una pianura
circondasse la città, e questa pianura, cinta in gira di monti discendenti fino al mare,
fosse liscia e uniforme e tutta oblunga, di tremila stadi da una parte e di duemila dal
mare fino al centro. Questo tratto di tutta l’isola era volto a mezzodì e riparato dai venti
del settentrione. I monti che lo cingevano si diceva che superassero per numero,
grandezza e bellezza tutti quelli ora esistenti, e chiudevano tra loro molti villaggi, ricchi
d’abitanti, e fiumi e laghi e prati, fornivano nutrimento sufficiente a tutti gli animali
domestici e selvaggi, e selva copiosa e svariata, che porgeva materiale abbondante a
tutti i lavori in generale e a ciascuno in particolare.> La descrizione a proposito di canali
interni per l’irrigazione dei territori ricordano il sistema idrico usato in Mesopotamia e
sulla costa peruviana :<Cosi dunque questo piano era stato fatto da natura e dall’opera
di molti re in molto tempo. Era esso un quadrangolo per la maggior parte retto e
oblungo, e dove veniva meno, lo rendeva diritto una fossa scavata all’intorno. Non è
credibile quel ch’è stato tramandato sulla profondità e larghezza e lunghezza di questa
fossa, che cioè, come opera umana, avesse oltre restante lavoro tali dimensioni ; però
bisogna dire quel che abbiamo udito. Era stata scavata alla profondità di un pletro con la
larghezza d’uno stadio in ogni punto, ed essendo condotta per tutta la pianura, ne
conseguiva che avesse una lunghezza di diecimila stadi. Era alimentato dai torrenti che
scendevano dalle montagne, e girando intorno alla pianura raggiungeva la città d’ambo
le parti, prima di gettarsi infine nel mare. Dalla parte superiore di questa fossa, canali
larghi cento piedi, dopo aver tagliato in linea retta il piano ritornavano nuovamente nel
fossato, diretti al mare, e distavano gli uni dagli altri cento stadi. Per essa trasportavano
i materiali dai monti e nelle città, e gli altri prodotti delle stagioni su navi, grazie ai
passaggi trasversali che univano un canale all’altro e alla città. E due volte all’anno
raccoglievano i frutti della terra, giovandosi d’inverno delle piogge e bagnando d’estate i
prodotti della terra con l’acque dei canali...>(Op. Cit. X).Platone fornisce anche di una
descrizione su i militari di leva, e l’esercito :<...Era stabilito che ogni capo fornisse per la
guerra la sesta parte di un carro da guerra, fino a formarne diecimila e due cavalli con i
cavalieri e inoltre una coppia di cavalli senza carro, che avevano un soldato armato di
piccolo scudo e un auriga oltre il cavaliere di ciascun cavallo e poi due opliti, due arcieri,
due frombolieri, tre lanciatori di pietre, e tre di giavellotto, e quattro marinai come
contributo a una flotta di mille e duecento navi. Tale era l’ordinamento bellico nella
provincia del re supremo: quello delle altre nove era diverso, ma sarebbe lungo
riferirlo.>(Op. Cit. X). Una giusta punizione, in quanto, con il trascorrere dei secoli, gli
Atlantidei si sono corrotti :<Quando l’elemento divino, mescolato con la natura mortale,
si estinse in loro, il carattere umano prevalse, allora degenerarono, e mentre a quelli che
erano in grado di vedere apparvero turpi, agli occhi di quelli che sono inetti a scorgere
qual genere di vita conferisca davvero la felicità, apparvero bellissimi, gonfi come erano
di avidità e potenza. E Zeus, il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava
miserabilmente, volle impartir loro un castigo affinché diventassero più saggi. Convoco
gli dei tutti, e, convocati, disse...>. Cosa disse Zeus, possiamo solo intuirlo : infatti con
queste parole si conclude il "Crizia". Adesso dopo aver analizzato uno dei dialoghi in cui
Platone descrive Atlantide passiamo a trattare il motivo che spinse lo scrittore ad
interrompere la stesura dell’opera. Tutte le mitologie del mondo contengono elementi
reali ; è questa è una verità che si può facilmente riscontrare dopo uno studio
approfondito e sistematico dei vari argomenti mitologici. Da tale studio apparirà
evidente che la religione e la mitologia sono strettamente vincolate l’uno all’altra da un
rapporto di interdipendenza. Ora se da veri cristiani accettiamo incondizionatamente i
fatti riportati dalla Bibbia dobbiamo anche ammettere che tutti gli altri testi religiosi
riportano così come la Bibbia eventi realmente accaduti ; dopo un attento esame di tali
tesi, ci accorgiamo che gli avvenimenti sono pressoché simili, e quindi dobbiamo anche
dedurre che è possibile che tutte le religioni, e quindi tutti i testi sacri, provengano da
un’unica fonte. Ma qual è la religione più antica che è servita da modello a tutte le altre
e da cui tutti i popoli hanno avuto origine ?. Seguendo le cronologie delle varie mitologie,
sembra che si tratti di quella scandinava basata sul culto del Sole - Odino e da cui è
difficile risalire all’origine. Da tali considerazioni deriva che esisteva un tempo un’unica
mitologia, intesa come raccolta di fatti e di personaggi, esisteva una sola religione che
una volta diffusasi nelle varie parti del Globo, assunse caratteri diversi da paese a paese,
ed esisteva un’unica civiltà da cui sono scaturiti i fatti mitologici. Tale civiltà potremo
chiamarla "Atlantidea". Platone da importante filosofo e storico quale era, non poteva
certamente fare un discorso di questo genere : l’argomento Atlantide con tutte le
numerose implicazioni scientifiche, storiche e religiose, contrastava con la concezione
fortemente ellenocentrica del mondo allora conosciuto. Le masse a quei tempi avevano
bisogno di credere nei miti e non nella realtà che sicuramente essi non erano pronti ad
accettare.
LA NARRAZIONE DEL "TIMEO".
Platone nel Timeo fornisce specialmente le notizie delle guerra tra i greci e l’esercito di
Atlantide. Prima di raccontare la grande imprese degli Ateniesi, lo scrittore greco parla
dei possedimenti della grande potenza Atlantica, i cui versi sono già stati citati, in più
scrive anche della grandezza dell’isola :L’isola era più grande della Libia e dell’Asia
riunite...(Op. Cit. III). Il poeta continua raccontando come prima era l’oceano prima che
l’isola scomparisse :Questo mare era allora navigabile, e aveva un’isola innanzi a quella
bocca che si chiama, come voi dite Colonne d’Ercole.[...] Perché tutto questo mare, che
sta di qua dalla bocca che ho detto, sembra un porto d’angusto ingresso, ma l’altro
potresti rettamente chiamarlo un vero mare, e la terra, che per intero l’abbraccia un vero
continente.(Op. Cit. III). Dopo aver parlato della grandezza di Atlantide il poeta si
cimenta nel raccontare le vicende della guerra :Ma benché siano molte e grandi le opere
compiute dalla città vostra, che noi ammiriamo qui scritte, una però supera tutte per
grandezza e virtù. Perché dicono le scritture come la vostra città distrusse un grande
esercito, che insolentemente invadeva ad un tempo tutta l’Europa e l’Asia, movendo fuor
dall’Oceano Atlantico[...]Allora dunque, o Solone,(la persona a cui il sacerdote di Sais
racconta le vicende di Atlantide)la potenza della vostra città apparve cospicua per virtù
e per vigore a tutte le genti :perché avanzando tutti nella magnanimità e in tutte le arti
belliche, parte conducendo l’armi dei Greci, parte costretta a combattere sola per la
defezione degli altri, affrontati gli estremi pericoli e vinti gli assalitori, stabili trofei, e
campò dal servaggio i popoli non ancora asserviti, e liberò generosamente tutti gli altri,
quanti abitiamo di qua alle colonne d’Ercole.(Op. Cit. III).Verso la fine del III° capitolo il
poeta racconta dello sprofondamento della terra in cui molti guerrieri Ateniesi persero la
vita e di un terribile sisma che fece sprofondare l’isola di Atlantide :Ma nel tempo
successivo, accaduti grandi terremoti e inondazioni nello spazio di un giorno e di una
notte tremenda, tutti i vostri guerrieri sprofondarono insieme alla terra, e similmente
scomparve l’isola Atlantide assorbita dal mare perciò ancora quel mare è impraticabile
ed inesplorabile, essendo d’impedimento i grandi bassifondi di fango, che formò l’isola
nell’inabissarsi.(Op. Cit. III)
Il primo a scrivere di Atlantide fu lo scrittore greco Platone nei suoi dialoghi : il "Crizia" e
il "Timeo". A parlare è Crizia, parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo
prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella città di Sais che secondo gli
abitanti, l'origine della città si deve alla dea Neith, che nella lingua egiziana
corrispondeva a quella greca Atena, che avrebbe creato la città di Atene. Qui Solone
cercò di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando le antiche tradizioni greche, ma uno
di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei confronti di
quello egiziano che possedeva molta documentazione scritta. Tra questi testi c'era la
storia di una grande isola che si trovava nell'Oceano Atlantico(circa 9000 prima di
Solone). Il filosofo greco parla dell'isola misteriosa, sempre per bocca di Crizia, che prima
di descrivere di Atlantide disse :<...Questi erano presso il nonno e ora sono in casa mia,
e quand'ero fanciullo li studiai diligentemente. Se dunque udirete questi nomi,(quelli dei
re di Atlantide, che furono tradotti da Solone in greco)che ho detto, non ve ne
meravigliate, perché ne sapete il motivo. Quella lunga narrazione cominciava press'a
poco così...>(Op. Cit. Crizia cap. VII)
Nonostante tutto questo si è sospettato che Platone abbia voluto servirsi di una
tradizione come di un mezzo per diffondere le proprie idee politiche. Platone
contrappone Atlantide ad Atene, che si reggeva secondo i principi esplicati da Platone
nel dialogo "Repubblica"(gr. Politéia) ; infatti lo si nota nel "Timeo" durante il colloquio
tra Socrate, lo stesso Timeo, Crizia e Ermocrate sullo Stato perfetto, l'educazione etc..
ma poi a un certo punto la discussione si concentra sul problema di come si
comporterebbe la città perfetta in guerra ed in pace e quindi viene preso in
considerazione il racconto della guerra Atene - Atlantide. Oltre a Platone altri scrittori
classici scrissero di un continente scomparso :
- Omero, nell'Odissea scrisse di Ogigia, che ne parleremo poi.
- Aristotele anche se parlò delle Antille(localizzate come Atlantide)non diede molta
importanza alla narrazione del suo Maestro, e questa non - opinione ebbe un peso
determinante nel Medio Evo cristiano. Aristotele, infatti, era considerato un'autorità
indiscussa, e ciò che lui aveva detto("Ipse dixit"), e che non a caso concordava con la
visione geocentrica dell'universo sostenuta dalla Chiesa, non poteva essere contestato.
Per di più l'esistenza di un continente distrutto novemila anni prima non coincideva con
la data della creazione del mondo secondo la Genesi, calcolata nel 3760 a.C.
- Marcellino, scrisse di una diffusa convinzione sull'esistenza di Atlantide, e che "una
grande venne inghiottita".
- Proclo, riferiva che gli abitanti delle isole Atlantide ricordavano che quella più grande e
da cui dipendevano si inabissò nel fondo del mare.
- Plutarco, fece riferimento a un continente chiamato Saturnia.
- Timagene, parlò di "un'isola in mezzo all'oceano" da cui sarebbero generati i Galli
- Tertulliano, scrisse sull'inabissamento di Atlantide come di un esempio dei mutamenti
della terra facendo osservare che era stata "cercata invano".
Altri racconti antichi descrivono o parlano di Atlantide, ma non hanno pieno affidamento
come il resoconto fatto da Teopompo di una discussione tra Mida, re di Creta, e Sileno la
quale trattava di un continente lontano.
LA NARRAZIONE DEL "CRIZIA".
La descrizione dell'isola Atlantide incomincia nel III° capitolo. Platone racconta che circa
novemila anni prima la sua descrizione c'era un enorme isola chiamata Atlantide, la
quale era più grande della Libia e dell'Asia, che si trovava nell'oceano Atlantico al di fuori
delle colonne d'Ercole (stretto di Gibilterra). La popolazione atlantica combatté una
guerra contro gli Ateniesi i quali vinsero. Dopo questa lungo conflitto l'isola di Atlantide si
inabissò. Verso il VII° capitolo Platone riprende la descrizione di Atlantide parlandone
dettagliatamente. Un tempo le divinità dell'Olimpo si erano divisi la terra e Poseidone,
dio del mare( in latino Nettuno) ebbe l'isola Atlantide nell'oceano omonimo. Nel bel
mezzo dell'isola c'era una vastissima pianura fertile ed tutto intorno una cinta di monti
bassi ; in uno di questi colli viveva Clito, futura moglie del dio. Poseidone generò con
questa donna cinque coppie di gemelli. Il primo, Atlante ebbe come proprio regno la casa
materna(il colle il quale fu staccato dall'isola per opera del dio del mare) e il territorio
intorno ; il secondo figlio, Gadiro, ebbe la parte più estrema dell'isola verso le colonne
d'Ercole ; poi gli altri otto figli li chiamò rispettivamente : Anfere, Evemone, Mnseo,
Autoctono, Elasippo, Mestore, Azae e infine Diaprepe. Dopo aver descritto la fondazione
di Atlantide, Platone si addentra a nei particolari delle civiltà atlantica :< La stirpe di
Atlante fu numerosa e onorata, e tramandando sempre il re più vecchio il regno al
maggiore dei figli, lo conservarono per molte generazioni, e possedevano tanta copia di
ricchezza, quanta non ne fu mai per l'innanzi in alcuna dominazione di re, né mai
facilmente sarà nell'avvenire, e avevano accumulato tutto quello che nella città e nelle
rimanente regione occorreva accumulare. Molte cose in grazia della loro potenza
venivano ad essi dal di fuori,
moltissime ne forniva l'isola stessa per le necessità della vita, e in primo luogo tutte le
sostanze solide e fusibili, che si scavano dalle miniere : e quel metallo che ora solo si
nomina, allora era più che un nome, l'oricalco, che in molti luoghi dell'isola si scavava
dalla terra, ed era a quel tempo il più prezioso dopo l'oro.> (Cit. cap. VII). Questo
frammento del VII° capitolo ci testimonia la grande opulenza dell'isola, il filosofo greco
oltre a descrivere nei particolari le ricchezze del continente atlantico fa un accenno agli
elefanti :<V'era in essa anche una grandissima quantità di elefanti : perché per gli altri
animali, quanti pascolano nelle paludi, nei laghi e nei fiumi, e quanti sui monti e sui
campi, per tutti v'era pascolo abbondante, e così anche per quest'animale ch'è il più
grande e il più vorace.>(Cit. cap. VII). La descrizione della varietà di alimenti che
disponevano gli abitanti di Atlantide, fa pensare a un paradiso terrestre :<... quanti
profumi la terra ora fornisce di radici o d'erba o di legna o di succhi stillati dai fiori o dai
frutti, tutti questi allora produceva e forniva bene. Così i frutti molli o duri, che ci servono
per nutrimento, e quelli che usiamo inoltre per cibo e che chiamiamo legumi, e i frutti
legnosi, che ci danno bevande, alimenti e unguenti, e i frutti scorzuti, che usati per gioco
e diletto, difficilmente si ripongono, e quelli che come eccitanti contro la sazietà poniamo
nelle seconde mense per compiacere allo stomaco stanco, tutti questi frutti quella sacra
isola, che allora stava sotto il sole, produceva belli e meravigliosi e infiniti di
numero.>(Cit. cap. VII). Platone si cimenta a descrivere grandi opere di architettura le
quali ricordano le ciclopiche costruzioni esistenti in tutto il mondo :< VIII.- Anzitutto le
cinte di mare, che stavano intorno all'antica metropoli, le congiunsero con ponti,
formando una via tra il di fuori e la reggia. Avevano eretto subito fin da principio la
reggia in questa sede del Dio e degli antenati, e i re, ricevendola l'uno dall'altro, vieppiù
l'adornavano, e ciascuno cercava di superare sempre, per quant'era possibile, il
predecessore, finché si formò un'abitazione stupenda a vedere per la grandezza e la
bellezza delle opere. Infatti, cominciando dal mare, condussero fino all'ultima cinta una
fossa larga tre pletri, profonda cento piedi, lunga cinquanta stadi, e con essa diedero
accesso alle navi dal mare fino a quella cinta, come in un porto, allargandone la bocca in
modo che potessero entrarvi le navi più grandi. E le cinta di terra, che separavano quelle
di mare, le perforarono lungo i ponti tanto che potesse passarvi una trireme per volta, e
le ricopersero con tetti di modo che la navigazione si compisse di sotto perché gli orli
delle cinte terrestri si elevavano abbastanza sopra il mare. Ma la più grande delle cinte,
con la quale comunicava il mare, era larga tre stadi, e quella successiva di terra era
eguale ad essa: delle due cinte seguenti, la marittima era larga due stadi, la terrestre
era eguale alla marittima precedente : infine d'uno stadio era quello che circondava
l'isola nel mezzo. L'isola in cui stava la reggia, aveva il diametro di cinque stadi. Questa
d'ogni intorno e le cinte e il ponte largo un pletro li rivestirono da una parte e dall'altra
con un muro di pietra, imponendo torri e porte sui ponti lungo tutti i passaggi del mare.>
<L'isola in cui stava la reggia, aveva il diametro di cinque stadi (uno stadio equivale a
177,60 m) . Questa d'ogni intorno e le cinte e il ponte largo un pletro li rivestirono da una
parte e dall'altra con un muro di pietra, imponendo torri e porte su ponti lungo tutti i
passaggi del mare. E d'ogni intorno sotto l'isola, ch'era nel mezzo, e sotto le cinte di fuori
e di dentro tagliarono delle pietre, alcune bianche, altre nere, altre rosse, e così
scavarono nell'interno dell'isola due bacini profondi con la stessa roccia per
copertura.>(Op. Cit. VII ). Nel descrivere i colori delle pietre di Atlantide, Platone, senza
saperlo, citò i colori predominanti delle pietre che ancora si vedono nelle Canarie. Una
certa analogia possiamo riscontrarla nel diametro di Tenerife (830m) il quale è molto
vicino all diametro dove c'era la reggia che era cinque stadi ( 880m). Platone nella sua
opera parlò molto delle ricchezze del settimo continente come può testimoniare questo
frammento del "Crizia" :< E rivestirono di bronzo, a guisa di vernice, tutto il percorso del
muro della cinta esteriore, e spalmarono di stagno liquefatto quello della cinta interiore,
e d'oricalco dai riflessi ignei quello della stessa acropoli. IX.- Ma la reggia nell'intero
dell'acropoli fu costruita così. Nel mezzo il tempio sacro a Clito e a Poseidone vi era stato
lasciato inaccessibile, circondato d'una muraglia aurea : in questo tempio avevano da
principio generato e messo alla luce la stirpe dei dieci regoli, colà ogni anno da parte di
tutti dieci regni si compivano a ciascuno sacrifizi ordinari. Il tempio di Poseidone era
lungo uno stadio, largo tre pletri, d'altezza proporzionata a queste dimensioni, e con
qualcosa di barbarico nell'aspetto. Rivestirono d'argento tutto il tempio al di fuori,
fuorchè gli acroteri, e d'oro gli acroteri : nell'interno la volta si vedeva tutta d'avorio ed
era screziata d'oro e oricalco, e tutto il resto delle pareti, delle colonne e del pavimento
lo ricopersero d'oricalco. Vi collocarono statue d'oro, e il Dio ritto sul carro, auriga di sei
cavalli alati, tanto grande che toccava con la testa la volta, e cento Nereidi all'intorno
sopra delfini : perché allora credevano ch'egli ne avesse tante. E v'erano molte altre
statue dedicate da privati. Di fuori intorno al tempio stavano le immagini auree di tutti,
delle donne e d'ogni discendente dei dieci re, e molte altre grandi offerti di re e di privati
o delle stesse città o di quelle straniere, in cui imperavano.>(Op. Cit. VIII e IX ). Quando il
filosofo greco parla di sorgenti fredde e calde per le terme possiamo riscontrare una
similitudine cioè che oggi a Reykjavik, in Islanda, si riscaldano le case e si provvede ad
avere acqua calda sfruttando le sorgenti calde di origine vulcanica :< Avevano due fonti,
l'una fredda l'altra calda, molto copiose e adatte mirabilmente ad ogni uso per il diletto
della virtù delle acque. E vi stabilirono intorno case e piantagioni d'alberi, che amano
l'umidità, e anche vasche, quali a cielo scoperto, quali invernali e coperte per i bagni
caldi, da una parte quelle del re, da un'altra quelle dei cittadini, altrove quelle delle
donne, altrove ancora quelle dei cavalli e delle altre bestie da soma, dando a ciascuna
l'ornamento adatto.(Op. Cit. IX). Un cenno all'irrigazione ricorda uno dei grandi schemi
idraulici delle popolazioni precolombiane presenti sulle coste e gli altipiani dell'America
meridionale :< L'acqua corrente la conducevano nel bosco di Poseidone, che per la
fecondità della terra aveva alberi d'ogni genere, di bellezza e altezza meravigliosa, e
parte ne derivavano nelle cinte esteriori mediante canali lungo i ponti.>(Op. Cit. IX).
Platone descrive un po' la città dicendo che lì erano stati costruiti templi consacrati a
molte divinità, poi si potevano trovare giardini, ginnasi, poi intorno all'isola vi era una
pista per le corse dei cavalli. E ancora intorno a questo <ippodromo> c'erano delle
caserme per la stragrande moltitudine di soldati. Nella descrizione del porto dell'antica
città si è sospettato che Platone si sia servito come
modello di quello di Tiro o di altre città fenici o cretesi, perché sembra impossibile che
siano stati traffici commerciali con il epoche passate. Però nonostante tutto, in popolo
atlantico in ogni caso, si può pensare che esistessero rapporti con i Fenici perché essi
raccontarono di aver visitato un'isola chiamata Antilla. Alcuni sostengono che i
Cartaginesi e poi i Fenici abbiano esplorato le isole Azzorre o la stessa Atlantide :< Gli
arsenali erano pieni di triremi e di tutti gli apparecchi necessari alle triremi, tutti in buon
ordine. E così era disposta l'abitazione del re. Ma di là dai tre porti esteriori cominciava
dal mare un muro circolare, distante per ogni parte cinquanta stadi dalla più grande
porto, e ritornava nello stesso punto presso la bocca della fossa situata verso il mare.
Tutto questo luogo conteneva molte e frequenti abitazioni, e il canale e il porto più
grande eran pieni di navigli e di mercanti che venivano da ogni parte del mondo e
sollevavano giorno e notte clamore e tumulto vario e strepito per il loro gran
numero.>(Op. Cit. IX). Nel decimo capitolo Platone descrive qualcosa sulla morfologia
dell'isola e del suo ordinamento :<X.- Dunque ora ho riferito press'a poco quanto allora
si diceva della città e dell'antica abitazione, ma occorre che tentiamo di ricordare qual
fosse la natura della restante e il suo ordinamento. Si diceva primamente che tutto il
luogo fosse molto e scosceso dalla parte del mare, e tutt'intorno una pianura
circondasse la città, e questa pianura, cinta in gira di monti discendenti fino al mare,
fosse liscia e uniforme e tutta oblunga, di tremila stadi da una parte e di duemila dal
mare fino al centro. Questo tratto di tutta l'isola era volto a mezzodì e riparato dai venti
del settentrione. I monti che lo cingevano si diceva che superassero per numero,
grandezza e bellezza tutti quelli ora esistenti, e chiudevano tra loro molti villaggi, ricchi
d'abitanti, e fiumi e laghi e prati, fornivano nutrimento sufficiente a tutti gli animali
domestici e selvaggi, e selva copiosa e svariata, che porgeva materiale abbondante a
tutti i lavori in generale e a ciascuno in particolare.> La descrizione a proposito di canali
interni per l'irrigazione dei territori ricordano il sistema idrico usato in Mesopotamia e
sulla costa peruviana :<Cosi dunque questo piano era stato fatto da natura e dall'opera
di molti re in molto tempo. Era esso un quadrangolo per la maggior parte retto e
oblungo, e dove veniva meno, lo rendeva diritto una fossa scavata all'intorno. Non è
credibile quel ch'è stato tramandato sulla profondità e larghezza e lunghezza di questa
fossa, che cioè, come opera umana, avesse oltre restante lavoro tali dimensioni ; però
bisogna dire quel che abbiamo udito. Era stata scavata alla profondità di un pletro con la
larghezza d'uno stadio in ogni punto, ed essendo condotta per tutta la pianura, ne
conseguiva che avesse una lunghezza di diecimila stadi. Era alimentato dai torrenti che
scendevano dalle montagne, e girando intorno alla pianura raggiungeva la città d'ambo
le parti, prima di gettarsi infine nel mare. Dalla parte superiore di questa fossa, canali
larghi cento piedi, dopo aver tagliato in linea retta il piano ritornavano nuovamente nel
fossato, diretti al mare, e distavano gli uni dagli altri cento stadi. Per essa trasportavano
i materiali dai monti e nelle città, e gli altri prodotti delle stagioni su navi, grazie ai
passaggi trasversali che univano un canale all'altro e alla città. E due volte all'anno
raccoglievano i frutti della terra, giovandosi d'inverno delle piogge e bagnando d'estate i
prodotti della terra con l'acque dei canali...>(Op. Cit. X).Platone fornisce anche di una
descrizione su i militari di leva, e l'esercito :<...Era stabilito che ogni capo fornisse per la
guerra la sesta parte di un carro da guerra, fino a formarne diecimila e due cavalli con i
cavalieri e inoltre una coppia di cavalli senza carro, che avevano un soldato armato di
piccolo scudo e un auriga oltre il cavaliere di ciascun cavallo e poi due opliti, due arcieri,
due frombolieri, tre lanciatori di pietre, e tre di giavellotto, e quattro marinai come
contributo a una flotta di mille e duecento navi. Tale era l'ordinamento bellico nella
provincia del re supremo: quello delle altre nove era diverso, ma sarebbe lungo
riferirlo.>(Op. Cit. X). Una giusta punizione, in quanto, con il trascorrere dei secoli, gli
Atlantidei si sono corrotti :<Quando l'elemento divino, mescolato con la natura mortale,
si estinse in loro, il carattere umano prevalse, allora degenerarono, e mentre a quelli che
erano in grado di vedere apparvero turpi, agli occhi di quelli che sono inetti a scorgere
qual genere di vita conferisca davvero la felicità, apparvero bellissimi, gonfi come erano
di avidità e potenza. E Zeus, il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava
miserabilmente, volle impartir loro un castigo affinché diventassero più saggi. Convoco
gli dei tutti, e, convocati, disse...>. Cosa disse Zeus, possiamo solo intuirlo : infatti con
queste parole si conclude il "Crizia". Adesso dopo aver analizzato uno dei dialoghi in cui
Platone descrive Atlantide passiamo a trattare il motivo che spinse lo scrittore ad
interrompere la stesura dell'opera. Tutte le mitologie del mondo contengono elementi
reali ; è questa è una verità che si può facilmente riscontrare dopo uno studio
approfondito e sistematico dei vari argomenti mitologici. Da tale studio apparirà
evidente che la religione e la mitologia sono strettamente vincolate l'uno all'altra da un
rapporto di interdipendenza. Ora se da veri cristiani accettiamo incondizionatamente i
fatti riportati dalla Bibbia dobbiamo anche ammettere che tutti gli altri testi religiosi
riportano così come la Bibbia eventi realmente accaduti ; dopo un attento esame di tali
tesi, ci accorgiamo che gli avvenimenti sono pressoché simili, e quindi dobbiamo anche
dedurre che è possibile che tutte le religioni, e quindi tutti i testi sacri, provengano da
un'unica fonte. Ma qual è la religione più antica che è servita da modello a tutte le altre
e da cui tutti i popoli hanno avuto origine ?. Seguendo le cronologie delle varie mitologie,
sembra che si tratti di quella scandinava basata sul culto del Sole - Odino e da cui è
difficile risalire all'origine. Da tali considerazioni deriva che esisteva un tempo un'unica
mitologia, intesa come raccolta di fatti e di personaggi, esisteva una sola religione che
una volta diffusasi nelle varie parti del Globo, assunse caratteri diversi da paese a paese,
ed esisteva un'unica civiltà da cui sono scaturiti i fatti mitologici. Tale civiltà potremo
chiamarla "Atlantidea". Platone da importante filosofo e storico quale era, non poteva
certamente fare un discorso di questo genere : l'argomento Atlantide con tutte le
numerose implicazioni scientifiche, storiche e religiose, contrastava con la concezione
fortemente ellenocentrica del mondo allora conosciuto. Le masse a quei tempi avevano
bisogno di credere nei miti e non nella realtà che sicuramente essi non erano pronti ad
accettare.
LA NARRAZIONE DEL "TIMEO".
Platone nel Timeo fornisce specialmente le notizie delle guerra tra i greci e l'esercito di
Atlantide. Prima di raccontare la grande imprese degli Ateniesi, lo scrittore greco parla
dei possedimenti della grande potenza Atlantica, i cui versi sono già stati citati, in più
scrive anche della grandezza dell'isola :L'isola era più grande della Libia e dell'Asia
riunite...(Op. Cit. III). Il poeta continua raccontando come prima era l'oceano prima che
l'isola scomparisse :Questo mare era allora navigabile, e aveva un'isola innanzi a quella
bocca che si chiama, come voi dite Colonne d'Ercole.[...] Perché tutto questo mare, che
sta di qua dalla bocca che ho detto, sembra un porto d'angusto ingresso, ma l'altro
potresti rettamente chiamarlo un vero mare, e la terra, che per intero l'abbraccia un vero
continente.(Op. Cit. III). Dopo aver parlato della grandezza di Atlantide il poeta si
cimenta nel raccontare le vicende della guerra :Ma benché siano molte e grandi le opere
compiute dalla città vostra, che noi ammiriamo qui scritte, una però supera tutte per
grandezza e virtù. Perché dicono le scritture come la vostra città distrusse un grande
esercito, che insolentemente invadeva ad un tempo tutta l'Europa e l'Asia, movendo fuor
dall'Oceano Atlantico[...]Allora dunque, o Solone,(la persona a cui il sacerdote di Sais
racconta le vicende di Atlantide)la potenza della vostra città apparve cospicua per virtù
e per vigore a tutte le genti :perché avanzando tutti nella magnanimità e in tutte le arti
belliche, parte conducendo l'armi dei Greci, parte costretta a combattere sola per la
defezione degli altri, affrontati gli estremi pericoli e vinti gli assalitori, stabili trofei, e
campò dal servaggio i popoli non ancora asserviti, e liberò generosamente tutti gli altri,
quanti abitiamo di qua alle colonne d'Ercole.(Op. Cit. III).Verso la fine del III° capitolo il
poeta racconta dello sprofondamento della terra in cui molti guerrieri Ateniesi persero la
vita e di un terribile sisma che fece sprofondare l'isola di Atlantide :Ma nel tempo
successivo, accaduti grandi terremoti e inondazioni nello spazio di un giorno e di una
notte tremenda, tutti i vostri guerrieri sprofondarono insieme alla terra, e similmente
scomparve l'isola Atlantide assorbita dal mare perciò ancora quel mare è impraticabile
ed inesplorabile, essendo d'impedimento i grandi bassifondi di fango, che formò l'isola
nell'inabissarsi.(Op. Cit. III)