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TIPICIT, QUALIT E SVILUPPO DEL MERCATO: I TERMINI DEL PROBLEMA*


di Donato Romano e Benedetto Rocchi

1. Introduzione
I contributi raccolti in questo volume sono basati sui risultati di un progetto di ricerca finanziato dallAgenzia Regionale per lo Sviluppo e lInnovazione in Agricoltura (ARSIA) della Regione Toscana. Negli ultimi anni la Toscana stata teatro di una grande vitalit imprenditoriale nel comparto delle produzioni alimentari di qualit. Lo testimoniano senza possibilit di dubbio le 19 produzioni che hanno gi ottenuto il riconoscimento di una denominazione geografica ai sensi del regolamento CEE 2091/92 e gli altrettanti prodotti che hanno avviato liter di riconoscimento. Lo confermano gli oltre 400 prodotti tradizionali censiti dallARSIA ai sensi dellarticolo 8 del decreto legislativo 173/98: una risorsa di tradizioni produttive, di saper fare che esprimono tutto il potenziale di sviluppo delle filiere agroalimentari di qualit. Il recupero e la valorizzazione di produzioni agroalimentari tipiche costituisce unopportunit irrinunciabile per le aree rurali della Toscana. Nella sua attivit di trasferimento dellinnovazione verso gli operatori agricoli e gli attori del mondo rurali, lARSIA si trovata spesso di fronte a richieste di orientamento e supporto da parte di singoli imprenditori, reti di imprese, istituzioni locali interessate a valutare la possibilit di realizzare un progetto di valorizzazione delle tradizioni produttive locali. Da questa domanda nato il tavolo progettuale che ha portato al bando di ricerca sulla base del quale stato finanziato il progetto su Prodotti tipici, percezioni di qualit lungo la filiera e possibilit di sviluppo nel mercato che qui viene presentato. Il tavolo progettuale ha condotto al finanziamento di una ricerca finalizzata (i) ad approfondire la conoscenza della realt delle produzioni agroalimentari tipiche della Toscana e (ii) allanalisi critica dei processi di
* Donato Romano ha curato i paragrafi da 1 a 3, Benedetto Rocchi il paragrafo 4.

valorizzazione in atto, riuscendo tuttavia fornire anche una serie di risposte sul piano dei metodi e delle strategie da mettere in atto, sia a livello di impresa che di istituzioni, per sviluppare il loro mercato. Questo volume sintetizza e approfondisce i principali risultati raggiunti sul piano scientifico, tentando di costituire una risposta al primo dei due obiettivi, quello conoscitivo. Come risposta alle domande degli operatori il progetto ha prodotto anche un risultato pensato per essere strumento da usare sul campo: la Guida alla valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche, recentemente pubblicata dallARSIA. I due lavori sono complementari e rappresentano un esempio paradigmatico dellapproccio dellARSIA al finanziamento della ricerca nel quale lincremento delle conoscenze cerca di farsi sempre strumento utilizzabile dagli operatori del settore. Questo capitolo introduttivo articolato come segue. Nel paragrafo 2 viene presentato lo stato dellarte del problema della definizione della qualit nel caso dei prodotti alimentari tipici. Il paragrafo 3 riassume brevemente larticolazione e la struttura logica del progetto. Il paragrafo 4 infine presenta una sintesi dei contributi raccolti nel volume.

2. Il problema della qualit nel caso delle produzioni alimentari tipiche: lo stato dellarte
I processi di sviluppo di particolari aree o regioni implicano sempre una relazione dinamica tra dimensione globale del mercato e realt locale della produzione. A livello macro-economico stato evidenziato come la dinamica strutturale dei sistemi economici, sia causata, in un contesto di redditi crescenti come conseguenza del progresso tecnico, da una continua evoluzione della domanda (Pasinetti, 1984). Lanalisi di casi di studio dei processi di sviluppo ha confermato questo nesso con unevoluzione globale della domanda. I sistemi locali di sviluppo manifestano una capacit stabile nel tempo di riprodursi quando riescono ad instaurare un rapporto di complementarit (dualit) tra un particolare nucleo di bisogni manifestato dalla domanda a livello globale e una specifica realt produttiva. Lesperienza del made in Italy evidenzia come lo stabile successo dei suoi sistemi locali di produzione sia connesso con una domanda di specialit, merci e servizi differenziati, tendenzialmente sempre pi personalizzati e sempre pi distanti dalla routine dei consumi ordinari (Becattini, 2000: 126). Anche per i processi di sviluppo rurale endogeno stata proposta uninterpretazione basata sulla capacit di determinati territori rurali, specializzatisi nel tempo, per una complessa serie di cause socio economiche, in produzioni agroalimentari di qualit (contrapposte a riduzioni di massa di merci agricole indifferenziate), di localizzare una quota crescente di domanda anche attraverso la creazione di specifiche barriere di tipo istituzionale (Polido10

ri e Romano, 1997; Rocchi e Stefani, 2000). La possibilit di avviare anche in aree rurali in ritardo di sviluppo simili processi sembra possibile, considerando come non solo le caratteristiche di autenticit, ma anche quelle di localit delle produzioni alimentari sempre pi associate dal consumatore alla salubrit dei cibi (Marsden et al., 2000). Levoluzione che si avuta nella natura e nelle motivazioni del consumo alimentare, nella distribuzione e nelle possibilit dirette e indirette di acquisto del prodotto tipico (pasti fuori casa, turismo eno-gastronomico, utilizzazione in ricette tradizionali diffuse dai media, fiere, sagre e manifestazioni folkloristiche, e-commerce) ha notevolmente ampliato lo spazio di mercato di questi prodotti, ma al tempo stesso ha reso pi delicato il meccanismo di trasmissione e di riconoscimento della qualit. evidente, tuttavia, come il successo di una particolare produzione tipica su un mercato non limitato allambito locale richieda che, lungo la filiera che porta dalla produzione al consumo, la qualit delle produzioni venga definita e trasmessa in modo coerente dai diversi agenti economici. Una ricerca volta ad approfondire le conoscenze relative alla creazione, valorizzazione e comunicazione della qualit nelle filiere di produzione agroalimentari tipiche deve affrontare il problema qualit secondo molteplici angolature complementari tra loro: a) studiare le diverse concezioni di qualit espresse dagli agenti economici; b) analizzare i processi di comunicazione della qualit nella serie di scambi che portano dalla produzione al consumo, la natura e levoluzione delle reti di relazioni che legano sistemi locali di produzioni e consumatori; c) studiare le soluzioni istituzionali per la definizione e comunicazione della qualit delle produzioni. 2.1. Agenti economici e concezioni di qualit lungo la filiera agroalimentare La letteratura sul contenuto simbolico della tipicit percepito dal consumatore abbastanza copiosa (Romano e Cavicchi, 2006). Informazioni al riguardo sono contenute nellindagine Nomisma sui prodotti tipici (Nomisma, 2000) che riprende anche una precedente indagine INRA sullatteggiamento dei consumatori europei. Secondo lindagine Nomisma la percezione della qualit-tipicit di un prodotto da parte dei consumatori legata principalmente alla sua genuinit (prodotto genuino senza conservanti), secondariamente al suo ottenimento da materie prime del territorio, con metodi artigianali, sulla base di ricette tradizionali, o ancora alla sua acquistabilit direttamente nel luogo di produzione. Da queste indagini risulterebbe anche una scarsa conoscenza dei marchi di tutela DOP e IGP, mentre si evidenzierebbe una disponibilit a pagare consistente (circa il 50%) in pi per un prodotto tipico da parte di circa la met degli intervistati.
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Altri lavori (Van Ittersum et al., 2000) hanno posto in relazione lacquisto di prodotti regionali con il sesso dellacquirente, let, la numerosit del nucleo familiare, il reddito, il luogo di residenza, limportanza che i consumatori assegnano al prezzo (o alle denominazioni di origine, alla qualit, alla marca, alla fiducia riposta nel punto di vendita, alla presentazione del prodotto). Queste variabili socio-economiche e comportamentali dei consumatori sono talora state utilizzate per classificare i consumatori in categorie quali il conoscitore, il succube della marca, il razionale, lo sparagnino, il disponibile ad ogni tipo di acquisto, traendo informazioni anche dai comportamenti di acquisto rilevabili dalle carte di credito. Meno frequente nella letteratura la valutazione del comportamento di acquisto dei consumatori in relazione alle situazioni di acquisto1. Analisi in questa direzione sono state fatte solo incidentalmente, ad esempio per analizzare latteggiamento dei consumatori riguardo ai canali commerciali del circuito breve (Vannoppen et al., 2000), con riferimento alle diverse forme organizzative nellofferta di prodotti tipici (Brunori et al., 2000), o nel quadro dellanalisi della domanda di agriturismo in Toscana (Balestrieri, 1996). Nellambito degli studi che analizzano i processi di ricerca e selezione dei beni da parte dei consumatori, le caratteristiche dei beni sono state classificate in base alla rilevanza dei costi di informazione prima e dopo lacquisto (Nelson, 1970; Darby and Karny, 1973). Seguendo Anderson (1994) possibile cos distinguere caratteristiche search, caratterizzate da bassi costi di quality detection prima dellacquisto (dimensioni, colore); caratteristiche experience, per le quali il costo di accertamento della qualit elevato prima dellacquisto ma basso al momento del consumo (caratteristiche organolettiche); caratteristiche credence per le quali laccertamento autonomo del livello qualitativo da parte del consumatore costoso sia prima che dopo lacquisto. evidente che la provenienza della carne da razze autoctone o larea di coltivazione di una particolare ciliegia non sono direttamente verificabili dallacquirente n prima n dopo lacquisto e quindi ricadono tra le caratteristiche credence. Il consumatore considera questo tipo di caratteristiche quando linformazione su di esse fornita in maniera sufficientemente credibile2. La mancanza di credibilit dellinformazione invece causa di scelte sub-ottimali ed equivale a scelte in stato di ignoranza basate su rappresentazioni soggettive delle probabilit che lalimento abbia o meno certe caratteristiche non verificabili.
1. Ad esempio piccola o grande distribuzione, direttamente nei luoghi di produzione in occasioni di turismo o escursionismo, nel consumo dei pasti fuori casa, attraverso il commercio elettronico. 2. In genere necessario che una terza istituzione tra acquirente e venditore si faccia garante della correttezza dellinformazione stabilendo standards, procedure di analisi, o di tracciabilit, certificazioni, e penalit per i comportamenti fraudolenti.

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Relativamente diffusi sono i lavori di stima del valore delle singole caratteristiche basati su dati di mercato. Questo tipo di studi si possono comprendere sotto la tipologia delle funzioni di prezzo edonico per mezzo delle quali si stima il contributo marginale al valore di un bene dato dalle singole caratteristiche. Tuttavia tali studi prendono in considerazione tutte le caratteristiche contemporaneamente e non permettono di evidenziare linterazione tra le tre tipologie di caratteristiche. Inoltre il prezzo di mercato sempre frutto di una interazione tra domanda ed offerta e non possibile identificare la domanda per le singole caratteristiche da una semplice funzione di prezzo edonico senza informazioni aggiuntive (Rosen, 1974). Passando a considerare i produttori di specialit locali, essi sono invece spesso legati ad una concezione della qualit che conserva un notevole livello di autonomia rispetto a quella del consumatore. Le produzioni tipiche sono state interpretate in chiave sociologica come una commoditization della cultura locale: una strategia volta a trasformare una conoscenza locale (cio modo di fare e modo di intendere il mondo) in una risorsa disponibile per il territorio (Ray, 1998). Indagini sul campo mettono in evidenza come siano soprattutto gli aspetti della specificazione dei metodi di produzione e dei materiali utilizzati i parametri ai quali i produttori associano il concetto di qualit: piccola scala di produzione, coinvolgimento personale, lavorazione manuale sono generalmente le espressioni concrete di tale concezione della qualit (Ilbery e Kneafsey, 2000; Pilati e Ricci, 1991). A proposito della distribuzione occorre dire che alquanto limitativo immaginare un collegamento produzione-consumo dei prodotti tipici che passasse esclusivamente da canali distributivi dedicati. Se vero infatti che i distributori, oggi sempre pi concentrati, esercitano un condizionamento che pu risultare sfavorevole per i prodotti tipici sulle scelte del consumatore agendo sulle sue motivazioni, sul suo livello di conoscenza e di apprezzamento delle caratteristiche dei prodotti, anche vero che ormai terminata la fase in cui il marchio della produzione veniva mortificato dalla grande distribuzione rimanendo assogettato al principio-ricatto che il produttore non vende attraverso il commercio ma vende al commercio (Spranzi, 1991). Oggi limpresa distributrice impegnata anchessa nella generale tendenza alla differenziazione estrema della produzione di beni e servizi, che si esprime principalmente con i marchi del produttore, per cogliere ogni piega della domanda, come pure nellaccettare il ruolo di impresa responsabile(Magatti e Monaci, 1999) sensibile agli umori degli stakeholders (Carrol, 1991). Non solo per il suo potere di induzione dei consumi, dunque, ma anche per la sua capacit di interpretare i bisogni dei consumatori e di accettare compiti di responsabilit sociale, importante conoscere la nozione di qualit-tipicit percepita e perseguita dalla distribuzione, verificandone la coerenza con la nozione di qualit-tipicit degli altri attori della filiera.

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2.2. La comunicazione della qualit lungo la filiera agroalimentare La realizzazione di una produzione tipica, in un ambito geografico circoscritto ed espressione di una tradizione produttiva condizione necessaria ma non sufficiente ad avviare un processo di sviluppo rurale, anche in presenza di una domanda potenziale di specialit allesterno della realt locale. La creazione di una rete di relazioni specificamente orientata a creare un collegamento tra produttori e consumatori appare indispensabile. Nelle cosiddette short food supply chain (SFSC) il prodotto giunge al consumatore insieme allinformazione necessaria a costruire un rapporto fiduciario con il luogo di produzione, con gli attori coinvolti e con i metodi usati nella produzione (Mardsen et al., 2000). Quanto pi ampio il mercato (in senso geografico) tanto pi complesso linterfaccia che si deve realizzare per conservare nel tempo una relazione reale tra consumatori e luogo di produzione. I sistemi locali di sviluppo presentano tipicamente laddensamento di una rete di rapporti a livello locale di tipo orizzontale e di breve distanza, volta ad incrementare il potere lungo la filiera da parte degli operatori delle fasi pi intimamente legate al territorio (Favia, 1992) La crescita di una domanda esogena al territorio, tuttavia, richiede in misura crescente lintegrazione nella rete di attori in grado di sostenere i processi di innovazione e favorire linstaurarsi di nuove convenzioni di qualit. Come teorizzato dalla scuola convenzionalista francese, infatti, la qualit e, in modo ancora pi specifico, la tipicit, sono il frutto di un processo di costruzione sociale al quale partecipano, in un dato contesto spaziale e temporale, tutti gli agenti coinvolti, direttamente o indirettamente, nel processo che va dalla produzione al consumo; in tale ambito, i diversi attori convergono attorno ad una stessa convenzione di qualit (Eymard Duvernay, 1989 e 1993; Gomez, 1994; Sylvander, 1995). La variet di forme che tale processo assume, nello spazio e nel tempo, sono alla base della diversit e quindi della compresenza di diversi modelli di coordinamento con cui gli attori producono-valorizzano-distribuiscono-consumano la specifica qualit dei prodotti. Questi aspetti sono ancora pi evidenti nei prodotti tipici, caratterizzati da una maggiore densit simbolica, nei quali la presenza di convenzioni e forme di coordinamento particolari strettamente legata allevoluzione che ha interessato il loro significato agli occhi del consumatore e i modi con cui tale diverso significato si rapporta al comportamento di acquisto. Nel rapporto prodotto tipico-consumatore entrano in gioco una complessit di elementi, in parte riconducibili ai caratteri del consumatore, in parte ai caratteri del prodotto. Tra i primi assumono importanza lappartenenza o meno al territorio e, allinterno di questo, al mondo della produzione, la conoscenza dei contenuti di tipicit e/o di tradizione del prodotto, le motivazioni dellapprezzamento/ricerca di tali prodotti e, ovviamente, let, le disponibilit economiche, il livello culturale. Dal lato del prodotto, sono fondamentali
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gli specifici requisiti materiali e/o immateriali, ma assumono comunque importanza anche aspetti come il contenuto in servizi (facilit duso, informazioni, ecc.), ladeguatezza rispetto alle norme igienico-sanitarie di base, la disponibilit in termini quantitativi e nel tempo. Tale rapporto non si presenta ovviamente cristallizzato, ma in continua evoluzione, sia per i cambiamenti che intervengono negli stili di consumo, sia per linterazione dei consumatori con gli altri attori che partecipano al processo di definizione della specifica qualit: i produttori, i trasformatori e i distributori. Questi ultimi se da un lato traggono dai caratteri del consumatore elementi per impostare le proprie azioni e strategie di marketing, dallaltro esercitano essi stessi un condizionamento sulle sue scelte, agendo sulle sue motivazioni, sul suo livello di conoscenza e di apprezzamento delle caratteristiche dei prodotti. La molteplicit delle forme cos assunte dal rapporto prodotto-consumatore, alla cui base stanno specifiche e diverse convenzioni sulla qualit tra gli attori coinvolti, trova espressione concreta nella variet di rapporti tra circuiti di produzione e di circolazione, che sono in grado di combinarsi variamente e sono caratterizzati da un alto potenziale innovativo. In essi i requisiti qualitativi dei prodotti tradizionali e tipici possono dunque essere oggetto di modalit diverse di definizione, comunicazione e garanzia, cos come diverse possono essere le modalit di collocazione sul mercato, dal rapporto pi o meno diretto e formale con il consumatore, alle modalit organizzative con cui ne viene gestita la distribuzione. 2.3. Le possibili soluzioni istituzionali per la definizione e la comunicazione della qualit lungo la filiera agroalimentare La rilevanza dei problemi informativi legati alla valutazione della qualit delle produzioni tipiche determina una maggiore complessit a livello di coordinamento tra imprese, e linsorgere di costi legati allorganizzazione delle transazioni e alla segnalazione della qualit al consumatore. La chiusura istituzionale (Polidori e Romano, 1997) attraverso una definizione formale della realt produttiva locale mediante strumenti legislativi come il sistema delle denominazioni di origine pu essere interpretata come una tappa nella formazione e riproduzione di un ponte istituzionale tra produttori locali e consumatore globale. Le DO, oltre a rappresentare per i produttori locali una barriera istituzionale per la creazione di una posizione di monopolio legata al possesso del fattore terra (Rocchi e Stefani, 2001), possono infatti essere interpretate come un meccanismo di associazione di unidentit locale ad una determinata produzione attraverso la trasformazione della conoscenza locale in propriet intellettuale, con la possibilit di riversarla anche su altre produzioni provenienti dal medesimo contesto (Moran, 1993). In linea con le problematiche evidenziate, nella letteratura economicoagraria stata posta una crescente attenzione, in termini generali sul ruolo
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delle istituzioni come elemento fluidificante delle relazioni tra imprese appartenenti a sistemi di produzione territoriali (Fanfani e Montresor, 1998), e in maniera particolare sulle peculiarit delle modalit di organizzazione delle transazioni e del ruolo delle istituzioni relative ai prodotti di qualit specifica (Mnard, 1996; Glandires e Sylvander, 1999; Valceschini, 1995) e soprattutto ai prodotti fortemente legati al territorio di origine (Chappuis e Sans, 1999; Barjolle e Sylvander, 1999; Belletti, 1999; Marescotti, 1999). Lefficacia nel rispondere ai problemi informativi attraverso limpiego di appropriati meccanismi istituzionali diviene dunque un fattore fondamentale di competitivit per i sistemi di imprese, specialmente quando questi siano orientati alla produzione di prodotti di qualit specifica che richiedono risorse dedicate e tecnologie meno efficienti dal punto di vista dei costi di produzione rispetto a prodotti standard. Nellambito dei prodotti di qualit specifica si assiste dunque a un forte aumento dellimpiego di segni di qualit come elementi di differenziazione e di valorizzazione del prodotto. In particolare, il sistema agroalimentare, rispetto ad altri settori economici, caratterizzato da una grande diffusione di segni collettivi di qualit, di varia tipologia per quanto concerne natura (pubblica o privata), livello di garanzia offerto, modello organizzativo e principi di funzionamento adottati, funzioni effettivamente svolte (Pilati e Flaim, 1994; Raynaud e Sauve, 1999) e, ovviamente, caratteristiche che il marchio di qualit intende segnalare. Sotto questultimo profilo una particolare rilevanza hanno lorigine dei prodotti e le caratteristiche del processo produttivo utilizzato. A fronte delle dinamiche generali dei mercati alimentari e delle sempre pi esigenti richieste espresse da talune fasce di consumatori, la segnalazione sul mercato degli attributi qualitativi connessi allorigine territoriale dei prodotti risulta sempre pi difficoltosa e richiede limpiego di appositi strumenti, non solo nel caso in cui il collocamento avvenga su canali distributivi di tipo lungo ma anche qualora esso sia effettuato nellarea di produzione. In considerazione del fatto che ordinariamente i prodotti tipici sono realizzati da piccole-medie imprese, evidente lesigenza del ricorso a forme di segnalazione della qualit di tipo collettivo. Tra esse assumono una particolare importanza le Denominazioni Geografiche (DOP e IGP) previste dal Reg. (CEE) 2081/92. La possibilit di attivazione e il successo delle strategie di segnalazione della qualit adottate dipendono dalla capacit di risposta ai problemi organizzativi e di coordinamento tra imprese diverse, operanti sia allo stesso stadio della filiera che a stadi diversi; tali problemi sono tanto pi significativi se si considera che le imprese che partecipano al processo di produzione e valorizzazione del prodotto tipico condividono risorse collettive connesse alla comunanza territoriale e alla tradizione di produzione, ma allo stesso tempo
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spesso non sono omogenee per quanto concerne i caratteri del prodotto realizzato e le stesse tecnologie impiegate per ottenerlo. Un altro aspetto di fondamentale importanza consiste nella difficolt di accesso delle imprese in special modo quelle di minore dimensione e caratterizzate da una maggiore artigianalit dei processi svolti allimpiego delle denominazioni geografiche. Queste ultime infatti richiedono un adeguamento delle imprese ai sistemi di certificazione e di controllo collettivi, il quale comporta per le imprese dei costi di riorganizzazione e di implementazione di nuovi sistemi di controllo e di produzione; inoltre possono essere rilevanti anche i costi espliciti connessi allattivit di controllo dellEnte di certificazione, soprattutto in dipendenza del livello di dettaglio previsto dal Disciplinare in merito ai caratteri del processo di produzione e del prodotto realizzato. La scelta di un adeguato disegno del disciplinare delle modalit organizzative e di controllo nellambito della denominazione di origine si rivela dunque strategico per garantire laccesso delle imprese alla denominazione. Altro aspetto di fondamentale importanza nel determinare il successo di una denominazione geografica connesso alla coerenza dello strumento rispetto alla tipologia dei canali commerciali seguiti dalle imprese, in quanto lo strumento della denominazione non manifesta nello stesso modo i propri effetti di segnalazione della qualit del prodotto su tutti i canali. Al momento attuale sono scarsi in Italia gli studi rivolti ad analizzare i problemi di implementazione delle Denominazioni Geografiche e di altri segni collettivi di qualit, il modo con cui tali strumenti sono effettivamente utilizzati dalle imprese, e i loro effetti sulle imprese e sulle relazioni tra imprese, ivi compreso quelli sullaccesso del prodotto a nuovi canali di collocamento dei prodotti.

3. La struttura del progetto


Questa ricerca si propone di esaminare alcuni aspetti del consumo e della produzione di specialit alimentari tradizionali toscane utilizzando un approccio multidisciplinare dove lanalisi economica e di marketing, supportata dallapporto scientifico di esperti di tecnologia alimentare, si integra con le discipline propriamente sociologiche. Limpostazione data alla ricerca tesa, inoltre, a favorire un fruttuoso scambio di informazioni e supporto tra istituti di ricerca ed utilizzatori finali dei risultati, a loro volta coinvolti attivamente nellesecuzione del programma di lavoro. Lasse portante della ricerca stata lanalisi delle diverse concezioni di qualit esistenti lungo la filiera delle specialit alimentari considerate (a livello della produzione, della distribuzione e del consumo), per verificarne la coerenza. Questultima, viene considerata una premessa indispensabile alla crea17

zione di una rete di relazioni stabili in grado di conservare una comunicazione tra i consumatori ed il territorio di provenienza dei prodotti tipici anche allestendersi del mercato (in senso quantitativo e spaziale). Per questo motivo il progetto ha compreso anche una serie di azioni volte ad analizzare lassetto istituzionale che caratterizza i sistemi locale di produzione studiati, sia per quanto riguarda le reti di relazioni tra gli agenti economici, che con riferimento alla regolamentazione della valorizzazione della tipicit alimentare ed al suo impatto sui comportamenti economici. Gli obiettivi generali del progetto sono sia di natura positiva che normativa: a) approfondire la conoscenza delle dimensioni fondamentali in base alle quali i diversi operatori della filiera concepiscono e valutano la qualit delle produzioni alimentari tipiche; b) individuare le possibili azioni, realizzabili sia a livello di impresa che a livello di sistema locale di produzione, volte a favorire e a rendere sostenibile lo sviluppo della domanda delle specialit alimentari oltre i mercati tradizionali. Il progetto articolato in sette workpackages logicamente coordinati secondo lo schema riportato in Fig. 1. Tutte le azioni di ricerca sono state sviluppate facendo riferimento ad una serie di case studies costituiti da produzioni agroalimentari tipiche regionali, scelte in modo da poter confrontare diverse tipologie di prodotto (fresco vs. trasformato), con differente livello di riconoscibilit sul mercato, con gradi di
Descrivere le concezioni di qualit lungo la filiera

Valutare la coerenza delle concezioni

Valutare la disponibilit a pagare

Analizzare le reti di relazioni

Valutare le possibilit di impiego delle denominazioni geografiche

Favorire la sostenibilit del sistema locale di qualit al crescere del mercato

Divulgazione
Figura 1 Organizzazione della ricerca in workpackages

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riconoscimento istituzionale differenziati (IGP, prodotti agroalimentari tradizionali riconosciuti a livello regionale e selezione ARSIA) e con diverso grado di sviluppo di reti di relazioni volte alla loro valorizzazione (Presidi Slow Food). In particolare sono stati individuati tre prodotti (il lardo di Colonnata, la ciliegia di Lari e il Pecorino a Latte Crudo Montagna Pistoiese) che sono stati studiati in tutti i WP, con lobiettivo di costruire casi di studio completi; altri prodotti sono stati interessati solo da alcune azioni di ricerca con lobiettivo di ampliare, per alcuni aspetti, le possibilit di analisi comparata.

4. I contenuti del volume


La struttura logica del progetto, cos come presentata in Fig. 1 se da un lato ha consentito di mettere in evidenza la ricchezza degli approcci metodologici utilizzati per affrontare efficacemente un problema intrinsecamente complesso, rende allo stesso tempo ragione della molteplicit di risultati prodotti nel corso della ricerca. Un fondamentale criterio di suddivisione dei risultati del progetto permette di distinguere contributi con prevalente contenuto positivo da contenuti con prevalente contenuto normativo. Luso del termine prevalente motivato dalla scelta di un approccio alla ricerca fortemente ancorato allindagine sul campo, con lanalisi dei casi di studio a costituire il comune denominatore e il punto di contatto dei diversi workpackage. Conseguenza inevitabile di queste scelte la presenza di contenuti empirici di rilievo anche nei contributi con maggiore valenza normativa da un lato; e un costante riferimento a problematiche di contenuto normativo nei contributi che presentano i risultati delle indagini effettuate dall'altro. Cos, ad esempio, mentre il tentativo di sintesi di quelli che devono essere gli aspetti fondamentali dei processi di valorizzazione delle produzioni tipiche (capitolo 8) sistematicamente posto a confronto con quanto emerso dallanalisi dei casi di studio, dallanalisi della disponibilit a pagare dei consumatori per le caratteristiche di tipicit delle produzioni alimentari (capitolo 3) emergono importanti indicazioni di natura normativa ai fini della loro valorizzazione. Nonostante questo sistematico sconfinamento tra il piano dellindagine empirica e quello della definizione di percorsi e strategie, tuttavia, i diversi contributi possono essere classificati nei due gruppi secondo un criterio di prevalenza. Data limpostazione della ricerca che, nelle finalit del finanziatore, aveva come primo obiettivo un sostanziale incremento delle conoscenze disponibili sul fenomeno delle produzioni agroalimentari tipiche e del loro crescente successo, la maggior parte dei lavori raccolti in questo volume hanno un contenuto prevalentemente empirico. In essi vengono presentate la metodologia e le dimensioni delle indagini effettuate, lanalisi dei dati raccolti ed i principali risultati raggiunti.
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I primi due lavori affrontano il problema della qualit dei prodotti tipici dal lato della domanda. Il consumatore, anche solo come convitato di pietra, stato sempre presente in tutte le parti della ricerca, anche quando oggetto di indagine erano i sistemi locali dove i prodotti tipici nascono e gli attori che in tali sistemi operano per la loro valorizzazione. infatti, lesistenza di una domanda in crescita e sempre pi globale, di contenuti immateriali nei prodotti alimentari capaci di tenerli radicati ad precisi contesti locali; lesigenza di una ri-tradizionalizzazione, ri-localizzazione del cibo che in questi anni ha favorito il rinnovato successo, su nuove basi e in nuovi mercati, di tanti prodotti alimentari tradizionali. Tuttavia una parte delle azioni di ricerca era stata esplicitamente dedicata al punto di vista del consumatore. Il contributo di Giovanni Balestrieri su I consumatori e i prodotti alimentari tipici della Toscana (capitolo 2) presenta i risultati di unindagine la cui finalit stata quella di realizzare una prima mappatura delle diverse concezioni di qualit che guidano il comportamento dei diversi attori della filiera. Data la loro finalit esplorativa, le indagini effettuate sono state ad ampio spettro e hanno utilizzato approcci differenziati: dallorganizzazione di focus group, alla somministrazione di questionari strutturati e non, alla realizzazione di interviste in profondit con testimoni privilegiati. Le indagini si sono rivolte innanzitutto ai consumatori, raggiunti in diversi contesti in modo da cogliere la pi ampia gamma possibile di atteggiamenti ed attitudini verso i prodotti considerati. Cos i focus group con acquirenti presso la grande distribuzione si sono affiancati alla distribuzione di questionari durante sagre organizzate intorno a due dei prodotti considerati e alle interviste aperte con turisti italiani e stranieri presso la struttura ricettiva gestita da uno dei partner imprenditoriali della ricerca. Lobiettivo stato quello di delineare il ruolo svolto dai prodotti tipici nello stile di vita dei soggetti contattati, limportanza delle diverse motivazioni (edonistiche, utilitaristiche e non utilitaristiche) nelle scelte di consumo alimentare, le molteplici dimensioni del valore attribuito dai consumatori al prodotto tipico, la valutazione soggettiva dellaffidabilit delle principali fonti di informazioni intorno alla qualit alimentare. Il quadro che emerge dal lavoro di Balestrieri quello di una domanda fortemente differenziata al suo interno sia in termini di conoscenza dei prodotti e delle caratteristiche di tipicit, che in termini di motivazioni nel consumo. Non esiste insomma il consumatore di alimenti tipici: piuttosto queste produzioni, se correttamente valorizzate, sembrano capaci di rispondere efficacemente a diverse finalit e modelli di consumo. Una caratteristica dei consumi di questi prodotti gi rilevata in altre indagini e che viene confermata dai risultati della ricerca la presenza di unimportante dimensione etica nel consumo di prodotti tipici: una dimensione che viene riconosciuta e almeno in linea di principio valorizzata anche dalla grande distribuzione alimentare. Sempre rivolto alla domanda, anche se circoscritto ad un aspetto pi specifico, il capitolo di Stefani et al. su La disponibilit a pagare dei consu20

matori per le caratteristiche di tipicit (capitolo 3). Gli autori presentano i risultati raggiunti attraverso la realizzazione di una serie di procedure sperimentali che, nel loro complesso, hanno coinvolto un campione di 284 consumatori chiamandoli a partecipare ad aste per lacquisto di cinque prodotti alimentari tipici della Toscana: il biroldo e il farro IGP della Garfagnana, il Lardo di Colonnata, la Ciliegia di Lari e il Pecorino a Latte Crudo Montagne Pistoiesi. Attraverso lanalisi delle offerte fatte nel corso delle aste, la metodologia utilizzata ha permesso di valutare quanta parte della disponibilit a pagare per i prodotti proposti dipendesse dalla loro tipicit, un attributo complesso e immateriale che lega lalimento ad una determinata provenienza geografica. I risultati sembrano indicare che, sia pure allinterno di un quadro estremamente complesso di interazioni tra aspettative basate sulle conoscenze pregresse, segnali di qualit associati al prodotto ed esperienza sensoriale del consumo, esiste una correlazione positiva tra identit territoriale di un prodotto e disponibilit a pagare dei consumatori per il suo acquisto. Si tratta di conclusioni che mentre da un lato confermano le prospettive di valorizzazione per alcune produzioni alimentari tradizionali, dallaltro offrono importanti indicazioni in merito alle strategie di comunicazione dellidentit territoriale ed alla loro coerenza con le caratteristiche organolettiche dei prodotti proposti ai consumatori. A met strada tra consumo finale e mondo della produzione loggetto di indagine del contributo proposto da Rocchi e Gabbai su La definizione della qualit lungo al filiera: unindagine qualitativa su alcune produzioni tipiche toscane (capitolo 4). Il lavoro presenta i risultati di un indagine presso una quarantina di soggetti operanti a diverso titolo lungo la filiera di produzione/commercializzazione di quattro prodotti tipici regionali, svolta utilizzando la tecnica del focus group. Il coinvolgimento di diverse tipologie di attore (produttori, grossisti, rappresentanti della grande distribuzione, dettaglianti) ha permesso di utilizzare le discussioni, svolte secondo una traccia strutturata ed omogenea nei diversi casi di studio, per riprodurre il processo di negoziazione del concetto di qualit lungo le filiere delle produzioni considerate. La content analysis ha fatto emergere i temi concettuali intorno ai quali viene definita la qualit: tra i pi rilevanti quelli del gusto, delle caratteristiche (in senso ampio) del territorio di origine, della salubrit. Sono aspetti della qualit importanti per tutte le tipologie di attore di tutte le filiere considerate. Tuttavia il significato assegnato a ciascuno di essi e limportanza relativa attribuita sono differenziati sia tra le diverse tipologie di attore che tra le diverse tipologie di prodotto. Nel processo con il quale la qualit viene definita e comunicata lungo il percorso che porta i beni dai sistemi locali di produzione alla tavola dei consumatori emerge un potenziale contrasto di autorit tra i produttori e gli operatori a valle (in particolare la grande distribuzione) nella definizione della qualit. Allo stesso tempo le forme di certificazione dellorigine sembrano poter costituire uno strumento organizzativo
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capace di comporre potenziali contrasti negli obiettivi perseguiti e riequilibrare i rapporti di forza lungo la filiera. La parte pi strettamente empirica del volume viene completata da tre lavori nei quali vengono presentati i risultati di indagini dirette presso i sistemi locali nei quali le produzioni tipiche nascono. Nel lavoro di Brunori et al., su Lanalisi dellorganizzazione dei sistemi socio-economici dei prodotti tipici attraverso lapproccio di network (capitolo 5), gli autori concentrano la loro attenzione sullevoluzione del reticolo istituzionale che si sovrappone al processo produttivo. Lidea di partenza che la crescita del mercato di una produzione tipica comporti non solo una riorganizzazione logistica della filiera ma soprattutto una ridefinizione della rete di relazioni che legano gli attori, vecchi e nuovi, della filiera. Solo la formazione di un network di attori attorno ad una concezione di qualit condivisa permette al sistema produttivo di crescere con il mercato senza snaturare lidentit che lo contraddistingue. Lapproccio metodologico dellactor network viene applicato allanalisi in profondit, basato su unapposita ricerca sul campo, di uno dei casi di studio del progetto, il Pecorino a Latte Crudo Montagne Pistoiesi. Ai Percorsi di istituzionalizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche (capitolo 6) dedicato il lavoro proposto da Belletti e Marescotti. Anche in questo caso il materiale conoscitivo frutto delle indagini dirette presso i sistemi locali di due dei prodotti considerati dalla ricerca: la Ciliegia di Lari e il Lardo di Colonnata. Attraverso il confronto tra due casi di studio diversi per tipologia e notoriet del prodotto, gli autori mettono in luce le finalit perseguite dai diversi attori, i nodi istituzionali e i possibili esiti del percorso che entrambe le filiere hanno avviato per ottenere il riconoscimento della denominazione geografica del prodotto secondo il regolamento 2081/92. La certificazione dellorigine geografica, come emerso anche dagli altri studi della ricerca, rappresenta uno strumento fondamentale nella valorizzazione delle produzioni alimentari tipiche sia perch capace di attivare la disponibilit a pagare del consumatore, sia come momento di negoziazione dei conflitti intorno alla qualit allinterno della filiera. Listituzionalizzazione dellorigine, tuttavia, comporta un percorso complesso, i cui esiti non sono scontati in partenza, allinterno del quale strategie individuali e interessi collettivi devono convergere verso una sostenibilit di lungo periodo. Un approfondimento del tema del riconoscimento dei percorsi di istituzionalizzazione proposto infine nel contributo dedicato a Costi e modelli organizzativi nelle denominazioni geografiche (capitolo 7) nel quale Belletti et al. si soffermano su uno dei punti critici introno ai quali si gioca spesso il successo o il fallimento dei prodotti tipici sul mercato: quello dei costi della valorizzazione. Il percorso di valorizzazione viene affrontato come un investimento collettivo che si sviluppa in un ciclo progettuale. Dopo uninteressante discussione di tutte le tipologie di costo connesse con le diverse fasi di un progetto di denominazione, che potrebbe costituire unutile schema nella pre22

disposizione di business plan per la costituzione di un nuovo marchi di origine, gli autori propongono anche la quantificazione di una delle componenti pi rilevanti, quella dei costi diretti di uso, utilizzando i dati raccolti sui casi di studio del Pecorino Toscano DOP, Olio Toscano IGP e Vitellone Bianco della Toscana Centrale IGP Chianina. I contributi elencati fin qui danno unidea della mole di materiali e conoscenze accumulate nei tre anni di realizzazione del progetto dalle quattro unit di ricerca coinvolte. I risultati presentati in questo volume costituiscono una scelta ed una discussione di una parte dei risultati presentati in nove rapporti di ricerca. I seminari interni del progetto, programmati con il procedere delle ricerche, hanno costituito unoccasione per sviluppare una serie di riflessioni di natura normativa, circa le strategie e le politiche che gli operatori e delle istituzioni per favorire la crescita del mercato delle produzioni tipiche toscane. Gli ultimi due contributi del volume, anche alla luce di una lettura complessiva della parte empirica del progetto, propongono una sintesi di quanto emerso da tale discussione. Nellanalizzare Il processo di valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche Belletti et al. si pongono nellottica di un sistema locale che ipotizzi di avviare un progetto di valorizzazione di una sua produzione alimentare. Lobiettivo del lavoro quello di fornire elementi di carattere metodologico sui passaggi fondamentali da affrontare in sede di impostazione della strategia di valorizzazione e sulle principali aree in cui questa strategia deve essere articolata. Infatti, di fronte ad un mercato sempre pi sensibile ai valori immateriali del cibo come quelli portati dalle caratteristiche di tipicit, ma nel quale lofferta di prodotti tipici si fa sempre pi ricca e articolata, le reti di imprese e le comunit locali sono chiamate sempre pi ad una consapevole progettazione delle loro azioni di valorizzazione, per non esporre al rischio di insuccesso sforzi e risorse personali e collettive che sono talvolta consistenti. Cos lazione collettiva per la valorizzazione della qualit delle proprie produzioni, dovr articolarsi in una consapevole mobilizzazione delle risorse e in adeguate azioni di qualificazione degli operatori e di commercializzazione dei prodotti, nel contesto di una crescente integrazione con tutte le risorse del territorio. Il capitolo proposto in questo volume rappresenta in un certo senso un complemento, su un piano di discussione metodologica, della Guida alla valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche, (AAVV, 2006), uno dei principali output operativi del progetto che una sorta di manuale di orientamento rivolto agli operatori nato a partire dallesperienza del progetto di ricerca e recentemente pubblicato da Arsia. Il capitolo conclusivo di Rocchi e Romano su Coerenza tra le concezioni di qualit e possibilit di sviluppo del mercato, infine, tenta di tirare le somme del progetto ponendosi nellottica del governo regionale che, attraverso lARSIA, ha finanziato la ricerca e che a ragione intravede nelle produzioni agroalimentari di qualit unopportunit importante per lo sviluppo delle
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aree rurali. Utilizzando ancora una volta il problema della definizione e comunicazione della qualit come criterio guida per mettere in evidenza opportunit e vincoli nello sviluppo del mercato delle produzioni tipiche gli autori propongono alcune indicazioni sulle possibili azioni di governance del sistema delle produzioni tipiche in vista di un suo sviluppo coerente e duraturo nel tempo.

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2. I CONSUMATORI E I PRODOTTI ALIMENTARI TIPICI DELLA TOSCANA


di Giovanni Balestrieri

1. La percezione della qualit dei prodotti tipici nella letteratura


Al quesito di come i consumatori percepiscono la qualit dei prodotti tipici lindagine Nomisma (Nomisma, 2001) risponde che secondo i consumatori gli attributi della tipicit sono, in ordine di importanza: la genuinit e lassenza di conservanti; luso di materie prime del territorio per la fabbricazione; lottenimento con metodi artigianali di produzione; la riferibilit a una ricetta tradizionale; lacquistabilit nel luogo di produzione.

Dunque i consumatori collegano, in misura prevalente, i prodotti tipici ad attributi di genuinit e di assenza di conservanti che in realt questi prodotti non possiedono sempre. A determinare questo giudizio certamente influisce il fattore emotivo, poich la preoccupazione dei consumatori non solo italiani per la sicurezza alimentare fortemente cresciuta in questi anni di frequenti emergenze igienico-sanitarie a carico del cibo prodotto con sistemi industriali per il grande mercato. comprensibile quindi che i consumatori siano portati a idealizzare come sicuri i prodotti tipici, che appartengono spesso a un circuito produttivo e commerciale circoscritto e vicino, per i pi maggiormente credibile e controllabile. Resta il fatto per che la percezione della qualit dei prodotti tipici da parte dei consumatori, dal momento che presenta elementi di contestualit riguardo al clima generale di reazioni emotive causate dagli eventi eccezionali che colpiscono i consumi alimentari, non pu essere determinata una volta per tutte, ma va continuamente monitorata. Dal rapporto Nomisma si desume anche che, posto di fronte alle indicazioni correnti utilizzate per comunicare la qualit dei prodotti tipici, il consumatore si dimostra incerto: oltre l80% non conosce le IGP, e il 71% non co27

nosce le DOP. Ma al tempo stesso i consumatori giudicano importante la provenienza del prodotto e la presenza di una etichetta chiara, rivelando di esigere qualit e marchi che la segnalino. Esiste quindi un problema di comunicazione della qualit dei tipici che lattuale sistema di etichettatura non in grado di fronteggiare. Quando ci riferiamo ai prodotti tipici in genere abbiamo in mente produzioni offerte in quantit limitate, domandate da segmenti circoscritti di mercato, commercializzate allinterno di canali dedicati. Una recente indagine ISMEA (ISMEA, 2002) sui prodotti agroalimentari protetti in Italia rivela invece che la grande distribuzione non pu pi essere considerata estranea alla commercializzazione dei prodotti tipici. Da questa indagine risulta infatti che gli ipermercati e i supermercati rappresentano il canale che negli ultimi anni ha sostenuto la crescita della spesa in prodotti tipici, assorbendone attualmente il 61%. Il dettaglio tradizionale invece in declino anche in questo comparto, coprendo solo il 20% della spesa in prodotti tipici. Certamente questo fenomeno risulta cos conclamato perch fra i prodotti tipici ve ne sono anche alcuni di grande mercato, come i vini, gli oli di oliva, il parmigiano e i prosciutti di Parma e San Daniele, che coprono la parte preponderante della spesa delle famiglie in prodotti tipici e si prestano ad essere veicolati dalla grande distribuzione vantaggiosamente. Tuttavia anche i prodotti tipici di nicchia, negli anni pi recenti, sembrano avere riscosso linteresse della grande distribuzione. Nellimpostare le nostre indagini sul consumo, quindi, abbiamo ritenuto opportuno assegnare spazio ai clienti della grande distribuzione e determinare anche i requisiti di qualit dei prodotti tipici ai quali questa fa riferimento. Lindagine ISMEA fornisce anche spunti di riflessione e operativi per giungere a una valutazione delle possibilit di consumo dei prodotti specifici considerati nella presente ricerca (Lardo di Colonnata, Pecorino a latte crudo della Montagna Pistoiese, Spinacio della Val di Cornia, Ciliegia di Lari, Marrone del Mugello), in particolare per quanto riguarda il posizionamento di mercato di tali prodotti. Seguendo il suggerimento ISMEA, vanno considerati due indicatori utili allo scopo, la quota trattanti e la copertura ponderata. La quota trattanti viene suggerita come indicatore di penetrazione del prodotto tipico, in quanto ne misura la quota di spesa che i consumatori gli assegnano nel comparto. Ad esempio, il peso degli acquisti di pecorino sul totale degli acquisti di prodotti tipici effettuati dagli acquirenti di pecorino. La copertura ponderata viene suggerita invece come indicatore della propensione allacquisto dei prodotti tipici, in quanto valuta la quota di acquisti della classe prodotti tipici sviluppata dai soli acquirenti del prodotto che consideriamo. Ad esempio, la percentuale di acquisti di prodotti tipici che compete agli acquirenti di pecorino. Per quanto riguarda i prodotti oggetto specifico della nostra analisi presumibile che si tratti di prodotti caratterizzati da una bassa quota trattanti, cio prodotti che rappresentano una quota modesta del panie28

re di spesa dei tipici da parte dei loro acquirenti, e da una copertura ponderata da determinare, in quanto possono riferirsi sia a grandi che a piccoli acquirenti di prodotti tipici. Sappiamo gi, quindi, che le azioni di marketing per questi prodotti dovranno certamente tendere a migliorarne il grado di accettazione, ma anche, forse, ad aumentare la generica spesa per prodotti tipici.

2. Alcuni approcci metodologici allanalisi della domanda di prodotti tipici


Dovendosi procedere allanalisi della percezione della qualit dei prodotti tipici da parte dei consumatori in un ambito di ricerca che prevede lo studio di tutte le fasi delle filiere, si cercato di prendere spunto da vari approcci metodologici a carattere sistemico, e in particolare: il Total Food Quality Model (in seguito approccio TFQM); lapproccio che fa riferimento ai meccanismi di reputazione (in seguito approccio REP); la teoria delle convenzioni (in seguito approccio CONV); lapproccio che fa riferimento alla Costruzione Sociale della Qualit (in seguito approccio CSQ). Estremizzando le differenze di questi approcci possiamo sinteticamente dire quanto segue. II TFQM1 viene espressamente proposto come schema integrativo per analizzare aspetti legati alle scelte di consumo alimentare e alla percezione della qualit. Esso poggia sulla distinzione fra percezione della qualit prima e dopo lacquisto, e si presta ad analizzare problematiche legate alla trasparenza della qualit, al ruolo dei marchi e delle etichettature, alla percezione, da parte del consumatore, della tecnologia di produzione degli alimenti, alle caratteristiche di credence dei prodotti alimentari, al ruolo della produzione casalinga, ai cambiamenti di comportamento dei consumatori in situazioni di crisi. Legata alla distinzione fra percezione della qualit prima e dopo lacquisto vi la constatazione che impossibile determinare prima dellacquisto alcune importanti caratteristiche qualitative della maggior parte dei prodotti alimentari, ad esempio il sapore (i prodotti alimentari, cio, sono caratterizzati in modo limitato da elementi qualitativi di ricerca). Pertanto il processo di scelta del consumatore presuppone la formazione di aspettative di qualit, e solo dopo lacquisto il consumatore perviene a una esperienza di qualit. Il consumatore forma le sue aspettative di qualit sulla base di indicatori di qualit, comunemente distinti in intrinseci e estrinseci. Gli indicatori intrinseci
1. Si veda, in proposito, Grunert et al. (1996).

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sono le caratteristiche fisiche del prodotto, gli indicatori estrinseci pi comuni sono il prezzo del prodotto, il tipo di esercizio dove si acquista, la marca, le caratteristiche richiamate dalla pubblicit. La percezione della qualit sulla base degli indicatori intrinseci ed estrinseci pu essere molto imperfetta fino a rendere problematica la formazione di convinte aspettative di qualit da parte del consumatore. Ci vero soprattutto per le caratteristiche di qualit igienico-sanitaria e per la natura delle tecniche di produzione. In questi casi invitabile il ricorso a indicatori di qualit di tipo credence, che spesso, come nel caso delle caratteristiche di processo o igienico-sanitarie, non possono essere sottoposti alla prova dellesperienza. La percezione degli elementi di costo, unitamente alla percezione delle caratteristiche qualitative intrinseche ed estrinseche, determinano la formazione delle aspettative di qualit e quindi lintenzione di acquisto. La possibilit di saggiare le caratteristiche organolettiche del prodotto sostituisce in pieno questo processo portando il consumatore allo stesso livello di percezione della qualit che gli consentito dallesperienza post acquisto. Il confronto di tali caratteristiche con quelle attese, che sono quelle che di fatto hanno indotto il consumatore allacquisto, determina la ripetitivit o meno dellacquisto. Tradotto in procedura di indagine, lo schema di analisi contenuto nel TFQM pu risolversi in un accertamento, attraverso un focus group di consumatori seguito da un test di assaggio, delle modalit di formazione delle aspettative di qualit e della loro verifica attraverso lesperienza. Lapproccio CSQ chiede di concentrare la nostra analisi non tanto sulla teorica qualit oggettiva dellofferta (come vorrebbe lapproccio tecnologico), n sui segnali e sui segni emessi dal prodotto (approccio di marketing), quanto piuttosto sulla concreta soggettiva qualit-significato che deriva allofferta dallinterpretazione dei segni e dei segnali emessi dal prodotto, e sui meccanismi di interazione sociale che determinano la formazione dei significati. Secondo questo approccio le preferenze e le scelte dei consumatori vanno individuate nel vissuto dei consumatori stessi. Cos, ai fini di una politica di mercato, esse possono giungere a rappresentare percezioni di qualit modificabili ad uso dellofferta attraverso linformazione, ovvero la produzione e/o lautorizzazione di segni e segnali, oppure influenzando, attraverso la comunicazione e la creazione di standards, i meccanismi di traduzione dei segni e dei segnali in significati. Sia per la fase del consumo, che per quelle della produzione, trasformazione e distribuzione, i focus group rappresentano il metodo di indagine pi appropriato, in quanto consentono in modo economico lestrazione dei come e dei perch da fenomeni non ancora conosciuti nei loro confini, come nel nostro caso (Guthman, 2002). Lapproccio REP punta principalmente sulla creazione, mantenimento e comunicazione della qualit dellofferta, quindi va incluso fra gli approcci di qualit totale, in quanto combina lapproccio tecnologico, che pone laccento sul prodotto, e il marketing convenzionale, che pone laccento sui segni e i se30

gnali. Anche in questo caso le preferenze e le scelte dei consumatori non sono considerate prioritarie (come invece vorrebbe il principio della sovranit del consumatore), ma piuttosto inducibili dallofferta. Per quanto riguarda le politiche, quindi, lapproccio REP conduce alluso dei segni e dei segnali dellofferta per lallargamento del mercato. Lapproccio non richiede necessariamente indagini al consumo basate su focus group: anche indagini sulla domanda di tipo quantitativo, o le meno costose e pi approfondite interviste a testimoni privilegiati, consentono di procedere nellanalisi basata sullapproccio REP2. Lapproccio CONV presuppone lanalisi della pluralit delle possibili relazioni lungo la catena produzione-consumo, anche a livello di singolo prodotto, il quale pu essere contemporaneamente commercializzato direttamente, affidato a intermediari commerciali, trasformato, producendo caratteristiche di convenzione molteplici. un approccio equilibrato quanto ad autonomia del ruolo degli attori (produzione, distribuzione, consumo), naturalmente pi in alcune forme di convenzione che in altre (nelle convenzioni industriali, ad esempio, prevale la nozione di qualit del trasformatore, in quelle distributive prevale la leadership di canale e quindi la nozione di qualit-tipicit della GDO). Inoltre lapproccio CONV richiama, come lapproccio CSQ, lattenzione sul ruolo dei meccanismi di interazione sociale nella costruzione della qualit. Non quindi classificabile esclusivamente nellapproccio tecnologico, di marketing convenzionale, di qualit totale e di CSQ, un approccio sui generis che ai fini delle politiche di mercato richiede la ricostruzione del complesso di interazioni sociali fra gli attori che conducono alla particolare costruzione della qualit-tipicit. Un riferimento utile, infine, per valutare il comportamento della grande distribuzione in quanto gatekeeper nei rapporti fra produzione e consumo di prodotti tipici, quello del comportamento consapevole e responsabile, etico dellimpresa, che diventato un elemento importante del contratto che lega limpresa stessa alla comunit nella quale opera. Sono molte infatti le forze e gli attori che, in maniera diretta o indiretta, spingono le aziende a inserire nella propria agenda, quale tema strategicamente rilevante, i consumatori con i loro valori oltre che con le loro esigenze di stretto consumo: lambiente, il benessere economico e sociale delle popolazioni pi deboli, lidentit di cultura e tradizioni delle comunit locali. Ogni impresa, poi, ha relazioni complesse con le persone, i gruppi e le organizzazioni presenti nella societ. Alcune di queste relazioni sono volute o desiderate, altre non lo sono. In ogni caso le persone e le organizzazioni con cui le aziende sono coinvolte hanno un interesse nelle decisioni, nelle azioni e nei risultati dellimpresa. Tali soggetti, quindi, si possono definire portatori di interesse e sono un elemento cru2. Per un accesso guidato alla letteratura sui meccanismi di reputazione e sulla teoria delle convenzioni si veda Pacciani et al. (senza data).

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ciale nel determinare il successo o il fallimento di unimpresa. Sotto la spinta dei portatori di interesse limpresa pu essere indotta a scalare la piramide della responsabilit sociale (figura 1) superando i livelli convenzionali della responsabilit economica e legale. Limpresa che desideri efficacemente conoscere le forze sociali ed economiche che hanno con lei un legame significativo pu applicare una metodologia che va sotto il nome di analisi degli stakeholder.
Figura 1 La piramide della responsabilit dimpresa (Fonte: Carrol, 1991)

Responsabilit filantropica Limpresa come buon cittadino

Responsabilit etica Limpresa si comporta secondo le attese della comunit

Responsabilit legale Limpresa obbedisce alle leggi che sono la codificazione delletica della societ

Responsabilit economica Limpresa deve generare profitti

3. Le indagini effettuate
Per le nostre indagini sulla percezione della qualit dei prodotti tipici da parte dei consumatori ci siamo serviti di focus group, interviste aperte e interviste a mezzo di questionari chiusi. Sono state anche effettuate interviste a
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testimoni privilegiati della grande distribuzione alimentare e delle-commerce, e ad alcuni grossisti e dettaglianti tradizionali. Per quanto riguarda i consumatori, nei focus group abbiamo coinvolto acquirenti della grande distribuzione, in particolare del partner della ricerca Coop del Tirreno (ex Toscana Lazio), e residenti urbani dellArea Pisana e dellarea industrializzata di Pontedera. Abbiamo invece rivolto interviste aperte ai turisti italiani e stranieri di unarea di turismo rurale, lAlta Val di Cecina, dove opera un altro partner della ricerca, il Residence San Francesco di Pomarance. Il riferimento, nei focus group e nelle interviste, stato principalmente ai generici prodotti tipici, solo sussidiariamente ai prodotti tipici specifici che nella nostra ricerca costituiscono altrettanti casi di studio. Per due di questi prodotti, il Lardo di Colonnata e La Ciliegia di Lari, abbiamo per effettuato interviste ai frequentatori dellannuale sagra utilizzando un questionario chiuso. Per il Lardo di Colonnata abbiamo anche organizzato un test di assaggio cieco contrapponendolo a un suo clone. Al test, condotto da un esperto del partner Coop del Tirreno, hanno partecipato i soci gi coinvolti nei focus group. Con i focus group e le interviste aperte ci siamo proposti di determinare vari aspetti collegati alla percezione della qualit dei prodotti tipici da parte dei consumatori, vale a dire: a) il ruolo svolto dai prodotti tipici nelle abitudini non solo di consumo alimentare ma anche di vita dei singoli e delle famiglie; b) limportanza sia delle motivazioni utilitaristiche e edonistiche, che di quelle non utilitaristiche nelle scelte di consumo alimentare; c) la molteplicit delle dimensioni, anche etiche, del valore attribuito ai prodotti alimentari che hanno una definita origine territoriale; d) la natura e laffidabilit, soggettivamente intesa, delle fonti di informazione che contribuiscono a formare lopinione e latteggiamento di acquisto dei consumatori nei riguardi dei prodotti tipici. Nel selezionare gli intervistati abbiamo cercato di realizzare la diversificazione tipologica che ci sembrata maggiormente significativa per gli scopi dellindagine. Ad esempio, il fatto che ai focus group siano stati chiamati a partecipare soci Coop deriva dallesigenza di portare nellanalisi leventuale influenza di una catena distributiva che stata la prima a introdurre nella distribuzione alimentare un comportamento socialmente responsabile, interpretando in modo proattivo e strategico le potenzialit delle motivazioni etiche della domanda. Tali potenzialit, a nostro avviso, si esprimono non solo sotto forma di sensibilit, da parte del consumatore, per la qualit dellambiente (prodotti biologici) e per le problematiche del sottosviluppo (prodotti del commercio equo e solidale), ma anche sotto forma di desiderio di contribuire, attraverso il consumo dei prodotti tipici, alla conservazione e valorizzazione del patrimonio di tradizioni locali che caratte33

rizza questi prodotti. Chiaramente senza trascurare il fatto che la grande distribuzione alimentare, dovendo rispondere alle aspettative di altri portatori di interessi, indotta anche a sostituire la sua gerarchia di attributi qualitativi a quella dei consumatori nel processo di costruzione sociale della qualit dei prodotti tipici. Alla valutazione di questi aspetti sono dedicate le indagini presso la GDO. I focus group con residenti delle aree urbane sono serviti per sondare latteggiamento verso i prodotti tipici di soggetti che soprattutto quelli abitanti nella zona industrializzata hanno legami deboli con i territori di produzione e quindi partecipano da posizioni remote al processo di costruzione sociale della qualit dei prodotti tipici. Al contrario i turisti rurali sono stati intervistati perch si configurano come consumatori orientati dei prodotti tipici. Infatti, le occasioni di consumo e di acquisto di questi prodotti in zona di produzione rappresentano per molti turisti rurali una motivazione importante del particolare tipo di vacanza prescelto. Sia nei focus group che nelle interviste si proceduto avendo cura di fare emergere dalla conversazione le risposte a un insieme strutturato di quesiti coerenti con le finalit dellindagine sopra richiamate. In particolare: la nozione posseduta di prodotto tipico; la gamma di prodotti tipici acquistati e consumati; il momento, il luogo e la frequenza degli acquisti; gli eventi, le occasioni che determinano tali acquisti; le motivazioni del consumo di prodotti tipici e i canali di comunicazione che contribuiscono a formare tali motivazioni; la disponibilit a pagare per i prodotti tipici in generale. I questionari distribuiti in occasione delle sagre della Ciliegia di Lari e del Lardo di Colonnata, potendosi contare in questo caso su un campione numeroso, sono stati strutturati in modo da consentire la valutazione delle risposte non solo in funzione delle variabili socio-anagrafiche degli intervistati, ma anche delle loro abitudini di acquisto per quanto riguarda i prodotti biologici e i prodotti del commercio equo e solidale. Abbiamo fatto ci allo scopo di verificare se la motivazione etica in senso lato anchessa una componente della concezione di qualit posseduta dal consumatore di prodotti tipici. Il test cieco di assaggio stato condotto sul Lardo di Colonnata e su un altro lardo, il lardo della Bottega di Ad, che dichiara le stesse caratteristiche. Ai 13 partecipanti al test, conoscitori e non del Lardo di Colonnata, stato chiesto di valutare separatamente e nel complesso, con un punteggio da 1 a 10, le caratteristiche di aspetto, consistenza al palato e gusto dei due lardi. Le interviste ai testimoni privilegiati della grande distribuzione alimentare hanno riguardato, con riferimento ai prodotti tipici, le esigenze di massa cri34

tica e di logistica specifica, la destinazione o meno di appositi spazi di vendita, la gamma dei prodotti trattati, il bacino di rifornimento, lapposizione del marchio e altre garanzie del distributore, il livello di responsabilit sociale acceduto (economico, legale, etico, filantropico).

4. I risultati delle indagini


4.1. La nozione di prodotto tipico, la gamma di prodotti tipici consumati, il momento e il luogo dellacquisto Nella tabella 1 abbiamo riassunto, con riferimento alle tipologie di consumatori considerate, la nozione di prodotto tipico che questi possiedono, la variet e la frequenza di acquisto dei prodotti, e il luogo di acquisto. Abbiamo fatto ci prendendo in considerazione e riportando le risposte pi frequenti allinterno di ciascuna tipologia di consumatori, ma vi stata una grande variet di risposte. Alcuni degli intervistati hanno mostrato di possedere una nozione molto vaga di prodotto tipico, confondendolo con il prodotto locale e talora con il prodotto di marca. Allinizio dello svolgimento dei focus, con i primi interventi, sembrato che solo i partecipanti con livello educativo e condizione sociale pi elevati possedessero una nozione di prodotto tipico che fa leva su tecniche di produzione e abitudini di consumo radicate nelle tradizioni di zone geografiche ben delimitate, certificate, caratterizzate da cultura e stili di vita originali. Con il procedere della conversazione, tuttavia, a dimostrazione della validit della tecnica del focus group da questo punta di vista, dal confronto delle posizioni apparso che nelle scelte di acquisto i partecipanti si comportano con maggiore consapevolezza riguardo alla natura del prodotto tipico. Fanno eccezione i turisti rurali stranieri, i quali confondono la tipicit con lorigine toscana e italiana del prodotto. Come ci si poteva attendere, sono invece i turisti rurali italiani quelli che possiedono una nozione di prodotto tipico corretta nella sostanza e nellespressione, mentre i soci Coop dimostrano di fare riferimento a una nozione di prodotto tipico corretta nella sostanza solo nel momento che rivelano quali prodotti acquistano. Di interesse la posizione dei residenti in aree urbane, i quali frequentemente legano la tipicit alla salubrit del prodotto, come abbiamo visto essere stato rilevato con lindagine Nomisma. Al momento di elencare i prodotti tipici che conoscono e consumano, i turisti rurali stranieri, coerentemente con la loro nozione di prodotto tipico citano i tipici prodotti mediterranei, e cio vino, olio e ortaggi. Ma anche i soci Coop, e in modo pi esclusivo i residenti delle aree urbane concentrano i loro acquisti nei prodotti tipici che sono stati definiti di ampio bacino geografico di lavorazione e di acquisizione degli input, cio il Parmigiano
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Reggiano, il Grana padano e il Prosciutto di Parma che nel loro insieme coprono pi di 2/3 del mercato dei prodotti tipici (Nomisma, 2001). La tipologia di prodotti di interesse per la nostra ricerca, i prodotti di nicchia, cio i prodotti tipici caratterizzati da un bacino geografico di produzione e di acquisizione degli input ristretto, ricorre solo nelle citazioni dei turisti rurali italiani e, talora, dei soci Coop. A tale proposito merita citazione, in vista della pi generale discussione sul ruolo della localit nel processo di costruzione della qualit e nel consumo dei prodotti tipici, la circostanza che alcuni intervistati hanno elencato principalmente prodotti originari delle loro zone, spesso prodotti di nicchia, mentre altri hanno citato prodotti provenienti da tutta lItalia, e nessuno prodotti tipici stranieri. Il ruolo dei consumatori nella costruzione sociale della qualit si prospetta diverso nei due casi. Nel caso dei prodotti tipici di nicchia che provengono dalle loro zone di vita ci possiamo attendere che consumatori e produttori si trovino daccordo su un insieme di valori condivisi che non necessitano di essere comunicati per mezzo dei canali formali e garantiti con marchi di origine, dal momento che si tratta di valori interni al loro mondo e quindi ben noti e controllabili da entrambi, produttori e consumatori. Nel caso dei consumatori di prodotti tipici provenienti da altre regioni, invece, ci dobbiamo attendere che i consumatori portino elementi e valori esterni ai luoghi di produzione nel processo di costruzione sociale della qualit, e che facciano affidamento in misura maggiore sia sui canali formali di comunicazione che sulla denominazione di origine. La diversa nozione di prodotto tipico e il diverso comportamento di consumo delle tipologie di consumatori considerate spiegano anche la diversit di frequenza e il diverso luogo di acquisto dei prodotti tipici. I prodotti tipici di ampio mercato si prestano ad essere acquistati durante tutto lanno presso la grande distribuzione, mentre i prodotti di nicchia vengono acquistati molto spesso allazienda, in occasione di viaggi ed escursioni, e occasionalmente nei negozi specializzati. Risultano servirsi dei negozi specializzati i turisti rurali e i residenti delle aree urbane. Tuttavia non solo per la fedelt dei soci Coop nei confronti della loro catena distributiva, ma anche per la sempre migliore performance della GDO nel comparto che nelle zone dellindagine si manifestano i segni di una graduale sostituzione della grande distribuzione alimentare ai negozi specializzati. 4.2. Le motivazioni alla base del consumo di prodotti tipici Nella tabella 2 abbiamo riportato le valutazioni del grado di importanza che gli intervistati annettono a diverse possibili motivazioni del consumo di prodotti tipici. Riportiamo le valutazioni pi frequenti raggruppate in due sole alternative, importante e meno importante, non essendo stato possibile, da36

te le modalit di intervista, pervenire a una pi articolata modulazione delle risposte. Si conferma lesistenza di una sorta di dualismo nel comportamento di consumo. Gli intervistati che avevano elencato anche o principalmente i prodotti tipici locali, e cio i soci Coop e i turisti rurali italiani, appaiono interessati relativamente di pi agli aspetti culturali dei prodotti che al gusto e alla salubrit degli stessi. Desiderano poterne conoscere le tecniche di produzione, ne apprezzano il retaggio culturale e in particolare la loro capacit di testimoniare stili di vita originali; desiderano, attraverso il consumo di prodotti tipici, favorire la sopravvivenza delle tradizioni locali contro la crescente omologazione generata dai processi di globalizzazione. In altre parole, preferiscono acquistare prodotti tipici locali piuttosto che prodotti analoghi di altre regioni perch ritengono che in questo modo possono contribuire alla sostenibilit economica delle attivit che formano lidentit delle comunit locali in cui vivono. Losservazione di un comportamento siffatto offre sostegno allargomentazione che letnocentrismo e il senso di responsabilit nei confronti della comunit di appartenenza vanno considerati antecedenti delle preferenze dei consumatori per i prodotti locali (Van Ittersum et al., 2000). Del tutto opposto risulta latteggiamento dei residenti delle aree urbane, i quali nel prodotto tipico cercano e percepiscono soprattutto gli elementi qualitativi edonistici e utilitaristici, ovvero il gusto e la salubrit. I turisti rurali stranieri si dimostrano ancora pi disincantati nei confronti delle caratteristiche non edonistiche dei prodotti tipici, poich dichiarano di acquistarli ovvero di acquistare quelli che considerano prodotti tipici principalmente per il loro gusto. 4.3. Il grado di fiducia riposto nei canali di comunicazione della qualit dei prodotti tipici La maggioranza degli intervistati, indipendentemente dalla tipologia, ha dichiarato di basarsi molto sullesperienza per giudicare la qualit di un prodotto tipico (tabella 3), rivelando indirettamente un certo grado di sfiducia verso ogni forma di comunicazione della qualit. Tuttavia tutti gli intervistati, con leccezione dei turisti rurali stranieri, pur confessando un certo scetticismo riguardo alla veridicit di talune indicazioni di origine, hanno dichiarato di assegnare importanza alletichettatura dei prodotti alimentari che ne richiama la provenienza geografica. E hanno anche affermato di prestare attenzione a tutti i tipi di etichettatura ovvero marca e marchi di garanzia di tutti i prodotti, non solo di quelli alimentari. Questo comportamento dei consumatori coerente con quanto riferito dalla letteratura, e cio che: esiste una somiglianza funzionale fra lindicazione di origine e la marca del prodotto che ne richiama lorigine geografica;
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quanto maggiore limportanza che il consumatore annette alle etichettature di certificazione della qualit e alla marca, tanto maggiore la probabilit che egli acquisti un prodotto a denominazione di origine; in genere, i consumatori che assegnano importanza alla provenienza geografica dei prodotti alimentari generici sono anche inclini ad acquistare prodotti con denominazione di origine. anche vero, tuttavia, che le denominazioni di origine dei prodotti alimentari, sebbene conferiscano un valore aggiunto al prodotto, sono poco conosciute dai consumatori (Van Ittersum et al., 2000; Nomisma, 2001). Le diverse tipologie di consumatori hanno manifestato preferenze differenziate riguardo alla capacit delle varie forme di vendita di comunicare la qualit dei prodotti tipici. I residenti delle aree urbane, differenziandosi nettamente dalle altre tipologie di consumatori, hanno dichiarato di assegnare fiducia solo ai negozi specializzati, oltre che allesperienza, mentre i media sono stati considerati affidabili solo dai turisti rurali stranieri. Poco diffusa, in quanto limitata ai soli turisti rurali italiani, si rivelata anche la fiducia nelle dichiarazioni dei produttori nelle vendite presso lazienda, mentre le indicazioni qualitative fornite dalla grande distribuzione sono state considerate affidabili sia dai soci Coop che dai turisti rurali stranieri. A questo proposito va detto che la letteratura non fornisce una chiara indicazione sulleffetto che la fiducia nel potere di garanzia della grande distribuzione pu avere riguardo allacquisto di prodotti tipici. stata formulata lipotesi che i consumatori i quali scelgono e acquistano i prodotti alimentari spinti dalla fiducia che ripongono nella grande distribuzione molto probabilmente non acquistano prodotti tipici. Questi consumatori si affiderebbero allavallo del distributore invece di basarsi sulla qualit dei prodotti perch incontrano difficolt a riconoscere i caratteri identificativi dei prodotti stessi. per superare tali difficolt che cercano nel distributore una guida e una garanzia. Van Ittersum et al. (2000) hanno posto in discussione questa ipotesi sulla base di alcuni risultati i quali mostrano che la fiducia nel punto di vendita al dettaglio e il modo di presentarsi del prodotto tipico concorrono in pari misura nel determinarne lacquisto. Per quanto riguarda la disponibilit dei consumatori a pagare di pi per i prodotti tipici che per i prodotti normali, i nostri intervistati si sono dichiarati favorevoli. Non sono venute chiare indicazioni in proposito solo da parte dei turisti rurali stranieri i quali per, come abbiamo visto, trovano difficoltosa la stessa identificazione del prodotto tipico. Coloro che sono disposti a pagare un premio per lacquisto di un prodotto tipico motivano questa loro disponibilit con il desiderio di sostenere le economie locali, spesso quelle di appartenenza, e favorire la conservazione delle identit culturali che le caratterizzano. Lentit del premio che gli intervistati sono disposti a pagare per la tipicit del prodotto varia in funzione del luogo di acquisto, ed maggiore
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se lacquisto avviene in viaggio nei luoghi di produzione (soci Coop) e nei luoghi di vendita che gli intervistati considerano pi affidabili (i negozi specializzati nel caso dei residenti urbani; lazienda produttrice nel caso dei turisti rurali italiani). Di interesse la giustificazione che gli intervistati hanno dato della loro maggiore disponibilit a pagare in queste particolari situazioni, e cio che il sapore del prodotto tipico migliore quando questo viene acquistato e consumato nei luoghi di origine. una riprova della fondatezza dellaffermazione di Guthman il quale sostiene che il gusto si colloca allincrocio fra la conoscenza e il piacere, tra il simbolismo e la materialit, e che una buona parte di esso promana da uno scambio di significati allinterno del circuito di produzione e di consumo del cibo (Guthman, 2002). Sulla base dei risultati del nostro esperimento di assaggio cieco del Lardo di Colonnata e di un suo clone lapprezzamento del prodotto tipico sembra dipendere anche dagli aspetti sensoriali e dalla conoscenza del prodotto stesso (tabella 4). I 13 partecipanti al test hanno assegnato un punteggio maggiore al Lardo di Colonnata sia per quanto riguarda separatamente laspetto, la consistenza al palato e il gusto che per quanto riguarda la valutazione complessiva dei due prodotti. Tuttavia la preferenza per il Lardo di Colonnata risultata netta fra gli intervistati che avevano gi assaggiato questo prodotto, inesistente o poco marcata fra gli intervistati che non lo avevano assaggiato. Le interviste per questionario effettuate a carico dei frequentatori della sagra del Lardo di Colonnata confermano che il gusto la caratteristica pi apprezzata di questo prodotto tipico, considerata molto importante dalla quasi totalit degli intervistati (tabella 5). Seguono per importanza la tecnica di produzione artigianale e il richiamo delle tradizioni che si collega al consumo del prodotto. 4.4. Il ruolo della grande distribuzione alimentare nella percezione della qualit dei prodotti tipici Abbiamo precedentemente rilevato che una quota consistente degli intervistati considera affidabili le indicazioni di qualit dei prodotti tipici trasmesse dalla grande distribuzione. Nel nostro caso questa circostanza dipende in qualche misura dal particolare contesto in cui le interviste sono state effettuate, per la presenza di una catena distributiva cooperativa nel territorio e dei suoi soci fra gli intervistati. In questo contesto probabilmente, in misura pi accentuata che in altri, in corso un processo di rapido e significativo coinvolgimento della grande distribuzione nella commercializzazione di prodotti biologici, del commercio equo e solidale e tipici. un coinvolgimento mirato a tenere il passo con la crescita del segmento di mercato sorretto da movimenti sociali pi ampi quali lambientalismo, letica nellagire economico e sociale, e la salvaguardia delle identit locali. La sua esistenza dimostra che
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la costruzione sociale della qualit dei prodotti tipici pu includere attori e forze di solito considerate esterne ed estranee al mondo particolare in cui si sviluppano i circuiti in qualche modo alternativi dei prodotti tipici. Il coinvolgimento della grande distribuzione nel circuito dei prodotti tipici non rappresenta necessariamente un pericolo per i produttori tradizionali. Al contrario, la formazione di modelli di funzionamento dei circuiti dei prodotti tipici che comportano il contatto delle componenti locali con quelle esterne pu contribuire a rendere pi concrete le possibilit che hanno i prodotti tipici di favorire lo sviluppo rurale. Certamente possono sorgere problemi perch il contatto con le forze esterne rende in genere pi stringenti le esigenze di adeguamento igienico-sanitario delle produzioni, con costi spesso insostenibili e pericoli di snaturamento dei processi produttivi attraverso lassoggettamento dellofferta alle richieste della distribuzione e del consumo. Tuttavia, come risulta anche dalle nostre indagini, i consumatori e i distributori sono motivati da preoccupazioni etiche tanto quanto sono motivati da preoccupazioni economiche convenzionali. Inoltre molti circuiti locali dei prodotti tipici appaiono cos robustamente ancorati alla loro natura artigianale che si ha difficolt a immaginarne la sostituzione con i circuiti intensivi di capitale proponibili dalla grande distribuzione. Le interviste che abbiamo condotto presso testimoni privilegiati della grande distribuzione alimentare nazionale inducono a ritenere che questo settore imprenditoriale entrato con convinzione nella logica della responsabilit sociale dellimpresa, e che la commercializzazione dei prodotti tipici vista come parte di questa logica. Le catene distributive interpellate sono Coop Italia, Conad, Esselunga e Carrefour Italia. Abbiamo inoltre voluto approfondire il modo in cui anche Esperya.com, impresa leader nel commercio elettronico alimentare, percepisce la tipicit dei prodotti. Per giungere a ci abbiamo condotto le interviste cercando di fare emergere i punti che riteniamo pi critici ai fini della evidenziazione del contrasto che pu esistere fra la generale concezione di qualit dei prodotti da parte della grande distribuzione, in molti casi legata ad esigenze di funzionalit ed economicit della gestione, e la concezione di qualit dei prodotti tipici di produttori e consumatori. Questi punti sono elencati nella tabella 6, e riguardano: la richiesta di massa critica e/o il ricorso a una logistica specifica; lassegnazione di spazi di vendita specifici e/o limpiego di accorgimenti espositivi atti a comunicare un carattere di differenziazione dei prodotti tipici; lampiezza della gamma e la tipologia di prodotti tipici commercializzati; il bacino geografico di rifornimento; lutilizzazione del marchio e/o della garanzia del distributore in associazione al marchio del produttore; ladozione di iniziative a favore dei produttori e del territorio motivate da senso di responsabilit sociale.
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Dalle interviste risulta che in genere la grande distribuzione tiene a che i singoli punti vendita si riforniscano in misura consistente sul territorio in cui sono localizzati. Vi sono poi delle politiche diverse di rifornimento, promozione e comunicazione della territorialit, che possiamo cos riassumere: Carrefour, in quanto impresa estera, sente lesigenza di assicurare che tutto il prodotto alimentare ha una provenienza italiana; Conad punta a trasferire attraverso molti prodotti, regionalmente distribuiti, un unico concept di qualit (tradizione, territorio, origini) del quale beneficiano tutti i prodotti che hanno una loro territorialit specifica il senso delloperazione Sapori & Dintorni prestandosi a essere comunicato attraverso media a copertura nazionale; Esselunga organizza settimane di prodotti tipici regionali, ma riserva anche spazi privilegiati permanenti ad alcuni prodotti tipici; Coop interviene anche nellorganizzazione della logistica specifica per prodotti e aree che ne necessitano. A proposito della logistica, un elemento di immaginabile potenziale contrasto tra le esigenze della grande distribuzione e le caratterizzazioni quantitative di molti prodotti tipici, Carrefour distingue fra prodotti tipici che possono essere inseriti nella logistica di tutti gli altri prodotti e quindi diffusi su larga scala territoriale, e prodotti tipici per i quali necessario concordare con i produttori modalit logistiche specifiche. Solo Esselunga afferma di richiedere quantitativi minimi per accettare di commercializzare i prodotti tipici. Collegate alla territorialit vi sono poi le azioni di presidio e di promozione allestero. Coop, al presente, e Conad, come progetto a breve scadenza, collaborano allopera di presidio dei prodotti in via di sparizione (Intesa Coop-Slow Food; progetto di presidi Conad). Conad, dopo la recente intesa con Leclerq, si adopra per la diffusione dei prodotti tipici italiani sui mercati esteri. Analoga iniziativa non viene riferita da Carrefour. Va rilevato che Esperya, limpresa di e-commerce, afferma di effettuare consegne di prodotti tipici anche allestero, nonostante lelevato costo richiesto dal trasferimento dei modesti quantitativi personalizzati. Tutte le catene intervistate peraltro sovrappongono alla garanzia di origine che il prodotto porta con s dalla fase di produzione, una loro garanzia aggiuntiva. Questa garanzia spesso rappresentata dallinsegna della catena associata alla descrizione delle verifiche operate dalla catena stessa sul prodotto, sulla provenienza e sulle tecniche di lavorazione di questo. Talora tali verifiche si esprimono in un marchio aggiuntivo (Linea Qualit, il gi citato Sapori&Dintorni, ecc.). In altre parole, anche nel caso dei prodotti tipici si risentono gli effetti della rivoluzione intervenuta nei rapporti fra produzione e distribuzione, per cui la produzione non pu pi pensare di vendere attraverso il commercio facendo leva solo sul proprio marchio, ma deve
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competere per vendere al commercio, accettando che la forza del marchio del produttore si esprima principalmente nellottenere lappropriazione di margini minori da parte del distributore e pi favorevoli collocazioni negli spazi di vendita. Esselunga sembra anche voler entrare in concorrenza con la fase della produzione quando asserisce di produrre direttamente, tramite due stabilimenti, pasta fresca, pasticceria, prodotti da forno. Nel complesso, tuttavia, la virtuosa mescolanza di considerazioni etiche (rispetto del potere della territorialit di creare qualit) e di marketing convenzionale (uso del potere della garanzia del distributore) conducono a una percezione della qualit da parte della distribuzione che non include i temuti criteri di superamento della massa critica e di minimo costo unitario posseduti dai prodotti standardizzati della grande logistica distributiva. Possiamo individuare indirettamente la concezione di qualit dei prodotti tipici posseduta dalla grande distribuzione esaminando le risposte date al quesito su quali pensate che siano le caratteristiche di qualit che i consumatori assegnano ai prodotti tipici? Nelle risposte aleggia, naturalmente, la presunzione che i prodotti tipici siano considerati di qualit dai consumatori perch la catena distributiva di cui sono clienti, spesso fedeli, che li controlla, li seleziona e li propone. Per vengono riconosciuti esplicitamente, come pi rilevanti, i caratteri della bont (caratteristiche organolettiche valutate positivamente) e la territorialit in quanto espressione di tradizioni e cultura, artigianalit (e anche salubrit) e il taglio e la pezzatura confacenti alla conservazione e al consumo. La disponibilit a pagare riconosciuta pi alta per il prodotto acquistato in zona di produzione e per i prodotti tipici non di uso comune, quasi quotidiano. Riguardo a questi ultimi prodotti, presso la grande distribuzione si ritiene talora che il consumatore abbia perso il contatto con la territorialit e guardi alla marca non diversamente che per altri prodotti. Viene per fatto rilevare che esistono qualit diverse della fornitura (in particolare per il parmigiano e il prosciutto), per cui il consumatore cliente della grande distribuzione valuta spesso la qualit di questi prodotti in funzione della fiducia che ha nella catena. Un cenno, infine, alla variante e-commerce della percezione della qualit da parte della distribuzione. Per ora questo un tipo di commercio che la grande distribuzione tradizionale in alcuni casi non prevede, soprattutto per i prodotti tipici. Lostacolo sta nella forma di vendita, che presuppone unorganizzazione in grado di gestire convenientemente le consegne in 24 ore, quindi specializzata. Questa la condizione di Esperya, che chiede alla produzione, come requisiti di qualit prioritari, una elevata qualit organolettica, e il possesso di marchio. Questultimo requisito, tuttavia, pu passare in secondo piano se un prodotto senza marchio risulta preferito al test di assaggio effettuato da esperti nominati dalla ditta. Una tale valutazione della qualit coerente con la natura del segmento di mercato a cui destinato il prodotto di
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Esperya. Si tratta infatti di un sotto-segmento del mercato di prodotti tipici, costituito da intenditori disposti a pagare un premium price elevato (anche 40% in pi).

5. Considerazioni conclusive
In sintesi, dalle nostre indagini emerso che non tutti i consumatori sono in grado di dire cosa sia un prodotto tipico e quali siano i prodotti tipici che incontrano nella loro attivit di spesa e di consumo. I turisti stranieri spesso identificano la tipicit con litalianit e la mediterraneit del prodotto, e di conseguenza non prestano attenzione ai segni che identificano i diversi prodotti tipici, non ne sperimentano la grande variet offerta dai contesti territoriali che visitano. I residenti urbani, daltra parte, spesso confondono salubrit e tipicit, e spesso si limitano a consumare i tipici di largo bacino di input e mercato. La corretta conoscenza dei prodotti tipici sembra retaggio dei segmenti pi acculturati e affluenti, che spesso associano alla predilezione per questi prodotti il turismo rurale e lescursionismo in campagna e altre forme di loisir (cene con amici,escursioni e shopping a carattere eno-gastronomico). Chi non conosce bene i prodotti tipici tende a ricercarli per le loro caratteristiche organolettiche, mentre il conoscitore pi sensibile allaspetto di tradizione e cultura che accompagna il prodotto tipico, talora anche relegando in secondo piano laspetto del gusto. Abbiamo riscontrato questo fenomeno anche nelle indagini specifiche riguardanti la Ciliegia di Lari e il Lardo di Colonnata, di cui non riportiamo i risultati per economia di spazio. Probabilmente laspetto pi inatteso della nostra indagine rappresentato dal fatto che la grande distribuzione alimentare, fino a poco tempo addietro considerata inconciliabile con la filiera dei prodotti tipici, entrata in tale filiera senza determinarne il temuto appiattimento verso una produzione industriale dei grandi quantitativi che la logistica e la distribuzione moderna richiedono. Al contrario, in modo spesso proattivo (si pensi allattivit pionieristica di Coop Italia nel biologico, nellequo e solidale e nelle produzioni tipiche, appunto) la grande distribuzione ha inserito i prodotti tipici nel processo di personalizzazione del servizio commerciale che caratterizza la pi recente risposta della distribuzione alla evoluzione dei consumi alimentari. Talora si riscontrano nella grande distribuzione alimentare anche i segni di un comportamento di impresa socialmente responsabile rivolto ai prodotti tipici, come da tempo avvenuto per i prodotti biologici e i prodotti del commercio equo e solidale. Nel caso dei prodotti tipici questo comportamento responsabile si rinviene nel riconoscimento, da parte della distribuzione, della necessit di capovolgere la tradizionale direzione del processo di formazione dei prezzi agricoli. Piuttosto che lasciare che tale prezzo si determini in modo re43

siduale dopo aver sottratto dal prezzo al consumo margini motivati dalla volont di ottemperare alla responsabilit economica, la distribuzione sembra voler adottare anche per i tipici un meccanismo di formazione del prezzo analogo a quello del fair trade, vale a dire un meccanismo che considera prioritario il giusto prezzo per il produttore, e determina il prezzo al consumo aggiungendovi un mark-up autoridotto affinch il prezzo finale possa risultare compatibile anche con la disponibilit a pagare del consumatore.

Riferimenti bibliografici
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Tabella 1 Nozione di prodotto tipico, variet di prodotti tipici consumati, frequenza di consumo e luogo di acquisto, per tipologie di consumatori
Soci Coop Toscana-Lazio (Viareggio) Residenti urbani (Pontedera) Turisti rurali Italiani (Val di Cecina) Turisti rurali Stranieri (Val di Cecina)

Nozione di prodotto tipico

Difficolt a fornire una definizione appropriata di prodotto tipico, ma nelle valutazioni e nella pratica di acquisto di prodotti tipici si fa riferimento a una nozione quasi sempre corretta

Prodotto tipico frequentemente definito come prodotto salubre

Nozione di prodotto tipico formalmente e sostanzialmente corretta

Nozione territorialmente generica (Toscana, Italia, Mediterranea)

Prodotti Principalmente tipici con- prodotti tipici sumati caratterizzati da un ampio bacino geografico di provenienza degli input e di produzione, ma anche prodotti tipici di nicchia Frequenza di consumo dei prodotti tipici Consumo regolare dei prodotti di ampio bacino geografico; consumo occasionale e comunque limitato dalla stagionalit per quanto riguarda i prodotti di nicchia Pi spesso presso la grande distribuzione Coop; talora direttamente dal produttore; durante i viaggi sia dal produttore che nei negozi del luogo

Quasi esclusivamente prodotti tipici caratterizzati da un ampio bacino geografico di provenienza degli input e di produzione Consumo regolare, essendo relativo quasi esclusivamente ai prodotti di ampio bacino geografico

Principalmente prodotti di nicchia e tipici del luogo di vacanza

Quasi esclusivamente vino, olio e ortofrutta fresca

Consumo regolare. I limiti della stagionalit sono compensati dalla variet di prodotti consumati Dal produttore, e nei negozi di alimentari del luogo di vacanza attentamente selezionati. Nei luoghi di residenza abituale, preferibilmente nelle boutique enogastronomiche

Consumo regolare nel periodo di vacanza

Luogo di acquisto dei prodotti tipici

Secondo comodit: dal produttore, nei negozi di alimentari o al suopermercato, spesso anche presso le boutique enogastronomiche

Lacquisto principalmente nei supermercati; il consumo anche nei ristoranti del luogo di vacanza

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Tabella 2 Importanza relativa di alcune motivazioni che possono indurre al consumo di prodotti tipici, per diverse tipologie di consumatori (importante, meno importante per la maggioranza degli intervistati)
Soci Coop ToscanaLazio (Viareggio) Residenti urbani (Pontedera) Turisti rurali Italiani (Val di Cecina) Turisti rurali Stranieri (Val di Cecina)

Gusto Salubrit Trasparenza del processo di produzione Interesse culturale nel modello di vita che esprime Desiderio di preservare le tradizioni locali minacciate dalla globalizzazione

Meno importante Meno importante Importante Importante

Importante important Meno importante Meno importante Meno importante

Meno importante Meno importante Importante Importante

Importante Meno importante Meno importante Meno importante

Importante

Importante

Meno importante

Tabella 3 Grado di fiducia in alcuni canali di comunicazione e disponibilit a pagare per i prodotti tipici, per diverse tipologie di consumatori (fiducia alta o bassa per la maggioranza degli intervistati)
Soci Coop ToscanaLazio (Viareggio) Residenti urbani (Pontedera) Turisti rurali Italiani (Val di Cecina) Turisti rurali Stranieri (Val di Cecina)

Dichiarazioni in etichetta Indicazioni del negoziante/ vendita in negozio specializzato per i tipici Garanzia del supermercato Produttore (acquisto in azienda) Esperienza o passaparola TV, altri Media Disponibilit a pagare (% in pi rispetto al prodotto generico)

Alta Bassa

Alta Alta

Alta Bassa

Bassa Bassa

Alta Bassa Alta Bassa 30% (di pi se in viaggio)

Bassa Bassa Alta Bassa 20% (di pi al negozio specializzato)

Bassa Alta Alta Bassa 30% (di pi dal produttore)

Alta Bassa Alta Alta Nessuna indicazione chiara

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Tabella 4 Risultati del test di assaggio effettuato ponendo a confronto il lardo di Colonnata e il lardo della bottega di Ad)
Aspetto Consistenza al palato Sapore Valutazione complessiva

N. di partecipanti al test che avevano gi assaggiato il lardo di Colonnata e gli hanno assegnato un punteggio: pi alto di Ad pi basso di Ad pari a quello di Ad. Totale N. di partecipanti al test che non avevano mai assaggiato il l. di C. e gli hanno assegnato un punteggio: pi alto di Ad pi basso di Ad pari a quello di Ad. Totale N. complessivo di partecipanti al test che hanno assegnato al lardo di Colonnata un punteggio: pi alto di Ad pi basso di Ad pari a quello di Ad. Totale 6 3 4 13 5 4 4 13 9 3 1 13 8 4 1 13 2 1 3 6 3 3 0 6 3 2 1 6 3 3 0 6 4 2 1 7 2 1 4 7 6 1 0 7 5 1 1 7

Tabella 5 Alcuni risultati delle interviste effettuate alla Sagra del lardo di Colonnata Agosto 2003 (40 interviste)
Quanto sono importanti per lei queste caratteristiche del lardo di Colonnata? 1 = poco; 2 = abbastanza; 3 = molto % di intervistati che considerano in qualche misura importante il carattere aspetto esteriore consistenza sapore richiamo delle tradizioni tecnica di produzione artigianale, genuina 42,50 42,50 95,00 57,50 70,00 Grado medio di importanza assegnato al carattere 2,1 1,5 3,0 2,6 2,5

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Tabella 6 Requisiti di qualit dei prodotti tipici richiesti dalla grande distribuzione alimentare e dalle-commerce
Coop Italia Conad Esselunga Carrefour Esperya.com

Richiesta di massa critica e logistica specifica

Nessuna Logistica per le piccole produzioni concordata con i produttori Richiesta del bollo CEE e di assoggettamento al controllo qualit del distributore Spazi di vendita inizialmente separati ma convergenti a regime Realizzazione di banchi assistiti e di cantina per i vini Prodotti sia di nicchia che a largo bacino di input Politica di legame con il territorio

Difficolt ad accettare le piccole produzioni Denuncia di carenza delle strutture territoriali di servizio distributivo

Richiesta di tagli e pezzature adatti alla GDO Richiesta di forniture che consentano di perseguire lobiettivo di bont e salubrit e un minimo di costanza della qualit Isole e bacheche dedicate, soprattutto in occasione delle settimane regionali

Vincoli di minimo delle forniture per le produzioni locali Adozione di una logistica specifica per le produzioni locali concordata con i produttori

Differenziazione delle tariffe per venire incontro alle specifiche esigenze di logistica delle-commerce

Spazi di vendita dedicati e accorgimenti espositivi

Spazi di vendita in genere comuni, talora esposizioni speciali per suggerire abbinamenti dei prodotti Prodotti sia di nicchia che a largo bacino di input Politica di legame con il territorio

Spazi di vendita comuni

Gamma di prodotti tipici commercializzati Bacino di rifornimento

Prodotti sia di nicchia che a largo bacino di input Politica di legame con il territorio debole

Prodotti sia di nicchia che a largo bacino di input Impegno per il territorio Italia ma non per le vendite allestero

Prodotti dotati di marchio e di qualit organolettiche elevate Aspetto non rilevante per la forma di vendita

segue

48

continua Tabella 6 Requisiti di qualit dei prodotti tipici richiesti dalla grande di-

stribuzione alimentare e dalle-commerce


Coop Italia Conad Esselunga Carrefour Esperya.com

Uso del marchio proprio e richiami alla garanzia del distributore

Ritiene che il marchio del produttore e del distributore si combinino perch fanno riferimento allo stesso concept di qualit

Garanzia affidata al concept di qualit sapori e dintorni

Forte leva sul marchioinsegna giustificata con le garanzie aggiuntive che comporta

Scarso uso del marchio perch ritiene che il consumatore cerchi i prodotti, non i marchi

Ricorso allo slogan e alla pratica dello scegliamo per voi, con luso di verifiche e test di assaggio

Iniziative promozionali e di responsabilit sociale dimpresa

Obiettivo di prezzo giusto per i produttori Intesa con Slow Food per i presidi

Obiettivo di sviluppo durevole Qualit e salubrit a prezzi accessibili

Promozioni per incrementare le vendite allestero

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50

3. LA DISPONIBILIT A PAGARE DEI CONSUMATORI PER LE CARATTERISTICHE DI TIPICIT*


di Gianluca Stefani, Benedetto Rocchi, Massimo Gioia e Alessio Cavicchi

1. Presentazione e obiettivi del lavoro


LItalia un paese particolarmente dotato di prodotti tipici e, poich la tipicit rappresenta una delle caratteristiche fondamentali della qualit, negli ultimi anni si cercato di difendere e migliorare la posizione competitiva delle produzioni alimentari sui mercati internazionali proprio a partire dalla qualit del modello italiano1. Del resto, nella letteratura sul comportamento del consumatore si sempre pi affermato lo studio dellorigine geografica come discriminante della percezione di qualit di un prodotto. Nelle indagini che presentiamo in questo lavoro stata analizzata linfluenza della regione di origine sulla valutazione dei prodotti alimentari da parte dei consumatori. A tal fine sono stati analizzati cinque diversi casi di studio: il Farro della Garfagnana, il Lardo di Colonnata, la Ciliegia di Lari, il Biroldo della Garfagnana e il Pecorino della Montagna Pistoiese2. Tali prodotti sono stati scelti perch accomunati da un elevato grado di tipicit, identificabile nella forte identit data dalle caratteristiche ambientali e storiche delle aree di origine. Per ciascuno di essi sono stati stimati la disponibilit a pagare, o WTP (willingness to pay), ed i punteggi edonici a diversi livelli di ampiezza dellarea di origine. In altri termini, le valutazioni che si ri* Massimo Gioia ha scritto i paragrafi da 1 a 3, Alessio Cavicchi i paragrafi 4 e 5, Gianluca Stefani il paragrafo 6 e Benedetto Rocchi il paragrafo 7. 1. Nel corso della globalizzazione contemporanea, infatti, le regole su cui tradizionalmente si giocava la competizione internazionale si sono modificate, passando da una competizione basata sui costi di produzione (e sui vantaggi comparati) ad una basata sulla qualit del prodotto (e sulla sua reputazione) (cfr., ad esempio, Romano, 2005). 2. I cinque prodotti sono stati studiati nellambito di due progetti di ricerca. Il pecorino, la ciliegia ed il lardo sono stati studiati nellambito del progetto finanziato dallARSIA di cui questo volume costituisce uno dei risultati; il biroldo e il farro della Garfagnana sono stati studiati nellambito di un progetto finanziato dallIstituto Nazionale per le Ricerche sulla Montagna.

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feriscono al prodotto tipico in quanto tale e che fanno riferimento alla definizione esatta dellarea di origine, sono state confrontate con valutazioni relative a prodotti simili provenienti da aree concentriche progressivamente pi ampie. Il primo obiettivo della ricerca era di indagare come le differenze di WTP e di punteggio edonico per i cinque tipi di prodotto sotto condizioni diverse siano influenzate dalla natura dellinformazione a disposizione del consumatore. I regimi informativi prescelti sono stati quelli tipici dei lavori di analisi sensoriale: assaggio cieco, presentazione della sola etichetta e assaggio del prodotto etichettato. Il confronto tra casi di studio diversi ha inoltre reso possibile una metaanalisi per verificare se esista un pattern comune di valutazione rispetto ai diversi regimi informativi e se esistano differenze ascrivibili a diversit di tipo tecnologico e/o di status istituzionale (ad esempio, la presenza o meno di un marchio di origine) dei prodotti. I risultati specifici attinenti a questi tre obiettivi sono stati illustrati in maniera articolata in alcune pubblicazioni a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti (Romano et al., 2005; Stefani et al., 2005; Stefani et al., 2006). In questo articolo si vuole illustrare sinteticamente i principali risultati relativi a tutta la ricerca evidenziando elementi comuni a tutti i prodotti e divergenze nelle percezioni dei consumatori rispetto alle diverse provenienze e tipologie dei beni analizzati. Il lavoro strutturato come segue. Nel prossimo paragrafo verr presentata una rassegna della letteratura sul ruolo dellorigine geografica nella formazione del valore di un prodotto. La metodologia impiegata nellanalisi sar illustrata nei paragrafi 3 e 4, mentre i paragrafi 5 e 6 sono dedicati allanalisi dei risultati. Infine lultimo paragrafo proporr alcune riflessioni conclusive.

2. Il ruolo dellorigine nella valutazione della qualit da parte del consumatore


Nel caso della valorizzazione delle produzioni alimentari tipiche il riconoscimento e la valorizzazione della loro qualit appare problematico a causa delle asimmetrie informative che, al passare da una dimensione locale ad una globale del mercato, insorgono inevitabilmente (Pilati e Ricci, 1991). La natura experience e credence (Darby e Karny, 1973; Anderson, 1994) di molti degli attributi rilevanti nella valutazione della qualit dei prodotti alimentari da parte del consumatore, richiede di conseguenza uno scambio informativo adeguato tra produttori e consumatori relativamente alla qualit dei prodotti. Le diverse forme di indicazione e garanzia dellorigine, in genere utilizzate nel processo di valorizzazione, assumono in questa ottica, una duplice
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valenza: se da un lato consentono al sistema locale di produzione di mantenere il controllo sul legame tipicit-territorio attraverso la creazione di un monopolio di qualit (Rocchi e Stefani, 2001), dallaltro segnalano al consumatore la qualit delle produzioni attraverso la loro origine geografico-culturale. Ponendosi nellottica del consumatore possibile individuare diversi livelli di valutazione della qualit degli alimenti in relazione alle diverse fasi del processo di acquisto (Blackwell et al, 2001): quello della qualit desiderata, connesso alla fase di riconoscimento dei bisogni; quello relativo alla qualit attesa, connesso alle fasi di ricerca di informazioni e di valutazione delle alternative di acquisto; e quello relativo alla qualit sperimentata, connesso alle fasi di consumo e valutazione post-consumo. Il modello di total food quality proposto da Grunert (1996) integra in un unico flusso le fasi del processo di acquisto e le diverse valutazioni ad esso connesse, interpretando il processo di scelta del consumatore secondo un approccio mezzi-fini (Grunert, 1995). Nella fase pre-acquisto il consumatore si forma una serie di aspettative relative alle caratteristiche experience e credence utilizzando una serie di attributi capaci di svolgere un compito di segnalazione della qualit (quality cues: cfr. Steenkamp, 1990). Tali attributi, che possono essere sia intrinseci che estrinseci al prodotto, interagiscono con le conoscenze gi in possesso del consumatore (perch derivate da precedenti esperienze di consumo, o da altri processi di acquisizione di informazioni) favorendo la creazione di aspettative sulla qualit. Allinterno di questo approccio, larea di origine, che per sua natura rappresenterebbe un attributo credence dei beni, non essendo di solito verificabile autonomamente dal consumatore, pu essere definita come un cue, intorno alla qualit del prodotto, di tipo estrinseco, cio non dipendente dalle caratteristiche fisiche del prodotto, che i produttori utilizzano per segnalare la qualit delle loro produzioni ai consumatori. La trasformazione dellorigine in quality cue associato al prodotto, tuttavia, pone un duplice problema informativo: innanzitutto il consumatore deve percepire, sulla base delle sue conoscenze pregresse, lorigine come un segnalatore pertinente alla valutazione della qualit; in secondo luogo il consumatore deve ritenere credibile linformazione relativa allorigine che viene associata al bene oggetto di scelta. Il consumatore seleziona i cues da utilizzare nella valutazione della qualit nella fase pre acquisto, sia in base alle caratteristiche del prodotto che in base a caratteristiche personali. In particolare, i fattori che determinano limportanza di un cue vengono individuati nel legame che il consumatore percepisce essere presente tra esso e gli attributi presi in considerazione (predictive value) e nella sicurezza del consumatore nei confronti della sua capacit di valutare uno specifico cue (confidence value) (Verleg e Van Ittersum, 2001). I risultati illustrati da Verleg e Steenkamp (1999) nella loro rassegna bibliografica evidenziano un significativo impatto della denominazione di origine sul53

le valutazioni del consumatore e suggeriscono come per molti consumatori la denominazione di origine sia caratterizzata da alti livelli di predictive e confidence value. Van Ittersum (2001) esamina il ruolo dellindicazione di origine come cue, al fine di individuare quando e come lindicazione di origine entra in gioco nel processo decisionale. Secondo il suo modello, la regione di origine pu essere uno dei fattori che inducono la fase di ricognizione del problema. In tal caso essa viene ritenuta responsabile dellattivazione dellindividuo che determina la decisione di acquisto. In caso contrario, linfluenza dellindicazione di origine minore, ma rappresenta comunque uno dei motivi che, in presenza di uno stato di tensione, indirizzano il comportamento del consumatore verso una determinata direzione. La possibilit che un prodotto tipico ha di essere preso in considerazione nel processo decisionale dipende molto dalla facilit con cui il consumatore identifica lindicazione geografica durante la fase di ricerca di informazioni. A seguito della ricognizione del problema, il consumatore pu recuperare le informazioni sui prodotti tipici direttamente dalla memoria (ricerca interna), oppure pu ottenere le informazioni dallambiente (ricerca esterna). Laccessibilit di queste informazioni nella memoria rappresenta un elemento chiave durante la ricerca pre-acquisto ed stato dimostrato come questa aumenti con il senso di appartenenza alla regione di origine del prodotto e con il coinvolgimento del consumatore nei confronti della categoria a cui il prodotto appartiene. Nella fase di valutazione e scelta delle alternative, il consumatore si riferisce alle proprie convinzioni in merito alla capacit dellarea di origine di fabbricare quel determinato prodotto e quindi allimmagine che egli si fatto della regione in questione. Si tratta di unimmagine di tipo multidimensionale (che dipende da elementi umani, dallambiente naturale e dal clima) attraverso la quale il consumatore inferisce sugli attributi posseduti dalla produzione (Martin e Eroglu 1993). Lincontro tra gli attributi cos stimati e gli obiettivi del consumatore determina il substrato sul quale avviene il giudizio di valutazione del consumatore circa un determinato prodotto. Van Ittersum (2001) mostra come in questa fase linfluenza dellindicazione geografica sullatteggiamento del consumatore sia maggiore in prodotti con alto valore aggiunto. Il processo descritto porta cos alla creazione di aspettative circa le conseguenze funzionali, sociali ed emozionali legate al consumo del prodotto tipico responsabili dellatteggiamento finale del consumatore e della scelta. Se queste aspettative sono soddisfatte dalleffettivo consumo, si genera soddisfazione e un atteggiamento post-acquisto positivo nei confronti del prodotto tipico. Ogni volta che acquisti successivi confermano le aspettative, latteggiamento post acquisto si rinforza e il consumatore pu sviluppare lealt nei confronti del prodotto.
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3. Informazione e valutazione sensoriale


Le informazioni sono dunque un elemento essenziale per prendere decisioni nellambito del consumo alimentare. Tuttavia esistono differenze sostanziali nella valutazione di attributi di tipo credence (come la presenza di residui antiparassitari nella frutta) e di caratteristiche experience (come per esempio gli attributi sensoriali). I primi, infatti, non sono direttamente conoscibili dai consumatori mentre le seconde possono essere indagate dopo lacquisto e il consumo del prodotto. Non solo: la disponibilit di informazioni relative a determinate caratteristiche credence interferisce a sua volta sulla valutazione, attraverso il consumo, delle caratteristiche experience, determinando un quadro complesso di interazioni tra preferenze, percezioni e valutazioni sia ex post che ex ante il momento di consumo. Schifferstein (2001) distingue tre tipi di modalit di misurazione delle preferenze sensoriali del consumatore. In tutti i casi il risultato un punteggio misurato su una liking scale avente come estremi mi piace molto e non mi piace per niente; tuttavia ogni modalit contraddistinta da un determinato regime informativo. Il primo tipo di test quello di assaggio cieco (blind test) in cui si ha informazione limitata a cues intrinseci al prodotto (colore, ecc.) e ad attributi experience di tipo sensoriale (sapore, odore, ecc.). In sostanza nellassaggio cieco solo le caratteristiche fisiche e organolettiche dellalimento sono a disposizione del consumatore per la valutazione.Da un blind test si pu ottenere una misura di quella che pu essere definta una performance effettiva (actual performance). Il secondo tipo di test (expectation test) al contrario caratterizzato da una totale assenza di informazione riguardante gusto e olfatto, sostituita da cues intrinseci visivi (colore, forma etc.) e/o cues estrinseci come il packaging, limmagine, letichetta e la descrizione verbale o scritta di un prodotto: in questo modo si riesce ad ottenere una misura di performance attesa del prodotto che il consumatore costruisce combinando lelaborazione dellinformazione che gli viene presentata e quella che conserva nella sua memoria. Infine il branded o labelled test mette a disposizione del consumatore entrambi i tipi di informazione (attributi experience e cues estrinseci) mediante una prova di assaggio di prodotti etichettati. Attraverso il branded test si ottiene una misura della performance percepita (perceived performance). Nellassaggio labelled si definisce una situazione analoga, almeno da un punto di vista informativo, a quella del consumatore che sperimenta il prodotto dopo avere preso la sua decisione e effettuato lacquisto. Nella sua valutazione la percezione sensoriale interagisce con una determinata percezione della promessa di qualit proveniente dai diversi cues (intrinseci ed estrinseci) che lo hanno guidato nella scelta e dei quali fanno parte anche attributi credence co55

me ad esempio lorigine geografica o il rispetto di determinate norme di ecocompatibilit. per questo che la valutazione edonica in queste condizioni pu discostarsi, anche significativamente, da quella effettuata in condizioni blind. La differenza tra valutazione labelled e valutazione blind, che tecnicamente viene indicata nelle analisi dei sensorialisti come response shift, sembra essere un indicatore adeguato per isolare limpatto diretto degli attributi credence sulla valutazione degli alimenti. Ad esempio Guerrero (2001) ha evidenziato che se le caratteristiche di processo riguardano lorigine geografica del prodotto, il consumatore indifferente tra due prodotti nel blind test mostra invece una forte preferenza sensoriale per il prodotto ottenuto in aree specifiche nel labelled test. Rimane tuttavia un problema metodologico legato al fenomeno della cosiddetta assimilazione. Infatti poich le aspettative non confermate creano uno stato di sofferenza psicologica il consumatore riduce tale sofferenza modificando le percezioni sensoriali nel senso delle aspettative (Anderson, 1973; Deliza e McFie, 1996; Schifferstein, 2001). Nella valutazione del response shift necessario di conseguenza depurare lanalisi dalleffetto di simili interazioni Anche se in alcuni lavori i punteggi misurati con scale di liking possono essere fortemente correlati alla WTP e variare in maniera simile (Lange et. al., 2002), questo risultato non pu essere generalizzato3. In generale la letteratura sul response shift si concentrata sugli effetti dellinformazione sulla percezione degli attributi sensoriali e sulle relative misure edoniche. Viceversa nella presente ricerca la metodologia impiegata ha sistematicamente tenuto in considerazione congiuntamente le valutazioni edoniche e quelle monetarie e lesistenza di eventuali interazioni tra loro.

4. Metodologia
La ricerca si poneva lobiettivo di indagare come le differenze di WTP e di punteggi edonici per i cinque prodotti il Farro della Garfagnana, il Lardo di Colonnata, la Ciliegia di Lari, il Biroldo della Garfagnana e il Pecorino della Montagna Pistoiese sotto condizioni diverse fossero influenzate dalla natura dellinformazione a disposizione del consumatore. La stima della WTP stata effettuata attraverso la realizzazione di aste sperimentali. Nel formato classico proposto da Vickrey i partecipanti inviano offerte di acquisto in buste chiuse ed il vincitore, colui che ha fatto lofferta

3. Infatti, la WTP non dipende soltanto dalle caratteristiche sensoriali del prodotto, ma anche da attributi credence (fra cui la stessa origine geografica) che non necessariamente si riflettono sugli indici di preferenza misurati dallanalisi sensoriale.

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pi alta, paga solo il prezzo corrispondente alla seconda migliore offerta. stato dimostrato (Vickrey, 1961) che questo meccanismo istituzionale induce i partecipanti a rivelare il loro vero prezzo di riserva (ovvero la massima disponibilit a pagare per il bene oggetto dellasta). A partire da questo schema di base, attraverso vari miglioramenti del disegno sperimentale possibile considerare e misurare i processi di apprendimento e di formazione del valore. inoltre possibile fornire incentivi che rendano pi attendibili i valori rilevati, con i partecipanti soggetti a disciplina di mercato che effettuano pagamenti in moneta. Con questa tecnica di stima della disponibilit a pagare, infine, possibile alterare sperimentalmente linsieme di informazioni di cui dispongono i consumatori (relativamente alla regione di origine), per osservare linfluenza dellinformazione disponibile sulla valutazione del bene4. In particolare nelle ricerche che qui si presentano, stata adottata una procedura di asta n-th random price che, invece di prevedere un solo vincitore tenuto a pagare il prezzo relativo alla seconda migliore offerta, contempla n1 vincitori che pagano il prezzo stabilito dallennesima offerta, dove n un numero estratto casualmente superiore o uguale a 2 e inferiore al numero di partecipanti. Questo meccanismo evita un problema proprio dellasta di Vickrey tradizionale, dove stato osservato uno scarso coinvolgimento di coloro che effettuano offerte basse e che fronteggiano una probabilit molto bassa di vincere e quindi di dover effettuare un reale pagamento (Shogren et al., 2001a e 2001b). Inoltre stata data ai partecipanti la possibilit di scegliere il numero massimo di confezioni che avrebbero acquistato nel caso che fossero risultati vincitori di pi aste. Questa procedura ha lo scopo di limitare gli effetti reddito sulla WTP (Melton et al., 1996a). I regimi informativi definiti per la realizzazione delle aste sono stati quelli tipici dei lavori di analisi sensoriale: assaggio cieco, presentazione della sola etichetta e assaggio del prodotto etichettato (blind, expectation e labelled). Gli stimoli offerti ai consumatori per definire le proprie offerte, invece, sono stati le origini geografiche, differenziate nelle tre tipologie di prodotto proposte (cfr. tabella 1) nel caso di ciliegia, farro, pecorino e lardo.

4. Nel campo delleconomia alimentare le aste sperimentali sono state impiegate in numerose indagini. La maggior parte dei lavori presenti in letteratura si propone la misurazione dei benefici per il consumatore derivanti da riduzioni del rischio alimentare (Shogren et al., 1994; Hayes et al., 1995; Buzby et al., 1998; Fox et al., 1995). Tuttavia alcune ricerche sono state eseguite per valutare la risposta dei consumatori a nuovi prodotti che presentino un mix di caratteristiche diverse dai prodotti standard (Melton et al., 1996a; Melton et al. 1996b; Hayes et al., 1996), o pi specificatamente per valutare linfluenza delle informazioni presenti sulle etichette (Lange et al., 2002).

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Tabella 1 Origini geografiche comunicate durante gli esperimenti


Ciliegia Farro Pecorino Lardo

Livello

Lari Italia Unione Europea

Garfagnana Toscana Italia

Montagna Pistoiese Appennino Tosco-Emiliano Toscana

Colonnata Alpi Apuane Toscana

Un protocollo leggermente diverso stato adottato nel caso del Biroldo della Garfagnana, un sanguinaccio insaccato. Si tratta di una produzione molto particolare per caratteristiche organolettiche, natura delle materie prime (che comprendono il sangue e la testa del maiale) e processo produttivo, per la quale non era possibile individuare sostituti riferibili ad aree geografiche concentriche e progressivamente pi ampie. In questo caso il prodotto stato messo a confronto con il Mallegato Pisano, un altro sanguinaccio toscano, ed una produzione di salame genericamente riferibile alla regione. Sia i punteggi edonici che la disponibilit a pagare sono stati espressi dai partecipanti seguendo un protocollo sperimentale che combina test edonici e aste sperimentali replicate in sei sessioni. I cinque prodotti sono stati trattati in sessioni separate. In ogni sessione, i partecipanti hanno inizialmente preso parte a un assaggio cieco effettuato servendo loro porzioni dei prodotti alternativi, chiedendo di indicare la loro valutazione su una scala di preferenza. Successivamente stato richiesto loro di fare delle offerte per campioni dello stesso prodotto che avevano precedentemente assaggiato. In seguito, per tutti i prodotti, con leccezione del Biroldo, le diverse etichette del prodotto in questione sono state consegnate ai partecipanti i quali, dopo essere stati invitati a indicare il loro punteggio edonico, hanno partecipato a una seconda asta. Infine stato effettuato un assaggio etichettato, con lindicazione dei punteggi e con lultima asta lesperimento si concluso. Nel caso del Biroldo, viceversa, dallasta basata sullassaggio cieco si passati direttamente allasta connessa allassaggio labelled. Limpatto di diverse condizioni di informazione stato valutato dividendo le sessioni dasta in due tipologie: in alcune tra lassaggio cieco e quello con etichetta veniva fornito ai partecipanti un pieghevole informativo sulle caratteristiche dei prodotti proposti (origine e storia, caratteristiche del processo produttivo, ingredienti etc.); nelle altre non veniva proposta ai consumatori alcuna informazione aggiuntiva. I punteggi edonici sono stati espressi mediante indicazione del grado di apprezzamento per il prodotto su una scala lineare di 12 cm ancorata agli estremi Mi piace moltissimo Non mi piace per niente nel caso degli assaggi cieco ed etichettato. Nel caso dellesame delle sole etichette la scala
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stata invece ancorata ai valori Mi piacerebbe moltissimo Non mi piacerebbe per niente. Allinizio della procedura i partecipanti hanno riempito un modulo di consenso e hanno ricevuto 35 come incentivo per partecipare allesperimento. Il conduttore ha letto le istruzioni al fine di mitigare eventuali distorsioni provocate dalla variabilit delle condizioni sperimentali fra sessione e sessione. Ciascun esperimento stato caratterizzato da diversi passaggi. Prima di cominciare la serie delle aste vere e proprie impiegando tre tavolette di cioccolata stata effettuata una fase preliminare di training, finalizzata a familiarizzare i partecipanti con le scale utilizzate per esprimere i punteggi edonici e con le procedure delle aste. Successivamente ha avuto luogo la fase vera e propria di valutazione. Ai partecipanti stato detto di assaggiare in sequenza tre porzioni di prodotto oggetto dellanalisi sotto condizione di assaggio cieco e di indicare la loro valutazione usando la scala lineare di liking precedentemente descritta. Successivamente sono state ricordate le istruzioni dellasta n-th random price gi impiegata nella fase di training. Unasta si svolta quindi contemporaneamente per lacquisto delle tre confezioni (indicate come 1, 2 e 3) corrispondenti ai campioni dellassaggio cieco. I partecipanti hanno registrato le proprie offerte su ununica scheda costituita da tre scale graduate con divisioni corrispondenti a 10 centesimi di euro e range da 0 a 5 euro. Prima dellasta, sono stati forniti ai partecipanti i punteggi edonici che avevano assegnato ai vari tipi di prodotto nellassaggio cieco. La procedura per le altre condizioni di informazione (sole etichette e assaggio del prodotto etichettato) stata identica a quella per la condizione di assaggio cieco. Alla fine, per ogni asta, stato estratto il numero casuale che determinava il numero di vincitori ed il prezzo da pagare. Quindi, sono stati resi noti i risultati delle aste ed i vincitori hanno realmente acquistato i prodotti pagando il prezzo a cui era stata vinta lasta. Alla fine di ogni sessione sperimentale a ciascun partecipante stato chiesto di compilare un questionario riportante informazioni relative alle proprie caratteristiche socio-demografiche.

5. I risultati: composizione, opinioni e atteggiamenti del campione


Dallanalisi del campione che ha partecipato alle sessioni sperimentali emerge un certo equilibrio nella distribuzione delle caratteristiche demografiche tra uomini e donne responsabili degli acquisti. Complessivamente hanno preso parte 284 persone di cui il 40,9% di et tra i 20 e 40 anni. Tuttavia la ripartizione tra le fasce di et distorta dalle sessioni aventi come oggetto di studio il Pecorino della Montagna Pistoiese perch in questo caso i partecipanti sono stati studenti universitari fuori sede e le aste sperimentali sono state svolte allinterno dei locali universitari del Polo delle Scienze Sociali di Novoli anzich presso le sezioni soci Coop.
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Tabella 2 Distribuzione campione per et, sesso e titolo di studio


Numero %

20-40 anni 41 anni e oltre Maschio Femmina Laurea Scuola Media Superiore Scuola Media Inferiore Licenza Elementare Totale campione

117 169 135 151 34 160 54 38 286

40,9 59,1 47,2 52,8 11,9 55,9 18,9 13,3 100

Per quanto riguarda il titolo di studio, la maggioranza assoluta del campione in possesso di diploma di scuola media superiore (55,9%) ma questo dato sicuramente influenzato dalla partecipazione degli studenti universitari (51 su 160) alle sessioni di analisi sul Pecorino della Montagna Pistoiese. Il numero dei partecipanti ben ripartito tra i 5 prodotti analizzati di cui solo il farro vede una partecipazione superiore al 20% del totale.
Tabella 3 Distribuzione del campione per prodotto analizzato
Prodotto Numero %

Pecorino Ciliegia Farro Lardo Biroldo Totale

51 45 77 56 57 286

17,8 15,7 26,9 19,6 19,9 100

Nel questionario compilato alla fine delle aste veniva chiesto ai partecipanti di esprimere un giudizio riguardo allimportanza di alcuni attributi nella definizione della qualit di un prodotto alimentare. In generale i punteggi medi indicano che per i partecipanti la qualit prevalentemente riconducibile alle modalit di produzione, che dovrebbe essere effettuata adottando strette norme igieniche e metodi rigorosi, alla conservazione del gusto originale dei prodotti (rispetto dellidentit del prodotto) e al gradimento del sapore sapore (tabella 4). Si tratta di preferenze in linea con i fondamentali concetti usati per descrivere la qualit delle produzioni tipiche anche nelle altre indagini effettuate presso i consumatori in questa ricerca (cfr. il capitolo 2) e gi messe in evidenza in letteratura (Gabbai et al, 2004).
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Tabella 4 Importanza di alcuni attributi nella definizione di prodotto alimentare di qualit


N Mean Std. Deviation

strette norme igieniche conservazione gusto sapore provenienza Italia controllato certificato particolari metodi provenienza paesi definiti marchio qualit marca conosciuta aria appetitosa pi caro della media

129 129 126 73 127 126 126 130 126 73 70

4,5271 4,3023 4,254 4,2466 4,2283 4,1508 4,0873 3,8846 3,5079 3,3288 2,9714

1,06123 0,98904 0,93754 1,16405 1,12115 1,24623 1,05087 1,11115 1,21817 1,38499 1,32939

Una migliore comprensione delle preferenze espresse dai consumatori coinvolti pu essere ottenuta incrociando i punteggi attribuiti alle diverse caratteristiche di qualit per il grado di legame con la regione di provenienza, nel nostro caso la Toscana, espresso da ciascun consumatore. Se ne ricava (cfr. Figura 1) che quando un soggetto esprime un legame labile tende a correlare la qualit principalmente a fattori inerenti la sicurezza alimentare quali la produzione osservando strette norme igieniche, losservanza di particolari metodi e la certificazione di qualit. Il possedere unaria appetitosa e avere un buon sapore sembrano perdere il valore che viene attribuito invece da coloro che si sentono pi legati al luogo dove vivono. Per quanto riguarda il concetto di prodotto tipico (tabella 5), questo viene associato principalmente a quello di prodotto genuino mentre il fatto che possa essere acquistato nei luoghi di produzione, pur avendo un valore superiore alla media nella scala da 1 a 5 (3,57) il fattore che raccoglie minori consensi. Non sono state rilevate differenze rilevanti nella stratificazione per classi di et, reddito, sesso e nucleo familiare, a dimostrazione che il concetto di prodotto tipico viene percepito in maniera molto simile indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza.
Tabella 5 Concetto di prodotto tipico
Media Dev. Standard

Prodotto genuino Materie prime del territorio Metodi artigianali Acquistabile nei luoghi produzione

4,53 4,44 4,22 3,57

0,858 0,896 0,897 1,262

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Figura 1 Importanza di alcuni attributi nella definizione di prodotto alimentare di qualit e tipo di legame con la regione di provenienza
Estremamente

ap aria pe tito sa co ns erv gu azio sto ne

pro pa veni es i d enza efi nit i pro ve nie n Ita lia za co n ce troll rtif a ica to e to

5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00 5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00 5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00 5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00 5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00

Abbastanza Indifferente Poco Per niente

Legato alla Toscana

eti c qu hetta ali t pa rtic me ola tod ri i

Altre domande sono state effettuate relativamente ai criteri seguiti nellacquisto di prodotti alimentari. In generale vengono considerate prevalentemente le caratteristiche di naturalit, laspetto esteriore del prodotto, il metodo di produzione e la denominazione di origine. Minore importanza sembrano assumere il tipo di negozio e la marca.
Tabella 6 Importanza attributi per la scelta di un prodotto alimentare di qualit
N Media Dev. Standard

carattere naturale aspetto prodotto denominazione origine metodo prod.ne regione produzione prezzo non troppo alto etichetta qualit carattere tradizionale prezzo non troppo basso marca tipo negozio

129 128 123 127 128 72 125 121 65 127 68

4,6667 4,5938 4,3008 4,1496 3,9766 3,7917 3,752 3,6446 3,3846 2,9764 2,8676

62

pi de ca lla ro me dia pi str ett n igi orme e en ich e

co marc no a sc iut a

sa

po

re

0,66536 0,75751 0,96611 1,32784 1,09015 1,13755 1,15463 1,23058 1,33103 1,24381 1,56362

Per quanto riguarda le domande relative alle caratteristiche di etnocentrismo e di neofobia, il campione mostra una propensione moderata alla prova di cibi nuovi confermata sia dai punteggi elevati associati alle proposizioni positive (provo cibi nuovi = 4,68) che da quelli pi bassi delle proposizioni negative (non ho fiducia nei cibi nuovi = 3,3). Inoltre si nota una certa tendenza salutista evidenziata da punteggi superiori a 5 in tutte le domande che riguardano latteggiamento nei confronti della salute personale.
Tabella 7 Medie relative a caratteristiche etnocentrismo e neofobia
N Media Dev. Standard

Provo cibi nuovi Non ho fiducia nei cibi nuovi Se non so non provo Mi piacciono cibi da paesi differenti Cibi stranieri troppo strani A una festa provo cibi nuovi Mi fa paura mangiare cose nuove Sono schizzinoso Mangerei tutto Mi piace provare ristoranti stanieri Le cose andavano meglio prima I prodotti sono sempre pi scadenti La qualit della vita sta peggiorando Il progresso tecnico assicura futuro migliore Moderna economia per domani migliore Sono salutista Prendo in considerazione la salute Rinuncio a molto per salute Penso di fare molto per salute Sacrificherei molto per salute

57 56 57 57 57 57 57 58 57 58 58 58 57 58 58 56 58 58 58 58

4,6842 3,3036 4,4211 4,3509 3,2632 4,8246 2,9825 3,3793 3,6316 4,3448 4,0000 4,0862 4,8596 3,7759 3,9310 4,7500 5,8103 5,0690 5,2241 4,9483

1,77440 1,71538 1,96348 1,91322 2,07473 1,83345 1,95019 2,12609 2,15996 1,96952 1,65434 1,78968 1,93131 1,70698 1,81477 1,57538 1,26292 1,76578 1,32510 1,64820

Infine dallanalisi di altri dati che non vengono qui riportati, si rileva un atteggiamento di chiusura da parte delle classi sociali pi in difficolt che non provano facilmente cibi nuovi (lunico momento giudicato appropriato sembrano essere le feste). Inoltre coloro che si sentono poco legati alla Toscana sono anche i soggetti meno attenti a stili di vita salutistici e quindi meno disposti a sacrificare molto per la propria salute.
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6. Risultati: origine e disponibilit a pagare


Nella tabella 8 sono messi a confronto alcuni indici riassuntivi delle sessioni di asta effettuate per i quattro prodotti trattati con lo stesso protocollo. Per ciascun tipo di prodotto e per ciascuna condizione di informazione (blind, expectation e labelled) sono riportati il valore medio della disponibilit a pagare espressa dai consumatori e il relativo coefficiente di variazione. Considerando la valutazione in condizioni di completa informazione (labelled ) si pu rilevare come in tre casi su quattro (ciliegia, farro e lardo) le offerte mostrino una relazione inversa con lestensione dellarea geografica di provenienza, crescendo al ridursi di questa. In realt lintensit con cui questo fenomeno si manifesta differenziato tra i prodotti. Considerando ad esempio
Tabella 8 Disponibilit a pagare per tipo di prodotto e condizioni di informazione. Valori medi e coefficiente di variazione
Prodotto Regione di origine Blind Expectation Labelled

Ciliegia

Estera Italiana Lari

1,38 74% 2,32 50% 2,24 54% 1,37 52% 1,41 53% 1,29 54% 1,11 83% 1,62 66% 1,39 77% 2,72 67% 3,41 56% 3,36 58%

1,47 78% 2,44 45% 2,35 47% 1,22 52% 1,43 48% 1,59 46% 0,95 104% 1,17 69% 1,24 67% 2,87 56% 3,36 49% 4,13 48%

1,28 86% 2,65 51% 2,68 50% 1,29 51% 1,45 49% 1,52 49% 1,15 98% 1,73 66% 1,62 75% 2,68 63% 3,78 47% 4,34 47%

Farro

Italiano Toscano Garfagnana

Pecorino

Toscano Appennino Montagna Pistoiese

Lardo

Toscano Apuane Colonnata

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il delta rispetto alla WTP espressa in media per il pi diretto sostituto (in termini di estensione dellarea) questo appare pi evidente nel caso del farro e del lardo; tendo conto anche della variazione intorno alla media, solo nel caso del secondo il prodotto tipico sembra collocarsi significativamente ad un livello superiore nellapprezzamento dei partecipanti. Unaltra considerazione che emerge dal confronto dei quattro gruppi di aste riguarda la variabilit delle valutazioni espresse dai partecipanti: esse sensibilmente pi accentuata nel caso dei due prodotti con minore notoriet, sopratutto se si considerano i sostituti con area di provenienza pi ampia. Un dato che sembrerebbe indicare una maggiore incertezza nella valutazione della qualit. Una prima analisi dei fattori che influenzano la disponibilit a pagare possibile attraverso unanalisi della varianza a misure ripetute. Il risultato per i quattro i gruppi di aste riferiti ai vari prodotti sintetizzato nella tabella 9. Insieme alle condizioni di informazione ed allampiezza dellarea di origine stato inserito come fattore di variabilit anche la sessione di asta, per tener conto di fattori imprevisti come ad esempio quelli relativi alla composizione del campione o al livello di adesione al protocollo per lo svolgimento degli esperimenti.
Tabella 9 Analisi della varianza per la WTP (within effects)
Determinanti g.l. Ciliegia F p level g.l. Farro F p level g.l. Pecorino F p level g.l. Lardo F F p level

sessione condizione di informazione origine sessione x cond. inf. sessione x origine cond. Inf. x origine sess. x cond. inf. x origine

2 2 2 4 4 4 8

0,03 0,97 3,55 0,03 48,74 0,00 1,41 0,24 2,91 0,03 2,13 0,08 2,06 0,04

5 2 2 10 10 4 20

3,67 0,01 2,54 0,08 16,03 0,00 0,53 0,86 1,17 0,32 11,49 0,00 0,33 1,00

2 2 2 4 4 4 8

4,06 0,03 7,67 0,00 5,60 0,01 0,76 0,55 0,64 0,63 1,44 0,22 1,44 0,18

3 2 2 6 6 4 12

2,31 0,09 7,63 0,00 25,05 0,00 0,50 0,81 1,73 0,12 4,92 0,00 1,36 0,19

Considerando una soglia di significativit del 5% il fattore sessione influenza significativamente la WTP solo nel caso del farro e del pecorino. I due stimoli introdotti dal disegno sperimentale hanno un effetto significativo
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in quasi tutti casi (con eccezione delle condizioni di informazione nel caso del farro). Anche in questo caso emerge una differenziazione tra farro e lardo da un lato e ciliegia e pecorino dallaltro: solo nei primi due infatti linterazione tra origine e condizioni di informazione sembra influenzare significativamente la disponibilit a pagare dei consumatori. Nel caso della ciliegia risulta significativa solo linterazione tra tutti e tre i determinanti. Una migliore comprensione delle modalit con cui origine e condizioni di informazione interagiscono nel determinare la disponibilit a pagare emerge dalla lettura della tabella 10 nella quale sono riportate, per ciascun prodotto, le differenze espresse in percentuale nel valore medio della WTP nelle diverse condizioni di informazione.
Tabella 10 Disponibilit a pagare e punteggio edonico. Effetto interazione con le condizioni di informazione
Prodotto Regione di origine differenze % WTP differenze % punteggio edonico E-B L-E L-B

E-B

L-E

L-B

Ciliegia

Estera Italiana Lari Italiano Toscano Garfagnana

6,8 5,0 4,8 -10,9 1,1 22,7

-13,3 8,6 14,2 6,1 1,4 -4,5 20,6 47,8 30,4 -6,8 12,4 5,1

-7,4 14,0 19,6 -5,5 2,5 17,2 3,6 7,3 16,6 -1,6 10,9 28,9

-17,9 -2,5 -15,8 -17,8 15,8 48,5 -26,2 -19,2 0,6 -1,9 -10,4 8,4

-1,9 5,3 22,7 13,2 -1,5 -9,6 45,3 30,9 1,2 -4,4 15,6 9,4

-19,4 2,7 3,3 -7,0 14,0 34,2 7,1 5,8 1,8 -6,2 3,5 18,6

Farro

Pecorino

Toscano -14,1 Appennino -27,4 Montagna Pistoiese -10,6 Toscano Apuane Colonnata 5,7 -1,4 22,6

Lardo

B = blind, E = expectation, L = labelled

La differenza tra valutazione labelled e quella basata sullassaggio cieco (L-B) rappresenta il response shift conseguente alla modificazione del quadro informativo. Il modello di response shift della valutazione monetaria (WTP) appare omogeneo tra i quattro prodotti esprimendo una miglioramento della posizione relativa del prodotto tipico rispetto ai due sostituti in condizioni di completa informazione. Lunica differenza rappresentata dal pecorino, unico prodotto per il quale la WTP cresce anche per il sostituto con area di origine pi ampia (pecorino toscano) sia pure in misura minore rispetto allorigine Appennino e Montagne pistoiesi.
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Nel caso del farro e del lardo linformazione produce lo stesso tipo di impatto anche sulle aspettative dei consumatori (colonna E-B). Da notare anche che per questi due prodotti i modelli di interazione tra informazione e origine appaiono coerenti sia che si consideri la disponibilit a pagare che il punteggio edonico: la conoscenza dellorigine migliora la performance relativa del prodotto tipico sia in termini di aspettative che di performance percepita. Ciliegia e pecorino, viceversa, mostrano un comportamento opposto relativamente allimpatto dellinformazione sulla disponibilit a pagare. Nel caso della ciliegia linformazione incrementa le aspettative relative a tutte le tipologie di prodotto (valore positivo della differenza E B), nel caso del pecorino leffetto dellinformazione opposto (tutti segni negativi). Unultima osservazione deve essere fatta nel caso del pecorino il quale presenta unincoerenza tra WTP e punteggio edonico se si considera il response shift. Questi risultati sembrano nel complesso confermare una differenziazione tra farro e lardo da una parte e pecorino e ciliegia dallaltra; alcune cautele sono tuttavia necessarie nella valutazione relative alleffetto sessione sui risultati. Da un lato, nel caso della ciliegia, ha avuto una certa influenza sui risultati lutilizzazione di un prodotto fresco e facilmente deperibile che ha introdotto una variabilit nelle caratteristiche intrinseche della frutta impiegata5. Dallaltro, nel caso del pecorino, potrebbe esserci stato un effetto legato alle differenze nella composizione del campione e nel contesto di svolgimento degli esperimenti (cfr. paragrafo precedente). Nonostante ci rimane il fatto che lardo e farro, rispetto agli altri due prodotti, sono entrambi caratterizzati da un livello di riconoscimento nel mercato sicuramente superiore sia in termini di notoriet che di istituzionalizzazione del segnale di origine (IGP per il farro della Garfagnana). Come gi ricordato nel paragrafo 4, a causa della natura del prodotto, il disegno sperimentale utilizzato per il Biroldo della Garfagnana stato leggermente differente. Nella tabella 11 sono presentati i valori medi e il relativo coefficiente di variazione della disponibilit a pagare per i salumi toscani posti a confronto nelle aste. In questo caso leffetto dellinformazione sulla WTP pu essere apprezzato confrontando le offerte delle aste nel corso delle quali ai consumatori sono state fornite una serie di informazioni sui prodotti (origine, modalit di lavorazione, ingredienti) e quelle delle aste durante le quali i consumatori hanno basato le loro valutazioni solo sullispezione visiva dei prodotti e sullassaggio

5. Unanalisi dettagliata delle aste della ciliegia proposta in (Stefani et al., 2005).

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Tabella 11 Disponibilit a pagare per tipo di prodotto e livello di informazione. Valori medi e coefficiente di variazione
Livello di informazione Tipo di prodotto Esame visivo Assaggio

Senza Informazione

Salame Toscano Mallegato Biroldo

2,37 42% 1,12 82% 1,39 80% 2,12 48% 1,38 88% 1,31 95% 2,24 45% 1,25 86% 1,35 87%

2,34 41% 1,10 88% 1,43 71% 2,17 49% 0,90 133% 1,32 96% 2,25 45% 1,00 110% 1,37 83%

Con Informazione

Salame Toscano Mallegato Biroldo

Totale

Salame Toscano Mallegato Biroldo

Lassaggio provoca un effetto positivo sulla WTP nel caso del Biroldo e del salame toscano, mentre il Mallegato vede peggiorata la sua valutazione. Emerge piuttosto chiaramente una stabilit delle offerte rispetto alle condizioni di informazione, a parit di prodotto e di condizione sensoriale. Soprattutto appare evidente la maggiore variabilit delle valutazioni relative ai sanguinacci, prodotti in assoluto meno conosciuti6, similmente al caso gi considerato in precedenza del pecorino a latte crudo. La differenza tra le valutazioni basate sulla semplice ispezione visiva e quella successiva allassaggio stata sottoposta a test di significativit. Nella tabella 12, accanto allusuale t test per campioni dipendenti7 viene riportato anche il test non parametrico di Wilcoxon.

6. Molti partecipanti non li avevano mai assaggiati in precedenza. 7. Si tratta infatti di misure ripetute sugli stessi soggetti.

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Tabella 12 Test statistici sulla differenza tra valutazioni con ispezione visiva e con assaggio
t-test per campioni indipendenti t p value T Wilcoxon matched pair test z p value

Biroldo della Garfagnana PE con informazione PE senza informazione PE tutte le aste WTP con informazione WTP senza informazione WTP tutte le aste 1,00 2,57 2,54 0,09 0,42 0,34 0,33 0,02 0,01 0,93 0,42 0,73 90 75 334 97 102 391 Mallegato Pisano PE con informazione PE senza informazione PE tutte le aste WTP con informazione WTP senza informazione WTP tutte le aste -2,12 0,53 -1,09 -2,67 -0,04 -1,97 0,04 0,60 0,28 0,01 0,97 0,05 94 164 543 45 107 296 Salame Toscano PE con informazione PE senza informazione PE tutte le aste WTP con informazione WTP senza informazione WTP tutte le aste 1,22 1,07 1,59 0,61 -0,29 0,21 0,23 0,30 0,12 0,55 0,78 0,84 117 132 484 78 97 409 1,49 1,38 2,05 0,70 0,64 0,02 0,14 0,17 0,04 0,48 0,52 0,98 1,86 0,29 0,05 2,26 0,30 1,74 0,06 0,77 0,26 0,02 0,77 0,08 1,48 2,91 3,08 0,30 0,81 0,76 0,14 0,00 0,00 0,77 0,42 0,45

Le differenze appaiono significative solo nel caso del punteggio edonico attribuito al Biroldo, che cresce dopo lassaggio, ed in quello della WTP per il Mallegato che diminuisce in misura significativa dopo lassaggio. La presenza di informazione sembra avere un effetto irrilevante se non negativo: lassaggio incrementa significativamente il punteggio edonico del Biroldo solo nelle aste senza informazione, mentre in tutti e tre i salumi la disponibilit di informazioni abbassa la WTP media dopo lassaggio (cfr. tabella 11). La stessa analisi della varianza (tabella 13) rileva il ruolo preponderante del tipo di prodotto e della conizione sensoriale (ispezione visiva vs assaggio) nel determinare le valutazioni.
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Tabella 13 Analisi della varianza per la WTP (within effects): Biroldo


Determinanti g.l. F p level

Informazione su leaflet Condizione sensoriale Tipo di prodotto Informaz x cond.sens Informaz x tipo Cond. sens x tipo Informaz. x cond. sens. x tipo

1 1 2 1 2 2 2

0,17 1,43 32,63 1,38 0,33 3,05 2,66

0,68 0,24 0,00 0,25 0,72 0,05 0,07

I risultati delle aste relative al Biroldo della Garfagnana sembrano particolarmente influenzate dalla natura del prodotto tipico oggetto dellanalisi. Non si tratta solo della modesta notoriet di questi particolari insaccati, che rende pi incerta la valutazione dei consumatori. I sanguinacci, infatti, sono alimenti con caratteristiche del tutto peculiari con la presenza di ingredienti come il sangue e la testa del maiale che, al di fuori dellarea di origine, dove esiste una cultura specifica legata alla tradizione produttiva, possono essere problematici per molti consumatori. I risultati sembrano mostrare che questi fattori potrebbero avere un effetto prevalente rispetto ad un segnale di tipicit legato allorigine del prodotto.

7. Conclusioni
Le ricerche che sono state presentate in questo lavoro costituiscono innanzitutto una conferma dellimportanza della condizione informativa nella valutazione della qualit alimentare. In assonanza con i risultati di altri studi relativi al comportamento del consumatore, le aste hanno mostrato come linformazione relativa allorigine abbia un impatto significativo sulla valutazione delle produzioni alimentari. La provenienza da aree ben identificate e sufficientemente circoscritte nella loro ampiezza pu avere un effetto positivo sulla disponibilit a pagare di molti consumatori. il potenziale della tipicit, un patrimonio spesso non sufficientemente valorizzato di molte piccole produzioni tradizionali, la cui esistenza oggi legata solo alla conservazione di un saper fare localizzato e residuale. Lanalisi comparata tra i diversi casi di studio permette di sottolineare unimportante condizione che deve essere soddisfatta ai fini del successo (in termini di potenzialit di mercato) di un prodotto alimentare tipico. Se la segnalazione dellorigine pu favorire una valutazione positiva di un prodotto, ci tuttavia dipende dalle modalit con cui questo quality cue si inserisce nel quadro informativo a disposizione del consumatore. Nel corso del processo decisionale, infatti, le informazioni associate al prodotto vengono analizzate
70

alla luce delle conoscenze pregresse interne al consumatore stesso e delle informazioni ritenute pertinenti al problema di scelta che provengono dal contesto esterno. Le differenze esistenti tra i casi del Farro della Garfagnana e del Lardo di Colonnata da un lato, e del Pecorino Montagne Pistoiesi e della Ciliegia di Lari dallaltro, sembrano indicare lesistenza di un circolo virtuoso tra notoriet del prodotto (come nel caso del Lardo di Colonnata, che rappresenta un caso gastronomico), presenza di segnali forti di origine (come la certificazione IGP) e riconoscibilit dellarea di provenienza (il caso della Garfagnana turistica). In presenza di queste condizioni anche i consumatori geograficamente e culturalmente pi lontani sembrano rispondere pi coerentemente ad un modello di valutazione della qualit alimentare che potremmo definire origin oriented. Una riconoscibilit dellorigine capace di generare disponibilit a pagare sia direttamente, come caratteristica del prodotto desiderata in quanto tale dal consumatore, che indirettamente, attraverso quello che viene definito tecnicamente effetto assimilazione: in presenza di forti aspettative relative agli effetti del consumo di un alimento il consumatore tende inconsapevolmente ad allineare la valutazione della qualit percepita alla qualit attesa. La presenza di entrambi gli effetti, come nel caso del farro e del lardo, sembra indicare lavvio di una spirale virtuosa tra aspettative sullorigine, esperienza di consumo e fidelizzazione del consumatore verso una determinata tipicit. Il complesso dei risultati che emergono da queste ricerche possono avere anche una valenza normativa ai fini della valorizzazione delle produzioni alimentari tipiche. Un strategia di rinforzo (in termini di visibilit e utilizzabilit) del cue dellorigine potrebbe infatti avere effetti benefici sulla WTP e la crescita del mercato anche lontano dallarea di origine. Non solo questo conferma limportanza delladozione di marchi di origine, ma richiama anche limportanza della comunicazione collettiva relativa allarea geografica di origine in quanto tale, anche indipendentemente dalla promozione del prodotto. La costruzione del cue origine non dovrebbe tuttavia far dimenticare agli operatori dei sistemi locali ed agli attori lungo la filiera dei prodotti alimentari tipici che una disponibilit a pagare anche elevata per lorigine viene sempre messa al vaglio dellesperienza di consumo. In presenza di esperienze significative di disconfirmation rispetto alle aspettative indotte dallorigine (ad esempio sul piano del gusto) il valore di questultima come segnale di qualit potrebbe essere rapidamente messo in discussione. Non solo: come dimostra il caso del Biroldo, sembrano valere anche precisi limiti di compatibilit di una produzione con la cultura alimentare dei consumatori ai quali viene proposta. Nel recupero e nella salvaguardia del patrimonio delle tradizioni produttive che sopravvivono numerose in Toscana sar probabilmente necessario tenere in considerazione anche questo fattore.
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4. LA DEFINIZIONE DELLA QUALIT LUNGO LA FILIERA: UNA INDAGINE QUALITATIVA SU ALCUNE PRODUZIONI TIPICHE TOSCANE*
di Benedetto Rocchi e Manuela Gabbai

1. Introduzione
Con la crescente notoriet che pu investire una produzione alimentare tipica a seguito di una strategia di valorizzazione di successo, la definizione della sua qualit cessa di essere un aspetto implicito delle transazioni, che possibile mediare attraverso un sistema di conoscenze contestuali condivise dagli attori del sistema locale di origine. Allestendersi dellampiezza del mercato nuovi attori entrano in gioco lungo la filiera, nuovi consumatori con un diverso bagaglio di conoscenze si accostano al prodotto, nuove esigenze di natura tecnica e logistica (trasporto, conservazione) incidono sulla natura delle relazioni commerciali. Lipotesi di partenza su cui il progetto di ricerca stato sviluppato che la possibilit di espansione del mercato dei prodotti tipici sia direttamente collegata al processo di definizione della qualit lungo la filiera, ed in particolare al livello di coerenza tra le concezioni di qualit espresse dai diversi attori. Per questo, nella struttura della ricerca, al termine di una preliminare fase esplorativa finalizzata ad una prima mappatura delle concezioni di qualit esistenti nei diversi sistemi produttivi studiati, era prevista unindagine di natura qualitativa attraverso la quale giungere ad una prima valutazione della loro coerenza. In questo capitolo verranno presentati alcuni dei risultati emersi in tale parte del progetto1. La natura esplorativa del lavoro ha determinato la scelta della metodologia. Al fine di analizzare i processi attraverso i quali la qualit e i suoi attributi sono oggetto di un processo di continua definizione/negoziazione ad ogni
* Il testo frutto di lavoro comune: tuttavia Benedetto Rocchi ha scritto i paragrafi 1, 2, 4.1 e 5, Manuela Gabbai i restanti paragrafi. 1. In particolare lanalisi stata effettuata nel workpackage 2. Il rapporto di ricerca, contente tutti i risultati scaricabile al sito. www.percezioniqualita.it

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fase della filiera, stata adottata una tecnica dindagine qualitativa utilizzata sia negli studi di marketing che in sociologia: il focus group. Lobiettivo dellanalisi, di natura intermedia rispetto allo svolgimento del progetto di ricerca, era quello di far emergere per quanto possibile tutte le problematiche rilevanti, da approfondire nei successivi passaggi del progetto, relative al discorso intorno alla qualit che si sviluppa lungo la filiera. Proprio in considerazione dellampiezza attesa dei risultati sono state selezionate quattro diverse produzioni tipiche, da analizzare ciascuna attraverso uno specifico focus group: la ciliegia di Lari, lo spinacio della Val di Cornia, il pecorino a latte crudo della Montagna Pistoiese e il Lardo di Colonnata. Non solo le quattro produzioni sono molto diverse nella loro natura (prodotti freschi e trasformati). I relativi sistemi locali rappresentano realt molto diverse tra loro in termini di fama, volume produttivo e struttura della filiera, ben rappresentando la forte eterogeneit del mondo produttivo riconducibile allespressione prodotto tipico. Il capitolo cos articolato. Nel paragrafo 2 verr presentata una breve rassegna finalizzata a rintracciare nella letteratura economica e sociologica temi e modelli concettuali utili allinterpretazione dei risultati dellindagine. Il paragrafo 3 verr dedicato allillustrazione della metodologia seguita. Seguir la presentazione dei principali risultati: sia attraverso la definizione di un quadro generale (par. 4.1) che attraverso unanalisi pi dettagliata delle risposte dei partecipanti intorno ai temi pi rilevanti che sono emersi nella discussione intorno alla qualit (par. da 4.2 a 4.4). Alcune considerazioni di sintesi verranno proposte nel paragrafo 5.

2. Una rassegna della letteratura


Recentemente i consumatori hanno manifestato un interesse crescente verso le produzioni tipiche, percepite da un lato come caratterizzate da standard qualitativi pi elevati, dallaltro come vettori di un richiamo al binomio conservazione della tradizione sapere locale. Questa tendenza si concretizza in un recupero di molte tradizioni alimentari legate a specifici territori. Esse diventano marker dellidentit del territorio stesso permettendo ad aree rurali, spesso marginali, di acquisire una maggior visibilit sul mercato globale (Moran, 1993; Ray, 1998). Lo testimonia la diffusione delle forme di certificazione dellorigine prevista dalla regolamentazione europea e la progressiva enfasi attribuita al ruolo delle produzioni tipiche allinterno delle politiche di sviluppo rurale (De Stefano 2000; Nomisma, 2000). In questo contesto, la definizione della qualit alimentare appare una tematica centrale che connota allo stesso tempo lo sviluppo del mercato dei prodotti tipici e la loro notoriet.
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Laffermarsi di processi di sviluppo allinterno di sistemi locali centrati su produzioni agroalimentari tipiche pu essere studiato seguendo essenzialmente due prospettive. La prima, fa riferimento alle discipline delleconomia industriale e della geografia economica; mentre la seconda deriva dalla sociologia e si ricollega al filone degli agri-food studies. Il primo approccio incentrato sullidea che per analizzare i processi di sviluppo locale legati a produzioni di qualit sia necessario comprendere la natura delle relazioni tra sistemi locali e domanda di mercato. I sistemi locali hanno la funzione di custodire delle conoscenze non trasferibili altrove ma allo stesso tempo sono capaci di soddisfare una domanda di carattere globale (Becattini, 2000). Polidori e Romano (1997) sottolineano come le produzioni agroalimentari di qualit, oltre ad essere contraddistinte da un processo che conferisce forme di visibilit al territorio dorigine, siano spesso caratterizzate da forme di chiusura istituzionale (come nel caso delle denominazioni dorigine) che hanno lobbiettivo di proteggere le produzioni locali da imitazioni e falsi industriali e allo stesso tempo di garantire alti standard qualitativi. In questo tipo di analisi nellaffermazione di sistemi locali di sviluppo basati su produzioni agroalimentari di qualit, la domanda e la sua dinamica entra a tutti gli effetti come fattore causale determinante del processo. Ma nella misura in cui una domanda progressivamente pi ampia individua nelle produzioni di uno specifico sistema locale una possibile risposta ai suoi bisogni, nel processo di sviluppo entrano in gioco forze esterne con le quali i componenti della comunit locale si trovano ad interagire. Ray (1998) ad esempio sottolinea il ruolo dei movimenti di opinione interessati alla conservazione delle tradizioni locali e delle istituzioni statali e/o comunitarie che, attraverso la regolamentazione, mettono a disposizione risorse influenzando contemporaneamente le modalit con cui lo sviluppo locale si realizza. Lo stesso allargamento del mercato di produzioni tipiche, al crescere della loro notoriet, modifica i rapporti di potere allinterno della filiera che collega offerta e domanda, amplificando inevitabilmente il ruolo degli intermediari commerciali (Brannigan e Leat, 2003). I sistemi locali centrati su produzioni alimentari di qualit hanno ricevuto una significativa attenzione anche da parte della sociologia rurale. In questa letteratura il consumo dei prodotti tipici interpretato come una risposta al processo di industrializzazione del settore agroalimentare (Goodmann, 2003). Secondo questa lettura le pratiche di consumo dei prodotti tipici assumono un significato che va al di l delle valutazioni soggettive relative alle caratteristiche organolettiche del prodotto diventando indice del desiderio di uno stile di vita alternativo che contrasti le conseguenze negative della globalizzazione delle abitudini alimentari. Pertanto i diversi attori reagiscono ai mutamenti del sistema alimentare globale attraverso la costruzione di pratiche alimentari intorno ad una definizione alternativa della qualit che si basa su un rapporto
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pi diretto tra il mondo della produzione e quello del consumo. (Mardsen e Arce, 1995). Pur nella loro diversit le due prospettive di analisi sopra citate presentano con tutta evidenza numerosi punti di contatto e una sostanziale complementarit. Entrambe mettono in luce due dinamiche contemporaneamente operanti allinterno dei processi di sviluppo rurale: da un lato lesistenza di sistemi di produzione radicati in realt locali con identit sociali ben definite e attivamente difese; dallaltro il tentativo di raggiungere una domanda sempre pi ampia. Mardsen e collaboratori hanno qualificato questa tipologia di fenomeni come filiera alimentare breve (short food supply chain: SFSC), espressione del tentativo (o della battaglia) dei produttori e dei consumatori di far incontrare nuovi tipi di offerta e domanda (Mardsen et al., 2000: 415, nostra traduzione) attraverso una definizione ri-socializzata e ri-spazializzata del cibo nella quale lorigine entra come elemento di definizione di un alimento. I vantaggi della catena di commercializzazione breve si basano sul fatto che il consumatore percepisce una maggiore prossimit nei confronti del mondo produttivo radicato in uno spazio geografico preciso. Questo fattore denota come la fiducia aumenti allinstaurarsi di relazioni sociali sotto forma di scambio di informazioni tra produttori e consumatori (Sage, 2003). Il progetto di ricerca allinterno del quale si inserisce questo lavoro, si poneva lobiettivo di analizzare il problema della definizione qualit delle produzioni tipiche inteso come un processo dinamico che si realizza con, e rende possibile gli, scambi lungo la filiera. infatti importante notare come la comunicazione della qualit alimentare e dei suoi attributi favorisca leliminazione della distanza geografica tra produzione e consumo. Da quanto appena discusso appare chiaro come, attraverso la valorizzazione della tipicit di una data produzione alimentare, sia possibile allo stesso tempo conservare una relazione diretta tra consumatore e sistema locale nel quale lalimento ha origine. Ci pu avvenire indipendentemente dalla distanza (geografica e/o culturale) che separa il territorio di origine dallo sbocco finale di mercato finale, purch si realizzi una condivisione minima di conoscenze tra produttore e cliente/consumatore intorno alla qualit del prodotto. Al fine di valutare i meccanismi attraverso i quali la qualit viene definita e valutata pu essere utile fare riferimento alla teoria economica delle convenzioni (Young, 1996; Wilkinson, 1997). Questo approccio teorico ha trovato un fecondo campo di applicazione empirica proprio con riferimento ai processi di definizione della qualit dei beni (Eymard Duvernay, 1995). Alla base sta la considerazione che la qualit un costrutto sociale endogeno che contribuisce a coordinare lattivit economica degli attori (Renard, 2003: 88, nostra traduzione). lesistenza di una base comune di valutazione convenzionale della qualit (che si concretizza attraverso azioni che presuppongono la condivisione di un codice tacito di comportamento che a sua volta genera aspettative reciproche) a rendere possibile il funzionamento del mercato. Le78

sistenza di diverse convenzioni costitutive spiega forme diverse di coordinamento degli agenti (Eymard Duvernay, 1989); diverse convenzioni di qualit relative ai beni identificano altrettanti mondi della produzione (Salais e Storper, 1992). Se si considera lapplicazione di questa teoria al settore agroalimentare appare chiara la contrapposizione tra produzione industriale e produzione artigianale/locale. Diventa allora importante stabilire il quadro convenzionale allinterno del quale gli attori (produttori, intermediari, consumatori) si muovono. Nel caso delle produzioni alimentari tipiche particolarmente rilevante sembra essere il concetto di radicamento. Goodman (2003) in un suo studio mette in evidenza come per le produzioni tipiche sia importante conservare e comunicare il radicamento nel tessuto economico e sociale di un determinato spazio geografico. Questo autore utilizza il termine embeddedness per spiegare come nella definizione della qualit oltre alle caratteristiche organolettiche e al processo produttivo sia rilevante considerare anche il tessuto di relazioni sociali allinterno del quale il ruota il sistema produttivo. Winter (2003) sottolinea come la capacit di un prodotto alimentare di mettere in connessione il consumatore con una specifica rete di relazioni sociali tende a configurarsi come un attributo del prodotto ricercato in s. Kirwan a sua volta rileva che la soddisfazione del consumatore include anche la fiducia, costruita attraverso un rapporto di scambio ripetuto nel tempo, nellintegrit personale del produttore (Kirwan, 2003). Questa molteplicit di temi ha costituito la base concettuale sulla quale stata definita la metodologia e sono stati interpretati i risultati. Nel paragrafo successivo verr delineato il research design dellindagine svolta.

3. Metodologia
3.1. Un approccio qualitativo: la tecnica del focus group Il focus group una tecnica di intervista collettiva rivolta a gruppi non troppo numerosi di soggetti opportunamente selezionati (Corrao, 2000). La peculiarit di questa tecnica che ne ha consigliato ladozione consiste nel fatto che un focus group permette non solo di rilevare le opinioni dei singoli partecipanti ma anche di analizzare il processo dinterazione sociale che avviene allinterno del gruppo intervistato. Questa caratteristica appariva particolarmente coerente con la prospettiva di filiera scelta per lanalisi, nella quale le dinamiche sociali e le reti di relazioni sono fondamentali per caratterizzare i processi di sviluppo. Nel complesso stato intervistato un totale di circa 40 operatori delle quattro filiere considerate. La selezione del campione stata definita con lobbiettivo di creare una piattaforma che permettesse alle diverse tipologie
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dattori di discutere e mettere a confronto le loro concezioni di qualit. I partecipanti possono essere classificati come appartenenti a tre categorie: i produttori, i grossisti e coloro che operano allinterno delle diverse realt di commercializzazione finale dei prodotti (grande distribuzione e negozi al dettaglio specializzati). La composizione del campione relativa ad ogni focus group e stata definita in modo da garantire la presenza di almeno un rappresentante per ogni categoria dattore cos da permettere il mantenimento di una certa omogeneit nella struttura dei focus group, agevolando la successiva fase danalisi comparativa dei risultati ottenuti. Ai partecipante stato corrisposto2 un gettone di presenza. Per quanto riguarda lo svolgimento dei focus group importante ricordare due aspetti. Il primo riguarda la selezione del luogo nel quale si tiene la discussione. , infatti, molto importante effettuare lincontro in un luogo che sia percepito da tutti i partecipanti come neutro; il rischio che si corre se non si sceglie un luogo nel quale tutti i partecipanti si sentono a loro agio e allo stesso tempo dove nessuno si sente in una posizione di vantaggio rispetto agli altri, che la discussione presenti vizi di metodo con quelli che si sentono in posizione di forza spesso tendenti a voler imporre la propria opinione al resto del gruppo. I risultati che si otterrebbero cos non evidenzierebbero n il confronto dopinioni n lindividuazione deventuali momenti di conflitto tra i partecipanti danneggiando cos i risultati della ricerca. Per ovviare a questo problema, i focus group sono stati svolti presso istituzioni pubbliche o sale conferenze presenti sul territorio di riferimento per i quattro sistemi locali indagati. Il secondo aspetto riguarda pi da vicino lo svolgimento del focus group. Come sostengono Kreuger e Casey (2000), prima di iniziare la discussione opportuno creare una situazione dinformalit, con lo scopo di favorire sin dallinizio il processo dinterazione sociale tra i partecipanti. Nel nostro studio e stato quindi previsto un rinfresco di benvenuto che ha preceduto linizio dei focus group. I focus group hanno avuto una durata massima di 90 minuti e sono stati interamente registrati allo scopo di procedere in una fase successiva allanalisi della trascrizione della discussione. La discussione stata condotta da un moderatore, coadiuvato da due assistenti il cui ruolo era quello di attribuire gli interventi a ciascun partecipante e di annotare qualora si presentassero momenti di tensione o divergenza di opinioni tra in partecipanti.

2. Il gettone di presenza ha la funzione di incentivare una partecipazione attiva dei partecipanti responsabilizzandoli sul raggiungimento dei risultati. Per questo motivo la distribuzione del gettone stata preannunciata al momento dellinvito a partecipare. Non tutti i partecipanti hanno tuttavia accettato, al termine della discussione, il gettone stesso.

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3.2. La traccia della discussione Inizialmente il moderatore ha presentato gli obiettivi della ricerca evidenziando che il fine principale della discussione era quello di giungere in un primo momento ad una definizione del concetto di tipicit dei prodotti agroalimentari oggetto della ricerca. La caratterizzazione della tipicit permette, infatti, di indagare in una seconda fase lesistenza di una relazione tra la definizione di prodotto tipico e la valutazione della qualit alimentare. importante notare che il consumatore pur non essendo stato coinvolto direttamente rimasto sempre presente sullo sfondo della discussione. Allinizio di ciascun focus group e stato, infatti, chiesto ai partecipanti di commentare alcune affermazioni espresse dai consumatori in una precedente ricerca anchessa incentrata sulla qualit dei prodotti tipici (Gabbai et al., 2003). In seguito, la discussione si spostata sulla nozione di prodotto tipico, con lintento di individuare le dimensioni generali che caratterizzano questa categoria di prodotti agroalimentari oltre a verificare se i partecipanti fossero in grado di raggiungere una definizione condivisa. Questa fase iniziale ha permesso di spostare la discussione sulle tematiche che riguardano le concezioni di qualit dei diversi attori presenti allinterno di ciascuna delle quattro filiere agroalimentari oggetto della ricerca. I partecipanti sono stati invitati a riflettere sui motivi fondamentali per i quali i prodotti tipici in generale, e quelli oggetto di ciascun focus group in particolare, possono essere considerati prodotti di qualit superiore, che si distinguono dai prodotti di industriali di largo consumo. Infine i partecipanti hanno discusso sulle potenzialit di espansione del mercato delle produzioni tipiche sottolineando limportanza della qualit come dimensione necessaria alla conservazione dellidentit dei prodotti stessi di fronte ad una crescita del volume produttivo. Queste tematiche hanno portato anche ad una valutazione dei pro e dei contro dei marchi di denominazione di origine. 3.3. Lanalisi dei risultati I dati raccolti nel corso dei focus group sono stati interamente trascritti al fine di procedere ad unanalisi qualitativa. Lapproccio di analisi qualitativa adottato in questo studio fa riferimento a quello della grounded theory secondo il quale i testi vengono analizzati in un processo iterativo durante il quale le classificazioni dei contenuti concettuali che derivano da successive letture dei testi, vengono impiegate nella costruzione di modelli interpretativi progressivamente pi strutturati (Miles e Huberman, 1994). La grounded theory prevede che, in un primo momento la codifica dei testi venga eseguita singolarmente da ogni ricercatore e che solo in un secondo momento i ricercatori si riuniscano per discutere le loro classificazioni e scegliere quella che appli81

cheranno nella versione finale dellanalisi dei dati. Questo processo, permette ai ricercatori di ottenere delle classificazioni omogenee limitando larbitrariet della codifica del testo. A questo scopo e stato utilizzato NVivo, un programma che consente di associare al testo una o pi classificazioni stabilite dai ricercatori e successivamente di estrarre le parti di testo che contengono queste classificazioni. NVivo oltre a coadiuvare lanalisi qualitativa dei dati consente anche di creare delle griglie concettuali in grado di sintetizzare visivamente i risultati ottenuti dallelaborazione dei dati. Infine, stata svolta unanalisi del contenuto concettuale (content analysis) associato a ciascun tema. Questultima parte dellanalisi stata articolata seguendo due diverse prospettive: la prima ha posto a confronto i testi riferibili a diverse tipologie di prodotto (freschi vs. trasformati); la seconda le concezioni espresse dalle diverse tipologie e di operatore della filiera. Lanalisi completa delle trascrizioni presentata nel rapporto di ricerca. Nel prossimo paragrafo verranno proposti alcuni tra i risultati pi significativi raggiunti.

4. La definizione della qualit secondo i diversi attori della filiera


4.1. Un quadro generale La discussione nei quattro gruppi ha fatto emergere una molteplicit di temi e concetti che vengono associati pi o meno strettamente al concetto di qualit in relazione alle produzioni alimentari tipiche. Lanalisi delle trascrizioni, attraverso una procedura iterativa3 di codifica del testo, ha reso possibile sintetizzare le risposte fornite dai partecipanti intorno ad un set di nodi tematici. Tali nodi sono, come ovvio, legati tra loro da relazioni a volte consistenti in una semplice associazione nel discorso, altre volte riconducibili a vere e proprie relazioni di causa-effetto. La figura 1, costruita sulla base di unanalisi quantitativa delle ricorrenze dei nodi nelle trascrizioni, sintetizza la gran parte dei temi intorno ai quali si sono sviluppate le discussioni e consente di delineare la struttura delle relazioni tra temi diversi. Emergono due gruppi di tematiche fortemente interconnessi al loro interno: il primo legato alle caratteristiche di salubrit e sicurezza del prodotto; il
3. Ad una prima codifica svolta liberamente ed in parallelo dai componenti del gruppo di ricerca ha fatto seguito la costruzione di una codifica dei temi e dei concetti condivisa ottenuta sulla base di un sistematico confronto del contenuto semantico delle categorie concettuali messe in evidenza da ciascun ricercatore.

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Figura 1 Relazioni tra nodi tematici relativi alla qualit

salubrit

controllo filier

certificazione

assenza conservanti residui

genuinit

origine

gusto

processo produttivo storia territori o natura ambiente produzione

relazione debole relazione forte cultura

tradizione

valori

secondo, quello imperniato sui concetti di territorio e di origine, relativo alle caratteristiche del processo produttivo e del sistema locale nel quale nasce lalimento, a sua volta declinato secondo i molteplici aspetti di territorio, ambiente naturale, storia, cultura, tradizione etc. Punti di connessione tra i due gruppi di tematiche possono essere individuati nei nodi relativi allorigine e alla storia/tradizione, che nelle discussioni sono stati spesso associati al concetto di genuinit. Una considerazione a parte deve essere fatta per il tema del gusto: pur essendo quello che ricorre pi spesso nelle discussioni esso stato affrontato in maniera autonoma, mostrando una connessione soprattutto con il tema dellorigine geografica. Anche se la figura 1 permette di visualizzare la struttura tematica delle discussioni, solo la content analysis delle trascrizioni mette in condizione di apprezzare la ricchezza di significati che contraddistingue e differenzia le concezioni dei diversi attori. Una differenziazione abbastanza chiara emersa tra i produttori da una parte e le figure di intermediazione commerciale (in particolare grossisti e grande distribuzione) dallaltra. Mentre per i primi il discorso sulla qualit appare maggiormente legato allunicit dei prodotti ed al loro valore simbolico, per i secondi, soprattutto nel caso degli operatori della grande distribuzione, il tema della qualit viene inteso come presenza di un
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attributo del prodotto necessario per soddisfare il consumatore, in grado di promuovere allo stesso tempo il valore della propria insegna commerciale. Unaltra differenziazione importante ha riguardato gli attributi che definiscono la qualit: quelli rilevanti nel caso dei prodotti freschi (ciliegia e spinacio) sono risultati sensibilmente diversi rispetto a quelli che caratterizzano i prodotti trasformati (pecorino e lardo). In particolare, per quanto concerne i prodotti freschi il territorio di origine (inteso come zona di produzione) e laspetto sono i fattori determinanti che, secondo i partecipanti ai focus group, consentono a questi prodotti di raggiungere standard qualitativi elevati. Nel caso dei prodotti trasformati, viceversa, gli aspetti che contribuiscono maggiormente a definire la qualit sono il processo produttivo e la scelta della materia prima. In tutti i focus group emerso comunque che il processo produttivo influisce direttamente sulle altre dimensioni, come ad esempio il gusto e la salubrit. I produttori dei quattro sistemi locali indagati hanno manifestato una certa coerenza nelle loro concezioni di qualit. Essi si sono dimostrati consapevoli che il riconoscimento della qualit un elemento essenziale per lampliamento del mercato delle produzioni tipiche. Nella loro visione il rispetto di una tradizione e di unesperienza produttiva maturata nel tempo (in determinati casi anche su periodi secolari) conferiscono al prodotto delle caratteristiche organolettiche uniche. Inoltre, in virt della loro conoscenza approfondita dei metodi di produzione, i produttori rivendicano una sorta di autorit nelleducazione del gusto di consumatori ormai lontani dal mondo della produzione. Una delle strategie di promozione, che possiede anche una funzione di educazione del gusto del consumatore, quella legata alla creazioni di momenti di incontro tra produttori e consumatori (fiere, mercati, eventi in azienda). Molti produttori hanno dichiarato di ricorrere volentieri a degustazioni guidate o sul luogo di produzione o nellambito di manifestazioni dedicate alla conoscenza dei prodotti di nicchia con lobiettivo aumentare la visibilit dei loro prodotti e allo stesso tempo di diminuire la distanza tra il mondo della produzione e quello del consumo. I produttori hanno dichiarato che le degustazioni sono il modo migliore per comunicare la qualit dei prodotti ai consumatori e di conseguenza influenzare le loro scelte di consumo. I produttori hanno anche insistito sulle caratteristiche di unicit legate ad una tradizione, ad una storia che genera un saper fare artigianale, conferendo ai loro prodotti anche un valore simbolico. Molti di loro, infatti, si ritengono in un certo senso depositari della conoscenza necessaria per tradurre il valore dellambiente dorigine (natura e storia/cultura) e della materia prima in un prodotto di qualit. Nel corso dei focus group sono emersi alcuni temi di potenziale conflitto tra produttori e operatori commerciali intorno alla negoziazione della qualit. I rappresentanti della distribuzione moderna, pi orientati verso i bisogni dei consumatori, hanno spesso sottolineato come per le loro aziende sia impor84

tante che il prodotto tipico rimanga un prodotto stagionale, di nicchia. Questa visione tuttavia rischia di limitare la valorizzazione della tipicit delle produzioni adattandola agli interessi delle imprese di distribuzione. La grande distribuzione, in virt del suo ruolo ormai predominante nella vendita dei prodotti alimentari verso consumo finale, sembra inoltre rivendicare a s una funzione di tutela del livello di soddisfazione del consumatore. Anche i produttori affermano che il retail un canale essenziale che svolge una duplice funzione: da una parte contribuisce ad aumentare la crescita del volume commercializzato, dallaltro stabilisce degli standard che contribuiscono definire la qualit dei prodotti tipici. Possiamo quindi affermare che, al tentativo dei produttori di conservare un ruolo di codificatori (Dixon, 1999) della qualit alimentare anche nei confronti di un consumatore sempre pi lontano geograficamente e culturalmente, si contrappone lesigenza degli intermediari della filiera di inserire il prodotto tipico in un quadro di valutazione della qualit che sia compatibile con modalit moderne di distribuzione e con i propri obiettivi aziendali. Nei paragrafi che seguono il quadro generale delineato fin qui verr approfondito, anche attraverso opportune citazioni tratte dalla trascrizione dei focus group, in relazione ad alcuni dei nodi tematici pi ricorrenti. 4.2. Il gusto Lanalisi qualitativa delle trascrizioni ha evidenziato che la tematica del gusto, inteso come capacit del prodotto di soddisfare le aspettative nellatto di consumo, assume un ruolo molto importante non solo come parametro della valutazione della qualit da parte del consumatore ma anche come risultato del processo produttivo. Tuttavia i passaggi codificati con questo nodo tematico hanno un significato ambivalente: da un lato il gusto viene identificato come la caratteristica fondamentale ai fini della valutazione della qualit delle produzioni alimentari tipiche; dallaltro risulta essere influenzato dal possesso di una serie di informazioni di cui il consumatore medio risulta sprovvisto. I produttori hanno dichiarato che al fine di poter assaporare in pieno i loro prodotti necessario avere delle conoscenze di base sia sulla corretta modalit di conservazione e utilizzazione del prodotto, sia sul territorio di provenienza, sia sulle caratteristiche intrinseche del prodotto stesso. In altre parole, il giudizio finale del consumatore, deve avvenire allinterno di un contesto cognitivo nel quale lorigine, la tradizione e le modalit di consumo del prodotto sono conservate e trasmesse di generazione in generazione.
Perch ti rendi conto che la gente effettivamente non sa come conservare i prodotti tipici. E mi dice: devo tenerli in frigorifero? invece no, vanno conservati a

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temperatura ambiente. Effettivamente sono cose basilari, che la gente che vive nelle grandi citt non sa pi perch si interrotto questo contatto tra il produttore del prodotto tipico ed il consumatore finale. (Pecorino, produttore) la gente mi dice Ma il periodo delle ciliegie ora?, Ma ora ci son le ciliegie?, magari siamo l, alla fine di luglio. Questo qui un messaggio che evidentemente manca, sia da parte nostra, da parte delle pubblicit, da parte anche del piccolo e grande rivenditore perch la ciliegia che si trova alla fine di luglio sui banchi magari non della zona e a volte purtroppo si visto anche il cartello magari che era della zona. Questo era solamente per confermare che dal punto di vista educativo si pu ottenere tanto perch si pu aiutare a riconoscere la ciliegia nel momento in cui disponibile; inutile andare a cercare nei periodi sbagliati. (Ciliegia, produttore)

Caratteristiche del territorio di origine e peculiarit di un processo produttivo tradizionale, conferiscono, nella visione dei produttori, un gusto superiore, una unicit, spesso fatto anche di variet, non standardizzazione, alle loro produzioni tipiche.
il gusto, che un gusto particolare, croccante e frizzantino (Ciligia, produttore) Sicuramente ci sono tanti altri ottimi lardi, per il Colonnata si riconosce (Lardo, produttore)

Nel caso dei prodotti trasformati lunicit del gusto legata al processo produttivo che conferisce al prodotto tipico una qualit superiore. Il sapore dei prodotti offerti rappresenta una sua caratteristica distintiva non solo perch superiore ma anche perch unico nelle sue caratteristiche. Un altro fattore che deriva dalle caratteristiche artigianali del processo produttivo e che contribuisce a definire lidentit del prodotto la variabilit del gusto, la sua non standardizzazione. I produttori hanno dichiarato che il gusto finale del prodotto dipende sia dalla ricetta utilizzata che dalle condizioni climatiche. Quindi sia il lardo che il pecorino hanno gusti diversi a seconda delle stagioni dellanno nelle quali vengono prodotti. Questa caratteristica viene percepita da tutti i partecipanti come un valore aggiunto, una risorsa che determina la tipicit del loro prodotto.
Il lardo di Colonnata deve sciogliersi in bocca, quindi quando uno assaggia il lardo di Colonnata, lunico conservante che ha, perch il discorso che il lardo non ha conservanti, il sale un conservante, non ha conservanti chimici, ecco, quindi, voglio dire, deve esser fatto con erbe aromatiche, non coi liofilizzati (Lardo, produttore) Il gusto diverso, perch se io apro cinquanta forme, sono cinquanta forme di gusto diverso () il prodotto che mantenuto nellambiente dove nato continua a conservare quelle che sono poi le sue caratteristiche anche di fermento iniziale, di gusto (Pecorino, produttore)

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Il gusto sembra quindi essere il criterio principale, in base al quale deve essere valutata la qualit di un prodotto tipico. Tuttavia interessante notare che i produttori sono convinti che quando un consumatore incontra il loro prodotto questultimo non pu deludere le aspettative. Un produttore di Lari ha dichiarato che la bont delle sue ciliege rappresenta sostanzialmente un fattore oggettivo.
le nostre ciliegie si riconoscano da tutte le parti, il sapore della nostra ciliegia, la freschezza, va lasciata stare (Ciliegia, produttore) Laltro giorno venuta una signora, dice Io lho assaggiato, ma fa schifo.. Dico No, questo non me lo deve dire signora, dico perch lei offende. Dico Lei avr assaggiato il lardo di Colonnata da qualche altra parte; ora assaggi il mio e poi, se fa schifo, non fa altro che sputarlo. Glielho detto proprio cos Guardi, l c il cestino, lo sputa, per lo assaggi. Sono riuscita a farglielo mangiare e dice No, signora, mi scusi, ha ragione. (Lardo, produttore)

I rappresentanti della grande distribuzione gli altri operatori commerciali hanno dimostrato di condividere solo in parte le concezioni di qualit espresse dai produttori. Se da un lato concordano sul fatto che il prodotto tipico per essere gradito dal consumatore deve possedere caratteristiche organolettiche riconoscibili; dallaltro i rappresentanti della grande distribuzione sembrano non essere sempre convinti, che il consumatore, una volta riconosciuto il prodotto tipico lo scelga automaticamente. I buyer della grande distribuzione hanno sollevato il tema della le valutazione post-acquisto basate sullesperienza di consumo manifestando la necessit di porre una maggior attenzione verso la soddisfazione del cliente e delle sue aspettative nei confronti dei prodotti tipici.
Perch oggi, di fatto, come si compra il vestito di moda, si mangia di moda, se una persona veramente crede di comprare un prodotto e crede di voler comprare un prodotto di qualit o trova la garanzia, per non garanzia perch c la firma [il marchio di origine], ma perch veramente buono (Lardo di Colonnata, grande distribuzione)

Anche i dettaglianti, attribuiscono un ruolo molto importante al gusto nella valutazione della qualit dei prodotti tipici. Essi, infatti, con una posizione sostanzialmente coerente con quella dei produttori, hanno dimostrato di essere molto attenti a come deve essere comunicata la qualit attraverso linformazione sulle modalit di utilizzo e di conservazione dei prodotti.
Bisogna riabituare il compratore, il consumatore, bisogna riabituarlo ai sapori pi sani, a dargli la roba quando il suo periodo (Pecorino, dettagliante)

Limportanza attribuita al gusto dagli operatori della filiera sembra coerente con i risultati di molti studi sulle concezioni di qualit dei consumatori
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nel caso dei prodotti alimentari, nei quali stato evidenziato come il gusto sia lelemento pi importante che influenza il processo decisionale dellindividuo. Dallanalisi delle concezioni di qualit degli operatori della filiera dei prodotti tipici, tuttavia, emerge che il gusto per loro solo una delle componenti della qualit. Unaltra importante dimensione che sembra emergere quella legata alle caratteristiche del territorio di produzione, allorigine geografica e storica dei prodotti. 4.3. Sistema locale di produzione e territorio di origine La qualit dei prodotti alimentari tipici sembra consistere per i produttori in un sostanziale equilibrio tra attributi del prodotto, natura dellambiente in cui esso nasce e caratteristiche del processo produttivo. Il territorio dorigine stato spesso associato alle tradizioni del luogo e quindi alla storia. In questo contesto i prodotti tipici sono percepiti come il retaggio di uno stile di produzione che sta scomparendo e che quindi deve essere tutelato. Sono il territorio di origine e le sue caratteristiche, insieme allesperienza acquisita negli anni dai produttori, a determinare il successo dei loro prodotti.
Allora, io credo che il punto vincente la valorizzazione del territorio () tutto ci che esce dal territorio deve avere, diciamo, questa identit di ciliegia di Lari. () un prodotto che va riscoperto. (Ciliegia, produttore) [Lo Spinacio della Val di Cornia], secondo me, si differenzia in particolar modo dalla lavorazione che noi facciamo, ormai dovuta a tanti anni di esperienza e quindi presentiamo un prodotto e sa chi compra un prodotto della Val di Cornia e di questa zona ha un prodotto con certe caratteristiche (Spinacio, produttore).

Il legame tra qualit del prodotto e caratteristiche del luogo di produzione molto evidente negli interventi dei produttori la cui filiera comprende anche la fase agricola: la ciliegia, lo spinacio ed il pecorino a latte crudo che, pur essendo un prodotto trasformato, si basa su una tecnologia di produzione che richiede uno stretto legame tra lallevamento e la fase di trasformazione del latte. Cos nel caso della ciliegia la conformazione collinare del territorio di Lari, costringendo ad una coltivazione meno intensiva, conferisce al prodotto caratteristiche di genuinit; nel caso del pecorino le caratteristiche dellambiente concorrono, insieme allabilit del casaro, a creare un prodotto di valore:
La stessa variet coltivata nel nostro territorio, coltivata in altri bacini produttivi ha un altro aspetto (Spinacio, produttore) Poi, s, subentra quella che la soggettivit dellambiente, la qualit dellalimentazione delle pecore, i pascoli, le capacit del casaro di lavorare, sono tutti valori aggiunti in pi (Pecorino, produttore)

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Il rispetto del metodo produttivo tradizionale viene percepito come una garanzia per la tipicit del prodotto, che deriva essenzialmente dallorigine storica e dalle peculiarit del territorio di produzione. Dagli interventi dei partecipanti di tutti i focus group emerge il legame tra la tradizione e la stagionalit del prodotto. Forse proprio per limportanza attribuita al sapere locale i produttori di Colonnata sottolineano ripetutamente la natura artigianale del processo produttivo utilizzato; una caratteristica che viene equiparata ad una garanzia di assenza di prodotti chimici (genuinit), di cura particolare di scelta accurata della materia prima, di stagionatura prolungata:
Anche noi cerchiamo di fare poco lardo, non tanto e mantenendo sempre le qualit che abbiamo detto: una lavorazione artigianale, una stagionatura minimo da sei, sette mesi e usando le materie prime, prendendo materie prime dei suini padano pesante, del lardo bello nazionale che non stato in frigorifero. Ecco, questi qui sono requisiti (Lardo, produttore)

In conclusione possiamo affermare che per i produttori le caratteristiche del luogo di origine inteso come territorio nel quale convivono caratteristiche naturali e tradizioni culturali la causa/caratteristica principale che garantisce la qualit dei prodotti tipici. Il ruolo del produttore quello di tradurre le caratteristiche del territorio di origine in caratteristiche di qualit del prodotto. Molti dei temi sviluppati dai produttori, intorno al legame tra qualit dei prodotti tipici e caratteristiche del sistema produttivo di origine sono riprese anche dagli operatori della grande distribuzione, la cui visione sembra, in questo senso, coincidere. Tuttavia bisogna tenere presenti alcune differenziazioni significative. Innanzitutto i buyer della grande distribuzione pongono spesso laccento sullimportanza dellartigianalit e del processo produttivo. I prodotti tipici non devono quindi essere semplicemente lemanazione di un territorio ma devono anche rimanere un prodotto di nicchia.
Quando poi si parla di una mortadella Bologna IGP vero che un prodotto comunque di denominazione geografica protetta, per non secondo me un prodotto tra elencare o tra annoverare tra quelli che, come ho detto prima, fanno la storia e la tipicit di un luogo perch s raggiunto livelli industriali che poi, insomma, scavalcano un po la tipicit del prodotto (Lardo, grande distribuzione)

Inoltre mentre i produttori vedono il territorio sostanzialmente come causa della qualit del prodotto, gli operatori della grande distribuzione tendono a vederlo piuttosto come un attributo del prodotto che, insieme ad altri (ad es. il gusto) contribuisce a definirne la qualit percepita dai consumatori.
probabilmente la condizione psicologica del momento che ti fa sembrare, lambiente, latmosfera, lodore, tutto quello che c, per cui, per cui chiaro che la vendita del prodotto tipico rappresenta anche questo, la vendita anche di un ambiente, di un territorio (Lardo, grande distribuzione)

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Mentre nellottica dei grossisti lorigine sembra assumere pi il significato di un quality cue, di una regola convenzionale utile per identificare sul mercato le produzioni di qualit, negli interventi dei dettaglianti la qualit dei prodotti fortemente collegata alla natura dellambiente di produzione e del processo produttivo, che deve presentare precise garanzie.
Secondo me molto legato al territorio perch lerba, secondo me, non erba da tutte le parti uguali, erba, ma secondo me cambia laltitudine e cambia, logico viene un latte sicuramente diverso, quindi prima di tutto il luogo e la seriet, il modo in cui si lavora il prodotto (Pecorino, dettagliante)

4.4. La salubrit Il tema della salubrit delle produzioni si sviluppa trasversalmente al discorso sulla qualit. Possiamo affermare che nelle concezioni di qualit dei produttori molto forte la relazione tra rispetto della tradizione e salubrit del prodotto. Questa relazione garantita dallartigianalit del processo produttivo. Un prodotto sano soprattutto sinonimo di un prodotto genuino:
Sanit, cio garanzia di un prodotto sano, esente da, pi possibile da residui di antiparassitari, queste cose qui insomma (Spinacio, produttore) La qualit si riferisce pi alla salubrit, cio il fatto che il prodotto sia privo di conservanti, che non faccia male, che insomma, mangiato in una quantit misurata, salubre perch inutile che magari il prodotto buono e poi pieno di conservanti, di additivi, di sapori(Lardo, produttore)

La salubrit/genuinit deriva in ultima analisi dalla tradizionalit del metodo produttivo, nonostante lattenzione che i produttori hanno comunque dimostrato verso il controllo della loro filiera.
importante mantenere comunque lartigianalit, la tradizione e la qualit del prodotto, a portata duomo, cio il lardo si potr fare con tutte le attrezzature perch dieci anni fa non cerano macchine sotto vuoti, sicuramente non cerano laboratori attrezzati come ci sono adesso, sicuramente non si utilizzavano disinfettanti contro la listeria o la salmonella, cio, adesso si utilizza la tecnologia, per non, cio con locchio comunque sulla tradizione, cio, la tecnologia deve entrare sul ciclo produttivo non per fare quantit industriali a discapito della qualit. (Lardo, produttore) Il pecorino ha quella sanit che legata proprio alla tradizionalit dei processi di produzione, dei processi locali di produzione, di quello che maturato in anni, in centinaia danni di tradizionalit e di metodiche di produrre, di fare un certo prodotto. (Pecorino, produttore)

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Le concezioni degli operatori della grande distribuzione riflettono ovviamente limportanza capitale attribuita agli aspetti della salubrit delle produzioni commercializzate. La fiducia che i consumatori hanno nel punto vendita deve essere assicurata attraverso la garanzia di stretti controlli igenico-sanitari. Latteggiamento della grande distribuzione verso le modalit con cui deve essere perseguita la sicurezza si basa quindi sulladozione di un approccio oggettivo che mira a diminuire eventuali rischi.
Controlli, controlli intesi su tutta la filiera produttiva (Ciliegia, grande distribuzione) salubrit anche qualche cosa di pi chimico, cio nel senso che sono anche delle analisi che bisogna fare sui prodotti, channo detto che un prodotto tradizionale va anche guardato con locchio moderno, cio, nel senso, perch carica batterica e listeria e quantaltro deve essere comunque tenuta sotto controllo (Lardo, grande distribuzione)

La posizione dei grossisti riguardo al controllo della filiera dal punto di vista della salubrit sostanzialmente coerente con quella espressa dagli operatori della grande distribuzione. I controlli sono quindi necessari per ottenere la fiducia del consumatore finale e, in ultima analisi, per invogliare allacquisto.
Controllo perch il concetto di qualit non pu essere disgiunto da un concetto anche di certificazione, controllo, a seconda dei casi, perch deve mettere in condizioni poi il soggetto finale della catena, che il consumatore, di essere certo e garantito che il prodotto che va a consumare quel prodotto perch ha quelle caratteristiche certificate o comunque riconosciute come tali (Ciliegia, grossista)

Il tema della certificazione del prodotto si interseca con quello della certificazione della sua origine, rivelando prospettive spesso diverse tra produttori e operatori commerciali. Per i primi infatti la salubrit delle produzioni deriva in ultima analisi anchessa dalla natura del sistema di produzione. Una volta garantita la difesa (o valorizzazione) della produzione locale, anche attraverso la certificazione della sua origine, la salubrit garantita dalla natura stessa del processo produttivo, che pu essere codificato in disciplinari in grado di favorire il controllo della filiera:
il nostro latte controllato: noi facciamo dei regolari prelievi di latte e il latte sano (Pecorino, produttore) privo di sostanze nocive, questo secondo me deve esse alla prima, al primo impatto, insomma, deve esse presentato, esse garantito il consumatore sotto questi aspetti, per quanto riguarda lo spinacio (Spinacio, produttore)

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5. Conclusioni
In questo lavoro la metodologia dei focus group, una tecnica di intervista collettiva basata sulla realizzazione di gruppi di discussione intorno a particolari temi, stata adottata per la sua capacit di riprodurre, almeno in una certa misura, le dinamiche sociali connesse alla tematica affrontata. Obiettivo principale del lavoro, infatti, era la realizzazione di una prima ricognizione sulle concezioni in base alle quali gli attori operanti nelle filiere degli alimenti tipici definiscono, comunicano, negoziano la qualit di tali produzioni. Proprio la molteplicit di figure coinvolte ha suggerito la rilevanza non solo delle singole concezioni, ma anche del processo con cui esse si formano, sia nella condivisione di opinioni comuni che nella contrapposizione di posizioni diverse, nel corso delle attivit di produzione e commercializzazione che portano i prodotti tipici dai sistemi locali alla tavola dei consumatori finali. Lanalisi approfondita delle discussioni ha permesso, in una certa misura, di osservare dal vivo il lavoro continuamente svolto dalla filiera per definire la qualit delle sue produzioni. Un processo che, soprattutto nel caso dei prodotti tipici di successo, capaci di soddisfare con un sapere locale i bisogni sempre pi globali di consumatori lontani dal punto di vista non solo geografico ma anche (e forse soprattutto) culturale, si struttura nel tempo in reti di relazioni sempre pi complesse. Mentre allanalisi di queste ultime stato dedicato uno specifico working package del progetto di ricerca (cfr. il successivo capitolo 5), nella fase preliminare di mappatura delle concezioni di qualit lungo la filiera lattenzione stata rivolta piuttosto alla struttura interna del quadro concettuale con cui viene definita la qualit ed allindividuazione di possibili punti di conflitto. Infatti, nella misura in cui al crescere del mercato, la valutazione della qualit cessa di essere basata su un sapere contestuale che, in ogni sistema produttivo locale, condiviso da domanda e offerta, logico aspettarsi che proprio sulla qualit possano manifestarsi incoerenze nelle concezioni dei diversi operatori. La qualit delle produzioni alimentari tipiche, nelle discussioni degli attori di quattro sistemi produttivi locali toscani studiati, stata definita intorno ad alcune tematiche principali: tra le altre le pi rilevanti sono risultate essere quelle del gusto, delle caratteristiche (in senso ampio) del territorio di origine, della salubrit. Questi aspetti della qualit sono importanti per tutte le tipologie di attore di tutte le filiere considerate. Tuttavia il significato assegnato a ciascuno di essi e limportanza relativa attribuita sono differenziati sia tra le diverse tipologie di attore che tra le diverse tipologie di prodotto. In questa differenziazione, che nel paragrafo precedente si cercato di mettere in evidenza tramite la content analysis della trascrizione delle discussioni, emerge levoluzione del processo di definizione della qualit alimentare che inevitabilmente connesso con la crescita del mercato.
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Rimandando allanalisi svolta in questo capitolo e al rapporto di ricerca completo per i dettagli sulle concezioni di qualit emerse, ci sembra utile richiamare come conclusione di questo capitolo quello che sembra essere il pi rilevante tra i punti di potenziale conflitto intorno alla definizione della qualit. Esso non riguarda tanto un particolare aspetto/attributo dei prodotti quanto piuttosto la relazione che si instaura con il consumatore finale in relazione alla qualit. La crescita del mercato tende ad allontanare il consumatore finale dal mondo della produzione. I produttori sembrano percepire molto chiaramente i rischi connessi con questa inevitabile evoluzione quando manifestano la loro attenzione verso le forme di comunicazione diretta con i consumatori introno alla qualit. Linteresse per sagre, fiere, degustazioni guidate in azienda, pi che sottolineare limportanza della filiera brevissima come politica commerciale, segnala linteresse per la trasmissione diretta, senza mediazioni, di quelle che sono ritenute le informazioni indispensabili per una corretta valutazione della qualit e del valore simbolico delle produzioni tipiche. La crescente consapevolezza del patrimonio di conoscenze tradizionali che si sviluppa con la valorizzazione di un prodotto tipico porta naturalmente i produttori a rivendicare unautorit di codificatori della qualit alimentare (Dixon, 1999). Questa autorit dovrebbe essere riconosciuta affinch lintera filiera, anche raggiungendo i consumatori molto lontani, rimanga strettamente connessa con il sistema produttivo di origine. Dallaltra parte le figure di intermediazione commerciale e, in particolare, gli operatori della grande distribuzione, con la crescita del mercato di una produzione tipica ricoprono un ruolo sempre pi importante nel rapporto con il consumatore finale. In virt di tale rapporto il modo del retail moderno tende a proporsi come tutore della soddisfazione del consumatore (di qui lattenzione allaspetto della salubrit ed al connesso tema del controllo del processo produttivo). Non solo: in qualche modo rivendica unesclusiva capacit di inserire correttamente i prodotti tipici nei moderni modelli di consumo alimentare, assegnando loro spesso un ruolo di prodotti di nicchia. Una posizione che contende ai produttori il ruolo di codificatori della qualit. Da questo punto di vista le diverse forme di tutela della denominazione geografica delle produzioni tipiche sembrano emergere come potenziali strumenti per la composizione dei conflitti. Se la valorizzazione delle produzioni alimentari tipiche spesso associata a percorsi di istituzionalizzazione (le cui problematiche verranno affrontante nel capitolo 6) dalla discussione appena proposta sembra emergere una delle motivazioni fondamentali di questo fenomeno. La creazione di una denominazione geografica, infatti, restituisce alla produzione un ruolo esplicito di autorit nella definizione delle dimensioni fondamentali della qualit dei prodotti; offre alla filiera a valle maggiori garanzie di controllo; consegna agli operatori commerciali che entrano in contatto con il consumatore finale un prodotto pi forte in termini di visibilit e
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valore. Il problema quello di riuscire a trovare, al momento della codifica della qualit nei disciplinari di produzione, un giusto equilibrio tra tutela dellidentit del prodotto, esigenze di controllo della filiera e sostenibilit economica delle forme di certificazione (temi che verranno approfonditi nel capitolo 7). Quando queste diverse esigenze riescono ad essere contemperate allinterno di un sistema di denominazione geografica allora la riscoperta della qualit (il gusto, la tradizione, il territorio) pu diventare il punto di partenza per il rilancio delle produzioni alimentari tipiche.

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5. LANALISI DELLORGANIZZAZIONE DEI SISTEMI SOCIO-ECONOMICI DEI PRODOTTI TIPICI ATTRAVERSO LAPPROCCIO DI NETWORK*
di Gianluca Brunori, Raffaella Cerruti, Adanella Rossi, Massimo Rovai

1. Introduzione
Dopo una breve riflessione sulle dinamiche che caratterizzano i sistemi socio-economici volti alla valorizzazione di produzioni agroalimentari tipiche, il presente capitolo illustra lapproccio di network come un adeguato strumento interpretativo per spiegare la complessit delle relazioni che sottostanno alla nascita, al funzionamento e allevoluzione organizzativa di tali realt. Alla luce degli spunti teorici offerti e delle caratteristiche dellapproccio analitico considerato, viene successivamente presentato un caso di studio inerente il percorso di valorizzazione di un prodotto tradizionale messo in atto in unarea montana toscana, esemplificativo di come il modello interprativo possa far emergere le dinamiche organizzative che intervengono e gli effetti dello stesso processo di valorizzazione. Seguono alcune considerazioni conclusive, nelle quali si prende in esame anche la possibilit di applicare lapproccio analitico illustrato alla valutazione del successo dei processi organizzativi e alla rilevazione di eventuali punti di criticit.

Le considerazioni contenute nel capitolo sono il risultato delle attivit di ricerca e delle riflessioni condotte nellambito dei WP4 della ricerca ARSIA Prodotti tipici, percezioni di qualit lungo la filiera e possibilit di sviluppo del mercato (2003-2006), cui hanno contribuito Gianluca Brunori, Adanella Rossi, Massimo Rovai e Raffaella Cerruti del Dipartimento di Agronomia e gestione dellagroecosistema dellUniversit di Pisa, e Giovanni Belletti, Tunia Burgassi, Andrea Marescotti e Silvia Scaramuzzi del Dipartimento di Scienze economiche dellUniversit di Firenze.

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2. La rilocalizzazione dei circuiti di produzione e consumo di beni alimentari


Come noto, il processo di globalizzazione del sistema agroalimentare ha stimolato grandi imprese delle fasi a monte e a valle della produzione agricola a creare filiere lunghe, spesso a carattere transnazionale, in grado di connettere produzione e consumo su scala anche molto ampia. A tale scopo, per potere garantire flessibilit di approvvigionamento ed un aumento della variet merceologica disponibile, queste imprese hanno perseguito strategie commerciali la cui attuazione implica la de-territorializzazione delle produzioni agricole, ovvero la riduzione del legame dei processi produttivi/dei prodotti con i contesti territoriali. Accanto a questi processi, e anche in relazione alle contraddizioni che ne sono generate, si assiste al moltiplicarsi di iniziative volte a ricondurre il prodotto al suo luogo di origine e a ridare visibilit ai produttori. In gran parte dei casi, queste iniziative assumono configurazioni organizzative corte, radicate nel territorio e quindi legate alle sue risorse naturali, culturali e sociali, e fondate su concezioni diverse del produrre e del consumare (Renting et al., 2003; Brunori, 2003). Tali iniziative sono spesso il risultato della convergenza tra obiettivi e interessi appartenenti a soggetti sociali diversi. Dal lato dei consumatori, i processi di rilocalizzazione rispondono ai cambiamenti intervenuti nella percezione (della produzione e del consumo) del cibo e ai relativi nuovi bisogni che essi hanno sviluppato: la crescente domanda di alimenti sicuri e naturali, il cui processo produttivo possa in qualche modo essere conosciuto e controllato; limportanza assunta dai contenuti culturali del cibo, determinati dallappartenenza a tradizioni locali di produzione e consumo1; la volont di esprimere anche attraverso le scelte alimentari il senso di appartenenza ad un dato contesto socio-culturale (Cova, 1997). Dal lato dei produttori e delle comunit rurali la rilocalizzazione vista come unopportunit attraverso cui far fronte alla compressione dei redditi derivanti dal crescente potere dei grandi attori economici nelle filiere lunghe, che consenta loro di difendersi dagli effetti negativi dei processi di globalizzazione del sistema agroalimentare attraverso un migliore posizionamento strategico sui mercati e nelle reti socio-istituzionali (Lucas 2003; Goodman, 2003; Hines, 2001; Gilg e Battershill, 1998). I nuovi e vari percorsi intrapresi dagli agricoltori, nella direzione della diversificazione delle attivit e della realizzazione di un maggior valor aggiunto, sono una risposta attiva al cam1. Il successo di organizzazioni come Slow Food e delle relative iniziative emblematico in tal senso (Petrini, 2001; Miele e Murdoch, 2002).

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biamento del contesto economico e politico della loro attivit e al conseguente crearsi di condizioni di forte insostenibilit della stessa (Ploeg et al., 2000). Dal lato delle politiche pubbliche la rilocalizzazione dei circuiti di produzione e consumo risponde a pi obiettivi: rappresenta una via per raggiungere condizioni di sostenibilit (in pi sensi) delle produzioni agroalimentari, costituisce un importante strumento nei processi di sviluppo rurale allinterno di strategie di marketing territoriale (Marescotti, 2001; Pivot, 1998; Pecqueur, 2001), pu essere posta alla base di una strategia per aumentare la competitivit dellindustria alimentare dei Paesi del Mediterraneo sui mercati internazionali (Brunori, 2003). Sotto il profilo teorico, questi percorsi sono spiegati come espressione della transizione verso la qualit dei processi economici di produzione e consumo (Murdoch et al., 2000; Marsden et al., 2000; Goodman, 2003) e dellaffermazione di un nuovo paradigma di sviluppo rurale, basato sui principi della sostenibilit e della multifunzionalit e rivolto a valorizzare le risorse endogene (Ploeg et al., 2000; Marsden et al., 1999). Altri autori inquadrano questi processi nel contesto di transizione delle economie rurali da un regime produttivista ad un regime post-produttivista (Ilbery e Bowler, 1998). Le forme organizzative alla base della rilocalizzazione, al di l della diversit di definizioni nuove / alternative / brevi / sostenibili (Murdoch et al., 2000; Renting et al., 2003) -, sono accomunate dalla volont di costruire delle alternative rispetto ai circuiti convenzionali di produzione-consumo, aggregando e coinvolgendo soggetti diversi intorno a valori, principi, significati e obiettivi quali quelli ambientali, culturali ed etici altri rispetto ai valori ed obiettivi puramente economici. (Marsden et al., 2000; Hinrichs, 2000; Sotte, 1997; Brunori, 2003; Henke, 2004). Caratteristica comune di tali circuiti la volont/capacit di assegnare al cibo un significato che va molto oltre quello di semplice bene di consumo. In particolare, al cibo viene assegnato un forte valore relazionale (Goodman e DuPuis, 2002), legato ad esempio allappartenenza, alla solidariet e alla convivialit, e tutti i processi che ruotano attorno ad esso, a partire dalla definizione dei criteri della sua qualit (Marsden, 1998), tornano ad essere fortemente integrati e ricontestualizzati in reti sociali. La rilocalizzazione implica un processo di innovazione organizzativa, il cui tratto saliente lidentificazione di una diversa concezione delle risorse su cui far leva per la competitivit. Partendo dalla constatazione che competere sugli stessi terreni delle filiere convenzionali innovazione tecnologica, volumi di produzione, costi di produzione sarebbe illusorio, queste iniziative hanno spostato il centro dellattenzione su quelle che vengono definite risorse endogene (Ploeg e Long, 1994; Ploeg e Dijk, 1995; Ray, 1999; Bryden,
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1998; Iacoponi et al., 1995), e che rappresentano per il territorio un capitale che assume diverse forme e funzioni: il capitale umano (conoscenze e competenze individuali), il capitale sociale (le relazioni e convenzioni sociali nelle quali le attivit economiche sono inserite) (Putnam, 1993), il capitale naturale (fonte di fattori produttivi come anche di beni fondamentali per la qualit della vita delle comunit) (Costanza e Daly, 1997), il capitale culturale (conoscenze, abilit, valori e tecniche accumulatesi nel tempo nel territorio) (Ray, 1999; Throsby, 1999). Per poter meglio sfruttare le occasioni offerte dalla globalizzazione, le risorse endogene vengono mobilizzate e valorizzate attraverso il contatto con soggetti esterni, talvolta lontani. La consapevolezza dellimportanza di tale aspetto alla base dello sviluppo dei pi recenti approcci neo-endogeni (Ray, 2003), i quali appunto riconoscono lo specifico ruolo rivestito dai processi di interazione sul territorio (nella direzione della costruzione e del consolidamento dellidentit locale) ma anche limportanza dellinterazione con lesterno. Il processo di generazione, mobilizzazione e valorizzazione delle risorse endogene implica unintensa attivit volta allo stabilire relazioni ed alleanze con soggetti tra loro diversi, quali, oltre ai soggetti direttamente coinvolti nei processi di produzione-distribuzione e ai consumatori, le istituzioni pubbliche e le varie organizzazioni della societ civile (Murdoch, 2000; Guthnam, 2002; Dixon, 1997; Goodman, 2002; Renting et al., 2003; Brunori et al., 2003; Brunori et al., 2004). Per capire le dinamiche e gli effetti di questa attivit gli schemi concettuali che concentrano lattenzione sui flussi di prodotto, come ad esempio la filiera, non sono sufficienti: necessario infatti ricostruire i percorsi che portano alla costruzione di significati, e pertanto guardare, oltre che ai flussi fisici e monetari, soprattutto ai flussi di comunicazione. Questi processi sono in misura crescente studiati attraverso la teoria del network (rete) che, per la sua capacit di focalizzare sulle relazioni e di cogliere la complessit dei processi, rifuggendo da un approccio deterministico, si affermata oramai come uno dei grandi modelli di riferimento per le scienze sociali (Castells, 1998). Lanalisi di network (o di rete) pu in particolare contribuire a spiegare in che modo attraverso linterazione sociale si generi e si riproduca il capitale endogeno di un territorio (nelle sue diverse componenti), come questo capitale territoriale venga incorporato nei prodotti (dando vita a quello che la scuola francese ha definito terroir (Barjolle, 1998; Barham, 2003)), ed in che modo tale capitale venga mobilizzato per creare valore in un contesto caratterizzato da meccanismi di mercato e da altre forze di origine esterna. In questa seconda fase, linterazione tra le reti interne e le reti esterne crea il capitale simbolico, che il presupposto fondamentale per la creazione di capitale economico.
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3. Lapproccio di network nellanalisi dei sistemi socio-economici


La metafora del network rappresenta dunque uno schema concettuale particolarmente efficace per la rappresentazione e lanalisi delle interazioni tra lindividuo e il contesto economico-sociale di appartenenza. Lapproccio di network ha avuto le sue prime applicazioni nellambito delle discipline sociali (Barnes, 1954) per lelaborazione di nuovi metodi di analisi capaci di affrontare lo studio di realt sociali fluide e instabili (Piselli, 1995; Scott, 1997). In tale ambito il network stato definito come un insieme specifico di legami tra un gruppo definito di persone, le cui caratteristiche consentono di interpretare il comportamento sociale delle persone coinvolte. A partire dagli anni 80, di pari passo con laffermarsi di un approccio territoriale e sistemico allanalisi dei processi di sviluppo economico, lapplicazione della teoria del network viene estesa alla comprensione delle dinamiche dei sistemi socioeconomici2. In questo campo, la metafora del network si incentra sulla molteplicit di relazioni in cui gli agenti economici sono inseriti nei relativi contesti spaziali, interpretando attraverso di esse le dinamiche organizzative in cui questi sono coinvolti. A tale metafora possono essere ricondotti altri approcci analitici, anchessi incentrati sulla presenza e sullo sviluppo di reti di relazioni, a carattere prevalentemente verticale, come nel gi citato caso delle filiere produttive, o prevalentemente orizzontale, come nel caso dei sistemi locali o dei distretti produttivi (Murdoch, 2000). In questi ultimi3, in particolare, lanalisi pone notevole enfasi sullispessimento di relazioni che si viene a creare tra gli agenti socio-economici ed istituzionali appartenenti a specifiche realt produttive locali, il quale appare determinante nel condizionare loperato dei singoli agenti e, di conseguenza, i processi evolutivi dei relativi sistemi produttivi4. Lapproccio di network trova unulteriore evoluzione con la teoria dellactor network, che permette di rappresentare e analizzare il coinvolgimento in qualit di attori non solamente di essere umani ma anche di elementi non umani (Law, 1992; Callon, 1996; Murdoch, 1994).

2. La letteratura sulla teoria del network oramai molto ampia cos come le sue applicazioni estese a diversi ambiti di analisi. Per una rassegna bibliografica si veda Castells (1998). 3. Per la definizione di distretto industriale e di distretto agricolo o agroindustriale si pu fare riferimento a Cecchi (1992). 4. Nellanalisi dei distretti il concetto di network sottolinea lesistenza di sistemi organizzativi intermedi tra mercato e organizzazione, nei quali le transazioni non avvengono n attraverso lo scambio di mercato n attraverso imposizioni amministrative, ma attraverso reti di relazioni tra individui e enti pubblici coinvolti in azioni preferenziali e cooperative di reciproco sostegno (Iacoponi, 2001).

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3.1. Network ed actor-network Secondo la rappresentazione del network, gli attori, spinti dalla necessit di realizzare i propri obiettivi, interagiscono con lambiente con cui instaurano specifiche relazioni attraverso le quali scambiano risorse di natura materiale e/o immateriale (beni, servizi, informazioni, valori, capitali finanziari, regole, ecc.). Ogni risorsa circola attraverso unappropriata struttura relazionale, costituita da specifiche infrastrutture fisiche e da regole di comunicazione e di scambio. Le merci fisiche viaggiano sulle strade, le informazioni viaggiano in forma verbale o in forma scritta, via cavo o via etere ecc.. Ogni risorsa ha dunque canali di circolazione specifici, ed ogni agente che ne attinge un nodo di queste strutture relazionali. Tali strutture, i network, sono costituite per definizione da tre o pi attori, ognuno dei quali interagisce con almeno un altro attore. Nel network gli attori sono interdipendenti, in quanto ciascuno di essi legato ad altri, i quali a loro volta hanno altri legami, e la struttura di relazioni in cui sono inseriti, da essi stessi creata, si configura come una fonte di opportunit e di vincoli allazione individuale (Wasserman et al., 1994). Ogni attore pu fare parte contemporaneamente di pi network e le risorse che si procura attraverso un network vengono utilizzate per agire su altri network (come ad esempio nel caso delle risorse immateriali trasformate in marchio di produzione). Ogni attore pu essere dunque visto come un commutatore, in grado di trasformare risorse in altre risorse. In tempi pi recenti, come si detto, si fatto strada il concetto di actornetwork (Law, 1992; Callon, 1996; Murdoch, 1994), che vede la partecipazione nel network anche di elementi non umani, definiti intermediari, i quali contribuiscono a loro volta alla costruzione delle reti di relazioni e, combinati insieme, stabiliscono i legami di nuove strutture organizzative o macro-attori (Callon, 1991; Foster and Kirwan, 2004). Gli intermediari si possono interpretare come il risultato di processi di consolidamento di significati condivisi, e una volta prodotti essi possono condizionare levoluzione dei network a cui appartengono. Tra questi assumono particolare significato elementi immateriali come i codici, le norme, le regole tecniche, le leggi, ed elementi materiali come gli edifici, le macchine, le infrastrutture. Queste ultime, ad esempio, influenzano la possibilit di incontro ed interazione; le tecnologie condizionano le modalit di organizzazione del lavoro; la disponibilit di specifici linguaggi d alle persone la possibilit di comunicare le proprie percezioni e visioni, dando vita a specifiche rappresentazioni sociali. Lapproccio dellactor network consente di tenere conto anche della dimensione politica delle relazioni, ovvero di considerare le dinamiche delle situazioni conflittuali e delle asimmetrie di potere lungo le reti relazionali (Lowe et al., 1995). Sulla base di tali implicazioni possibile evidenziare il
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ruolo che lorganizzazione interna ad un sistema locale dovrebbe assumere per garantire unequa distribuzione dei benefici e delle risorse, nonch mettere in luce i principali fattori in grado di condizionare i meccanismi di sviluppo locale (Murdoch, 2000). Pur non avendo lambizione di prevedere i comportamenti e le motivazioni che spingono gli attori ad agire, il modello risulta quindi essere un efficace strumento fruibile dai decisori politici per creare le condizioni pi favorevoli ai processi di interazione tra gli attori. 3.2. La formazione di un actor network Il network rappresenta dunque il frutto di una continua strutturazione: linterazione tra gli attori innesca un campo di forze che determina una continua riarticolazione delle risorse e dei rapporti di potere allinterno della rete. Particolare enfasi viene quindi posta sui processi attraverso cui le reti relazionali si costruiscono, si sviluppano, e si stabilizzano, e sugli effetti in termini, ad esempio, di potere, dimensione, scopo od organizzazione che tali configurazioni e riconfigurazioni generano (Law, 1992; Murdoch, 1994). La teoria dellactor network consente di cogliere la genesi e levoluzione dei processi organizzativi attraverso il concetto di translazione, con il quale si fa riferimento al processo di progressiva trasformazione degli obiettivi individuali in obiettivi condivisi. Secondo Callon (1986), il ciclo della translazione visto come un percorso in cui possibile distinguere una successione di fasi (Fig. 1):
Figura 1 La rappresentazione del ciclo della translazione
problematizzazione

mobilizzazione

interessamento

assunzione dei ruoli

problematizzazione: rappresenta il momento in cui un primo attore o gruppo di pi attori (definibile come promotore), dopo unanalisi dellambiente esterno, identifica e definisce una situazione problematica o un evento critico e propone una soluzione; fondamentale in questa fase una progressiva condivisione, allinterno del gruppo di attori promotori, di conoscenza, valori e identit, al fine di sviluppare una comune rappresentazione della realt esterna;
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interessamento: questa fase prevede la sensibilizzazione e il coinvolgimento di altri soggetti attorno alla rappresentazione offerta dal promotore e quindi alla definizione di obiettivi e strategie comuni per raggiungere la soluzione proposta dal promotore stesso; assunzione dei ruoli o arruolamento: al termine di questo stadio, la soluzione viene individuata e condivisa dalla nuova rete di relazioni che si creata; questa fase prevede dunque la fissazione di una serie di regole, routine, significati condivisi che, consentendo lallineamento del comportamento degli attori, contribuiscono alla stabilit del network; mobilizzazione: in questa fase il nuovo network diventa stabile nello spazio e nel tempo ed inizia la sua interazione con lesterno, dando quindi origine alla formazione di relazioni con altri attori; esso si configura come una nuova struttura organizzativa che operando come attore unico (macroattore), nasconde la complessit degli attori al suo interno (Callon 1986, 1991; Law 1986). Nel processo di sviluppo del network, le regole alla base dellinterazione tra attori e intermediari diventano delle scatole nere (black box), ovvero regole non pi oggetto di negoziazione da parte degli attori bens condivise e capitalizzate (Selman e Wragg, 1999). anche vero, che un network, per quanto stabilizzatosi, rimane comunque sensibile a spinte competitive provenienti dallambiente esterno, cos come a nuove idee, risorse e comportamenti opportunistici da parte dei suoi componenti. Ad esempio, in campo agrario, le preoccupazioni ambientali, il cambiamento di sensibilit dei consumatori, gli scandali alimentari sono alla base di processi di riconfigurazione dei network sulla spinta della necessit per gli attori di riconsiderare i propri interessi ed obiettivi (Parker e Wragg, 1999). Generalmente, ad un maggiore grado di complessit del processo di translazione corrisponde una maggiore stabilit della struttura relazionale. Murdoch (1997) definisce un network stabile (che tende ad essere il pi possibile formalizzato) come spazio di prescrizione, mentre un network instabile come spazio di negoziazione.

4. Lapproccio dellactor network ai processi di valorizzazione delle produzioni tipiche


Nel pi ampio contesto di applicazione del concetto di rete nellambito delle discipline economiche agrarie e rurali5, lapproccio dellactor network appare un valido strumento nellanalisi dei processi socio-economici legati al5. Per approfondire il ruolo delle reti negli studi rurali si veda Murdoch (2000) e Brunori (2003).

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lattivazione e allo sviluppo di iniziative di valorizzazione di produzioni agroalimentari tipiche (Rossi e Rovai, 1999; Brunori et al., 2005), in grado di mettere in evidenza i processi di interazione tra i soggetti coinvolti, sul territorio e al di fuori di esso. Come stato gi sottolineato, nella metafora della rete, i singoli attori le imprese, in forma singola e associata, ma anche tutti gli altri portatori di interessi legittimi come le Amministrazioni locali e sovralocali, le associazioni espressione della comunit locale nonch, pi in generale e anche al di fuori del territorio, della societ civile, le organizzazioni espressione del mondo scientifico appaiono come altrettanti nodi, e per i quali le relazioni della rete rappresentano altrettante opportunit di scambio di risorse materiali ed immateriali. allinterno di tali reti di relazioni che avviene il processo organizzativo alla base della costruzione e valorizzazione della specifica qualit: la maturazione del senso di identit e di una comune rappresentazione delle specificit locali, la condivisione di una stessa concezione di qualit, cos come, successivamente, la cooperazione per lindividuazione e lattuazione di regole tecniche per la produzione e di strumenti di tutela e di valorizzazione commerciale dei prodotti. Ladozione del ciclo della translazione (Callon, 1986) risulta particolarmente efficace per rappresentare levoluzione dei percorsi di valorizzazione nel tempo. Esso bene interpreta le dinamiche che intervengono come processi di apprendimento e di costruzione di significati comuni, attraverso una successione (iterativa) di fasi che pu essere descritta nei termini seguenti: la presa di coscienza da parte degli attori locali (generalmente alcuni promotori) del valore di specifici attributi qualitativi dei prodotti e delle potenzialit insite in unazione comune di valorizzazione; la ricerca di nuove adesioni alla concezione di qualit in via di definizione e quindi agli obiettivi dellazione comune, attraverso un progressivo coinvolgimento di altri attori, non solamente appartenenti al mondo della produzione; in genere questa fase termina quando vengono definiti obiettivi condivisi di azione (come la necessit di scrivere/adottare un disciplinare o di formalizzare la cooperazione con la costituzione di un consorzio); il consolidamento del network attorno alla concezione di qualit condivisa e il conseguente adattamento dei comportamenti dei singoli attori agli obiettivi comuni, con lassunzione di ruoli specifici allinterno del network; la comunicazione allesterno della specifica qualit, nellattuazione dellazione comune, da parte del network che opera come un unico soggetto, si rappresenta simbolicamente attraverso specifici segni (nomi, marchi, immagini), elabora valori, narrative ed eventualmente si collega ad altri soggetti formando altri network.
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A ciascuna delle fasi di tale processo di costruzione e valorizzazione della specifica qualit corrisponde una particolare configurazione del network e quindi anche un cambiamento di prospettiva per loperato dei singoli attori. Il ciclo di ogni iniziativa si inserisce in un quadro pi complesso, la cui analisi pu essere schematizzata come in Fig. 2. Di seguito si riporta un caso di studio analizzato applicando lapproccio dellactor network e il ciclo della translazione.
Figura 2 Dinamica evolutiva di uniniziativa di valorizzazione
contesto

Pressioni esterne

Stato del settore

problema

Iniziativa

significati standards, tecnologie, Cambiamenti organizzativi, marchi etc.,

Pressioni interne

impatto

5. Lanalisi del processo di valorizzazione del Pecorino a latte crudo delle Montagne Pistoiesi6
5.1. Introduzione Il caso di studio analizza liniziativa di valorizzazione di un prodotto tipico, il Pecorino a latte crudo delle Montagne Pistoiesi, messa in atto nel contesto territoriale di produzione a partire dal 2000. Promossa da due soggetti operanti sul territorio, aventi forti connessioni con il contesto esterno, liniziativa ha portato ad un progressivo allineamento degli attori coinvolti nel processo di produzione intorno allidea che il pecorino a latte crudo sia unimportante risorsa locale. Tale consapevolezza maturata attraverso la costruzione di una rete complessa di relazioni (network) che ha portato al consolidamento delle connessioni tra le unit produttive e tra queste e le istituzioni locali e i consumatori finali. Questo processo ha con6. Il caso di studio stato sviluppato allinterno del WP 4 Le reti di relazioni nella comunicazione della qualit: casi di studio relativi a produzioni agroalimentari tipiche della Toscana nellambito della ricerca ARSIA citata in apertura del lavoro.

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sentito di modificare le convenzioni dominanti sulla qualit del prodotto (prima sottoposto al pregiudizio che fosse un alimento poco sano dal punto di vista igienico) attraverso la codifica delle pratiche produttive e ladozione di nuove strategie di comunicazione. Si giunti cos, alla definizione e condivisione da parte di tutti gli attori coinvolti di una concezione di qualit del prodotto conforme agli standard igienico-sanitari, ma anche comprensiva degli attributi organolettici e simbolici percepiti e apprezzati dai consumatori; tale insieme di attributi e la loro comunicazione allesterno sono alla base del mantenimento e dello sviluppo del sistema produttivo locale. 5.2. Il contesto territoriale e il sistema produttivo Il territorio delle Montagne Pistoiesi, esteso su una superficie di 475 km2, situato allestremit Nord della Toscana e ricade nel territorio amministrativo della provincia di Pistoia. Si tratta di un territorio che ha incontrato nel tempo notevoli difficolt di sviluppo per la sua posizione marginale. La sua economia sempre stata infatti piuttosto fragile e ci ha portato nei decenni del secondo dopoguerra ad intensi fenomeni di spopolamento e al conseguente impoverimento del tessuto sociale. Lagricoltura peraltro unattivit ancora importante nellarea; in modo particolare lallevamento, tradizionalmente presente sul territorio e condotto da aziende familiari di piccole dimensioni, continua a rappresentare un fattore positivo per lo sviluppo locale. In tempi pi recenti, inoltre, lintera area ha mostrato un notevole potenziale di sviluppo turistico, favorito dalla ricchezza di risorse ambientali, culturali e gastronomiche. Gli allevamenti ovini della provincia, circa un centinaio, sono da sempre caratterizzati da: greggi numericamente modeste (100-200 capi), scarsa disponibilit di terreno, impiego di manodopera esclusivamente familiare, trasformazione e vendita diretta dei prodotti (pecorino, ricotta e raveggiolo) a privati e ad esercizi commerciali. Lallevamento condotto in forma estensiva, con pascolamento primaverile ed estivo in montagna, il quale oltre a ridurre i costi per lalimentazione influisce positivamente sulla qualit del latte e, quindi, del formaggio. La tecnica di caseificazione del formaggio pecorino prodotto nellarea conserva i principi della tecnologia tradizionale: da sempre prevede limpiego di latte crudo, cio trasformato senza subire alcun trattamento termico superiore ai 40 C; la coagulazione del latte avviene per riscaldamento in paioli di rame stagnati internamente e con cagliatura di tipo presamico, cio con aggiunta di caglio naturale. La produzione, pari a circa 3 q.li allanno, comprende tre diversi tipi di formaggio: il pecorino fresco (7-20 giorni di stagionatura), labbucciato (almeno 35 giorni di stagionatura) e il pecorino da asserbo (da 2-3 mesi ad un anno di stagionatura). Ogni forma ha caratteristiche organolettiche diverse dalle altre in conse107

guenza dellimpiego del latte crudo che permette di mantenere la naturale composizione di fermenti e micro-organismi, responsabili di specifici processi fermentativi. Rispetto agli altri sistemi di allevamento ovino presenti in Toscana, linternalizzazione del processo di trasformazione del latte e della commercializzazione del formaggio rappresenta il principale tratto distintivo di questo sistema produttivo. Ci ha, in molti casi, consentito di riposizionare il prodotto su livelli qualitativi elevati, in circuiti commerciali rivolti a consumatori in grado di percepirne ed apprezzarne il particolare valore. Negli ultimi anni, tuttavia, questi allevatori hanno dovuto confrontarsi, oltre che con le normative che regolano lattivit zootecnica, con quelle, ancora pi complesse, che regolano la trasformazione dei prodotti zootecnici e la loro commercializzazione. Dallaltra parte, progressivamente cresciuta tra i consumatori lattenzione verso la qualit dei prodotti alimentari e i suoi legami con i processi produttivi artigianali, come il successo del movimento Slow Food ben testimonia. Questi elementi sono alla base dellavvio di uniniziativa che vede in una prima fase la necessit di una legittimazione del processo produttivo tradizionale di fronte a una normativa igienica vincolante e, successivamente, di una valorizzazione commerciale del prodotto. 5.3. La storia delliniziativa di valorizzazione del prodotto Liniziativa di valorizzazione del Pecorino a latte crudo delle Montagne Pistoiesi stata attivata principalmente da due soggetti chiave: il direttore dellAPA (Associazione Provinciale Allevatori) e il rappresentante locale di Slow Food. Tali soggetti hanno svolto un ruolo fondamentale nellattivazione del processo poich hanno facilitato il collegamento tra i produttori, hanno mediato il rapporto con le autorit sanitarie locali, costituito il legame con altre organizzazioni (Slow Food Italia, Universit, istituzioni locali), facilitato i processi di apprendimento, relativamente alle tecniche di allevamento e ai processi di trasformazione, alle tecniche di commercializzazione e comunicazione, alle sinergie possibili tra questo prodotto e altri prodotti locali. Essi hanno dunque svolto un ruolo di facilitatori, sia nel processo di presa di coscienza delle potenzialit della specifica risorsa e quindi di creazione del suo valore, sia nellinterazione con le reti esterne in grado di apprezzare tale valore. Problematizzazione Prima dellattivazione delliniziativa di valorizzazione si possono individuare due differenti network (Fig. 3).

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Figura 3 Fase iniziale


Consumatori esterni

Dettaglianti locali

Produttori

Consumatori locali ASL

APA

Slow food locale

Slow food Italia

Ristoranti

Il primo network ha come nodo centrale lAPA di Pistoia, e in particolare il suo direttore, che pu vantare un rapporto consolidato con gli allevatori, inseriti a loro volta in piccoli circuiti commerciali (rapporti con clienti abituali che comprano regolarmente il formaggio in azienda e con alcuni negozi locali); in tale network la locale ASL agisce sui produttori attraverso i propri funzionari addetti al controllo. Nel secondo network il nodo centrale rappresentato dallunit locale di Slow Food (la Condotta), la quale agisce sul territorio ma fa parte della pi ampia rete di Slow Food, ed quindi connessa con circuiti di commercializzazione e promozione pi ampi. Linizio del ciclo della valorizzazione pu essere fatto risalire al momento in cui il sistema produttivo locale si trovato di fronte ad un concreto rischio di sopravvivenza per effetto dei vincoli imposti dalle norme igienicosanitarie. La genesi del problema risale alla fine degli anni 90, in seguito allentrata in vigore di nuove e pi stringenti normative nazionali ed europee che hanno imposto profondi cambiamenti strutturali e maggiori controlli sulle condizioni igieniche delle aziende. In particolare, il decreto ministeriale n.54/1997 imponeva severe condizioni per la produzione di formaggio a latte crudo, rendendo necessario ladeguamento delle strutture produttive e il rispetto di una soglia massima di batteri nel latte (inferiore a 500.000 germi/ml) per la produzione di formaggio a latte crudo. A fronte dellinadeguatezza dei caratteri strutturali delle aziende, le autorit sanitarie erano portate a non autorizzare, o ad ostacolare fortemente, luso del latte crudo nella produzione del formaggio. Interessamento Alla fine della prima fase dunque, liniziativa si genera come risposta alla pressione derivante dalla nuova normativa, e cio alla necessit per il sistema
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produttivo di trovare un accordo con le autorit sanitarie locali in cui da una parte i produttori si impegnino ad un adeguamento delle strutture e delle pratiche di allevamento, e dallaltra lautorit sanitaria locale accetti luso del latte crudo (di fatto non proibito dalla normativa). A tale scopo il direttore dellAPA avvia intensi contatti con le autorit sanitarie locali, lUniversit di Firenze e la Regione Toscana per individuare soluzioni tecniche e uninterpretazione delle norme tali da autorizzare luso del latte crudo. Nel contempo, nellambito del progetto dellArca, finalizzato allistituzione dei Presidi, il fiduciario locale di Slow Food individua nel Pecorino a latte crudo delle Montagne Pistoiesi un significativo prodotto tradizionale (e relativo sistema produttivo) in difficolt.
Figura 4 Il network nella fase di interessamento
Camera di Commercio Comune di Cutigliano Altre istituzioni locali Consumatori esterni Dettaglianti Produttori

APA
Slow food Slow food Italia Ristoranti

Consumatori locali

ASL

UNIFI

Regione Toscana

Nel 2000 il direttore dellAPA incontra il fiduciario di Slow Food durante la sua attivit sulle Montagne Pistoiesi e da tale momento inizia tra i due la condivisione dello stesso obiettivo: integrare ladeguamento alle nuove normative igienico-sanitarie in un pi complesso progetto di valorizzazione del prodotto. Con tale obiettivo di fondo i due aderiscono a finalit comuni di azione, quali: supportare gli allevatori nel processo di adeguamento ai nuovi standard igienico-sanitari conservando le tecniche di produzione e di stagionatura tradizionali; sviluppare la valorizzazione commerciale del prodotto; associare la valorizzazione del prodotto con lo sviluppo locale. evidente in questa fase il nuovo network (Fig. 4) che si viene a creare dallintegrazione tra la rete locale e la rete di Slow Food, alla cui base sta la condivisione del significato attribuito alla specifica qualit del prodotto e de110

gli obiettivi della sua valorizzazione; sono anche evidenti i rapporti che lAPA comincia a rafforzare con le istituzioni locali. Assunzione dei ruoli Gli attori principali del nuovo network cos costituitosi attivano le proprie reti di relazioni per promuovere gli obiettivi delliniziativa e in particolare risolvere i problemi di relazione con le autorit sanitarie, dare visibilit al prodotto, finanziare le prime iniziative. Nel 2001, un anno dopo linizio della collaborazione, i tecnici dellAPA predispongono un disciplinare che regolamenta la produzione del pecorino a latte crudo. Lesistenza di un disciplinare, a sua volta, agevola listituzione del Presidio Slow Food (il primo Presidio italiano), nel luglio dello stesso anno. Alloperazione prendono parte anche le Istituzioni locali la Provincia di Pistoia, la Camera di Commercio locale e la Comunit Montana -, le quali sostengono interamente i costi per la partecipazione degli allevatori al Presidio. La necessit di sensibilizzare i produttori intorno alle norme a cui attenersi per la produzione della specifica qualit implica un rafforzamento del ruolo dellAPA, la quale tra laltro sempre pi impegnata nelle attivit promozionali. Per affrontare tali aspetti lAPA convince gli allevatori a formare un Consorzio, chiamato Montagne e Valli di Pistoia, con lobiettivo specifico di promuovere il pecorino a latte crudo. Il direttore dellAPA diventa anche presidente del Consorzio. Anche la creazione del Consorzio un momento importante di coinvolgimento delle istituzioni locali, quali il Comune di Cutigliano, la Comunit Montana e la Provincia di Pistoia, le quali forniscono il supporto finanziario per la costituzione del Consorzio e per la realizzazione delle sue attivit.
Figura 5 Il network nella fase di assunzione dei ruoli
Camera di Commercio Comunit Comunit Montana Comune Cutigliano Altre istituzioni locali Consumatori esterni Dettaglianti

Provincia

Consorzio
Consumatori locali Slow food

Slow food Italia Ristoranti

APA
UNIFI ASL Regione Toscana

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Durante questa fase, dunque, il nuovo network porta alla formazione di una nuova struttura organizzativa (macro-attore) il Consorzio di Tutela depositaria del marchio collettivo e, come tale, in grado di comunicare e garantire la qualit del prodotto ai consumatori (Fig. 5). Il Consorzio fornisce cos una rappresentazione simbolica per il prodotto e per il suo sistema produttivo, contribuendo a rafforzarne il senso di identit e limmagine. Mobilizzazione La seconda fase di questo processo rappresentata dalla valorizzazione commerciale del prodotto. In questo stadio, il network delineatosi precedentemente opera come un unico soggetto, il cui nucleo rappresentato dal Consorzio, e fa convergere gli interessi degli attori coinvolti verso lobiettivo comune della promozione del prodotto sul mercato (Fig. 6). Il ruolo del Consorzio quello di facilitare i processi di apprendimento fra i produttori (esso rappresenta un canale per lintroduzione di innovazioni, lo scambio di informazioni e di conoscenze tecniche, nonch per linterazione dei produttori stessi con le istituzioni); inoltre, il Consorzio organizza le attivit di promozione e la partecipazione ai principali eventi regionali e nazionali organizzati da Slow Food. Slow Food, dal canto suo, offre agli attori locali i concetti necessari per rafforzare le rappresentazioni del prodotto e del suo sistema produttivo, da condividere internamente e da comunicare allesterno; esso inoltre fornisce il capitale simbolico per migliorare la visibilit e consentire la differenziazione del prodotto. Ci permette agli allevatori di ridisegnare le proprie reti commerciali, mantenendo attivo il contatto diretto con i clienti abituali, ma allo stesso tempo inserendosi in circuiti ben pi ampi e diversificati.
Figura 6 Il network nella fase di mobilizzazione
Camera di Commercio Comunit Montana Comune Cutigliano Altre isti tuzioni locali Provincia Dettaglianti Consumatori esterni

Consorzio
Consumatori locali Slow food

Slow food Italia Ri storanti

APA
UNIFI ASL Regione To scana

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Tutto ci porta ad un consolidamento delle relazioni interne al network, a vantaggio della sua stabilit, mentre il capitale simbolico creato in collaborazione con Slow Food attutisce le minacce competitive provenienti dallambiente esterno. Nuovi possibili cicli In questo stadio del processo di valorizzazione vengono a delinearsi in modo visibile nuove problematiche. Il successo del prodotto stimola diversi soggetti a ricercare possibilit di sviluppo delliniziativa sotto il profilo quantitativo. significativo, al riguardo, lavvio della procedura per il riconoscimento di una DOP, sotto forte sollecitazione da parte delle Istituzioni locali. Tale denominazione favorirebbe lallargamento del sistema produttivo a produttori che finora non hanno fatto parte del Consorzio (per mancata adesione al disciplinare o non condivisione degli obiettivi o per volere degli stessi membri), ma che rappresentano una quota importante della produzione di pecorino nellarea. In che modo la crescita quantitativa potrebbe influenzare la concezione prevalente della qualit e modificare lattuale assetto raggiunto dai network? evidente che lapertura del network imposta da una DOP potrebbe limitare lautonomia dei produttori e ridurre la capacit di mantenere il controllo sui quantitativi prodotti e sulla qualit dei prodotti, con possibili ripercussioni anche sui prezzi. Su un altro piano, emerge una situazione di potenziale conflitto tra gli operatori locali per il controllo delle iniziative di promozione, di fatto moltiplicatesi a seguito della maturata consapevolezza da parte di tutti gli attori coinvolti della notoriet acquisita dal pecorino. Ci sembra indicare lavvio di un nuovo e necessario processo di translazione, rivolto, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori locali, alla gestione e promozione delle risorse endogene in una pi ampia prospettiva di valorizzazione. 5.4. Alcuni elementi di riflessione Il caso esposto mostra come un prodotto tradizionale a rischio di estinzione per effetto della modernizzazione sia divenuto, attraverso una presa di coscienza della comunit locale, la risorsa chiave attorno alla quale si rafforzato e sviluppato un reticolo sociale. Allinterno di tale processo, attraverso linterazione tra soggetti diversi, lidentit locale, il significato e limmagine dello specifico prodotto e delle altre risorse dellarea si sono rafforzate e hanno cominciato ad essere comunicate e valorizzate allesterno. Da un punto di vista teorico-metodologico, analizzare la storia secondo lo schema concettuale dellactor network e lo schema del ciclo della translazione ha consentito di esaminare in profondit il processo di creazione dei legami relazionali, individuare quali sono stati i percorsi che hanno portato gli at113

tori a migliorare la propria capacit di negoziazione e acquisizione di potere allinterno delle reti ed evidenziare il processo con cui una nuova struttura organizzativa stata creata e formalizzata e ha cominciato a relazionarsi con reti esterne al contesto locale.

6. Conclusioni
In un contesto caratterizzato da forti spinte alla globalizzazione del sistema agroalimentare che determina una crescente riduzione del legame dei processi produttivi agricoli con i contesti di consumo ed ha impatti rilevanti sotto il profilo socio-economico ed ambientale, negli ultimi anni stanno emergendo nuove istanze provenienti sia dal mondo del consumo, sempre pi critico nei confronti delle suddette tendenze, che dalle realt produttive che maggiormente risentono degli effetti di tali processi, quali ad esempio i sistemi produttivi legati alla presenza di prodotti tipici. Dal punto di vista della ricerca, sorta la necessit di individuare strumenti interpretativi idonei a spiegare la complessit dei suddetti processi, focalizzando in particolare sulle relazioni che si instaurano allinterno dei sistemi produttivi, a livello territoriale, e tra questi e la realt esterna. Relazioni che, come stato ampiamente illustrato, vanno oltre il momento di puro scambio economico ma si configurano come ambiti di comunicazione tra gli attori coinvolti, allinterno dei quali avvengono quei processi di costruzione e consolidamento di significati condivisi che sono fondamentali per il successo delle iniziative di valorizzazione. A tale scopo, lapproccio analitico pi adatto appare quello dellactornetwork e del ciclo della translazione, attraverso il quale possibile approfondire ed interpretare le dinamiche organizzative tra i diversi attori. Con lanalisi di network possibile in particolare spiegare in che modo attraverso linterazione sociale si generi e si riproduca il capitale endogeno di un territorio (nelle sue diverse componenti di capitale umano, sociale, culturale e naturale), come questo capitale territoriale venga incorporato nei prodotti ed in che modo tale capitale, attraverso la creazione di capitale simbolico nellinterazione con le reti esterne, venga mobilizzato per creare valore. La validit di tale metodologia analitica stata esemplificata attraverso la sua applicazione ad uno dei casi di studio condotti nella ricerca a cui il lavoro fa riferimento. Lottica di analisi stata quella di leggere il processo organizzativo finalizzato alla valorizzazione del prodotto locale come un percorso di costruzione di un network e di sua evoluzione verso specifiche forme istituzionali. In particolare, tale percorso stato analizzato e descritto seguendo le quattro fondamentali fasi del ciclo della translazione. Linterpretazione delle dinamiche di uniniziativa di valorizzazione attraverso lapproccio del network, entrando dentro i meccanismi alla base dei
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processi organizzativi attivati dalla necessit/volont di realizzare una strategia collettiva, pu anche rappresentare un valido strumento per valutare i risultati conseguiti dalliniziativa stessa e per individuarne gli eventuali motivi di insuccesso. A conclusione di questo capitolo vogliamo tratteggiare alcuni elementi utili per strumenti di valutazione e autovalutazione delle iniziative di valorizzazione. Lo schema logico di una valutazione di questi processi stato illustrato nella figura 2, in cui la situazione di partenza d luogo ad un problema che viene affrontato attraverso iniziative collettive; queste si sviluppano attraverso cicli di translazione, allinterno dei quali avviene il processo di integrazione e allineamento tra i diversi interessi degli attori coinvolti, e producono degli output che generano un impatto sul contesto di riferimento. Coerentemente a questo schema, gli elementi da considerare nella valutazione sono qui sinteticamente riportati: gli attori presenti e quindi la loro rappresentativit rispetto al sistema/comunit: aspetto particolarmente importante nelle prime fasi del percorso, in cui il problema individuato dai promotori deve essere condiviso da tutti i soggetti coinvolti e stimolare la loro partecipazione alla definizione della strategia comune; il ruolo degli attori, con particolare riferimento al grado di autonomia/dipendenza che il rapporto con gli altri attori determina in relazione ai flussi di risorse; linfluenza di interessi particolari nella messa a punto della strategia da perseguire collettivamente e il rapporto con gli interessi collettivi; le risorse scambiate, in relazione al ruolo rivestito dagli attori coinvolti: ci considerando la diversit delle risorse scambiabili informazione, conoscenze, capitali e la loro importanza nei processi di istituzionalizzazione a carico delle forme organizzative e dei relativi strumenti operativi; i processi di istituzionalizzazione dei rapporti tra attori e con gli intermediari (sono esempi di tali processi la creazione di un consorzio, la definizione di un disciplinare di produzione, listituzione di un marchio collettivo, ecc.); levoluzione delle regole di interazione e di apertura ad altri attori che gli attori iniziali si danno. Per quello che riguarda i risultati dei processi di valorizzazione, questi vanno analizzati attraverso un esame dei prodotti, che includono tanto oggetti materiali quanto immateriali (marchi, forme organizzative, acquisizione di conoscenze, stabilizzazione di relazioni, ecc.), dei processi (da misurare attraverso miglioramenti nella capacit di mobilizzazione del capitale territoriale) e infine degli impatti (economici, sociali, ambientali), spesso valutabili solo nel medio-lungo periodo.
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Una valutazione cos impostata pu stimolare quella riflessione critica interna al sistema necessaria a individuare i possibili aggiustamenti da apportare al percorso di valorizzazione, e pu anche rappresentare una base per la selezione di progetti nellambito delle politiche di sostegno.

Riferimenti bibliografici
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6. I PERCORSI DI ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLE PRODUZIONI AGROALIMENTARI TIPICHE*


di Giovanni Belletti, Andrea Marescotti

1. Introduzione
Il tema della qualit ha assunto un ruolo centrale nel dibattito sulla competitivit del sistema agroalimentare, soprattutto dopo la riforma di Medio Termine delle politiche agricole comunitarie del 2003, che lascia oggi alle imprese agricole (quasi) la pi ampia libert di impostare le produzioni sulla base delle richieste di mercato, ma daltra parte riduce le protezioni su cui da anni il sistema agroalimentare aveva potuto contare. La sfera della qualit come chiave per rafforzare la competitivit delle imprese e del sistema rispetto ad una concorrenza sempre pi globale racchiude un ampio e variegato spettro di dimensioni, tra cui particolare importanza rivestono quelle pi strettamente legate alla qualit dei prodotti e dei processi. Allo stesso tempo i numerosi scandali alimentari e le recenti emergenze sanitarie (BSE, influenza aviaria), aggravate proprio dalla internazionalizzazione dei sistemi di produzione e degli scambi commerciali, inasprisce la crisi di fiducia dei consumatori, da un lato rafforzando la domanda di informazioni affidabili sulla provenienza dei prodotti e sulle caratteristiche dei processi produttivi adottati (sistemi di tracciabilit ed etichettatura, sistemi di certificazione di prodotto e di processo), e dallaltro orientando i consumatori verso il recupero di canali corti e/o alternativi1 (Gilg e Battershill, 1998; Ilbery e
*. Il presente capitolo stato concepito dagli Autori in maniera congiunta; sono comunque da attribuirsi ad Andrea Marescotti i paragrafi 1, 2.1, 2.2, 3.1 e 3.3, e a Giovanni Belletti i paragrafi 2.3, 2.4, 3.2 e 4. Le considerazioni contenute nel capitolo sono il risultato delle attivit di ricerca e delle riflessioni condotte nellambito dei WP.4 e WP5 della ricerca, cui hanno contribuito Gianluca Brunori, Adanella Rossi, Massimo Rovai e Raffaella Cerruti del Dipartimento di Agronomia e Gestione dellAgroecosistema dellUniversit di Pisa, e Alessandro Pacciani, Giovanni Belletti, Tunia Burgassi, Andrea Marescotti e Silvia Scaramuzzi del Dipartimento di Scienze Economiche dellUniversit di Firenze. 1. La definizione di alternativo ancora oggetto di discussione accademica. Si veda ad esempio Goodman (2004) e Ilbery e Maye (2005).

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Kneafsey, 1999; Parrott, Wilson e Murdoch, 2002; Goodman, 2003; Sage, 2003; Renting, Marsden e Banks, 2003) allinterno dei quali il prodotto scambiato pi uno strumento di condivisione di valori (sociali, culturali, etici, ambientali, etc.) che un oggetto di consumo alimentare. In questo ambito un ruolo particolare rivestito dai prodotti agroalimentari tipici, che infatti, per il peculiare legame esistente tra la qualit del prodotto e il territorio di origine, sembrano in grado di fornire una risposta sia alle richieste di qualit di prodotto e di processo, sia alla necessit di recuperare la fiducia nel sistema produttivo tramite una riattivazione dei legami su scala locale. In sintesi, le giustificazioni richiamate a supporto della necessit di proteggere e valorizzare i prodotti tipici, frutto di unevoluzione di pi di un secolo di storia delle indicazioni geografiche (Sylvander et al., 2005) si basano sui seguenti principi (Pacciani et al., 2006): 1) i prodotti tipici rappresentano uno strumento per sfuggire alla concorrenza sul lato dei costi di produzione, la cui pressione percepita in misura crescente come una reale minaccia alla competitivit dellagricoltura nazionale e del sistema agroalimentare (la giustificazione di mercato); 2) per il legame multi-dimensionale al territorio, i prodotti tipici esercitano effetti positivi sullo sviluppo rurale, contribuendo a mantenere tradizioni e culture, sistemi sociali ed economici vitali soprattutto nelle aree svantaggiate e marginali, con effetti di spillover sulleconomia locale (la giustificazione dello sviluppo rurale); 3) i consumatori mostrano un crescente interesse verso i prodotti tipici per molte ragioni, essendo normalmente percepiti come pi genuini e salubri rispetto ai prodotti con identit sconosciuta, di livello qualitativo superiore, e consentono ai consumatori di mostrare solidariet e partecipazione nei confronti delle culture e identit locali (la giustificazione del consumatore); 4) i prodotti tipici costituiscono unimportante bandiera/simbolo della cultura italiana in tutto il mondo, e dunque devono essere protetti dalle imitazioni e usurpazioni di denominazione per fornire ai consumatori uninformazione corretta e leale (la giustificazione della concorrenza leale). Queste giustificazioni sono contenute anche nei consideranda del reg. CEE 2081/92, il regolamento comunitario che ha istituito un sistema di protezione delle denominazioni dei prodotti agroalimentari tipici diversi dal vino introducendo la Denominazione di Origine Protetta (DOP) e lIndicazione Geografica Protetta (IGP). DOP e IGP sono sempre pi visti da un diversificato set di attori del sistema agroalimentare come strumenti per la tutela e la valorizzazione dei prodotti tipici. Il recente primato raggiunto dallItalia nel numero totale di prodotti agroalimentari che hanno ottenuto la protezione comunitaria testimonia
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come la promozione dei prodotti tipici sia al centro delle strategie di rilancio del sistema agroalimentare nazionale, andando ad interessare sia prodotti di nicchia, realizzati su piccola scala in aree territoriali molto circoscritte, che prodotti di rilevanza internazionale. In particolare, a livello politico-istituzionale, si riscontra una convergenza sul principio che i prodotti DOP e IGP, e i prodotti tipici pi in generale, esercitano comparativamente ai prodotti convenzionali effetti positivi sul settore agricolo e sullo sviluppo rurale, e vanno incontro alle richieste dei consumatori verso prodotti di alta qualit. sottinteso alle giustificazioni fornite il riferimento ad un idealtipo di prodotto tipico fortemente collegato alle risorse specifiche locali e per questo in grado di attivare un circolo virtuoso (Boisseaux, 2002): lottenimento della DOP/IGP avrebbe effetti positivi tali in termini economici, sociali, ambientali, etc. da ottenere una sufficiente remunerazione per riprodurre le risorse utilizzate nel processo produttivo, garantendone cos la sostenibilit (Belletti et al., 2004). In realt ancora poche ricerche sono state condotte sia sul contributo dei prodotti tipici, che sugli effetti dellottenimento delle DOP/IGP, e ancora meno sulle fasi ex-ante rispetto allottenimento della protezione comunitaria, ovvero sui percorsi che portano allistituzionalizzazione di una risorsa specifica locale quale la tipicit territoriale. Obiettivo di questo capitolo dunque quello di analizzare le motivazioni che portano le diverse categorie di operatori coinvolti ad avviare il percorso di riconoscimento della DOP/IGP, cercando di metterne in risalto i principali ostacoli e motivi di attrito, anche attraverso la lettura di alcuni casi di studio. Il lavoro organizzato come segue. Nel prossimo paragrafo sar fornito un quadro di riferimento concettuale sui percorsi di istituzionalizzazione. Successivamente lattenzione verr dedicata allanalisi dei casi di studio, dei quali verr presentato il percorso seguito per la costruzione del Disciplinare di Produzione, gli attori coinvolti e gli ostacoli incontrati per il raggiungimento della richiesta di riconoscimento ai sensi del reg. CEE 2081/92. Il paragrafo conclusivo raccoglie alcune considerazioni sulla base delle esperienze osservate.

2. Quadro di riferimento teorico


2.1. Il percorso di istituzionalizzazione, lallineamento dei piani individuali e la modifica delle condizioni di concorrenza Lottenimento della protezione comunitaria ai sensi del reg. CEE 2081/92, sia che si tratti di una DOP che di una IGP, procede da una richiesta, presentata da unassociazione rappresentativa della realt produttiva locale, nella quale, oltre ad essere fornite prove della tradizione storica del prodotto nel123

larea e del legame tra la qualit dello stesso e il territorio di origine (relazione storica e relazione tecnica), viene allegato il Disciplinare di Produzione (da qui in avanti DP), che contiene la specificazione delle caratteristiche delle materie prime, del processo produttivo e dei requisiti qualitativi del prodotto finale, nonch dellarea in cui possibile svolgere le varie fasi del processo produttivo (o soltanto alcune, come nel caso della IGP). Una volta ottenuta la protezione comunitaria, i produttori che vogliano etichettare i propri prodotti con la DOP/IGP devono rispettare le prescrizioni contenute allinterno del DP, che diventa dunque il documento pi importante per il funzionamento della DOP/IGP, assieme al Piano dei Controlli che da esso deriva e che viene redatto di concerto con lOrganismo di Controllo. La richiesta della protezione comunitaria, ovvero listituzionalizzazione della denominazione del prodotto, pu dunque essere analizzata come un processo collettivo che conduce ad una codificazione delle regole di produzione del prodotto tipico in vista di una validazione e legittimazione da parte di unAutorit (in questo caso lUnione Europea). In particolare la stesura del DP pu essere vista come una procedura di costituzione di uno standard volontario di qualit di prodotto (Henson e Reardon, 2005) nellambito di una cornice normativa di riferimento fornita dal reg.CEE 2081/92, ovvero, adottando lapproccio della teoria delle convenzioni (Boltanski e Thvenot, 1991; Thvenot, 1995; Favereau, 1995) alla qualit (Gomez, 1994; Eymard-Duvernay, 1989; Barham, 2003), come la costituzione e formalizzazione di una convenzione di qualit ad opera di un numero di attori che devono trovare un compromesso a partire dalle rispettive concezioni di qualit, eventualmente raggiungendo un effettivo allineamento dei rispettivi piani individuali (de Sainte Marie e Casabianca, 1995). Normalmente la necessit di pervenire ad una definizione comune di qualit, sia essa creata ex novo o frutto di una negoziazione tra concezioni esistenti ma eterogenee, viene sollecitata da situazioni di crisi (di fiducia dellopinione pubblica o dei consumatori, di mercato, etc.) che spinge gli attori alla ricerca di un accordo, che necessita a sua volta di essere convalidato da agenti esterni (riconosciuto dal mercato e/o legittimato da unAutorit). Se questo processo ha esito positivo, allora si viene a creare una (nuova) convenzione di qualit, ovvero un meccanismo cognitivo collettivo (Favereau, 1999) capace di agevolare il coordinamento tra gli operatori (Sylvander, Belletti, Marescotti e Thvenod-Mottet, 2003). I tre principali aspetti che devono trovare mediazione allinterno del DP definizione del processo produttivo, delle caratteristiche del prodotto finale, dellarea di produzione (Brard et al., 2000; Lassaut e Le Meur-Baudry, 1998) rappresentano leve molto potenti in funzione della qualificazione del prodotto, e possono essere utilizzate da imprese o gruppi di imprese per modificare le condizioni strutturali di concorrenza tra territori di produzione e tra le diverse fasi della filiera, al fine di massimizzare i vantaggi ottenibili dalla
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reputazione della denominazione del prodotto, o anche a beneficiare del halo country effect (Almonte et al., 1996) connesso al nome geografico (es. per le denominazioni Toscana, o Montalcino, o Chianti). In sede di analisi empirica non sempre agevole distinguere, nelle argomentazioni degli attori che prendono parte attiva nei processi di istituzionalizzazione, le motivazioni di tipo offensivo, legate cio alla volont di rafforzare la qualit e limmagine del prodotto tipico con finalit di migliorare la penetrazione sui mercati e supportare le azioni di marketing, da quelle di tipo difensivo o di ricerca di rendite, che sono invece motivate dalla necessit di un determinato nucleo di attori di proteggere da soggetti esterni le risorse che nel tempo sono state dedicate alla costruzione della reputazione del prodotto stesso. La specificit del caso dei prodotti tipici risiede nel fatto che la reputazione acquisita dalla denominazione geografica del prodotto pu essere considerata una risorsa collettiva immateriale a libero accesso e dunque soggetta a problemi di sovrasfruttamento e opportunismo da parte delle imprese, e conseguente possibile estinzione (Belletti, 2001). Il processo di istituzionalizzazione mediante riconoscimento della DOP-IGP trasforma il nome geografico (e la reputazione che esso incorpora) in un bene di tipo club (Thiedig e Sylvander, 2000), caratterizzato per dal fatto di essere locale e selettivo (di poter cio essere fruito solo dalle imprese che operano in un determinato territorio e che si adeguano a determinate regole di produzione). Inoltre nei prodotti tipici la costituzione della convenzione di qualit, cio il raggiungimento di una definizione comune e condivisa sulla qualit del prodotto tipico oggetto di domanda di protezione e che si traduce nei contenuti del DP, non viene creata dal nulla, ma attivata da un gruppo di attori che elaborano e negoziano varianti della concezione di qualit del prodotto tipico stesso gi presenti e attive sul territorio, e che derivano da una conoscenza condivisa sedimentata nel tempo e reinterpretata dagli attori locali in relazione allevoluzione della societ e delleconomia globale e locale e alla luce degli obiettivi che essi si pongono. 2.2. Leterogeneit degli attori I percorsi di istituzionalizzazione legati alla richiesta della DOP/IGP possono essere pi o meno complessi a seconda del grado di eterogeneit delle caratteristiche degli attori coinvolti. Attorno al prodotto tipico infatti si condensa una pluralit di interessi che travalica lambito delle attivit delle imprese per abbracciare, a seconda dei casi e in misura pi o meno intensa, altre categorie di attori interessati direttamente o indirettamente alla protezione e alla valorizzazione del prodotto tipico, anche in virt dei diversificati valori che il prodotto tipico stesso in gra125

do di generare, e che vanno oltre la sfera prettamente economica per abbracciare la dimensione sociale, culturale, ambientale, cos come gi ricordato nellintroduzione (Allaire e Belletti, 2002; Belletti et al., 2003; Belletti, 2003). Certamente la categoria pi importante costituita dalle imprese che realizzano o possono realizzare il prodotto tipico stesso nellarea tradizionale di produzione. Le difficolt incontrate nel raggiungere una mediazione, ed ancor pi una visione condivisa, circa la qualit del prodotto saranno normalmente tanto maggiori quanto pi numerose sono le fasi della filiera locale di produzione del prodotto tipico, e quanto maggiore leterogeneit delle caratteristiche delle imprese in ciascuna fase della filiera, dal punto di vista della localizzazione produttiva, dei bacini di approvvigionamento, delle tecniche produttive, dei mercati serviti, delle dimensioni economiche, del grado di specializzazione delle attivit e del livello di professionalit. Leterogeneit delle caratteristiche degli attori si riflette in costi di produzione diversi e in differenze anche sensibili degli attributi di qualit del prodotto ottenuto, che portano alla elaborazione di concezioni di qualit differenti e talvolta alla possibile coesistenza di diverse varianti del prodotto. Molto spesso, trattandosi di processi produttivi a carattere artigianale nel cui ambito lintervento delluomo riveste un ruolo fondamentale e impedisce una spinta industrializzazione dei processi, i sistemi produttivi dei prodotti tipici sono composti per lo pi da piccole e medie imprese, spesso non specializzate sulla produzione del prodotto tipico. A rafforzare la peculiarit dei sistemi produttivi legati ai prodotti tipici concorre spesso la presenza di un insieme eterogeneo di produttori non-impresa, la cui attivit condotta in maniera hobbistica, in modo part-time, saltuario, per passione, per integrazione di reddito. La diversit di caratteristiche e di obiettivi pu generare tensione allinterno del sistema, anche nella fase di istituzionalizzazione della qualit tramite la richiesta della DOP/IGP, dove i passionari sono solitamente pi legati al rispetto della storia e della tradizione per la salvaguardia dellidentit e dellorigine culturale del prodotto, mentre le imprese pi professionali sono maggiormente propense ad adattare le caratteristiche del processo produttivo e del prodotto alle esigenze di mercato. A fianco del sistema delle imprese partecipano solitamente alla costruzione del DP altre categorie di attori, tra cui un ruolo particolare rivestito dalle istituzioni pubbliche locali e dalle istituzioni intermedie (associazioni di produttori e consorzi, Camere di Commercio, associazioni di consumatori), portatori di concezioni di qualit e di interessi talvolta divergenti, essendo interessate anche ad altre componenti del valore del prodotto tipico stesso (Belletti, 2003). Il ruolo delle istituzioni pubbliche locali particolarmente importante nei percorsi di istituzionalizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche: per esse infatti la promozione di una DOP/IGP un modo relativamente poco costoso di acquistare visibilit e massimizzare il consenso politico a livello locale. Questo modus operandi ha molte conseguenze sul processo di istituzio126

nalizzazione: la ricerca del consenso politico pu condurre infatti le istituzioni pubbliche locali a cercare di includere il maggior numero possibile di produttori / aree territoriali, minacciando il livello qualitativo del prodotto oggetto di protezione, e soprattutto la coesione tra produttori locali (Carbone, 2003). 2.3. Le strategie perseguibili dagli attori attraverso il processo di istituzionalizzazione La valorizzazione dei prodotti tipici costituisce un grande potenziale di sviluppo per le imprese e per le aree rurali, allorch riesca a utilizzare, remunerare e riprodurre le molte risorse specifiche locali su cui poggia la tipicit (Brunori e Rossi, 2000; Marsden et al., 2000; Belletti et al., 2005). Tuttavia il modo con cui queste risorse sono mobilizzate e valorizzate varia a seconda del tipo di attori coinvolti e delle strategie che intendono perseguire. La diversit delle caratteristiche degli attori interessati direttamente e indirettamente allavvio del percorso di istituzionalizzazione si riflette sulla complessit del raggiungimento di un accordo, e pi in generale sulle strategie collettive che con lottenimento della DOP/IGP si vogliono perseguire, e che sono legate alle aspettative di costi-benefici derivanti ai singoli attori dalluso della denominazione geografica. La valutazione se procedere o no alla richiesta di protezione dunque una decisione complessa, che dipende da una pluralit di fattori, non ultimo la reale necessit di disporre di un segno distintivo / di protezione a fronte delle caratteristiche dei mercati potenziali e reali. A livello collettivo alcuni studi hanno fornito una chiave di lettura degli orientamenti strategici presenti in sede di elaborazione di azioni di valorizzazione dei prodotti tipici, identificando due principali strategie: la strategia di filiera e la strategia territoriale (Belletti, Marescotti e Scaramuzzi, 2002; Pacciani et al., 2003). Nella strategia di filiera lattenzione principale degli attori, in gran parte imprese e loro rappresentanze, orientata al rafforzamento della competitivit del sistema produttivo sui mercati, e lobiettivo principale quello di garantire la remunerazione delle risorse impiegate nel processo produttivo, in particolare quelle locali specifiche. La strategia territoriale invece il riflesso della presenza di una maggiore diversificazione delle tipologie di attori presenti e interessati al percorso di istituzionalizzazione, che si estende anche ad attori non di filiera (pubblica amministrazione, istituzioni intermedie rappresentative di interessi diffusi) che vedono nel prodotto tipico un potenziale di sviluppo in virt delle esternalit (ambientali, paesaggistiche, culturali, sociali, etc.) e degli effetti di spillover sulleconomia e sullo sviluppo locale che pu generare (Pecqueur, 2001). Una seconda chiave di lettura interessa il carattere difensivo o piuttosto offensivo della strategia incentrata sullottenimento della DOP/IGP (Lassaut e
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Le Meur-Baudry, 1998). Nel primo caso la richiesta della protezione comunitaria motivata soprattutto dallesigenza di ridurre i casi di appropriazione del nome da parte di produttori non aventi titolo, ad esempio perch ritenuti realizzare il prodotto tipico al di fuori dellarea tradizionale di produzione, o con livelli qualitativi ritenuti insufficienti. Si tratta evidentemente di unazione mirante ad escludere altri attori dalluso di una denominazione la cui reputazione gi affermata sul mercato. Nel secondo caso invece la DOP/IGP vista dagli attori come un modo di creare una reputazione ad un prodotto ancora poco conosciuto se non sui mercati locali. Lottenimento della protezione comunitaria si configura allora pi come una leva di marketing per agevolare la penetrazione su nuovi mercati e il rafforzamento su quelli esistenti, che non come strumento giuridico di difesa da appropriazioni esterne. Con questa doppia chiave di lettura delle strategie collettive degli attori possibile posizionare in una matrice alcuni percorsi analizzati nel corso della ricerca, tenendo conto che si tratta delle strategie dominanti, e che dunque di norma per uno stesso prodotto possono coesistere, pur con pesi diversi, diversi atteggiamenti strategici:
Tipologie di atteggiamenti strategici dominanti presenti nei percorsi di istituzionalizzazione legati alla richiesta di una DOP/IGP
Difesa della reputazione (strategia difensiva) Strategia Creazione di reputazione (strategia offensiva)

di filiera

Olio Toscano IGP Lardo di Colonnata IGP Pecorino Toscano DOP Marrone del Mugello IGP Fagiolo di Sorana IGP Farina di Neccio della Garfagnana IGP

Spinacio Val di Cornia Prosciutto Toscano DOP Vitellone Bianco dellAppennino Centrale IGP Pecorino Montagna PT Ciliegia di Lari Agnello di Zeri

Strategia territoriale

2.4. I possibili esiti dei percorsi di istituzionalizzazione Eterogeneit degli attori e diversit delle strategie individuali e collettive perseguite giocano evidentemente un ruolo determinante nel dirigere i percorsi di istituzionalizzazione che si basano sulla richiesta della protezione comunitaria tramite una DOP o una IGP2 (Barjolle, Chappuis e Sylvander, 1998; Belletti, Brunori, Marescotti e Rossi, 2003).
2. In Italia lattuazione del reg.CEE 2081/92, similmente a quanto accade in altri paesi dellUE ma contrariamente a quanto avviene ad esempio in Francia, non ha comportato sinora so-

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Le diverse finalit che gli attori perseguono possono portare a conflitti che si traducono in un uso strategico delle tre leve processo, prodotto, area, che talvolta impediscono di giungere fino alla fine del percorso (ovvero fino alla presentazione della richiesta di protezione), o comunque a situazioni ibride allinterno delle quali il rischio di snaturare lautenticit del prodotto appare elevato. Rispetto alla definizione della qualit del prodotto, le concezioni individuali di qualit devono trovare una mediazione allinterno del DP. Gran parte della flessibilit negoziale deriva dal grado di radicamento delle singole imprese alle proprie concezioni di qualit, strettamente correlato alle rigidit strutturali (oltre che psicologiche) che le imprese presentano per adattarsi, e che derivano dallentit e tipologia di risorse utilizzate allinterno dei singoli processi produttivi (investimenti materiali, capacit e competenze, organizzazione, etc.). La definizione dellarea di produzione, del processo produttivo e delle caratteristiche del prodotto finito possono essere strumentali allottenimento di un livello desiderato di qualit del prodotto. In altri casi la fissazione di specifiche di processo (ad es. lobbligo di impiegare determinate tecniche ad elevata intensit di lavoro, o il fatto di vincolare la produzione a determinati fattori ad offerta scarsa), cos come la delimitazione dellarea di produzione o della sola area di approvvigionamento della materia prima (ad es. ricorrendo a una IGP), possono essere perseguite indipendentemente dai loro effetti sulla qualit del prodotto bens per escludere, o includere, determinate tipologie di impresa o per modificare le condizione di offerta o di domanda lungo la filiera di produzione3. Nei percorsi di istituzionalizzazione unelevata eterogeneit delle caratteristiche strutturali e gestionali delle imprese interessate alla protezione della denominazione e delle loro concezioni di qualit pu portare, a seconda della forza delle parti in gioco, alla definizione di disciplinari pi o meno restrittistanziali differenze nei contenuti dei Disciplinari di Produzione. Il regolamento comunitario effettivamente richiede per lottenimento della DOP il rispetto di requisiti pi rigidi che per lIGP (nella DOP infatti tutte le fasi di produzione e trasformazione del prodotto devono insistere nella stessa area, e la qualit del prodotto deve derivare esclusivamente o essenzialmente dal legame col territorio di origine), ma la pratica attuazione, vuoi per la necessit di dare attuazione ai contenuti dellart.17 del reg.CEE 2081/92 (procedura semplificata per i prodotti che gi in precedenza godevano di protezione della denominazione in base ad una normativa nazionale), vuoi per un iniziale lungo periodo di scarsa chiarezza sulle norme presso gli operatori e le istituzioni preposte allattuazione, hanno di fatto reso sino ad oggi molto simili le due denominazioni. 3. In questo senso sono evidenti le differenze tra le IGP promosse dalle imprese della fase di trasformazione, che pur specificando in alcuni casi i requisiti qualitativi della materia prima non ne ampliano lapprovvigionamento ad aree pi estese, e le IGP promosse invece dalle imprese agricole, che ricercano una maggiore integrazione territoriale tra le varie fasi della filiera.

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vi. Le imprese che producono a livelli qualitativi superiori, e che si suppone sostengano anche costi di produzione superiori, sono normalmente interessate a mantenere un elevato livello di qualit del prodotto, che porterebbe alla formazione di un DP particolarmente severo. Questo permetterebbe loro di catturare interamente la rendita di reputazione associata alla Denominazione del prodotto, evitando nel contempo una diluizione della reputazione derivante dalleccessiva variabilit dei livelli qualitativi interni alla denominazione che, come mostrato dal celebre saggio di Akerlof (1970), potrebbe portare ad un fallimento di mercato. Daltro lato le imprese che producono livelli qualitativi inferiori sono interessate ad attivare la richiesta di protezione contando su un DP meno restrittivo, che permetterebbe loro di accedere alla denominazione con costi di produzione e adattamento inferiori. I produttori di alta qualit saranno dunque portati, in fase di costruzione del DP, a negoziare livelli qualitativi inferiori, pur di giungere ad un compromesso che almeno in parte tuteli i loro maggiori livelli qualitativi. Questo significa anche che il reg. CEE 2081/92 in alcuni casi pu portare ad un compromesso che sminuisce la credibilit del prodotto stesso (Anania e Nistic, 2004). Lintroduzione di un sistema di diritti collettivi di propriet, come quello delle indicazioni geografiche, pu condizionare anche la stessa evoluzione strutturale del sistema produttivo locale e il grado di coesione tra imprese (Segre, 2003). Il nodo centrale costituito dal difficile raggiungimento di un equilibrio tra i diritti individuali di propriet, in quel caso condensati nel valore del marchio dimpresa, e il diritto collettivo di propriet che scaturisce dallottenimento di unindicazione geografica. Se il compromesso raggiunto sul DP individua un livello qualitativo del prodotto basso, vi sar ampio spazio, man mano che si consolida la reputazione dellindicazione geografica, per strategie individuali dimpresa volte ad innalzare e segnalare il livello individuale di qualit, lasciando allindicazione geografica il semplice ruolo di segnalare la presenza di una qualit minima, riducendo il potenziale collettivo dellindicazione geografica. Inoltre, in virt della stretta interazione che sovente il sistema del prodotto tipico ha col territorio di origine, alcune categorie di attori sono particolarmente interessati alla codificazione di pratiche e comportamenti suscettibili di esercitare effetti positivi sullagroecosistema e sul paesaggio locale, al limite anche senza legami di tipo diretto con gli attributi intrinseci di qualit del prodotto finito. Anche su tale tematica si possono determinare conflitti tra attori maggiormente ispirati ad una logica di filiera, particolarmente attenti al mantenimento di una concorrenza di prezzo sul mercato, e attori ispirati ad una logica di qualit territoriale, interessati agli effetti esterni del prodotto tipico sia sullambiente che su altre attivit economiche e sociali locali.

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3. Lanalisi dei casi di studio


3.1. La metodologia seguita Il percorso di istituzionalizzazione viene dunque a configurarsi come un accordo sulla qualit del prodotto tipico attivato da una pluralit di attori con caratteristiche e motivazioni spesso anche molto eterogenee. Da qui deriva limportanza di analizzare il modo con cui si svolge il processo di allineamento attorno ad una definizione comune di qualit da codificarsi allinterno del DP, sulla base delle concezioni dei singoli attori che partecipano al progetto. A questo scopo nel corso della ricerca sono stati analizzati i percorsi di istituzionalizzazione tramite DOP/IGP relativamente ad alcuni prodotti agroalimentari tipici della Toscana. Per ciascun prodotto sono state ricostruite le caratteristiche strutturali ed organizzative sia della filiera che del sistema socio-economico dellarea territoriale, al fine di evidenziare le tipologie dei soggetti coinvolti nel sistema del prodotto tipico, le reti di relazioni tra gli attori e i nodi problematici, le diverse concezioni di qualit presenti, ricorrendo a interviste a testimoni privilegiati sia di tipo strutturato che di tipo aperto, oltre che ricorrendo ad unanalisi desk per la ricostruzione del contesto socioeconomico di riferimento. Le indagini dirette hanno interessato imprese agricole, di intermediazione commerciale e di trasformazione. Altre interviste sono state dirette alle istituzioni pubbliche e private (istituzioni intermedie) coinvolte nel processo di produzione, commercializzazione, promozione e valorizzazione dei prodotti oggetto danalisi. stato poi analizzato il processo che porta alla decisione se presentare o meno la domanda di protezione ai sensi del reg. CEE 2081/92, quale punto di osservazione privilegiato per lo studio del processo di mediazione delle diverse concezioni di qualit e delle aspettative degli attori (locali e non locali) circa la denominazione. In questa sede presenteremo due casi di studio relativi a prodotti tipici della Toscana, il Lardo di Colonnata e la Ciliegia di Lari, mettendo in evidenza in particolare la diversit delle tipologie di operatori coinvolti nel processo di istituzionalizzazione, e le diverse concezioni di qualit del prodotto di cui sono portatori. 3.2. Il Lardo di Colonnata IGP 3.2.1. Il quadro di riferimento e il sistema di produzione La produzione del lardo oggetto di lunga tradizione in numerose aree della Toscana nord-occidentale, ove legata in particolare allalimentazione
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dei cavatori di marmo e in generale delle popolazioni di montagna. A Colonnata il lardo stato per lungo tempo un prodotto per lautoconsumo, che ogni famiglia del piccolo paese delle Apuane (oggi circa 300 abitanti) stagionava nella propria cantina in conche di marmo, materiale di facile reperibilit data lubicazione al centro di un importante bacino marmifero. Dalla met degli anni 70 il lardo divenuto oggetto di un processo di valorizzazione legato alla presenza di un flusso turistico di visitatori delle cave di marmo, in virt del quale alcuni produttori iniziarono a commercializzarlo nei piccoli negozi di alimentari e negli esercizi di ristorazione del paese. A partire dal 1980 la locale pro-loco organizza ogni anno la Sagra del lardo, che ha contribuito a rafforzare la tradizione della stagionatura del lardo e a dare coscienza agli abitanti della sua specificit. Il numero dei produttori orientati alla vendita del prodotto cresciuto soprattutto negli anni pi recenti, fino alle attuali circa 20 unit che presentano dimensioni e caratteristiche molto diverse (negozi di alimentari, ristoratori, appassionati); nessuno di essi era originariamente specializzato nella produzione di salumi. La materia prima non proviene dal paese e larea di approvvigionamento, con il venir meno dellallevamento locale, si progressivamente allargata e riguarda in particolare lEmilia. I canali commerciali per tutti gli anni 90 erano rappresentati da negozi e alimentari locali, dalla vendita durante le manifestazioni in loco e limitrofe (feste e sagre), e dal collocamento diretto a distanza verso utilizzatori finali privati o commerciali. La contiguit territoriale e culturale e la sostanziale omogeneit tipologica dei produttori del piccolo paese ha favorito il persistere di una concezione di qualit del prodotto unitaria e in linea con tradizione locale. 3.2.2. Le motivazioni della richiesta della IGP Il lardo prodotto a Colonnata oggi il lardo per eccellenza, in considerazione della notoriet che ha acquisito soprattutto a partire dal 1996, a causa della temporanea proibizione della sua produzione causata dalla presunta incompatibilit con la normativa igienico-sanitaria della stagionatura effettuata in conche di marmo e nelle cantine. Il lardo di Colonnata diventato uno degli emblemi del movimento culturale di difesa dei prodotti minacciati dalla standardizzazione indotta da normative calibrate sui prodotti industriali, adottato da Slow Food e oggetto di grande attenzione da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Il grande interesse di consumatori e distributori per il lardo di Colonnata ha favorito la ripresa della produzione anche in aree limitrofe, ove gi veniva praticata in passato con metodi simili; allo stesso tempo per si sono moltiplicate le imitazioni del prodotto originale, che nulla avevano a che fare con il metodo produttivo tradizionale. Nel frattempo il paese di Colonnata benefi132

ciava di un incremento dellattivit turistica che favoriva la costituzione di larderie, locali in cui viene effettuata la produzione e la vendita e, in alcuni casi, il confezionamento. Lesigenza di difendersi dagli attacchi sul fronte igienico-sanitario e la necessit di tutelare il nome di Colonnata hanno determinato (con il supporto delle istituzioni locali, provincia, comune, ASL) lavvio di una riflessione scientificamente fondata da parte dei produttori del paese, i quali hanno deciso di riunirsi in una Associazione di tutela per la richiesta di IGP. Tale richiesta si collocava in una strategia di filiera rivolta alla difesa della reputazione e alla regolazione delluso del nome del paese; parallelamente anche alcuni produttori di aree limitrofe promuovevano la richiesta di una indicazione geografica riferita a unarea pi ampia e caratterizzata da una prospettiva pi offensiva e orientata al mercato. In tale situazione il conflitto sulluso del nome divenuto inevitabile, riflesso delle diverse concezioni di qualit e delle differenze strutturali e operative tra le imprese. 3.2.3. Concezioni di qualit ed eterogeneit delle imprese Al fine di evidenziare le differenti concezioni di qualit sono stati intervistati i produttori del paese di Colonnata (tanto storici che new comers), nonch quelli di aree limitrofe ma posizionati su una fascia di mercato comparabile a quella del prodotto originale di Colonnata. Il metodo di lavorazione dominante a Colonnata tramandato per generazioni nellambito delle famiglie locali, pur con progressivi perfezionamenti e adeguamenti. Il pezzo di lardo rifilato e lavorato da fresco viene massaggiato con sale e adagiato in conche di una particolare tipologia di marmo locale, precedentemente strofinate con aglio, a strati alternati con una miscela di sale, aglio, rosmarino e spezie. Il sale favorisce la formazione naturale della salamoia che permette al lardo di stagionare. La durata della stagionatura varia da un minimo di sei mesi a due anni, ed effettuata nelle piccole cantine scavate nella roccia sotto le abitazioni del paese. Le tabelle 1 e 2 riportano le varie fasi del processo produttivo e gli attributi del prodotto, limportanza ad esse attribuita dai produttori di Colonnata e il livello di eterogeneit riscontrato nelle risposte. Le tabelle evidenziano come le concezioni di qualit dei produttori di Colonnata siano allineate soprattutto per quanto concerne i caratteri del processo produttivo che pi differenziano il prodotto del paese rispetto a quello delle aree limitrofe e soprattutto rispetto ai metodi pi standardizzati, mentre su altri aspetti (materia prima e prodotto) si riscontra una maggiore variabilit che dipende anche dalladattamento alle richieste di specifici segmenti di mercato (ad es. la maggiore presenza di aglio nella concia pi apprezzata dal consumatore locale che da quelli del nord Italia).
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Tabella 1 Importanza attribuita dai produttori alle fasi del processo produttivo del Lardo di Colonnata
Importanza per la qualit (da 0 a 3*) MATERIA PRIMA Razza, alimentazione e *** caratteristiche animale Spessore materia ** prima Conservazione *** materia 1 Tempo tra *** macellazione e stagionatura STAGIONATURA Fase del processo Materiale conca: marmo dei Canaloni Clima (zona produzione) Microclima (locali stagion.) Preparazione materia prima Spezie e aromi (concia) Durata stagionaura Eterogeneit tra produttori (da 0 a 3*)

Note

* *** O O

Prevalenza di suino pesante italiano, destinato a produzione di prosciutti. Importante per sapore, consistenza, oleosit. Per alcuni rilevante solo per aspetto estetico, per altri anche dal punto di vista organolettico. Non refrigerare per conservare porosit e dunque capacit di assorbire aromi e mantenersi morbido. Importante la messa in conca rapida: il prodotto tiepido o ancora caldo si sistema meglio e prende meglio gli aromi. Importante, con argomentazioni diverse: tradizione ma anche effetti sul processo di stagionatura e sul prodotto. Il materiale importante soprattutto se combinato con il microclima di Colonnata. Importante per lumidit della zona. Rigorosamente naturale, in cantine locali, con pareti e pavimento di roccia, senza alcun condizionamento. Importante di pressare bene il prodotto nelle conche, senza aria Importanza spezie fresche di qualit, ma anche alla loro proporzione, anche in funzione del mercato (sapori meno forti, meno aglio). Concordanza su una durata minima di 6 mesi, ma gli effetti sulla qualit del prodotto sono valutati diversamente.

*** *** *** ** ** ***

O O O O ** **

Fonte: elaborazione su indagine diretta

Il prodotto viene percepito come unico dai produttori di Colonnata in virt degli attributi intangibili (e in particolare la conformit alla tradizione produttiva) ancor pi che di quelli tangibili, rispetto ai quali si rileva comunque una certa omogeneit. Emerge una forte coesione e la rivendicazione di una identit unitaria rispetto ai produttori esterni: in molti sottolineano che non rilevante il singolo elemento (vasca di marmo, microclima, concia ecc.) ma la congiunzione di questi elementi che si realizza solo nelle cantine di stagionatura del paese.
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Tabella 2 Importanza attribuita dai produttori agli attributi del Lardo di Colonnata
Attributo e descrizione Importanza per la qualit (da 0 a 3*) Eterogeneit tra produttori (da 0 a 3*) Note

Colore Sapore

** ** *** * ***

** * * *** *

Morbidezza Spessore

Tradizionalit

Bianco, tendente al rosa. Leventuale presenza della striscia di carne rossa valutata diversamente Da delicato a pi sapido se con presenza di magro. Esigenza di sapori pi delicati rispetto alla tradizione familiare (meno aglio nella concia). Sperimentazioni con materie prime diverse (Cinta senese). Si deve sciogliere in bocca. E lattributo tangibile ricordato pi frequentemente. Non importante di per s, ma pu avere effetti sulla consistenza del prodotto; il consumatore non esperto vi presta per attenzione. La coerenza con la tradizione locale da tutti citata come centrale della qualit complessiva del prodotto.

Fonte: elaborazione su indagine diretta

Pur nella sostanziale assenza di contrasti rispetto al processo e al prodotto, possibile identificare tre tipologie di produttori sulla base dellelemento che appare guidare le loro scelte produttive e di mercato: 1) nella prima tipologia domina la ricerca di specifiche caratteristiche di prodotto anche attraverso la sperimentazione di varianti al processo produttivo; 2) nella seconda tipologia dominano gli attributi di processo in quanto tali, intesi come legame con la tradizione e lidentit locale; non si effettua alcuno sforzo di comunicazione al consumatore o allintermediario, il prodotto buono perch originale e conforme alla tradizione; 3) nella terza tipologia dominano gli attributi di processo ma in quanto rilevanti per il consumatore o lintermediario, dunque centrale lo sforzo di comunicazione. Avendo riferimento ad unarea pi ampia ma comunque contigua al paese di Colonnata, emerge la presenza di tipologie di imprese produttrici di lardo differenti per modelli tecnologici, livelli di professionalit e specializzazione (spesso si tratta di piccoli salumifici industriali o artigianali), valenze attribuite al prodotto lardo e modalit di approccio al mercato. Le concezioni di qualit che caratterizzano queste imprese sono molto articolate: in alcuni casi il processo produttivo simile a quello tradizionale di Colonnata salvo la stagionatura che avviene in atmosfera condizionata (e dunque pu essere effettuata in stabilimenti fuori terra e ubicati in pianura, durante tutto lanno), in altri casi la stagionatura veniva effettuata in contenitori di acciaio o materie
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plastiche, in altri casi ancora la durata del processo di stagionatura ad essere inferiore. Altre differenze riguardano la qualit della materia prima, in particolare la sua conformazione e la modalit di conservazione, il ricorso a spezie non fresche, e talvolta gli stessi attributi di qualit del prodotto finito sono concepiti diversamente. A tale eterogeneit corrispondono costi di produzione e prezzi di vendita molto differenziati4. Lelevato livello di prezzo del Lardo di Colonnata ha stimolato anche veri e propri comportamenti scorretti, tanto che ovunque in Italia si trovano lardi di Colonnata che nulla hanno a che fare con il prodotto originale: uso di materie prime congelate di varia provenienza e qualit e ciclo di stagionatura brevissimo favorito talvolta dalladozione di processi meccanici sono gli aspetti che determinano le maggiori differenze a livello di costi di produzione. 3.2.4. Lesito del processo di istituzionalizzazione Il conflitto tra i produttori di Colonnata e quelli delle aree limitrofe nel corso del processo di riconoscimento della IGP stato molto acceso. Il DP proposto dai produttori di Colonnata di comune accordo e riconosciuto dalla UE (Reg. CE 1856/2004) incentrato sulla definizione molto ristretta dellareale di produzione (limitato al solo centro abitato del paese) e sulla identificazione di alcune specificit del processo produttivo, tra cui in particolare: la materia prima deve avere spessore non inferiore ai 3 cm., con limitatissima presenza di infiltrazioni nello strato adiposo, lavorata fresca e messa in conca entro 72 ore dalla macellazione; inoltre viene escluso limpiego di sostanze liofilizzate, aromi naturali e artificiali, conservanti, additivi e starters; tali requisiti hanno importanti riflessi sui costi di acquisto della materia prima e di lavorazione; la lavorazione deve stagionale e si svolge da settembre a maggio compresi, e la stagionatura deve avvenire in conche di marmo, in locali poco aerati e privi di condizionamento forzato in modo da non compromettere la naturale umidit, e deve avere una durata di almeno sei mesi: queste prescrizioni sono scarsamente compatibili con logiche industriali e dipendente dalla proibizione di utilizzo di condizionamento forzato degli ambienti di stagionatura. Il DP approvato caratterizzato da prescrizioni che lasciano ai produttori storici di Colonnata la libert di mantenere le pratiche produttive gi in uso,
4. Ad esempio a fine 2003 sui banchi della moderna distribuzione il prezzo praticato per il prodotto affettato era di 23 euro circa per il prodotto di Colonnata, contro un prezzo di circa 13 euro per i prodotti di fascia alta diretti concorrenti.

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ad esempio per il tipo di aromi da utilizzare (purch naturali), lo spessore della materia prima e del prodotto finito (sopra 3 cm.), la pezzatura (la forma deve essere indicativamente rettangolare), la presenza (seppur limitata) di una striscia di magro. Allo stesso tempo il DP definisce caratteristiche di processo e di prodotto qualificanti e tali da evitare una eccessiva eterogeneit qualitativa nonch fenomeni di concorrenza di prezzo dovuti a differenze nei costi di produzione, e allo stesso tempo tali da consentire parziali adattamenti delle caratteristiche del prodotto alle esigenze dei diversi segmenti di mercato e allevoluzione dei gusti. Forti conflitti sono invece emersi rispetto ai produttori esterni, i quali hanno rivendicato una maggiore estensione dellarea ed elaborato un DP per una IGP del Lardo di Colonnata alternativo a quello che stato poi approvato. Tale DP evidenzia un allineamento dei produttori esterni su una diversa concezione di qualit, e maggiore libert prevista in quanto a tempo intercorrente tra macellazione e lavorazione, durata minima della stagionatura (4 mesi), tipo di condizionamento dei locali di stagionatura. La delimitazione dellarea geografica stata uno dei punti pi delicati nel processo di istituzionalizzazione. La rigidit del DP approvato dallUE, specie su alcuni aspetti, comunque tale da escludere di fatto potenziali attori che volessero iniziare a produrre nellarea delimitata ma secondo concezioni di qualit di processo e prodotto diverse e pi industriali. Con lottenimento della IGP alcuni produttori hanno rafforzato i rapporti con la moderna distribuzione e con il mercato nazionale. Allo stesso tempo leconomia del lardo a Colonnata si estesa al di l della filiera del lardo, con la nascita nel paese di numerose attivit commerciali e di ospitalit ad opera sia dei produttori che di altri abitanti, che traggono la loro esistenza proprio dalla reputazione del lardo e dalla presenza di cave di marmo. La strategia di valorizzazione sta evolvendo dalla logica di filiera alla logica della qualit territoriale. 3.3. La ciliegia di Lari 3.3.1. Il quadro di riferimento e il sistema di produzione La produzione di ciliegie nelle colline pisane, e nel territorio di Lari in particolare, vanta una tradizione secolare, dimostrata anche dalla presenza di numerose variet autoctone5 che, assieme alle caratteristiche pedo-climatiche locali, sono alla base della specificit delle ciliegie di Lari.
5. Tredici variet autoctone della ciliegia di Lari sono inserite nella Banca del Germoplasma della Regione Toscana come variet a rischio di erosione genetica, e diciannove variet autoctone sono presenti nellelenco dei prodotti tradizionali della Regione Toscana (www.arsia.toscana.it).

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Nonostante ci, la produzione cerasicola locale ha sofferto gli effetti della ristrutturazione e del declino delle attivit agricole che ha seguito il processo di rapida industrializzazione del Paese nel dopoguerra, e che ha fortemente ridotto le attivit agricole nella zona, in particolare quelle a maggior intensit di lavoro (ortofrutticoltura, vitivinicoltura). Negli anni pi recenti il rinnovato interesse mostrato dai consumatori verso le produzioni di alta qualit e il recupero delle tradizioni sociali e culturali del territorio, sta offrendo tuttavia nuove opportunit per il rilancio produttivo e commerciale della ciliegia di Lari. Nonostante i ridottissimi volumi produttivi la produzione annua di ciliegie nella zona si aggira sui 500 quintali la coltura del ciliegio diffusa in quasi tutte le piccole e piccolissime aziende agricole locali, solo in minima parte aziende professionali, nessuna delle quali specializzata sulla produzione cerasicola. Le tecniche di coltivazione sono tradizionali, e ci sono pochi impianti specializzati, mentre la maggior parte delle piante sparsa nei campi o sui bordi degli appezzamenti, retaggio degli ordinamenti produttivi mezzadrili. Come conseguenza della struttura produttiva appena descritta, la maggior parte della produzione di ciliegie destinata ad autoconsumo o ad una cerchia ristretta di familiari e amici, o su canali commerciali brevi. Le (poche) aziende professionali ricorrono invece solitamente ai vicini mercati allingrosso, mentre poco sviluppato il canale della moderna distribuzione. Una parte della produzione viene venduta durante la tradizionale Sagra delle ciliegie nel paese di Lari. Solitamente sui mercati locali la ciliegia di Lari spunta un premio di prezzo del 20-30% legato alla maggior freschezza del prodotto, al fatto che si tratta di un prodotto locale e alla reputazione acquisita negli anni. 3.3.2. Il percorso di istituzionalizzazione: la richiesta della DOP In anni recenti il crescente interesse mostrato dai consumatori e dai cittadini per i prodotti tipici e per la tutela della biodiversit, ha sollecitato alcuni Istituti di ricerca e le Amministrazioni pubbliche locali ad attivare iniziative di ricerca e valorizzazione, con lobiettivo da un lato di contribuire a preservare le numerose variet autoctone locali di ciliegio, e dallaltro di promuovere limmagine del prodotto nellottica di una valorizzazione turistica, oltre che di rilancio dellagricoltura locale. Questo ritorno di attenzione ha aumentato nei produttori locali la consapevolezza del valore economico e culturale del proprio prodotto, e stimolato altre iniziative di valorizzazione, tra cui lavvio della procedura per la richiesta della DOP. Lidea di richiedere la DOP per la ciliegia di Lari venuta soprattutto da alcuni produttori locali non professionali, il cui principale obiettivo era quello di stimolare la produzione agricola nellarea e sostenere la coltivazione del ciliegio, con particolare attenzione alle variet autoctone a rischio di erosione genetica. Liniziativa stata subito appoggiata da molti
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altri attori, e soprattutto dalla Pubblica Amministrazione (Regione Toscana, Provincia di Pisa, Comune di Lari), con lobiettivo di utilizzare la reputazione del prodotto anche a fini promozionali e turistici. Grazie al sostegno della locale Amministrazione comunale, stato cos costituito nel 2002 il Comitato promotore della DOP, che ha avviato una discussione interna sui principali contenuti del DP. 3.3.3. Concezioni di qualit ed eterogeneit delle imprese Le interviste condotte presso i produttori locali aderenti al Comitato promotore hanno permesso di realizzare una mappatura delle diverse concezioni di qualit del prodotto ciliegia di Lari, evidenziandone gli aspetti pi rilevanti per la formazione del DP: caratteristiche delle diverse fasi del processo produttivo (tabella 3) e attributi del prodotto (tabella 4).
Tabella 3 Importanza attribuita dai produttori ai principali aspetti del processo produttivo
Importanza per la qualit (da 0 a 3*) TERRENI E IMPIANTO Fase del processo Terreni Portainnesti Eterogeneit produttori (da 0 a 3*) Note

*** ***

O **

Variet PROCESSO Fertilizzazione Irrigazione

*** ** * ** **

*** * ** O ***

Terreni ben drenati (evitano ristagno acqua) e sciolti. Terreni non esposti a ovest (il vento di mare pu danneggiare la fioritura) Necessit di portainnesti vigorosi, che portino la pianta ad altezze medio-alte come nella tradizione locale. Necessit di materiale sano e certificato Eterogeneit dovuta ai diversi atteggiamenti nei confronti delle variet autoctone
Necessit di dosare i nitrati per non rendere il frutto acquoso e meno conservabile Importanza per la qualit del prodotto: troppa acqua rende sciapito il frutto Trattamenti: Rispetto tempi di carenza, che incide su salubrit del prodotto Difesa da attacchi uccelli: necessit di protezioni, poco diffuse nellarea Agisce sulla produttivit della pianta, sulla maturazione e sul calibro dei frutti, sulle tecniche di raccolta Modalit di raccolta : Tradizionalmente a mano; sono necessarie competenze specifiche per non danneggiare frutto e pianta e pregiudicare i raccolti successivi Epoca di raccolta : maturazione del frutto Necessarie mantenere le modalit tradizionali di condizionamento.

Difesa

Potatura

Raccolta

*** ***

* *

Condizionam.

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Tabella 4 Importanza attribuita dai produttori agli attributi del prodotto


Attributo Importanza per la qualit (da 0 a 3*) Eterogeneit produttori (da 0 a 3*) Note

Sapore

*** ***

* *

Consistenza della buccia e della polpa

Estetica

*** ** **

* ** **

Confezionamento Sanit

Dolcezza, asprezza. Il sapore varia comunque a seconda della variet e del grado di maturazione Per il consumo fresco e i mercati odierni la polpa deve essere soda e croccante; la buccia deve essere elastica e morbida. Alcune variet locali da destinarsi soprattutto alla trasformazione, devono presentare caratteristiche diverse Importanza del colore, della lucentezza della buccia. Molta importanza alla pezzatura (calibro). Richieste le pezzature pi alte. Uniformit dei frutti e assenza di difetti visibili Importanza delle modalit tradizionali di sistemazione dei frutti nei contenitori Assenza di residui. Importanza del rispetto dei tempi di carenza

Dalla mappatura possibile notare un elevato livello di omogeneit delle concezioni individuali di qualit, tranne che su alcuni aspetti, e in particolare circa la qualit delle variet autoctone di ciliegia che, per levoluzione delle richieste dei consumatori e dei clienti intermedi sui mercati sia tradizionali che moderni, non presentano le necessarie caratteristiche in termini di conservabilit e resistenza alle manipolazioni, fatta eccezione per la variet autoctona Marchiana6. Le diverse concezioni di qualit, e in particolare la diversa enfasi posta sulla presenza delle variet locali, sullimportanza degli aspetti igienico-sanitari e sulle modalit di condizionamento del prodotto, riflettono le diverse tipologie di produttori locali: 1) produttori tradizionali: impiegano canali commerciali tradizionali (mercati ortofrutticoli allingrosso). La concezione di qualit del prodotto incentrata soprattutto sulla provenienza dal territorio di Lari, sulla presenza
6. Le variet di ciliegio di pi recente introduzione (le variet importate) mostrano una maggior efficacia sia da un punto di vista tecnico-agronomico (per esempio minor vigoria, maggiore resistenza agli attacchi parassitari o alle basse temperature) che produttivo, e migliori caratteristiche commerciali (buccia pi spessa e resistente, frutti pi grandi). Soltanto una tra le variet autoctone locali (variet Marchiana) mostra caratteristiche concorrenziali per il consumo fresco. Le altre variet sono oggi presenti in pochi esemplari, oppure (in particolare le variet Papalina, Gambolungo e Morella) mostrano ottime caratteristiche per la trasformazione (buccia sottile, elevato tenore zuccherino, sapore) ma non sono adatte per essere commercializzate fresche sui mercati. Questo il motivo per cui le variet autoctone locali sono attualmente a rischio di estinzione.

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di una variet locale (la Marchiana) che ben si adatta alle richieste dei mercati; 2) produttori hobbisti/giovani: impiegano canali commerciali tradizionali ma sperimentano anche canali pi innovativi. La concezione di qualit ruota attorno al gusto del frutto, alla tradizione produttiva dellarea e alla tipicit, e alle modalit tradizionali di sistemazione e presentazione; 3) produttori giovani orientati ai canali pi moderni (GDO): la concezione di qualit pone enfasi sulla grande pezzatura dei frutti, sullomogeneit, sugli aspetti sanitari (assenza di residui), e sul confezionamento. Minor attenzione alle variet autoctone. 3.3.4. Lesito del processo di istituzionalizzazione Il Comitato promotore ha convocato numerose riunioni per discutere i vari aspetti del DP, e i problemi e le opportunit che possono derivare dallottenimento di una DOP. Tutti i produttori sono stati concordi nel riconoscere le potenzialit della DOP per la ciliegia di Lari, sebbene allinizio pochi di essi ne conoscessero a fondo significato e implicazioni. I punti a favore della DOP sono stati cos individuati: maggiore differenziazione sul mercato; creazione di notoriet e apertura di nuovi canali commerciali; pi elevati prezzi di vendita; esclusione dalluso scorretto della denominazione sui locali mercati allingrosso e al dettaglio; sostegno al marketing dei prodotti trasformati derivati dalla trasformazione delle ciliegie; stimolo alladozione di sistemi di assicurazione di qualit e certificazione dei processi e del prodotto; effetto di traino sulle altre produzioni frutticole e agricole; promozione delle attivit turistiche e agri-turistiche; protezione delle variet autoctone minacciate di estinzione; possibilit di accedere a finanziamenti e contributi pubblici. Tuttavia sono stati evidenziati anche alcuni punti critici, tanto di natura interna che esterna al sistema di produzione. Sul fronte interno la discussione si incentrata sul ruolo delle variet locali. La maggior parte dei produttori ha insistito nellincludere nel DP anche le variet di pi recente introduzione. Altri produttori pi tradizionali e amatori hanno invece messo in evidenza limportanza delle variet locali non solo per la conservazione della biodiversit, ma anche per scopi di marketing (alta immagine di qualit, valori etici e culturali, mercati di nicchia, connaisseurs), e quindi per il potenziale effetto di traino che potrebbero esercitare anche sulle variet pi recentemente introdotte. Lesito della discussione potrebbe avere effetti anche sulla decisione se presentare una domanda di IGP o di DOP: infatti, lenfasi eccessiva sulle variet nuove potrebbe costituire un ostacolo per ottenere una DOP, in quanto suscettibile di allentare il legame tra il prodotto e la sua origine territoriale.
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Laccordo raggiunto dai produttori del Comitato prevede linserimento nel DP anche delle variet non locali, anche se questo potrebbe portare ad una diluizione della reputazione del prodotto. Inoltre, paradossalmente leventuale successo commerciale della DOP potrebbe innescare una selezione avversa delle variet autoctone locali a vantaggio di quelle pi richieste dal mercato, producendo un effetto opposto a quello che aveva animato inizialmente il Comitato promotore. Daltra parte la tutela delle variet autoctone viene oggi perseguita dal Comitato attraverso altre iniziative di concerto con Istituzioni pubbliche e Istituti di ricerca, permettendo in questo modo al DP di ridurre i vincoli e includere un maggior numero di produttori. Sul fronte esterno al gruppo promotore si invece rilevato il problema della delimitazione dellarea di produzione, oggetto di un delicato processo di negoziazione in cui molti e diversificati portatori di interesse sono coinvolti. Infatti, se vero che oggi il maggior numero di produttori presente allinterno del territorio del Comune di Lari, esistono produttori anche nelle zone limitrofe che potrebbero rivendicare unestensione dellarea ammissibile, in virt del fatto che la coltivazione del ciliegio era presente storicamente anche in questi luoghi. Lestensione della zona inoltre proposta anche da altri attori locali, soprattutto di tipo istituzionale (Camera di Commercio, Provincia, Organizzazioni Professionali), con lobiettivo di estendere i potenziali benefici della denominazione al maggior numero di produttori, e di far raggiungere ai quantitativi commercializzati una sufficiente massa critica per proporsi sul mercato. Tuttavia lestensione della zona percepita come minaccia dai produttori storici, per laumento della concorrenza attuale e potenziale che genererebbe. Inoltre la delimitazione dellarea potrebbe avere anche riflessi interni allattuale comunit dei produttori di ciliegie di Lari: infatti i produttori locali che non sono interessati o in grado di utilizzare la DOP non potrebbero pi impiegare la denominazione commerciale Ciliegia di Lari sui prodotti venduti, mentre i new-comers anche al di fuori del territorio del Comune di Lari potrebbero usare la denominazione (senza tra laltro aver sopportato i costi di attivazione e di costruzione della reputazione) per accedere pi facilmente ai mercati7. Al momento in cui scriviamo stato raggiunto un accordo sul DP da parte dei produttori del Comune di Lari che non ha dato origine a conflitti interni. I costi di adeguamento allattuale stesura del DP sarebbero infatti molto contenuti per i produttori locali, limitando potenziali effetti di esclusione dovuti alle tecniche di coltivazione e variet impiegate. Il raggiungimento dellaccordo stato senza dubbio facilitato dalla prossimit culturale e territoria7. Luso della denominazione protetta da parte dei produttori non storici sarebbe anche un modo per farsi riconoscere la propria capacit professionale nella produzione del prodotto tipico. Si veda Boutonnet et al. (2005).

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le dei produttori, dalla omogeneit delle tecniche produttive e dei canali commerciali impiegati, e dallassenza di grandi produttori dominanti. Tuttavia laccordo non stato ancora negoziato con gli altri attori direttamente e indirettamente interessati: le ridotte quantit prodotte nella zona e lassenza di concreti problemi di commercializzazione, unitamente alla notoriet del prodotto sui mercati serviti, hanno limitato linteresse e il coinvolgimento dei produttori e sospeso temporaneamente liter di presentazione della domanda di protezione.

4. Considerazioni conclusive
La stesura del DP per lottenimento della DOP e dellIGP implica un processo di costruzione di una convenzione di qualit che, nel caso dei prodotti tipici, deve dunque trovare il consenso, oltre che su aspetti relativi al processo produttivo e ai requisiti intrinseci di qualit del prodotto, anche su aspetti quali la tradizione, leredit storica, lidentit culturale locale, larea geografica, che per loro stessa natura sono aperti a diverse interpretazioni (Brard e Marchenay, 1995; de Sainte Marie et al., 1995). La convergenza verso la definizione comune e condivisa di qualit pu diventare dunque un percorso particolarmente difficile e dagli esiti incerti. La costruzione del DP risente delleterogeneit delle imprese e degli altri attori che vi partecipano, delle loro strategie individuali e della strategia collettiva individuata dai proponenti, e della conseguente eterogeneit delle concezioni di qualit che devono essere mediate per arrivare alla presentazione della domanda di protezione. Le tipologie di soggetti coinvolte nei percorsi di istituzionalizzazione sono estremamente differenziate, sia imprese delle filiera del prodotto nei suoi diversi stadi, che altri attori appartenenti al sistema locale, o anche attori non locali (enti di ricerca, associazioni di consumatori, associazioni culturali e gastronomiche, catene distributive, intermediari, ecc.); parimenti importanti sono le differenze tipologiche tra i soggetti della stessa categoria, ciascuno dei quali possiede visioni differenti delle potenzialit e limiti offerti dalla denominazione. Lattivazione di processi di mediazione sulle caratteristiche del processo produttivo, sugli specifici requisiti qualitativi del prodotto e sullestensione dellarea di produzione, rappresenta un passaggio fondamentale per la successiva azione di qualificazione del prodotto stesso verso lesterno. Questi processi sono tuttavia frequentemente caratterizzati da aspetti problematici, in quanto la codificazione per sua natura determina effetti di esclusione (Tregear et al., 2004), tanto pi accentuati quando le motivazioni che animano i proponenti sono orientati dalla ricerca di rendite piuttosto che dalla necessit di qualificare limmagine del prodotto sui mercati. Possibili ambiti di contrasto
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sono quelli tra le esigenze esclusivamente rivolte al supporto della filiera produttiva (strategia di filiera) e quelle orientate ad esaltare lidentit territoriale del prodotto tipico e a valorizzare le sue molteplici relazioni con il territorio (strategie territoriali). Spinte verso la presa in considerazione degli aspetti multifunzionali del prodotto tipico, caratteristica delle strategie territoriali, potrebbero ostacolare il raggiungimento di un accordo sia per limposizione alle imprese di maggiori costi di produzione e di controllo, non sempre remunerabili dalleventuale aumento dei redditi derivanti dalla vendita del prodotto, sia per lingresso sulla scena del processo di altre categorie di attori lontane dalla sfera prettamente produttiva. Opportunit e limiti dei segni geografici devono dunque essere attentamente valutati in funzione degli obiettivi che gli attori della valorizzazione intendono perseguire. Indubbiamente le denominazioni geografiche possono consentire non solo la qualificazione verso lesterno (ripulitura del mercato da prodotti con indicazioni scorrette, affermazione dellidentit del prodotto, creazione di un supporto per iniziative di marketing collettivo) ma anche quella verso linterno (creazione di standard di riferimento per i produttori, con le conseguenti opportunit e minacce). Inoltre lattivazione del processo e il dibattito sui contenuti del DP possono stimolare i produttori a prendere consapevolezza delle proprie potenzialit e opportunit, cos come dei problemi e delle minacce (Binh e Casabianca, 2002; Casabianca, 2003; Boutonnet et al., 2005). Tuttavia lo strumento della DOP/IGP non sempre appare il pi rispondente alle esigenze degli operatori locali: per molti prodotti tipici caratterizzati da canali commerciali brevi, piccole quantit prodotte, presenza di agricoltori non professionali, forte tradizione produttiva, risorse altamente specifiche, carattere identitario del prodotto per la popolazione locale, la complessit delle procedure richieste dal reg.CEE 2081/92 fa s che la DOP o IGP non rappresenti la soluzione ideale per sostenere le esternalit economiche e culturali che questi sono in grado di generare. In altre situazioni lattivazione della procedura per la richiesta della tutela comunitaria pu alterare la coesione sociale e provocare conflitti tra i produttori nella costruzione del DP (ad esempio tra imprese artigianali e industriali, o tra produttori ubicati in contesti ambientali diversi nellambito della stessa zona tradizionale di produzione), o possono andare a beneficio di attori al di fuori della filiera localizzata di produzione che usano la reputazione del prodotto senza sopportarne gli oneri.

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7. COSTI E MODELLI ORGANIZZATIVI NELLE DENOMINAZIONI GEOGRAFICHE*


di Giovanni Belletti, Tunia Burgassi, Andrea Marescotti, Alessandro Pacciani, Silvia Scaramuzzi

1. Problematica, obiettivi e metodologia


Origine delle produzioni e Denominazioni geografiche sono leve che molto spesso gli attori istituzionali e le imprese del sistema agroalimentare utilizzano nella elaborazione delle proprie strategie, in special modo nelle regioni comunitarie dellarea mediterranea, in virt del rinnovato interesse dei consumatori verso i prodotti tipici, derivante tanto dallesigenza di rassicurazione circa la provenienza del prodotto e le tecniche impiegate, che dal recupero della dimensione edonistica e culturale del consumo alimentare. Per questo motivo fin dalla sua emanazione il Reg. CEE 2081/92, relativo alla protezione delle Denominazioni geografiche dei prodotti agricoli ed alimentari mediante lintroduzione della DOP (Denominazione di origine protetta) e della IGP (Indicazione geografica protetta), ha suscitato grande interesse in particolare nelle zone pi svantaggiate e nelle componenti pi artigianali dei sistemi agroalimentari, dove il perseguimento di strategie basate sulla modernizzazione delle tecniche e su una competitivit di costo risulta difficile o incoerente con le logiche di impresa presenti. In Italia, come in altre parti dEuropa, dopo oltre 10 anni dalla sua effettiva applicazione molte delle aspettative riposte sul Reg. CEE 2081/92 sembrano essere disattese dai fatti: liter per il riconoscimento comunitario risultato lungo e complesso, e in taluni casi non stato intrapreso oppure stato abbandonato; in altri casi lottenimento della DOP/IGP non ha portato gli effetti sperati. In effetti, di fronte di un numero abbastanza elevato di prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento di una Denominazione geografica (termine
* Il presente lavoro stato concepito dagli Autori in maniera congiunta; sono comunque da attribuirsi a Giovanni Belletti i paragrafi 4.1 e 7, a Tunia Burgassi il paragrafo 5, ad Andrea Marescotti i paragrafi 2 e 6, ad Alessandro Pacciani il paragrafo 1 e a Silvia Scaramuzzi i paragrafi 3 e 4.2.

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con cui di qui in avanti ci riferiremo a DOP e IGP), leffettivo impiego della Denominazione da parte delle imprese rimane molto ridotto e comunque concentrato su un numero ristretto di prodotti di grande tradizione (tra cui Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutti di Parma e di San Daniele) (Nomisma, 2005) nonch maggiormente diffuso in aree che non possono essere propriamente considerate marginali n dal punto di vista agricolo n socioeconomico. Le motivazioni di questa scarsa incisivit delle Denominazioni geografiche rispetto alle attese sono certamente numerose, e devono tenere conto innanzitutto della specifica natura e delle finalit di questo strumento, che di per s attribuisce soltanto una speciale tutela giuridica nelluso di un nome geografico per la designazione commerciale di un prodotto agroalimentare. La creazione o il rafforzamento dellorganizzazione tra gli attori del sistema produttivo e della reputazione del prodotto tipico presso i consumatori sono aspetti fondamentali, ma non direttamente derivanti dal quadro giuridico del Reg. CEE 2081/92, il quale non prevede n lobbligatoriet di una organizzazione tra i produttori (Associazione o Consorzio di tutela) successiva al riconoscimento1, n destina risorse ad attivit di tipo promozionale. Molto spesso gli attori interessati indicano tra gli elementi che ostacolano la diffusione delluso delle Denominazioni geografiche gli elevati costi da sostenere per poter impiegare la Denominazione, tanto che da pi parti viene portata avanti lesigenza di una semplificazione del modello definito dal Reg. CEE 2081/92 e dalle disposizioni attuative nazionali. Come vedremo, le evidenze empiriche presenti in letteratura sullargomento dei costi duso delle Denominazioni geografiche, cos come sui benefici ottenibili dal loro impiego, sono per molto ridotte. Obiettivo del presente lavoro quello di sviluppare un quadro di riferimento per lanalisi dei costi duso delle Denominazioni geografiche sulla base di alcuni casi di studio, con un successivo approfondimento sui costi di controllo e certificazione. Segue una discussione sugli aspetti distributivi dei costi duso diretto, in cui viene evidenziato il ruolo delle istituzioni intermedie rappresentative dei produttori. Nella parte conclusiva verranno sviluppate alcune considerazioni, anche alla luce del complesso dei costi e dei benefici derivanti agli attori delle filiera dalla creazione e dallimpiego di una Denominazione geografica. La metodologia si basata sullanalisi in profondit di alcuni casi di studio relativi a prodotti sia freschi che trasformati2. Una prima fase dellindagi1. Lart. 5 del Reg.CEE 2081/92 richiede che solo le associazioni o, a determinate condizioni da stabilirsi secondo la procedura prevista allart. 15, le persone fisiche o giuridiche sono autorizzate ad inoltrare una domanda di registrazione, mentre nulla previsto circa la gestione della Denominazione una volta riconosciuta. 2. Lindagine diretta ha riguardato in particolare Pecorino Toscano DOP, Marrone del Mu-

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ne stata condotta mediante interviste di tipo aperto a testimoni privilegiati (imprese poste ai vari livelli della filiera del prodotto tipico, organismi associativi quali Consorzi di tutela o Associazioni, istituzioni locali), al fine di fare emergere le differenti categorie di costi e di benefici e la loro natura. La seconda fase ha approfondito lanalisi sui costi diretti di certificazione, ed ha interessato non solo imprese ma anche Consorzi (termine con il quale di qui in avanti indicheremo tanto i Consorzi di tutela che le Associazioni tra produttori) ma anchee organismi incaricati del controllo; essa stata volta non solo alla quantificazione dei costi ma soprattutto a individuare le forme di organizzazione e di gestione pi efficaci e il ruolo dei Consorzi nella distribuzione dei costi stessi tra le varie componenti della filiera.

2. Gli effetti economici delle Denominazioni geografiche


La diffusione dei segni di qualit e degli standard uno dei fenomeni che ha maggiormente interessato il sistema agroalimentare nellultimo decennio, in conseguenza dellallungamento e della complessificazione dei circuiti produzione-consumo e dei conseguenti maggiori bisogni informativi che ne derivano. Numerosi autori hanno sviluppato analisi circa gli effetti della diffusione dei segni di qualit e soprattutto degli standard, evidenziandone le implicazioni sulle imprese singolarmente considerate, ma anche sui rapporti di forza sia tra le differenti fasi delle filiere che allinterno delle fasi stesse. In particolare molti evidenziano come gli standard, principalmente quelli di tipo volontario (ovverosia non derivanti dallapplicazione di una norma di legge) e anche quando vengono originati nellambito di tavoli tecnici cui partecipano le differenti componenti interessate (agricoltori, trasformatori, commercianti, distributori), siano spesso espressione solo di specifiche componenti della filiera orientate da un uso strategico volto al perseguimento di propri particolari obiettivi (Reardon et al, 1999; Henson e Reardon, 2005; Hatanaka et al, 2005); in alcuni casi viene sottolineato il problema della esclusione di alcune categorie di imprese dallimpiego degli schemi e di conseguenza la loro marginalizzazione dal mercato (Vuylsteke et al., 2003). Anche le Denominazioni geografiche cos come sono regolate dallUnione Europea con il Reg. CEE 2081/92 sono di fatto segni di qualit fondati su uno standard di tipo eterodiretto, i cui contenuti cio sono definiti allinterno dello schema generale dettato dal Regolamento stesso e dalle procedure nazionali di applicazione dagli stessi produttori dellarea di origine. Il Disciplinare di produzione su cui la Denominazione si fonda uno standard volontario sulla base del quale i produttori possono impiegare il nome geografigello IGP, Vitellone Bianco dellAppennino centrale IGP, Olio toscano IGP; altre evidenze empiriche sono state raccolte su altri prodotti DOP e IGP sia toscani che di altre regioni.

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co registrato, sotto il controllo di un apposito Organismo di controllo che deve garantire la rispondenza del prodotto ai requisiti del Disciplinare. La valutazione degli effetti economici delle Denominazioni geografiche, e in generale dellimpiego di segni di qualit al caso dei prodotti tipici, un argomento scarsamente trattato in letteratura, nonostante le specificit derivanti dai particolari caratteri posseduti dai prodotti tipici e dai loro sistemi di produzione. Alcuni Autori analizzano da un punto di vista teorico gli effetti dellintroduzione delle Denominazioni geografiche sul benessere (ad es. Zago e Pick, 2002), sul mercato e sullorganizzazione economica dei sistemi di produzione (ad es. Raynaud e Save, 2000; Thiedig e Sylvander, 2000; Chappuis e Sans, 2000; Canada e Vazquez, 2005), ma anche sulle dinamiche che si possono determinare in sede di definizione del Disciplinare (Anania e Nistic, 2004), anche in relazione ai diversi ruoli che gli attori locali possono attribuire al prodotto tipico (ad es. Pacciani et al, 2003). Meno frequenti sono le analisi volte alla valutazione, anche su base empirica, dei costi duso e dei benefici dellimpiego degli standard e in particolare delle Denominazioni geografiche. In particolare Verhaegen e Van Huylenbroeck (2001) analizzano le implicazioni derivanti alle imprese dalla partecipazione a canali commerciali di tipo innovativo, ma i lavori e le indagini empiriche considerano normalmente la sola dimensione aziendale a livello individuale (Fucito, 2002; Nomisma-Indicod, 2003). La dimensione collettiva e i connessi aspetti di distribuzione dei costi e dei benefici tra le imprese, di fondamentale importanza nel caso delle produzioni tipiche e delle Denominazioni di origine, viene considerata in alcuni recenti lavori (ad es. Belletti, 2000; Marescotti, 2003; Segre, 2003), mentre altre ricerche approfondiscono la tematica dei costi di certificazione (Lazzarin e Gardini, 2005; Belletti et al, 2006). Quasi assenti sono invece le analisi degli impatti territoriali delle Denominazioni geografiche al di fuori della filiera di produzione (Belletti, Marescotti, Hauwuy e Paus, 2006).

3. Il quadro di riferimento dellindagine


La registrazione presso lUnione europea di una Denominazione geografica deve essere dal soggetto proponente (una organizzazione costituita da produttori e/o trasformatori, ma anche da altre parti interessate al prodotto in oggetto) sulla base di un Disciplinare di produzione nel quale devono essere tra laltro specificati (ai sensi dellart. 4 del Reg.CEE 2081/92) la descrizione del prodotto agricolo o alimentare mediante indicazione delle materie prime, se del caso, e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e/o organolettiche del prodotto, nonch la delimitazione della zona geografica.
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La costruzione del Disciplinare di produzione una tappa fondamentale per gli attori che intraprendono la richiesta di una Denominazione geografica, destinata a condizionare i comportamenti delle imprese che vorranno continuare ad impiegare il nome geografico nella designazione commerciale del prodotto tipico. Il Disciplinare di produzione normalmente il risultato di una riflessione e di una negoziazione tra gli operatori della filiera del prodotto tipico, che spesso vede il coinvolgimento di altri attori del sistema locale (istituzioni, forme associative della popolazione) e del sistema della conoscenza (universit, centri di ricerca), e alla quale ciascun attore partecipa in funzione dei propri obiettivi e della propria idea della qualit del prodotto tipico3. Laccordo raggiunto in sede di Disciplinare porta non solo alla delimitazione dellarea geografica in cui sar possibile effettuare le fasi di lavorazione del prodotto, ma anche alla individuazione dei nodi del processo produttivo e dei requisiti qualitativi minimi che il prodotto tipico dovr possedere al consumo per utilizzare la DOP-IGP. Il Disciplinare ha per obiettivo la tutela della qualit del prodotto dalla massificazione o da imitazioni, ma deve tenere anche conto dei costi che potrebbero derivare dai vincoli imposti. Un Disciplinare poco restrittivo comporter meno vincoli e conseguentemente un minor numero di controlli da effettuare, ma allo stesso tempo potrebbe generare effetti negativi, principalmente di due tipologie. Da una parte esso non contribuirebbe a definire una identit forte del prodotto e dunque non ne favorirebbe un posizionamento distintivo sul mercato, n supporterebbe la qualificazione delle imprese; dallaltra potrebbe consentire fenomeni di concorrenza di tipo mercato dei bidoni allinterno del prodotto protetto dalla Denominazione, ovvero il prodotto DOP-IGP di bassa qualit (quello cio rispondente al livello minimo del Disciplinare) farebbe concorrenza al prodotto DOP-IGP di maggiore qualit, spingendo i produttori di questultimo a non utilizzare la DOP-IGP e dunque comportando nel tempo un abbassamento della qualit media dei prodotti venduti con la DOP-IGP, con conseguenti effetti negativi sulla reputazione collettiva del prodotto e su quella individuale delle imprese che lo realizzano. La fase di costruzione del Disciplinare rappresenta quindi un momento estremamente delicato della richiesta di Denominazione, poich esso condizioner le tipologie di imprese (ad es. industriali vs artigianali) che potranno effettivamente impiegare la Denominazione, e da esso dipenderanno le caratteristiche dei processi produttivi e le modalit di accesso di coloro che vorranno aderire ed utilizzare il nome geografico protetto, cos come la struttura del Piano dei controlli che individua a partire dal Disciplinare i punti critici
3. Si veda il saggio I percorsi di istituzionalizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche in questo stesso volume.

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del processo e del prodotto da assoggettare a controllo e definisce le relative procedure4. tale Piano che stabilisce le verifiche necessarie perch lOrganismo di controllo (che funge da ente terzo certificatore) autorizzi luso della DOP-IGP su ciascuna partita di prodotto: da tali verifiche, assieme ad altri elementi, dipender lentit dei costi di certificazione e la loro distribuzione lungo la filiera del prodotto protetto. importante rilevare come ogni Paese dellUE si sia dato una propria regolamentazione dei sistemi di controllo delle Denominazioni geografiche, nellambito dei principi generali posti dal Reg. CEE 2081/92, con conseguenti effetti sul funzionamento e quindi sui costi dei sistemi di controllo. LItalia si dotata di un sistema molto prossimo a un vero e proprio sistema di certificazione, a differenza di quanto accaduto in altri paesi (Sylvander, 2004), il che pu risultare potenzialmente penalizzante sotto il profilo dei costi duso.

4. I costi derivanti dalluso delle Denominazioni geografiche


4.1. Le tipologie di costi duso I costi di controllo e di certificazione rappresentano una componente importante ma non esclusiva e non sempre principale dei costi complessivi derivanti dallimpiego di una Denominazione da parte delle imprese. Per questo motivo lanalisi ha preso avvio da un inquadramento preliminare delle differenti tipologie di costi che possono essere sostenuti dalle imprese nel corso dellintero processo di elaborazione e utilizzo di una DOP-IGP, realizzata mediante una indagine esplorativa presso testimoni privilegiati oltre che sulla base della letteratura esistente. Limplementazione di una Denominazione e il successivo ricorso ad essa implicano il sostenimento di una serie di costi che possono ricadere sia sulle singole aziende che su un gruppo di attori pi o meno ampio: tali costi possono variare in funzione di numerosi parametri, ad esempio il volume produttivo delle aziende aderenti al circuito, oppure presentarsi sotto forma di tariffe o quote fisse; o ancora essere rappresentati da mancati ricavi o derivare dal funzionamento del processo di certificazione stesso. In termini generali, i costi relativi alluso di una Denominazione geografica si possono suddividere in quattro principali categorie (tabella 1), che vengono di seguito brevemente discusse.

4. Il Piano dei Controlli non previsto dal Reg.CEE 2081/92 ma richiesto dalle disposizioni attuative nazionali, ed oggetto di specifiche Linee guida formulate dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali emanate nel marzo 2002. Esso redatto dallOrganismo di controllo e approvato dal Ministero delle politiche agricole.

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Tabella 1 Costi duso delle Denominazioni geografiche


Tipologia Descrizione:

1) Costi preliminari 2) Costi diretti

Costi precedenti il riconoscimento e lentrata in funzione della Denominazione Costi per lo svolgimento delle attivit di controllo e certificazione Costi di supporto alla certificazione Costi di adattamento strutturale e di riorganizzazione Costi di adattamento operativo Costi di non conformit

3) Costi indiretti

4) Costi complementari Costi promozionali Costi di sorveglianza e sanzione


Fonte: nostra elaborazione

I costi preliminari consistono nellinsieme dei costi sostenuti nella fase antecedente al riconoscimento della Denominazione e alla sua successiva entrata in funzione, e sono relativi allinsieme degli adempimenti che i richiedenti devono sostenere per ottenere la Denominazione stessa. Si tratta di costi generalmente di natura fissa (indipendenti dal numero delle imprese e dal volume di produzione del prodotto tipico), che assumono la forma di veri e propri pagamenti nel caso in cui siano remunerati dei tecnici esperti incaricati della realizzazione delle relazioni tecniche sul prodotto e di eventuali analisi. Tali costi sono spesso sostenuti in parte dalloperatore pubblico, che si adopera per favorire le imprese locali ad entrare in un meccanismo che permetta la valorizzazione del prodotto tipico, anche con un eventuale ritorno di immagine per il territorio stesso. Tra i costi preliminari rientrano anche quei costi sostenuti dalle imprese per raggiungere gli accordi necessari alla richiesta collettiva della Denominazione, i quali hanno natura di costi di transazione e organizzazione; in talune situazioni le istituzioni locali, o altri soggetti quali i Gruppi di Azione Locale attivi nellIniziativa Leader, finanziano specifiche attivit di ricerca sul prodotto tipico e/o di animazione della collettivit locale. Non vi dunque una necessaria coincidenza tra coloro che sostengono i costi preliminari e le imprese che utilizzeranno successivamente la Denominazione. I costi diretti sono legati alle attivit inerenti il controllo e la certificazione, e sono connessi in parte ad attivit svolte dallOrganismo di controllo (dora in avanti OdC) e in parte ad attivit svolte dai soggetti controllati. I costi per lo svolgimento delle attivit di controllo e certificazione sono rappresentati dalla remunerazione allOdC per laccertamento del rispetto del Disciplinare; tra essi rientrano anche tariffe o quote pagate ad altri organismi
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terzi, quali laboratori analisi o panel degustazione, cui spesso lOdC si appoggia per svolgere la propria attivit. Questi costi sono sostenuti dalle singole aziende anche se, come vedremo nei prossimi paragrafi, queste possono essere supportate dai Consorzi, il che pu condizionare la loro distribuzione lungo la filiera ed entro le singole fasi di essa. Il livello dei costi dipende in primo luogo dal tipo di prescrizioni del Disciplinare e da come queste sono tradotte nel Piano di controllo, tenendo conto della specifica situazione della filiera del prodotto tipico, della sua composizione e articolazione, delle tipologie di impresa che ne fanno parte. Una seconda tipologia di costi diretti quella dei costi di supporto alla certificazione, in cui rientrano gli oneri derivanti dal sostegno che il sistema produttivo, tanto a livello individuale che a livello collettivo, fornisce allOdC nello svolgimento delle sue attivit. Si tratta ad esempio della tenuta di Albi o registri, dellistruzione delle pratiche per la certificazione o della realizzazione di sistemi informatici di interfaccia con i vari operatori di filiera. Ad esempio nel caso del Marrone del Mugello IGP lAssociazione di tutela svolge attivit di gestione della documentazione funzionale alla certificazione, alleviando ai singoli operatori il peso dei costi di tenuta dei registri, e agisce come interfaccia nei rapporti tra produttori, istituzioni locali e OdC. Qualora i costi di supporto alla certificazione siano sostenuti a livello collettivo, essi sono coperti da quote di adesione corrisposte a Consorzi. Lo svolgimento di attivit di supporto pu consentire di ridurre le tariffe corrisposte allOdC: infatti la presenza di un ente che svolga la funzione di collettore di informazioni relative ad un gran numero di piccoli e piccolissimi produttori pu creare notevoli economie allEnte certificatore, che possono riflettersi in tariffe inferiori a quelle che altrimenti si vedrebbe costretto ad applicare se dovesse verificare tutta la documentazione tramite sopralluoghi produttore per produttore. I costi indiretti comprendono tre principali tipologie. Una prima tipologia quella dei costi di adattamento strutturale e di riorganizzazione necessari per il funzionamento del sistema: riguardano sia le imprese (ad es. adattamenti agli impianti e revisione dellorganizzazione e delle procedure) che il sistema nel suo complesso (ad es. creazione di sistemi collettivi di supporto), e sono pertanto sostenuti in parte da singoli e in parte dalla collettivit. Essi possono consistere in nuovi investimenti, ad esempio il Disciplinare del Vitellone Bianco dellAppennino Centrale IGP preclude lutilizzo di container comuni a diversi allevamenti e conseguentemente non permette lottimizzazione dei costi di trasporto alle numerose piccole aziende dislocate sul territorio, obbligandole ad un acquisto di mezzi talvolta non sostenibile date le loro limitate dimensioni. I costi di adattamento consistono anche in costi non monetari, come nel caso di riorganizzazioni interne o di formazione del capitale umano, che sono spesso legati ai costi di supporto alla certificazione e difficili da distinguere da questi.
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I costi indiretti di adattamento operativo sono i maggiori costi necessari per la gestione del processo produttivo cos come codificato nel Disciplinare. Si tratta in primo luogo dei maggiori costi per utilizzare materie prime conformi alle prescrizioni del Disciplinare e solitamente di maggiore qualit, lincremento dei quali spesso deriva dalla rigidit dellofferta della materia prima. Tale componente ad esempio risultata particolarmente importante nel caso del Pecorino Toscano DOP il cui Disciplinare prevede luso di latte proveniente da pecore allevate in Toscana (il cui prezzo normalmente molto pi elevato di quello di altri importanti bacini produttivi) e non congelato (pratica comune nella produzione industriale di formaggio). Gli allevatori di Chianina nellambito del Vitellone bianco IGP devono invece escludere dallalimentazione del bestiame i foraggi insilati e utilizzare alimenti pi costosi. Nella tipologia dei maggiori costi di gestione del processo produttivo possono essere compresi anche costi opportunit, quali quelli connessi allottenimento di minori economie di scala (ad es. sempre nel caso del Pecorino DOP il fatto di non poter ricorrere a latte congelato impone di ridurre il volume produttivo in determinati periodi dellanno); nonch i costi derivanti dalla necessit di meglio controllare i processi aziendali (ad esempio per la tracciabilit delle materie prime e dei prodotti, o per separazione del prodotto DOPIGP dagli altri prodotti aziendali) e le relazioni con i soggetti posti a monte e a valle della filiera di produzione (ad es. controlli sulle materie prime). Ladattamento del produttore alla logica degli schemi di controllo, anche qualora non comporti particolari costi di adattamento, pu essere percepita dal produttore stesso come un onere, e dunque considerata come un costo psicologico di difficile quantificazione ma suscettibile di inficiare il funzionamento del sistema di produzione. La terza tipologia di costi indiretti quella dei costi di non conformit, determinati dal mancato collocamento sul mercato, o dallinferiore posizionamento sullo stesso, dei prodotti che non sono conformi allo standard qualitativo stabilito dal Disciplinare, e che dunque non possono (pi) fregiarsi del nome geografico nella propria designazione commerciale: assumono la forma di mancati ricavi sostenuti direttamente dalle aziende, che devono attentamente considerare questa tipologia di costi nella fase antecedente la decisione di certificare o meno il proprio prodotto. Nel caso del Marrone del Mugello IGP i costi di non conformit assumono particolare rilevanza, in quanto il prodotto deve rispettare una pezzatura minima che comporta, in special modo nelle annate pi difficili, di dover scartare una parte della produzione; in considerazione di tali costi il Disciplinare stato recentemente modificato per permettere la commercializzazione di marroni anche di minori dimensioni. Nella categoria dei costi complementari una particolare rilevanza assumono i costi promozionali, senza i quali spesso la Denominazione non pu espletare appieno la propria efficacia, che derivano dallo svolgimento delle attivit di supporto alla Denominazione svolte a livello collettivo dal Con157

sorzio del prodotto protetto. In termini strettamente tecnici tali costi non sono per loro natura legati alla certificazione, ma di fatto spesso sono pagati ai Consorzi dalle imprese certificate congiuntamente ai costi di supporto alla certificazione. Tra i costi complementari rientrano anche i costi di sorveglianza e sanzione, necessari per rendere effettiva lesclusione dalluso del nome da parte delle imprese esterne allarea di produzione o non conformi al Disciplinare, riconducibili alle attivit ispettive volte a rilevare gli usi scorretti e al funzionamento del relativo sistema sanzionatorio. Si tratta di costi spesso molto elevati, specie se sostenuti per un singolo prodotto, che in molti casi sono sopportati dalle istituzioni governative (Sylvander e Thiedig, 2000). Ad esempio in Italia tali costi sono generalmente sostenuti dagli Ispettorati repressione frodi, sebbene i Consorzi di tutela delle Denominazioni con pi ampio mercato svolgano una funzione di sorveglianza anche in autonomia sopportandone il relativo onere. 4.2. Lanalisi dei costi duso Le categorie e le tipologie di costo possono essere osservate secondo differenti punti di vista, in particolare ai fini dellanalisi degli effetti sulle imprese e sui sistemi di produzione del prodotto tipico importante considerare i seguenti aspetti: la relazione con il volume produttivo certificato, in base alla quale si individuano costi fissi, costi variabili e costi a scatti (vale a dire costanti entro un certo intervallo di variazione del volume stesso, ovvero semivariabili); la fase del processo di realizzazione della Denominazione cui si riferiscono: costi ante riconoscimento della Denominazione e costi successivi al riconoscimento, cos come costi di accesso al sistema di controllo e costi di funzionamento; la tipologia di manifestazione finanziaria: costi pagati e costi non pagati (cui non immediatamente associabile un flusso finanziario); la tipologia del soggetto su cui ricadono: aziende agricole, trasformatori, intermediari, operatore pubblico, ecc.; ma anche costi individuali (aziendali), costi collettivi e costi sociali (tab. 2). evidente la complessit della rilevazione di numerose delle tipologie di costo, tanto che non sono disponibili stime del costo totale delluso di una Denominazione geografica, mentre vi sono alcune indagini sui costi ricadenti sulle singole imprese5.
5. Ad esempio Nomisma (2003) stima nell8,9% lincremento percentuale dei costi per limplementazione delle Denominazioni di origine nelle imprese industriali.

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Tuttavia una parte significativa dei costi duso delle Denominazioni si riferisce sia alla collettivit delle imprese che beneficiano della Denominazione, sia alle imprese che ne potranno beneficiare in futuro adeguandosi al Disciplinare. Soprattutto per queste ultime sono evidenti i problemi di free-riding legati al sostenimento dei costi per gli investimenti iniziali nella fase di predisposizione e richiesta della Denominazione, il che pu rendere opportuno lintervento delloperatore pubblico volto a sostenere tali costi per evitare comportamenti opportunistici successivi. Lintervento delloperatore pubblico legittimato anche per la copertura di costi congiunti tra pi Denominazioni (quali quelli di controllo e sanzione), senza la quale si potrebbe determinare una sottoutilizzazione dello strumento delle Denominazioni. Il problema distributivo assume una grande rilevanza sia in termini verticali, ovvero tra le imprese poste ai differenti stadi del processo produttivo del prodotto tipico, che in termini orizzontali, ovvero tra imprese operanti nello stesso stadio del processo ma con volumi produttivi e/o caratteristiche organizzative e gestionali diverse. Dalle caratteristiche delle differenti tipologie di costi derivano importanti implicazioni per le imprese considerate tanto individualmente quanto come collettivit, e in particolare potenziali effetti di esclusione dallimpiego della Denominazione per imprese di piccole dimensioni o che comunque realizzano un limitato volume produttivo. Alle tipologie di costi sopra elencate possono essere aggiunti i costi di esclusione, derivanti dal fatto che alcune imprese che gi producevano il prodotto tipico non hanno la possibilit di adattarsi al Disciplinare. A livello dellimpresa ci pu comportare mancati redditi ma anche una possibile riduzione del valore degli investimenti legati al processo produttivo del prodotto tipico. Qualora gli effetti di esclusione interessino intere tipologie di imprese, e in particolare quelle pi artigianali, si possono determinare effetti destabilizzanti sul sistema produttivo e sulla qualit stessa del prodotto tipico: queste imprese sono infatti spesso tra le pi attente nel preservare la tradizionalit del prodotto e del processo, e a loro spesso si lega la stessa immagine del prodotto tipico. Le conseguenti ricadute a livello territoriale dovranno essere considerate anche dalloperatore pubblico in sede di valutazione circa lopportunit di sostenere il processo di riconoscimento della DOP-IGP e di orientare i contenuti del Disciplinare. Evidentemente spesso necessario ampliare il punto di osservazione da quello dellimpresa e del sistema produttivo a quello della collettivit.

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Tabella 2 Classificazione dei costi duso


Fase del Relazione con processo di il volume realizzazione produttivo della Denominazione Tipologia di manifestazione finanziaria Tipologia del soggetto su cui ricadono

Costi preliminari

Anteriori al riconoscimento

Hanno natura fissa

In parte costi pagati (es. relazioni tecniche, analisi), in parte non pagati (es. costi di transazione e organizzazione sostenuti dalle imprese per accordarsi) Di norma sono costi pagati

In parte hanno natura collettiva; sono spesso sostenuti in parte dalloperatore pubblico (assistenza tecnicoscientifica) Singole imprese

Costi diretti di controllo e certificazione

Legati al funzionamento della Denominazione

In parte fissi (legati al controllo della struttura produttiva delle imprese) e in parte variabili o a scatti (legati al controllo del prodotto) In parte fissi (es. sistemi informatici di tracciabilit) e in parte variabili o a scatti (istruttoria pratiche di certificazione) Fissi, eventualmente a scatti

Costi diretti Legati al di supporto alla funzionamento certificazione della Denominazione

Pagati e non pagati, difficilmente imputabili direttamente e interamente al prodotto marchiato In parte pagati; alcuni non hanno diretta manifestazione finanziaria (es. riorganizzazioni interne)

In parte collettivi (possibili guadagni di efficienza)

Costi indiretti di Legati adattamento allaccesso strutturale e di al sistema riorganizzazione

Riguardano sia le imprese (es. adattamenti agli impianti) che il sistema (ad es. sistemi collettivi di gestione) Di norma individuali Individuali

Costi indiretti di adattamento operativo

Legati allaccesso al sistema

Variabili (es. Di norma maggiori costi pagati per materia prima) Variabili Costi non pagati (mancato guadagno) Costi pagati, spesso pagati congiuntamente ai costi diretti Costi pagati

Costi indiretti Legati al di non conformit funzionamento aziendale della Denominazione Costi complementari promozionali Costi complementari di sorveglianza e sanzione Legati al funzionamento della Denominazione Legati al funzionamento della Denominazione

Fissi o a scatti

Collettivi

Fissi

Collettivi, spesso sostenuti in parte dalloperatore pubblico

Fonte: nostra elaborazione

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5. I costi diretti delluso delle Denominazioni geografiche: casi di studio


I costi per lattivit di controllo e di certificazione sono sostenuti dalle imprese a fronte del servizio reso dagli OdC, cui spetta di verificare la rispondenza del prodotto e del processo ai contenuti del Disciplinare. In considerazione della rilevanza di tale componente di costo per il funzionamento delle Denominazioni, anche quale elemento di valutazione circa la presentazione o meno della richiesta di protezione allUnione Europea, stata svolta una specifica analisi empirica relativamente ad alcuni prodotti agroalimentari toscani che gi hanno ottenuto la protezione comunitaria (Olio Toscano IGP, Vitellone Bianco dellAppennino Centrale IGP e Pecorino Toscano DOP), con lobiettivo di mettere in risalto lentit relativa di tale componente di costo e il modo con cui i costi di controllo e di certificazione sono ripartiti tra le diverse categorie di imprese (sia a livello orizzontale che verticale) interessate alla Denominazione, anche a seguito dellazione dei Consorzi e delle istituzioni pubbliche locali. 5.1. Pecorino Toscano DOP Il Pecorino Toscano DOP regolato da un Disciplinare che lascia alle imprese un certo margine di libert su taluni aspetti del processo e del prodotto, al fine di includere nella Denominazione le diverse variet di Pecorino tradizionalmente presenti sul territorio regionale. Il Piano dei Controlli identifica quattro fasi principali nella filiera del Pecorino Toscano DOP: lallevamento ovino e la relativa produzione di latte, la raccolta del latte stesso, la caseificazione e la stagionatura del formaggio. Ogni fase del processo produttivo controllata annualmente dallOrganismo di Controllo, e il costo totale che deriva dalle operazioni di verifica e certificazione distribuito lungo tutta la filiera. Numerosi operatori della filiera sono riuniti nel Consorzio di Tutela del Pecorino Toscano, che svolge attivit di assistenza tecnica ai propri associati, organizza la tenuta dei registri relativi al latte prodotto e a quello caseificato, e supporta le operazioni di marketing delle singole imprese realizzando iniziative promozionali. Il Consorzio agisce da struttura associativa intermedia, predisponendo per le imprese (anche quelle non associate) la documentazione amministrativa necessaria per lo svolgimento delle attivit di verifica e certificazione da parte dellOdC, consentendone cos una semplificazione notevole dellattivit e risparmi nelle tariffe. Parte della quota associativa al Consorzio erogata dagli associati destinata a coprire i costi che il Consorzio sostiene per i servizi di tenuta della documentazione, supporto amministrativo e promozione del prodotto, e che in assenza di questa istituzione intermedia sa161

rebbero stati erogati direttamente dai produttori allOdC e/o sostenuti internamente allazienda. La determinazione dei costi di controllo e certificazione complessa poich alcuni operatori (allevatori) pagano una tariffa per la certificazione ed una per i servizi consortili (tab. 3, II e III colonna), mentre altri (caseifici e stagionatori) pagano al Consorzio ununica tariffa che comprende entrambe le voci (tab. 3, III colonna). Inoltre i produttori non associati al Consorzio instaurano rapporti diretti con lOdC, e non stato possibile quantificare lammontare dei costi sostenuti per la predisposizione della documentazione, e il modo con cui questi si ripartiscono tra OdC e azienda controllata.
Tabella 3 Pecorino Toscano DOP: costi di controllo e di certificazione, e costi di adesione al Consorzio di Tutela (valori in euro, riferiti ad anno)
Costi certificazione DOP Costi di adesione al Consorzio di Tutela

Allevatori Quota proporzionale Quota fissa Raccoglitori Quota proporzionale Quota fissa Caseifici Quota proporzionale Quota fissa Stagionatori Quota proporzionale Quota fissa
Fonte: indagine diretta

21,00 620,00 (solo se non consorziati) 0,0085/forma 300,00 (solo se non consorziati) 0,0085/forma 300,00

0,001/lt. 100,00 (compresi costi di certificaz.) 0,10/kg 2.000,00 (compresi costi di certificaz.) 0,10/kg 1.000,00

Gli allevatori e i raccoglitori del latte pagano allOdC una tariffa annuale indipendente dalla quantit prodotta o raccolta, mentre i caseifici e gli stagionatori pagano una tariffa annuale pi una tariffa proporzionale al numero di forme di Pecorino Toscano certificate (tab. 3, II colonna). Inoltre gli allevatori devono pagare al Consorzio di Tutela sia una quota fissa che una proporzionale ai litri di latte prodotti e destinati alla produzione di Pecorino Toscano DOP, cos come i caseifici e gli stagionatori devono pagare una quota fissa annua pi una quota proporzionale al quantitativo di Pecorino Toscano prodotto: questi pagamenti includono anche la tariffa destinata allOdC, mentre i raccoglitori non pagano alcuna quota al Consorzio, non essendo associati ad esso (tab. 3, III colonna).
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Per una valutazione dei costi di controllo e certificazione opportuno considerare che il prezzo medio allingrosso del Pecorino Toscano DOP pari a circa 7,50 euro/Kg per il pecorino fresco e 9,00 euro/Kg per quello stagionato (le uniche tipologie previste dal Disciplinare di produzione), anche se il prezzo varia molto secondo il canale commerciale, la sua collocazione geografica e la strategia di marketing delle singole aziende. 5.2. Olio Toscano IGP Il Disciplinare di Produzione dellOlio Toscano IGP interessa lintero processo produttivo dellolio, imponendo la tracciabilit completa del prodotto, dallorigine delle olive fino al momento dellimbottigliamento. Le aziende che utilizzano la Denominazione vengono sottoposte dallOdC a verifiche in azienda: una parte di esse avvengono una tantum, come il controllo delle variet di olivo, altre invece hanno carattere periodico, altre ancora sono basate su prove documentali su un campione di aziende. Le caratteristiche del prodotto finale sono invece verificate direttamente per ogni lotto di imbottigliamento da panel di assaggio e laboratori chimici. La polverizzazione delle aziende olivicole e della filiera6 e le specificit dei canali commerciali dellolio hanno richiesto la presenza di una struttura intermedia il Consorzio di tutela dellOlio di Oliva Toscano in grado, oltre che di svolgere le attivit di promozione su scala internazionale, di supportare lOdC agevolando la predisposizione della documentazione amministrativa da parte delle imprese. Per implementare al meglio questo sistema di tracciabilit il Consorzio ha attivato un sito web allinterno del quale ogni azienda della filiera IGP pu inserire la propria documentazione, che in tal modo pu essere pi agevolmente (e dunque con costi molto inferiori) verificata dallOdC. Le attivit dellOdC e quelle di supporto svolte dal Consorzio sono quindi strettamente legate, tanto che molto difficile separare i costi relativi alluna e allaltra attivit. La struttura dei costi di controllo e di certificazione dellOlio Toscano IGP (tabella 4) fortemente influenzata anche dalla natura dei controlli, e in particolare dalle analisi chimico-fisiche e organolettiche, che hanno carattere fisso per ogni lotto di confezionamento. Questi costi sono sostenuti solo dalle aziende che effettuano limbottigliamento, che devono pagare una tariffa minima di 309,87 euro (IVA esclusa) per ogni lotto: questo importo per inclu6. A titolo di esempio si consideri che durante la campagna 2002/2003 la quantit di olio certificato Toscano IGP ammontava a 2.500 tonnellate, prodotte da 9.900 aziende olivicole e 244 molitori, confezionate poi da 258 imbottigliatori; i lotti di imbottigliamento sono stati pari a 358 con una media di 70 quintali di olio di oliva per lotto, sebbene questi fossero costituiti da pochissimi lotti di grandi dimensioni e molti di medie e piccole dimensioni.

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de il costo di tutte le analisi, dei controlli e quello relativo alle pratiche burocratiche, oltre alla quota di costo vivo dovuta allOdC. Per i lotti oltre gli 800 Kg le aziende di confezionamento pagano un costo per bottiglia (variabile sulla base della capacit delle bottiglie utilizzate, ad esempio euro 0,34 per ogni bottiglia da 1 lt. e euro 0,26 per quelle da 0,75 lt.); questo pagamento diviso tra lOdC (a titolo di attivit ispettiva) e il Consorzio (per fornitura di etichette e attivit di marketing). Tutti i costi sono sostenuti direttamente dalle aziende che imbottigliano Olio Toscano IGP, che possono essere olivicoltori o molitori che effettuano vendita diretta oppure aziende specializzate in imbottigliamento, in alcuni casi di grandi dimensioni. Dato che questa distribuzione dei costi penalizzava le aziende di piccole dimensioni che effettuavano imbottigliamento, durante la campagna 2002-03 il Consorzio ha deciso di ridurre la quota fissa per lotto pagata dagli imbottigliatori (da 309 euro a 100 euro) e la dimensione del lotto oltre la quale inizia ad essere applicata la quota proporzionale (da lotti di 800 Kg a lotti di 265 Kg circa): questa iniziativa ha permesso anche ai piccoli imbottigliatori di partecipare al circuito IGP.
Tabella 4 Olio Toscano IGP: costi diretti di certificazione e costi di adesione al Consorzio di Tutela
Costi certificazione IGP Costi Consorzio di Tutela

Coltivazione e raccolta olive Quota Fissa (per azienda)

Quota proporzionale Molitura Quota Fissa (per azienda)

euro 15,00 (una tantum I anno) euro 15,00 (una tantum I anno) euro 309,87

euro 15,00/anno + (euro 11,00 una tantum I anno) euro 15,00/anno + (euro 11,00 una tantum I anno)

Quota proporzionale Imbottigliamento Quota fissa (per lotto conf.) Quota proporzionale (lotti 800 Kg)

0,38 euro/Kg (costi certificazione + costi consorzio)

Fonte: Consorzio di tutela dellOlio di Oliva Toscano.

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La tabella 5 illustra gli effetti delle tariffe scontate per alcune quantit di Olio Toscano IGP imbottigliato; come si pu notare lammontare del costo per ogni Kg di olio con o senza sconto inversamente proporzionale al quantitativo prodotto; la restante parte della tariffa minima dovuta allente di controllo coperta dal Consorzio stesso grazie alla parte proporzionale della tariffa. La politica a favore dei piccoli produttori/imbottigliatori molto importante anche in considerazione dellincidenza dei costi di controllo e di certificazione sul prezzo di vendita dellOlio Toscano IGP che, sul mercato finale, varia tra i 5 e i 10 euro per confezione da 0,75 lt.
Tabella 5 Andamento dei costi di controllo e di certificazione dellOlio Toscano IGP per una bottiglia da 0,75 lt. (Fase di imbottigliamento, importi in euro)
Lotto di confezionamento Kg 200 Kg 300 Kg 400 Kg 800 Kg 1.000

Per Lotto Senza sconto Con sconto Differenza Per Kg Senza sconto Con sconto Differenza

309 100 209

309 113 196

309 151 158

309 309 0

378 378 0

1,55 0,50 1,05

1,03 0,38 0,65

0,77 0,38 0,39

0,38 0,38 0,00

0,38 0,38 0,00

Fonte: nostra elaborazione su dati Consorzio Olio Toscano.

5.3. Vitellone Bianco dellAppennino Centrale IGP - Chianina Secondo il Disciplinare di Produzione del Vitellone Bianco dellAppennino Centrale IGP Chianina, e il Piano dei controlli che ne deriva, il processo produttivo suddiviso nelle fasi di allevamento, di macellazione e sezionamento delle carcasse, e di commercializzazione. I costi di controllo e di certificazione, secondo il tariffario dellOdC, non sono proporzionali al peso dei vitelli ma al numero degli animali controllati o di carcasse marchiate, con tariffe diverse per allevatori, macellatori e laboratori di sezionamento a seconda della tipologia di servizio richiesta allOdC. La distribuzione dei costi di certificazione lungo la filiera dipende dai servizi richiesti allOdC: in particolare lintervento diretto dellOdC richiesto nella fase di allevamento, che rappresenta un punto critico per garantire la qualit delle carni e pertanto sottoposta a verifiche sulla purezza della razza dei vitelli e sulla loro alimentazione, nonch nella fase di sezionamento, quando viene apposto il marchio IGP sui 18 tagli di ogni carcassa previsti dal Disciplinare di Produzione, momento importante per garantire lorigine delle carni.
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Il controllo delle carni di Chianina IGP attuato anche a livello documentale per verificare la tracciabilit del prodotto, e a livello ispettivo analitico per dimostrare che questo risponda ai parametri chimico fisici stabiliti nel Disciplinare di produzione. La maggior parte degli allevatori di Chianina IGP portano i propri vitelloni ai mattatoi di zona, che dopo averli macellati e sezionati li rendono agli allevatori stessi, e anche in questo caso i costi di certificazione relativi al controllo e alla marchiatura delle carcasse sono interamente sostenuti dagli allevatori (in quanto sono loro a richiedere lintervento dellOdC). Il Consorzio di Tutela assolve a molteplici funzioni: oltre a gestire la registrazione dei vitelli al Libro Genealogico Nazionale, svolge il ruolo di intermediario tra i propri associati (che sono soltanto allevatori) e tutti gli altri operatori di filiera, oltre che con Enti locali e Istituzioni nazionali e comunitarie; esso inoltre fornisce ai suoi membri molti servizi quali ad esempio attivit promozionali, gestione delle pratiche burocratiche e assistenza tecnica, che sono inclusi, in termini di costo, nelle quote pagate al Consorzio dagli operatori della filiera della carne di Chianina IGP. Il Consorzio ha un maggior potere contrattuale di ogni singolo allevatore nella negoziazione delle tariffe con lOdC; inoltre facilita lattivit dellOdC stesso fungendo da collettore di informazioni e di documentazione. Grazie anche allintervento del Consorzio i costi diretti di certificazione si attestano in circa 20,66 a carcassa che, considerando un prezzo medio della carcassa marchiata IGP di 2000 , incidono sul prezzo finale per solo l1%. Evidentemente i costi diretti in s non costituiscono un deterrente alla certificazione del prodotto, tuttavia come abbiamo sottolineato vi sono un insieme di altri oneri di adattamento e non conformit per lazienda che possono effettivamente condizionare le scelte imprenditoriali.
Tabella 6 Vitellone Bianco dellAppennino Centrale Chianina IGP: costi diretti di certificazione e costi di adesione al Consorzio di Tutela
Costi certificazione IGP Costi Consorzio di Tutela

Allevamento Quota proporzionale Quota fissa Sezionamento Quota proporzionale Quota fissa Commercializzazione Quota proporzionale Quota fissa
Fonte: interviste dirette

euro 1,30/capo

euro 19,36/carcassa euro 25,00/anno (+ euro 25,00 una tantum I anno) euro 1,30/carcassa euro 256,00 una tantum (materiale pubblicitario con logo IGP)

euro 19,36 /carcassa

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6. Entit e distribuzione dei costi diretti di certificazione


Lanalisi dei casi analizzati conferma come lentit dei costi diretti di certificazione sia una variabile importante nella valutazione di convenienza da parte delle imprese dellutilizzo della Denominazione quale strumento di valorizzazione del prodotto tipico. Lentit dei costi dipende ampiamente dalle norme contenute nel Disciplinare (e dunque dalla strategia che ha ispirato le imprese nella sua definizione) e dalla tipologia di controlli necessari a verificare la rispondenza del prodotto (o processo produttivo) a tali norme; di grande rilievo anche il modo con cui il Piano dei controlli traduce in prescrizioni operative le norme previste dal Disciplinare. Particolarmente critiche sono le prescrizioni riguardanti le caratteristiche fisico-chimiche o organolettiche che il prodotto finito deve avere per essere certificabile come DOP o IGP. In questi casi potr infatti essere necessaria unanalisi di laboratorio o una valutazione di tipo panel test, che spesso deve essere affidata a soggetti diversi dallOdC, con un conseguente forte innalzamento dei costi. Lopportunit di prevedere tali prescrizioni dovr essere valutata quindi in sede di costituzione del Disciplinare alla luce della effettiva funzionalit rispetto alla garanzie del livello qualitativo desiderato del prodotto. La quantificazione del costo diretto di certificazione per unit di prodotto e quindi della sua incidenza sul prezzo finale risulta estremamente difficoltosa nei casi analizzati, in quanto la componente fissa dei costi di certificazione comporta una variabilit del costo medio in funzione del volume effettivamente certificato; un ulteriore fattore di complessificazione del calcolo del costo diretto deriva dal fatto che il Consorzio spesso riscuote gli importi della certificazione per conto dellOdC congiuntamente alle quote associative per il finanziamento delle proprie attivit (promozione ecc.). Grande rilevanza assume inoltre la modalit in base alla quale i costi vengono distribuiti verticalmente, vale a dire tra le varie fasi della filiera, e orizzontalmente, cio tra gli operatori della medesima fase. La distribuzione verticale dei costi diretti di certificazione nei casi esaminati appare molto diversa, e dipende in primo luogo da quali fasi della filiera sono interessate dalle norme del Disciplinare: ad esempio le prescrizioni inerenti il metodo di confezionamento influenzeranno fortemente gli operatori che svolgeranno quella fase e che dovranno essere soggetti al controllo dellOdC, mentre prescrizioni riguardanti la modalit di ottenimento della materia prima influenzeranno direttamente i produttori di questultima. Ad esempio nella filiera del Vitellone Bianco IGP i costi di certificazione sono sostenuti soltanto dagli allevatori e dai sezionatori: le fasi di allevamento e marchiatura delle carcasse sono state infatti considerate in sede di redazione del Disciplinare come punti particolarmente importanti per garantire la qualit del prodotto.
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La distribuzione verticale dei costi dipende anche da motivi di razionalizzazione e contenimento degli oneri complessivi della filiera. Nel caso dellOlio toscano IGP la gran parte del costo di certificazione sostenuto dagli operatori che praticano limbottigliamento (prescindendo dal fatto che si tratti di aziende agricole o di grandi imprese di confezionamento): in questa fase devono svolgersi analisi fisico-chimiche e panel test sullolio di oliva, ma de facto gli imbottigliatori contribuiscono anche alla copertura di tutti gli altri costi di controllo che sono stati svolti nelle precedenti fasi del processo. In effetti limbottigliamento rappresenta la fase in cui si crea il maggiore valore aggiunto del prodotto, ed svolta da un ridotto numero di aziende, di dimensioni grandi relativamente a quelle che operano solo nella fase di coltivazione: ci permette di mantenere bassi i costi di funzionamento e di transazione relativi alle verifiche da effettuare, grazie al raggruppamento dei controlli pi importanti e alla concentrazione dei prelievi (e dei relativi costi). Imprese olivicole e frantoi non imbottigliatori sostengono comunque altre tipologie di costo, in particolare i costi di adattamento. Non comunque sufficiente esaminare il soggetto che sostiene direttamente il costo di certificazione, ma anche la sua capacit di trasferirlo ad altre componenti della filiera poste a monte o a valle sotto forma rispettivamente di minori o maggiori prezzi, in virt delle condizioni strutturali e operative vigenti sul mercato. La distribuzione orizzontale dei costi di certificazione, tra le imprese operanti allinterno delle singole fasi della filiera, ha importanti effetti sullaccesso delle differenti tipologie di impresa alluso della DOP-IGP. I tariffari dei prodotti esaminati evidenziano infatti la presenza di costi proporzionali al volume di prodotto certificato e di quote fisse, pagate di solito annualmente: questa divisione influenza direttamente la distribuzione orizzontale dei costi di certificazione tra operatori di grandi e piccole dimensioni. Lentit dei costi di certificazione e la loro distribuzione orizzontale e verticale pu essere fortemente influenzata dalla presenza e dalla strategia dei Consorzi che riuniscono gli operatori della filiera e assumono il ruolo di interfaccia tra lOdC e gli operatori stessi; essi possono aumentare il potere contrattuale dei propri associati al momento della definizione delle tariffe di certificazione, e in molti casi supportano la predisposizione della documentazione necessaria agli adempimenti burocratici per i propri aderenti arrivando di fatto a svolgere un ruolo attivo nel processo di controllo. Il Consorzio pu negoziare con lOdC tariffe pi basse per le analisi e le ispezioni, non solo operando un bilanciamento di potere contrattuale (particolarmente utile per i produttori di piccole dimensioni) ma anche contribuendo ad un contenimento effettivo dei costi dellOdC stesso. In molti casi ad esempio il Consorzio contribuisce alla predisposizione della documentazione da verificare riguardante ogni singolo produttore e in alcuni casi anche allattivit di autocontrollo dei produttori: la frammentazione produttiva della mag168

gior parte dei prodotti esaminati comporterebbe numerose visite ispettive disperse sul territorio, con conseguenti incrementi delle tariffe di controllo soprattutto nella loro componente fissa, e dunque penalizzando soprattutto ladesione dei piccoli produttori. Per quanto concerne la distribuzione orizzontale, ad esempio nel caso dellOlio Toscano IGP il Consorzio opera una politica redistributiva volta a trasferire parte degli oneri fissi dalle piccole alle grandi imprese, rendendo pi sostenibile lutilizzo della IGP alle imprese di imbottigliamento che avrebbero potuto esserne escluse. Altrettanto importante e frequente la politica di distribuzione verticale dei costi attuata dai Consorzi, effettuata anche mediante la modulazione della quota associativa annuale richiesta, come evidenziato nei paragrafi precedenti. Ad esempio nel caso dellolio Toscano IGP il fatto di avere ridotto notevolmente gli oneri finanziari per le imprese olivicole non imbottigliatrici fornisce agli olivicoltori un fondamentale incentivo alla produzione di un olio conforme al Disciplinare, favorendo la nascita di un mercato locale atto a divenire IGP e dunque facilitando lattivit degli imbottigliatori. Nel caso del Vitellone Bianco IGP il totale dei costi effettivi (inclusi quelli relativi al Consorzio) sostenuti dagli allevatori di Chianina IGP e dai sezionatori per ogni animale controllato e carcassa marchiata sono uguali, sia pure a fronte di adempimenti effettivi molto diversi. Lattivit dei Consorzi si rivela dunque essenziale, nei casi esaminati ladesione delle imprese a tali organismi molto elevata e questi nella quasi totalit dei casi svolgono la funzione di interfaccia tra le imprese e gli OdC, oltre che attivit di assistenza tecnica ed azioni di valorizzazione e promozione del prodotto.

7. Considerazioni conclusive
Lanalisi svolta ha evidenziato la pluralit delle componenti di costo derivanti dalla istituzione e dallimpiego di una Denominazione geografica le quali interessano la singola impresa ma anche la collettivit degli attori coinvolti e la necessit delladozione di una prospettiva intertemporale per una corretta valutazione. Numerosi costi, pur se percepiti dalle imprese nella loro importanza, sono difficilmente quantificabili anche a causa dellassenza di specifiche rilevazioni contabili da parte dei produttori interessati alla produzione dei prodotti protetti, derivante dalla loro tipologia (piccole imprese, spesso artigianali, talvolta produttori non professionali) ma anche dal fatto che spesso il prodotto DOP-IGP rappresenta una parte non centrale dellattivit aziendale. Nelle imprese coinvolte nella produzione del prodotto tipico fin da prima del riconoscimento della Denominazione geografica i costi diretti di certifica169

zione sono spesso lelemento cui si guarda con maggiore attenzione ai fini della decisione se utilizzare o meno la DOP-IGP, mentre si tende a trascurare altre componenti di costo altrettanto rilevanti, o addirittura pi rilevanti. Lentit dei costi diretti di certificazione dipende in maniera molto importante dalla struttura e dalle prescrizioni del Disciplinare, che talvolta dettagliano aspetti di scarsa rilevanza per la qualit complessiva del prodotto, generando costi di controllo non giustificabili dal punto di vista della valorizzazione sul mercato finale. Tali prescrizioni possono per trovare giustificazione in altri aspetti, quali la volont di creare barriere allentrata per nuovi produttori, o linteresse a garantire la presenza di certi caratteri del processo produttivo in virt dei loro effetti positivi sullambiente locale; in questo ultimo caso la prospettiva quella della strategia di qualit territoriale di cui la valorizzazione del prodotto pu divenire parte essenziale (Pacciani et al., 2003). Le prescrizioni del Disciplinare devono essere tradotte in punti critici e attivit di controllo nellambito del Piano dei controlli. Lanalisi ha evidenziato come in sede di redazione del Piano vi siano margini di manovra significativi per contemperare le esigenze di garanzia e qualit dei controlli e quelle del contenimento dei costi. Il mantenimento di un regime di reale e fattiva concorrenza tra gli organismi di controllo fondamentale, ma essa deve realizzarsi nellambito di una attenta supervisione da parte di organismi superiori sia privati che pubblici. Tanto la struttura del Piano dei controlli che le scelte in materia di formazione del tariffario influenzano fortemente la ripartizione verticale dei costi diretti di certificazione tra gli operatori delle varie fasi della filiera. Nei casi ove la produzione della materia prima diffusa tra un grande numero di imprese appare pi razionale che la riscossione delle tariffe di certificazione avvenga presso le imprese dove avviene la concentrazione della materia prima, e ci per motivazioni di tipo sia economico (riduzione dei costi di transazione, presenza di effetti di traslazione del prelievo della tariffa) che di efficacia del sistema (possibilit di valutare nella fase terminale lopportunit o meno di richiedere la certificazione allOrganismo di controllo, laddove si debbano sostenere costi significativi per le verifiche di conformit sul prodotto finito, quali test di assaggio o analisi chimico-fisiche). In generale la determinazione di tariffe di certificazione con componenti fisse semplifica le operazioni di quantificazione e riscossione, ma comporta possibili effetti di discriminazione per i produttori di pi modeste dimensioni. I costi diretti di certificazione vengono sovente riscossi attraverso i Consorzi, i quali hanno quindi possibilit di rimodularne la distribuzione tra le fasi della filiera e/o tra soggetti della stessa fase dotati di differenti caratteristiche strutturali e/o operative. Tale fatto pu rivestire grande importanza nel favorire laccesso delle piccole imprese allimpiego della DOP-IGP, che si rivela uno dei punti pi critici del parziale insuccesso delle Denominazioni dal lato dellofferta.
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Pur non avendo provveduto nel corso dellindagine diretta a una loro sistematica quantificazione, in base alle evidenze raccolte i costi di adattamento strutturale e operativo sono risultati importanti, ma di entit molto variabile tra aziende diverse per caratteristiche strutturali e operative. Anche per queste tipologie di costo gli organismi associativi possono agevolare le imprese di minori dimensioni e/o meno strutturate nellutilizzo della Denominazione, fornendo assistenza tecnica e servizi amministrativi; di grande importanza , pi in generale, il ruolo di interfaccia che essi possono svolgere rispetto agli Organismi di controllo. Lentit assoluta dei costi totali duso delle Denominazioni, tanto diretti che di altra natura, rappresenta comunque solo una delle componenti su cui le imprese valutano la convenienza allimpiego della DOP-IGP nelle proprie strategie operative, che deve essere attentamente bilanciata con i benefici ottenibili. Ci in un ottica non di breve periodo, tanto dal punto di vista dei costi (costi pi alti derivanti da prescrizioni pi rigide o controlli pi accurati possono nel medio periodo innalzare la qualit media del prodotto percepita dal consumatore e innescare positivi fenomeni di reputazione collettiva) che da quello dei ricavi (oltre al maggior prezzo si tratta di valutare numerosi altri aspetti, quali laccesso a nuovi canali, il consolidamento dei rapporti commerciali, ecc.). Tanto per i costi che per i benefici la dimensione individuale deve essere integrata dagli aspetti collettivi che riguardano tanto la filiera del prodotto tipico che il territorio di produzione nel suo complesso, tenendo conto delle diverse valenze del prodotto tipico sia per la collettivit delle imprese della filiera (ivi compresi gli aspetti distributivi) che per la societ locale nel suo complesso. La identificazione e valutazione di tali aspetti molto difficile in quanto dipende strettamente dal punto di vista del soggetto considerato. Sul territorio la Denominazione geografica pu avere effetti positivi anche su attori non direttamente coinvolti nella filiera, ad esempio favorendo lo sviluppo di attivit turistiche o artigianali, ma anche implicazioni a livello sociale e ambientale, e in particolare consentire la sopravvivenza di metodi produttivi e di agroecosistemi tradizionali e incoraggiare le interazioni sociali. Si tratta di implicazioni che devono essere attentamente valutate non solo dagli agenti della filiera, ma soprattutto dagli operatori pubblici locali. Proprio in virt delle esternalit positive che lottenimento della protezione comunitaria pu generare sulla societ locale e sui consumatori in generale dovrebbe essere valutata la possibilit di studiare delle forme di supporto alla gestione della Denominazione e al sostenimento dei costi di certificazione anche da parte di soggetti diversi dagli effettivi utilizzatori della Denominazione stessa.

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8. IL PROCESSO DI VALORIZZAZIONE DELLE PRODUZIONI AGROALIMENTARI TIPICHE*


di Giovanni Belletti, Gianluca Brunori, Andrea Marescotti, Alessandro Pacciani, Adanella Rossi

1. Introduzione
La valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici un processo complesso che coinvolge una pluralit di attori, i quali sono portatori di specifici interessi e quindi, potenzialmente, perseguono obiettivi e strategie individuali diversi e talvolta contrastanti. A monte di ci sta lo stretto e profondo rapporto che il prodotto tipico e il suo sistema di produzione hanno con il territorio, un rapporto che coinvolge una molteplicit di capitali (naturale, culturale, umano e sociale) sui quali il funzionamento del sistema di produzione e consumo esercita effetti positivi e negativi. Tale complessit fa s che la valorizzazione dei prodotti tipici assuma un significato e quindi una valenza che va oltre la semplice commercializzazione, configurandosi come un processo in grado di creare un valore pi complesso, comprensivo anche di componenti extra-economiche. La valorizzazione del prodotto tipico determina un insieme di effetti indiretti che devono essere valutati in una prospettiva di equit e di sostenibilit. Tutto ci ha profondi effetti sulle metodologie e sugli strumenti di analisi da impiegare per disegnare e per valutare le attivit di valorizzazione di tali prodotti. Lobiettivo di questo lavoro quello di fornire alcuni elementi di ordine metodologico sui passaggi fondamentali da affrontare in sede di impostazione di una strategia di valorizzazione e sulle principali aree in cui questa strategia deve essere articolata. Ci consentir di trarre indicazioni sui principi da adottare per la valutazione di una strategia di valorizzazione.
*. Il presente saggio stato concepito dagli Autori in maniera congiunta; sono comunque da attribuirsi a Gianluca Brunori i paragrafi 1 e 4.1, a Giovanni Belletti i paragrafi 3 e 4.2, ad Andrea Marescotti i paragrafi 2 e 4.3, ad Alessandro Pacciani il paragrafo 5 e ad Adanella Rossi il paragrafo 4.4.

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La trattazione prender avvio con una discussione sulle molteplici dimensioni della tipicit dei prodotti agroalimentari, per poi analizzare il concetto di valorizzazione riferito ai prodotti tipici individuandone principi, obiettivi e problematiche. Verr poi proposta una scomposizione dellattivit di valorizzazione in alcune fasi strategiche che tengano conto della specificit dei prodotti tipici e dei loro sistemi produttivi, discutendo per ciascuna area strategica obiettivi, azioni e problematiche. In conclusione verranno proposte alcune considerazioni sulla valutazione della valorizzazione dei prodotti tipici.

2. Tipicit, innovazione e dimensione collettiva


Il prodotto agroalimentare tipico pu essere definito come un prodotto che presenta alcuni attributi di qualit unici che sono espressione delle specificit di un particolare contesto territoriale in cui il processo produttivo si realizza. Le qualit del prodotto, tanto materiali che immateriali, sono irriproducibili al di fuori di quel particolare contesto economico, ambientale, sociale e culturale, e pertanto uniche. Il prodotto tipico deriva la propria specificit dallessere intimamente legato al territorio, o meglio, secondo la terminologia francese, al terroir (Delfosse, 1996; Casabianca et al., 2005). Tre sono le dimensioni rilevanti nel determinare la tipicit del prodotto agroalimentare: la specificit delle risorse locali impiegate nel processo produttivo; la storia e la tradizione produttiva; la dimensione collettiva e la presenza di conoscenza condivisa a livello locale (Barjolle, Boisseaux e Dufour, 1998; Brard e Marchenay, 1995; Casabianca et al., 2005). Le risorse specifiche locali determinano le peculiarit degli attributi di qualit del prodotto tipico derivanti dallambiente fisico in cui il prodotto realizzato, e in particolare dallambiente pedo-climatico e dalle risorse genetiche. Tuttavia ricondurre la tipicit di un prodotto agroalimentare al solo legame con le risorse naturali appare riduttivo, dal momento che sempre lazione delluomo che permette alle risorse naturali di esprimere le loro potenzialit, come appare con particolare evidenza per i prodotti trasformati (quali formaggi e salumi), per i quali si fa riferimento alle particolarit assunte dalle pratiche e tecniche di condizionamento e trasformazione della materia prima, pratiche altamente specifiche tramandatesi nel tempo, e originate dallevoluzione della conoscenza e dagli adattamenti delle tecniche di lavorazione al particolare contesto ambientale e sociale del luogo. Nei prodotti agroalimentari tipici per la componente della tradizione storica ad assumere un carattere centrale, almeno nellaccezione di tipicit prevalente allinterno dei paesi mediterranei, Italia e Francia in testa. infatti attraverso un processo evolutivo che nel tempo si formano, si diffondono, si
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modificano, si perfezionano e si adattano le tecniche e i saper-fare degli attori locali al contesto socio-economico, ambientale e culturale del luogo. Il legame del prodotto tipico col territorio va riferito per anche agli aspetti di cultura e di identit locale, quando il prodotto tipico caratterizza la memoria storica della popolazione locale e rappresenta per essa un elemento identitario. Lelemento culturale e identitario assume allora una importantissima valenza catalizzatrice della volont della collettivit locale di preservare il prodotto, e rafforza i percorsi di valorizzazione che vengono attivati localmente (Brard, Marchenay e Casabianca, 2005). Il riferimento al legame col tempo e con la memoria, con le tradizioni locali e con la cultura, introduce una importantissima questione attorno ai prodotti agroalimentari tipici, quella dellinnovazione: tema centrale in quanto molto spesso la valorizzazione del prodotto tipico richiede lintroduzione di modifiche rispetto alla tradizione, anche se talvolta solo a livello di procedure e routines organizzative. Il legame tra prodotto e territorio viene continuamente re-interpretato alla luce dei cambiamenti del contesto locale e globale, ed proprio la collettivit locale che si deve fare garante del mantenimento dellautenticit del prodotto e della permanenza delluso delle risorse specifiche locali che conferiscono il carattere unico e irripetibile al prodotto (De Sainte Marie e Casabianca, 1995). Ma fino a che punto uninnovazione, sia essa di natura tecnologica, organizzativa, o pi semplicemente nelle modalit di confezionamento e presentazione del prodotto, pu essere autorizzata senza far perdere al prodotto le sue peculiarit e i suoi tratti di irriproducibilit al di fuori di quel contesto locale? Fino a che punto possibile modificare i fattori fondanti della tipicit, ossia i vari tipi di legame che sussistono tra prodotto e territorio? Si tratta di questioni di grande spessore1, che hanno importanti riflessi operativi nel momento in cui si proceda a una codifica dei metodi di produzione. Linnovazione in effetti sembra a prima vista incompatibile con il rispetto della tradizione; daltra parte nel corso della sua storia il prodotto non rimasto immutato, ma stato adattato alle esigenze di carattere produttivo, commerciale, normativo, ambientale, sociale e culturale. La tradizione deve dunque essere reinterpretata e negoziata allinterno della comunit dei produttori e della societ locale, dopo aver identificato un nocciolo duro della tipicit che non pu essere che il frutto della riflessione, e talvolta anche del conflitto, tra gli attori locali (De Sainte Marie et al, 1995). Storia e tradizioni culturali rimandano a una seconda particolarit dei prodotti agroalimentari tipici, la dimensione collettiva (Berriet, 1995; Barjolle,
1. Per una discussione su questi aspetti con riferimento al caso del Prisuttu (prosciutto crudo) in Corsica, e in particolare sugli adattamenti nelle tecniche di salagione e stagionatura introdotti anche per tenere conto delle esigenze dei consumatori odierni, si vedano Casabianca e de Sainte Marie (1998), De Sainte Marie e Casabianca F. (1995).

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Chappuis e Sylvander, 1998; Belletti, Brunori, Marescotti e Rossi, 2002). Ci che infatti distingue il prodotto tipico da un qualsiasi prodotto di qualit specifica che, proprio dal legame con un dato territorio che si affermato, affinato, consolidato e modificato nel corso del tempo allinterno di una comunit di persone, esso strettamente legato ad una collettivit e non ad un singolo individuo o impresa. Le particolarit assunte dal legame del prodotto col territorio di origine sono lesito di un articolato processo evolutivo di contrattazione tra i produttori locali, e tra di essi e la popolazione locale nonch, nel tempo, quando il sistema si apre ai mercati pi distanti, con i consumatori e i cittadini non locali. Il prodotto tipico la risultante di questa interazione, e incorpora un sapere costruito nel tempo e condiviso allinterno di una collettivit territorializzata. Il processo di accumulazione e sedimentazione di conoscenza (spesso contestuale e non codificata) rende il prodotto lespressione della societ locale nella sua organizzazione, nei suoi valori, nelle sue tradizioni e nei suoi gusti adattati al contesto ambientale, economico, sociale e culturale del luogo. A questo proposito si parla spesso di dimensione patrimoniale del prodotto tipico (Brard e Marchenay, 2004): il prodotto, e le modalit per produrlo, conservarlo, distribuirlo, consumarlo ed apprezzarlo entrano a far parte del patrimonio della collettivit locale che, sola, legittimata ad appropriarsene per finalit economiche, sociali, culturali. La tipicit quindi non si costruisce solo sulle caratteristiche del processo produttivo e del prodotto, ma soprattutto sulle relazioni tra attori del sistema. Proprio per la sua natura identitaria e collettiva attorno al processo di valorizzazione del prodotto tipico sono solitamente coinvolte numerose tipologie di attori. Ad esempio gli attori possono o meno essere coinvolti direttamente nella produzione e distribuzione del prodotto (nella filiera), possono avere natura individuale o collettiva, e se collettivi si pu trattare di Amministrazioni locali o di istituzioni intermedie (organizzazioni di imprese, pro-loco, associazioni di consumatori, ecc.). Non tutti gli attori sono necessariamente inseriti nella collettivit locale (ad es. operatori della filiera non locali, istituzioni scientifiche, istituzioni pubbliche e associazioni di consumatori nazionali), e ciascun attore ha una visione del prodotto tipico che dipende dai propri interessi (economici, sociali, politici, scientifici, ecc.). Dalla diversit degli attori deriva una diversit degli obiettivi che si intendono conseguire mediante la valorizzazione. Una definizione pi completa di prodotto tipico, che tenga conto degli aspetti sopra ricordati, la seguente: Un prodotto agroalimentare tipico lesito di un processo storico collettivo e localizzato di accumulazione di conoscenza contestuale che si fonda su di una combinazione di risorse territoriali specifiche sia di natura fisica che antropica che d luogo ad un legame forte, unico e irriproducibile col territorio di origine.
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3. Qualit, valore e valorizzazione dei prodotti tipici


Il concetto di valorizzazione intesa come attivit volta ad aumentare il valore del bene di per s molto articolato e nel caso del prodotto tipico assume ulteriori elementi di complessit derivanti dai legami con le risorse locali, dalla dimensione collettiva e dalle relazioni con la comunit locale, implicando quindi aspetti che oltrepassano la dimensione aziendale. La creazione del valore si basa su una dialettica tra mondo della produzione, che incorpora nel prodotto delle risorse e dunque dei valori-costo, e i bisogni espressi dalla societ, che riconosce nel prodotto dei valori duso ma anche altre componenti non necessariamente legate alluso diretto e immediato del prodotto (Endrighi, 1999). Dal legame con il territorio il prodotto tipico deriva infatti specifici attributi non solo di tipo materiale (aspetto, parametri chimico-fisici e organolettici) e immateriale (legame con cultura locale, ambiente, artigianalit e tradizionalit del processo produttivo), ma anche esterni, vale a dire derivanti dalle relazioni tra prodotto e territorio e fruibili appieno dal consumatore solo in maniera fortemente contestualizzata. Il consumatore che riconosce il valore di questi attributi sar disposto a pagare un sovrapprezzo per il prodotto tipico, non solo rispetto a un prodotto di base della stessa categoria merceologica ma anche rispetto a prodotti dotati di simili caratteri chimico-fisicoorganolettici ma di origine diversa (Belletti, 2003); per riduttivo appiattire il concetto di valore di un prodotto sul concetto di prezzo del prodotto stesso. La valorizzazione mira ad armonizzare le caratteristiche della produzione con le attese del consumo e della societ nel suo complesso, rendendo evidenti la pluralit degli attributi del prodotto e facendo maturare una disponibilit sulla base delle specificit del prodotto legate al territorio. Il prezzo che il prodotto tipico spunta sul mercato deriva per principalmente dal valore duso diretto attribuito dal consumatore attuale ma non sempre esprime altre componenti, quali il valore duso indiretto (del prodotto o di risorse legate al suo sistema produttivo), il valore ereditario (legato alla trasmissione alle generazioni future del prodotto o di aspetti ad esso collegati), il valore di esistenza (legato al mantenimento di risorse specifiche di tipo fisico, quali variet vegetali o razze a rischio di erosione genetica, e/o di tipo antropico, quali cultura e tradizioni locali) (De Groot et al. 2002). La valorizzazione consente il mantenimento del sistema tradizionale di coltivazione del prodotto tipico e dunque la riproduzione delle risorse che in esso sono coinvolte (si pensi ad esempio alle risorse genetiche specifiche, alle sistemazioni fondiarie, ai saper-fare e alle competenze dei produttori ma anche degli abitanti-utilizzatori, alle tradizioni locali, alle reti di relazioni tra i soggetti del sistema produttivo locale). Tali risorse entrano nel funzionamento di altri sistemi produttivi e ambientali, locali e non locali, generando
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una utilit di ordine superiore che interessa anche soggetti diversi dai produttori e dai consumatori del prodotto tipico, con ricadute sulle generazioni future. Di norma il consumatore attuale non potr farsi interamente carico, mediante il pagamento del prezzo, della remunerazione del complesso dei valori del prodotto tipico. Da qui un possibile supporto delloperatore pubblico, ed eventualmente di altri soggetti potatori di interesse collettivo (quali fondazioni o associazioni), mediante meccanismi non di mercato, quali incentivi monetari o aiuti agli investimenti2, o misure per favorire la creazione di mercati (ad esempio migliorando linformazioni ai consumatori o supportando ladozione di sistemi di qualificazione del prodotto, vedi infra). La capacit del sistema del prodotto tipico di remunerare le risorse endogene e dunque di riprodurre se stesso e i suoi effetti sullambiente esterno dipende da due aspetti: il modo in cui gli agenti (imprese e altri soggetti) incorporano nel prodotto tipico le risorse locali, e in particolare le risorse specifiche; e il fatto che i consumatori, o altri soggetti esterni al sistema, attribuiscano valore alle caratteristiche del prodotto tipico che derivano da queste risorse. Compito delle iniziative di valorizzazione del prodotto tipico proprio quello di articolare tra loro questi due aspetti. Dalla pluralit e dalla eterogeneit dei soggetti coinvolti nel prodotto tipico, discusse nel paragrafo precedente, deriva che mediante la valorizzazione possono essere perseguiti obiettivi di natura diversa3. Si vengono a determinare cos problemi di tipo collettivo che interagiscono in maniera complessa con gli aspetti individuali dimpresa. Il coordinamento tra le diverse categorie di attori (imprese ma anche altri soggetti) diviene dunque un fattore centrale per la valorizzazione del prodotto tipico. Si possono allora generare conflitti tali da compromettere il successo delliniziativa di valorizzazione e levoluzione nel tempo dello stesso sistema produttivo. Sostenibilit ed equit sono due aspetti della valorizzazione che vengono spesso trascurati, in special modo quando si guardi ad essa dal punto di vista della singola impresa. La remunerazione delle risorse impiegate nel processo di produzione non sufficiente per la sostenibilit della valorizzazione del prodotto tipico, la

2. Ad esempio la Regione Toscana prevede, attraverso risorse proprie (Legge n.64/2004 Tutela e valorizzazione del patrimonio di razze e variet locali di interesse agrario, zootecnico e forestale) e risorse di provenienza comunitaria (Piano regionale di sviluppo rurale), lerogazione di sussidi per il mantenimento di specie vegetali e razze animali a rischio di erosione, che possono essere accompagnati da iniziative di supporto alla creazione di mercati. 3. Ad esempio rivitalizzazione di settori produttivi e di filiere di prodotto, creazione di nuove opportunit di impresa, mantenimento e sviluppo delloccupazione e del reddito, potenziamento dellarea rurale nel suo complesso, tutela di risorse genetiche o di agro-ecosistemi tradizionali.

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quale dipende da numerosi altri aspetti. Tra questi vanno ricordati la possibile espropriazione di alcuni soggetti dalla possibilit di valorizzazione del prodotto (effetti di esclusione), lemergere di possibili conflitti allinterno del territorio di produzione, lingresso di soggetti esterni dotati di una visione conflittuale rispetto a quella dei locali, lallentamento dei legami con le risorse locali specifiche e la possibile de-tipicizzazione e perdita di identit del prodotto, le possibili modifiche nellequilibrio tra il sistema di produzione del prodotto tipico e lagro-ambiente. La sostenibilit del processo di valorizzazione, e delle singole iniziative che in esso vengono attivate, va considerata nei suoi profili economici, sociali, culturali e ambientali. Lequit della valorizzazione un altro aspetto particolarmente sensibile. Lattivazione di iniziative di valorizzazione comporta spesso una ri-assegnazione di diritti di propriet sul prodotto stesso, sul suo nome geografico, sulle risorse che ad esso sono collegate, e conseguentemente una modifica nella ripartizione dei benefici di tipo economico e non economico. dunque necessario considerare in particolare la ripartizione dei benefici tra le imprese e la popolazione rurale, la distribuzione verticale del valore creato sul mercato (prezzo del prodotto) tra gli agenti posti ai diversi stadi della filiera, gli effetti sulla qualit della vita della collettivit locale. Tenuto conto delle considerazioni svolte, pur senza voler dare una definizione esaustiva, la valorizzazione del prodotto tipico pu essere definita come a un processo attivato dagli attori locali e teso allaumento di valore del prodotto, inteso nella sua accezione pi ampia di valore totale, in una prospettiva di equit e di sostenibilit delluso delle risorse.

4. Il processo di valorizzazione e le aree strategiche


La valorizzazione deve essere concepita come un processo, costituito da una pluralit di azioni e attivit, risultante da una strategia degli attori interessati al prodotto tipico, e che mira a connettere il sistema produttivo e le altre risorse del territorio ad esso collegate con le pi generali dinamiche dei consumi e, in generale, con le attese della societ. A fini analitici possibile identificare alcune aree strategiche allinterno del processo di valorizzazione, ciascuna delle quali pur essendo strettamente collegata alle altre si riferisce a un aspetto specifico della costruzione di relazioni tra attori del sistema produttivo, e tra questi e lesterno. Tali aree strategiche dovranno essere attentamente correlate nellambito del piano strategico di valorizzazione del prodotto tipico, il quale identificher la scelta delle iniziative e degli strumenti pi opportuni per valorizzare il prodotto.
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4.1. La mobilizzazione delle risorse Il fatto di essere riconosciuto dai consumatori come diverso dagli altri prodotti, se non addirittura come unico, la fonte principale del vantaggio competitivo del prodotto tipico. La diversit rende infatti riconoscibile il prodotto, induce il desiderio di conoscerlo, sperimentarlo e apprezzarlo, e ne aumenta il valore in quanto rende pi difficile la sua sostituzione con altri prodotti. La diversit del prodotto tipico dipende in gran parte dal modo in cui risorse originali del territorio vengono impiegate nel processo produttivo. Le risorse locali possono essere raggruppate in quattro categorie: il capitale naturale, il capitale culturale, il capitale umano e il capitale sociale (DFID 2005; Brunori, 2003). Rientrano nel capitale naturale le razze e le variet autoctone, il paesaggio, la qualit dellaria e dellacqua, la fertilit dei suoli, particolari microclimi (ad esempio, quelli che consentono una stagionatura ottimale dei salumi o dei formaggi). Fanno parte del capitale culturale non solo monumenti e reperti storici, ma anche ricette tradizionali, storie locali, stili di vita, abbigliamento, prodotti di artigianato, musica e strumenti musicali, tecniche di produzione. Il capitale umano linsieme delle capacit presenti negli individui: arti e mestieri specifici, conoscenza di fenomeni naturali e dei meccanismi ecologici locali, capacit di organizzazione e comunicazione. Infine, il capitale sociale il potenziale di azione collettiva legato a reti locali (famiglia, vicinato, associazionismo). Ciascuna delle risorse ora considerate deriva da una complessa interazione nel tempo tra il territorio e la comunit locale, cos come la loro salvaguardia dipende dalla capacit di mantenere un equilibrio tra innovazione e conservazione. Il prodotto tipico, come espressione delle risorse originali di un territorio, il frutto di una costruzione sociale avvenuta attraverso processi di lunga durata. Attraverso la valorizzazione, la costruzione del prodotto tipico diventa un processo consapevole, attuato da un insieme di soggetti che reinterpreta la tradizione e la storia produttiva del prodotto alla luce della propria situazione attuale e in funzione di una propria strategia. Prima tappa del processo di valorizzazione quella che pu essere definita la mobilizzazione delle risorse del territorio, che poi la fase che maggiormente lega le dinamiche di mercato con le strategie di sviluppo rurale. La mobilizzazione delle risorse in gran parte legata ad aspetti immateriali: alla creazione di nuovi legami socio-economici, a processi di apprendimento, a processi di comunicazione interni ed esterni allarea, che per a loro volta hanno importanti effetti sugli aspetti materiali, in particolare sullambiente rurale e sulle tecniche produttive (Brunori et al., 2003). La mobilizzazione anche costituita da processi informali, a fronte dei processi di formalizzazione che hanno luogo con la definizione dei disciplinari, con listituzione di orga182

nizzazioni ad hoc, con la registrazione di marchi, con la messa a punto di strumenti di controllo. A sua volta la mobilizzazione delle risorse pu essere scomposta in quattro fasi: lacquisizione di consapevolezza, la comunicazione verso lesterno, lallineamento dellazione, la riflessione critica. Nella fase dellacquisizione di consapevolezza la comunit locale, o almeno gruppi rilevanti al suo interno, identifica gli elementi del territorio che possono rappresentare risorse per leconomia locale. Una risorsa tale in quanto serve a uno scopo: lacquisizione di consapevolezza rende trasparente il possibile legame tra elementi del territorio prima trascurati e concreti obiettivi di miglioramento delle condizioni individuali e della comunit. Poich lo sviluppo stato visto per lungo tempo come modernizzazione e dunque come abbandono della tradizione a favore di modelli nuovi, lacquisizione di consapevolezza si configura spesso come il risultato di una riflessione critica rispetto ai modelli proposti dalla modernizzazione e di un diverso posizionamento rispetto alla coppia tradizione/modernit. Il risultato di questa fase un rafforzamento dellautostima e del senso di identit da parte della comunit locale, che a sua volta alla base di un rafforzamento della capacit di auto-organizzazione da parte della comunit locale.
Il percorso di valorizzazione attualmente in atto per lo spinacio della Val di Cornia contribuisce a chiarire alcuni aspetti relativi al processo di riflessione e negoziazione tra gli attori locali, finalizzato allindividuazione delle risorse del territorio e dei caratteri del processo produttivo che dovrebbero consentire la differenziazione del prodotto ed un suo migliore posizionamento sul mercato. Un primo tentativo di valorizzazione su base territoriale risale alla prima met degli anni 90, quando alcuni produttori locali avevano costituito un marchio collettivo, il quale per non era riuscito a garantire unadeguata differenziazione del prodotto per linsufficiente coinvolgimento dei produttori locali e la mancata definizione di una strategia sul piano della commercializzazione e della comunicazione. In tempi pi recenti, a seguito dellacuirsi della competizione da parte di altri bacini di produzione, linteresse per la valorizzazione territoriale del prodotto emerso nuovamente e si tradotto nellobiettivo comune di ottenere una DOP. La necessit di elaborare un disciplinare ha favorito lo sviluppo di una riflessione collettiva sugli elementi che definiscono la specifica qualit del prodotto. A questo riguardo tra i produttori si distinguono coloro, pi tradizionali, che ritengono che la qualit dipenda dal processo di produzione e dalle specificit del territorio (terreni, clima, ecc.) e che tali caratteristiche siano di per s sufficienti a valorizzare lo spinacio, ed altri che, maggiormente integrati nei circuiti distributivi (mercati allingrosso e piattaforme per lesportazione), ritengono molto pi importanti altri aspetti (come laffidabilit, il servizio, la capacit di garantire gli approvvigionamenti, ecc.). Accanto ai produttori, si sta rivelando importante il ruolo delle istituzioni locali, le quali, interessate ad aumentare la visibilit del territorio, stanno contribuendo a spostare lattenzione sullimportanza rivestita, nella definizione e comunicazione della specifica qualit del prodotto, dal legame

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del prodotto con il territorio, inteso nella molteplicit delle sue risorse (naturali ma anche culturali e umane, con riferimento alla vocazionalit dellarea per la produzione di spinacio e al relativo patrimonio di conoscenze e abilit custodito dal sistema produttivo locale).

Strettamente collegata alla fase precedente la comunicazione nei confronti dellesterno delle caratteristiche di tipicit. Il confronto con lesterno consente ad una comunit di capire meglio quali sono gli aspetti differenziali del territorio rispetto ad altri territori, e contemporaneamente facilita la creazione di quello che viene chiamato capitale simbolico, ovvero la notoriet, la reputazione, la fiducia che osservatori esterni assegnano ad un prodotto o ad un nome.
Molti casi di successo della valorizzazione dei prodotti tipici fanno perno su eventi come le sagre o altre manifestazioni promozionali. Una sagra, infatti, si trasforma in un momento di riflessione collettiva sulle risorse locali. Grazie a questo, la sagra assume un nuovo significato e acquisisce essa stessa delle caratteristiche che la rendono, agli occhi degli osservatori esterni, unica. Linteresse da parte dei consumatori per la sagra stimola la crescita del prodotto e rende necessario un progressivo adeguamento organizzativo. Sono emblematiche, al riguardo, le iniziative sviluppatesi per la valorizzazione dellAgnello di Zeri. Dopo lesperienza del Salone del Gusto e il successo ottenuto, i produttori, spinti dalla necessit di dotarsi di un sistema di regole comuni, tale da di fornire visibilit e affidabilit sul mercato, decidono di associarsi in un Consorzio. Nasce cos il Consorzio per la valorizzazione e la tutela della pecora e dellAgnello di Zeri, inteso come strumento legale di tutela e promozione dellagnello. Attraverso la rappresentazione simbolica offerta da Slow Food vengono rafforzati e comunicati gli attributi immateriali della qualit del prodotto, legati in modo particolare alla cultura della comunit locale. Nel caso in questione, per, rimangono ancora irrisolti i problemi relativi alla necessit di mettere a punto adeguate condizioni igieniche di produzione (la macellazione avviene ancora secondo modalit tradizionali che non sono conformi alla normativa di settore), particolarmente urgenti di fronte alla crescente domanda del prodotto stimolata dalle iniziative di promozione.

A queste fasi segue quella dellallineamento dellazione tra i soggetti del territorio: la comune identificazione degli elementi del territorio come risorse originali si traduce in una progressiva omogeneizzazione dei processi produttivi intorno ad alcuni criteri comuni. Attraverso processi di comunicazione mediati socialmente le caratteristiche della tipicit diventano un significato condiviso allinterno della comunit, alimentando circuiti di produzione-consumo che si consolidano attraverso la continua interazione tra consumatori e produttori, e che creano delle norme, morali prima ancora che legali, che premiano coloro che le rispettano e sanzionano coloro che non le rispettano (OECD, 1988).
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La riflessione critica probabilmente quella meno spontanea tra le iniziative di mobilizzazione. Essa presuppone infatti una comunit che non solo in grado di riconoscere il valore degli elementi del proprio territorio come risorsa e di comunicarlo allesterno, ma anche di valutare i cambiamenti che questi processi possono generare sulle risorse stesse. Uniniziativa di successo subisce infatti un processo di crescita, che a sua volta avvia un cambiamento organizzativo. Il rischio di banalizzazione, di sovrasfruttamento, di erosione della qualit, di appropriazione di alcuni valori da parte di agenti esterni sono sempre in agguato nei percorsi di sviluppo dei prodotti tipici4. dunque importante che una comunit si chieda: che impatto possono avere sulla motivazione dei produttori? E sulla qualit del prodotto? come sono distribuiti tra produttori, intermediari e dettaglianti i benefici dellaumento di prezzo del prodotto derivante dal miglioramento della sua immagine? in che modo la crescita economica del settore ha giovato anche sul resto delleconomia locale? 4.2. La qualificazione La qualificazione5 del prodotto tipico consiste nella progettazione, specificazione e modulazione degli attributi di qualit del prodotto al fine di precisarne lidentit, prima di tutto per gli stessi attori del territorio di origine e poi verso i consumatori e/o la societ. Il prodotto tipico allo stesso tempo il risultato dellimpegno e il patrimonio di una collettivit di imprese, e pi in generale di una societ locale. Pertanto la qualificazione non si esaurisce con il livello aziendale ma presenta una forte connotazione intersoggettiva e collettiva, che si fonda sulla mobilizzazione degli attori e delle risorse del territorio di origine.
Cosa rende tipico il lardo di Colonnata? La qualit della materia prima scelta per la lavorazione? Il tipo e la qualit degli aromi utilizzati per la stagionatura? Il particolare materiale dei contenitori per la stagionatura? Il microclima naturale degli ambienti di stagionatura? La lunghezza della stagionatura? Il legame con la tradizione? Uno di questi fattori in particolare, o tutti insieme? E che caratteristiche deve presentare il lardo prodotto a Colonnata? Che spessore deve avere? Di quale colore? Devono essere presenti infiltrazioni di carne magra? Queste sono alcune delle domande che i produttori del paese di Colonnata, frazione del comune di Carrara, hanno dovuto porsi per rendere possibile la valorizzazione del lardo da essi prodotto. Pur coscienti dellimportanza della tradizione, gli stessi produttori del paese di Colonnata erano consapevoli del fatto che
4. Si veda ad esempio il dibattito sulla convenzionalizzazione del biologico (Guthman 2004). 5. Per una introduzione alla problematica della qualificazione si veda Eymard-Duvernay F. (1986), mentre per una applicazione al caso delle produzioni eco-compatibili Sylvander B. (2003).

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dal punto di vista della qualit intrinseca il prodotto richiedeva alcuni miglioramenti, e anche alcuni adattamenti allevoluzione del consumatore (ad esempio un minore quantitativo di aglio nella concia rispetto alla ricetta tradizionale, in modo da ottenere un aroma pi delicato). I produttori hanno cos identificato alcuni elementi ritenuti imprescindibili per lidentit del prodotto tipico, trovando un accordo che stato successivamente codificato nel Disciplinare di produzione in base al quale stata richiesta e ottenuta la Indicazione geografica protetta. La riflessione e linevitabile discussione sugli elementi costitutivi della qualit del prodotto tipico e del suo legame al territorio consente ai produttori di crescere nella comprensione delle specificit del proprio prodotto, ponendo le basi per la definizione di una strategia di qualificazione collettiva verso lesterno.

Due sono i livelli rilevanti della qualificazione: quello individuale, relativo alla singola impresa, e quello collettivo, che interessa il sistema delle imprese e degli altri soggetti del territorio. Da qui la necessit di una qualche forma di accordo tra le imprese circa la definizione della qualit del prodotto tipico, alla quale possono concorrere anche altri attori sia locali che non locali. Mediante la qualificazione gli attori definiscono lidentit del prodotto e ne costruiscono la qualit attraverso due fasi logicamente collegate: una fase interna di negoziazione, definizione e gestione della qualit (Ilbery e Kneafsey, 2000), e una fase esterna volta a creare le pi appropriate condizioni di relazione tra il prodotto (e il sistema dei produttori) e il mercato (e il generale contesto esterno), anche mediante le attivit di promozione e commercializzazione (Callon et al, 2002). La fase interna della qualificazione, rivolta a raggiungere un accordo tra i produttori, condizione perch possa essere attivata una relazione con lesterno; e la fase esterna non avr effetti se non fondata su una qualificazione interna del prodotto. La qualificazione richiede alcune scelte strategiche di base, che coinvolgono tutti i soggetti del processo di valorizzazione (imprese delle varie fasi della filiera, loro organizzazioni, amministrazioni locali, altri portatori di interesse) e sono suscettibili di modificare le posizioni individuali rispetto al prodotto, fino alla possibile esclusione dai benefici legati ad esso. Ferma restando lesigenza di conseguire una qualit di conformit del prodotto tipico (compatibilit con i requisiti di prodotto, di processo e di servizio richiesti per laccesso a specifici canali commerciali), la qualificazione dovr esaltare la specificit derivante dal legame con il territorio. Ci richiede luso di strumenti di qualificazione di tipo autodiretto o eterodiretto, i cui contenuti siano cio in tutto o in parte definibili dalla comunit degli attori locali in funzione delle proprie specificit, in modo da consentire lidentificazione territoriale del prodotto e da tutelarne la specificit nelle relazioni di mercato. Un esempio di strumento di qualificazione di tipo autodiretto il marchio collettivo geografico, il cui promotore (una volta rispettati i principi generali richiesti dalla legge) ha ampi margini in merito alla definizione di numerosi aspetti di funzionamento. Gli strumenti eterodiretti si basano invece
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su uno schema di riferimento nel cui ambito lutilizzatore pu definire alcuni elementi che consentano di esaltare le specificit del prodotto; esempio sono la Denominazione di origine protetta, cos come codificata dallUnione Europea, o i Presidi promossi da Slow Food. Il prodotto tipico spesso identificato dal nome geografico dellarea di produzione, dunque limpiego dei segni geografici (DOP e IGP, marchi collettivi territoriali) quali strumenti di qualificazione importante anche se non deve essere considerata una scelta obbligata. Opportunit e limiti dei segni geografici devono essere valutati in funzione degli obiettivi degli attori, schematizzabili nella tabella seguente:
OBIETTIVI PERSEGUIBILI QUALIFICAZIONE ESTERNA STRUMENTI PREFERENZIALI

Proteggere il nome geografico da impieghi scorretti e ripulire il mercato da imitazioni del prodotto originale, restringendo luso del nome geografico ai soli utilizzatori del segno geografico Conformarsi a un sistema di qualificazione che gode di una propria reputazione, in virt della presenza di un sistema comunitario codificato di garanzia (controlli di organismi accreditati) Creare un supporto collettivo mediante cui attivare azioni di comunicazione verso lesterno e iniziative di commercializzazione Innalzare il livello medio di qualit del prodotto tipico e scoraggiare comportamenti scorretti allinterno dellarea, favorendo laffermazione di una immagine unitaria del prodotto Fornire alle imprese uno standard di riferimento cui conformare i propri comportamenti Favorire il processo di riflessione degli attori sul prodotto, sul processo, sulla qualit

DOP/IGP

DOP/IGP

DOP/IGP Marchio collettivo DOP/IGP

QUALIFICAZIONE INTERNA

DOP/IGP Marchio collettivo DOP/IGP Marchio collettivo

DOP, IGP e marchio collettivo geografico vanno valutati per i loro effetti giuridici, i presupposti di funzionamento e gli aspetti operativi. Rispetto al marchio collettivo, DOP e IGP garantiscono maggiore tutela al nome geografico (sono concessi dalla Pubblica amministrazione al termine di uno specifico procedimento di verifica) ma richiedono di norma tempi di approvazione e costi di funzionamento pi elevati6 connessi al maggior livello di garanzia of6. Allargomento dei costi duso delle denominazioni geografiche dedicato il capitolo 7 di questo volume.

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ferto al consumatore (controlli realizzati da un ente terzo accreditato ed effettuati secondo procedure codificate). Il marchio collettivo pi flessibile in sede di definizione delle regole di concessione in uso alle imprese (Albisinni e Carretta, 2003), e per questo pu favorire linclusione di imprese di modeste dimensioni. Lanalisi costi-benefici deve essere considerata anche nellottica della collettivit delle imprese e degli altri attori interessati al prodotto. Saperi, pratiche e significati attribuiti al prodotto da parte delle singole imprese sono ordinariamente distanti e talvolta in conflitto tra loro. Un possibile ambito di contrasto tra il mero supporto della filiera produttiva (logica commerciale) e lesaltazione dellidentit territoriale del prodotto tipico (logica identitaria), o ancora lesigenza di valorizzare le molteplici relazioni del prodotto con il territorio (logiche di diversificazione). Altri contrasti possono verificarsi allinterno della filiera: la qualificazione pu infatti rispondere ad obiettivi di una qualche sua specifica componente (ad esempio la fase di trasformazione) a scapito di altre (ad esempio quella agricola). In altri casi i contrasti possono interessare imprese della stessa fase del processo produttivo ma improntate a logiche differenti, ad esempio tra imprese che usano metodi artigianali oppure metodi pi industriali; essi possono riguardare il tipo di strumenti di qualificazione da utilizzare o i loro contenuti operativi, in particolare la codificazione delle tecniche o la delimitazione dellarea di produzione.
Il processo di riconoscimento della IGP del lardo di Colonnata stato contrassegnato da un lungo contenzioso tra i produttori del paese di Colonnata, per cui il lardo rappresentava attivit secondaria o comunque accessoria rispetto ad altre, e i produttori di zone limitrofe della provincia di Massa Carrara, in gran parte salumifici di differenti dimensioni ma comunque produttori di tipo professionale. I pi forti conflitti hanno riguardato la delimitazione della zona di produzione, che alla fine stata ristretta al solo centro abitato di Colonnata; il nome di Colonnata era andato infatti incorporando una forte reputazione sul mercato nazionale e anche allestero, in virt delle vicende igienico-sanitarie che avevano portato ala ribalta dei mass-media questo prodotto. In realt anche la concezione del prodotto e del processo produttivo era fortemente differenziata tra le due tipologie di produttori: lobbligo di stagionatura in cantine con microclima naturale richiesto dai produttori di Colonnata contrastava con la logica dei produttori professionali, per i quali la stagionatura in atmosfera condizionata era la sola conforme al proprio modello produttivo e di organizzazione aziendale7.

Il raggiungimento di un accordo sulla qualificazione del prodotto fondamentale e pu essere supportato dalle istituzioni locali. Qualora questo comporti un eccessivo abbassamento degli standard sugli attributi del prodotto si
7. Si veda il capitolo 6.

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potranno per determinare effetti negativi per i produttori pi fedeli alla tradizione (Anania e Nistic, 2003). Va dunque considerata in questi casi lopportunit di sviluppare diverse iniziative di qualificazione, anche in contrasto tra loro. 4.3. La commercializzazione Larea strategica della commercializzazione comprende tutte le attivit direttamente funzionali a promuovere e collocare il prodotto tipico presso il consumatore intermedio e finale e a rivelare le varie tipologie di valori incorporati nel prodotto stesso. Tali attivit vanno quindi dalla scelta dei canali commerciali pi adeguati alla gestione delle azioni pubblicitarie e alla scelta del prezzo. La commercializzazione dei prodotti tipici presenta alcune particolarit legate alle caratteristiche dei loro sistemi produttivi: elevata presenza di piccole e medie imprese spesso non specializzate sulla produzione del prodotto tipico, scarsit delle competenze di marketing, bassa propensione a confrontarsi con nuove tipologie di consumatori e quindi con nuove richieste e pre-requisiti di accesso ai mercati, interessamento di istituzioni e di attori collettivi (associazioni sia di produttori che di altri soggetti). Il carattere collettivo proprio del prodotto tipico laspetto che pi differenzia i prodotti tipici dalla generalit degli altri prodotti: la condivisione del nome geografico del prodotto implica che prodotti anche diversi pervengono al consumatore sotto ununica immagine. Si vengono dunque a determinare problemi di interdipendenza e di interazione che possono avere notevoli ripercussioni sulle strategie delle singole imprese (Belletti, 2000). Il coordinamento tra i vari attori dunque essenziale e si deve basare sulla condivisione di una concezione di qualit rispetto alla qualificazione del prodotto (Marescotti, 2003); esso pu riguardare la selezione e ricerca di nuovi canali o mercati, la promozione o la fornitura di servizi, mentre pi raramente concerne lo svolgimento di attivit di vendita collettiva in senso stretto. Un secondo aspetto di specificit la presenza, accanto al sistema di piccole e medie imprese, di un insieme eterogeneo di produttori non-impresa, ovvero produttori la cui attivit spesso condotta in maniera hobbistica, in modo part-time, saltuario, per passione, per integrazione di reddito. Leterogeneit delle tipologie di impresa e di organizzazione della produzione rende pi difficoltosa lorganizzazione di iniziative comuni e pu generare tensioni tra coloro che sono pi legati al rispetto della storia e della tradizione per la salvaguardia dellidentit e dellorigine culturale del prodotto, e le imprese pi professionali in genere propense ad adattare le caratteristiche del processo produttivo e del prodotto alle esigenze di mercato. Il profondo legame al territorio del prodotto tipico e il fatto che esso incorpori una pluralit di valori al di l della soddisfazione nutrizionale o gu189

stativa (tutela dellambiente, del paesaggio, del territorio, della cultura e delle tradizioni, resistenza alla globalizzazione e allomologazione) ha evidenti riflessi sulla natura delle attivit di commercializzazione: non il prodotto a doversi adattare e modificare per assecondare le esigenze del consumatore e dei mercati, ma piuttosto il consumatore a dover essere informato delle specificit del prodotto e convinto dei valori ad esso associati. Si tratta in altri termini di adottare un approccio di marketing alternativo al convenzionale. Tra le proposte alternative al marketing convenzionale si possono considerare il marketing cognitivo e il marketing radicale (Brunori e Marescotti, 2004; Goodman, 2003; Goodman e Dupuis, 2002). Rispetto al marketing convenzionale, il marketing cognitivo mira a cambiare le preferenze del consumatore, e quindi a non assumerle come un dato immodificabile. I consumatori devono essere dunque portati alla conoscenza del prodotto e dei valori sui quali il processo produttivo si basa. Non si tratta pi dunque di vendere al consumatore un prodotto che stato concepito per soddisfare i suoi bisogni, ma piuttosto di far comprendere al consumatore i valori del prodotto, favorendo lacquisizione di nuova informazione e di conoscenza. Il marketing radicale va ancora oltre e fonda la propria particolarit sulla volont di produttori e di consumatori, e pi in generale di gruppi di attori della societ civile, di opporsi ai modelli (di produzione, di consumo, di scambio, di vita) dominanti. Lo scambio del prodotto sul mercato diventa dunque unazione che veicola nuovi valori alternativi a quelli dei modelli dominanti. Le scelte relative allarea strategica della commercializzazione devono procedere da unanalisi della tipologia di prodotto tipico e in particolare da unanalisi dei punti di forza su cui far leva e dei valori incorporati nel prodotto.
Nel caso del Lardo di Colonnata, ad esempio, gli elementi di maggiore specificit sono stati identificati nella particolarit della storia del prodotto (alimentazione dei cavatori), dei contenitori utilizzati per stagionare il lardo (le vasche di marmo dei Canaloni) e delle specificit gustative del prodotto finito (qualit della materia prima ed erbe impiegate nella stagionatura). Il valore simbolico del prodotto inoltre legato alla battaglia condotta contro gli effetti dellapplicazione delle normative igienico-sanitarie, la cui rigida applicazione avrebbe minacciato le particolarit del prodotto. Storia e battaglia contro lomologazione del gusto a favore della rivalutazione dei sapori di una volta legati alla conoscenza e alle tradizioni locali sono i punti di forza su cui le iniziative di valorizzazione hanno fatto leva.

La prima decisione strategica che riguarda le azioni di commercializzazione consiste in una chiara identificazione dei segmenti di consumatori sensibili o sensibilizzabili ai valori incorporati nel prodotto; si potranno distinguere ad esempio consumatori gi sensibili al valore della tipicit, quali i consumatori locali, per i quali il consumo pu rappresentare un fattore di identit, i
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consumatori intenditori, capaci di riconoscere le differenze e attenti agli aspetti del gusto, i consumatori solidali, per i quali il consumo dei prodotti tipici un segno di sensibilit ecologica e sociale, i consumatori turisti, attenti alla storia e alla tradizione produttiva, nonch ai legami tra il prodotto e le risorse culturali e artistiche del luogo, e cos via.
Nel caso della ciliegia di Lari stato sostenuto da alcune istituzioni pubbliche (ARSIA, Provincia di Pisa, Comune di Lari) un progetto sperimentale per la trasformazione delle ciliegie locali in confettura extra. In collaborazione con il Comitato per la Tutela e la Valorizzazione della Ciliegia di Lari, la Facolt di Economia dellUniversit di Pisa ha realizzato unindagine di marketing sulla confettura extra della ciliegia di Lari procedendo da unanalisi delle caratteristiche del mercato delle confetture e dei prodotti di prima colazione, per poi passare ad analizzare varie tipologie di canale commerciale (agriturismi, wine bar ed enoteche, ristoranti, moderna distribuzione, gastronomie, dettaglianti tradizionali, ecc.), attraverso interviste e focus group ad intermediari e consumator,. Ne emersa una segmentazione del mercato basata sulle diverse tipologie di valori incorporati nel prodotto, e lidentificazione di una rosa di possibili target su cui mirare le future iniziative di promozione e commercializzazione8.

Lidentificazione del target e gli approfondimenti conoscitivi consentono alle imprese (singole o associate) e agli altri attori locali e non locali di chiarire e specificare gli obiettivi delle iniziative di commercializzazione e le relative azioni da intraprendere per raggiungerli, facendo leva sulle variabili del marketing mix: prodotto, prezzo, promozione e distribuzione. La politica di prodotto deve essere particolarmente attenta al rischio di alterare la specificit e la reputazione del prodotto tipico stesso: piegarsi alle esigenze del distributore o del consumatore pu comportare il raggiungimento di compromessi tra tradizione e innovazione che, superate alcune soglie, alterano la percezione di qualit stessa del prodotto e ne banalizzano il significato attraverso azioni di qualificazione miranti a standardizzare e omogeneizzare processo produttivo e prodotto (Boutonnet et al., 2005). Le imprese produttrici tendono spesso ad associare il prodotto tipico ad una qualit superiore, mentre spesso esso presenta caratteristiche specifiche (relativamente sia a caratteri materiali che immateriali) ma non necessariamente superiori rispetto ad una scala gerarchica qualitativa accettata socialmente. Da qui la fissazione di prezzi particolarmente alti rispetto alle potenzialit di assorbimento del mercato, con successivi aggiustamenti verso il basso che ingenerano confusione nel consumatore e possono scatenare guerre di prezzo tra le imprese del sistema ed effetti negativi sugli esiti dellazione collettiva di valorizzazione.
8. Per ulteriori approfondimenti sul percorso di istituzionalizzazione della Ciliegia di Lari si veda il capitolo 6.

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Nel caso del Pecorino a latte crudo delle Montagne Pistoiesi numerosi produttori hanno dichiarato che nonostante lincremento della richiesta dovuto alle numerose iniziative di valorizzazione intraprese dal Consorzio dei produttori assieme alle istituzioni pubbliche locali (Comunit Montana, Camera di Commercio) e ad altre associazioni (Associazione Provinciale Allevatori, Slow Food), non hanno ritenuto opportuno aumentare il prezzo di vendita praticato, per non scoraggiare e allontanare i consumatori locali tradizionali acquirenti del prodotto e non privarli del consumo del loro tradizionale formaggio.

Alcuni strumenti di comunicazione consentono di stabilire un rapporto pi diretto tra produttori e consumatori, in grado di generare una condivisione di conoscenze e di valori attribuiti al prodotto, ma anche le modalit fruitive (preparazione e ricette, abbinamenti, modalit di degustazione) che fanno parte anchessi della tradizione. Gli attori della comunicazione non sono solo le imprese ma anche altri attori locali (organizzazioni collettive dei produttori, associazioni turistiche e pro-loco, istituzioni pubbliche, ristoratori, agenzie turistiche, critici ed esperti), che in quanto nodi di relazioni nellambito del network possono moltiplicare la diffusione del messaggio. Le modalit distributive influiscono considerevolmente sulla percezione della soddisfazione da parte del consumatore e dunque sullattribuzione del valore. La dicotomia distribuzione tradizionale distribuzione moderna (Leader, 2001) oggi in parte superata dallo sviluppo di una pluralit di altre forme innovative che consentono una maggiore partecipazione e condivisione di valori allinterno del canale distributivo tra produttori, distributori e consumatori: vendita diretta, sagre e fiere, enoteche, negozi specializzati ed enogastronomie nel territorio, e-commerce, ma anche Gruppi di acquisto e i Gruppi di acquisto solidale, commercio equo e solidale, e Community Supported Agricolture. Politiche di prodotto, prezzo, promozione e distribuzione devono dunque essere chiaramente delineate e perseguite coerentemente con le caratteristiche del prodotto tipico e con gli elementi di tipicit maggiormente rilevanti per le varie tipologie di mercato da servire. 4.4. Lintegrazione con altre componenti del territorio Il legame tra prodotto tipico e territorio ambivalente. Da una parte il prodotto tipico pu essere costruito e qualificato in base ai suoi legami con le risorse specifiche inerenti il processo produttivo nonch con altre attivit e componenti del territorio; dallaltra il territorio (e le attivit in esso presenti) risulta arricchito dal prodotto tipico. La relazione tra sistema produttivo del prodotto tipico e altre risorse e attivit proprie del territorio pu generare effetti positivi per entrambe le componenti.
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Larea strategica dellintegrazione nel territorio fa riferimento alle azioni finalizzate a tessere relazioni tra il prodotto tipico e altre componenti del territorio siano esse beni o servizi di vario tipo e a rendere visibili tali relazioni allesterno, innescando dei circoli virtuosi in grado di apportare benefici, non solo economici, alle diverse componenti coinvolte. Tale processo di integrazione coinvolge prima di tutto gli operatori del sistema produttivo e quindi da questi si estende agli operatori di altri settori (ad esempio sistema ricettivo e ristorazione) nonch agli agenti istituzionali locali coinvolti nelle iniziative di promozione (associazioni e agenzie, enti pubblici). Sono espressioni di questa integrazione le iniziative di promozione collettiva, generalmente coordinate da un soggetto istituzionale (Regioni o Agenzie regionali, Province, Comunit Montane, Gruppi di Azione Locale, ecc.), rivolte alla valorizzazione di panieri di prodotti locali di qualit o, in forma ancor pi completa, di tutte le risorse del territorio (produzioni eno-gastronomiche, ma anche artigianato, patrimonio ambientale, cultura e tradizioni locali). Innumerevoli sono gli esempi di territori che hanno in questo modo promosso le proprie produzioni di qualit o pi in generale le risorse del territorio, ad esempio attraverso listituzione di marchi collettivi o lattuazione di iniziative di comunicazione. Altre iniziative che fanno leva sullintegrazione territoriale e che stanno assumendo una crescente importanza ai fini della valorizzazione delle produzioni locali sono gli itinerari eno-gastronomici (le strade del vino o gli altri itinerari tematici legati a prodotti agroalimentari locali di qualit). Lessenza di tali iniziative la costruzione di una rete di alleanze tra vari attori locali: produttori (aziende agricole ed agrituristiche, imprese di trasformazione), i vari tipi di distributori dei prodotti (negozi al dettaglio, enoteche, ristoranti, ecc.), gli operatori legati al sistema della ricezione turistica, gli amministratori pubblici e le organizzazioni impegnate nella promozione delle risorse locali. Ancor pi significative per la frequenza con cui vengono attivate, per quanto a carattere meno strutturato, sono le iniziative collettive di qualificazione e promozione dei prodotti tipici o tradizionali; in esse, la volont di promuovere il legame tra prodotto e territorio stimola lintegrazione tra i produttori e tra questi e gli altri operatori economici ed istituzionali locali, dando vita in molti casi a processi di sviluppo organizzativo importanti per lacquisizione di una migliore capacit di valorizzazione delle risorse locali.
Liniziativa di valorizzazione del Pecorino a latte crudo delle Montagne Pistoiesi ha portato ad un progressivo allineamento degli attori coinvolti intorno allidea che il prodotto sia unimportante risorsa locale. Tale consapevolezza maturata attraverso la costruzione di una rete complessa di relazioni che ha portato al consolidamento delle connessioni tra i produttori e tra questi e le istituzioni locali e i consumatori finali. Nel corso di questo processo, si giunti alla definizione e condivisione da parte di tutti gli attori coinvolti di una concezione di qualit del

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prodotto conforme agli standard igienico-sanitari, ma anche comprensiva degli attributi organolettici e simbolici percepiti e apprezzati dai consumatori. Tale concezione stata formalizzata attraverso la codifica delle pratiche produttive in un disciplinare di produzione e listituzione di un consorzio tra i produttori per la sua gestione. A ci seguita ladozione in forma associata di nuove strategie di comunicazione e di promozione lutilizzo del marchio collettivo e la produzione di materiali pubblicitari, la partecipazione ad iniziative promozionali sul territorio e linserimento in importanti circuiti di commercializzazione/comunicazione esterni (fondamentale in tal senso la collaborazione con Slow Food e listituzione per il prodotto di un Presidio) , le quali hanno consentito di aumentare fortemente la visibilit e la notoriet del prodotto (e con esso del territorio) sul mercato. Tutto ci ha rafforzato nelle istituzioni pubbliche e nelle altre organizzazioni attive sul territorio la consapevolezza del valore delle risorse locali ed ha accresciuto linteresse a cooperare per la loro promozione9.

Il processo di integrazione tra i soggetti locali complesso e si sviluppa con forme diverse. In ogni caso, lelemento accomunante di tali diverse forme di integrazione quello di rafforzare lazione individuale, dando vita a vere e proprie sinergie (Brunori e Rossi, 2000). Il processo di integrazione con le altre componenti del territorio si basa sul fatto che ogni azienda un punto di connessione tra il sistema produttivo locale e i consumatori, e al tempo stesso che ciascuna azienda ha bisogno del sistema di cui fa parte per gestire al meglio il proprio rapporto con il consumatore. Raramente infatti una singola azienda pu offrire da sola tutti i beni e servizi che sono richiesti, senza considerare, inoltre, che ci sono beni pubblici, come il paesaggio, la cultura, le tradizioni gastronomiche, limmagine dellarea, ecc., che essa stessa non pu produrre ma che rivestono un ruolo essenziale nella differenziazione dellofferta locale agli occhi del consumatore. Tale dimensione integrata emerge in tutta la sua forza nellesperienza degli itinerari eno-gastronomici i cui la creazione di valore attorno ad una strada tematica frutto di unazione assolutamente collettiva: la costruzione/conservazione delle risorse locali incorporate nel prodotto, costituenti il suo valore e ricercate dal consumatore, il frutto delloperato di tutti gli operatori e a volte di tutta la collettivit. Come nella creazione di un itinerario tematico attorno ad un prodotto uniniziativa collettiva di valorizzazione delle risorse territoriali, non pu tuttavia essere spiegata in termini di semplice somma delloperato dei singoli agenti. in realt qualcosa di pi complesso. Essa si basa, attraverso unazione integrata, sulla costruzione e quindi la presenza di un sistema coerente di elementi, materiali e simbolici, che riflette lidentit locale. Gli elementi materiali sono rappresentati in primo luogo dai caratteri dellofferta di prodotti e di servizi, ma anche dai caratteri strutturali delle azien9. Per maggiori approfondimenti si veda il capitolo 5 di questo volume.

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de produttrici coinvolte e in generale dei contesti in cui i prodotti/servizi vengono offerti, nonch dai caratteri dellambiente naturale e costruito. Ci deve essere coerenza allinterno di questo insieme di elementi, perch esso possa essere espressione dellidentit dellarea e possa contribuire a costruirne limmagine. Cos come ci deve essere coerenza tra questi ed un altro insieme di elementi di carattere pi immateriale, che fanno riferimento a tutti quegli elementi che entrano in gioco per comunicare il valore specifico dei prodotti/servizi offerti: i caratteri della segnaletica, delle guide turistiche, delle etichette dei prodotti, i valori simbolici incorporati nella narrativa (nel modo cio in cui questo territorio si racconta a coloro che vi si avvicinano, nei rapporti individuali come nelle occasioni di tipo pubblico). Si tratta di elementi che, come si detto, coinvolgono diversi tipi di soggetti e che quindi prevedono anche un progressivo ampliamento delle sfere di intervento coinvolte: dallazione privata (il singolo agricoltore o il gestore di agriturismo o di altra struttura ricettiva), a quella pubblica (gli amministratori locali responsabili delle attivit economiche, delle attivit culturali, del turismo, della pianificazione territoriale, ecc.), passando per quella promossa dalle varie organizzazioni presenti sul territorio (le varie pro-loco e associazioni, i Gruppi di Azione Locale, i comitati e i consorzi). proprio questa coerenza tra elementi materiali e immateriali perseguita a tutti i livelli che aggiunge valore allofferta di prodotti e servizi realizzata dai singoli individui e che consente di incorporare nei prodotti tutte le risorse dellarea: essa valorizza lintera produzione dellarea (crea la variet dei prodotti e la sua rappresentazione simbolica, nonch quelleffetto reputazione tanto importante nel caratterizzare i prodotti di certi contesti territoriali) e consente di legare ad essa gli altri beni pubblici fruibili dai turisti, beni che in questo modo diventano accessibili anche al singolo operatore laddove normalmente non lo sarebbero. Tale sistema coerente alla base della creazione delle sinergie di cui si parlato in precedenza. Linserimento della valorizzazione dei singoli prodotti del territorio in un pi ampio progetto di valorizzazione delle risorse locali, di cui i singoli operatori siano consapevoli e co-attori, ha importanti implicazioni sul piano operativo. Essa si basa infatti sullassunzione di scelte e comportamenti coerenti nella gestione delle risorse coinvolte, dei processi produttivi e dellofferta commerciale dei prodotti, ma ancor prima sullassunzione di un atteggiamento volto a interagire e cooperare con gli altri operatori e sulla condivisione del senso di appartenenza e dellidentit territoriale. Tutto ci deve avvenire in un processo di progressiva costruzione di relazioni tra i diversi soggetti coinvolti nella valorizzazione dello specifico prodotto e delle altre risorse del territorio. Nel caso degli itinerari eno-gastronomici, per gestire in modo efficace liniziativa collettiva di valorizzazione necessario che gli operatori e tutti gli altri soggetti coinvolti aderiscano ad una serie comune di regole e norme, for195

malizzate e non formalizzate. Tra le prime rientrano i vari aspetti concreti della partecipazione alla strada da parte degli operatori, relativamente sia alla commercializzazione dei prodotti che alla comunicazione con i consumatori. Tra le seconde alcuni atteggiamenti non codificabili, come la presenza di una comune sensibilit verso la qualit del prodotto, la consapevolezza dellimportanza rivestita dal contesto aziendale e dagli elementi del paesaggio, lo sviluppo di senso di appartenenza a questa organizzazione collettiva e quindi la reciprocit con gli altri suoi componenti, lessere disposti e capaci di comunicare realmente con i fruitori della strada, nel senso pi profondo del termine, di creazione cio di significati comuni. Altrettanto importante lo sforzo richiesto agli altri attori locali (amministratori pubblici, istituzioni e organizzazioni varie), nella direzione della creazione di condizioni favorevoli alla conservazione e al rafforzamento della specifica identit locale, allo sviluppo di adeguate capacit organizzative tra gli operatori economici, allintegrazione in un progetto complessivo delle diverse strategie di valorizzazione, alla comunicazione verso lesterno del valore cos creato.

5. Considerazioni conclusive
La valorizzazione non riguarda esclusivamente la remunerazione sul mercato del prodotto tipico, tenuto conto delle risorse specifiche e dei molteplici valori del prodotto. Lelaborazione di una strategia di valorizzazione quindi attivit tuttaltro che semplice: lavvio della valorizzazione determina lattivazione di complesse dinamiche allinterno dei sistemi locali di produzione, commercializzazione e promozione, che interessano tanto gli operatori economici che altri soggetti locali. Queste dinamiche, nel normale processo di sviluppo delle iniziative di valorizzazione (crescita delle dimensioni economiche, del potere di mercato, della complessit di gestione, della visibilit sui media, ecc.), portano ad unalterazione sul piano organizzativo e ad una modifica della base di valori, interessi, obiettivi perseguiti, con conseguenti cambiamenti degli equilibri che stanno alla base della sostenibilit economica, sociale ed ambientale delle iniziative di valorizzazione. In tale contesto si viene a modificare anche la posizione dei soggetti che sono rimasti estranei alla definizione della strategia di valorizzazione del prodotto tipico, ma che pu essere necessario considerare nellambito della valutazione qualora si assuma un punto di vista collettivo. dunque importante valutare la strategia di valorizzazione tenendo conto di molteplici punti di vista: quello del gruppo di soggetti che ha elaborato la strategia, secondo il criterio dellefficacia nel raggiungimento degli obiettivi previsti, articolandolo per a livello di effetti sui singoli individui (un risultato generale positivo pu derivare dal bilanciamento di situazioni opposte: al196

cune imprese possono migliorare la propria posizione, ma a scapito di altre) (Barjolle e Sylvander, 2000); e quello pi generale che considera anche gli effetti non previsti o non attesi della realizzazione della strategia e che possono riguardare anche i soggetti estranei alla sua definizione (ad es. sullambiente o sul livello di coesione sociale nel territorio). La valutazione deve dunque considerare, accanto agli effetti economici diretti e indiretti, anche gli effetti non economici sui diversi capitali coinvolti in tali azioni (naturale, sociale, umano e culturale). dunque essenziale considerare la sostenibilit e lequit della strategia di valorizzazione, tenuto conto del suo carattere dinamico e della sua complessit e non-linearit e quindi la possibilit che essa generi non solo coesione e condivisione ma anche conflitti e spaccature, cos come possibili disuguaglianze e squilibri sul territorio. Ai fini del successo e della sostenibilit delle strategie di valorizzazione rivestono importanza, anche se in forma pi indiretta, altri aspetti. Tra questi il ruolo rivestito dal soggetto pubblico, in relazione al tipo di supporto dato alliniziativa, ma soprattutto la capacit del sistema locale di sviluppare al proprio interno processi di apprendimento tali da consentire la crescita sul piano manageriale di tutti gli operatori (pur in presenza di figure leader, che spesso svolgono un ruolo fondamentale nei processi di avvio delle iniziative), e di acquisire autonomia sul piano dellimmagine e della capacit di relazione con lesterno rispetto al sostegno proveniente da soggetti esterni al territorio.

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9. GEOGRAFIE DEL TIPICO: LE CONCEZIONI DI QUALIT DI FRONTE ALLA CRESCITA DEL MERCATO*
di Benedetto Rocchi e Donato Romano

1. Introduzione
La regolamentazione europea sulle denominazioni geografiche dei prodotti alimentari ha probabilmente costituito un punto di svolta nella riscoperta della tipicit come dimensione fondamentale della qualit alimentare. La regolamentazione, infatti, dando visibilit giuridica ad un fenomeno che pure gi esisteva in molteplici forme, ne ha favorito lulteriore diffusione ed evoluzione, creando un modello concettuale generale, suscettibile di essere trasferito in nuovi contesti. Da allora lattenzione verso la tipicit alimentare e la sua valorizzazione cresciuta rapidamente sia sul lato dellofferta, con un numero crescente di produttori e comunit locali impegnati nella valorizzazione delle proprie tradizioni alimentari, sia sul lato della domanda, con un crescente interesse dei consumatori allinserimento delle produzioni tipiche nelle loro abitudini alimentari. Anche i mezzi di informazione hanno dedicato alla riscoperta della tipicit alimentare uno spazio che sorprende per dimensioni e rilevanza attribuita. La tipicit, dunque, costituisce oggi la chiave per il coordinamento tra domanda e offerta di un volume crescente di scambi alimentari. Alla qualit delle produzioni alimentari tipiche stata dedicata la ricerca di cui questo volume rappresenta il punto darrivo. Lattributo tipico rimanda ad unintera gamma di significati che si differenziano non solo tra le diverse tipologie di attori operanti lungo la filiera (produttori, operatori del commercio, consumatori) ma anche allinterno di esse. Lesplorazione di questi diversi significati e della loro compatibilit stata oggetto, da molteplici punti di vista, dellintero progetto di ricerca. tuttavia possibile riconoscere un contenuto semantico minimo comune a tutte le diverse concezioni ed
* Il capitolo frutto di una riflessione comune, tuttavia il testo stato scritto da Benedetto Rocchi.

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quello che individua la tipicit di una produzione alimentare nel suo collegamento con una determinata localit. Riprendendo una definizione sintetica proposta in uno dei contributi a questo volume possibile definire come tipico un prodotto alimentare che presenta alcuni attributi di qualit unici che sono espressione delle specificit di un particolare contesto territoriale in cui il processo produttivo si realizza1. Secondo questo approccio il legame (in senso ampio: fisico e culturale) che viene percepito tra un prodotto e la localit nella quale esso stato prodotto che misura la tipicit un alimento. Quanto pi forte questo legame, quanto pi persistente nel suo percorso lungo la filiera verso il consumo finale, anche in presenza di una serie anche lunga e complessa di transazioni commerciali, tanto pi un prodotto alimentare si connota come tipico e vede valutata la sua qualit allinterno del sistema di simboli, codici, significati che alla tipicit vengono oggi associati. La crescita di interesse da parte di fasce sempre pi ampie di consumatori fa tuttavia sorgere un problema di negoziazione della qualit delle produzioni tipiche connesso alla valutazione del legame con il territorio di origine. Ad un estremo della filiera i consumatori, che manifestano una sempre pi evidente disponibilit a pagare per le caratteristiche di tipicit, devono affrontare un chiaro problema informativo, dal momento che lorigine tende a trasformarsi in una caratteristica credence (Anderson, 1994) al crescere del numero e della complessit delle transazioni necessarie a portare i prodotti allutilizzatore finale. Allaltro estremo i produttori, impegnati in una strategia di creazione di valore che cerca di attirare una domanda potenzialmente globale verso un sistema produttivo che deve essere per definizione locale (Becattini, 2000), devono innanzitutto procedere ad una progressiva codifica, anche formale, delle caratteristiche che rendono tipici i loro prodotti. Non solo: proprio attraverso il processo di riconoscimento del legame tra qualit e origine che i sistemi locali di produzione perseguono lobiettivo di contendere agli altri attori della filiera una quota di valore aggiunto sufficiente a rendere sostenibile nel tempo il processo di valorizzazione. La definizione della qualit sta dunque al centro del processo di valorizzazione delle produzioni tipiche e per tale motivo, in questa ricerca stato scelto come categoria interpretativa fondamentale della crescita delle filiere alimentari ad esse connesse. I diversi contributi presentati nel volume hanno affrontato il problema delle concezioni di qualit dai punti di vista corrispondenti al ruolo dei diversi attori (produttori, consumatori, operatori della filiera di commercializzazione) e in unottica di interazione sistemica tra di essi (processi di negoziazione della qualit ed evoluzione delle reti di relazioni al crescere del mercato). Nel capitolo 8 molti dei risultati raggiunti nella fase di indagine sono stati utilizzati su un piano normativo per delineare gli assi stra1. Cfr. il capitolo 8. Nello stesso capitolo gli autori propongono una definizione pi completa anche se sostanzialmente coerente con quella appena proposta.

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tegici fondamentali su cui pu essere avviato il processo di valorizzazione di una produzione tipica. Nel resto di questo capitolo la discussione verr sviluppata ipotizzando che in un determinato ambito regionale, a seguito del successo nel processo di rilancio e valorizzazione di alcune specialit agroalimentari provenienti da specifici sistemi locali, si sviluppi nel tempo unofferta di produzioni tipiche sufficientemente ampio da strutturarsi in un sistema regionale. La crescita del mercato, infatti, avvia un processo di continua ridefinizione delle geografie del tipico2 di una regione. Cos mentre le reti agroalimentari locali estendono i loro confini, proiettandosi su un mercato potenzialmente globale, la loro crescita congiunta d luogo a nuove potenziali interazioni allinterno dellarea geografica di ordine immediatamente superiore. Nel resto del capitolo, tentando una sintesi dei risultati fondamentali acquisiti dal progetto di ricerca, verr anche proposta una prima riflessione sulle principali esigenze di policy che la formazione di un sistema regionale di produzioni tipiche pone.

2. Il sistema delle produzioni alimentari tipiche toscane: opportunit e risorse


La valorizzazione della tipicit costituisce sicuramente unopportunit per il sistema agroalimentare della Toscana. Anche se negli ultimi anni il mercato delle produzioni alimentari tipiche toscane rapidamente cresciuto, lanalisi delle motivazioni che stanno dietro a tale crescita fa prevedere un proseguimento della tendenza positiva ed un definitivo consolidamento del sistema del tipico toscano. Gli studi di sociologia dei consumi hanno interpretato la riscoperta delle produzioni tipiche come espressione di un recupero del significato simbolico attribuito al cibo. Il crescente interesse per le tradizioni culinarie, la riscoperta della cucina casalinga, lattenzione per lautenticit come categoria di valutazione del cibo fanno emergere unesigenza diffusa di appartenenza ad una comunit o di recupero di particolari identit storiche e culturali (Warde, 1997). Non solo: il ritorno ai cibi tradizionali pu essere letto anche come una risposta allo sradicamento dei modelli di consumo alimentare che si manifestato a seguito del processo di industrializzazione della filiera alimentare (Murdoch e Miele, 1999): i prodotti tipici vengono inseriti in modelli di consumo alimentare alternativi come vettori di un processo di ri-tradizionalizzazione del cibo (Gabbai et al., 2003). A queste motivazioni profonde del processo di riscoperta dei prodotti tipici si affianca anche la diffusione di comportamenti di consumo volti ad esprimere ladesione a particolari norme idea2. Lespressione ci stata suggerita da Gianluca Stefani.

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li. In questo senso la crescita delle produzioni tipiche stata interpretata come la creazione di reti alimentari alternative, capaci di aggregare i soggetti coinvolti al di fuori dei canali convenzionali del modello industriale per esprimere attraverso la produzione e il consumo particolari valori (sociali, ambientali, etici; cfr. Marsden et al., 2000)3. Se queste analisi riguardano una tendenza generale che si manifesta nei consumi alimentari e che prospetta un contesto favorevole ad un consolidamento del mercato delle produzioni tipiche, nel caso della Toscana non deve essere dimenticata la forte valenza dellimmagine regionale nei consumatori. Le indagini presentate da Balestrieri nel capitolo 2 confermano ancora una volta lesistenza di una domanda di Toscana in quanto tale. Le produzioni alimentari tipiche regionali, pur attraverso una molteplicit di localizzazioni specifiche, si innestano su unappartenenza geografica pi generale, che appare come un fattore capace di facilitare lavvio di quel processo di riconoscimento-identificazione in una appartenenza locale che sta alla base della preferenza dei consumatori verso le produzioni tradizionali e tipiche. Se dal lato della domanda le opportunit per una crescita sono evidenti, sul lato dellofferta la Toscana si presenta come una regione sicuramente ricca di risorse. Le 19 produzioni che hanno gi ottenuto il riconoscimento di una denominazione di origine, insieme alle 20 con il processo di riconoscimento avviato, pongono la regione tra quelle leader in questo comparto produttivo. A queste punte di eccellenza si affiancano gli oltre 400 prodotti tradizionali censiti ai sensi del DL 173/1998, che rappresentano un patrimonio di conoscenze potenzialmente disponibili ai fini di una valorizzazione (Irpet, 2006)4. A favore delle produzioni alimentari tipiche della Toscana giocano forti sinergie con il turismo, che costituisce una vetrina globale a disposizione anche di produzioni alimentari piccole e poco note, e la presenza di un settore vitivinicolo con punte di eccellenza e un forte orientamento allexport. La considerazione di tutti questi fattori sembra dunque indicare la presenza di spazi per unulteriore crescita di quello che potremmo chiamare sistema del tipico toscano: sia nel senso dellavvio della valorizzazione di altre produzioni, sia nel senso di un allargamento del mercato di quelle gi esistenti. Queste prospettive di crescita, tuttavia, sono inestricabilmente legate ad una progressiva e continua ridefinizione del problema della qualit alimentare.

3. Su questo punto si veda anche la discussione sviluppata nel capitolo 5 di questo volume. 4. Unampia documentazione sulle produzioni tipiche toscane consultabile nel sito dellAgenzia Regionale per lo Sviluppo e lInnovazione nel Settore Agricolo-forestale della Toscana: www. arsia.toscana.it.

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3. La definizione della qualit di fronte alla crescita del mercato


Si consideri il caso ipotetico della riscoperta di una specialit alimentare tradizionale, la cui produzione e consumo siano stati per lungo tempo confinati in un determinato contesto locale come eredit storica e culturale del passato. Prima dellavvio della valorizzazione su un mercato pi vasto, la valutazione della qualit dei prodotti necessaria al coordinamento tra la domanda e unofferta (Eymard Duvernay, 1989) avveniva allinterno di un sistema di conoscenze contestuali e condivise, capaci di ridurre al minimo le asimmetrie informative e di rendere inutile una codifica esplicita degli attributi di qualit. Nellambito di un mercato locale la condivisione di comuni tradizioni, la presenza di reti di conoscenze personali, la conoscenza legata allesperienza di consumo che viene trasmessa nellambito famigliare, mette il consumatore in condizione di valutare la qualit delle produzioni utilizzando un set di informazioni non troppo dissimile da quello del produttore. Potremmo dire che il codice di valutazione della qualit dei prodotti in questo caso un patrimonio comune di entrambi i lati del mercato. Lallargamento del mercato connesso alla riscoperta e alla valorizzazione della specialit cambia profondamente la natura informativa del problema della qualit. Al consumo si rivolgono soggetti esterni al sistema locale di origine; nuovi attori entrano in gioco nelle transazioni commerciali; il discorso sulla qualit viene arricchito dagli interventi di nuove voci, come quelle degli esperti gastronomi o delle associazioni impegnate nella riscoperta delle tradizioni o nelleducazione alimentare. intuitivo immaginare come, al progressivo ampliarsi (in senso non solo geografico, ma anche culturale) del mercato della specialit considerata, il sistema dei codici originariamente utilizzato per la valutazione del prodotto, cessi di essere un patrimonio condiviso, efficace per risolvere il problema informativo della qualit. Si verifica innanzitutto un trade off informativo che si manifesta in un aumento delle caratteristiche credence del prodotto, quelle cio che il consumatore o il cliente non possono valutare autonomamente neanche dopo lacquisto: lorigine in primo luogo, ma anche leffettiva applicazione di quei metodi di produzione che la tradizione ha modellato nel corso del tempo. Non solo: lo stesso codice convenzionale attraverso cui la qualit del prodotto tipico viene valutata a diventare oggetto di negoziazione e di contesa. Le indagini condotte per arrivare ad una mappatura delle concezioni di qualit dei diversi operatori per valutarne la coerenza, hanno mostrato con evidenza questo fenomeno. La discussione intorno alla qualit tra gli operatori delle filiere considerate nei casi di studio (cfr. capitolo 4) riflette una contesa tra i produttori da una parte e gli altri attori dallaltra (in particolar modo i rappresentanti del retail moderno) per lassunzione del ruolo di codificatori della qualit (Dixon, 1999). Da un lato i produttori rivendicano tale autorit in quanto custodi della conservazione del legame tra prodotto e territorio di origine; dal205

laltro gli operatori del commercio che entrano in contatto con i consumatori, si propongono come garanti della soddisfazione di questi ultimi e del corretto inserimento delle produzioni tipiche nei nuovi modelli di consumo alimentare. Il successo di una produzione tipica sembra cos connesso al raggiungimento di un equilibrio tra il ruolo giocato dai diversi, potenziali codificatori finalizzato alla conservazione di alcune delle caratteristiche di una filiera alimentare breve anche in presenza di un mercato esteso spazialmente. (Mardsen et al., 2000). In tal caso il prodotto riesce ad arrivare ad un consumatore potenzialmente anche molto lontano unito ad uninformazione capace di creare un rapporto di fiducia con un luogo/spazio di produzione e potenzialmente con il valore della gente coinvolta e dei metodi di produzione impiegati. Lo studio dei sistemi locali ai quali si rivolta la ricerca ha mostrato come le forme di istituzionalizzazione delle produzioni connesse alla certificazione dellorigine costituiscano molto spesso un luogo di composizione di questi conflitti intorno al problema della qualit. I capitoli 6 e 7 sono stati espressamente dedicati allanalisi di questi strumenti di valorizzazione. Il riconoscimento di una denominazione geografica, se da un lato contribuisce a colmare il divario informativo tra domanda e offerta, allo stesso tempo rappresenta una strategia di appropriazione della rendita di qualit che appare sempre pi interessante in caso di successo di un prodotto tipico su un mercato molto ampio. Non bisogna tuttavia attribuire a questi strumenti unefficacia automatica o senza costi. Il successo di una denominazione di origine richiede la realizzazione di un processo di allineamento dei piani individuali di soggetti promotori, talvolta molto eterogenei tra loro, che viene spesso connotato dalla presenza di coalizioni contrapposte e che si pu realizzare solo allinterno di un sistema di vincoli tecnologici ed istituzionali. La codifica in un disciplinare delle dimensioni fondamentali della qualit di una produzione tipica, a partire dalla semplice delimitazione dellarea di origine fino alla specificazione delle caratteristiche tecniche del processo produttivo, nasconde cos una negoziazione non facile perch connessa alla spartizione della rendita di qualit creata dal processo di valorizzazione. Nella lettura fin qui proposta del processo di sviluppo del mercato di un prodotto tipico, la ridefinizione del problema della qualit alimentare appare strettamente connessa ad una evoluzione delle relazioni tra i diversi soggetti. Lallargamento del mercato oltre i confini del sistema locale di origine incide profondamente sulla natura delle relazioni di mercato che si instaurano tra produzione e consumo, che devono essere mediate sempre pi spesso da figure intermedie; lallungamento della filiera comporta una revisione dei rapporti di forza e dei ruoli. Il processo di commoditisation dellorigine (Ray, 1998) attraverso la valorizzazione di una produzione tipica, inoltre, attribuisce un ruolo attivo allinterno del sistema locale anche ai consumatori pi lontani, attraverso lazione di figure e associazioni che si fanno carico di rappre206

sentare la domanda di quelle caratteristiche immateriali che rendono tipico un prodotto alimentare e permettono di inserirlo con un preciso ruolo allinterno dei diversi modelli di consumo alimentare. A ci si aggiunga infine lazione delle istituzioni che a diversi livelli (locale per la promozione del processo di vaorizzazione, nazionale e comunitario nel caso dellavvio di percorsi di istituzionalizzazione) intervengono nel processo di valorizzazione. Se la negoziazione della qualit un processo sociale che continuamente evolve al mutare della natura del mercato, tale evoluzione si riflette nella progressiva ridefinizione delle reti di relazioni tra i soggetti coinvolti. I risultati delle indagini sul campo intorno al caso del Pecorino delle Montagne Pistoiesi presentati nel capitolo 5, sembrano indicare come il successo di una iniziativa di valorizzazione di una specialit alimentare, implichi il progressivo infittimento delle reti di relazioni tra i diversi attori, lassunzione di ruoli differenziati in vista di un migliore coordinamento tra obiettivi e azioni ed una strutturazione del network intorno a nuovi macro-attori, maggiormente capaci di dare stabilit al processo di sviluppo, rendendolo sostenibile nel tempo. Utilizzando il problema della valutazione della qualit come chiave di lettura, la discussione proposta fino a questo punto ha permesso di delineare con sufficiente chiarezza la natura del processo che, in un determinato sistema locale, si avvia con il successo di una iniziativa di valorizzazione di una produzione tipica. La crescita delle produzioni tipiche negli ultimi anni mostra daltra parte come in molti sistemi locali della Toscana esistano le condizioni per lavvio di tali iniziative. Veniamo ora ad alcune considerazioni sui principali problemi di policy che si pongono a livello regionale in vista di un possibile governo del sistema del tipico.

4. Esigenze di governo del sistema del tipico: alcune indicazioni di policy


Al cuore della tipicit di una produzione alimentare sta il riconoscimento dellesistenza di un legame tra i suoi attributi di qualit ed il territorio nel quale esso prende forma. Per questo la riscoperta di una produzione tipica, lallargamento del suo mercato oltre i confini del sistema locale di provenienza, richieder prima o poi lavvio di un processo di istituzionalizzazione che certifichi in una qualche misura tale legame. I risultati presentati in questo volume hanno evidenziato unintera gamma di motivazioni di questa esigenza. Soprattutto sembra emergere con chiarezza che il riconoscimento di una qualche forma di denominazione dellorigine, non dovrebbe essere interpretato dai promotori semplicemente come la realizzazione di una barriera alla concorrenza capace, attraverso la creazione di una rendita economica di portare al successo ogni ipotetica iniziativa di valorizzazione. La certificazione dellorigine ha innanzitutto una valenza di segnale di qualit rivolto al consuma207

tore ed il suo successo richiede, di conseguenza, la conoscenza di ci che in una particolare origine geografica degli alimenti il consumatore pensa di trovare per soddisfare i suoi bisogni. Una denominazione geografica, inoltre, deve diventare luogo di composizione dei conflitti tra i diversi attori nel processo di negoziazione della qualit. Il suo consolidamento non solo un atto formale che si esaurisce con il riconoscimento del marchio, ma richiede la strutturazione di un nuovo network di attori, in grado di governare il problema della qualit in un mercato che si va facendo sempre pi ampio. La crescita delle produzioni alimentari tipiche pone, inoltre, alcuni problemi di governo che vanno al di l dei singoli sistemi locali impegnati nei vari progetti di valorizzazione, investendo i livelli istituzionali sovrastanti. Un primo aspetto riguarda la progressiva generalizzazione dellorigine come segnale di qualit delle produzioni alimentari provenienti da una determinata area. stato rilevato (Lambert, 1995) come la diffusione stessa delle diverse forme di denominazione di origine ponga un problema di visibilit ed efficacia di questi strumenti nella segnalazione della qualit alimentare. Se in una fase iniziale il riconoscimento di un marchio IGP o DOP pu costituire un elemento di vantaggio competitivo rispetto a produzioni simili (il caso di alcuni marchi di origine esistenti in Toscana come il Farro della Garfagnana o lOlio Extravergine di Oliva Toscano sembra dimostrarlo), lampliamento del paniere offerto ai consumatori di prodotti a denominazione certificata provenienti da uno stesso ambito regionale potrebbe lentamente diluire agli occhi del consumatore quella differenziazione che genera la rendita di qualit. Si pone pertanto un potenziale problema di governo e coordinamento dellutilizzazione delle diverse forme di istituzionalizzazione. Le forme di certificazione possono avere un diverso contenuto in termini di legame con il territorio e vincoli al processo produttivo. Allo stesso tempo la natura delle diverse produzioni pu differenziare profondamente i costi di adozione. Il caso del vino, il prodotto alimentare che per primo ha qualificato le sue produzioni attraverso lorigine, testimonia con evidenza lesistenza di un problema di coerenza nelluso delle denominazioni geografiche e lesigenza di creare un sistema delle denominazioni capace di mantenere nel tempo lefficacia di questo tipo di strumento (Rocchi, 2000). La promozione, attraverso un uso appropriato delle diverse tipologie di marchio di origine, di unappropriata gerarchizzazione qualitativa delle produzioni di uno stesso comparto, ma con differenziate caratteristiche di specificit e di ampiezza dellarea di produzione, appare come un primo campo dellazione di governance a livello regionale. Nel caso delle produzioni tipiche, tra laltro, sembra aprirsi uno spazio interessante alluso di forme libere di certificazione volontaria, sia come strumento di differenziazione delle produzioni aziendali che come strumento pi flessibile (e quindi meno costoso) di avvio del processo di valorizzazione per
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un intero sistema locale di produzione. Come dimostra anche lesperienza del marchio toscano Agriqualit possibile immaginare forme di certificazione che, sia pure senza un rimando esplicito allorigine geografica, costituiscono un segnale di qualit coerente con la domanda di tipicit del consumatore: ad esempio relativo alladozione di particolari tecniche di produzione che sono espressione di un sapere fare artigianale. Anche in questo caso sembra evidenziarsi una potenziale esigenza per unazione coordinamento, in questo caso tra le finalit delle diverse forme di certificazione utilizzate in un sistema regionale dei prodotti tipici, volta a garantire una coerenza minima tra i diversi segnali di qualit. Un ulteriore ordine di problemi che potrebbe porsi nel caso di una progressiva affermazione di una vero e proprio sistema regionale di produzioni tipiche riguarda le sue dimensioni complessive. Potrebbe porsi innanzitutto un problema di dimensioni nel senso del volume complessivo dellofferta che, soprattutto nel caso dellesistenza di numerose produzioni con ampia base geografica (come nel caso delle indicazioni geografiche riferite al complesso del territorio regionale) potrebbe diluire il valore della stessa provenienza regionale. Accanto a questo potrebbe inoltre affiancarsi un problema di estensione della gamma di produzioni tipiche offerte da un determinato ambito regionale. Da un lato la presenza di un paniere sufficientemente ampio di prodotti tipici provenienti da un ambito regionale, maggiormente riconoscibile anche da consumatori pi lontani, potrebbe riflettersi positivamente sulle produzioni pi piccole e per questo meno capaci di raggiungere una massa critica, una visibilit sufficiente. La creazione di un sistema regionale di produzioni agroalimentari tipiche pu, in altre parole, trasformarsi in un vettore per lampliamento del mercato anche per sistemi locali di produzione altrimenti incapaci di affermarsi autonomamente. A fronte di ci, nel caso di una crescita consistente dellipotetico sistema regionale del tipico, la presenza di un grande numero di produzioni alimentari molto diverse, sia per comparto di provenienza (formaggi, salumi, ortaggi lavorati etc.), che per natura della produzione (prodotti freschi vs. prodotti lavorati), potrebbe tradursi in un messaggio non univoco sul legame tra qualit e territorio, un problema che potrebbe riflettersi negativamente sul successo di prodotti con minore riconoscibilit. Il problema dellestensione della gamma di produzioni tipiche rimanda anche alle esigenze di coerenza tra il segnale di qualit evocato da un determinato territorio di origine e la natura delle produzioni che da esso provengono. Gli studi sul comportamento del consumatore (Van Ittersum et al., 2003) hanno mostrato come lorigine venga utilizzata come suggerimento (cue) nella valutazione pre-acquisto di un prodotto; tuttavia la fiducia nellorigine come indicatore della qualit tende a crescere se tipologia di prodotto e regione di origine sono percepiti come coerenti tra loro. Cos, mentre per i prodotti freschi la qualit dellambiente naturale che qualifica una determi209

nata origine come promessa di una qualit superiore, nel caso dei prodotti trasformati cresce limportanza attribuita al capitale umano e sociale presente nellarea di provenienza. Uneccessiva differenziazione tra produzioni offerte come tipiche da uno stesso territorio (regionale o sub-regionale che sia) potrebbe portare a potenziali conflitti nella valorizzazione. Unazione di governo a livello regionale potrebbe essere necessaria per favorire una migliore coerenza complessiva. Strettamente collegato a questo punto lultimo ambito di possibile intervento ai fini del consolidamento dellofferta di produzioni tipiche a livello regionale, quello relativo alla comunicazione collettiva. Le indagini presentate nel capitolo 3 hanno confermato lesistenza di una reale disponibilit a pagare per le caratteristiche di tipicit. Sembra esistere in altri termini una potenziale domanda di origine in quanto tale, che i consumatori sono disponibili a soddisfare mediante lacquisto di prodotti alimentari tipici. Le forme di comunicazione collettiva possono contribuire allinstaurarsi di un circolo virtuoso tra aspettative create da una determinata origine geografica e soddisfazione derivante dal consumo del prodotto. Si tratta soprattutto di dirigere verso i consumatori informazioni sui luoghi nei quali i prodotti nascono pi che sui prodotti stessi, per mettere in evidenza quegli elementi del tessuto territoriale che i consumatori ritengono connessi alla creazione della tipicit. Unappropriata comunicazione collettiva su una determinata regione come luogo della tipicit alimentare potrebbe costituire unimportante base su cui il processo di costruzione/ricostruzione dellimmagine dei singoli territori e della promessa di qualit alimentare che essi portano alle persone.

Riferimenti bibliografici
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Marsden T., Banks J., Bristow G. (2000), Food supply chain approaches: exploring their role in rural development, Sociologia Ruralis, 40: 424-438. Marsden, T., Banks, J. and Bristow, G. (2000). Food supply chain approaches: exploring their role in rural development. Sociologia Ruralis. 40 (4): 424-438. Murdoch, J. e Miele, M., (1999). Back to nature: changing world of production in the food sector. sociologia Ruralis, 39(4). Rocchi, B. 2000. Domanda di vino e convenzioni di qualit. Rivista di Economia Agraria, 55(2): 275-308. Van Ittersum, K., Candel., M.J.J.M. and Meulenberg, M.T.G. (2003). The influence of the image of a products region of origin on product evaluation. Journal of Business research. 56: 215-226. Warde, A. (1997). Consumption, Food and Taste. London, Sage.

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GLI AUTORI

Giovanni Balestrieri, docente presso la facolt di Economia dellUniversit di Pisa, insegna Economia agraria, Economia del turismo e Sviluppo rurale sostenibile nel corso di laurea triennale in Economia del territorio e dellambiente e nel corso di laurea specialistica in Sviluppo e gestione sostenibile del territorio. Negli anni pi recenti ha rivolto i suoi interessi di ricerca al turismo rurale e alle produzioni agricole tipiche e tradizionali, con particolare riferimento alla Toscana. Giovanni Belletti professore associato nel Dipartimento di Scienze Economiche dellUniversit di Firenze, dove insegna Economia dellazienda agraria e agroindustriale e Politiche agroambientali nella Facolt di Economia. I principali interessi di ricerca riguardano leconomia della qualit dei prodotti agroalimentari e le politiche agroambientali. Gianluca Brunori attualmente professore ordinario presso il Dipartimento di Agronomia e gestione dellAgroecosistema dellUniversit di Pisa. Il suo settore di ricerca leconomia agraria e lo sviluppo rurale con particolare attenzione allo studio delle strategie di sviluppo individuali e collettive delle piccole imprese agricole e delle relative politiche di supporto. coautore di circa 70 pubblicazioni, di cui 30 in lingua inglese e su libri o riviste internazionali. Ha collaborato con ricercatori di Universit straniere in numerosi progetti europei. Dirige la rivista Agricoltura Mediterranea, ed stato eletto Presidente del consiglio tecnico scientifico dellARSIA (Agenzia regionale per lo sviluppo e linnovazione in agricoltura) Regione Toscana. Tunia Burgassi dottoranda di ricerca nel Dipartimento di Scienze Economiche dellUniversit di Firenze. I principali interessi di ricerca riguardano leconomia della qualit dei prodotti agroalimentari e in particolare dei prodotti tipici.
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Alessio Cavicchi ricercatore di Economia Agraria presso lUniversit degli Studi di Macerata. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca allUniversit degli Studi di Napoli Parthenope e un MSc in FoodEconomics and Marketing allUniversit di Reading (UK). Ha pubblicato su riviste nazionali e internazionali e svolge attivit di ricerca sul comportamento del consumatore e sulla qualit e sicurezza alimentare. Raffaella Cerruti svolge il Dottorato di Ricerca in Economia e Politica Agraria presso la Facolt di Economia dellUniversit di Parma e collabora allattivit di ricerca presso il Dipartimento di Agronomia e gestione dellagroecosistema dellUniversit di Pisa. Nella sua attivit di ricerca attualmente si occupa di sviluppo rurale e di multifunzionalit dellagricoltura, e su questo tema partecipa a progetti di ricerca a livello nazionale ed europeo, legati all analisi delle politiche agricole e di sviluppo rurale, e degli aspetti di marketing relativi alla tutela e valorizzazione dei prodotti alimentari di qualit e tipici. Manuela Gabbai ha conseguito un Master of Science in Culture and Society alla London School of Economics and Political Science. E specializzata nellanalisi dei comportamenti di consumo e nello studio delle percezioni e valutazioni del consumatore su specifici settori o prodotti e svolge ricerche qualitative sul settore agroalimentare. Massimo Gioia ha conseguito il dottorato di ricerca in Politica Agraria presso il Dipartimento di Economia Agroforestale e dellAmbiente Rurale, Universit degli Studi della Tuscia. Attualmente assegnista di ricerca al Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali, Universit di Firenze. I suoi principali campi di ricerca riguardano analisi economica delluso delle risorse idriche in agricoltura e le politiche fiscali in agricoltura. Andrea Marescotti professore associato nel Dipartimento di Scienze Economiche dellUniversit di Firenze, dove insegna Economia agroalimentare ed Economia rurale nella Facolt di Economia. I principali interessi di ricerca riguardano lanalisi del sistema agroalimentare e delle filiere e la qualit nel sistema agroalimentare. Alessandro Pacciani professore ordinario nel Dipartimento di Scienze Economiche dellUniversit di Firenze, dove insegna Economia e politica agraria ed Economia della cooperazione in agricoltura nella Facolt di Economia. I principali interessi di ricerca riguardano le politiche agricole, lo sviluppo delle aree rurali e i distretti rurali, lorganizzazione economica dei produttori agricoli.
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Benedetto Rocchi ricercatore presso il Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dellUniversit di Firenze, dove insegna Economia Agroalimentare. I suoi principali campi di ricerca riguardano leconomia delle filiere agroalimentari e lanalisi delle politiche per il settore agricolo attraverso modelli macroeconomici. Donato Romano professore ordinario presso il Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dellUniversit degli Studi di Firenze. Coordinatore del gruppo di ricerca. I suoi studi pi recenti nel settore delleconomia agroalimentare hanno riguardato la stima dei costi di applicazione dellHACCP nellindustria alimentare e lanalisi della fiducia del consumatore nella comunicazione del rischio alimentare, in due studi europei di cui stato coordinatore. Adanella Rossi svolge attivit di ricerca e collaborazione allattivit didattica in qualit di ricercatore in formazione presso il Dipartimento di Agronomia e gestione dellagroecosistema dellUniversit di Pisa. Gli ambiti di interesse dellattivit formativa e professionale riguardano vari aspetti legati allo sviluppo socio-economico delle aree rurali, in particolare le recenti dinamiche e strategie alternative nel sistema agroalimentare, la gestione sostenibile delle risorse ambientali e la programmazione economica e pianificazione territoriale. Massimo Rovai in qualit di Professore associato presso la Facolt di Ingegneria attualmente titolare del corso di Economia ed estimo rurale e territoriale. Lattivit di ricerca riguarda: leconomia agroalimentare in particolare, lo studio dei sistema agroalimentari, levoluzione del sistema agro-analisi degli aspetti organizzativi e commerciali relativi alla valorizzazione dei prodotti alimentari tradizionali e tipici; e nellambito delleconomia ambientale, limpatto delle attivit agricole e delle politiche sullambiente. Silvia Scaramuzzi ricercatore nel Dipartimento di Scienze Economiche dellUniversit di Firenze, dove insegna Economia e gestione delle imprese agrituristiche ed Economia rurale nella Facolt di Economia. I principali interessi di ricerca riguardano lanalisi delle filiere agroalimentari e il credito agrario. Gianluca Stefani, MSc in Agricultural Economics (Reading UK), PhD in Economia e Politica Agraria (Bologna), PhD candidate in Environmental Economics (York UK). Attualmente professore associato di Politica Agroalimentare presso il Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dellUniversit di Firenze. I suoi principali interessi di ricerca sono: analisi di impatto della regolamentazione per le politiche agroalimentari, economia del consumi alimentari, metodi di marketing research per i prodotti agroalimentari.
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