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Intorno al margine.

Per una semiotica della periferia urbana Pierluigi Cervelli Universit di Siena

Il titolo che irresponsabilmente ho dato a questo articolo ci introduce subito allobiettivo della ricerca di cui esso sintetizza molti aspetti. Il mio obiettivo verificare la possibilit di costruire la periferia urbana come oggetto semiotico, analizzando la sua specificit e le relazioni in cui si iscrive rispetto alla citt di cui il resto o, come riportano le definizioni dizionariali, la parte marginale. Se il senso comune e quello iscritto nel dizionario ci autorizzano a postulare una riconoscibilit della periferia come ci che si distingue dal centro, non possiamo con ci dare per scontate le ripartizioni degli elementi urbani sancite socialmente e rinvenibili a livello di discorsi e rappresentazioni della citt. Parlando con gli urbanisti e gli architetti frequentemente ci si sente dire che la periferia di Roma, il campo di indagine della mia ricerca, formata da quartieri fra loro diversissimi: il nostro obiettivo sar proprio quello di verificare se vi sia, e come funzioni, la forma condivisa di riconoscibilit, che permette di designarle tutte come periferie e da che tipo di trattamento semiotico dello spazio urbano essa scaturisca. La speranza quella di poter fare interagire le categorie di analisi della semiotica strutturale e generativa con quelle della semiotica della cultura, costruendo una delle semiotiche particolari che farebbero parte della semiotica topologica di cui parlava Greimas (1976), verso una semiotica della spazializzazione culturale, che cio considera come gli oggetti topologici acquistano e danno senso allinterno di sistemi semiotici pi vasti, le semiosfere, che utilizzando lo spazio come un sistema modellizzante si costituiscono e si descrivono. Allinterno di un insieme cos ricco e indeterminato questo lavoro si colloca come un primo passo in un terreno incerto. Punti di riferimento: il campo di una riflessione Se, anche molto sommariamente, costruiamo un piccolo inventario di termini 1 che designano gli insiemi abitativi che compongono la citt, come quartiere, borgata, rione, troveremo che i lessemi sono assiologizzati secondo una moralizzazione basata sulla topologia dellinsieme che vede il rapporto centro-periferia strutturarsi spazialmente come la degradazione continua del valore dal centro verso l'esterno. La periferia la zona esterna, marginale, la borgata a Roma, quartiere popolare dellestrema periferia 2 . Apparentemente neutrale, la geometricit della lingua esprime la descrizione condensata di una struttura elementare e regolare, come il villaggio Bororo analizzato da Lvi-Strauss 3 , in cui la pianta del villaggio manifesta la struttura sociale della comunit che lo abita, con le sue interdipendenze e le sue gerarchie. uno schema molto lontano dalla realt della periferia urbana che conosciamo, frutto impuro dellurbanesimo forzato e dellimmigrazione, come aveva gi notato Pasolini, in polemica proprio con lo strutturalismo 4 . Il problema stato affrontato dal punto di vista urbanistico, parlando di citt frattali 5 o, da un versante pi sociologico, di metropoli: una citt senza confini definiti in cui si affastellano elementi diversi e incompatibili 6 . Se il senso si staglia su di uno sfondo e lo spazio si d come discontinuit rispetto ad unestensione indifferenziata 7 , piuttosto che come un insieme lineare e isoritmico possiamo pensare lo spazio urbano come un campo di forze, di 1

tensioni, in cui il valore espresso a tratti scompare e si ricostruisce quando si producono degli insiemi locali 8 . Il problema sar allora definire le forme della persistenza di un valore allinterno di una struttura di cui possiamo riconoscere le rotture e le differenze, e le frontiere, per quanto porose, permeabili esse possano essere. Si tratter dunque di analizzare i modi in cui la citt si mostra e si d alla conoscenza di un osservatoreviaggiatore, dandogli nel contempo la sensazione di penetrare o uscire dai luoghi (e dunque del passare ad altro), producendo effetti estesici di orientamento e disorientamento, cos come delle variazioni di ritmo. In unottica semiotica inoltre la stessa presenza di elementi incompatibili non significa che la citt si dissolve nel collasso dei codici: come sostiene Lotman 9 lungi dallessere un fattore di distruzione della citt, il suo poliglottismo la forza a partire da cui essa diviene capace di produrre nuova informazione e insieme nuova memoria culturale. La citt, possiamo dire allora, assimilabile in questo modo ad un organismo semiotico: essendo dinamico, produce nuova informazione; avendo una memoria, costruisce una propria temporalit interna; essendo metariflessivo dedica una parte dellinformazione che esso produce alla definizione di una serie di immagini di s stesso come insieme, e cio alla definizione dei propri limiti e della propria alterit. Dovendo costruire la periferia urbana come oggetto topologico dovremo prima di tutto garantirci un minimum epistemologico cercando di evidenziare i meccanismi attraverso cui uno spazio parla di s come testo e come linguaggio, delegando ad una sua parte il compito di descrivere metalinguisticamente il sistema espressivo che lo produce. Si tratta di affrontare il problema evitando una visione lessicale dello spazio e seguendo il filo di un discorso frammentario sulla capacit poetica dei linguaggi e sulla autoriflessivit del testo. Un discorso che va da Jakobson, Greimas e Lotman fino alla formulazione proposta da Fabbri 10 , ma che compare sottotraccia anche nella semiologia architettonica di Eco. Se il problema semiotico dellarchitettura quello di regolare la relazione fra natura e cultura elaborata in una data comunit, dovremmo cercare lo specifico della periferia urbana nella articolazione della relazione fra naturale e costruito, fra spazio che si d al di l delluomo e spazio informato dalla sua opera 11 . Il naturale urbano: da natura messa in scena ad anticitt Nella produzione architettonica lopposizione fra naturale e costruito si esplicita come organizzazione di pieni e vuoti 12 . Anche i vuoti si pongono come testi autonomi, che segmentano e mostrano il macrotesto costituito dalla citt nel suo complesso, con una capacit metalinguistica, quella di unire e mostrare linsieme 13 . una posizione condivisa, anche se non espressa in termini semiotici, da Italo Insolera 14 , nel suo studio sullo sviluppo urbanistico di Roma nellultimo secolo, quando lamenta come un immenso scempio la distruzione dei parchi nobiliari nel periodo immediatamente postunitario, che ha privato la Roma moderna di una cintura verde capace di circondare la citt antica e differenziarla rispetto alla nuova. In questo caso il naturale urbano viene dunque pensato come elemento capace di esprimere una temporalit interna al testo. Al posto delle ville sono stati costruiti quartieri intensivi, mentre dellidea di Insolera rimasta una traccia al contrario: c oggi in effetti una parte della citt che segnata da una cintura verde, ma una cintura caotica composta da zone incolte 15 che separano i quartieri residenziali da quelli della nuova periferia degli anni Cinquanta e dalle borgate storiche, come Primavalle, o Pietralata (fig. 1) ma anche dai nuovi quartieri, come Corviale e Tiburtino terzo, di edilizia popolare degli anni ottanta.

Figura 1

Negli anni fra il 1928 ed il 1940, questa situazione stata largamente pianificata 16 : la pratica edilizia delle borgate prevedeva che esse fossero costruite molto lontano dai quartieri ufficiali della citt, spesso fuori piano regolatore. Per questo frequente incontrare fra un quartiere e laltro tratti urbani che sembrano campagna, pieni di orti, in cui la citt non si vede, o sembra dissolversi: uno sviluppo urbano che ha divorato la campagna la vede riaffiorare nelle pieghe del suo discorso come un rimosso 17 . Lo stato di abbandono e lincertezza legislativa hanno casualmente preservato queste zone dallo sviluppo edilizio, tanto che stato possibile per gli artisti (fra laltro architetti) del gruppo di ricerca Stalker 18 , muoversi in questi futuri abbandonati della citt 19 facendo un campeggio di una settimana fra il Raccordo Anulare e la tangenziale, senza mai uscire dalla citt e tuttavia senza neanche entrarvi. Molte nuove e vecchie periferie riproducono questo tipo di dispositivo spaziale: fra esse e il resto della citt si frappongono questi spazi di ex-campagna, suggestivi per dadaisti e situazionisti e problematici per gli architetti e gli urbanisti, sin dalla definizione: vuoti urbani 20 , zone di nessuno 21 , zone bianche 22 , o, con un ossimoro zone rurali urbanizzate (figg. 2, 3, 4) 23 .

Figura 2

Figura 3

Figura 4

Confini e frontiere: lo spazio fra discontinuit e neutralizzazione Ci interessano qui le forme di riconoscibilit che derivano da queste fratture, da questa particolare relazione fra naturale e costruito, e che si pongono come effetti di senso riconoscibili e intersoggettivi. Questi spazi vuoti si presentano come elementi naturali spontanei deculturalizzati e desemantizzati , estranei al sistema che li ingloba e si oppongono agli spazi naturali costruiti (una forma culturalizzata di naturale) come il parco e il giardino, che presuppongono lopera di un attore antropomorfo articolata in una serie di operazioni che li porta ad essere quello che sono e a restare stabili nel tempo. Prodotte dallo sviluppo urbano, queste zone ne sono il residuo: inglobate nella citt non sono pi spazi naturali, vuote ed estranee rispetto al tessuto

urbano non possono essere considerate insiemi costruiti. Se un quartiere pu essere definito come il prodotto una serie di performance realizzate, di un programma narrativo che le organizza in vista della costruzione di un oggetto di valore, queste zone bianche si pongono come negazione stessa dellenunciazione, data limpossibilit di riconoscere una forma testuale definita. Non iscritto in esse un simulacro di attori n si sa quali attori sociali effettivamente vi si muovano e quali pratiche essi svolgano. Non definito un confine, n una temporalit interna e non possibile scomporle in parti diversificate. Piuttosto in esse si annullano i sistemi di visibilit e motricit costruiti dalle configurazioni spaziali, che definiscono le traiettorie viarie e visive. Ogni insieme architettonico identificabile deve possedere dei confini intersoggettivamente riconoscibili e porsi come rete di percorsi (che presenti un criterio di organizzazione interna) orientata verso un proprio centro o verso il centro di un sistema semiotico pi vasto. Nelle zone bianche vi invece assenza di orientamento; esse rovesciano piuttosto lorientamento perch oltrepassandoli ci si ritrova in un altro insieme: se prima ci si allontanava da un centro semiotico ora ci si avvicina (ad un altro). Da questo punto di vista la frontiera non n vera n falsa: Il suo problema pratico e teorico : a chi appartiene? (de Certeau 1990, 187). Conta cio la sua capacit performativa: quello che fa fare. Ci sembra pertanto di poter definire queste zone bianche come spazi neutri: lestensione che rappresentano viene delimitata dalla presenza di altri testi la cui identit semiotica si basa proprio sullopposizione con questi spazi. Valgono anche per essi le osservazioni, ricche di approfondimenti possibili, di Francesco Marsciani: come la maschera neutra la zona bianca induce un movimento di riproduzione continua del senso () impedisce agli attori della comunicazione in cui implicata di assestarsi su una qualunque significazione stabile (Marsciani 1999, 123). Ora, limportanza di questi spazi sta nel fatto che essi non assumono solo il senso di una mancanza 24 , ma rappresentano una neutralit determinata, la negazione di una specifica differenza (Marsciani 1999, 127). Possiamo definire, ad un livello molto astratto, una tipologia strutturale delle molteplici forme del vuoto che abbiamo incontrato sinora. Opporremo fra loro i termini /naturale/ e /costruito/, costruendo i vari spazi culturali in opposizione come termini complessi. A partire da questa schematizzazione possiamo giungere ad una prima definizione strutturale della periferia come forma semiotica nuova che supera la distinzione fra naturale e costruito storicamente alla base della citt e partecipa di entrambi i termini inglobandoli.
Parco /Naturale Culturalizzato/ Naturale Costruito pieni urbani /Artificiale /artificiale/ edificato/

Bosco /natura/ Non Costruito Zone bianche /Spazio Denaturalizzato/ Non Naturale

Lo sguardo sul quartiere: Serpentara e Pietralata Vorremmo ora osservare come questo si traduce nella vita quotidiana che negli spazi della periferia si svolge, mettendo alla prova lapproccio semiotico quando non si sofferma su configurazioni estese, proprie del discorso urbanistico. Perci cambiamo ottica e scala di analisi: allinterno di due quartieri, Nuovo Salario-Serpentara (IV circ.) e Pietralata (V circ.) (fig. 1), considereremo due complessi di edilizia pubblica degli anni Ottanta concentrandoci sulla natura dei confini e sulle procedure di omogeneizzazione dello spazio attraverso luso del verde pubblico. Allinterno del quartiere di Serpentara queste procedure saranno desunte dal confronto fra un complesso di edilizia popolare ed un altro privato. La nostra ipotesi che attraverso la disposizione delle zone bianche e del verde pubblico si costituiscano delle configurazioni riconoscibili, che producono effetti di senso di integrazione/allontanamento fra diversi elementi, legati allopposizione basilare qui/l, attraverso la ripetizione di elementi e la presenza di schemi fissi di disposizione. Descriveremo il complesso adottando il punto di vista di chi si muove a piedi. Analizzeremo in particolare una porzione del quartiere che si sviluppa in forma panottica attorno ad una piazza centrale (fig. 5) occupata da un edificio semicircolare per uffici cui sono contigui due complessi edilizi: uno popolare e uno privato. Attorno a questo nucleo centrale si sviluppano, a raggiera, una serie di complessi ognuno strutturato come un reticolato di isolati circondati da un giardino (fig. 6), ognuno composto da quattro palazzine di otto piani contigue disposte circolarmente attorno a una corte interna penetrabile da tutti i lati. Una disposizione diffusa insolita per il quartiere, che composto generalmente da condomini che si organizzano puntualmente, come agglomerati di palazzi con la corta interna, chiusa da mura, che ospita i parcheggi. Il giardino si sviluppa connettendo fra loro i vari isolati e segna il momento in cui dalla strada ci si incomincia ad inoltrare verso la parte privata del complesso, quella delle singole palazzine che compongono ogni isolato, e termina con una siepe che nasconde gli ingressi ai garage privati. Il giardino, curatissimo, punteggiato di panchine ed i percorsi sono segnati: lattore umano previsto per utilizzare lo spazio iscritto cos simulacralmente in esso attraverso una serie di manufatti che presuppongono la presenza di un corpo antropomorfo che li attraversa e li usa. Fra alberi, oleandri, piante ornamentali e giochi per bambini questo giardino va a occupare tutto lo spazio che c fra le piccole stradine di collegamento che servono ad uscire dai garage e la strada che si innesta sullarteria di transito del quartiere.

Figura 5

Figura 6

Il giardino si estende disponendo i medesimi oggetti in ogni isolato, secondo uno schema comune che vede i portici del palazzo circondati dalla siepe, contigua alla stradina inglobata nel giardino, per cui leffetto di senso per un osservatore che si muove dalla strada e si addentra sino agli edifici quello di superare una serie di incassamenti successivi. Attraverso un progressivo aumento del verde pubblico ed una continua diminuzione della visibilit si originano delle soglie che modulano lavvicinamento ad un oggetto di valore, lo spazio privato degli appartamenti, in una scansione ritmica dello spazio. Si tratta dunque di una forma di aspettualizzazione spaziale: qualcosa che si d spazialmente assume le caratteristiche di un processo (Cavicchioli 2002, 183). Il centro semiotico della composizione non corrisponde al centro geometrico, topografico, dellinsieme (la zona occupata dal piccolo parco, sempre deserto, e dagli uffici, non si presenta come un obiettivo da raggiungere), per cui i percorsi terminano senza presentare loggetto di valore che promettono, lo spazio privato degli appartamenti che resta nascosto e separato. Nonostante questa assenza lomogeneit dellapparato evidenziato non perde la sua forza. La ripetizione degli elementi figurativi secondo uno schema comune a progressione costante ha un effetto veridittivo: sancisce lestensione dellinsieme e lappartenenza ad esso di ogni sotto elemento, e contemporaneamente il fatto che quello un insieme compiuto, con un proprio criterio di unit interna. Mi sembra interessante come non vi sia alcun tipo di confine rispetto allo spazio centrale mentre lo spazio del giardino deve distaccarsi fortemente dalle zone amorfe che gli sono contigue: esso si separa dalla vasta zona bianca contigua ad esso, che si estende sino ai vicini quartieri (tutti popolari), chiudendosi con una rete metallica nel punto in cui esso diviene paesaggio, in cui cio allo spazio chiuso dalla siepe, dalle strade e dagli isolati se ne sostituisce uno aperto e ad una visione determinata subentra una visione indeterminata 25 . La chiusura dello spazio del giardino non potendo avvenire sul piano delle visibilit si esplica dal punto di vista del movimento: senza alcuna mediazione con lo spazio esterno una frontiera puntuale e fissa si genera a partire da uno scarto modale sancito da un attore pragmatico. La predisposizione di successioni ordinate e tipi ricorrenti non basta a garantire lintelligibilit dello spazio interno, che oltre a essere omogeneo deve essere dotato di un percorso orientato di valorizzazione: la 7

rete metallica garantisce questo percorso costringendo il movimento allinterno di un perimetro, ossia di una struttura chiusa. La vera rottura con lo spazio esterno amorfo sta dunque, come sostengono Deleuze e Guattari 26 , nella sostituzione di un cammino sedentario, organizzato per distribuire gli individui allinterno di un territorio determinato a quello che senza la rete sarebbe stato un tragitto nomade in un territorio aperto, indefinito. Laltro limite del giardino costituito da una siepe molto fitta, in cui compaiono alcune fessure per il passaggio alla strada, al di l della quale si estende una piccola zona di nessuno che contiene rifiuti di ogni tipo: vestiti, cartacce, parti di motorini. Al di l della siepe lordine del giardino si dissolve: non si evidenziano attori determinati e percorsi, piuttosto abbiamo residui di pratiche che devono restare invisibili, come se questo spazio manifestasse dei non-attori, dei clandestini, impegnati a scomparire, a rendersi invisibili alla societ. Vediamo bene perci come non si tratti di una natura lasciata a s stessa che ritorna allo stato originario: la zona di indiscernibilit piuttosto uno spazio per chi non ha spazio e questo ribadisce, come visto prima, il suo carattere neutralizzato, insieme non costruito e non pi naturale. Gli insiemi privati presentano dei limiti fissi fra interno ed esterno, immutabili nel tempo, espressi da figure architettoniche ben definite, attori delegati di una strategia diffusa di privatizzazione dello spazio che si traduce in un sistema di percorsi che gradua laccesso facendo dello spazio il distributore narrativo e modale di una forma di localit: autonomia di uno spazio rispetto allinsieme in cui si situa. Attraverso una sorta di scheletro figurale basato su opposizioni topologiche elementari (chiuso/aperto, circondante/circondato) lo spazio fornisce la cornice al movimento di un osservatore praticante permettendogli di riconoscere gli insiemi attraverso un ritmo visivo e sensomotorio, scandito dalla reiterazione di alcuni elementi costanti, figure architettoniche del giardino e del condominio, secondo una griglia topologica che permette di valorizzare gli elementi come dotati o no di un orientamento, di un inizio ed una fine, e dunque di un significato, di un valore (Lotman 1973, 135-141). emblematica in questo senso la presenza della siepe, limite del giardino e della zona di nessuno, che modifica le modalit di accessibilit visuale allinsieme residenziale: pur non costituendo un limite ai movimenti (pu essere facilmente scavalcata) costituisce due diversi attanti osservatori e dunque almeno un punto di vista esterno ed uno interno, diversamente modalizzati secondo il poter-vedere, e soprattutto, come barriera, ha il potere di far credere che vi sia un oggetto di valore al di l di essa 27 . Oltre questa zona si estende il complesso di edilizia residenziale pubblica, che si distingue per differenze cromatiche e di scala: si tratta di un gruppo di palazzi di 15 piani alternati a palazzi che si sviluppano in lunghezza per cinque piani di altezza, in cemento armato. Ma non questo lelemento differenziale: mentre tutti i condomini contigui si presentano come sottoinsiemi compiuti del quartiere 28 , al complesso popolare sono contigue due zone bianche 29 di indiscernibilit semiotica. Mentre cio tutti gli insiemi privati presentano confini definiti, o attraverso i muri o attraverso il trattamento dello spazio, il complesso di edilizia pubblica si evidenzia proprio perch non esplicita delle forme di segmentazione e separazione: sembra che la strada e una serie frammentaria di spazi neutralizzati si insinuino al suo interno. Dalla discontinuit allindiscernibilit Il complesso di edilizia popolare si presenta come una estensione variabile di territorio 30 introdotta, da una zona di indiscernibilit instaurata da tre attori, esterni ai palazzi che compongono linsieme: 1) la strada come luogo dello spostamento (dove cio si privi di luogo) e di un dislivello ritmico rispetto alla velocit di percorrenza 8

dello spazio interno ai vari insiemi edilizi; 2) lo spazio che circonda il largo Cloe Elmo, che si presenta come lingresso al complesso popolare, ed i suoi giardinetti: delle aiuole trascurate con piccoli camminamenti abbandonati ove lerba ed il prato sono radi e le erbacce ed i rifiuti abbondano; 3) zone asfaltate usate occasionalmente come parcheggi (figg. 7, 8). Non vi dunque una configurazione stabile che si espande secondo un modello riconoscibile: piuttosto come se il quartiere popolare fosse formato da isolotti separati che galleggiano nel vuoto, come se lo spazio costruito si limitasse alla definizione di tanti spazi separati fra loro, nei cui interstizi si riproducono le zone di nessuno che separano il complesso dagli insiemi contigui e che lo frammentano al suo interno. Lo spazio attraverso cui si accede al complesso popolare, senza che vi sia un attante delegato a segnalare un cambiamento, resta isomorfo alla strada: un modo di passare (de Certeau 1980, 292). Mancano cio degli spazi pubblici e semipubblici che possano introdurre agli spazi privati e funzionare come spazi sociali: ad essi si sostituiscono spazi neutralizzati. questa una caratteristica distintiva di molti quartieri della periferia romana: al massimo di concentrazione degli spazi privati, cio della densit abitativa, non corrisponde la presenza di spazi praticati, di socializzazione, ma al contrario, di spazi vuoti. Questo comporta una sorta di indecidibilit semantica del luogo, una prosecuzione dellindiscernibilit degli spazi neutri anche allinterno dellinsieme popolare, in cui il sistema viario e quello della toponomastica non costruiscono una omogeneit n comunicano un criterio interno di organizzazione. Ho fatto delle piccole prove, chiedendo alle persone di passaggio, tutti abitanti del quartiere, in che via o piazza ci trovassimo. Alcuni indicavano la piazza a fianco, altri facevano notare che si trattava di una via (mentre noi eravamo in un luogo circolare e di parcheggio), ma l'atteggiamento generale era quello della constatazione di unalterit rispetto alla forme socialmente definite della toponomastica e della morfologia edilizia del quartiere che portava alla impossibilit di riconoscere dove fossimo e indicare il nome del luogo. Mentre cio gli insiemi residenziali privati definiscono in maniera meticolosa il proprio e l'altrui attraverso la definizione di regimi di visibilit diversificati, l'iscrizione di attori umani e di programmi narrativi nei luoghi propri, il quartiere popolare non appare dotato di confini definiti fra s e altro da s. Ci si ritrova senza accedervi, e la distinzione fra esterno e interno non marcata dalla disposizione degli elementi spaziali, n dal sistema della toponomastica, n come abbiamo gi visto dal sistema di soglie che privatizza gli spazi degli altri insiemi.

Figura 7

Figura 8

Alla periferia del quartiere Nel complesso di edilizia pubblica del quartiere, che appare come una periferia interna, si rovesciano i sistemi metalinguistici che regolano la configurazione dello spazio urbano: quello della toponomastica (che trasforma alcuni elementi dello spazio in attori di unaltra narrazione, generalmente storica, e li sottopone ad un ulteriore sistema modellizzante, quello della nominazione) e quello della organizzazione funzionale della viabilit (pianificazione urbanistica, organizzazione di percorsi visivi e viari) perdono regolarit e non riescono pi a indicare la natura e la funzione dei singoli spazi n un tessuto connettivo. Il sistema dei nomi delle vie non solo non comunica una logica soggiacente (come quella istruttiva e nazionalistica di altre zone della citt, per esempio i quartieri borghesi costruiti durante il regime fascista) ma non riesce a sovrapporre agli spazi una struttura coerente di differenziazione capace di colmare, con un nome, i margini di neutralizzazione. Il sistema di organizzazione delle strade e della rete viaria non ricalca il modello romano del castrum o quello panottico circolare tipico dei quartieri borghesi, ma si frantuma in una serie di viuzze che si rovesciano le une nelle altre o sfociano in piccoli slarghi senza che si possa riconoscere una via principale, senza che possano emergere un centro, un orientamento definito, cio una gerarchia di valori espressi tramite configurazioni riconoscibili, una continuit fatta di discontinuit () [in cui] delle unit sono identificabili nella loro immediata visibilit e leggibilit (Floch 1990, 93) e senza che lo spazio possa assumere una funzione fatica, capace cio di orientare e motivare il movimento, di dare delle direzioni. Si produce perci una sorta di indeterminazione, di effetto nebbia: la difficolt di nominare e indicare, tanto che gli stessi abitanti non sanno come chiamare gli spazi. Mentre cio il modello privato prevede una distinzione netta fra naturale e costruito e fra organico e inorganico, il complesso pubblico si pone come aggregazione inedita di questi elementi e come elemento poroso, il cui confine sottoposto allo scorrere del tempo e alle pratiche dello spazio.

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L'intervento degli abitanti: la produzione dello spazio quotidiano Senza gli abitanti infatti gli spazi comuni non si rendono riconoscibili: potrebbero essere parcheggi, luoghi abbandonati, strade. La natura dell'intervento degli abitanti, che si configura come unopera di bricolage 31 si differenzia per molto dalle procedure di omogeneizzazione dello spazio che abbiamo visto funzionare nellinsieme privato. Sebbene alcuni interventi si siano soffermati sulla zona di indiscernibilit che circonda il complesso, anche con delle invenzioni interessanti 32 , non alla produzione dei confini di un insieme ipotetico che gli interventi mirano: piuttosto il tentativo quello di produrre delle localit (Appadurai 1996, 232), di segnare e limitare gli spazi praticati. Lesempio quello del giardino autoprodotto dagli abitanti di Serpentara, con tanto di fontana illuminabile, pesci rossi, tavolo, sedie, piante di molti tipi diversi e aiuole attorno alle piante. Lo spazio segnato da un cancello, peraltro sempre aperto, e delimitato da una piccola siepe che gli abitanti curano (figg. 9, 10, 11).

Figura 9

Figura 10

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Figura 11

La presenza di questi elementi sembra contraddittoria: perch porre un limite, il cancello, e insieme negarlo, lasciandolo sempre aperto? Perch delimitare un ingresso quando questo giardino non recintato? Perch soprattutto produrre degli spazi locali anzich operare per la definizione dei confini dellintero insieme, come negli attigui complessi edilizi privati? Questa tendenza non isolata, anzi appare ancora pi evidente se andiamo ad analizzare le procedure di intervento degli abitanti all'interno di un altro complesso popolare, sempre degli anni Ottanta, che presenta caratteristiche volumetriche e architettoniche simili a quelle dellaltro insieme considerato, anche se un unico grande edificio di forma circolare. Si trova nel quartiere di Pietralata. Gli interventi degli abitanti ci interessano perch non si soffermano pi di tanto sulla definizione dei confini del testo (sebbene sarebbe semplice, dato che un vasto giardino abbandonato circonda linsieme), ma piuttosto sulla produzione di uno spazio pubblico pi curato possibile al centro dellinsieme stesso, che diventa luogo modalizzato (deonticamente), capace di dare un punto di partenza e di arrivo ai movimenti e di orientare le pratiche. Oltre ad essere spazio di relazioni, esso contiene iscrizioni (di comportamento) e un gran numero di elementi eterogenei che nellimmaginario comune non necessariamente caratterizzano i giardini pubblici: la fontana, il cavallino rampante, i nani da giardino (figg. 12, 13). Perch? La mia idea che in realt la volont quella di produrre degli spazi perfetti, esemplari, che possano essi stessi produrre come proprio contesto linsieme in cui si situano rendendolo cos discontinuo rispetto agli elementi circondanti. In questo modo la periferia si configura come spazio testualizzato 33 , che si struttura a partire dalla definizione di alcuni spazi esemplari mentre il centro semiotico si pone come spazio grammaticalizzato, capace cio di produrre un sistema implicito di regole sotteso alla produzione di nuovi testi secondo modalit iscritte nella sua struttura e predeterminate rispetto ai soggetti che producono effettivamente i nuovi testi 34 .

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Figura 12

Figura 13

In questo senso la periferia si presenta sin dalle sue origini come spazio testualizzato: unestensione amorfa (fuori piano regolatore, resa non-naturale dalle costruzioni che vi si sviluppano, come si vede molto bene nel recente film Cidade de deus di Fernando Mereilles) in cui vengono debraiati dei testi senza soluzione di continuit. Per questo la citt appare ai margini frammentata e confusa, come sostengono architetti e critici che parlano della perdita di forma urbana 35 . Quella perdita della forma dal punto di vista semiotico si presenta in realt come un eccesso di forme in lotta fra loro (ma senza vincitori) per porsi come instauratici di un contesto, in una lotta per la memoria in cui testi eterogenei si confrontano senza mediazione e soluzione di continuit. Pietralata, e molti altri quartieri di periferia, non fanno in realt che riprodurre questa struttura che vede succedersi costruzioni indipendenti le une rispetto alle altre, tratti di campagna, zone di nessuno, insiemi privati che tendono a separarsi dallo spazio circostante. 13

Rispetto a questa situazione mi pare importante come lo spazio pubblico autoprodotto di Pietralata costruisca il suo centro, considerato come punto di fuga che origina lo spazio circolare, nel punto in cui un osservatore pu cogliere tutto ledificio in cui il giardino si situa, unificandolo e mostrandolo, assumendo cio rispetto ad esso una funzione metalinguistica e fatica 36 . In un caso dunque abbiamo confini precisi e simulacri di attori, nellaltro invenzioni pi complete possibile attraverso cui si costruisce il punto di vista di un osservatore che vive lo spazio, un osservatore praticante dello spazio stesso inteso come fulcro della localit prodotta. In questo senso la costruzione di uno spazio praticato conserva unaura di soggettivit, che seppur filtrata, esprime dei bisogni ed un modello culturale (la cui definizione attraverso lanalisi delle pratiche potrebbe essere utile in fase di progettazione) dello spazio collettivo, la cui modificazione intesa come fenomeno di autocomunicazione: un messaggio che la comunit indirizza a s stessa per rappresentarsi e costituirsi 37 . Lontano dallassolvere pure funzioni mnemoniche, per Lotman (1973, 111-141) con questo tipo di comunicazione si eleva contemporaneamente il rango del messaggio producendo un sistema sintattico secondo che si sovrappone al messaggio stesso: Tra il messaggio originario e il codice secondario sorge una tensione che porta a interpretare gli elementi semantici del testo come se fossero inclusi in una costruzione sintattica complementare e ricevessero da questa interconnessione nuovi significati (relazionali). Tuttavia il codice secondario mira a trasformare gli elementi con significazione primaria in elementi liberati dai nessi semantici del linguaggio comune, senza per riuscirci. Infatti la semantica del linguaggio comune rimane ma a essa se ne sovrappone una secondaria, formatasi a spese delle dislocazioni che nascono allorch, dalle unit significanti della lingua, vengono costruite le diverse serie ritmiche () si tratta di una sua [del messaggio] trasformazione e riformulazione secondo altre categorie; inoltre non vengono introdotti nuovi messaggi,ma nuovi codici, mentre il destinatario e il mittente coincidono. () Il ruolo di simili codici pu essere svolto da strutture formali di vario tipo, che tanto pi fruttuosamente assolvono la funzione di riorganizzare i significati quanto pi asemantica la loro propria organizzazione. Sono tali gli oggetti spaziali del tipo degli arabeschi o degli insiemi architettonici destinati alla contemplazione, oppure oggetti temporali come la musica. Questo schema sarebbe rinvenibile nel nostro caso non a partire dagli elementi utilizzati, perch questi sono sottoposti ad una operazione virtualizzante che li trasforma, dice Lotman, in indici dei segni (ibidem) considerandoli solo in quanto elementi ritmici di uno schema sintattico che inscrive nel testo una memoria delle pratiche senza per concretizzarsi in nessun testo in quanto tale. Ancora da verificare, la nostra ipotesi che la costruzione di questo sistema sintattico secondo, in quanto operante con elementi virtualizzati e poi riattualizzati che vengono iscritti nello spazio come primitivi, sarebbe rinvenibile come una forma di prassi enunciativa 38 capace di rendere conto dellinserimento della soggettivit nello spazio, della capacit individuale o sociolettale di filtrare modelli culturali e riattualizzarli, nel senso di quella progettualit, cui si riferiva Sandra Cavicchioli riflettendo sullidea di prensione 39 in J. Geninasca, intesa insomma a non ridurre immediatamente il mondo a figure stereotipe, a non trasformarlo in puro lessico luogo di una competenza e di unosservazione media cercando invece di farne percepire una dimensione del sensibile, unaltra lettura, che contemporaneamente a una scena abitata di oggetti figurativamente riconoscibili, faccia cogliere i tratti minimali, percettivamente motivati, di tali oggetti (Cavicchioli 2002, 186, corsivo mio). Con questo non si vuole 14

certamente lasciare ai margini la componente semantica dei testi considerati, semplicemente si vuole segnalare come anche le configurazioni spaziali possano assumere delle forme momentanee, prendere direzioni impreviste, mutare nella loro rigidit di strutture dandosi nel tempo attraverso un ritmo, come lo intendeva Benveniste (1966, 398): la forma dinamica di una struttura che si dipana, cadenzata, nel tempo. Attraverso queste forme di invenzione dello spazio, che si sostituiscono ai calcoli e riempiono i vuoti della razionalit urbanistica, la periferia cessa di presentarsi solo come residuo per divenire localmente un insieme capace di dotarsi di regole proprie di organizzazione, di inventare, fra mille difficolt, nuove forme di vita. Gli spazi quotidiani ci chiedono di trovare le loro parole.

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Note 1 2 3 4 5 6 In Carte Semiotiche n. 8, 2005, pp. 74-96. Monografica Semiotiche dello spazio a cura di Paolo Bertetti. Una vera analisi lessematica meriterebbe un intero saggio. Per ora ci limitiamo solo ad accennare un tema da approfondire. Fonte: Grande Dizionario Garzanti, 1987. Negli studi di urbanistica sono messi in luce gli stessi meccanismi, partendo per da un altro dizionario (Devoto-Oli): cfr. Bellicini e Ingersoll 2001. Cfr. Lvi-Strauss 1958, 140-185. Pasolini 1975, 156 Per una trattazione pi ampia e propriamente semiotica dellargomento cfr. Calabrese 1987. Secondo questa concezione pi che manifestare una forma, la citt di oggi si sarebbe riempita di frammenti urbani, per cui si parla di territori urbanizzati, di citt-territorio o di metropoli, termine-ombrello che designa le citt diffuse in cui non pi rinvenibile una distinzione fra centro e periferia. La metropoli si opporrebbe alla citt proprio rispetto alla impossibilit di conservare un ordine ed una forma chiusa. evidente come si tratti del grande problema della dinamica dei sistemi semiotici: come pu un oggetto che cambia restare s stesso, come possibile descrivere i processi che lo portano a divenire molteplice. Nella prospettiva della semiotica della cultura, citt e metropoli non vanno per considerate come due realt inconciliabili ma come modalit differenti attraverso cui unestensione si articola come sistema spaziale e si propone alla lettura attraverso differenti strategie di coesione e di leggibilit. Saremmo dunque di fronte a due forme di intelligibilit, due prensioni del senso (cfr. Geninasca 1997), che operano assieme a livelli diversi di complessit di uno stesso sistema semiotico. evidente come il tema sia molto vasto e ancora da approfondire. Cfr. Greimas 1976, 125. Cfr. Appadurai 1996, de Certeau 1980. Cfr. Lotman 1998, 39. Cfr. Paolo Fabbri 1998, 22-30. Cfr. Greimas e Courts 1979, voce natura, 232, Lotman e Uspenskij 1973, 25-35 e Lotman 1998, 38-50. Con questo termine si indicano le porzioni di citt costruite ma non edificate: piazze, parchi, percorsi. Cfr. Hammad 2004. Cfr: Eco 1968, 202. Cfr: Insolera 1970. Queste zone non sono segnalate n sullelenco stradale Tuttocitt, n sulle mappe fornite dallazienda pubblica dei trasporti (Atac). Addirittura nei piani di progetto delle borgate rurali si sottolinea come esse devono essere costruite in basso rispetto al piano stradale per non essere visibili dalle strade consolari (Cfr. Insolera 1970, 106-107). Il medesimo schema (basato sullopposizione figurale basso vs alto) regola oggi la posizione dei campi nomadi rispetto al resto della citt. un tratto comune, oltre a Roma, a molte grandi citt italiane: Milano, come documentano i fumetti di Lorenzo Sartori (Ogni matto ha la sua fissa, ed. Rasputin libri, episodio Il problema degli spazi); Torino, come si vede bene nel bellissimo documentario Pomodori, trasmesso da Raitre il 16/2/2004, che presenta uno straordinario spaccato sulla persistenza delle pratiche contadine degli immigrati meridionali e sulla loro capacit di adattamento nelle nuove forme dei quartieri popolari; Bologna, nella zona del quartiere Navile; Napoli, come nota lurbanista Ingersoll (2001). Documentato allindirizzo Internet http://digilander.libero.it/stalkerlab/tarkowsky/giro%20 di%20Roma/giro01.html Cfr. Careri 2002. Cfr. Secchi 1984.

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Cfr.: Bellicini, Ingersoll 2001. Termine usato in urbanistica per indicare che sono zone fuori piano regolatore. Le foto, che possiamo reputare emblematiche, si riferiscono alla zona di Pietralata. Come abbiamo notato considerando approssimativamente le espressioni con cui sono state definite dagli urbanisti e dagli artisti. Cfr. Dondero 2005. Cfr. Deleuze e Guattari 1987. Di questa osservazione sono debitore al prof. Gian Paolo Caprettini. Mi sembra ne siano un buon esempio gli spazi vuoti abbandonati ma chiusi allo sguardo (pensiamo alle zone militari) che non danno la sensazione, dal di fuori, di essere vuoti. quanto accade, ad esempio, a Bologna in Viale Carracci, nello spazio enorme dellex mercato ortofrutticolo. Sottoinsiemi puntuali, recintati con cortile interno chiuso da cancello e siepe, o diffusi, come nel caso trattato, ma chiusi da strategie spaziali di omogeneizzazione. Una quella gi descritta, contigua al giardino privato; nellaltra, parzialmente recintata e senza percorsi segnati, sorge una costruzione in cemento armato della societ cittadina dellacqua, lACEA. Le aperture portano alla strada e allinterno del complesso popolare. Una porzione di terreno che ricorda pi il limes romano che non le soglie instaurate dagli altri insiemi abitativi o le frontiere puntuali che separano gli stati: una zona, una fascia di estensione variabile. Devo questa osservazione a Federico Montanari. Cfr. Lvi-Strauss 1962. Colpisce la capacit inventiva con cui si rendono utilizzabili dei terreni difficili (abbandonati): le aiuole sono fissate in un terreno inclinato attraverso i cocci dei vasi rotti ed i terrazzamenti a vetro suppliscono ai dislivelli del terreno nelle aiuole attigue alla strada. Si tratta di un adattamento della distinzione lotmaniana fra culture grammaticalizzate e culture testualizzate cfr. Lotman e Uspenskij 1973, Eco 1975, e Pezzini e Sedda 2004. Non a caso, nella sua esposizione sui capolavori dellarchitettura del 900, Matteo Baborsky scinde in due aspetti il problema della costruzione di nuovi insiemi urbani: mentre nel centro della citt storica linsediamento va riferito agli edifici preesistenti, nella periferia la coerenza architettonica, la compiutezza degli elementi urbani, deve essere ricercata solo allinterno dellopera, e deve dunque essere una coerenza puramente plastica, progettuale, non essendo la periferia un luogo dotato di significati precisi (2001, 34). Cfr. Tafuri 1986. Cfr. Eco 1968. Cfr. Landowski 1989, Marrone 2001. Cfr. Greimas e Fontanille 1991. Cfr. Geninasca 1997.

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