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SYMBOLON

STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE


Direttore: Francesco Romano
UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO
LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI
PROBLEMI E PROSPETTIVE
Atti del Seminario
Catania, 26-27 settembre 2003
a cura di
R. Loredana CARDULLO e Giovanna R. GIARDINA
Prefazione di
Francesco ROMANO
CATANIA 2005 CUECM
ISBN 88-86673-75-2 14,00 (i.i.)
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STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE
Direttore: Francesco Romano
UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO
LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI
PROBLEMI E PROSPETTIVE
Atti del Seminario
Catania, 26-27 settembre 2003
a cura di
R. Loredana CARDULLO e Giovanna R. GIARDINA
Prefazione di
Francesco ROMANO
CATANIA 2005 CUECM
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e[ speiren kata; kovsmon
Or. Ch. Fr. 108 dP
SYMBOLON
STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE
Direttore: Francesco Romano
UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO
11. AA.VV., Momenti e Problemi di Storia del Platonismo (1984)
12. Luciano Montoneri, I Megarici (1984)
13. Francesco Romano, Porfirio e la Fisica Aristotelica (1985)
14. R. Loredana Cardullo, Il Linguaggio del Simbolo in Proclo (1985)
15. Concetto Martello, Simbolismo e Neoplatonismo in G. Scoto Eriugena (1986)
16. Francesco Romano e Antonio Tin, cur., Questioni Neoplatoniche (1988)
17. Francesco Romano, Proclo. Lezioni sul Cratilo di Platone (1989)
18. Daniela P. Taormina, Plutarco di Atene. LUno, lAnima, le Forme (1989)
19. Thomas Leinkauf, Il Neoplatonismo di Francesco Patrizi (1990)
10. Daniela P. Taormina, Il Lessico delle Potenze dellAnima in Giamblico (1990)
11. Concetto Martello, Analogia e Fisica in Giovanni Scoto (1990)
12. Eva Di Stefano, Proclo. Elementi di Teologia (1994)
13. Maria Di Pasquale Barbanti, Filosofia e Cultura in Sinesio di Cirene (1994)
14. R. Loredana Cardullo, Siriano Esegeta di Aristotele, vol. I (1995)
15. R. Loredana Cardullo, Siriano Esegeta di Aristotele, vol. II (2000)
16. Francesco Romano e R. Loredana Cardullo, cur., Dunamis nel Neoplatonismo (1996)
17. Rosario V. Cristaldi, Saggi (Filosofia, Ermeneutica, Iconologia) (1997)
18. Concetto Martello, Fisica della creazione. La cosmologia di Clarembaldo di Arras
(1998)
19. Maria Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma e Phantasia nel Neoplatonismo.
Aspetti psicologici e prospettive religiose (1998)
20. Giovanna R. Giardina, Giovanni Filopono matematico. Commentario a Nicomaco
(1999)
21. Francesco Romano, Domnino di Larissa. La svolta impossibile della filosofia mate-
matica neoplatonica (2000)
22. Concetto Martello, Lanfranco contro Berengario nel Liber de corpore et sanguine Do-
mini (2001)
23. Giovanna R. Giardina, I fondamenti della fisica. Analisi critica di Aristotele, Phys. I
(2002)
24. Maria Barbanti e Francesco Romano, cur., Il Parmenide di Platone e la sua Tradi-
zione (2002)
25. Maria Di Pasquale Barbanti, Origene di Alessandria tra Platonismo e Sacra Scrittu-
ra. Teologia e Antropologia del De principiis (2003)
26. Giovanna R. Giardina, Erone di Alessandria. Le radici filosofico-matematiche della
tecnologia applicata (2003)
27. Francesco Romano, Luno come fondamento. La crisi dellontologia classica (2004)
28. R.L. Cardullo e G.R. Giardina, cur., La Fisica di Aristotele oggi (2005)
In copertina: testa di Aristotele, Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Nel frontespizio: Ecate rafgurata in un amuleto (da C. Bonner, Studies in
Magical Amulets, Michigan Univ. 1950).
Department of Sciences of Culture, Man and Territory
University of Catania
Propriet letteraria riservata
Catania 2005 - Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero
Via Etnea, 390 - 95128 Catania - Tel. e fax 095 316737 - C.c.p. 10181956
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che parziali, in qualsiasi forma e mezzo (elettronico, meccanico, incluse fo-
tocopie e registrazioni) senza il previo consenso scritto delleditore.
4
INDICE
Prefazione (Francesco Romano) p. 7
Premessa 15
Le origini della teoria aristotelica delle cause (Mario
Vegetti) 21
Primato della sica? (Enrico Berti) 33
Lanalogia fcvq-qtoi e il nalismo universale in
Aristotele, Phys. II (R. Loredana Cardullo) 51
La causa motrice in Aristotele, Phys. III 1-3 (Gio-
vanna R. Giardina) 111
Le cose mosse da altro per natura (Ferruccio Franco
Repellini) 151
5
LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI
PROBLEMI E PROSPETTIVE
19
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE,
PHYS. III 1-3
Giovanna R. Giardina*
Premessa
Sin dalle prime linee del libro III della Fisica, Aristotele im-
pegnato nellavviare concretamente la trattazione della nozione di
movimento, allo scopo di completare le problematiche affrontate
precedentemente, ovvero quella del divenire del libro I e quella
della qtoi del libro II. Ora, la nozione di divenire, cos come ri-
sulta dalla trattazione del libro I, discende teoreticamente dalla
fondazione dei principi dellente naturale, il quale denito al-
linterno della trattazione della qtoi del libro II come ci che ha
in se stesso il principio del movimento e della quiete.
1
Quindi, do-
po aver discusso dellente naturale come di ci che diviene (fo
ivocvov) e di ci che cresce (fo qtocvov),
2
Aristotele pro-
segue studiandolo come ci che mosso (fo ivotcvov), con
la differenza che questultimo non pu essere sganciato dal suo
correlativo, ovvero da ci che muove (fo ivotv). Ma il movi-
mento con il quale rimane costantemente legata la causa motri-
ce , cos come trattato nei primi tre capitoli del libro III, sem-
bra costituire il cuore stesso della Fisica aristotelica, nella misura
in cui, oltre che perfezionare le argomentazioni che lo precedono,
gioca un ruolo fondamentale nella progressione del trattato, per-
111
* Universit di Catania.
1
Per tutto questo discorso si cf. la premessa di Phys. I 1, 184a10-16 e la
fondazione dei principi del divenire in Phys. I 7; cf. anche Phys. II 1, 192b13-14.
2
Il termine natura (qtoi) precisa quello di generazione (cvcoi) in quan-
to specica che si tratta di una generazione naturale, di una cvcoi qtoiq , poi-
ch la dottrina della generazione e, in generale, del divenire , nella prospettiva
aristotelica, la fondazione di una scienza sica, ovvero di una scienza degli enti
naturali.
ch rende possibile la trattazione del mutamento e si pone come
elemento determinante dei tre studi distinti e annunciati da Ari-
stotele in Phys. II 7, 198a29-31: a) lo studio di ci che immobi-
le,
3
b) quello di ci che mosso ma incorruttibile,
4
c) quello del-
lessere mosso e corruttibile.
5
Lanalisi del movimento in Phys. III
1-3, quindi, ha un carattere tale che la rende applicabile tanto agli
enti del mondo sublunare quanto a quelli del mondo sopralunare
no a giungere a ci che trascende il movimento stesso, il Primo
Motore Immobile. Di conseguenza si pu dire che la Fisica apra
la strada alla losoa prima.
6
Inne, per dovizia di completezza,
occorre non trascurare il fatto che tale dottrina del movimento,
che in Phys. III 1-3 trattata in modo generale, utilizzata secon-
do modi specici nei vari trattati sici particolari, e anzitutto nel
De motu animalium e nel De generatione animalium.
7
La tesi di fondo di questa mia argomentazione che la pro-
blematica del movimento legata a quella della causa motrice,
nella misura in cui ci che mosso (fo ivotcvov), come ho
gi detto, non pu esistere senza ci che muove (fo ivotv).
Parlando del divenire nel libro I, Aristotele ha evitato a ragion ve-
duta di spiegare nei particolari il ruolo che in esso ha il movimen-
to e la stessa cosa avvenuta nel caso della natura, ma, una volta
acquisite le nozioni di divenire e di natura, la progressione dellar-
gomentazione esige la conoscenza precisa di che cosa sia il movi-
mento, come Aristotele stesso ci dice in Phys. III 1, 200b12-15:
poich la natura principio di movimento e di mutamento e la
nostra ricerca riguarda la natura, occorre che non resti nascosto
che cosa sia movimento, perch ignorando questo si ignora neces-
sariamente anche la natura (Eci o q qtoi cv cofiv oqq ivq -
ocm oi cfopoq, q oc c0ooo qiv cqi qtocm cofi, oci q
ov0ovciv fi cofi ivqoi ovooiov oq ovootcvq otfq o -
112 GIOVANNA R. GIARDINA
3
Scil. il Primo Motore Immobile.
4
Scil. gli enti del mondo sopralunare.
5
Scil. gli enti del mondo sublunare.
6
Cf. L. Couloubaritsis (2001), pp. 213 ss.
7
Non un caso che allinizio del trattato De generatione animalium Aristo-
tele affermi che egli tratter il problema avvalendosi della causa motrice.
vocio0oi oi fqv qtoiv). Cos, la causa motrice, che aveva fatto
la sua apparizione nel libro II, trova la sua trattazione dettagliata
nel libro III.
In Phys. II 3 Aristotele affronta il problema delle cause in mo-
do esplicito,
8
teorizzando che le cause sono solo di quattro specie,
e sono cio la causa materiale, la causa formale, la causa motrice e
la causa nale.
9
Tuttavia, di queste quattro cause, solo le cause
materiale, formale e nale trovano posto in questi primi due libri:
la causa materiale in Phys. I 7-9, la causa formale in Phys. I 7-9 e
II 1, e la causa nale in Phys. II 4-8, mentre la causa motrice tra-
scurata: la ragione potrebbe essere che Aristotele considera la
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 113
8
noto che sul concetto aristotelico di causa in atto da diversi anni un
vasto dibattito che continua, no ai nostri giorni, a impegnare e a separare gli
studiosi. Si registrano infatti molte posizioni, provenienti soprattutto dallarea
anglosassone, tali da rendere difcile anche una loro sintesi. Il problema nasce
dal fatto che la dottrina aristotelica delle quattro cause molto lontana dal mo-
do moderno di intendere la causa e i rapporti causali cf. D.J. Allan (1965), pp.
1-18; M. Bunge (1959); W.A. Wallace (1972-1974) , e a questo si aggiunge il
fatto che Aristotele utilizza due termini per dire la causa, e cio oifio e oifiov,
che a mio modo di vedere (e come peraltro ho cercato di dimostrare con una re-
lazione presentata al Colloquio internazionale Aristote et la question de la causa-
lit tenutosi a Bruxelles nei giorni 26-28 agosto 2002) non sono affatto sinonimi.
Una corrente ermeneutica piuttosto corposa, anche questa principalmente di
area anglosassone, tende a comprendere e spiegare la dottrina aristotelica delle
cause come una dottrina dellexplanation o del because, sulla base di quanto Ari-
stotele dice sia in Phys. II 7 sia in APo. I 13. Si vd. a questo proposito J. Annas
(1982), pp. 311-326; M. Frede (1987), pp. 125-150; M. Hocutt (1974), pp. 385-
399, contro il quale si vd. la riessione di G.R.G. Mure (1975), pp. 356-357. Sul-
largomento si vd. ancora i contributi di J.M.E. Moravcsik (1974), pp. 3-17, Id.
(1975), pp. 622-638, Id. (1995); di C. Natali (1997), pp. 113-124.
9
Poich compito del sico conoscere le quattro cause (Phys. II 7, 198a22-
24), si potrebbe ritenere che dei fenomeni naturali il sico debba trovare sempre
tutte e quattro le cause. In realt, come fa notare W. Charlton (Aristotles Phy-
sics I-II, by W. Charlton, Oxford 1971), Aristotele intende che compito del -
sico cercare di conoscere un ente naturale indagandolo sulla base di tutte e quat-
tro le cause, ma ci non signica che per ciascun ente sico ci siano sempre
quattro cause. Ad esempio, le eclissi, che pure non hanno n causa materiale n
causa nale, tuttavia sono fenomeni naturali. Quindi, compito del sico inda-
gare ricercando tutte e quattro le cause, ma il sico non pu essere certo di tro-
varle tutte in ogni fenomeno naturale (cf. anche J. Follon (1988), pp. 330-331).
causa motrice come particolarmente legata al movimento, che
oggetto specico del libro III: infatti, la indica di volta in volta o
come ci che muove o ha mosso (fo ivotv o fo ivqoov), o
come ci da cui ha origine il movimento (fo o0cv q ivqoi), o
come ci da cui ha origine il principio del mutamento o della
stasi (o 0cv q oqq fq cfopoq q ofo ocm).
10
Unultima considerazione per completare questa premessa. I
libri VII e VIII della Fisica accentuano il ruolo della causa motri-
ce, anche se lapparire di un Primo Motore Immobile apre la pos-
sibilit di una causa nale per ci che ultimo. Come noto,
nel libro A della Metasica che questultima causa si manifesta in
modo decisivo, grazie alla denizione di Dio come ci che muove
in quanto amato. Ma, fra lindeterminatezza di questo argomen-
to in Fisica VIII e la sua formulazione denitiva in Metasica A, si
colloca una differenza sottile fra sica e metasica. Tale differen-
za ci permette di supporre che, nella Metasica, la questione della
causalit stabilita nella Fisica deve giocare un ruolo che specico
della losoa prima. Quindi, se per Aristotele non c veramente
scienza se non attraverso la conoscenza delle cause, si comprende
non soltanto il costante ricorso alle cause dei trattati sici che fan-
no seguito alla Fisica, ma anche il ruolo che le cause occupano
nella Metasica: il problema della causalit potrebbe allora costi-
tuire un argomento discriminante fra la sica e la losoa prima
se si comprende quale sia la differenziazione, allinterno di una
medesima dottrina, quella della causalit appunto, che conduce
alla conoscenza sia dellessere in divenire sia dellessere in quanto
essere.
114 GIOVANNA R. GIARDINA
10
Questa prospettiva sfuma un poco la correttezza dellinterpretazione tra-
dizionale che attribuisce una particolare forza alla causa formale, perch se ve-
ro che lente naturale trova la sua spiegazione principalmente grazie alla causa
formale, tuttavia risulta vero anche che tale ente naturale non pu essere spiega-
to nella sua pienezza e completezza soltanto sulla base della causa formale, per-
ch senza la causa motrice non ci possibile conoscere ci a partire da cui un
ente ci che .
Denizione di movimento in Phys. III 1-2, 200b12-202a3
Dopo aver premesso, alle linee 200b12-28, il programma di
studio che intende seguire,
11
Aristotele intraprende immediata-
mente la trattazione del movimento in generale, esponendo quat-
tro assiomi che gettano le basi indispensabili per la denizione
del movimento e per lo svolgimento dellargomentazione su di
esso. Le cose che Aristotele ha interesse di stabilire sono queste
quattro:
1) ci sono enti che sono in potenza e in entelechia insieme
(200b 26-28): questo assioma ci sar chiarito dallesempio di cal-
do-freddo che si legge alle li. 201a19ss.;
2) il movimento possibile soltanto tramite una relazione, che
subito stabilita come la relazione fra ci che capace di agire
(oiqfio v) e ci che capace di patire (o0qfiov), e, in gene-
rale, come fra ci che capace di muovere (ivqfiov) e ci
che mobile (ivqfov) (200b28-32). In questo secondo assioma
la nozione di causa motrice viene ancora presentata allo stato po-
tenziale di oiqfiov-ivqfio v;
3) il movimento non pu esistere fuori delle cose
12
e precisa-
mente fuori da quelle che cadono sotto le categorie di sostanza,
quantit, qualit e luogo. In realt, qui Aristotele non sta pensan-
do al movimento soltanto, ma ha in mente in modo pi specico
il divenire nel suo complesso, cio il nascere e il mutare tramite il
movimento che li attua, e per questa ragione Aristotele:
assume tutte e quattro queste categorie, anche quella di so-
stanza, che invece dovrebbe rimanere esclusa se si trattasse sem-
plicemente di movimento e non anche di mutamento, dal mo-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 115
11
Si tratta, come si pu facilmente notare, della materia trattata nei libri III
e IV della Fisica, poich nel terzo libro Aristotele si occupa del movimento
(capp. 1-3) e dellinnito (capp. 4-8), mentre nel IV libro si occupa del luogo
(capp. 1-5), del vuoto (capp. 6-9) e del tempo (capp. 10-14).
12
Lespressione generica fo qoofo indica ovviamente gli enti naturali,
quindi indagare sugli enti naturali signica immediatamente indagare sul movi-
mento e, viceversa, indagare sul movimento necessario se si vuole conoscere gli
enti naturali.
mento che, secondo Aristotele, non c movimento della so-
stanza;
13
nellusare espressioni quali: infatti ci che muta muta sem-
pre o secondo la sostanza o secondo il quanto o secondo il quale
o secondo il luogo (cfopoci oq oci fo cfopoov q of ot-
oiov q ofo ooov q ofo oiov q ofo foov) (200b33-34); e
sicch non ci sar n movimento n mutamento di nulla oltre i
tipi gi detti (mof otoc ivqoi otoc cfopoq ot0cvo cofoi o-
qo fo ciqqcvo) (201a1-2), mostra di pensare al mutamento cos
come al movimento, se non pi al primo che al secondo;
4) ciascuna di queste categorie che vengono predicate delle
cose in movimento appartiene a queste in un duplice modo: come
forma (oqqq) e come privazione (ofcqqoi), per cui del questo
determinato ci sar la sua forma o la sua privazione, del quale
il bianco o il nero, del quanto il compiuto o lincompiuto, se-
condo la traslazione lalto o il basso oppure il leggero o il pesan-
te. Tutti questi sono esempi di forma e privazione di ciascun mo-
do della suddetta predicazione (Phys. 201a3-9).
Mediante tali assiomi il discorso del movimento impostato
sulla base delle coppie potenza-entelechia e privazione-forma,
impostato cio come un processo che conduce lente da uno stato
di privazione della forma a uno stato il cui termine ultimo il
possesso compiuto della forma: sotto questo prolo il movimento
comincia a delinearsi come un passaggio fra due determinazioni
contrarie.
14
A questo punto Aristotele pu fornire la sua denizio-
ne generale di movimento: lentelechia di ci che in potenza in
quanto tale movimento (q fot otvoci ovfo cvfcccio, q
foiotfov, ivqoi cofiv),
15
denizione che viene specicata se-
116 GIOVANNA R. GIARDINA
13
Cf. Phys. V 2, 225b10-11; si vd. G.R. Giardina (2002), pp. 33 ss.
14
Si tratta invece del passaggio fra due contraddittori nel caso della so-
stanza, della quale secondo Aristotele c mutamento ma non movimento. Cf.
Cat. 6, 6a17-18 e De Interpr. cap. 14 oltre che cap. 6, 17a31-34. Sulla contraddi-
zione si cf. Cat. 9-10, 11b17-23. Si vd. sullargomento J.P. Anton (1957). Sul
problema dei contrari nel mutamento si cf. anche J. Bogen (1992), pp. 1-21.
15
Phys. III 1, 201a10-11, cf. D.W. Graham (1988), pp. 209-215 e, sul signi-
cato cinetico di entelechia, in questo passaggio aristotelico, si vd. Chung-Hwan
condo i quattro modi di predicazione gi enunciati, ivi compresa
la sostanza, di cui c generazione e corruzione, segno questo che
Aristotele ha ancora una volta in mente un movimento di cose co-
me sostanze, cio un movimento-mutamento. Per chiarire la sua
denizione egli propone lesempio del costruibile (fo oioooq-
fov) che, in quanto tale nel suo stato potenziale, mentre quando
in entelechia, ovvero in movimento, si costruisce (oiooocifoi)
e questo costruirsi una costruzione nel senso della costruzione
in corso (oiooo qoi).
Il primo termine dellesempio, fo oioooqfov, con la sua
stessa desinenza di aggettivo verbale, si qualica come ente in po-
tenza, come un otvofov, ma un otvofov con una sua specicit
intrinseca, come avviene sempre in Aristotele, poich questo spe-
cico otvofov si presenta come oioooqfov, cio come una casa
che si pu costruire: evidentemente, diremmo noi, si tratta di
mattoni, di pietre e cose simili. Quando questo ente potenziale,
che possiede una sua specicit, sia in entelechia, ovvero quando
si avvia il suo processo di realizzazione verso ci che esso in po-
tenza, cio verso la forma di cui privo, nella fattispecie verso
una forma di casa, allora si ha movimento, e questo particolare
movimento di cui stiamo discutendo la costruzione della casa,
cio la oioooqoi. Se avessimo ancora il dubbio di come dob-
biamo intendere questo termine, cio se dobbiamo intendere la
costruzione della casa come il processo del suo attuarsi oppure
come momento nale del suo attuarsi, cio come la casa in costru-
zione o la casa gi costruita, il dubbio ci viene subito dissolto da
quanto Aristotele ci dice subito dopo. La stessa denizione, ci di-
ce infatti Aristotele, possiamo dare ad altri movimenti, ad esem-
pio allapprendimento (o0qoi), alla guarigione (iofqctoi), alla
rotazione (tioi), al salto (ooi), alla crescita (ooqtvoi) e al-
linvecchiamento (qqovoi): tutti termini che hanno la desinenza
-oi, la quale indica la processualit, dal momento che lo Stagirita
non dice, ad esempio, iofqcio, che signica pure guarigione, ben-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 117
Chen (1958), p. 14 nota 1. Cf. anche Metaph. K 9, 1065b33, in cui si legge: q fot
otvofot oi q otvofov c vfcccio i vqoi cofiv.
s iofqctoi, che signica lesercizio della guarigione, la guarigio-
ne nel suo farsi, e cos non dice qqo, che signica la vecchiezza
nel suo stato compiuto, ma dice qqovoi che signica il processo
dellinvecchiamento. Allo stesso modo la o0qoi lapprendere
nel processo dellapprendimento mentre la o0qfcio lappren-
dimento come compiuta istruzione. Sulla base di questa termino-
logia potremmo allora dire, insieme ad Aristotele, cos: quando
chi capace di apprendere, cio colui che noi diciamo capace di
apprendere in quanto tale, si trovi in entelechia, allora sta ap-
prendendo, e questo processo lo chiamiamo apprendimento, o-
0qoi (e non o0qfcio). Lentelechia che entra in gioco nella de-
nizione del movimento, allora, non , per forza di cose, atto nel
senso dellcvcqcio, cio nel senso della compiutezza di un ente
che ha completato lacquisizione di una forma determinata, poi-
ch quando c lcvcqcio non c pi movimento e quindi non
c pi entelechia.
16
Semmai lcvcqcio presente come fco,
come termine e causa nale del movimento, cio come orienta-
mento del movimento verso una determinata forma gi realizzata.
Poich Aristotele ha denito il movimento nei termini che egli
utilizza per determinare il primo assioma, quello cio degli enti
che sono al tempo stesso in potenza e in entelechia, egli deve
adesso chiarire il suo discorso, il che gli consente anche di passare
118 GIOVANNA R. GIARDINA
16
Credo che sul signicato di cvfcccio e di cvcqcio occorra ancora di-
scutere a lungo, ma non sono daccordo, evidentemente, con chi, come M.L.
Gill (1980), p. 130 e p. 134, ritiene ed afferma che cvfcccio ed cvcqcio siano
sinonimi in Aristotele. Lintendere come sinonimi questi due termini induce a
confusione e imprecisione ermeneutica, come nel caso, ad esempio, del passag-
gio di Aristot., Phys. III 1, 201a27-29. Per quanto concerne il dibattito sul signi-
cato di cvfcccio: tale termine viene inteso nel senso di attualizzazione da
Ross (cf. la sua traduzione della Fisica del 1936, p. 536); J.L. Ackrill (1965), pp.
138-140; T. Penner (1970), pp. 427-433; invece inteso nel senso di attualit da
L.A. Kosman (1969), pp. 40-62 e (1984), pp. 121-149; J. Hintikka (1977), pp.
59-77. Per una discussione dettagliata della differenza che sussiste fra cvfcc-
cio ed cvcqcio si cf. anche L. Couloubaritsis (1997), pp. 266 ss., M.Th. Liske
(1991), pp. 161-179; Chung-Hwan Chen (1956), pp. 56-65 e (1958), pp. 12-17.
Confonde cvfcccio ed cvcqcio R. Brague (1991), pp. 107-120. Legate a que-
sto articolo di R. Brague mi sembrano poi le argomentazioni di B. Besnier
(1997), pp. 15-34.
alla coppia di termini che ci ha introdotto nel secondo assioma,
cio oiqfiov-o0qfiov, che altro non sono che ivqfiov-
ivqfov. Occorre spiegare, infatti, in che senso un ente pu dirsi
in potenza e insieme in entelechia. Ovviamente, un ente, se guar-
dato sotto il medesimo rispetto, non pu possedere contempora-
neamente due determinazioni contrarie, ma per farci comprende-
re la sua espressione Aristotele ricorre allesempio del caldo e del
freddo: uno stesso ente pu essere caldo in potenza e freddo in
entelechia, nel senso che una cosa fredda che sta diventando
calda. Questo provoca una reciprocit di azione e passione, per-
ch nella stessa cosa il caldo agisce sul freddo e questultimo subi-
sce il caldo di modo che nella cosa si va realizzando ci che in
potenza. Se Aristotele, anzich dire 0cqov cv otvoci tqov oc
cvfcccio avesse detto 0cqov cv otvoci tqov oc cvcqcio,
nel senso cio che lente fosse in atto freddo e per nulla caldo, al-
lora la qualit in potenza dellente, cio il caldo, sarebbe stata sol-
tanto in potenza e neppure dinamicamente in atto, cio in entele-
chia, per cui non ci sarebbe stata alcuna reciprocit di azione-pas-
sione fra qualit contrarie e, di conseguenza, non ci sarebbe alcun
movimento. Al contrario, nellente che diventa caldo, il freddo c
ancora, anche se non pi freddo in atto, perch il caldo in po-
tenza comincia a realizzarsi: e questo ci risulter evidente da ci
che Aristotele ci dir fra poco, alle li. 201b5-15. Questo rapporto
di qualit contrarie, che nellesempio sono caldo-freddo, rende
possibile lagire e il patire di uno stesso ente contemporaneamen-
te (oo), perch se vero che uno stesso ente non contempora-
neamente e sotto il medesimo rispetto caldo e freddo, tuttavia la-
gire delluno , contemporaneamente, in esso, il patire dellaltro.
17
Questo ci introduce al rapporto motore-mobile. Nella frase suc-
cessiva, infatti, Aristotele trae la conseguenza del suo ragionamen-
to dicendo: sicch anche ci che muove nellambito degli enti
naturali mobile (mofc oi fo ivotv qtoim ivqfov), perch
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 119
17
Aristotele non avrebbe potuto dirci freddo in potenza e freddo in entele-
chia, perch se freddo in entelechia non lo pi solo in potenza. Ci che lente
in entelechia, in questo caso freddo, lindicazione di un movimento, sia che
sia agito sia che sia subito.
tutto ci che siffatto muove essendo esso stesso in movimento
(ov oq fo foiotfov ivci ivotcvov oi otfo ).
18
Unica avver-
tenza di Aristotele che questo non vale sempre, perch esiste an-
che un motore immobile, il cui studio oggetto di altre trattazio-
ni. La conclusione quindi che: lentelechia di ci che in po-
tenza, quando, essendo in entelechia, opera
19
non in quanto
quello che ma in quanto mobile, movimento (q oc fot otvoci
ovfo cvfcccio, ofov cvfcccio ov cvcqq ot q otfo o q
ivqfov, ivqoi cofiv).
20
Il movimento si realizza quando un
ente in potenza opera non in quanto se stesso, cio in quanto
puramente in potenza ci che pu divenire, ma quando, essendo
in entelechia, sta realizzando la sua potenza, cio mobile o come
ci che si sta costruendo, o come colui che sta apprendendo o co-
me colui che sta guarendo, eccetera. Limportanza del fatto che
lente deve essere in potenza e in entelechia contemporaneamente
risiede in questo: se lente visto in se stesso, cio come atto com-
piuto o come pura potenza, per cui non in fase di attuazione,
non ha movimento alcuno, perch ha movimento solo quando la
potenza si sta realizzando, per cui in entelechia, in quanto, non
essendo ancora del tutto realizzato, ancora in potenza. E se ci
sono contemporaneamente la potenza e lentelechia c, contem-
poraneamente, la reciprocit dellagire e del patire, perci ci sono
tutte le condizioni del movimento, cio il movimento stesso e la
sua causa.
Come se il discorso non fosse gi di per s chiaro, Aristotele
precisa ancora quanto ha detto: la sua preoccupazione quella di
far capire che cosa sia propriamente il potenziale, il otvofov di
cui lentelechia movimento. Innanzi tutto, quindi, egli chiarisce
in che senso dice dellente in potenza in quanto se stesso. Il
bronzo , ad esempio, una statua in potenza, ma il movimento del
bronzo che diviene statua non affatto entelechia del bronzo co-
me bronzo, perch il bronzo in potenza soltanto se stesso e
120 GIOVANNA R. GIARDINA
18
Phys. III 1, 201a23-25.
19
Qui il verbo indica unazione processuale dellente intesa allattuazione
della sua potenza.
20
Cf. Phys. III 1, 201a27-29.
niente altro, cio ci che in atto, cio bronzo, e ci che in
potenza nel senso della pura possibilit di diventare statua: nellu-
no e nellaltro caso non c alcun movimento del bronzo e questo
bronzo, visto in questi termini, non diverr mai una statua, per
cui non ci sar alcun movimento. Al contrario, il bronzo non an-
cora formato come statua diverr bronzo formato come statua
qualora lo si consideri dal punto di vista della sua mobilit speci-
ca di divenire statua, cio se lo si consideri, in ultima analisi, co-
me un potenziale privativo.
21
Infatti, il bronzo in potenza, che al-
tro non che bronzo, e il bronzo come potenziale privativo, ci
che capace di patire il movimento specico di divenire statua,
non sono la stessa cosa:
22
allora lentelechia di un potenziale-pri-
vativo movimento, cio movimento il realizzarsi verso una for-
ma compiuta di statua di un bronzo che non considerato sotto
laspetto del fatto che bronzo, bens sotto laspetto di ci che
capace di acquisire la forma di statua, quindi come mobile. Se il
bronzo in potenza, cio il bronzo come bronzo, e il bronzo come
mobile, cio il bronzo come ci che capace di patire il movi-
mento specico di divenire statua, fossero la stessa cosa in senso
assoluto e secondo la denizione, allora s, sarebbe movimento
lentelechia del bronzo in quanto bronzo. Ma non cos, ed
chiaro dai contrari, perch il poter essere in buona salute e il po-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 121
21
Cf. anche M.L. Gill (1980), p. 132.
22
Nel De aeternitate mundi contra Aristotelem, anticipando un argomen-
to che riprender nel pi tardo De opicio mundi, Giovanni Filopono attacca
largomento aristotelico delleternit del mondo distinguendo giustamente i con-
trari in contrari propri e contrari privativi. I contrari propri, infatti, come ad
esempio caldo-freddo, umido-secco, bianco-nero, non possono essere considera-
ti alla stessa stregua dei contrari privativi, come ad esempio uomo-non uomo.
Da qui Filopono obiettava ad Aristotele lerrore di avere considerato per il cielo
un contrario proprio al moto circolare, contrario che non esiste, ma di non aver
considerato il suo contrario privativo: limmobilit, cf. G.R. Giardina (1999),
p. 29. In effetti, questa lezione aristotelica abbastanza chiara gi a partire dal I
libro della Fisica, perch nel cap. 7 di questo libro, in cui Aristotele fonda la sua
teoria del divenire, proprio la predicazione privativa che consente di stabilire
che il sostrato, nel divenire di una sostanza, gi qualcosa di sostanziale privo
della forma che acquisir dopo il processo di divenire, cf. G.R. Giardina (2002),
pp. 107-108.
ter essere malato non sono la stessa cosa, e comunque il soggetto
(fo tocicvov), di cui si afferma il sano o il malato, unico e lo
stesso (fotfo v oi c v).
In altri termini, il problema quello di comprendere che cosa
sia il otvofov in questione. Infatti, il bronzo un otvofov, in
quanto in potenza una statua o qualsiasi altra cosa fatta di que-
sto materiale. Se noi pensiamo al bronzo in quanto bronzo, allora
la sua entelechia non sar un diventare statua, perch il bronzo in
quanto bronzo non un otvofov specicamente indirizzato ad as-
sumere la forma di statua, ma o un ente in atto, perfettamente
compiuto in se stesso, perch appunto bronzo, oppure un en-
te che in potenza pu essere qualsiasi cosa e non necessariamente
una statua. Ma se noi pensiamo al bronzo come un otvofov in
funzione di un ne determinato, del fco di statua, allora questo
bronzo in potenza una statua e la sua entelechia di bronzo po-
tenzialmente statua movimento verso la realizzazione della sta-
tua. Allo stesso modo potremo dire, ad esempio, che lentelechia
del legno non in quanto tale, ma in quanto in potenza un letto,
sar il movimento della realizzazione del letto, e cos via. Questo
otvofov , quindi, un mobile nel senso di qualcosa che gi
orientato verso lacquisizione di una forma,
23
che il suo ne e
che potenzialmente contenuta nellente stesso, una forma che,
come vedremo fra poco, ha bisogno di un ente esterno per poter
essere realizzata.
Da quanto si detto appare chiaro che, per comprendere il
discorso che Aristotele fa sul movimento, occorre tenere presente
quanto ci ha insegnato nel libro I della Fisica. Aristotele ha in
mente un divenire dellente che si fonda su tre principi: il sogget-
to, la privazione e la forma. Che con il problema del movimento
egli abbia in mente il problema di come questo divenire, fondato
su questi tre principi, divenga, cio come il soggetto passi dal suo
stato privativo al suo stato di compiuto possesso della forma,
chiaro sia da questi passaggi che ho appena analizzato, in cui Ari-
stotele si preoccupa di denire il otvofov (per cui, ad un certo
122 GIOVANNA R. GIARDINA
23
Cf. R. Brague (1991), p. 117.
punto, utilizzando la terminologia del I libro, ci spiega che il sog-
getto, fo tocicvov, comunque uno e lo stesso anche se si af-
ferma di esso che sano e malato), sia dal secondo capitolo di
questo libro III. Infatti, la critica che Aristotele indirizza ai Pita-
gorici e a Platone,
24
a causa del loro modo di collocare il movi-
mento, gli funzionale a chiarire meglio il discorso, perch gli
consente di mostrare che costoro hanno posto il movimento fra i
principi della seconda otofoiio (dicendo che esso alterit, di-
suguaglianza e non essere),
25
in quanto sembrato loro essere
qualcosa di indenito alla stessa maniera di quei principi, che ap-
paiono indeniti per il fatto che sono privativi (oio fo ofcqqfioi
civoi ooqiofoi).
26
Il problema di Aristotele qui quello di diffe-
renziare la potenza dalla privazione, che sotto certi aspetti potreb-
bero sembrare la stessa cosa, perch lente in potenza una so-
stanza, e quindi composto di materia e forma, e inoltre, in quanto
in potenza, gi orientato verso qualcosa, nella misura in cui,
ad esempio, il legno in potenza un letto o un tavolo o una sedia
eccetera, ma non , ad esempio, in potenza un uomo. La priva-
zione, in quanto privazione, sotto certi aspetti una potenza, per-
ch , ad esempio, il legno che pu divenire un letto, ma non
una semplice potenza, perch il legno che pu essere un letto e
non unaltra cosa, quindi lente visto sotto laspetto particolare
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 123
24
Cf. Plat., Soph. 256d-e e Tim. 57e-58c.
25
Si tratta di unallusione alle due colonne di termini opposti di origine pi-
tagorica, di cui i termini delluna erano quelli positivi e i termini dellaltra erano
quelli negativi o privativi. In Metaph. A 5, 986a22-26, Aristotele riporta le cop-
pie che compongono le due colonne di termini opposti: limite-illimitato, dispari-
pari, uno-multiplo, destra-sinistra, maschio-femmina, in riposo-mosso, retto-cur-
vo, luce-tenebra, bene-male, quadrato-rettangolo. Tuttavia, come fa notare F.
De Gandt (1991), p. 87, in questa lista non c la coppia essere-non essere, come
ci si aspetterebbe dallaffermazione che Aristotele fa in Phys. III 2, 201b15-21,
secondo cui il movimento sarebbe alterit, disuguaglianza e non-essere.
26
Cf. Metaph. O 6, 1048b29-35. Aristotele dice che nessuno dei principi di
questa seconda colonna appartiene ad alcuna delle categorie. alquanto curioso
che Aristotele dica che tutti i termini della seconda colonna non appartengano
ad alcun genere. Filopono, In Phys. 365,10 fa notare questa difcolt. Si pu tut-
tavia comprendere il testo nel senso che lalterit, la disuguaglianza e il non esse-
re non appartengano a nessun genere, ed escludere gli altri principi.
del poter essere specicamente qualcosa e non unaltra, anches-
sa possibile a livello potenziale. allora la privazione che consen-
te il movimento e non la potenza in quanto tale, per cui il movi-
mento sar entelechia del mobile e non di ci che in potenza
tout court.
27
Ma occorre fare un piccolo passo indietro. Dopo aver chiarito
in che senso occorra considerare lente in potenza di cui lentele-
chia sia movimento, Aristotele ritorna a chiarire il senso dellente
che essendo in entelechia opera, di cui aveva parlato alla li.
201a28 (ofov cvfcccio ov cvcqq ) e in cui risiede il senso del-
lentelechia e della compresenza di potenza ed entelechia in un
medesimo ente. Afferma infatti Aristotele: che dunque il movi-
mento sia questo e che accada che, allora c movimento, quando
lentelechia sia questa, e n prima n dopo, chiaro (ofi cv otv
cofiv otfq, oi ofi otpoivci fofc ivcio0oi ofov q cvfcccio
q otfq, oi otfc qofcqov otfc tofcqov, oqov).
28
Quindi, non
solo si ha movimento a certe condizioni dellentelechia, ma non
c movimento n prima n dopo che lentelechia agisca nel modo
che si detto. Il prima e il dopo, infatti, come si scoprir nel cor-
so di Phys. V 1-2, sono i due momenti del mutamento, momento
della privazione il prima e della forma il dopo, mentre il movi-
mento ci che collega questi due momenti realizzando il passag-
gio dalluno allaltro. Ma vediamo meglio che cosa sia questo agi-
124 GIOVANNA R. GIARDINA
27
F. De Gandt (1991), p. 86, nota acutamente che in Phys. III 2 Aristotele
invoca lopinione dei pensatori che lo hanno preceduto (senza nominarli), cosa
che gli perfettamente abituale, ma che questo breve ripasso storico in questo
caso non situato prima del testo in cui Aristotele fornisce la sua visione perso-
nale sullargomento. Al contrario, prima di Phys. III 2, Aristotele ha gi denito
il movimento. Dabitude scrive De Gandt lhistoria est un pralable lta-
blissement correct des principes, ici elle est place aprs la dnition, pour mon-
trer que celle-ci est bien adquate et faire comprendre pourquoi il a fallu formu-
ler une dnition aussi trange et contourne. Cest que le mouvement lui mme
est une entit si trange. Ma la motivazione per cui Aristotele pone a questo
punto il riferimento a Pitagorici e Platonici consiste nel fatto che, proprio a que-
sto punto, lo Stagirita ha di fronte a s la difcolt di far comprendere quale sia
la differenza fra la potenza e la privazione.
28
Phys. III 1, 201b5-7.
re dellente che in entelechia. Infatti ci dice Aristotele cia-
scuna cosa ammette talvolta di operare e talvolta no (cvoccfoi
oq coofov ofc cv cvcqciv ofc oc q ), ad esempio ci che
costruibile e lattuazione di ci che costruibile (oiov fo oio-
ooqfov, oi q fot oioooqfot cvcqcio), in quanto costruibile
(q oioooqfov), la costruzione (oioooqoi cofiv), perch la
costruzione lattuazione di ci che costruibile oppure la casa
(q oq oioooqoi q cvcqcio fot oioooqfot q q oiio), ma
quando c la casa non c pi il costruibile (o ofov oiio q,
otcf oioooqfov cofiv), mentre ci che costruibile si costrui-
sce (oiooocifoi oc fo oioooqfov).
29
In altri termini: dobbia-
mo distinguere ci che costruibile nel senso del otvofo v di cui si
detto cio nel senso di un ente in potenza che, tuttavia, contie-
ne in se stesso lorientamento verso lacquisizione di una forma
possibile piuttosto che di unaltra, la quale rientra ugualmente
nella sua capacit o possibilit , e latto che riguarda questo ente
costruibile che, da una parte la costruzione della casa, oioooq-
oi, e dallaltra parte la casa, oiio. Tuttavia, lcvcqcio nel sen-
so della casa uncvcqcio che ha eliminato totalmente lente po-
tenziale, cio il costruibile, loioooqfov, mentre quando laspet-
to potenziale dellente non stato eliminato, perch non ha anco-
ra compiutamente acquisito la forma che esso acquisir alla ne
del movimento in cui coinvolto, allora c un operare che il co-
struibile nel suo venire costruito, oiooocifoi oc fo oioooqfo v,
quindi c unc vcqcio nel senso di cvcqci v (li. 201b8, cf. cvcqq
di 201a28), cio un processo dellente inteso allattuazione della
sua potenza.
30
Al contrario, quando c la casa, lente non ammet-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 125
29
Phys. III 1, 201b7-12.
30
Ha torto, quindi, A. Stevens che traduce lespressione oiooocifoi oc fo
oioooqfov con le costructible qui est en train dtre construit, perch con
questa traduzione mostra di aderire alla concezione di Couloubaritsis (1997),
pp. 276-279, relativa allentelechia. Questultimo distingue, infatti, in Aristotele,
sulla base del De anima, unentelechia prima e unentelechia seconda esempli-
cate dagli esempi di colui che possiede una scienza e non ne fa uso e di colui che
possiede una scienza e ne fa uso. Per Couloubaritsis, infatti, lo stato in potenza
di questo esempio lignoranza, cio la possibilit pura di acquisire scienza.
Questo tipo di concezione dellentelechia in Aristotele viene intesa da Coulou-
te loperare, cio il caso detto da Aristotele con le parole ofc oc
q. allora in questa processualit che sta il movimento, n pri-
ma n dopo, cio n nel costruibile in quanto pura potenza n
nella casa come forma realizzata di quella potenza, bens nel co-
struibile che si va costruendo.
necessario quindi, conclude Aristotele, che la costruzione
della casa sia atto, oioooqoi = cvcqcio, e che sia un tipo di
movimento, oioooqoi = ivqoi fi, quello cio della costru-
zione. Per la propriet transitiva possiamo dire, allora, che cvcq-
cio = ivqoi, ma con laccorgimento che Aristotele ci ha inse-
gnato proprio in queste linee, e cio non nel senso della casa gi
costruita, che il caso in cui lente non ammette di operare (cvoc-
cfoi oq coofov cvcqciv ofc oc q), ma nel senso della co-
126 GIOVANNA R. GIARDINA
baritsis come lavere in s il telos, e tuttavia mi sembra che lente in entelechia
possieda in s il telos in modo molto potenziale. In altri termini, se prendiamo
lesempio non aristotelico della maternit: una donna madre in potenza quan-
do non ha gli, madre in atto, nel senso dellcvcqcio, quando ha gli nati, e ma-
dre in entelechia, io credo, quando ha in s il telos nel senso di essere gravida del
glio. In questo senso, dal punto di vista della maternit, la donna in ben altro
stato che quello di essere madre in potenza ed esserlo in atto. Inoltre, vero che
per Aristotele la potenzialit non mai pura potenzialit, perch altrimenti la
materia bronzo, ad esempio, potrebbe essere madre. Al contrario, risiede gi
nello stato potenziale dellente una potenzialit orientata, cio la possibilit di
mutare in tutta una serie di cose e non in altre. Per cui, ridurre lentelechia nel
senso di avere in s il telos, come intende Couloubaritsis, mi sembra ridurre len-
telechia alla potenza aristotelica. Allo stesso modo, lo stato di chi possiede una
scienza e la esercita mi sembra lo stato del motore che muove, cio uncvcqcio,
una attuazione compiuta. Se, seguendo il nostro esempio, la donna in potenza
madre fosse in entelechia nel senso di avere semplicemente in s il telos della
maternit, tale donna non sarebbe affatto in movimento. Ma tale donna sar nel
movimento specicamente orientato verso una maternit compiuta quando sar
gravida del glio: questo il movimento volto alla maternit! Del resto, Aristote-
le nellespressione oiooocifoi oc fo oioooqfov usa il verbo che indica lazio-
ne della costruzione e non lo stato immobile della materia, che pu ricevere la
forma di casa in procinto di ricevere tale forma. La nozione di stare per riceve-
re indica un futuro, quindi il movimento non ancora iniziato. Se tale fosse
lentelechia, Aristotele starebbe denendo il movimento mediante uno stato del-
lente che ci mostra lente immobile e questo non avrebbe senso, perch la de-
nizione nirebbe per non dire nulla di ci che vuole denire, ben lungi dal dir-
cene lessenza.
struzione della casa, che il caso in cui lente ammette di operare
(cvoc cfoi o q c oofov ofc c v cvcqciv ).
Quanto segue nel secondo capitolo di questo III libro della
Fisica ci conferma in questa lettura e aggiunge delle sfumature al
nostro discorso. La prova che Aristotele non intende identicare
qui il movimento con lcvcqcio nel senso di atto perfetto e quin-
di lentelechia con lcvcqcio sta, del resto, in unaffermazione
che segue a breve distanza, alle li. 201b27-29. Traendo le conse-
guenze che la sua critica ai Pitagorici e a Platone gli offre, Aristo-
tele ci spiega in che senso il movimento sembri indenito (oociv
ooqiofov civoi): il motivo che il movimento non risiede in senso
assoluto, om,
31
n nella otvoi n nellcvcqcio. Il movimen-
to, infatti, sembra essere un certo atto, ma incompiuto (q fc
ivqoi cvcqcio cv civoi fi ooci, ofcq oc ).
32
Il movimen-
to, quindi, propriamente cvfcccio, che non pi otvoi e
non ancora cvcqcio. Di fatto, lcvfcccio altro non che una
cvcqcio ofcq, cio un atto incompiuto, ed incompiuto per-
ch ancora presente il potenziale, il otvofov, come nelloio-
ooqoi c ancora loioooqfov. Per questo motivo, prosegue
ancora Aristotele, difcile concepire il movimento nel suo che
cos (fi cofiv): proprio perch, aggiungeremmo noi, sta in
qualcosa che non pi e non ancora, perch non pi in poten-
za e non ancora in atto. necessario collocare il movimento
prosegue Aristotele o nella privazione, o nella potenza o nellat-
to puro (ed ecco ancora una volta intervenire la triade dei princi-
pi del divenire, privazione-soggetto-forma), ma nessuna di queste
tre operazioni consentita:
33
qui Aristotele sta mettendo sul tavo-
lo gli stati dellente che corrispondono ai tre principi del primo li-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 127
31
H. Carteron, nella sua edizione della Fisica, ad. loc. presenta in aggiunta
om, cio in modo assoluto. Questa lezione meglio attestata nei manoscrit-
ti, anche se Ross ha scelto la versione che sopprime questo termine. Pellegrin lo
conserva e cos Zanatta e anche a me pare che vada conservato ai ni di una mi-
gliore comprensione del testo.
32
Phys. III 2, 201b31.
33
Phys. III 2, 201b33-35: q oq ci ofcqqoiv ovooiov 0civoi q ci otvoiv
q ci c vcqciov oq v, fot fmv o otoc v qoivcfoi c voco cvov.
bro (privazione-soggetto-forma), ed interessante che citi lo stato
di compiuto possesso della forma con un aggettivo di accompa-
gnamento che ci aiuta a distinguerlo ancora una volta nei suoi
aspetti diversi, perch si tratta qui dellcvcqcio oq e non del-
lcvcqcio ofcq. In altri termini, nellcvcqcio ofcq c movi-
mento, mentre nellcvcqcio oq non c, e questo conferma an-
cor di pi linterpretazione che abbiamo dato dellultimo passag-
gio di Phys. III 1.
Resta quindi il modo che si detto (o ciqqcvo fqoo), ci
dice Aristotele, cio che il movimento una certa cvcqcio, ma
uncvcqcio tale quale si detto, difcile a vedersi ma che tutta-
via sussiste.
34
A questo punto, dopo aver denito il movimento, Aristotele
ce lo mostra in concreto, introducendo il rapporto fra motore e
mobile che, no ad ora, aveva soltanto sorato. In questo passag-
gio nale di Phys. III 2 ci imbattiamo nella causa motrice. Ma,
prima di iniziare questo discorso, utile riepilogare quanto n
qui si detto sul movimento.
Nel libro I della Fisica Aristotele ci ha presentato il mondo
della natura come il mondo degli enti in divenire e ci ha spiegato
questo divenire come un processo fondato su tre principi sog-
getto, privazione e forma , per cui il divenire sarebbe un proces-
so completo che comprende un passaggio di un soggetto, che nel
passaggio permane, da un suo stato privativo di una forma deter-
minata a uno stato di possesso di tale forma. Tale divenire, ivc-
o0oi, ci presentato come un c oot oo o come un c cfcqot
cfcqov. Nel libro III, poi, Aristotele mostra concretamente co-
me il divenire si realizzi, cio come un oo o un cfcqov divenga
c oot o c cfcqot. La denizione completa di che cosa sia
questo come, cio di che cosa sia il movimento, quella di
Phys. III 1, 201a27-29 di cui ho gi parlato: ma <lentelechia> di
ci che in potenza, quando, essendo in entelechia, agisce non in
quanto quello che ma in quanto mobile, movimento (q oc
128 GIOVANNA R. GIARDINA
34
Phys. III 2, 201b35-202a3: cvcqciov cv fivo civoi, foiotfqv o cvcq-
ciov oiov ciocv, ocqv cv i ociv, cvococ vqv o ci voi.
fot otvoci ovfo cvfcccio, ofov cvfcccio ov cvcqq ot q
otfo o q ivqfov, ivqoi cofiv).
35
Chiariti i termini che co-
stituiscono questa denizione, diviene chiaro quello che, secondo
Aristotele, movimento: movimento entelechia di un otvofov
nel senso che agisce in quanto ivqfov. Questo vuole specicare
sia il modo in cui dobbiamo intendere il otvofov sia il modo in
cui dobbiamo intendere lentelechia, cio come una certa cvcq-
cio. Abbiamo visto il primo, cio il otvofov. Dallanalisi dei pas-
saggi Phys. III 1, 201a29-201b5 e Phys. III 2, 201b16-27 abbiamo
visto che non possibile considerare lente in potenza nel senso
di ci che ha capacit di accogliere questa o quella forma, perch
in questo senso esso non ammette alcun movimento (cf. Phys. III
2, 201b34-35), ma dobbiamo vederlo come specicamente predi-
sposto ad accogliere una forma specica, e cio come un poten-
ziale privativo. Esso, quindi, non sar bronzo come otvofov-t-
ocicvov, ma sar bronzo come ivqfov, ad esempio come spe-
cicamente predisposto ad accogliere la forma di statua di cui
privo. Lentelechia di questo il movimento verso la formazione
della statua, che in un certo senso una cvcqcio. Dai passaggi
Phys. III 1, 201b5-13 e Phys. III 2, 201b27-202a3 si appreso
quali siano i due sensi dellcvcqcio e in quale dei due risieda
lentelechia. Lcvcqcio pu essere intesa in due sensi, o come co-
struzione di ci che costruibile, oioooqoi delloioooqfov,
oppure il risultato della costruzione, cio come casa, oiio: in
questo secondo caso c un atto compiuto, cio la casa, e non c
pi laspetto potenziale, loioooqfov, quindi siamo davanti ad
una cvcqcio oq; nel primo caso, invece, abbiamo uncvcqcio
che non ha ancora eliminato il potenziale, loioooqfov, per cui
uncvcqcio ofcq, in questo secondo caso abbiamo il costruibi-
le che si va costruendo, oiooocifoi oc fo oioooqfov, e abbia-
mo quindi la costruzione, oioooqoi, nel senso di movimento
del costruire, cio entelechia. In ultima analisi, il movimento
uncvcqcio ofcq = cvfcccio di un ivqfov specicamente
inteso.
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 129
35
Phys. III 1, 201a27-29.
Causa motrice in Phys. III 2-3: 202a3-b29
Dopo aver denito il movimento e aver chiarito tutte le parti
della denizione di esso, Aristotele passa, alla ne di Phys. III 2, a
mostrare come il movimento avvenga e, anzitutto, come esso na-
sca da una relazione fra motore e mosso: si muove poi, come si
detto (mocq ciqqfoi) scrive Aristotele , anche ci che muove
(ivcifoi oc oi fo ivotv), <e cio il motore che muove> tutto
ci che quando in potenza mobile (ov fo otvoci ov ivqfov)
e la cui assenza di movimento quiete (oi ot q oivqoio qqcio
cofiv), perch lassenza di movimento quiete per quellente per
il quale il movimento sussiste (m oq q ivqoi toqci, fotfot q
oivqoio qqcio).
36
Infatti, in relazione a questo (scil. in relazione
130 GIOVANNA R. GIARDINA
36
Questo passaggio, cio Phys. III 2, 202a3-5, presenta qualche difcolt,
infatti Ross e Carteron, nelle loro edizioni della Fisica, adottano una punteggia-
tura differente, fornendo di conseguenza una propria interpretazione del testo.
Taluni traduttori, infatti, fra i quali lo stesso Carteron, attribuiscono lespressio-
ne ov fo otvoci ov ivqfov al motore, per il fatto che Aristotele, dicendo
mocq ciqqfoi alla linea precedente, si riferisce evidentemente a qualcosa che ha
gi detto, che potrebbe essere identicato verosimilmente con Phys. III 1,
201a23-24, e cio con lespressione fo ivotv qtoim ivqfov. In realt, per,
con il passaggio nale di Phys. III 2, Aristotele sta preparando largomento che
svilupper nel capitolo 3, e cio quello del rapporto tra il motore e il mobile, per
cui, da questo momento in poi, il motore e il mobile sono nettamente distinti e il
motore in potenza viene sempre indicato con ci che capace di muovere e
mai con il mobile. Il motore in potenza quindi ivqfiov e non ivqfov. Non a
caso, infatti, Aspasio propone di cambiare il ivqfov della li. 202a4 con ivq-
fiov. In realt, lespressione che Aristotele ha usato in Phys. III 1, 201a23-24,
cio fo ivotv qtoim ivqfov, ha un senso in quello specico contesto, perch
Aristotele ha necessit l di distinguere un motore mobile da un motore che, pur
essendo motore, tuttavia immobile, mentre nel contesto che stiamo analizzan-
do, cio III 2, 202a3-4, Aristotele ha interesse a mettere in evidenza il rapporto
che sussiste tra motore e mobile. Se lespressione ov fo otvoci ov ivqfov non
si riferisse al mobile, rimarrebbe anche incomprensibile il qo fotfo che segue
alle li. 202a5-6 e che indica proprio il mobile in relazione al quale lagire del mo-
tore movimento. Con lespressione qo fotfo, Aristotele esprime bene la con-
dizione del secondo assioma sul movimento, di cui si occupa da questo momen-
to in poi, e cio che il movimento nasce da una relazione. Quindi, qo fotfo in-
dica lagire del motore sul mobile, cio su ci con cui il motore deve essere in re-
lazione per avviare il movimento.
al mobile)
37
continua Aristotele , loperare in quanto tale il
muovere stesso (fo oq qo fotfo cvcqciv, q foiotfov, otfo fo
ivciv cofi); questo poi (scil. il motore) agisce per contatto, sic-
ch contemporaneamente anche patisce (fotfo oc oici 0ici,
mofc oo oi ooci), perci il movimento entelechia del mobi-
le, in quanto mobile, e questo avviene per contatto di ci che
capace di muovere, sicch contemporaneamente anche patisce
(oio q ivqoi cvfcccio fot ivqfot, q ivqfov, otpoivci oc
fot fo 0ici fot ivqfiot , mo0 o o oi o oci).
38
In questo passaggio Aristotele sta traendo le la del discorso
che ha n qui fatto, mostrando al tempo stesso la vera natura del
movimento come relazione fra motore e mosso, e quindi metten-
do sul tappeto direttamente la causa motrice. Il motore agisce su
un otvofov che un ivqfov, come abbiamo gi detto, cio su un
ente la cui potenzialit corrisponde allessere privo di una speci-
ca forma che atto ad acquisire, e loperare del motore su questo
ente in potenza concepito in questo modo, q foiotfov, il muo-
vere stesso. In altri termini, per il motore cvcqci v = ivci v e que-
sto operare avviene per contatto, per cui c anche una compre-
senza di agire e patire, come avveniva nellesempio del caldo e del
freddo che spiegava la compresenza di potenza ed entelechia nel-
lo stesso ente della quale si tratta nel primo assioma (Phys. III 1,
201a19 ss.). Riassumendo, quindi, per quanto concerne il motore
le cose stanno in questo modo:
fo ivotv: cvcqciv = ivciv = oiciv/oociv (la condizione
il contatto).
La denizione del movimento pu essere, quindi, riformulata
in questo modo: il movimento entelechia del mobile in quanto
mobile, ed esso avviene per contatto di ci che capace di muo-
vere, sicch <questultimo> contemporaneamente anche patisce
(q ivqoi cvfcccio fot ivqfot, q ivqfov, otpoivci oc fotfo
0ici fot ivqfiot, mo0 oo oi ooci).
39
Schematizzando an-
cora si ha la seguente formulazione:
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 131
37
Cf. la nota precedente.
38
Phys. III 2, 202a3-9.
39
Phys. III 2, 202a7-9.
ivqoi = cvcqci v = ivci v = oici v/oociv del motore
ivqoi = cvfcccio = ivcio0oi = oociv del mobile
A questo punto la causa motrice, riaforata nella relazione
motore-mosso, ci viene esplicitata ulteriormente nella conclusione
del capitolo. Scrive infatti Aristotele: ma ci che muove (fo i-
votv) porter sempre una certa forma (cioo oc oci oiocfoi fi),
cio o un questo determinato, o un quale, o un quanto (qfoi fooc
q foiovoc q fooovoc), che sar principio e causa del movimento (o
cofoi oqq oi oifiov fq ivqocm), qualora <il motore> muova
(ofov ivq), ad esempio luomo in entelechia crea, dalluomo che
in potenza, luomo (oiov o cvfcccio ov0qmo oici c fot
otvoci ovfo ov0qmot ov0qmov).
40
Questo passaggio estremamente interessante per compren-
dere il pensiero di Aristotele, perch in esso scopriamo che, per
un certo verso, il motore, fo ivotv, causa motrice, perch ci
che trasmette una certa forma, cioo fi, che Aristotele spiega se-
condo quelle che sono le categorie del mutamento, cio sostanza,
quantit, qualit. Ciascuna di queste forme detta oqq oi
oifiov fq ivqocm, quindi fo ivotv pu benissimo essere de-
nito come o0cv q oqq fq cfopoq, oppure come o0cv q ivq-
oi, come Aristotele ha pi volte denito la causa motrice in Phys.
II. Del resto, lo stesso Aristotele ci ha detto della causa motrice
che, in generale, ci che agisce, fo oiotv, nel senso di soggetto
agente.
41
Daltra parte, per, molto contestabile asserire che la
forma stessa ad essere causa motrice, come sembrerebbe evincersi
dal fatto che Aristotele afferma che il motore trasferisce sempre
uncioo fi, che esso stesso principio e causa di movimento, oq-
q oi oifiov fq ivqocm.
42
Questo discorso, infatti, si deve ri-
132 GIOVANNA R. GIARDINA
40
Phys. III 2, 202a9-12.
41
Cf. Phys. II 3, 195a22.
42
Nel libro G.R. Giardina (2002) pp. 133-134, riettendo su Phys. V 1,
224a34-224b8 ho scritto, sottolineando limportanza di questo passo, che occor-
re in primo luogo notare la considerazione di Aristotele secondo cui la forma, il
luogo e la quantit non sono n motori n mossi. Dopo aver distinto, infatti, tre
importanti termini del movimento, e precisamente ci che si muove, ovvero fo
cv o, ci a partire da cui si muove, ovvero fo o c ot, e ci verso cui si muove,
collegare con quanto Aristotele ci ha detto in Phys. II 7, 198a24-
26. In quelle linee, invero, egli ci aveva avvertito che tre delle cau-
se spesso si raccolgono in una sola (cqcfoi oc fo fqio ci [fo] cv
ooi), perch il che cos e il ci in vista di cui sono una
sola causa, e il ci da cui come primo deriva il movimento per
specie identico a queste (fo o o0cv q ivqoi qmfov fm cioci
fotfo fotfoi), infatti un uomo genera un uomo. In questo ragio-
namento la causa motrice appare s specicamente identica a cau-
sa formale e causa nale, ma questo non signica che tutte e tre le
cause siano la stessa identica cosa. Infatti, nellesempio delluomo
che genera luomo, letto come ci viene esposto alla ne di Phys.
III 2, cio luomo in entelechia crea, dalluomo che in potenza,
luomo, luomo in entelechia specicamente identico alluomo
in potenza che diviene uomo in atto, ma fra luno e laltro c una
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 133
ovvero fo o ci o, Aristotele pone la sua attenzione sul ivotv e sul ivotcvov,
cio sul motore e sul mosso. La cosa importante che Aristotele afferma nella
Fisica che il movimento avviene secondo la qualit, secondo la quantit e secon-
do il luogo, termini che in questo passaggio sono espressi quando dice infatti
n muovono n si muovono la forma, il luogo e il quanto determinato, ma non
avviene secondo la sostanza. In altre parole, secondo la sostanza non c movi-
mento, ma c solo mutamento, ossia generazione o corruzione. In questo pas-
saggio noi ne troviamo la spiegazione, perch scopriamo che n la qualit, n la
quantit n il luogo agiscono o subiscono il movimento, mentre ad agire o subire
il movimento ci che si muove (lente), cio il fo cv o di cui Aristotele ha par-
lato qualche linea prima. In altri termini, come ho gi spiegato pi diffusamente
nel volume gi citato, possiamo dire con Aristotele che c movimento nella
sostanza, ma non che c movimento della sostanza. Questo ci spiega meglio
anche il rapporto che intercorre fra movimento e mutamento, dal momento che
della sostanza, secondo Aristotele, c mutamento. Quando un ente nasce o
muore evidente che c un movimento, tuttavia Aristotele sembrerebbe esclu-
dere questa ipotesi, ammettendo soltanto il mutamento come generazione e cor-
ruzione. Ci accade perch, propriamente, generazione e corruzione, sono mu-
tamenti della sostanza. In realt, se ammettiamo che il movimento un pro-
cesso e che quindi, in rapporto al mutamento e, in generale, al divenire, rappre-
senta il loro realizzarsi, cio il dinamismo che realizza il mutamento o il divenire,
possiamo comprendere facilmente come vi sia mutamento della sostanza, e
quindi come Aristotele ammetta che un tipo di cfopoq sia appunto quella se-
condo la sostanza, ossia generazione e corruzione, ma come non vi sia movimen-
to della sostanza, perch la sostanza stessa ad agire o subire il movimento: il
movimento quindi avviene nella sostanza.
bella differenza, perch luomo in entelechia il padre che agisce,
cio luomo come causa motrice, ovvero ancora luomo nel suo
movimento di trasmissione della forma uomo e quindi agente
come padre, mentre luomo in potenza e luomo che si genera,
ovvero luomo in atto, il glio che prima non c e poi c, e che,
per Aristotele, tale da esserci sempre, prima in potenza come
soggetto, tocicvov, e poi in atto, come ente che possiede com-
piutamente la forma uomo, dal momento che Aristotele non con-
cepisce un non esserci in assoluto. Qui interviene unaltra diffe-
renza, cio quella tra fo ivotv come oifiov, in particolare come
causa motrice, e il questo determinato, il quale o il quanto
come determinazioni dellcioo fi che Aristotele ha chiamato
principi e cause del movimento, oqq oi oifiov fq ivqocm,
e che si riducono alle due cause formale e nale. Lo scarto avvie-
ne fra fo ivotv, che causa, e lcioo fi, che principio e causa,
ovvero causa in quanto principio. Infatti, luomo in potenza e
luomo che si genera sono, rispettivamente, la privazione e la for-
ma in atto di un processo di generazione, mentre luomo in ente-
lechia, cio in movimento quale motore, solo causa e non prin-
cipio, intervenendo ad attivare il processo generativo, ma agendo
dallesterno, poich non si pu identicare con nessuno dei tre
principi della generazione di cui Aristotele ci ha ampiamente par-
lato nel libro I. Faccio queste considerazioni a ragion veduta, per-
ch ho in mente la riessione di F. Franco Repellini sulla causa
motrice.
43
Egli appunta la sua attenzione su un passaggio di Phys.
II 3, 195b21-25, in cui Aristotele scrive: Si deve sempre, qui co-
me altrove, ricercare di ciascuna cosa la causa del grado pi alto
(per esempio: un uomo costruisce perch costruttore, il costrutto-
re costruisce secondo la tecnica del costruire; questa dunque la
causa di grado anteriore; del pari negli altri casi) (oiov ov0qmo
oioooci ofi oioooo, o o oioooo ofo fqv oioooiqv
fotfo foivtv qofcqov fo oifiov, oi otfm ci ovfmv) trad. F.
Franco Repellini. Franco Repellini afferma che, in questo esem-
134 GIOVANNA R. GIARDINA
43
Cf. Aristotele, Fisica, Libri I e II, a cura di F. Franco Repellini, Milano
1996, pp. 94-95.
pio, il costruttore causa motrice, ma larte del costruire causa
motrice di grado anteriore. Da qui ricava un concetto di causa
motrice come di ci che trasmette la forma, ma afferma che la
causa motrice vera e propria la forma, che lartigiano ha in men-
te quando realizza una statua, oppure che il padre possiede per
natura e quindi trasmette al glio allatto della generazione. La
causa motrice, quindi, sarebbe lagente di trasmissione di una for-
ma che c gi prima della trasmissione stessa e che governa tale
trasmissione, ma pi ancora la causa motrice la forma. Tutto ci
conclude che la causazione, per Aristotele, resta incentrata sulla
forma.
44
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 135
44
Quando Franco Repellini afferma che la causazione, per Aristotele, resta
incentrata sulla forma, mi sembra che stia pensando a un primato di un tipo di
causa sulle altre. In effetti, per quanto concerne Aristotele, si parla sempre di un
primato di una cosa sullaltra, della Fisica sulla Metasica, o di questultima sulla
prima, o della causa nale nella lettura del mondo della natura, o della forma
nella dottrina della causalit, eccetera. A me tutti questi sembrano discorsi un
poco falsati, anche se nascono su basi veritiere. A me sembra, infatti, che Aristo-
tele, con una lucidit mirabile, riesca a dar ragione e spiegazione della straordi-
naria variet e molteplicit delle cose e della conoscenza di esse, stabilendo rela-
zioni continue fra principi, elementi, cause, strumenti di ricerca che sono tutti
indispensabili alla comprensione e lettura della realt, del mondo fenomenico e
di quello metasico. Ma, in quanto tutti i componenti sono indispensabili a tale
lettura, nessuno di essi ha minore importanza di un altro, al di l di apparenze
che spesso, nel testo aristotelico, sono funzionali allinterno di una determinata
argomentazione, ma che, in un altro passaggio, vengono fugate. Nel caso della
causa motrice, ad esempio, potrebbe sembrare che essa abbia la minore impor-
tanza fra le cause, dal momento che il divenire degli enti naturali, fondato su tre
principi, ci ha mostrato come sia indispensabile avere il soggetto, la privazione e
la forma. Quindi, la materia indispensabile e, ancor pi di essa, la forma. Ma
senza la materia nemmeno la forma avrebbe la sua esistenza, per cui si scopre la
fallacia di un discorso che metta luna a un livello superiore dellaltra. E ancora,
senza la causa motrice nessun divenire avrebbe mai luogo. Secondo unaltra let-
tura, se gli enti della natura sono caratterizzati dallessere perennemente coinvol-
ti nel movimento, allora sembrerebbe che la causa ad esso legata, cio la causa
motrice, sia nellambito della causalit sica quella che pi da vicino debba ri-
guardare gli enti naturali, mentre il primato di altre cause potrebbe spettare ad
esse in altri ambiti che non siano quello della natura. Ad esempio, ci sono dei
luoghi aristotelici in cui la causa motrice sembrerebbe avere un primato sulle al-
tre, mi riferisco a Metaph. B 2, 996b22-23 ed E.E. II 6, 1222b20-22, ma in real-
t si tratta di luoghi in cui Aristotele riprende dialetticamente le opinioni di al-
Il passo in questione, Phys. II 3, 195b21-25, deve essere a mio
avviso letto diversamente. Infatti, vero che luomo costruisce
perch costruttore e il costruttore, in questo caso, la causa mo-
trice, ma tale uomo costruttore, ci dice Aristotele, in virt del-
larte di costruire: lespressione ofo fqv oioooiqv. Questo,
per, non signica affatto, io credo, che occorra intendere che
larte del costruire sia la causa motrice di grado superiore rispetto
al costruttore, ma semplicemente che, la causa motrice, cio il co-
struttore, agisce da causa motrice perch possiede una forma che
egli ha appreso dallarte del costruire, una forma, quindi, che
conforme a tale arte, ofo fqv oioooiqv. Allora, questo po-
trebbe signicare che la causa formale, cio la forma della costru-
zione conforme allarte del costruire, ofo fqv oioooiqv, la
causa pi elevata (fo oifiov fo oqofofov), perch in effetti essa
viene prima, giacch se non ci fosse una forma da trasmettere non
ci sarebbe nemmeno una causa motrice che trasmette tale forma.
Ora, occorre non confondere la causa motrice con la forma come
causa formale e come ne, perch questo ci condurrebbe a con-
fondere o0cv q oqq fq cfopoq o ivqocm, che la causa
motrice, con oqq oi oifiov fq ivqocm, che sono le cause for-
male e nale.
45
In effetti, per certi versi, queste due ultime coinci-
dono, perch nella dinamica del divenire il soggetto acquisisce la
forma di cui esso era privo e che anche il ne del processo che
lo conduce da una condizione potenziale-privativa ad una acqui-
sizione completa di forma, mentre la causa motrice ci che at-
tiva questo processo rimanendo sempre esclusa dallarticolazio-
ne dei principi del divenire. Intendo dire che, una lettura del di-
venire di cui Aristotele ci ha parlato nel I libro, si imposta in que-
sto modo: nel divenire espresso con la formula un uomo non
musico diviene uomo musico, la forma, cio musico, compare sia
nel momento iniziale in cui si presenta in stato privativo, sia nel
136 GIOVANNA R. GIARDINA
tri. Anche stabilire una superiorit della causa motrice sulle altre , quindi, uno-
perazione che falsica e incia la comprensione della losoa aristotelica, nella
misura in cui, per Aristotele, tutto necessario al vericarsi della molteplice va-
riet del mondo.
45
Cf. anche J. Follon (1988), pp. 331-332.
momento nale in cui si presenta come attualmente acquisita.
Quindi, la forma come principio, tradotta nei termini delle cause,
si presenta sia come causa formale sia come causa nale. La causa
motrice assente dai principi, perch esterna rispetto al proces-
so generativo che essa attiva. Per comprendere appieno il discor-
so di Aristotele, occorrerebbe, semmai, comprendere meglio che
cosa fa somigliare e che cosa fa differire i principi dalle cause,
perch, se si fa lerrore di confondere gli uni con le altre, allora si
dovr concludere che anche la natura causa motrice, dal mo-
mento che Aristotele usa per la natura espressioni che sarebbero
ancor pi signicative e suscettibili di questa interpretazione di
quanto non lo siano le espressioni discusse precedentemente. Ari-
stotele, infatti, ci dice che gli enti naturali appaiono avere in se
stessi il principio di movimento e di quiete, tra laltro specicati
secondo i tre modi del movimento, cio secondo il luogo, secon-
do la quantit e secondo la qualit (cv cotfoi oqqv cci ivq-
ocm oi ofoocm, fo cv ofo foov, fo oc of otqoiv oi
q0ioiv, fo oc of ooimoiv) (Phys. II 1, 192b13-14), e che la
natura un certo principio e causa del muoversi e dello stare in
quiete in ci a cui appartiene primariamente per se stessa e non
per accidente (otoq fq qtocm oqq fivo oi oifio fot i-
vcio0oi oi qqcciv cv m toqci qmfm o0 otfo oi q ofo
otpcpqo) (Phys. II 1, 192b21-23). Da quanto ho detto prece-
dentemente si comprender facilmente che non un caso, invece,
che la natura venga considerata da Aristotele, nel corso di Phys.
II, principalmente come forma e come causa nale, che sono det-
te luna e laltra oqq oi oifiov fq ivqocm. Sembrerebbe,
quindi, che delle cause aristoteliche, tre si possano riscontrare fra
i principi del divenire, e cio la causa materiale, principalmente
nel soggetto, la causa nale nella privazione, e la causa formale
nella forma compiutamente acquisita. Il collocare la causa nale
nella privazione signica individuare nel punto di partenza del
processo lorientamento del processo stesso, per cui linizio con-
terrebbe gi la ne, ma nessun processo avviene se non per lin-
tervento di una causa che sfugge a queste tre, perch sfugge ai
principi, e cio della causa motrice. Questultima rientra nei prin-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 137
cipi, diciamo cos, solo dalla porta di servizio, nella misura in cui
la causalit, per Aristotele, non mai disconnessa dallente, e an-
che la causa motrice un ente che, a prescindere dalla sua funzio-
ne di motore, anchesso costituito secondo i tre principi del di-
venire e coinvolto nel divenire esso stesso, al punto che risulta
mobile anche nellatto di muovere.
Unultima considerazione. Quando Aristotele, alla ne di III
2, ci dice che il movimento apportatore di una certa forma, ci
parla sulla base delle categorie di sostanza, qualit e quantit,
mentre noi sappiamo bene che non esiste movimento della so-
stanza ma solo mutamento della sostanza.
46
In questo senso, quin-
di, la causa motrice giustamente denita da Aristotele o 0cv q oq-
q fq cfopoq, perch essa attiva un processo di mutamento
di cui il movimento non altro che la componente dinamica, ov-
vero la realizzazione del processo.
Il rapporto motore-mosso, con linizio di Phys. III 3, ci appare
subito presentato da Aristotele a partire da unaporia, di modo
che accade che lo Stagirita, contemporaneamente, ci dica qual la
sua posizione e le soluzioni delle obiezioni che potrebbero essere
sollevate. Laporia nella sua forma iniziale espressa in questi ter-
mini: e ci che fa difcolt afferma Aristotele chiaro (Koi
fo ooqotcvov oc qovcqov): cio il fatto che il movimento nel
mobile (ofi cofiv q ivqoi cv fm ivqfm).
47
Le parole che inte-
ressano laporia sono queste ultime tre: cv fm ivqfm, e soprattut-
to la preposizione cv, perch questo potrebbe essere inteso nel
senso che il movimento appartiene solo al mobile. Ci che inte-
ressa, infatti, ad Aristotele la preposizione in, al punto che an-
che nellaporia che Aristotele chiama logica, si chiede cv fivi;,
in che cosa? stanno le due forme di cvcqcio che comporta il
movimento, cio quella del motore e quella del mobile. In realt,
138 GIOVANNA R. GIARDINA
46
Questa una lezione che Aristotele insegna in Phys. V 1-2 (cf. G.R. Mor-
row (1969), pp. 154-167, ma soprattutto p. 158). Per un confronto fra movimen-
to e mutamento e per il problema del mutamento (non movimento) della sostan-
za rimando a quanto ho gi scritto in G.R. Giardina (2002), principalmente pp.
133-134.
47
Phys. III 3, 202a13-14.
laffermazione secondo cui la difcolt evidente che il movimen-
to risieda nel mobile, deve essere presa insieme a quel che segue
e, per comprenderla appieno, utile riproporre uno schema che
ho gi discusso e che deriva dalla lettura di Phys. III 2, 202a3-9:
ivqoi = cvcqci v = ivci v = oici v/oociv del motore
ivqoi = cvfcccio = ivcio0oi = oociv del mobile
Il movimento nasce dalla relazione fra un motore e un mobile
ed uno solo il movimento che nasce da tale relazione. Tuttavia,
se guardiamo al movimento dal punto di vista del mobile, vedia-
mo che esso entelechia del mobile, ma nasce ad opera di ci che
capace di muovere, per cui cvcqcio di questultimo, cvcqcio
fot ivqfiot, la quale per non cosa diversa dallentelechia del
mobile, per cui occorre che sia entelechia per entrambi. Aristotele
sta ragionando in un modo che ci perfettamente chiaro a partire
dal senso dellcvcqcio che egli ci ha spiegato in Phys. III 1,
201a5-15. Occorre, infatti, notare che nel passo suddetto di Phys.
III 3 relativo allaporia, egli non dice che questo movimento c-
vcqcio fot ivotvfo, bens cvcqcio di un ente che mantiene il
suo aspetto potenziale, ed quindi realizzazione nel suo farsi e
non nella sua compiutezza: in questo senso, questa cvcqcio
unentelechia. Non a caso, infatti, Aristotele aggiunge, con un
esplicativo oq, che il motore pu essere visto sotto due aspetti,
come ci che capace di muovere a livello potenziale e come mo-
tore a livello attuale (ivqfiov c v oq cofiv fm ot voo0oi, ivotv
oc fm cvcqciv), mettendo in gioco ancora una volta il movimento
come lo stato di ci che non pi in potenza, ma non ancora in
atto, cio come lo stato in cui il suo aspetto potenziale specico,
cio privativo, non si ancora del tutto realizzato, perch lente
non ancora compiutamente in atto. Se guardiamo, invece, al
movimento dal punto di vista di ci che capace di muovere,
fo ivqfiov, vediamo che questo agisce sul mobile, sicch simil-
mente una sola deve essere lcvcqcio per entrambi,
48
per ci che
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 139
48
Su questo argomento cf. A. Edel (1969), pp. 59-64. Questo stesso discor-
so conduce M.L. Gill (1980), pp. 129-147 a sviluppare la tesi secondo cui Phys.
III 3 mostrerebbe che ci che agisce muta cos come ci che patisce.
capace di muovere e per il mobile. In altri termini, se guardiamo
sia al motore sia al mosso nella condizione in cui non scomparso
il loro stato potenziale-privativo, per cui si mostrano ancora come
ci che capace di muovere e come mobile, lentelechia del mo-
bile identica allcvcqcio di ci che capace di muovere, e il
movimento che nasce dalla relazione fra i due uno solo. La solu-
zione di questa aporia ci viene fornita subito dopo da Aristotele:
per il motore e il mosso le cose stanno cos come stanno per lin-
tervallo da 1 a 2 e da 2 a 1, che uno solo, sebbene non sia unica
la denizione delluno e dellaltro, o come la strada in salita e in
discesa, che una, mentre la denizione non una sola.
A questa aporia si aggiunge, come dicevo, una difcolt logi-
ca,
49
la cui soluzione risolver in modo pi chiaro anche laporia
precedente. Tale aporia logica consiste nel fatto che, forse, ne-
cessario che lcvcqcio di ci che capace di agire, fot oiq-
fiot, debba essere diversa dallcvcqcio di ci che capace di
patire,
50
fot o0qfiot : da un lato c lazione, oiqoi, e dal-
laltro lato la passione, o0qoi, ambedue nel loro svolgimento;
dei quali opera e ne sono rispettivamente lazione e la passione
compiuti.
51
La domanda allora : se sono movimenti entrambi,
140 GIOVANNA R. GIARDINA
49
P. Pellegrin traduce difcult dialectique e spiega in nota che si tratta
di una argomentazione che procede da opinioni comuni (endoxa), che non
convincente se non a livello del ragionamento e che non si fonda sui fatti. Oppu-
re, sulla base di Simplicio, In Phys. 440,22, potrebbe trattarsi di unargomenta-
zione che non riguarda una scienza particolare, ma solo un proposito generale,
per cui non effettivamente scientica.
50
oiqfiot e o0qfiot hanno il sufsso potenziale, quindi non oppor-
tuno, soprattutto data la sottigliezza del discorso di Aristotele, tradurre oiq-
fiot come se fosse oiqfot e o0qfiot come se fosse o0qfot .
51
Traduco cos, perch chiaro che la desinenza -oi di oiqoi e o0qoi
indica la processualit del loro signicato. Hoiqoi e o0qoi si distinguono,
quindi, nettamente da oiqo e o0o, i quali hanno il medesimo signicato di
oiqoi e o0qoi, ma non nel loro realizzarsi, bens nello stato concluso e com-
piuto. La stessa cosa era avvenuta quando Aristotele aveva espresso la dimensio-
ne potenziale di oiqfio e o0qfio, sempre ricavati dai verbi di agire e pati-
re. P. Pellegrin mi d ragione della mia interpretazione, infatti egli traduce: Il
est en effet sans doute ncessaire quil y ait un certain acte de ce qui peut agir et
un autre de ce qui peut ptir, lun tant laction, lautre la passion, le produit -
cio lcvcqcio di ci che capace di agire e lcvcqcio di ci che
capace di patire (che tradotti nei termini del movimento sono
ci che capace di muovere e il mobile), in quale di questi due
sono? (c v fivi;). Le possibilit che si offrono sono le seguenti:
a) entrambi i movimenti sono in ci che patisce e che mosso,
c v fm ooovfi oi ivotcvm ;
52
b) lazione nel suo svolgimento in ci che agisce, q cv oiq-
oi cv fm oiotvfi; la passione nel suo svolgimento in ci che
patisce, q oc o0qoi c v fm ooovfi.
Aristotele non esamina queste due possibilit nellordine, per-
ch prende anzitutto in esame la seconda di queste due possibi-
lit, anche se non lo dichiara esplicitamente. La prima, infatti, vie-
ne presa in considerazione successivamente. Se lazione nel suo
svolgimento in ci che agisce e la passione nel suo svolgimento
in ci che patisce, e occorre in qualche modo chiamare anche la
passione nel suo svolgimento azione nel suo svolgimento, cio oc-
corre chiamare la o0qoi oiqoi, allora o0qoi e oiqoi sa-
ranno omonimi. Aristotele non spiega chiaramente come si possa
vericare logicamente questa ipotesi, ma io ritengo che si possano
trovare almeno due possibili spiegazioni. La prima questa:
possibile chiamare oiqoi anche la o0qoi nella misura in cui
possibile chiamare oiqoi ogni attivit, anche quella che viene
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 141
nal de lune tant un fait accompli, de lautre une affection. Egli distingue, giu-
stamente, come anche segnala in nota, i termini che hanno la stessa radice verba-
le, e cio oiqfio, oiqoi, oiqo, oiotv, con il signicato di ci che pu
agire, azione, fatto compiuto, agente. Allo stesso modo distingue i termi-
ni che derivano dal verbo oom, per cui si avr ci che pu patire, passio-
ne, affezione. Ho0qoi, come fa notare Filopono, In Phys. 377,10, termine
non tipico del greco ma, si pu dire, forgiato da Aristotele e poi entrato nelluso.
Un buon utilizzo ne fa, ad esempio, Plotino, nellEnneade VI 1.
52
Io credo che Aristotele non prenda in considerazione la possibilit che
entrambe le cvcqcioi siano in ci che agisce e che muove, cio nel motore, per-
ch ha gi detto che il motore patisce e si muove, per cui la prima possibilit in-
clude gi sia il motore che il mosso. Inoltre, la riduzione del secondo caso ad
uno solo, cio a ci che agisce e muove, fa diventare il secondo caso esattamente
il contrario di questo primo caso, quindi aggiungere al primo caso la possibilit
che i due movimenti siano in ci che agisce e muove diverrebbe pleonastico.
subita. Infatti, anche se il mobile subisce lazione del motore, esso
comunque il soggetto del suo movimento. Ma sembra pi con-
vincente la seconda delle due possibili spiegazioni: alle li. 202a14-
15 Aristotele ci ha detto che lcvcqcio
53
di ci che capace di
muovere non cosa diversa dallentelechia del mobile su cui si
esercita lagire del motore, e alle precedenti li. 202a3-9 ci aveva
gi detto che per il motore cvcqciv = ivciv = oiciv/oociv.
La conseguenza di queste premesse ovvia: se nellelemento atti-
vo insieme al oiciv c anche il oociv, allora il movimento
nel motore e non nel mosso, contrariamente a ci che Aristotele
aveva detto nella aporia iniziale. Lo stesso discorso che si fatto
per ci che agisce e che patisce si pu applicare, infatti, a ci che
muove e a ci che mosso, sicch o tutto ci che muove si muo-
ver, il che avrebbe gravissime conseguenze in campo teologico e
contraddirebbe laffermazione di Aristotele secondo cui esiste an-
che un motore immobile (cf. Phys. III 1, 201a27), oppure il moto-
re, pur avendo movimento, non si muover. In termini pi chiari:
q cv oiqoi cv fm oiotvfi/q oc o0qoi cv fm ooovfi, se o -
0qoi = oiqoi perch sono omonimi, allora tutto si risolve c v fm
oiotvfi, che nei termini del movimento diventa cv fm ivotvfi.
Consideriamo adesso la prima possibilit, e cio che entrambi
i movimenti cio ancora il movimento come cvcqcio di ci che
capace di agire e il movimento come cvcqcio di ci che capa-
ce di patire siano in ci che patisce e che mosso (ci o oqm cv
fm ivotcvm oi ooovfi). Se le cose stanno in questo modo,
allora lazione e la passione nel loro svolgimento, q oiqoi oi q
o0qoi, o, se si vuole specicare un agire e un patire determina-
ti, linsegnamento e lapprendimento nel loro svolgimento, q oi-
ooi oi q o0qoi, pur essendo due movimenti, sono entrambi
in colui che apprende (oto otooi cv fm ov0ovovfi). Le conse-
guenze sono: in primo luogo che lattivit, cvcqcio, di ciascuna
cosa non sar in ciascuna cosa (qmfov cv q cvcqcio q coofot
ot cv coofm toqci), ad esempio linsegnamento non sar in
142 GIOVANNA R. GIARDINA
53
Evcqcio qui signica loperare del motore, che il muovere (cf. Phys.
III 2, 202a5-6).
chi insegna ma in chi apprende, e in secondo luogo cosa assur-
da due movimenti si muoveranno contemporaneamente (cifo
ofoov oto ivqoci oo ivcio0oi): infatti ci dice Aristotele,
mostrando di tenere docchio sempre un processo che si svolge
sulla base dei tre principi del divenire , quali saranno le due alte-
razioni di ununica cosa e verso ununica forma? Ma impossibi-
le! (fivc oq coovfoi ooimoci oto fot cvo oi ci cv cioo
o ootvofov).
54
Colte le assurdit che conseguono da una simile impostazione
del problema, Aristotele ci fornisce la sua soluzione: c una sola
attivit (oo io cofoi q cvcqcio). Tuttavia, occorre usare degli
accorgimenti nel comprendere questa soluzione, perch lo stesso
Aristotele ci mette in guardia da fraintendimenti, proponendo al-
tre assurdit. Egli ci dice, infatti, che illogico pensare che ci sia
ununica identica attivit di due cose diverse per la forma, cio
ununica identica cvcqcio di chi insegna e di chi apprende, e sa-
rebbe assurdo anche se linsegnare e lapprendere, e, in generale,
lagire e il patire, fossero la stessa cosa, per cui la conseguenza sa-
rebbe che chi insegna apprende tutto ci che insegna e nel mo-
mento stesso in cui lo insegna, e che chi agisce quindi patisce. In
realt, le cose stanno in modo diverso e, con una serie di precisa-
zioni, Aristotele risponde alle singole assurdit che sono derivate
dal ragionamento n qui fatto.
Alle li. 202b5-8 Aristotele risponde a quanto aveva detto alle
li. 202a31-36: lcvcqcio una sola, ma attuazione di una cosa
in unaltra cosa diversa da essa, e dico attuazione perch il ter-
mine cvcqcio deve essere qui inteso nel senso della processuali-
t che Aristotele ha precisato, tant che egli chiarisce nellesem-
pio che linsegnamento nel suo svolgimento, oiooi, lcvcqcio
di colui che capace di insegnare, fot oiooooiot, e che tale
cvcqcio, pur non essendo separata da colui che lesercita, cio
dalla causa motrice, tuttavia risiede in qualcosaltro (q oiooi
cvcqcio fot oiooooiot, cv fivi cvfoi), per cui attuazione
di questa cosa in questaltra cosa (oo fotoc cv fmoc). Se questa
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 143
54
Phys. III 3, 202a34-36.
cvcqcio fosse intesa nel senso di atto compiuto dellente, queste
condizioni non sarebbero comprensibili, perch allora ogni cvcq-
cio dovrebbe stare solo nellente di cui appunto atto, mentre
Aristotele ci dice che lcvcqcio dellagente ma nel paziente,
quindi entelechia e movimento.
Alle li. 202b8-10 Aristotele risponde a ci che aveva detto al-
le li. 202a36-b2: nulla impedisce, ci dice Aristotele, che la stessa
cvcqcio appartenga a due cose, a condizione che questo non si
intenda nel senso che lessere di queste due cose sia lo stesso,
bens nel senso della relazione che sussiste fra ci che in potenza
e ci che opera, cio fra lente e la sua causa motrice.
Alle li. 202b10ss. Aristotele risponde a quanto aveva detto alle
li. 202b2-5: non necessario, come prima si era concluso assurda-
mente, che chi insegna apprenda, perch si deve intendere che
lagire e il patire sono la stessa cosa non nel senso che sia una sola
la denizione che ce ne dice lessenza, ma come noi diciamo che
la stessa cosa la strada che da Tebe porta ad Atene e da Atene e
Tebe,
55
perch tutte le propriet uguali che fanno lidentit vera e
propria di due enti appartengono soltanto alle cose la cui essenza
sia identica. Quindi, noi non dobbiamo intendere che linsegna-
mento nel suo svolgimento sia la stessa cosa dellapprendimento
nel suo svolgimento, come se la loro essenza fosse la stessa, cos
come, se vero che unico lintervallo fra due punti, noi per
dobbiamo intendere che una e la stessa la distanza da qui a l e
da l a qui. In generale, precisa Aristotele, non dobbiamo dire che
linsegnare e lapprendere, oppure lagire e il patire siano la stessa
cosa in senso proprio (fo otfo tqim), ma a ci a cui apparten-
gono entrambe queste cose, cio lagire e il patire, appartiene an-
che il movimento. Quindi, in conclusione e in termini pi chiari,
lentelechia di ci che in potenza capace di agire e di patire, in
quanto tale, sia in senso assoluto che, ancora, in modo particola-
re, la costruzione della casa nel suo farsi e la guarigione nel suo
procedere, e cos per gli altri movimenti specici. In ultima ana-
lisi, allora, il movimento il procedere verso un ne di un ente
144 GIOVANNA R. GIARDINA
55
Questo si aggiunge agli esempi gi fatti alle li. 202a18-20.
che nel suo aspetto potenziale e anche nella sua entelechia come
cvcqcio non compiuta e che, in quanto in movimento, capa-
ce di compiere il suo movimento e di patire tale movimento da
una causa motrice, per cui le due determinazioni contrarie sono
compresenti nello stesso ente, e nel procedere del movimento lu-
na agisce sullaltra che patisce. Nella costruzione della casa, ad
esempio, le pietre e i mattoni e quantaltro possono divenire casa,
patiscono via via la perdita del loro essere materiali da costruzio-
ne (e quindi solo costruibile in potenza) per divenire sempre pi
compiutamente casa, e nella guarigione la malattia dellindividuo
patisce sempre pi, lasciando via via il posto alla salute.
Conclusione
Per concludere brevemente, allora, occorre dire quanto segue.
Aristotele, con una lucidit mirabile, riesce a dar ragione e spiega-
zione della straordinaria variet e molteplicit delle cose, sia ricor-
rendo alla distinzione fra principi, elementi e cause, sia avvalen-
dosi della relazione dinamica fra potenza e atto, eccetera. Egli
adopera strumenti di ricerca che gli risultano validi per la com-
prensione e la conoscenza della realt, sia del mondo fenomenico
che di quello metasico. Ma in quanto tutti questi strumenti sono
indispensabili alla lettura della realt al di l di apparenze che
spesso, nel testo aristotelico, sono funzionali nel contesto dellar-
gomentazione, ma che in un altro passaggio vengono fugate ,
nessuno di essi ha minore importanza di un altro. Nel caso della
causa motrice, ad esempio, potrebbe sembrare a qualcuno che es-
sa abbia la minore importanza fra le cause, dal momento che il di-
venire in cui sono coinvolti gli enti naturali fondato su tre prin-
cipi (soggetto, privazione e forma), che servono a individuare co-
me fondamentali la materia e la forma vista ora come privazione e
ora come ne del divenire stesso. Ma senza la causa motrice nes-
sun divenire avrebbe mai luogo e, quindi, la dottrina dei tre prin-
cipi del divenire degli enti naturali ha bisogno di tale causa per
essere vera, ed di per s impostata da Aristotele in modo dina-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 145
mico se vero che, permanendo il soggetto, tuttavia la forma co-
me privazione e la forma come ne si fronteggiano in attesa che
una causa motrice attivi un processo di realizzazione che conduca
lo stato privativo dellente a divenire uno stato di attuale possesso
di forma. Se gli enti della natura sono caratterizzati dallessere pe-
rennemente coinvolti nel movimento, allora si comprende facil-
mente il ruolo che la causa motrice, legata al movimento, debba
occupare nellambito di una dottrina della causalit che riguarda
gli enti naturali.
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IN CATANIA NEL MESE DI FEBBRAIO 2005
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