di Enrico Comba Rito Il termine rito definisce l'azione o il comportamento formalizzato e simbolico, fissato dalla tradizione, occasionale o periodico, che in genere costituisce parte di un culto o di una celebrazione religiosa, di cui regola in modo vincolante lo svolgimento garantendone la validit: quale che sia l'efficacia che si richiede da un'azione sacra, essa dipende dall'esecuzione ineccepibile, conforme al rito. Etimologicamente il latino ritus connesso con il sanscrito rt- che concetto fondamentale della religione vedica, significando l'ordine cui devono conformarsi sia il cosmo sia la societ sia l'individuo.
sommario: 1. Una creazione culturale complessa. 2. Ripetitivit e funzione sociale. 3. Transizioni e cambiamenti. Bibliografia. 1. Una creazione culturale complessa Un problema metodologico ricorrente in etnologia e antropologia consiste nella difficolt di definire nozioni di carattere molto generale e di applicabilit universale, ma, d'altra parte, soggette ad ampia variabilit nei diversi contesti culturali. Nel caso del rito si possono facilmente identificare in varie occasioni della vita sociale comportamenti standardizzati e ripetitivi, che spesso possiedono un significato simbolico pi o meno esplicito per coloro che vi partecipano e che costituiscono in genere parte di un cerimoniale, di una festa o di un culto religioso. Tuttavia, allorch ci si accinge a definire che cosa costituisce l'aspetto distintivo e specifico di un rituale, si configurano diverse possibili scelte, ciascuna delle quali implica l'attribuzione di un rilievo preminente a questo o quell'elemento: la dimensione sociale, i rapporti di autorit e di potere, il contenuto religioso, la funzione di comunicazione attraverso simboli, e cos via. Ciascun autore tender a prediligere un certo aspetto, in quanto congruente con le proprie preferenze teoriche e ideologiche. Inoltre, non da sottovalutare l'influenza del concetto di rito cos come si storicamente sviluppato all'interno della teologia cristiana (nelle sue varianti cattolica e protestante) e nel campo della giurisprudenza europea. Non quindi ingiustificato domandarsi fino a che punto il concetto di rito sia applicabile a contesti sociali e culturali diversi, che cosa si intenda con questo termine e se esista una qualche componente comune a tutti i comportamenti rituali. Una difficolt di base consiste nel fatto che la nozione di rito si applica in parte a una variegata gamma di occasioni comunitarie, quali le attivit festive, cerimoniali, cultuali, con le quali non si identifica tuttavia completamente. Mentre le nozioni di festa, cerimoniale, culto sono definibili in quanto insiemi complessi e interrelati di azioni, idee, tradizioni e relazioni sociali che legano tra loro i partecipanti, il rito piuttosto una categoria analitica che serve all'osservatore esterno per interpretare la realt, isolando e ordinando una serie di comportamenti in una sequenza coerente e significativa. Secondo questa prospettiva, i riti costituiscono creazioni culturali complesse ed elaborate, che comportano una precisa articolazione di gesti, parole e rappresentazioni di numerose persone in un contesto collettivo. Sebbene tali comportamenti siano particolarmente frequenti nell'ambito religioso e cultuale, alcuni autori estendono il concetto di rito al di l del campo strettamente religioso, includendovi taluni fenomeni ricorrenti della vita sociale e politica (Secular ritual 1977; Kertzer 1988). Essendo composto da gesti, comportamenti, atteggiamenti stereotipati e ricorrenti, il rito evidentemente correlato in modo immediato con la sfera corporea, che ne costituisce il suo aspetto pi ovvio e un punto di partenza privilegiato (Buckland 1995). Il rito si presenta in effetti come una sorta di 'linguaggio del corpo', in cui gli uomini si scambiano messaggi, comunicano e regolano le proprie interrelazioni. Si deve tuttavia cercare di chiarire come tale comunicazione si realizza attraverso le procedure rituali che si riscontrano nelle varie societ umane. 2. Ripetitivit e funzione sociale Una delle caratteristiche ricorrenti dei riti consiste nella loro periodicit e ripetitivit. Gi . Durkheim (1912) aveva osservato come la ripetizione periodica dei rituali costituisse un carattere generale della vita religiosa e aveva interpretato l'esigenza di iterazione periodica del rito come conseguenza dell'efficacia morale che esso eserciterebbe sui partecipanti. La reiterata e ricorrente partecipazione alle attivit rituali collettive avrebbe cos lo scopo di rafforzare in ciascun individuo il senso di appartenenza al gruppo sociale, riaffermando il valore delle tradizioni, delle norme e delle pratiche sociali comunitarie. In questa linea di indagine si collocano le interpretazioni funzionalistiche del rito, sviluppate soprattutto dalla scuola britannica di antropologia sociale. Secondo questa prospettiva teorica, compito principale della ricerca antropologica dovrebbe essere quello di individuare gli effetti sociali prodotti dalla partecipazione a un rituale, sia dal punto di vista individuale sia da quello della comunit nel suo insieme. L'interesse prevalente si concentra sulle azioni rituali, considerate come una componente importante del comportamento sociale, sulla loro rilevanza nell'analisi dei rapporti sociali e sulla loro funzione sociologica. La pratica rituale contribuisce a riaffermare i sentimenti e i valori da cui dipendono l'ordine e la continuit del gruppo sociale (Radcliffe-Brown 1952). In questo modo si tende a trascurare il riferimento a sistemi di idee, a complessi simbolici, a tradizioni mitologiche e a esperienze religiose che possono essere legate alla partecipazione ai riti. L'aspetto simbolico della ripetizione rituale invece al centro dell'interpretazione dello storico delle religioni M. liade (1949, 1971): egli considera il rito come un meccanismo simbolico attraverso il quale l'uomo realizza la restaurazione del tempo mitico delle origini, proiettandosi temporaneamente nell'epoca originaria della creazione del mondo. Il rito si presenta, quindi, sempre come una sorta di ripetizione della cosmogonia, instaurando ogni volta un nuovo inizio, un ripristino della condizione primordiale. I comportamenti, i gesti anche pi semplici e banali della vita quotidiana, assumono un carattere paradigmatico in quanto ripetizione delle gesta degli esseri mitologici (dei, eroi o spiriti) compiute nell'epoca originaria del mito, di cui le attivit ordinarie degli uomini non sono che un pallido riflesso. Sebbene siano ispirati a prospettive metodologiche e teoriche radicalmente diverse, questi contributi consentono di mettere in luce alcune caratteristiche comuni del comportamento rituale, ossia: il ruolo della ripetitivit nel costruire un senso di identit sociale, il frequente riferimento al passato come meccanismo ideologico allo scopo di giustificare e rafforzare l'ordinamento sociale e le pratiche collettive. Le cerimonie rituali sono realizzate attraverso specifiche azioni corporee, quali la danza e il canto, posture e atteggiamenti rigidamente regolati, forme stereotipate di agire e di parlare. In particolare, la danza e il canto consistono in un numero limitato di movimenti determinati e di specifiche formulazioni verbali, effettuati in un modo rigorosamente prestabilito e secondo una sequenza precisa. Le pratiche rituali sono quindi 'codici ristretti' di attivit corporee (Buckland 1995), in cui le innovazioni sono ridotte al minimo, le pose e i gesti devono conformarsi a un repertorio limitato, le persone svolgono ruoli predeterminati e stabiliti dalla tradizione e nei quali la loro individualit scarsamente rilevante. 3. Transizioni e cambiamenti La ripetitivit e la standardizzazione dei comportamenti rituali sembrano accentuare soprattutto l'elemento di staticit e di ricorsivit. I gesti e le azioni rituali sono codificati dalla tradizione, che stabilisce le norme in base alle quali certe attivit sono prescritte e altre proibite, in quali occasioni si devono compiere determinate azioni e in che modo. La ripetizione rituale di gesti, canti e danze ne sottolinea la fissit e l'immutabilit: si fa ci che si sempre fatto, secondo una tradizione ancestrale, trasmessa dagli antenati, che consente ai membri di una comunit di identificarsi con le generazioni passate, di rappresentarsi la continuit e la specificit del proprio gruppo sociale e di esercitare una sorta di controllo sulle trasformazioni e sui processi di cambiamento. Tuttavia, l'abolizione del tempo e del mutamento nella pratica rituale probabilmente pi apparente che reale. La prospettiva di M. Bloch (1989), per es., secondo cui il rituale religioso costituisce un meccanismo per imporre forme stereotipate nelle attivit corporee e verbali, riducendo possibili varianti alternative di agire e parlare a favore di una forma tradizionale di autorit che esercita il controllo sociale e politico sugli individui, risulta sensibilmente esagerata e inadeguata a interpretare il comportamento rituale in numerosi contesti culturali. D'altra parte, come stato messo in luce gi da A. van Gennep (1909), numerosi rituali riguardano direttamente il fenomeno della transizione e del cambiamento: mutamenti di status, di condizione sociale, accesso a nuove posizioni o funzioni, ingresso all'et adulta. Questi momenti comportano una particolare manipolazione rituale del corpo: ornamenti, abbigliamenti, pitture, tatuaggi, scarificazioni, possono segnalare i momenti cruciali, le tappe significative nella vita di un individuo. In particolare, i riti di iniziazione sono strettamente connessi con la trasformazione corporea dei neofiti: trasformazione fisica, in quanto passaggio dalla condizione infantile a quella adulta, accesso alla condizione matrimoniale, ma soprattutto trasformazione sociale, costruzione culturale di un essere umano quale la societ in questione lo concepisce (Comba 1992). Le cerimonie rituali di iniziazione, agendo molto spesso sul corpo degli iniziati, segnandolo e scolpendolo con tagli, scarificazioni, circoncisioni, sembrano voler rimarcare il controllo dell'identit e dell'appartenenza degli individui al gruppo sociale, manipolando e trasformando il corpo fisico degli individui per costruire un 'corpo sociale', cio un essere umano segnato e modellato dalla societ e dalla cultura alle quali appartiene. Tale meccanismo tende perci a sottolineare la fissit e la staticit della tradizione e dei valori che questa incarna, che riconducono al tempo delle origini, al passato mitico degli antenati o degli dei (v. culto; cultura). Tuttavia, come sottolinea S. Buckland (1995), raro che il passato, come pure l'identit di una comunit, sia immune da contestazioni e interpretazioni discordanti. Di frequente il ricorso al passato nasconde o giustifica una nuova interpretazione, un'innovazione sociale o una modificazione nelle relazioni interindividuali. La ripetizione non mai semplicemente 'la stessa cosa', e spesso la reiterazione contribuisce a sanzionare le novit, i mutamenti. V.W. Turner (1967, 1968) ha insistito sul fatto che il linguaggio simbolico del rito non semplicemente un riflesso della situazione sociale, bens ne esprime la funzione creativa e innovativa. Attraverso i simboli rituali vengono periodicamente ricreate le categorie per mezzo delle quali i membri di una cultura percepiscono la realt, i fondamenti su cui si basano la struttura della societ e le leggi che governano l'ordine naturale. In quanto forma di comunicazione, i rituali investono oggetti e termini della vita ordinaria con un significato pi profondo, connesso con la cosmologia o con l'ordinamento delle relazioni sociali. La trasmissione di queste conoscenze da una generazione all'altra avviene all'interno di contesti rituali e simbolici e si configura come un processo creativo e innovativo e non semplicemente come trasmissione dell'identico. La periodicit e la ripetitivit del rito si riconnettono, infine, al modo in cui, nelle diverse culture umane, il tempo viene concepito e categorizzato. I grandi riti stagionali che coinvolgono l'intera collettivit sono perlopi legati ai cicli astronomici e alle principali attivit economiche, rivelando la presenza di forme di computo del tempo basate sulla ricorsivit di fenomeni naturali. Essi sembrano rivolti soprattutto alla creazione e alla preservazione del senso di identit collettiva, ottenute mediante la ripetizione del passato e il richiamo alla tradizione, nonostante l'inevitabile processo di trasformazione storica. Si produce in questo modo una 'memoria culturale' (Buckland 1995), lo strumento tramite cui ciascuna societ tenta di fissare la propria identit attraverso il cambiamento, assicurandosi una continuit nel tempo. I riti occasionali, di passaggio o di crisi vitale, sono invece soprattutto legati al ciclo della vita individuale e al processo di formazione culturale dell'essere umano. In questo caso le pratiche corporee sono maggiormente evidenti, in quanto riguardano la condizione specifica di particolari individui. Riti di afflizione, di guarigione, di esorcismo sono direttamente correlati con la situazione di malattia, di disagio, di sofferenza che colpisce specifici individui e ne mette in pericolo la relazione con la comunit. L'attivit rituale qui rivolta al ristabilimento non soltanto della condizione di salute o dell'equilibrio fisico-psichico del soggetto ma anche, o forse soprattutto, di relazioni interindividuali soddisfacenti. Anche in questo caso il rito pu essere veicolo di modificazione, negoziazione e riadattamento collettivo della memoria culturale e dell'identit di una determinata comunit. bibliografia
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