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Fisco e Diritto

Cassazione, 16 ottobre 2009, sentenza


n. 21975

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CON L’INDUTTIVO LA CONTABILITA’ IN NERO “VINCE” SEMPRE (CASSAZIONE
N. 21975 DEL 16 OTTOBRE 2009)

Durante una verifica fiscale, la scoperta di una contabilità in nero, ben tenuta ed aggiornata,
legittima da sola il ricorso da parte del Fisco all’accertamento induttivo. Non rileva invece il luogo
ove è stata rinvenuta tale contabilità, che può essere reperita anche in locali diversi da quelli della
società. Con riferimento all’art 51, c. 2 del DPR 633/72, la Cassazione ha così affermato
nuovamente il principio per cui si “…accorda all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di
credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro
inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano
stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a
tassazione”. Lo stesso principio era stato già espresso nelle sentenze n. 8826/01, n. 6232/03 e n.
374/09. Inoltre, “…il ritrovamento, da parte della Guardia di Finanza, in locali diversi da quelli
societari, di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a
verifica fiscale, legittima, di per sé e a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento,
la rettifica della dichiarazione sulla base di accertamento induttivo…” (sentenza n. 27061/06, n.
17365/09 3 n. 13201/09). Per la Suprema Corte, quindi, il semplice ritrovamento della
documentazione in nero è di per sé sufficiente a legittimare una ricostruzione analitico-induttiva del
reddito, oltre a costituire un valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e
concordanza richiesti dalla legge.

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Cassazione, 16 ottobre 2009, sentenza n. 21975

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate propongono ricorso per
cassazione nei confronti di ..... (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza n. 147/08/03,
depositata il 30-03-04, con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di
rettifica IVA per l'anno 1992, la C.T.R. Calabria rigettava l’appello proposto dall'Ufficio e
confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto parzialmente il ricorso della
contribuente), affermando, per quel che in questa sede ancora rileva, che non era verosimile che
tutte le somme versate sul conto corrente del contribuente fossero riconducibili a ricavi dei quali
era stata omessa la registrazione, avendo il contribuente fornito adeguate giustificazioni per la
maggior parte degli assegni e dovendo i singoli versamenti, per potersi considerare supportati da
ulteriori elementi di riscontro, eventualmente anche a carattere indiziario.

Secondo i giudici d'appello, inoltre, anche gli elementi tratti da documentazione extracontabile
dovevano essere suffragati da ulteriori riscontri, e pertanto l'accertamento induttivo in esame era
da ritenersi non sostenute da una idonea base probatoria, ancorché indiziaria.

Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero
dell'Economia e delle Finanze, posto che dalla sentenza impugnata risulta che l'appello, depositato
il 2 maggio 7001, fu proposto dalla sola Agenzia delle Entrate e che, secondo la giurisprudenza di
questo giudice di legittimità quando la successione ex lege dell'Agenzia delle Entrate al Ministero
delle Finanze si sia realizzata, in ragione della riforma dell'A.F. ai sensi del d.lgs, n. 300 del 1999,
dopo la conclusione del giudizio di primo grado e l’appello sia stato proposto esclusivamente
dall’"Agenzia (ovvero dalla relativa articolazione periferica di essa), si verifica l'estromissione
implicita del Ministero sicché quest'ultimo non può più essere considerato parte in causa (v. tra le
altre SU n. 3116 del 2006). Atteso il consolidarsi della giurisprudenza citata in epoca successiva
alla proposizione del ricorso, devono essere compensate le spese del relativo rapporto.

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 51 comma 2 d.p.r. 633/72,
2727 e 2697 c.c., l'Agenzia ricorrente sostiene che i giudici d’appello hanno errato nel far ricadere
sull'amministrazione finanziaria l'onere di provare la provenienza e la destinazione del denaro
circolato sui conti correnti, posto che, secondo la giurisprudenza, l'art. 51 d.p.r. 633/72 accorda
all'ufficio finanziario il potere di chiedere notizie dei movimenti dei conti bancari accesi dal
contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, salvo che il contribuente non
dimostri il contrario. La censura è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare
continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), l'art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7 del
d.p.R. 633/1972 accorda all'ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei
movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad
operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati
conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione (v.
tra le altre cass. n. 8826 del 2001, n. 6232 del 2003 e n. 374 del 2009).

E' pertanto errata la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che la parificazione tra
versamento in conto corrente e ricavo professionale non è "verosimile" né "realistica"e che il
singolo versamento può essere considerato ricavo solo se supportato da ulteriori riscontri, sia pure
a carattere indiziario, posto che invece deve ritenersi che sulla sola base delle notizie in ordine ai
movimenti bancari, anche senza ulteriori riscontri, è possibile fondare la presunzione di inerenza
ad operazioni imponibili, con onere di prova contraria a carico del contribuente.

In proposito, i giudici d'appello hanno genericamente affermato che per "la maggior parte degli
assegni" il contribuente aveva fornito "adeguate giustificazioni", soffermandosi solo su di un
assegno, che il contribuente aveva affermato concernere il rimborso di un prestito, mentre, alla
luce del principio di diritto sopra a affermato, essi avrebbero dovuto esaminare analiticamente le
giustificazioni proposte per ciascun movimento bancario e valutare la relativa prova (se fornita),
eventualmente scorporando le "poste" per le quali dovesse ritenersi idonea la prova contraria
fornita dal contribuente (ossia la prova che i movimenti non erano inerenti ad operazioni
imponibili).

Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 54 d.p.r. 633/72 nonché
degli artt. 2697 e 2729 c.c., la ricorrente rileva che, per giurisprudenza ormai consolidata, il
rinvenimento di contabilità parallela a quella ufficiale legittima di per sé il ricorso
all'accertamento induttivo anche a prescindere dalla sussistenza di altri elementi probatori, con la
conseguenza che i giudici d'appello avevano erroneamente escluso che nella specie la sussistenza
di un brogliaccio potesse assumere rilevanza fiscale a prescindere dalla sussistenza di ulteriori
elementi probatori che sarebbe stato onere dell'amministrazione allegare.
Anche tale censura è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare
continuità in assenza di valide ragioni per di scostarsene), il ritrovamento, da parte della Guardia
di finanza, in locali diversi da quelli societari, di una "contabilità parallela” a quella ufficialmente
tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale, legittima, di per sé ed a prescindere dalla
sussistenza di qualsivoglia altro elemento, la rettifica della dichiarazione sulla base di
accertamento induttivo (v. in particolare cass. n. 11459 del 2001) e, a fortiori, legittima il ricorso
al suddetto accertamento induttivo ai sensi dei commi secondo e terzo dell'art. 39 D.P.R. 600/1973
(v. tra le altre cass. n. 19598 del 2003 e n. 27061 del 2006).

Alla luce dei principi sopra esposti, il ricorso dell'Agenzia delle Entrate deve essere accolto e la
sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che provvedere a decidere la
controversia facendo applicazione dei principi di diritto sopra esposti e liquidando altresì le spese
del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e compensa le relative spese. Accoglie il ricorso
dell'Agenzia, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione.

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