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dell'esistenza
di Vittorio Possenti
come alla fonte prima di ogni intelligibilit, ci da cui si aspetta una possibile rivelazione del
senso dell'essere; si volge all'esistenza come tale, in tutta la sua possibile ampiezza, non perci
soltanto a quella che viene colta attraverso la conoscenza sensibile.
Per determinare con maggior propriet il linguaggio, diremo che si d un termine o oggetto
connaturale della conoscenza umana, ed esso l'ente materiale, conosciuto mediante i sensi.
Questa conoscenza non costituisce ancora l'oggetto della metafisica, che l'esistenza o l'essere
"liberato" o astratto dal sensibile, l'ente in quanto ente (ens in quantum ens) colto in una
intellezione astrattiva. E' un equivoco confondere i due momenti della conoscenza naturale
spontanea e di quella astrattivo-scientifica, e immaginarsi che sia l'essere come raggiunto dalla
prima, l'essere dunque come incorporato nelle cose sensibili, non astratto e visualizzato nel
suo valore trascendentale, a costituire l'oggetto della metafisica. Essa assume come proprio
oggetto di indagine scientifica non in primo luogo l'essenza e neppure il concetto di esistenza,
ma l'atto stesso di esistere. Poich l'oggetto della metafisica l'ente in quanto tale, e l'ente(ens
= id quod habet esse) ci il cui atto l'esistere, il termine pi radicale verso cui si dirige
l'intellezione metafisica(pi radicale della conoscenza della sola essenza) l'atto d'essere degli
essenti. Pertanto essa -, che pur prendendo le mosse dall'essere delle cose sensibili e materiali,
astrae poi dalle condizioni materiali dell'esistenza empirica -, non astrae mai dall'esistenza, in
funzione della quale conosce tutto quello che conosce.
Se la polarit esistenza-essenza costituisce la coppia massimamente reggente dell'intera storia
della metafisica, la coppia che occupa un rango ontologico pi alto delle polarit materiaforma, sensibile-intellettuale, uno-molti, in essa il momento pi qualificante dato dalla
conoscenza dell'esistenza piuttosto che solo dell'essenza. Poich poi ci che vi di pi reale e
pi intimo nella realt l'atto d'essere (esse; actus essendi) esercitato da ogni cosa, la
metafisica scienza massimamente reale, in quanto cerca di "toccare" l'esse: toccarlo non di
una scienza intellettuale-intuitiva del singolare, ma universale-astrattiva, l'unica possibile per
lo spirito umano.
Molte metafisiche hanno detto e dicono invece: la filosofia in quanto scienza della ragione e
dei suoi concetti pi astratti si dirige all'in s delle cose, alla loro essenza, onde la metafisica
una scienza delle essenze, ossia dei possibili. Viene cos compiuto un passo falso, nel senso
che l'esistenza viene lasciata fuori dalla filosofia e questa intesa come un sapere che si rivolge
alla intelligibilit delle essenze come all'oggetto pi proprio del conoscere umano, mentre
l'essere esistenziale concepito come un mero di pi, un elemento di fatto o un accidente che
si aggiunge all'essenza quale costitutivo intellegibile gi perfettamente compiuto in se stesso
(fra le filosofie del nostro secolo appartiene a questa classe la fenomenologia di Husserl da
questi determinata come una teoresi che si rivolge alle essenze). Tuttavia il concetto di
esistenza giace interamente al di fuori di quello di essenza: la circostanza che qualcosa con
una certa essenza esista o non esista non cambia nulla dal lato dell'essenza, mentre cambia
tutto dal lato della realt. Non possibile dedurre l'esistenza dall'essenza. La metafisica
subisce un'alterazione decisiva se, rinunciando alla conoscenza dell'esistenza, si volge solo ai
possibili, alle essenze: subisce una specifica forma di oblio dell'essere, che ad un tempo
oblio della differenza fra ente ed essere, e oblio del primato dell'esistenza sull'essenza. Il
disguido della tradizione razionalistica moderna, che perlopi ha essenzializzato l'esistenza o
ha preteso di dedurla dal pensiero, sembra consistere nel voler partire dall'astratto per
raggiungere il concreto.
Nell'asserire che l'essere a se stesso la sua propria luce si integra l'idea che in ogni cosa l'
esistenza (reale o possibile) a costituire la sorgente ultima dell'intelligibilit, a cui risponde
l'atto conoscitivo dell'intelletto. " Esse est actualitas omnis rei; Actualitas rei est quoddam
lumen ejus; Ratio veritatis fundatur in esse et non in quidditate; Veritas sequitur esse rerum"
(12). In queste espressioni decisive vengono posti a tema il rapporto tra metafisica ed
esistenza, e l'essenza della verit nel suo fondarsi sull'esse piuttosto che nella quiddit. In base
al loro contenuto gli asserti citati dicono che l'atto d'essere in ogni cosa l'atto radicale che la
pone fuori dal nulla e fuori dalle sue cause, che l'esistenza in atto della cosa la sua propria
luce, e infine che - in quanto nella verit si esprime l'adeguazione fra l'atto enunciativo della
mente e la realt, dove l'elemento pi radicale l'atto d'essere degli essenti -, il luogo ultimo
della verit ontologica va identificato nell'esse/esistenza, pi che nell'essenza. Nel momento
del giudizio quale luogo della verit non si hanno dinanzi essenze sussistenti, ma esistenti
reali, a cui esso fa appunto fronte. Viene confermato che il significato pi profondo del
realismo filosofico consiste nell'andare con l'intelligenza all'esistenza stessa, ossia nel
riconoscere che l'esistenza non cieca e neppure un mero positum (dato di fatto che non ha
nulla da esprimere), bens fonte di intelligibilit in senso pi profondo di quanto non lo sia
l'essenza. Sempre intelligibilit ed atto si corrispondono, poich ogni cosa intelligibile nella
misura stessa in cui in atto. Orbene, dal momento che l'esse sussiste nel cuore dell'essente
come suo atto primo e fondante ogni altro atto, nel porre a proprio oggetto l'ente in quanto tale
e in ultima istanza l'esse la metafisica raggiunge il centro dell'esistenza e l'intelligibilit che le
concessa.
La conoscenza perfetta consiste nell'intuizione dell'oggetto singolo, ed essa sarebbe una
conoscenza divina. Questo elemento costituisce una situazione di umilt per la metafisica la
quale, non essendo una scienza intuitiva dell'esistenza singolare e del suo atto d'essere, poich
come ogni scienza conosce l'universale e nell'universale, attinge solo indirettamente i soggetti
singolari, che costituiscono per tutta la realt. All'uomo negata ogni scienza immediatointuitiva dell'esistere, essendo l'intelletto umano dotato non di un'intuizione pura ma solo
astrattiva (al chiarimento del tema dellintuizione intellettuale dedicato il cap. successivo).
D'altronde l'oggetto proporzionato dell'intelletto umano non costituito dall'esse puro e
infinito ma dall'ente, e dunque da un atto d'essere ricevuto e limitato da un'essenza: l'intelletto
umano pu cogliere ci che ha un'essenza che partecipa all'essere. Il rapporto tra esistenza ed
essenza, che di distinzione reale negli enti, tale per cui l'atto d'essere attua l'essenza,
essendone limitato. Quest'ultima svolge dunque la funzione di coprincipio potenziale dell'ente,
nel senso che l'essenza di per s in potenza rispetto all'esistenza.
Giudizio ed esistenza
Se la verit si fonda soprattutto nell'atto d'essere piuttosto che nell'essenza, con quale atto
l'intelletto umano potr coglierla? Di fronte allo sguardo dell'intelligenza che considera l'ente,
questo si disloca nei due aspetti dell'essenza e dell'esse, che vengono colti da due specifiche
operazioni dello spirito. L'essenza, ci che una cosa , viene raggiunta dalla prima operazione
(la apprensione semplice) ed espressa in un concetto; mentre l'esistenza (esse/actus essendi)
nel giudizio (seconda operazione dello spirito). In esso lo spirito non afferra le determinazioni
quidditative dell'ente, gi raggiunte dalla apprensione nell'unit intenzionale del pensiero e
della cosa, bens raggiunge l'atto stesso in virt di cui la cosa , il suo esse; lo raggiunge
intenzionalmente e come portandolo nel proprio seno. La conoscenza intellettuale un atto
che risponde allatto di esistere e che si compie nel giudizio.
Fondandosi sull'atto d'essere dell'ente, la verit altro non che l'adeguazione dell'immanenza
in atto del nostro pensiero a ci che esiste fuori di esso, all'esistenza esercitata dalle cose. Il
giudizio, che unisce (o divide) soggetto e predicato, possiede dunque significato esistenziale,
non soltanto copulativo: quando nel giudizio dichiaro che una cosa in un certo modo, non
contemplo un quadro di essenze, ma affermo che nell'esistenza reale quella cosa esiste nel
preciso modo che si formulato col giudizio.
Sarebbe fermarsi ben prima che a met strada ritenere che il giudizio si limiti ad applicare
nella sua sintesi o compositio un predicato a un soggetto, una forma universale a un soggetto
particolare: sin qui non saremmo usciti di molto o per nulla dal campo della logica. Il carattere
fondamentale del giudizio esistenziale-reale: esso traspone la mente dal livello delle essenze
o degli oggetti di pensiero al livello dell'esistenza reale, dove gli oggetti di pensiero designano
cose o soggetti che esercitano l'esse. Proiettando nell'esistenza reale i concetti appresi dalla
mente, il giudizio rimette in contatto, dichiarandoli identici in re, soggetto e predicato, prima
separati dall'apprensione (la quale anch'essa una forma di intuizione che per, cogliendo
solo le essenze astratte e separate dall'esistenza, non raggiunge il concreto). Nel giudizio si
coglie l'esistenza reale esercitata da un oggetto (existentia ut exercita), non l'esistenza
rappresentata (existentia ut significata), raggiunta a modo d'essenza o quiddit nel processo
astrattivo dell'apprensione.
Poich l'essere o esistere un atto, ci vuole un atto, quello del giudizio, per coglierlo. In
questo atto di sintesi reale che il luogo della verit , l'intelligenza, operando al pi alto grado
di visualizzazione eidetica, tocca la cosa stessa e la sua attualit suprema, l'esse; raggiunge
intenzionalmente l'atto di esistere che la cosa esercita (o pu esercitare) nella realt,
cogliendone la infinita distanza rispetto al nulla(nihil absolutum). Raggiunge l'esse in quanto
determinante e perfezionante, non determinabile e perfezionabile; lo raggiunge come qualcosa
di infinitamente pi intenso e ricco del semplice esser-presente, dell'esser-l (Dasein), nel qual
caso la cosa raggiunta come mera presenza al mio mondo, non come realt o esistenza
"assoluta". La portata obiettiva di ogni giudizio di sboccare sull'esse : Ci vale in special
modo per il giudizio di esistenza o di "posizione assoluta" del tipo: "A ". Quando si afferma
"Carlo Magno esiste", non si attribuisce alcun predicato nuovo alla nozione di Carlo Magno
gi determinata in se stessa, ma si afferma l'esistenza reale di Carlo Magno. Il giudizio di
esistenza si presenta come una posizione assoluta, con carattere diverso dai giudizi copulativi
o attributivi in cui un'essenza (il predicato) attribuita al soggetto, poich in esso si afferma
puramente e semplicemente l'esistenza di un soggetto come posto fuori dal nulla. La sua
peculiarit deriva dal fatto che l'esistenza non predicato necessario di alcuna essenza finita,
dal momento che l'analisi del concetto di quest'ultima non consente mai di scoprirvi
l'esistenza: essa non analitica. Gi Aristotele osservava che l'esistenza di una cosa non pu
appartenere alla natura del concetto; che le definizioni non rivelano che l'oggetto da esse
denotato possa esistere (13).
Nel giudizio di esistenza, l'esse viene raggiunto pi immediatamente che nelle altre due forme
di giudizio dove la funzione copulativa tende a primeggiare su quella esistenziale: 1) il
giudizio di essenza (l'albero verde), in cui una forma-predicato applicata al soggetto; 2) il
giudizio di semplice presenza al mio mondo (l'albero qui); i quali presuppongono il giudizio
di "posizione assoluta" e il suo valore realista. La sua possibilit fondata sull'unit analogica
e trascendentale dell'essere; mentre in Kant riposa sull'unit sintetica apriorica
dell'appercezione trascendentale.
Il giudizio s sintesi, ma non costruita a priori dallo spirito e da esso proiettata nelle cose,
bens operata dall'intelletto sotto la guida dell'esistenza: attraverso un'attiva visione
intellettuale esso unisce soggetto e predicato in base all'informazione intelligibile emergente
dal loro contenuto. Dal reciproco confronto del soggetto e del predicato emerge la necessit
dell'affermazione (o negazione) del predicato come predicato del soggetto in quanto uniti (o
separati) nell'esistenza reale o possibile(14). La struttura del reale non modellata dalla forma
del giudizio, come se il reale dovesse calarsi e modellarsi su calchi, che sarebbero le forme a
priori dello spirito. Al contrario la copula del giudizio, fondata sull'esse dell'oggetto reale,
cerca di attingerlo intenzionalmente. Le datit fenomenologiche fondamentali del conoscere lo
dichiarano un processo scoprente-accogliente-vedente, non apriorico-sintetico-fabbricatore.
Un processo in cui il soggetto conoscente non si limita a dimorare presso se stesso; pi
esattamente dimora presso di se stando presso l'oggetto, nel senso che l'attivit conoscitiva s
immanente, ma appunto alla luce dell'oggetto portato intenzionalmente nell'interiorit dello
spirito.
A differenza delle filosofie di indirizzo platonico, che limitano l'oggetto specificatore
dell'intelligenza umana alle essenze, in cui vedono la fonte prima dell'intelligibilit del reale,
nella Seinsphilisophie l'intelligenza va non solo all'essenza ma all'esistenza. Non difficile
comprendere quali argomenti spingano il filosofo a rivolgersi in modo privilegiato all'essenza:
non deve forse la filosofia fondare il proprio sapere su oggetti stabili di pensiero? E dove
trovarli in maniera soddisfacente se non nell' intelligibilit delle essenze ideali e nella loro
immutabilit? L'essenza presenta al filosofo i caratteri che va cercando, ossia la necessit, la
universalit, l'immutabilit. Le difficolt del platonismo, che inclina a lasciare l'esistenza fuori
dalla sfera dell'essere vero e dell'intelligibilit, si sono reduplicate in quelle dell'idealismo
moderno. Esso ha fatto dell'esistenza un concetto pensato, trattandola come un'essenza e
attribuendo alla soggettivit trascendentale una funzione costruttiva e costitutiva, in cui
l'oggetto datit empirica intrasparente e muta per il pensiero, se non riportato nel circolo
dell'Io trascendentale. In ci matura la crisi della metafisica che percorre parte della filosofia
moderna, e che si chiarisce come una crescente difficolt a raggiungere intellettualmente
l'esistenza, fondando su di essa la conoscenza ontologica. Il primo correlato di tale crisi
l'oblio dell'essere in cui la metafisica uscita dal razionalismo si trovata implicata nel corso
del suo sviluppo, oblio che assume le forme tanto dell'esistenza intesa come mero positum,
A tale oblio hanno dato il loro apporto diversi fattori, fra cui alcuni equivoci concernenti la
natura del conoscere e la sua portata realistica. Nell'atto della conoscenza reale l'intelletto, il
giudizio e la cosa/ente si corrispondono entro il generale isomorfismo tra pensiero ed essere.
Viene inoltre riconosciuta la natura della conoscenza (quale movimento perfettivo di un
soggetto) nel valere come processo di identificazione con l'altro come tale. Nei sistemi
dell'idealismo accade un quasi completo capovolgimento di questi elementi, per cui la natura
del conoscere viene alterata. L'isomorfismo tra pensiero ed essere affermato ma invertito,
poich il primato va al pensiero. Della conoscenza si mantiene il momento
dell'identificazione, non per del soggetto conoscente con l'altro in quanto altro, ma
identificazione come superamento e soppressione dell'alterit: "Conoscere - ha scritto G.
Gentile - identificare, superare l'alterit come tale", riportandola all'Io trascendentale (15). A
sua volta quest'ultimo processo o atto, non sostanza; e l'essere nome vuoto, al pi una
convenzione del linguaggio, non la sorgente prima di ogni intellegibilit. L'oblio dell'essere
massimo e ostruita la conoscenza dell'esistenza, nel senso che non si cerca il sapore
dell'essere, ma la coerenza dell'idea.
Seguendo la strada della conoscenza dell'esistenza, prende forma una distinzione fra due
concetti di filosofia, uno soltanto dei quali denotato da un intento realistico( distinzione che
segna anche uno spartiacque fra filosofie pi e meno adeguate: che tutte le filosofie siano
eguali significa infatti che non c' pi filosofia). Il primo concetto di filosofia, e pi
esattamente di metafisica, ne incorpora un'idea pi logica che reale, nel senso che la
metafisica diventa la scienza dei concetti pi astratti e delle loro connessioni: sistema della
conoscenza cercato solo come tale, facendo astrazione da qualsiasi scopo che non sia quello
dell'unit sistematica del sapere, e procedendo alla neutralizzazione dell'esistenza. In base al
secondo concetto la metafisica vale come scienza teoretica dell'essere/esistenza, e proprio per
questo in essa si integra l'idea che la filosofia, includendo la relazione di ogni conoscenza ai
fini essenziali della ragione umana, comprenda ci che necessariamente interessa ogni uomo:
trovare un orientamento nella vita secondo un senso(16).
essentiae est perfectius esse existentiae, quia esse existentiae est quoddam accidentale
adveniens naturae". Senza mezzi termini o giri di frase viene ripresa la tesi avicenniana per
cui l'esistenza un accidente dell'essenza. Baster fare ancora un passo e tale "modalizzazione
accidentalistica" dell'esistenza rispetto all'essenza, per cui l'ente non ci che esercita l'atto di
essere bens una semplice aptitudo ad esistere, diventer con Wolff una pura possibilit
passiva, nel senso che per il filosofo tedesco nell'ens si esprime solo una non repugnatia ad
existendum: "Notio entis in genere existentiam minime involvit, sed saltem non repugnatiam
ad existendum, seu, quod perinde est, existendi possibilitatem"(18). Formule rivelative del
processo di allontanamento dall'esistenza, percorso sia dal razionalismo, sia dalla maggior
parte delle correnti della Scolastica rinascimentale e barocca.
In tale processo la posizione di Kant rappresenta un punto ancipite, da cui sarebbe forse stato
possibile ripartire se non fosse poi intervenuta con la dialettica hegeliana una compiuta
logicizzazione dell'esistenza. In un celebre passo della Critica della ragion pura l'esistenza
presentata come una posizione di fatto : "Essere, manifestamente, non un predicato reale,
cio un concetto di qualche cosa che si possa aggiungere al concetto di una cosa. Essere
semplicemente la posizione di una cosa o di certe determinazioni in se stesse. Nell'uso logico
unicamente la copula di un giudizio... Il reale non viene a contenere niente pi del semplice
possibile. Cento talleri reali non contengono assolutamente nulla di pi di cento talleri
possibili... Se io dunque penso una cosa con quali e quanti predicati voglio (magari nella sua
determinazione completa) non s'aggiunge alla cosa stessa il minimo che, per il fatto che io
soggiungo ancora: questa cosa "(19). Frase ancipite dal momento che, non riducendo l'essere
solo alla funzione logica della copula nel giudizio, considera l'essere anche come "posizione";
come qualcosa che pu certo venire inteso come mero dato di fatto, ma che potrebbe per altro
verso aprire ad una metafisica dell'atto e dell'esistenza come atto.
Che cosa vuol intendere Kant quando sostiene che l'essere non un predicato reale ma
"posizione"? Molto probabilmente che l'esistenza l'atto con cui una cosa posta fuori dalla
condizione di possibilit, onde transita dalla sfera dell'esser-possibile a quella dell'esser-reale.
Con questo, pur avendo eretto l'ordine dell'esistenza come diverso e irrisolubile in quello
dell'essenza, non sappiamo ancora nulla di determinato sull'esistenza: se da un certo punto di
vista verissimo che l'essere differente da un predicato (perch i predicati sono essenze che
si aggiungono o si dicono del soggetto, e l'esistenza non un'essenza), da un altro angolo di
visuale l'esistenza il soggetto di tutti i predicati, poich nessuno esiste senza l'essere. In altri
termini sembra che nell'analisi della coppia essenza-esistenza, Kant si ponga dal lato
dell'essenza, dal quale legittimo concludere che l'esistenza non aggiunge nulla ai caratteri
intelligibili dell'essenza. Ma questa l'unica prospettiva da considerare? Se nella linea
formale-essenziale l'esistenza non aggiunge nulla ai costitutivi dell'essenza, nella linea
ontologico-reale le aggiunge tutto, poich pone la cosa/ente come un esistente concreto, fuori
dal nulla e fuori dalle sue cause. Come si gi sottolineato, la nozione di esistenza possiede
un valore proprio e una perfezione suprema, essendo l'atto di tutti gli atti e la perfezione di
tutte le perfezioni, che aggiunge qualcosa di realissimo all'essenza, sebbene al di fuori del suo
ordine e perci connessa ad essa in modo contingente. La Critica della ragion pura ha
percepito lucidamente l'impossibilit di un processo puramente analitico a raggiungere
l'esistenza, poich questa non fa parte del concetto o essenza di una cosa, ma appartiene ad un
altro ordine: e con ci viene denunciata la debolezza dell'argomento ontologico.
E' un luogo comune ricordare, dopo i molti che gi l'hanno fatto, la fondamentale arbitrariet
del metodo hegeliano, in cui si assume che il movimento dialettico dei concetti adegui o
corrisponda allo sviluppo del reale, quasi ricreandolo a priori; e che le determinazioni
concettuali del pensiero siano le determinazioni fondamentali delle cose stesse. Orbene, il
disguido sul metodo, per cui la ricerca di ragioni dialettiche prende il posto delle analisi
conoscitive sulle cose, si ripercuote anche sull'oggetto, in virt di una sostanziale identit di
metodo e oggetto che il dialettico di Stoccarda non cessa di sostenere:"Il metodo non altro
che la struttura dell'intiero presentato nella sua pi pura essenza"(23), e tale struttura altro non
che l'oggetto del sapere compiuto. Nonostante gli straordinari doni di Hegel e la potente
onda poetico-tragica che solleva tante sue pagine, il suo metodo dialettico veicola una grande
mistificazione, che non superata capovolgendo la dialettica dell'idea in quella della materia,
come intese fare Marx, poich la mistificazione inerente alla dialettica come tale: essa
conduce ad un sapere logico e probabile, lontano da un sapere stabilito su cause reali. E
quell'elemento di realt che essa qua e l conserva, dipende per cos dire dalle "iniezioni di
realt" operate di soppiatto nel circolo del metodo: se conclusioni del metodo dialettico, che
procede collegando concetti puri, risultano adeguate e reali, perch i concetti non erano
veramente puri ma ospitavano sin dall'inizio qualche elemento di realt (24). Che con un
metodo esclusivamente logico non si possano ottenere opposizioni reali, a meno che non si
introduca di nascosto nel processo dialettico qualcosa di reale, qualche riferimento empirico,
era gi stato osservato da Trendelenburg nelle sue Logische Untersuchungen, dove si parla di
intuizioni effettive che spingono in avanti il pensiero puro e lo conducono dove mai
arriverebbe con le sue sole forze. L'arbitrariet del metodo hegeliano e della sua dottrina della
scienza non naturalmente un incidente fortuito, quanto piuttosto lo svolgimento necessario e
portato al pi geniale livello di elaborazione, della sorgente non sempre identificata dell'
hegelismo: l'ontofobia, cio l'indifferenza o in certo modo la cecit intellettuale nei confronti
dell'essere/esistenza, intesi come semplice apparizione dell'essenza (25).
Si infine condotti ad individuare il motore onnipresente dell'hegelismo nella risoluzione
dell'essere a concetto, nel senso che la natura di ci che , di essere il proprio concetto, il
quale a sua volta nel proprio automovimento la scienza o l'elemento speculativo (26).
Nell'equivalenza di essere e di concetto (invece che di essere e di atto d'esistere) consiste il
proton pseudos dell'hegelismo ( e la massima opposizione a Kant, per il quale l'esistenza non
rappresentabile n nel concetto , n attraverso un concetto). Con esso la filosofia moderna
tocca un punto di non ritorno, rispetto al quale le successive radicalizzazioni, quale ad es.
l'attualismo gentiliano che risolve tutto (compresa l'intera dialettica hegeliana con la sua vasta
macchina) nell'attuosit pura dell'Io trascendentale, appaiono come tappe prevedibli di un
processo di coerenza, non come elaborazioni veramente innovative.
Del cammino del razionalismo verso l'esito ontofobico fu consapevole Vl. Soloviev, gi
all'inizio della sua precoce attivit filosofica. In La crisi della filosofia occidentale (1874)
composta a 21 anni, cos viene scandita la dialettica del razionalismo occidentale da Cartesio
ad Hegel nel suo allontanarsi dalla conoscenza reale dell'essere: "1. (Maggiore del
dogmatismo): ci che veramente , conosciuto aprioricamente; 2. (Minore di Kant): nella
conoscenza apriorica si conoscono solamente le forme del nostro intelletto: 3. (Conclusione di
Hegel): Dunque le forme del nostro conoscere sono ci che veramente ". Soloviev riassume
nel seguente sillogismo la tesi del razionalismo: "Noi pensiamo ci che ; 2. Ma noi pensiamo
La possibilit che si intenda la metafisica quale scienza delle essenze, ossia scienza dei
possibili completamente de-esistenzializzata, va considerato un rischio ritornante, da cui
tenersi in guardia. Non si sar mai finito con l'intento di escludere l'esistenza dalla ontologia e
dalla metafisica, attraverso la riconduzione dei giudizi di esistenza esclusivamente a giudizi di
attribuzione, nei quali il verbo "essere" svolge una funzione solo copulativa, collegando un
predicato ad un soggetto. In tal caso si rende l'esistenza semplicemente una essenza, fallendo
nel compito di pensarla come esistenza.
Del non-pensamento dell'esistenza e del correlato oblio dell'essere scaturiscono ramificate
influenze su tutto l'arco delle questione filosofiche. Limitiamoci a due brevi cenni concernenti
il problema del male e della tecnica. Il male rappresenta ad un tempo qualcosa di
massimamente esistenziale e una realt che le filosofie essenzialistiche maneggiano con
permanente difficolt. In virt dell'idea che il livello pi alto e compiuto dell'essere sia
l'essenza, esse fanno coincidere la realt con il positivo delle essenze e pongono il negativo
come un puro fatto logico, non reale. Conseguentemente il male inteso come un che di
accidentale e transeunte, che non in grado di attentare in modo efficace alla pienezza
concettuale dell'essenza, in cui si colloca il veramente essente, l'ontos on. Equivoco funesto,
poich il male, privazione d'essere e di bene, una ferita o una lacuna nell'esistenza, che
aggredisce e genera dolore proprio in quanto raggiunge le radici della vita, mentre l'essenza
non ne toccata. La questione bruciante del male la pierre de touche di ogni filosofia
essenzialistica, e pi esattamente la sua cattiva coscienza. Che esso sia prodotto o subito dalla
creatura, prende comunque alla gola. Ma appunto alle filosofie essenzialistiche sfugge
l'insidenza di una lacuna d'essere nel cuore dell'essente, dal momento che l'attenzione
prioritaria volge verso l'essenza, che non ha negativo ed sempre ci che deve essere.
Il secondo cenno riguarda il problema della tecnica, e pi esattamente la sua interpretazione
ideologica oltranzista, mossa da volont di dominio sull'essere. Essa diventa possibile se
vengono a congiungersi vari eventi: la riduzione dell'esistenza a mero dato di fatto;la
negazione di una scienza teoretico-contemplativa, e perci rispettante, dell'essere; lo
sfrenamento di un desiderio di disposizione sulle cose. Nel rapporto tra metafisica ed esistenza
l'intelletto cerca di conoscere d'una conoscenza teoretica pura l'orizzonte dell'esistere cos
come , lontano perci da ogni intenzionalit manipolante, disponente, pragmatica. Quando
Lvinas ci assicura che "l'ontologia come filosofia prima una filosofia della potenza... [essa],
che non mette in questione il Medesimo, una filosofia dell'ingiustizia" (32), non si pu non
pensare che quanto viene qui colpito con tanta perentoriet solo uno dei vari momenti
dell'ontologia, quello in cui l'Io trascendentale digerisce compiutamente o addirittura pone
l'Altro, riportandolo cos senza residuo al Medesimo.
Questa tuttavia soltanto una possibilit. Nel rapporto contemplativo con l'essere l'intelletto
rispetta e riconosce, lasciando che l'altro sia l'altro e portandolo in se stesso come tale. Lungi
dal porsi come un processo identitario che toglie il differente, il conoscere un'azione che
Commiato
E' la filosofia moderna un'essenza univoca o composita? Ad una domanda tanto immensa non
pare saggio rispondere con un s o un no, che andrebbero lungamente argomentati.
Accontentiamoci di osservare che l'indagine dovrebbe vertere sulle idee di essere, esistenza,
realt; e che nel corso del moderno la presenza attiva della filosofia dell'essere fu scarsa
(anche per ignavia dei suoi cultori e per una certa qual loro renitenza a scendere dalle vette
sacre della teologia verso un pi intimo scambio con lo spirito e i problemi del tempo), sino a
potersi sostenere che essa fu l'unica a non entrare in incroci, eclettismi e mtissages con altre
scuole.
Fra i sostenitori di quanto si chiama con una certa approssimazione il "pensiero tradizionale",
esistono molteplici tentativi di valutare la filosofia moderna, non pochi dei quali assumono a
centro dell'indagine il problema del teismo/ateismo, meno quello dell'essere e della sua
conoscenza. Del Noce ha offerto una lettura problematicamente aperta della questione del
teismo e dell'ateismo, nessuno dei due qualifica a suo giudizio il moderno in modo categorico.
In Il problema dell'ateismo si riconferma l'imprescindibilit dell'inizio cartesiano, mentre si
"esclude l'idea di un 'errore radicale della filosofia moderna'" (34). Questa, secondo tale
lettura, ha percorso un cammino che da Cartesio conduce ad Hegel e infine a Marx (col
capovolgimento della dialettica dell'Idea in quella della Materia) e all'attualismo di Gentile.
Ed un'altra strada che attraverso Pascal, Malebranche e Vico, raggiunge Rosmini, ed in cui si
mantenuto il guadagno del teismo, dell'ontologismo, di un rapporto amico col cristianesimo.
Altra la diagnosi di Fabro secondo il quale "la 'valenza atea' del pensiero moderno... non
qualcosa di facoltativo ma di costitutivo nel senso che ogni concessione diretta e indiretta alla
trascendenza una deviazione e un'incomprensione di quell'immanenza con la quale si
voluto fare il primo passo... Perci consideriamo inautentiche ed intruse tutte le forme di
teismo apparse nel pensiero moderno ovvero, in forma positiva, affermiamo che il pensiero
non pu trascendere l'orizzonte umano che si dato nel cogito"(35).
Il XX secolo ha reso chiaro che cosa avvenuto nel XIX quanto a neutralizzazione
dell'esistenza, oblio dell'essere, crescita del nichilismo col pensiero di Nietzsche e in parte non
secondaria attraverso quello di Hegel. Accennando alla sua avanzata non viene emesso un
giudizio in primo luogo morale, ma speculativo nel senso che il nichilismo che andato
imponendosi di ordine metafisico, nel suo nucleo essenziale riportandosi ad un
allontanamento di vario genere dall'esistenza. La filosofia del XIX secolo si incagliata
urtando contro la massima e certo modo unica domanda filosofica: che cosa la realt? Qual
il concetto di realt? (o, il che viene a dire la stessa cosa, che cos' l'esistenza/essere?). Marx,
Kierkegaard e i posthegeliani avvertirono la posta in gioco e la sfida elevata dal concetto
hegeliano di realt. Finirono secondo distinti cammini per rifiutarlo, senza in fin dei conti
riuscire a sostituirlo con uno pi adeguato: onde una parte considerevole della filosofia del
XIX secolo e del nostro si consum in tale battaglia.
Hegel aveva presentato la realt, - il cui concetto viene svolto nella dottrina dell'essenza quale
secondo momento della dialettica triadica( essere, essenza, concetto) che nel suo insieme
costituisce la scienza della logica -, come l'unit di essenza e di esistenza, dell'interno e
dell'esterno (36). Nella formula si fa avanti una differenza fra realt ed esistenza in cui
quest'ultima, unit immediata dell'essere e della riflessione, solo fenomeno, come pi volte
viene dichiarato da Hegel. Chi si pone su questa strada svolger una dottrina dell'esistere
concentrandosi su analisi fenomeniche di singoli punti di attuosit esistenziali, senza poter
attingere il livello dell'ente e della sua analogia.
Contro l' assunto hegeliano concentrarono l'attacco in molti: " Anche Marx e Kierkegaard
hanno orientato la loro critica contro Hegel sul concetto di esistenza reale. Ruge si rivolge
preferibilmente all'esistenza etico-politica della comunit, Feuerbach all'esistenza sensibile
dell'uomo corporeo, Marx all'esistenza economica della massa e Kierkegaard a quella eticoreligiosa dell'individuo. In Ruge l'esistenza storica si rivela nell''interesse' inteso
politicamente, in Feuerbach l'esistenza reale in genere si ritrova nella sensazione e nella
passione, in Marx l'esistenza sociale si svela nell'attivit sensibile in quanto prassi sociale, ed
in Kierkegaard la realt etica si mostra nella passione dell'agire intimo"(37). Esistenza storica,
reale, sociale, etica: si tratta di forme legittime di esistenza, male interpretate dal dialettismo,
per cui la reazione era giustificata.
Si deve riconoscere che questa mole di critiche ha contribuito a sgomberare il terreno dal
macigno del dialettismo. Ripulire il terreno non significa ancora avanzare o riprendere un
cammino adeguato. Fra gli autori citati nessuno pervenne ad una scienza teoretica dell'essere,
troppo pericolosa per l'ateismo di molti di loro perch presto o tardi conduce all'Esse ipsum
per se subsistens. In Kiekegaard il riconoscimento dell'importanza reggente dell'"io esisto"
contribu a riaprire la strada e l'attenzione per l'esistenza nella forma per dell'interesse per il
Singolo (38), non ancora per l'esistenza come tale. Ugualmente alta fu in Marx l'evasione
dall'universo dell'Idea e dello Spirito per cercare un pi diretto contatto con l'esistenza; e tale
fu il senso pi tipico del capovolgimento marxiano per cui la macchina della dialettica venne
messa coi piedi per terra. Esigenza imprescindibile certo, che tuttavia in Marx soffre di un
fatale equivoco, poich nel suo pensiero si fa il cominciamento dall'equazione realt (essere) =
materia.
Senza escludere altre direzioni interpretative si potrebbe leggere una quota notevole del
pensiero del '900 entro il tentativo di pervenire ad un concetto di realt pi adeguato e
comunque lontano da quello che la fa consistere nell'unit di essenza e di esistenza, come
inteso da Hegel. A dispetto delle irreconciliabili differenze che le denotano, le scuole del
marxismo, della fenomenologia, del positivismo, dell'esistenzialismo potrebbero avere in
comune proprio quell'intento. E le recenti diagnosi esplicite o implicite sulla fine della
filosofia costituire un contraccolpo dei tentativi e degli scacchi incontrati nella strada verso un
migliore concetto di realt. Nonostante le apparenze, non siamo giunti alla morte della
filosofia, quanto piuttosto alla crisi forse definitiva di taluni suoi filoni. La filosofia costituisce
una possibilit infinita nel duplice senso che da un lato non terminer mai il suo esercizio, e
dall'altro non potr mai dire: ecco la verit tutta intera! La filosofia possiede un fine - la
conoscenza del vero - senza avere una fine.
Nelle prime pagine di questo saggio un pensiero di Kierkegaard ha offerto materia di
riflessione. Nell'avviarci alla conclusione ci accompagna un'altra sua frase :"Il cristianesimo
riguarda l'esistenza, l'esistere; ma l'esistenza, l'esistere sono precisamente l'antitesi della
speculazione"(39), perch sono una comunicazione di vita. Quando vergava queste righe egli
aveva dinanzi come avversario massimo e quasi ossessivo l'hegelismo. Questo e soltanto
questo era per lui la speculazione, il cui metodo era (hegelianamente, appunto) individuato
nella mediazione, in cui tutto viene fluidificato. Alla speculazione cos intesa Kierkegaard
contrappone il paradosso (e in specie il paradosso assoluto del Dio che si fa uomo, del "Dio
nel tempo") quale metodo del cristianesimo. Paradosso contro mediazione: opposizione vera e
autentica, ma infine non risolutiva, nella misura in cui Kierkegaard concepisce la speculazione
esclusivamente al modo di Hegel, a cui si oppone con tutte le sue forze ma a cui rimane su
questo punto subordinato nell'opposizione. In effetti rifiutando Hegel, Kierkegaard ha rifiutato
tutta la speculazione come qualcosa di mortale per il cristianesimo, intendendola come diretta
a superare quest'ultimo; e come qualcosa di mortale per l'esistenza che nel sistema hegeliano
appare indifferente alla soggettivit e all'interiorit. Quanto manc almeno in parte a
Kierkegaard, e che lo avrebbe reso ancor pi grande di quanto gi non sia, fu un'idea pi
autentica e compiuta di speculazione; fu l'idea che il compito della filosofia non la
mediazione dialettica ma la conoscenza reale dell'esistenza.
Circola forse pi verit nel noto aforisma di Wittgenstein: "Non come il mondo sia, ci che
mistico, ma che esso sia" (40), che nelle pagine dell'autore del Cogito o della sua discendenza
filosofica. Nell'aforisma si esprime lo stupore dinanzi all'esistenza: come straordinario che il
mondo sia! A partire da tale stupore originario, dall'emozione psicologica e intellettuale
dinanzi all'evento per cui tutte le cose si collocano nell'immenso oceano dell'essere, la
filosofia posta nella strada del suo destino.
Non sar a Hegel, e neppure a Kierkegaard nonostante la fondamentale sanit della sua
reazione, che domanderemo di avviarci versouna scienza teoretica dell'essere, ma alla
tranquilla luce che emana dalle formule speculative di Tommaso. In lui la metafisica non
inizia con un atto di riflessione del pensiero su se stesso, con un atto di conoscenza della
conoscenza, ma di conoscenza delle cose. Il segreto dell'essere si rivela a partire
dall'intuizione sensibile, non a partire dal pensiero generale che impiega il termine essere
come supremamente indifferenziato e vuoto, sboccando cos nella generalit pi indeterminata
dove nulla di reale pensato. "Egli [Tommaso] dalla parte opposta di Hegel, che ha
disgiunto e messo in lotta tutto, assumendo l'universalit dell'essere nella prospettiva
antiesistenziale di un idealismo assoluto, e volendo sottomettere ogni cosa all'unit del Grande
Idolo cosmogonico in cui i contraddittori si accoppiano per generare mostri, in cui l'Essere e il
Nulla si identificano"(41). Solo la filosofia che si nutre di un'adeguata intuizione
dell'esistenza/essere in potenza attiva verso il futuro.
NOTE
(1) Nel presente saggio i termini "essere" ed "esistere/esistenza" vengono impiegati come sinonimi e
denotanti tutto ci che o pu essere. ( "A " e "A esiste" sono dunque giudizi rigorosamente identici).
Essi vengono intesi entro la ricerca metafisica di una scienza dell'essere/esistenza in quanto tale. Il verbo
esistere, collegato al latino existere, viene dai linguisti fatto derivare da ex-sistere, con riferimento ad un
"provenire da" (il verbo potrebbe anche esser inteso come ex alio sistere). Ci non toglie che da alcuni
secoli si sia verificato in filosofia un impiego crescente di esistere/existere al posto di essere, spesso con
l'intento di attribuire maggior rilievo alla funzione esistenziale veicolata dal verbo.
In effetti con l'impiego di esistere sembra spiccare maggiormente tale funzione, in origine adempiuta dal
verbo essere, ma che poi questo, impiegato nei modi pi vari, ha quasi cessato di esercitare. Si ponga
mente che al verbo essere spetta sia la funzione esistenziale (quando dico ad es. "Pietro "), sia quella
copulativa ("Pietro bianco"), mentre al verbo esistere spetta soprattutto la prima. Si pu dire in buona
lingua "Pietro esiste", assai meno invece "Pietro esiste bianco", risultando di gran lunga preferibile la
dizione "Pietro bianco".
Con la scelta di impiegare come sinonimi "essere" ed "esistere" vengono lasciate da parte sia le posizioni
dell'esistenzialismo del '900, che pur avendo eretto l'esistenza come centro delle sue preoccupazioni si
rivolto quasi solo all'esistenza umana e ha trascurato la scienza dell'ente in quanto tale, sia la riflessione
heideggeriana sul Dasein e sulla sua esistenza quale luogo primario per la determinazione generale del
senso dell'essere.
Naturalmente col ricorso al termine esistenza/existentia non si ancora determinato il suo contenuto. Noi
qui intenderemo l'existentia come sinonimo di esse o di actus essendi, entro il quadro della distinzione
reale negli enti di essentia ed esse, e perci allontanandoci dal formalismo che, lasciando da parte la
metafisica dell'atto, aveva finito per intendere l'existentia come dato di fatto.
(2) Principia philosophiae, a cura di P. Cristofolini, CDE, Milano 1993, p. 85.
(3) Tutte le dimostrazioni procedono dal pi conosciuto al meno conosciuto. Poich dimostrare a priori
significa assegnare la ragione necessaria per la quale il predicato della conclusione conviene al soggetto,
occorre che si conosca l'essenza del soggetto, che costituisce la ragion d'essere della propriet dimostrata.
Qui dunque il pi conosciuto (il S) la ragion d'essere del meno conosciuto (il P).
Nella dimostrazione a posteriori, che parte da quanto per noi pi conosciuto e pi vicino, quest'ultimo
non la ragion d'essere di ci che ci fa conoscere, poich ne dipende nell'ordine reale ed solamente
nell'ordine della conoscenza che primo. L'effetto pi vicino a noi e pi conosciuto della causa, ma non
la sua ragion d'essere. Nella dimostrazione a posteriori non si conosce perch (propter quid) il P
appartenga al S, ma solo il quia, ossia che il P conviene al S. Essa non fa conoscere la ragion d'essere
della cosa affermata, ma la necessit dell'affermazione della cosa.
E' fuor di dubbio che Cartesio non abbia sempre proceduto a priori (quantomeno nella Terza Meditazione
l'idea di Dio (effetto) causata da Dio stesso, con risalimento dunque dall'effetto alla causa), ma
altrettanto certo che tutto il suo desiderio andava in tale direzione: ossia a tenersi il pi lontano possibile
dal cielo, dall'aria, dalla terra, diciamo dall'esistenza, per procedere dal principio ai principiati.
(4) Meditazioni sulla filosofia prima, a cura di G. Brianese, Mursia, Milano 1994, p. 56 e p. 69.
(5) Ivi, p. 49.
culturale, ossia dicibile solo entro una specifica cultura. La collocazione culturale e storicamente
determinata di un asserto non implica la sua invalidit al di fuori di tale milieu.
(17) E. Gilson, L'essere e l'essenza, Massimo, Milano 1988, pp. 279, 301, 315, 316s,320.
(18) Philosophia prima sive Ontologia, 134.
(19) Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1983, p. 472 s.
(20) Enciclopedia delle scienze filosofiche, trad. B. Croce, Laterza, Roma-Bari 1980, 51, p. 66.
(21) Oltre tutto il niente non alcunch di reale: un ente di ragione o un'idea, che noi formiamo
logicamente premettendo la negazione, ossia negando l'essere in totalit (ni-ente). Operare il
cominciamento del sistema dalla dialettica di un essere che perfettamente vuoto e di un nulla che un
ente di ragione, una conferma in pi che ci si muove a distanza siderale dall'esistenza.
(22) Enciclopedia, p. 44.
(23) Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1987, p. 38.
(24) Qualche ulteriore spunto sulla dialettica hegeliana si trova nella mia introduzione al volume di H. R.
Schmitz, Progresso sociale e rivoluzione. L'illusione dialettica, Massimo, Milano 1990, pp. 6-16, da cui
riprendo un brano. "A differenza della logica dimostrativa quella dialettica non pu andare al di l del
verosimile e del probabile; il motivo pi profondo ne che il ragionamento dialettico procede ex
communibus; generico, non specifico, perch derivato da principi estrinseci alla natura delle cose. La
conoscenza reale conoscenza ex principiis propriis della natura degli enti. Scrive Aristotele:" La
sofistica e la dialettica si occupano dello stesso genere di cose di cui si occupa la filosofia, ma
quest'ultima differisce dalla dialettica per il diverso grado del suo potere e differisce dalla sofistica per la
scelta di vita; la dialettica infatti si propone di fare solo un assaggio di quelle cose che la filosofia vuole
conoscere sino in fondo...".
(25) L'oblio dell'essere col suo esito ontofobico nel razionalismo di vario genere il risultato di un
insieme di equivoci, fra i quali occupa un posto non secondario l'impostazione della dottrina della scienza,
formulata dal primo Schelling e da Hegel in un modo secondo il quale il trascendentale fondante verum,
non ens.
Costituirebbe impegno di rilievo andare alla ricerca degli esiti del razionalismo, vedendone il
collegamento con la tesi che l'essere concetto e con il suo generale metodo logicizzante. Qui ci
limitiamo a elencare alcune dottrine del razionalismo in cui non vietato rintracciare un influsso della sua
posizione metafisica: l'idea di libert come necessit riconosciuta e accolta; l'identit posta fra il reale e la
formula che lo esprime, l'inimicizia verso l'esperienza e l'evidenza sensibile; (ri)costruzione del reale
nel/col pensiero astratto; diffidenza e talvolta disprezzo dell'individuo concreto, del singolare; inimicizia
fra filosofia e religione, sia nel senso che la prima mostra inutile o falsa la seconda, sia in quello per cui la
filosofia risolve-dissolve in s il contenuto della religione.
(26) "L'essere assolutamente mediato..., a sua volta, un s, ovverosia concetto", Fenomenologia dello
spirito, p. 29 s.
(27) Vl. Soloviev, La crisi della filosofia occidentale, a cura di A. Dell'Asta, La casa di Matriona, Milano
1989, p. 130 s.
(28) Il progredire che ha luogo nella filosofia hegeliana "fu considerato come una successiva
autorealizzazione dell'Idea, mentre era soltanto una successiva elevazione ed incremento del concetto, che
rimaneva, pur nella sua pi alta potenza, concetto, senza che con ci fosse dato un passaggio all'essere
effettivo, all'esistenza", Filosofia della rivelazione, a cura di A. Bausola, Zanichelli, Bologna 1972, vol. I,
p. 163.
(29) Ivi, vol. I, pp. 149-163.
(30) "Questo Ens della Scolastica era qualcosa di totalmente morto - propriamente il concetto pi alto di
genere, Ens in genere... Nella filosofia wolffiana l'Ens, che gli Scolastici spiegavano come aptitudo ad
existendum, fu spiegato come una mera non repugnantia ad existendum, ove l'incondizionata potenza
scolorata ed abbassata a semplice possibilit, con la quale naturalmente nulla pu incominciare", ivi,
p.155. In queste espressioni rivelatrici si fa chiaro che la Scolastica a cui Schelling allude sia quella
tedesca del XVIII secolo e in specie quella wolffiana, in cui l'oblio dell'essere massimo. Non vi si
riscontra invece traccia del genuino insegnamento dell'Aquinate, da tempo oscuratosi nelle varie
Scolastiche del XVII e XVIII secolo (salvo rare eccezioni, quali quelle di Banez e di Giovanni di san
Tommaso), e che sempre escluse nella maniera pi categorica che l'ente fosse un genere. Anche la
riflessione pi fuggitiva non potr non percepire la notevole distanza fra la determinazione di ente come
non repugnantia ad existendum ed una come aptitudo ad existendum; nonch l'abisso fra queste due e
quella di ente come id quod habet esse.
(31) Anche per Heidegger, che sembra muoversi all'interno della comprensione formalistica e
tardoscolastica dell'essenza e dell'esistenza, il concetto tradizionale di existentia significa realt, e quello
di essentia possibilit. Estranea rimane la metafisica dell'atto. L'interpretazione heideggeriana attribuisce
alla tradizione l'idea che l'esistenza sia una sorta di modalit dell'essenza: "Existentia resta il nome che si
d alla realizzazione di ci che una cosa quando appare nella sua idea". Con tali premesse quasi fatale
che egli sostenga che per la metafisica da Platone in poi l'essenza precede l'esistenza (cfr. Segnavia,
Adelphi, Milano 1987, p. 280), posizione in cui sembra ribadito che la lettura heideggeriana della storia
della metafisica ne colga solo la valenza essenzialistica.
(32) Totalit e infinito, Jaca Book, Milano 1980, p. 44.
(33) "Da quando l'autore confid nei propri impulsi intellettuali, sent come proprio compito spezzare con
la forza del soggetto l'inganno di una soggettivit costitutiva", T.W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi,
Torino 1970, p. XII.
(34) Il problema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna 1990, p. 509.
(35) C. Fabro, Introduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma 1969, vol. II, pp. 1091ss. Mentre in Del
Noce la linea atea del moderno vista come uno sviluppo del razionalismo religioso e del suo rifiuto
senza prove del soprannaturale, e tale linea trova un argine nella presenza di pensatori autenticamente
teisti, in Fabro dominante la considerazione della coerenza atea del principio di immanenza, ritenuto
essenziale al cogito. Tuttavia poich gli autori a cui fa riferimento Del Noce (Pascal, Malebranche, Vico,
Rosmini) risultano assenti dalla pagina di Fabro (perch appartenenti ad un'essenza filosofica classica e
non moderna? perch estranei alla linea del cogito?), le due letture risultano diverse per quanto concerne
la genesi dell'ateismo, ma non opposte.
(36) Cfr. Enciclopedia, 142. "Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realt ogni capriccio, l'errore, il
male e ci che su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva e passeggera esistenza. In una mia
estesa Logica ho trattato anche della realt, e l'ho accuratamente distinta non solo dall'accidentale, che
pure ha esistenza, ma altres dall'essere determinato, dall'esistenza e da altri concetti" (ivi, 6), frase che,
riconfermando la distanza fra realt ed esistenza, toglie al male il carattere di realt. La sua irrealt
corollario necessario della logicizzazione: "tutto il reale idea" (ivi, 213), la quale un'essenza positiva,
che allontana da s la lacuna, il negativo, la privazione.
(37) K. Lwith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino 1959, p. 233.
(38) "Bisogna fare a tutta la filosofia moderna l'obiezione che essa non ha un presupposto falso ma uno
comico, in quanto ha dimenticato...ci che significa essere uomo", Postilla ..., p. 323.
(39) Ivi, p. 468. Non si dice nulla di esagerato se si afferma che nel cristianesimo circola un'intuizione
specifica dell'esistenza; che in nessun altro luogo forse la cura dell'esistenza altrettanto intensa. Nella
filosofia cristiana la meditazione sull'essere venne spinta tanto avanti per ragioni intrinseche, perch
occorreva conoscere, incontrando l'esistenza, quel Dio che si era rivelato come l'Esistenza stessa infinita,
eterna, ingenerata, come l'Ego sum qui sum.
(40) Tractatus, n. 6.44
(41) J. Maritain, Breve trattato dell'esistenza e dell'esistente, Morcelliana, Brescia 1965, p. 109.