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Il mobbing nel diritto del lavoro

INDICE

1.

1. UN PO' DI STORIA......................................................................2
1.1. IL FENOMENO.........................................................................................................4
1.1.a) TIPOLOGIE DI MOBBING.............................................................................10
1.1.b) LE FASI DEL MOBBING.................................................................................13
1.2.LA VALUTAZIONE DEL FENOMENO................................................................19

2. DISEGNI E PROGETTI DI LEGGE..........................................23


2.1.ATTUALE QUADRO NORMATIVO IN ITALIA..................................................23
2.1.a) PROGETTI DI LEGGE SULLA PREVENZIONE E REPRESSIONE DEL
MOBBING....................................................................................................................27
ELENCO DEI PROGETTI DI LEGGE..............................................................................................30
2.2. QUADRO NORMATIVO EUROPEO.....................................................................34
2.3. CONCLUSIONE.......................................................................................................38

3. LA GIURISPRUDENZA ITALIANA.......................................40
3.1. ALCUNE SENTENZE..............................................................................................42

4. PREVENZIONE DEL MOBBING.............................................47

5. CONCLUSIONE.........................................................................52

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Il mobbing nel diritto del lavoro

1. UN PO' DI STORIA
Definizione- Il termine mobbing è stato coniato agli inizi degli anni settanta
dall'etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune
specie animali. Il termine, proveniente dalla lingua inglese e dal verbo «to mob»
(attaccare, assalire), è mediato dall'etologia e si riferisce al comportamento di
alcune specie animali, solite circondare un membro del gruppo per allontanarlo. In
quanto derivato dallo studio sui comportamenti degli animali, il mobbing è
indubbiamente un fenomeno selettivo naturale. Chi non si integra nel sistema, chi
è semplicemente diverso dal contesto in cui è inserito viene avvertito come una
minaccia, perché «altro» rispetto a sé stessi; di qui la necessità di espellerlo o
metterlo nelle condizioni di auto-espellersi. Dal punto di vista sociologico,
nell'ottica dell'impresa, il mobbing viene considerato come un impatto su un
modello organizzativo gerarchizzato, conseguenza del pressing esercitato su un
dipendente per isolarlo ed escluderlo; dal punto di vista medico, nell'ottica del
lavoratore, viene considerato una lesione all'equilibrio psico-fisico, conseguenza
del sopracitato «pressing».
Il primo a parlare di mobbing quale condizione di persecuzione psicologica
nell'ambiente lavorativo, è stato, alla fine degli anni ottanta, lo psicologo svedese
Heinz Leymann, che lo definiva come una comunicazione ostile e non etica,
diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro
un singolo che è progressivamente spinto in una posizione in cui è privo
d’appoggio e di difesa e lì relegato per mezzo di ripetute e protratte attività
mobbizzanti. Leymann ha espressamente affermato: «In caso di conflitto, le azioni
che hanno la funzione di manipolare la persona in senso non amichevole, si
possono distinguere in tre gruppi di forme di comportamento. Un gruppo di azioni
verte sulla comunicazione con la persona attaccata. Un altro gruppo di
comportamenti punta sulla reputazione della persona, utilizzando strategie per
distruggerla. Infine le azioni del terzo gruppo tendono a manipolare la prestazione
della persona per punirla. Alcuni di questi comportamenti si possono trovare nella
comunicazione umana quotidiana o durante casuali litigi. Solo se queste azioni
vengono compiute di proposito, frequentemente e per molto tempo, si possono

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Il mobbing nel diritto del lavoro

chiamare mobbing»1.
Nel giro di pochi anni il lavoro di questo gruppo ha trovato consensi in tutta
Europa: dapprima in Germania2, quindi in Francia e, da qualche anno, anche in
Italia3.
L'associazione contro lo Stress psico-sociale e il Mobbing, fondata in Germania
nel 1993, lo definisce ufficialmente così: «...Una comunicazione conflittuale sul
posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona
attaccata viene posta in una posizione debolezza e aggredita direttamente o
indirettamente da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per
un lungo periodo, con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal
mondo del lavoro. Questo processo viene percepito dalla vittima come una
discriminazione».
In Italia si inizia a parlare di mobbing solo negli anni novanta grazie allo psicologo
del lavoro Harald Ege4, che delinea il fenomeno come «una forma di terrore
psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e
vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori» attuati in modo ripetitivo e
protratti nel tempo per un periodo di almeno sei mesi. In seguito a questi attacchi
la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio, che
cronicizzandosi, si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico5. Nel
1
Cfr. Heinz Leymann, The contest and development of mobbing at work, in Mobbing and
victimization at Work, in European Journal of Work and Organizational Psychology, vol. 5, n. 2;
cfr. anche F. Caracuta, Relazione al convegno nazionale organizzato dalla Uil C.A. nazionale e
dalla Uil C.A. di Lecce, con il patrocinio della Provincia di Lecce e dell'Università degli Studi di
Lecce, su: Mobbing- Un fenomeno da debellare, svoltosi in Galatina (Le) il 16 Giugno 2000, in
www.diritto.it/articoli/lavoro/mobbing4.html; cfr. E. Minale Costa, Percorsi giurisprudenziali nel
diritto del lavoro, Torino, 2004, pp. 286 ss.
2
La Germania risulta essere un paese molto evoluto in fatto di studio e prevenzione del mobbing.
Secondo i dati riportati da Ege, il mobbing è abituale argomento di discussione tra la gente e
attraverso i principali mezzi di comunicazione; è inoltre riconosciuto come malattia professionale
e le strutture sanitarie sono dotate di appositi strumenti per la diagnosi e la cura delle vittime di
mobbing.
3
In Italia le iniziative riguardanti il mobbing si stanno moltiplicando ogni giorno. La prima
divulgazione sul fenomeno si deve al dottor Harald Ege, che a partire dal 1996 ha pubblicato
una serie di libri sul mobbing, e precisamente: Mobbing.Che cos'è il terrore psicologico sul
posto di lavoro; Il Mobbing in Italia; Stress e mobbing; I numeri del mobbing. Interviste e
questionari a più di 300 vittime.
4
Harald Ege, Psicologo del lavoro, ricercatore tedesco residente in Italia da molti anni dove
opera, in particolare a Bologna, si è affermato come uno dei più accreditati e conosciuti
specialisti nella materia, venendo a collaborare infine anche come Ctu nella controversia
conclusasi con la sentenza del Tribunale di Forlì, 15 Marzo 2001- Est. Sorgi- , sentenza che per
opinione unanime costituisce il contributo più avanzato alla definizione del fenomeno da parte
della giurisprudenza.
5
Cfr. G. P. Cioccia, Mobbing e danno alla salute: tutela, diagnosi e valutazione medica legale.

3
Il mobbing nel diritto del lavoro

1996 tale autore ha pubblicato in Italia il primo libro dedicato espressamente


all'argomento6 e ha fornito una nuova elaborazione del fenomeno, la cui
espressione più recente è pervenuta a descrivere «il mobbing (come) una
situazione lavorativa di conflittualità sistematica , persistente e in costante
progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto
contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore,
inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danno di vario tipo e
gravità. Il mobbizzato si troverà nell'impossibilità di reagire adeguatamente a tali
attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell'umore
che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e
percentualizzazione»7.
In altre sue opere Ege arriva anche a definire il mobbing come una vera e propria
«guerra sul lavoro, in cui, tramite violenza psicologica, fisica e/o morale, una o più
vittime vengono costrette a esaudire la volontà di uno o più aggressori. Questa
violenza si esprime attraverso attacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di
danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la
reputazione e/o la professionalità delle vittime»8.

1.1. IL FENOMENO
Nello stesso testo, Ege fornisce un altro preziosissimo contributo nell'individuare
addirittura le categorie in cui suddividere gli attacchi mobbizzanti, le cinque

Riflessioni sulla difficile «arte del vivere» nell'ambiente lavorativo – tratto da Bollettino
dell'Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri.
6
H. Ege, Mobbing. Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Pitagora Editrice, Bologna.
7
H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, 2002, Giuffrè, Milano, pag. 39.
8
Cfr. H. Ege, Mobbing, conoscerlo per vincerlo, Franco Angeli Editore, 2001, pag. 51.

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Il mobbing nel diritto del lavoro

seguenti:

LIPT (Leymann Inventory of Psycological Terrorism)

1. Comunicazione · il capo limita la possibilità di esprimersi della vittima ·


viene sempre interrotto quando parla · i colleghi limitano la
sua possibilità di esprimersi · si urla o si rimprovera
violentemente con lui · si fanno critiche continue sul suo
lavoro · si fanno critiche continue sulla sua vita privata · è
vittima di telefonate mute o di minaccia · è vittima di
minacce verbali · è vittima di minacce scritte · gli si rifiuta
il contatto con gesti o sguardi scostanti · gli si rifiuta il
contatto con allusioni dirette

2. Relazioni sociali · non gli si parla più · non gli si rivolge più la parola · viene
trasferito in un ufficio lontano dai colleghi · si proibisce ai
colleghi di parlare con lui · ci si comporta come se lui non
esistesse
3. Immagine sociale · si sparla alle sue spalle · si spargono voci infondate su di
lui · lo si ridicolizza · lo si sospetta di essere malato di
mente · si cerca di convincerlo a sottoporsi a visita
psichiatrica · si prende in giro un suo handicap fisico · si
imita il suo modo di parlare o di camminare per prenderlo
in giro · si attaccano le sue idee politiche o religiose · si
prende in giro la sua vita privata · si prende in giro la sua
nazionalità · lo si costringe a fare lavori umilianti · si
giudica il suo lavoro in maniera sbagliata e offensiva · si
mettono in dubbio le sue decisioni · gli si dicono parolacce
o altre espressioni umilianti · gli si fanno offerte sessuali,
verbali e non
4. Situazione · non gli si danno dei compiti da svolgere · gli si toglie ogni
professionale e tipo di attività lavorativa, in modo che non possa più
privata nemmeno inventarsi un lavoro · gli si danno lavori senza
senso · gli si danno lavori molto al di sotto della sua
qualificazione professionale · gli si danno sempre nuovi
compiti lavorativi · gli si danno lavori umilianti · gli si
danno compiti molto al di sopra delle sue capacità o
qualificazioni per screditarlo
5. Salute · lo si costringe a fare lavori che nuocciono alla sua salute ·
lo si minaccia di violenza fisica · gli si fa violenza leggera
per dargli una lezione · gli si fa violenza fisica più pesante ·
gli si causano danni per svantaggiarlo · gli si creano danni
fisici nella sua casa o sul posto di lavoro · gli si mettono le
mani addosso a scopo sessuale

Nella sua ultima opera9 Ege delinea i sette criteri fondamentali per l'individuazione
del mobbing:

9
Cfr. H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, op. cit.,pp.7 ss.

5
Il mobbing nel diritto del lavoro

Parametri per il Requisiti:


Riconoscimento del
Mobbing:

1. Ambiente lavorativo Il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro

2. Frequenza Le azioni ostili devono accadere almeno alcune


volte al mese

3. Durata Il conflitto deve essere in corso da almeno sei


mesi; almeno tre mesi nel caso del “Quick
Mobbing”10

4. Tipo di azioni Le azioni subite devono appartenere ad almeno due


delle cinque categorie del "LIPT Ege" (tre su cinque
nel caso del “Quick Mobbing”)

5. Dislivello tra gli La vittima è in una posizione costante di inferiorità.


antagonisti

6. Andamento secondo La vicenda ha raggiunto almeno la II fase del


fasi successive modello italiano Ege a sei fasi. (vedi pag. 14)

7. Intento persecutorio Nella vicenda deve essere riscontrabile un disegno


vessatorio coerente e finalizzato, obiettivo
conflittuale e carica emotiva e soggettiva.

L'autore inoltre fornisce parametri atti a chiarire quello che non è e non deve
essere considerato mobbing: il mobbing non è, come già di è detto, una singola
azione, consistente in un unico demansionamento, un trasferimento gravoso, un
ordine di servizio umiliante, l'assegnazione ad una postazione scomoda, ma è una
strategia, un attacco continuo, ripetuto, duraturo; non è una malattia, ancor meno
una patologia psichiatrica, ma è invece una situazione; non è un problema
dell'ambiente familiare; non è una molestia sessuale, anche se questa può essere

10
La durata del conflitto deve pro-trarsi per almeno sei mesi, sì può considerare
anche un limite di soli tre mesi nel caso in cui la frequenza degli attacchi sia
quotidiana e le azioni siano dotate di particolare forza conflittuale e carica
persecutoria: in questo caso viene denominato Quick Mobbing.

6
Il mobbing nel diritto del lavoro

una degli strumenti finalizzati a tale scopo; non individua un tipo particolare di
vittima, ma può essere indirizzato contro chiunque, secondo dinamiche che si
sviluppano maggiormente in ambiente impiegatizio e nel settore pubblico.
Scopo del mobbing è, come già detto, quello d'indurre la vittima ad abbandonare il
posto di lavoro, attraverso il licenziamento o costringendola a consegnare le
dimissioni.
Il fenomeno ha assunto proporzioni a tal punto rilevanti, da coinvolgere in ogni
paese europeo percentuali molto alte di lavoratori. Non esistono casistiche
precise, ma il numero di casi di mobbing sembra essere in continuo aumento.
In Europa tale fenomeno sta assumendo dimensioni sociali di notevole rilievo. In
Italia circa il 6% della popolazione attiva (approssimativamente un milione e
mezzo di lavoratori) ne sarebbe vittima con conseguenti effetti negativi che
ricadono sull'individuo colpito, sul suo nucleo familiare, sulle aziende per le quali il
deterioramento delle dinamiche lavorative di gruppo comporta inevitabilmente un
aumento dei costi aziendali e sulla collettività con il conseguente incremento dei
costi sanitari e previdenziali.

I dati nella tabella seguente sono tratti da “ H. Ege, Mobbing. Che cos'è il terrore
psicologico sul posto di lavoro, Pitagora Editrice, Bologna. “.

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Il mobbing nel diritto del lavoro

A 301 vittime di Mobbing è stato sottoposto un questionario


specifico che riguardava gli effetti e le modalità del terrorismo
psicologico che subivano o avevano subito sul posto di lavoro.
Ecco alcuni dei risultati della ricerca:

IL SETTORE DI PROVENIENZA DELLE VITTIME DI MOBBING

Più del 38% delle vittime intervistate provengono dal settore


dell’industria produttrice di beni/servizi, mentre un altro forte
riscontro del mobbing si ha nella pubblica amministrazione (oltre
21%).

All’interno del mondo industriale o del terziario è ben evidente un


certo orientamento verso il profitto, che si traduce di solito nella
filosofia secondo cui chi produce di più viene anche maggiormente
gratificato. Possiamo dunque avanzare l’ipotesi secondo cui esiste
una forte relazione tra mobbing e ambizione. Poiché più si produce
e più si ricevono gratificazioni, è possibile che un impiegato
carrierista ed ambizioso ricorra al mobbing per liberarsi di un
collega molto bravo sul lavoro, che è o potrebbe diventare un
pericoloso concorrente nella corsa alla promozione.
Nell’amministrazione pubblica, invece, solitamente hanno molto
peso i favoritismi di ogni tipo, famigliare, politico, etc. Ciò può
portare alla spiccata tendenza ad eliminare chiunque non faccia
parte della “famiglia”, e che quindi costituisce con la sua semplice
presenza, una denuncia al sistema.

8
Il mobbing nel diritto del lavoro

CONSEGUENZE PER UN'IMPRESA CHE PERMETTE IL MOBBING:

-alto turn-over (non sono solo i mobbizzati che vengono licenziati o danno le
dimissioni che se ne vanno via, ma anche una discreta percentuale di
lavoratori che hanno assistito al caso di mobbing e che per paura non sono
intervenuti a difesa della vittima. Questi spettatori hanno paura di diventare a
loro volta capri espiatori, cercano nuove opportunità di lavoro e una volta
trovato un nuovo posto danno le dimissioni).

-assenteismo e congedi malattia

-diminuzione del tempo di lavoro netto (i mobber passano la maggior parte


dell’orario di lavoro a perseguitare la vittima ed a pianificare come
perseguitarla in futuro): secondo Casilli11 il mobber perde il 15% del proprio
tempo al lavoro in vessazioni.

-calo di produttività a lungo termine della vittima (quando non e’ malata)

-deficit produttivo (aumento degli scarti di lavorazione, maggior numero di


errori)

-spese legali per cause civili e/o penali(a seconda della gravità del mobbing)

-danno d’immagine all’azienda (il lavoratore che ha subito mobbing può


informare la stampa del suo caso)

-costi per la liquidazione o la buonauscita, oppure per la messa in lista di


mobilità (rara nei casi di mobbing).

-costi per rimpiazzare i mobbizzati.

COSTI PER SOSTITUIRE UN LAVORATORE LICENZIATO :

-costi di reclutamento (inserzioni sui quotidiani di offerta lavoro)

-screening: valutazione dei curriculum e delle referenze

-costi di selezione del personale (test, colloqui)

-training del neoassunto

[il costo di selezione e formazione di un neoassunto e’ in totale di circa 15


milioni di lire]

11
A. Casilli, Stop mobbing. Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, Derive Approdi,
Roma, 2000.

9
Il mobbing nel diritto del lavoro

1.1.a) TIPOLOGIE DI MOBBING


La dottrina ha delineato varie tipologie di mobbing:
1. Mobbing di tipo verticale: quando la violenza psicologica avviene nei
confronti della vittima da parte di un superiore (nella terminologia
anglosassone questa forma viene anche definita bossing o bullying), «che
per diversi motivi (volontà di raggiungere massimi livelli di efficienza,
invidia, paura di perdere potere nella struttura gerarchica) oltrepassa i limiti
della propria supremazia professionale fino a esercitare atteggiamenti
particolarmente aggressivi e punitivi nei confronti della propria vittima. Tali
atteggiamenti di norma vengono poi assunti da altri dipendenti,
determinando un progressivo isolamento della vittima»12; «costituito da
soprusi gerarchici e umiliazioni imposte al subordinato da un superiore
aggressivo [ ... ]. Altro non è che una delle dinamiche più comuni all'interno
dell'area della violenza psicologica in azienda»13. Più propriamente il
bossing è l'azione compiuta dal datore di lavoro o dalla direzione del
personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Si tratta, dunque, di
una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione
degli organici (detto anche “mobbing pianificato”).
2. Mobbing di tipo orizzontale: quando l'azione discriminatoria è messa in
atto dai colleghi nei confronti del soggetto colpito; di norma questa tipologia
può essere letta in una duplice chiave interpretativa:
• la prima riguarda più strettamente l'organizzazione del lavoro. In tal
senso un dipendente, o neoassunto o trasferito o promosso, col suo
arrivo scardina in qualche modo un gruppo già collaudato e dotato di
propri equilibri interni che tendono spesso ad appiattire la personalità
e la professionalità dei singoli. Trattasi, in genere, di persone
intraprendenti e creative, e in quanto tali in grado di turbare
meccanismi conosciuti e accettati da tutti i componenti;
• nel secondo caso, l'emarginazione progressiva della vittima passa
attraverso l'essere diversa dal resto del gruppo: si pensi ai portatori

12
Così, L. Pardini, La medicina del lavoro e il fenomeno del Mobbing, pag. 28.
13
Così, A. Gilioli, R. Gilioli, Cattivi capi, cattivi colleghi, Mondadori, Milano, 2000, p. 33.

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Il mobbing nel diritto del lavoro

di handicap fisico o mentale o a soggetti appartenenti a diverse


razze, religioni o di diversa inclinazione sessuale.
3. Mobbing individuale: quando oggetto è il singolo lavoratore.
4. Mobbing collettivo: quando colpiti da atti discriminatori sono gruppi di
lavoratori (si pensi alle ristrutturazioni aziendali, prepensionamenti, cassa
integrazione, etc...); spesso attuato come strategia aziendale mirata a
ridurre o razionalizzare gli organici e rivolto a gruppi numerosi di persone.
5. Doppio mobbing: si realizza, a parere di Ege, quando il mobbizzato
riversa sulla famiglia tutte le sue problematiche. A una prima fase di
comprensione dei familiari, segue una condizione di distacco che, quando
la situazione si aggrava, porta ad un ulteriore isolamento dell'individuo dal
nucleo familiare.
6. Mobbing esterno: la vittima è il datore di lavoro che subisce pressioni
attuate sotto forma di minacce di denuncia per comportamenti mobbizzanti,
sia da parte di organizzazioni sindacali, che da dipendenti con velleità
carrieristiche.
7. Mobbing dal basso (sia individuale che collettivo): quando viene messa in
discussione l'autorità di un superiore.
8. Mobbing sessuale: molestie a sfondo sessuale, anche se non
caratterizzate da contatto fisico.
9. Mobbing strategico: che corrisponde ad un preciso disegno di esclusione
di un lavoratore da parte della stessa azienda e/o del management
aziendale, che, con tale azione premeditata e programmata, intende
realizzare un ridimensionamento delle attività di un determinato lavoratore o
il suo allontanamento dal lavoro.
10. Mobbing emozionale: si manifesta attraverso un'alterazione delle
relazioni interpersonali (esaltazione ed esasperazione dei comuni
sentimenti di rivalità, gelosia, antipatia, diffidenza, paura, etc... di ciascun
individuo), sia di tipo gerarchico che tra colleghi.
11. Mobbing senza intenzionalità dichiarata: privo di una volontà
strategica di eliminare un determinato lavoratore con azioni di violenza
psicologica, caratterizzato, dall'accentuazione da parte di un pari grado (per

11
Il mobbing nel diritto del lavoro

eliminare eventuali ostacoli alle proprie ambizioni carrieristiche), o da parte


di un superiore (al fine di tutelare la propria posizione gerarchica, giudicata
in pericolo), dalla conflittualità latente nell'ambito lavorativo.

Deve inoltre farsi presente che in caso di mobbing, la situazione può essere resa
ancora più grave dalla presenza dei cosiddetti “side mobber”, detti anche
“spettatori silenziosi”, ovvero dipendenti non responsabili delle condotte
persecutorie, ma a conoscenza dei fatti14.

14
Cfr. C. Lensi, op. cit.; cfr. G. P. Cioccia, op. cit.; cfr. R. Gilioli, M. Adinolfi, A. Bagaglio, D.
Boccaletti, M. G. Cassitto, B. Della Pietra, C. Fanelli, E. Fattorini, D. Gilioli, A. Grieco, A.
Guizzaro, A. Labella, O. Mattei, M. Menegozzo, S. uenzaMenegozzo, R. Molinini, D. Musto, A.
Paoletti, F. Papalia, R. Quagliuolo, F. Vinci, Un nuovo rischio all'attenzione della medicina del
lavoro: le molestie morali ( Mobbing ), Consensus Document, in La Medicina del Lavoro, vol. 92,
n. 1, Gennaio-Febbraio 2001, Casa Editrice Mattioli, Fidenza.

12
Il mobbing nel diritto del lavoro

1.1.b) LE FASI DEL MOBBING


A giudizio di Leymann, il mobbing si sviluppa attraverso quattro fasi:
1. Segnali premonitori: fase breve e sfumata nella quale iniziano a
manifestarsi i primi screzi relazionali tra la vittima e i colleghi o il superiore.
Tali screzi si scatenerebbero in seguito a cambiamenti apparentemente non
significativi nell'ambiente lavorativo, quali, ad esempio, una nuova
assunzione oppure una promozione.
Iniziano le prime critiche e i primi rimproveri.
La vittima inizia ad avvertire un certo malessere, che tuttavia cerca ancora
di gestire con il ricorso alla razionalità e alla pazienza.
Di solito dopo sei mesi appaiono disturbi psicosomatici (insonnia, diarrea,
vomito, nausea, incubi e così via...), che divengono ansia generalizzata
entro un anno dall'inizio delle persecuzioni.
2. Mobbing e stigmatizzazione: in questa fase si rendono palesi tutti i
comportamenti del mobbing, attraverso incalzanti e reiterati attacchi nei
confronti della vittima al fine di screditarne la reputazione, isolarla dal
contesto lavorativo impedendogli ogni forma di comunicazione e di
espressione, demotivarla riducendone la considerazione di sé attraverso
continue critiche e richiami oppure dequalificandolo professionalmente.
Il protrarsi delle suddette aggressioni per un periodo che va dai quindici ai
diciotto mesi determina nella maggior parte dei casi uno stato cronico di
ansietà. Dai due ai quattro anni dall'inizio delle vessazioni appaiono gravi
disturbi psichici, quali depressione accompagnata da fobie, automatismo e
ruminazioni mentali, ossessioni, dipendenza da farmaci tranquillanti,
assenze dal lavoro per malattia.
3. Ufficializzazione del caso: la vittima denuncia le vessazioni, ma viene
additata dai suoi aguzzini come soggetto psichicamente labile. La malattia
assume il ruolo di causa e non di conseguenza e la vittima viene bollata
come «problematica», «strana», «piantagrane», dando vita ad un vero e
proprio fenomeno di stigmatizzazione. In questi casi, la via preferibile resta
l'intervento di sindacalisti esterni all'impresa in cui si trova il mobbizzato.

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Il mobbing nel diritto del lavoro

4. L'allontanamento: è la fase conclusiva dell'azione mobbizzante, che


culmina con il completo isolamento della vittima. Il mobbizzato si trova
completamente isolato, dequalificato professionalmente e incapace di
reagire alla situazione. Inizia a manifestare depressione e somatizzazioni
che lo portano a consultare un medico specialista. Con il passare del tempo
la situazione diviene insopportabile e il lavoratore stremato, non riuscendo
a trovare una soluzione al problema, sceglie la strada delle dimissioni
volontarie quale estremo tentativo di salvezza. Arrivato a questo stadio, il
fenomeno è difficilmente arginabile. Il soggetto viene definitivamente
escluso. Frequente è la cronicizzazione di manie ossessive; più raro, ma
comunque possibile, il rischio di suicidi15 e lo sviluppo di comportamenti
criminali.
Anche quando non si decide per il licenziamento con indennità o per la
decisione autoritaria di internamento psichiatrico, l'esclusione dal mondo
del lavoro avviene, comunque, mediante l'assegnazione di incarichi di
minore importanza o la successione di trasferimenti da un posto all'altro.

Harald Ege ha modificato il modello di Leymann, aggiungendo due fasi:


0. «Condizione zero»: non si tratta di una fase, ma di una pre-fase, di una
15
Gli studi condotti in Svezia attribuiscono al mobbing la corresponsabilità per il 15% dei suicidi
annuali.

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Il mobbing nel diritto del lavoro

situazione iniziale normalmente presente in Italia e del tutto sconosciuta


nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato. Una
tipica impresa italiana è conflittuale. Sono poche le imprese che sfuggono a
questa regola. Questa conflittualità fisiologica non costituisce mobbing,
anche se è evidentemente un terreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un
conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e non ha una vittima
individuata. Non è del tutto latente, ma si fa notare di tanto in tanto con
banali diverbi d’opinione, discussioni, piccole accuse e ripicche,
manifestazioni del classico ed universalmente noto tentativo generalizzato
di emergere rispetto agli altri. Un aspetto è fondamentale: nella “condizione
zero” non c’è da nessuna parte la volontà di distruggere, ma solo quella di
elevarsi sugli altri.
Vediamo un esempio pratico: un'impresa di servizi che elabora programmi
di computer e software. I tempi di consegna sono sempre strettissimi e i
dipendenti sono continuamente sottoposti a superlavoro. ”Dipendente X” è
un programmatore dipendente di questa impresa: a volte si trova in
difficoltà e indietro col lavoro, ma nessun collega può e vuole aiutarlo,
perché impegnato a gestire i suoi stessi tempi strettissimi. Inoltre,
nell'impresa esiste una forte competitività: ogni dipendente che riesce a
consegnare in tempo il lavoro riceve una gratificazione, mentre chi resta
indietro corre seri rischi. In conseguenza di tutto questo, i rapporti personali
tra tutti i colleghi (e non solo nei confronti di “Dipendente X”) sono
praticamente inesistenti e improntati a una gelida cortesia formale.
1. Conflitto mirato: è la prima fase del mobbing in cui si individua una vittima
e verso di essa si dirige la conflittualità generale. Il conflitto fisiologico di
base dunque prende una svolta, non è più una situazione stagnante, ma si
incanala in una determinata direzione. In questo momento l’obiettivo non è
più solo quello di emergere, ma quello di distruggere l’avversario, “fargli le
scarpe”.
Nel nostro esempio, “Dipendente X” riceve una cospicua gratificazione per
aver portato a termine in tempo un importante lavoro. Questo suscita invidia
nei colleghi che temono di venire ingiustamente surclassati: ora, pensano, il

15
Il mobbing nel diritto del lavoro

capoufficio privilegerà lui invece di noi. Cominciano così a isolarlo e a


prenderlo in giro: “Sei tu il fenomeno, quindi non hai bisogno di consigli da
parte nostra”.
2. Inizio del mobbing: gli attacchi da parte del mobber non causano ancora
sintomi o malattie di tipo psico-somatico sulla vittima, ma tuttavia le
suscitano un senso di disagio e fastidio. Essa percepisce un inasprimento
delle relazioni con i colleghi ed è portata quindi ad interrogarsi su tale
mutamento.
“Dipendente X” è ora fatto bersaglio di veri e propri attacchi: è accusato di
stakanovismo e di superbia nei confronti dei colleghi. Prima era spesso
attaccato, ora ogni problema viene riversato su di lui, che è diventato ormai
il capro espiatorio dell’intero ufficio: “La colpa del ritardo è sua, voleva fare
tutto da solo”, “Non ci ha informato per avere da solo tutto il vantaggio”,
“Quello vuole farci le scarpe a tutti”. “Dipendente X” si accorge della
freddezza che improvvisamente lo circonda e comincia a chiedersi cosa
mai ha fatto per meritarsela.
3. Primi sintomi psicosomatici: la vittima comincia a manifestare problemi di
salute e questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi
primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l’insorgere
dell’insonnia e problemi digestivi.
A furia di interrogarsi, il nostro “Dipendente X” è arrivato al punto che la
situazione in ufficio è diventata un chiodo fisso: non dorme più bene, si
sveglia spesso in preda ad incubi, comincia ad avvertire tremori alle gambe
quando va in ufficio ed entra in una lieve depressione, poiché vede che non
riesce in nessun modo a migliorare le cose.
4. Errori e abusi dell'amministrazione del personale: il caso di mobbing
diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte
dell’ufficio del personale. La fase precedente, che porta in malattia la
vittima, è la preparazione di questa fase, in quanto sono di solito le sempre
più frequenti assenze per malattia ad insospettire l’Amministrazione del
Personale.
In seguito ai sintomi psicosomatici che avverte, “Dipendente X” va una

16
Il mobbing nel diritto del lavoro

prima volta in malattia, ma al ritorno in ufficio la situazione peggiora: ora i


colleghi lo prendono in giro anche per avere, a loro dire, rimediato delle
vacanze extra quando loro erano oberati di lavoro. “Dipendente X” cerca di
resistere, ma deve chiedere altri giorni di permesso: l’insonnia si è
aggravata e la depressione è sempre più profonda, non riesce a entrare in
ufficio e a mettersi al lavoro. L’ufficio personale, allarmato anche dal ritardo
del lavoro, nota le ripetute assenze di “Dipendente X” e comincia a
indagare: la soluzione più facile è inviare richiami disciplinari a una sola
persona (“Dipendente X”) piuttosto che a tutto l’ufficio.
5. Serio aggravamento della salute psicofisica della vittima ( ha inizio
l'isolamento della vittima ): in questa fase il mobbizzato entra in una
situazione di vera disperazione. Di solito soffre di forme depressive più o
meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto
palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad
aggravarsi. Gli errori da parte dell’amministrazione infatti sono di solito
dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno del mobbing e delle sue
caratteristiche. Conseguentemente, i provvedimenti presi sono non solo
inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col
convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo
di ingiustizie contro cui nessuno può nulla, precipitando ancora di più nella
depressione
“Dipendente X” è in piena depressione: non riesce più a dormire o ad
andare avanti senza farmaci. Ora è convinto più che mai che tutto il mondo
ce l’ha con lui, non solo i colleghi, ma anche l'impresa stessa, che lo
richiama, lo rimprovera, gli nega permessi, ferie e aspettative.
6. Esclusione dal mondo del lavoro: implica l’esito ultimo del mobbing,
ossia l’uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie,
licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il
suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l’omicidio o la vendetta sul mobber.
Anche questa fase è preparata dalla precedente: la depressione porta la
vittima a cercare l’uscita con le dimissioni o licenziamento, una forma più
grave può portare al pre-pensionamento o alla richiesta della pensione di

17
Il mobbing nel diritto del lavoro

invalidità. I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti


estremi.
“Dipendente X”, ormai incapace di reggere ancora la pressione cui è
sottoposto, si dimette. Le sue referenze per un altro eventuale impiego, non
sono certo migliori, e comunque, prima di riprendere il lavoro, ha bisogno di
riposo e di cure per uscire dal tunnel della depressione e riprendere fiducia
in se stesso.

18
Il mobbing nel diritto del lavoro

1.2.LA VALUTAZIONE DEL FENOMENO

La determinazione del mobbing in base ai sette parametri tassativi di


riconoscimento non è che il primo stadio di un processo articolato, attraverso cui si
giunge alla quantificazione del Danno da Mobbing ai fini peritali e che è stato
denominato "Metodo Ege 2002" per la determinazione e quantificazione del danno
da mobbing. Si tratta del primo esperimento in assoluto di tabellazione matematica
per il risarcimento del danno da mobbing: esso è presentato e dettagliatamente
spiegato nel citato libro edito da Giuffré16, che contiene anche in Appendice le
Tabelle complete di monetizzazione del danno da mobbing.

Il "Metodo Ege 2002" è così schematizzato:

16
H. Ege, La valutazione peritale del Danno da Mobbing, Giuffré Milano 2002.

19
Il mobbing nel diritto del lavoro

"METODO EGE 2002"

per la valutazione e quantificazione del Danno


da Mobbing

FASE I

Determinazione del Mobbing

Sulla base del risultato del test "LIPT Ege" e del colloquio
specialistico sulla vicenda lavorativa, il perito verifica la presenza
contestuale dei sette parametri tassativi e quindi è in grado di
stabilire se la vicenda in esame è o meno riconducibile al mobbing.

FASE II

Valutazione della Lesione Accertata da Mobbing (L.A.M.)


totale permanente

Se la fase precedente ha dato esito positivo, l'Esperto procede, sulla


base del calcolo matematico di valori convenzionali, alla
percentualizzazione della cosiddetta L.A.M. totale permanente, che
indica il grado di lesione che la vittima di mobbing ha riportato sia a
livello professionale/economico, sia dal punto di vista cosiddetto
esistenziale (maggiorazioni relative al doppio-mobbing e al calo di
autostima). Nella valutazione si tiene conto di più varianti, come la
durata e la frequenza del mobbing, lo stadio raggiunto dalla vicenda
lavorativa e la fascia di reddito della vittima.

FASE III

Quantificazione monetaria della L.A.M. totale permanente

Con apposite tabelle di monetizzazione del danno da mobbing,


elaborate sulla base dell'attuale tabella per la quantificazione del
danno biologico, si giunge alla determinazione dell'indennizzo
monetario che il mobbizzato può chiedere davanti al giudice a titolo
di risarcimento per l'insieme dei danni che il mobbing gli ha arrecato.
I valori di tale indennizzo variano a seconda del sesso e dell'età della
vittima, oltre naturalmente a tener conto dell'inflazione.

20
Il mobbing nel diritto del lavoro

La non facile valutazione medico legale dei casi di mobbing è basata innanzitutto
sull'accertamento della realtà del danno, con la constatazione obiettiva della
lesione e la conferma delle circostanze e delle cause responsabili del fatto lesivo
(studio analitico dell'ambiente lavorativo, del tipo di vessazione e di terrorismo
psicologico subita ecc.).
Fondamentale è la dimostrazione del rapporto di causalità esistente tra le cause o
concause che devono essere cronologicamente, qualitativamente,
quantitativamente idonee a produrre l'effetto dannoso che sarà analizzato nella
sua natura, entità e conseguenze che ha provocato.
Per i danni da mobbing non è possibile applicare il principio della causalità
esclusiva ma si dovranno valutare tutte le concause e le condizioni che prendono
parte al verificarsi dell'evento con conseguente riconoscimento ed esclusione di
eventuali occasioni prive di valenza causale.
È di cruciale importanza, per una corretta metodologia valutativa medico legale,
considerare che il danno biologico provocato dal mobbing riconosce sicuramente
una genesi multi fattoriale, per cui non sarà possibile prescindere da quella che è
la specifica ed individuale costituzione del soggetto e dalla sua personale
suscettibilità e capacità di reazione ad un determinato evento dannoso e/o a
diversi stimoli relazionali ed ambientali. È assolutamente necessario
individualizzare il caso, senza ricorrere a inquadramenti standardizzati, per
accertare la natura specifica della patologia riconducibile al mobbing.
Per la complessità delle problematiche correlate, l'approccio al fenomeno mobbing
deve essere multidisciplinare e deve coinvolgere diversi profili professionali:
 il medico del lavoro che dovrà valutare scrupolosamente tutti i "rischi
lavorativi" analizzando tutte quelle nozioni di tipo tecnico ed organizzativo
in grado di alterare la condizione di benessere psico-fisico del lavoratore e,
in sinergia con il datore di lavoro, identificare e bloccare eventuali anomalie
nei vari processi lavorativi;
 lo specialista psichiatra al quale è affidato il compito di enunciare una
diagnosi clinica differenziale tra un disturbo dell'adattamento (condizione
transitoria che solitamente si sviluppa entro tre mesi dall'esordio dei fattori
stressanti e si risolve entro sei mesi dalla cessazione degli stessi) e un più

21
Il mobbing nel diritto del lavoro

importante disturbo post traumatico da stress (maggiore compromissione


della affettività dell'individuo con conseguente grave disagio alla sua vita di
relazione e cronicizzazione dei disturbi che permangono anche dopo
l'allontanamento dai fattori stressanti). Dovrà fornire un’accurata
valutazione della personalità del mobbizzato identificandone i problemi
adattativi di personalità, la capacità di interazione con l'ambiente lavorativo
e i limiti soggettivi di ipersuscettibilità a stress lavorativi generici .
 Il medico legale attraverso un’approfondita anamnesi inchiesta ed analisi
documentale dovrà:
• inquadrare a 360 gradi lo stato anteriore del soggetto per ottenere
informazioni circa la sua vita lavorativa antecedente e attuale, la
presenza di malattie pregresse, motivazioni ed eventuali interessi
extra-lavorativi, ecc.
• individuare la persecuzione e l'illecito comportamento;
• dimostrare il nesso causale tra l'azione lesiva ed il danno;
• quantizzare il danno.

Da quanto esposto si evince come sia complesso l'accertamento e l'acclaramento


di una condizione di mobbing in un lavoratore che, nel nostro ordinamento
giuridico, anche in assenza di norme giuridiche "ad hoc", trova già sufficiente
tutela per le azioni o comportamenti riconducibili alle vessazioni connesse con
l'ambiente lavorativo.
È fondamentale, a mio avviso, pervenire ad un’univoca definizione di mobbing che
tenga conto di tutte le componenti qualitative, quantitative, cronologiche e modali
che lo costituiscono al fine non solo di ridimensionare esagerate aspettative nei
lavoratori, vista la grande eco che in questi ultimi tempi il mobbing sta suscitando,
ma anche per circoscrivere un fenomeno all'interno del quale, attualmente, si può
ricomprendere tutto e il contrario di tutto e che rischia di assumere una
connotazione di sproporzionata novità a livello di contenzioso.

22
Il mobbing nel diritto del lavoro

2. DISEGNI E PROGETTI DI LEGGE

2.1. ATTUALE QUADRO NORMATIVO IN ITALIA

L’assenza di una specifica previsione legislativa non impedisce di difendersi dal


mobbing dal momento che nel nostro ordinamento già esistono norme
(costituzionali, civilistiche, penali e specialistiche) le quali, grazie ad una paziente
opera di interpretazione, costituiscono un buon argine a protezione delle vittime di
violenze psicologiche in ambito lavorativo potendo assicurare la tutela del
lavoratore ed il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei comportamenti
mobbizzanti oltre che la sanzione di tali comportamenti.

Numerose sono le norme della Costituzione poste a tutela della persona in


quanto tale e del lavoratore inserito nella realtà lavorativa (artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36,
41) e tra queste, in particolare vanno segnalati gli articoli: 32, che riconosce la
tutela della salute come diritto fondamentale dell'uomo (la salute è il fondamentale
diritto dell’individuo e l’interesse primario della collettività); 35, che prevede la
tutela del lavoro in tutte le sue forme (Il lavoro è tutelato in tutte le sue forme); 41,
che vieta lo svolgimento dell'attività economica privata se esercitata in contrasto
con l'utilità sociale o qualora rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità
umana (qualsiasi attività economica non può svolgersi se in contrasto con l’utilità
sociale, se reca danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana).

Sotto il profilo civilistico, occorre prima di tutto distinguere le ipotesi in cui


l'autore del mobbing è un datore di lavoro da quella in cui è un superiore
gerarchico o un collega della vittima. Nella seconda ipotesi, l'autore delle violenze
psicologiche potrà essere chiamato a rispondere ai sensi dell'art. 2043 c.c., quindi
per responsabilità extracontrattuale.
La norma di carattere generale contenuta nell'art. 2043 stabilisce, infatti, che
qualunque fatto doloso o colposo che causa ad altri un danno ingiusto, obbliga
colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno ed è, quindi, perfettamente

23
Il mobbing nel diritto del lavoro

applicabile alle varie configurazioni del mobbing poiché contiene il principio


generale di responsabilità e sancisce il divieto di cagionare danni ad altri.
L'importanza dell'articolo, quale efficace strumento di lotta al mobbing, è messa in
particolare risalto dalla sentenza n° 411 del 24 Gennaio 1990 della Corte di
Cassazione nella quale la stessa Corte “ha stabilito che il bene della salute
costituisce oggetto di autonomo diritto primario e quindi il risarcimento per la sua
lesione non può essere limitato alle conseguenza che incidono soltanto sulla
idoneità del soggetto a produrre reddito e cioè al danno patrimoniale inteso come
diminuzione del reddito per esborsi di denaro (cure e/o trattamenti medici o
acquisto di prodotti farmaceutici) cosiddetti danno emergente, o come possibilità
di perdita di guadagno a causa dalla condotta del molestatore (lucro cessante),
ma deve essere esteso al danno biologico inteso come lesione inferta al bene
dell'integrità psichica in sé e per sé”.
Qualora invece l'autore della violenza psicologica sia il datore di lavoro. La
responsabilità derivante dall'art.2043 potrà concorrere con quella contrattuale da
inadempimento di cui all'art. 2087 del Codice Civile che dispone, integrando le
obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, che, “l'imprenditore è tenuto ad
adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro”.
E' evidente che dall'articolo 2087 discende non solo il divieto per il datore di lavoro
di porre in essere direttamente comportamenti riconducibili al mobbing, ma anche
l'obbligo di attivarsi per impedire che tali comportamenti siano messi in atto dai
propri dipendenti.
In giurisprudenza, infatti, è stata riconosciuta la legittimità del licenziamento in
tronco di lavoratori che abbiano posto in essere delle gravi condotte nei confronti
di altri dipendenti. Nel merito, il lavoratore dovrà provare la condotta illegittima ed il
nesso di causalità tra l'inadempimento delle misure previste dall'art. 2087 ed il
danno subito, mentre a carico del datore di lavoro rimane la prova di aver operato
secondo le disposizioni di legge.
Analogamente trovano sanzione anche i comportamenti riconducibili all'abuso del

24
Il mobbing nel diritto del lavoro

diritto da parte del datore di lavoro.


Quindi la tutela del lavoratore vittima di vessazioni psicologiche può essere
esercitata ai sensi degli articoli 2043 e 2087 c.c., e la scelta del meccanismo di
tutela più idonea spetterà al lavoratore. Un importante principio è stato
recentemente affermato dalla Corte di Cassazione con l'innovativa sentenza del 5
Ottobre 200117.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso di un lavoratore, che dopo
aver svolto per tre anni le mansioni per le quali era stato assunto, nei successivi
sedici anni – pur continuando a ricevere la retribuzione – non era stato impiegato
in nessuna attività, riconoscendogli il diritto ad essere risarcito per il danno subito
ha sancito il principio secondo il quale la negazione o l'impedimento allo
svolgimento delle mansioni lede il diritto fondamentale alla libera esplicazione
della personalità del lavoratore”.
Ancora sotto il profilo civilistico è possibile esperire la tutela in via d'urgenza in
presenza di comportamenti vessatori o discriminatori che pongono in grave
pericolo i diritti del lavoratore, attraverso l'art. 700 c.p.c.

Per quanto riguarda invece il profilo penalistico, non pochi operatori del diritto
sostengono a ragione che il mobbing, potendo causare anche malattie
professionali, potrebbe costituire reato configurandosi come diritto di lesione
personale colposa previsto dall'art. 590 del codice penale (pena della reclusione
per colui che procura delle lesioni ad una persona per colpa. La pena è maggiore
se il fatto si crea anche a causa della violazione delle norme di prevenzione sugli
infortuni sul lavoro. Il procedimento è d’ufficio e non a seguito di denuncia della
parte offesa, nei soli casi di violazione delle norme di prevenzione sugli infortuni
sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia
professionale).
L'applicazione delle regole generali del diritto penale al mobbing comporta, in ogni
caso, l'esigenza di valutare in concreto se la compromissione dell'integrità psico-
fisica del lavoratore sia riconducibile ad una condotta del datore di lavoro colposa
o dolosa.

17
Vedi: www.infoius.it/sentenze/cass_2001 Sezione Tributaria n. 9116

25
Il mobbing nel diritto del lavoro

Norme di tipo specialistico:

La legge n. 300/70 (Statuto dei lavoratori), è uno degli strumenti più importanti
che la legislazione mette a disposizione per la tutela del lavoratore.
Tra le varie norme dello Statuto un particolare rilievo assumono l'art. 7 con
l'obbligo di specifica procedura disciplinare contro gli abusi del datore di lavoro,
l'art. 13 a tutela delle mansioni del lavoratore dai comportamenti di
dequalificazione professionale e l'art. 15 per la tutela della nullità degli atti che
abbiano finalità discriminatorie ai danni del lavoratore.

Il Decreto legislativo 626/94 che ha affermato il diritto alla salute inteso come
assenza di malattia, ma anche come assenza di disagio e segnato il passaggio
all'idea della tutela della sua integrità psico-fisica. Da qui, deriva l'ammissione del
risarcimento del danno biologico che andrebbe totalmente addebitato in maniera
personale e diretta agli autori delle violenze psicologiche e dovrebbe avvenire ogni
volta che ricorrano le condizioni previste dall'art. 2043 c.c. indipendentemente
dalle obbligazioni che gravano sul datore di lavoro (vedi artt. 2049 e 2087 c.c.).

Il Decreto legislativo 38/00 che ha introdotto, seppure con alcune eccezioni, la


tutela assicurativa INAIL del danno biologico, (art. 13: il lavoratore è tutelato da
un’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali che ricomprende anche il danno biologico quale lesione all’integrità
psico-fisica del lavoratore valutata da parte del medico legale. La quota
d’indennizzo non dipende dalla capacità di produzione del reddito del
danneggiato).

26
Il mobbing nel diritto del lavoro

2.1.a) PROGETTI DI LEGGE SULLA PREVENZIONE E


REPRESSIONE DEL MOBBING

Attualmente sono stati presentati in Parlamento 20 progetti di legge sul mobbing,


in totale (9 al Senato, 5 alla Camera). Diversi di essi, costituiscono la
riproposizione di d.d.l. e p.d.l. presentati dalle (stesse) forze politiche nella XIII
legislatura. Sono il d.d.l. n. 924 del 5 dicembre 2001 (DS – U) che ripropone il
precedente n. 4265 del sen. Tapparo; il n. 122 del 6 giugno 2001 d’iniziativa
Tomassini (FI) che ripropone il proprio precedente n. 4512; il n. 422 del 9 luglio
2001 del sen. Magnalbò (AN) che ripropone il proprio precedente n. 4802. Altri,
quali AC n.1128 (Benvenuto), AC n. 2040 (Fiori), ripropongono i precedenti con
aggiornamenti o con omissione della (pregressa) configurazione penale della
fattispecie mobbing (Fiori).
Si tratta di proposte animate da analoghi fini ispiratori che:
a) definiscono concettualmente il mobbing e descrivono i comportamenti
persecutori in modo generale, ovvero attraversi esemplificazione delle più comuni
ipotesi vessatorie od emarginanti in azienda. In alcune di esse si rinvia ad un
decreto del ministero del lavoro il compito di individuare le fattispecie concrete (e
tassative) di violenza psicologica e morale ai danni dei lavoratori;
b) individuano nei possibili persecutori i datori di lavoro, i superiori gerarchici, i pari
grado e (solo alcuni progetti) i subordinati;
c) in alcuni casi prevedono che la persecuzione debba avere la finalità di
danneggiare il lavoratore, in altri ritengono sufficiente l’attuazione del
comportamento persecutorio, considerato illegittimo e condannabile anche in
assenza di una precisa finalità;
d) prevedono precise responsabilità disciplinari a carico dei promotori del mobbing
e la responsabilizzazione del datore di lavoro che viene obbligato a verificare le
denunce di mobbing e ad assumere le necessarie conseguenti iniziative
(irrogazione di provvedimenti disciplinari, rimozione degli effetti, ecc.);
e) pongono a carico del datore di lavoro l’onere di indicare le azioni di prevenzione

27
Il mobbing nel diritto del lavoro

e informazione che vanno realizzate (imponendo chiarezza e trasparenza nei


rapporti aziendali) disponendo, a tal fine, anche lo svolgimento di apposite
assemblee del personale, consultazioni periodiche o l’istituzione di un apposito
organo (progetto di Forza Italia), composto da rappresentanti del datore di lavoro,
dei lavoratori e delle ASL;
f) si propongono l’individuazione e la punizione di eventuali strategie aziendali che,
attraverso il mobbing siano dirette a ridurre o a razionalizzare il personale ;
g) definiscono le azioni di tutela che la vittima potrà promuovere (ricorso alla
conciliazione, anche attraverso le rappresentanze sindacali e alla autorità
giudiziaria);
h) impongono l’obbligo di ripristino delle situazioni professionali colpite dalle azioni
persecutorie, il risarcimento dei danni subiti e la nullità degli atti discriminatori e di
eventuali atti di ritorsione in seguito alla promozione di iniziative di tutela;
i) prevedono la possibilità di pubblicità del provvedimento del giudice.

Un esame approfondito dei progetti di legge potrà fornire agli interessati un


completo quadro delle iniziative che, in linea di principio, dovrebbero essere in
grado di rinforzare le difese del lavoratore dalle persecuzioni psicologiche.
Nel merito si deve valutare positivamente l'individuazione e la condanna di quelli
che vengono considerati comportamenti persecutori, che è la prima necessaria
condizione per garantire una difesa delle vittime.
Per quanto concerne l'indicazione dei potenziali colpevoli di mobbing, si ritiene
preferibile la soluzione che comprende anche i subordinati della vittima che, in
molti casi, visto un soggetto in difficoltà, non esitano ad unirsi al gruppo dei
persecutori, per i più svariati motivi (ad esempio per vendetta) o senza alcuna
concreta ragione.
Le soluzioni che assegnano a datore di lavoro e rappresentanze sindacali compiti
preventivi, di accertamento e di individuazione delle misure necessarie per il
ripristino della legalità (con riferimento alla legge n. 626 del 1994) si considerano
preferibili, in quanto più consone alla nostra tradizione sindacale, rispetto a quelle
che assegnano tali compiti ad appositi organi estranei ed esterni alla azienda.
Un ulteriore elemento di valutazione positiva è dato dal fatto che le misure previste

28
Il mobbing nel diritto del lavoro

nei vari progetti di legge siano applicabili anche in concorso con le leggi vigenti (e
con altre in itinere come quelle in materia di molestie sessuali) e ne consentano un
migliore utilizzo, contribuendo a rafforzare il sistema di tutele nel suo insieme.

29
Il mobbing nel diritto del lavoro

Elenco dei progetti di legge

Senato:

1. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Tapparo ed altri (Dem. Sin.) n. 4265,
intitolato «Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni
psicologiche nell'ambito dell'attività lavorativa», comunicato alla Presidenza il 13
Ottobre 1999. Il disegno offre innanzitutto una definizione del fenomeno (art. 2). A
livello preventivo (art. 3), suggerisce «iniziative di informazione periodica verso i
lavoratori» a cura delle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) e dei datori di
lavoro, soggetti che, nel caso in cui ricevano denunce di mobbing, «hanno
l'obbligo di attivare procedure tempestive di accertamento dei fatti denunciati e
misure per il loro superamento». Viene previsto altresì l'obbligo per il datore di
lavoro di consegnare al momento dell'assunzione «una dichiarazione del Ministero
del Lavoro relativa alla tutela delle violenze morali e persecuzione psicologica nel
lavoro», con obbligo di affissione della stessa nelle bacheche aziendali e diritto per
i lavoratori ad ulteriori due ore annue di assemblea per trattare il problema. Per
quanto riguarda la repressione del fenomeno, invece, ferma restando la
«responsabilità disciplinare, secondo quanto previsto dalla contrattazione
collettiva» di chi pone in essere azioni di mobbing o dolosamente denuncia azioni
poi rivelatesi inesistenti (art. 5), viene confermata l'applicabilità dell'art. 2113 c.c. ai
provvedimenti maturati in ambito di mobbing (art. 4), nonché l'esperibilità delle
procedure arbitrali e di conciliazione, oltre che della competenza del Tribunale del
Lavoro in caso di ricorso in giudizio (art. 6). A livello sanzionatorio, il disegno
prevede due novità interessanti: la condanna del responsabile al risarcimento del
danno, liquidato dal giudice in forma equitativa (art. 6), e la possibilità di richiedere
che il provvedimento, di condanna o di assoluzione, sia comunicato «mediante
lettera ai dipendenti interessati, per reparto e attività, dove si è manifestato il caso
di violenza morale e persecuzione psicologica oggetto dell'intervento giudiziario»
(art. 7). In chiusura (art. 8) il disegno di legge, oltre a sanzionare con la nullità
«tutti gli atti o fatti» che derivano dal mobbing, stabilisce una presunzione di

30
Il mobbing nel diritto del lavoro

«contenuto discriminatorio» per tutti provvedimenti peggiorativi che colpiscono la


vittima di mobbing «adottati entro un anno dalla denuncia».
E' stato poi ripresentato dal sen. Battafarano (DS – U) con il n. 924 del 5 dicembre
2001.

2. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Tomassini (FI), n. 4512, ripresentato dallo
stesso nella XIV legislatura con il n. 122 del 6 giugno 2001, (“Disposizioni a tutela
dei lavoratori dalla violenza o dalla persecuzione psicologica”).
3. Disegno di legge d’iniziativa del sen. Magnalbò (AN) n. 4802, ripresentato dallo
stesso nella XIV legislatura con il n. 422 del 9 luglio 2001, (“Norme per contrastare
il fenomeno del mobbing”).

4. Disegno di legge n. 266 del 21 giugno 2001 d’iniziativa del sen. Ripamonti
(Verdi) – identico al n. 924/2001.

5. Disegno di legge n. 870 del 21 novembre 2001 d’iniziativa del sen. Costa (FI),
(“Norme per contrastare il fenomeno del mobbing”).

6. Disegno di legge n. 986 del 20 dicembre 2001 d’iniziativa del sen. Tofani ed altri
(AN), (“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza o dalla persecuzione
psicologica”).

7. Disegno di legge n. 1242 del 14 marzo 2002 d’iniziativa del sen. Montagnino
(Mar. – DL – U), (“Tutela della persona che lavora da violenze morali e
persecuzioni psicologiche nell'ambito dell'attività lavorativa”).

8. Disegno di legge n. 1280 del 21 marzo 2001 d’iniziativa del sen. Sodano
Tommaso (Misto –RC), (“Norme per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da
molestie morali e psicologiche nel mondo del lavoro”).

9. Disegno di legge n. 1290 del 27 marzo 2002 d’iniziativa del sen. Eufemi
(UDC:CCD – CDU-DE), ("Norme generali contro la violenza psicologica nei luoghi

31
Il mobbing nel diritto del lavoro

di lavoro").

10. Progetto di legge n. 4313 ("Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza
psicologica"), presentato al Senato della Repubblica dall'on. Athos De Luca. Il
progetto si caratterizza per la particolare attenzione dedicata all'accertamento
clinico delle patologie da mobbing (art. 6), e per l'esplicita previsione e peculiare
repressione del fenomeno del bossing (art. 4, strategia societaria illecita); per il
resto ricalca sostanzialmente l'impostazione dei precedenti progetti legislativi.

Camera :

11. Proposta di legge n. 581 del 6 giugno 2001 dell’on. Loddo Tonino (Mar. –DL –
U), (“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione
psicologica”).

12. Proposta di legge n. 1128 del 28 giugno 2001 dell’on. Benvenuto (DS – U),
(“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione
psicologica”).

13. Proposta di legge n. 2040 del 28 novembre 2001 dell’on. Fiori (AN),
(“Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione
psicologica”).

14. Proposta di legge n. 2143 del 21 dicembre 2001 dell’on. Tarantino (FI),
(“Disposizioni per la tutela dei lavoratori da molestie morali e violenze
psicologiche”).

15. Proposta di legge n. 2346 del 14 febbraio 2002 dell’on. Zanella (Misto, Verdi –
U), (“Disposizioni per la tutela dalla persecuzione psicologica nei luoghi di lavoro”).

16. Progetto di legge n. 6410 del 16 Febbraio 2000, (“Disposizioni a tutela dei

32
Il mobbing nel diritto del lavoro

lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica”), a firma Benvenuto ed


altri, relatore l'on. Carlo Stelluti, di contenuto del tutto analogo al progetto di legge
n. 4265, a firma del Senatore Tapparo e altri.

17. Proposta di legge n. 1813 presentata il 9 Luglio 1996 alla Camera dei
Deputati dagli onorevoli Cicu ed altri, intitolata «Norme per la repressione del
terrorismo psicologico nei luoghi di lavoro».
Tale proposta, che si prefigge lo scopo di «prevedere il reato di mobbing e
perseguire penalmente tale comportamento, equiparandolo ad un reato verso la
persona e verso la società», risulta oggi assegnata alla Commissione Giustizia
della Camera.

18. Progetto di legge n. 6667 (“Disposizioni per la tutela della persona da


violenze morali e persecuzioni psicologiche”), di iniziativa del deputato Fiori,
presentato alla Camera il 5 Gennaio 2000.

19. Progetto di legge camera n. 601, “Norme a tutela della libertà e della dignità
della persona dalle molestie sessuali nei luoghi di lavoro”.

20. Progetto di legge Camera n. 5090, “Norme a tutela della persona che lavora
contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro”.

33
Il mobbing nel diritto del lavoro

2.2. QUADRO NORMATIVO EUROPEO

In attesa di una direttiva o regolamento in materia di mobbing, il Parlamento


Europeo ha emesso la risoluzione del 20.09.2001 contro la violenza o le molestie
nei luoghi di lavoro, che riassume i dati a disposizione degli esperti e sottolinea
la necessità di rafforzare le misure per fronteggiare il fenomeno del mobbing.
Per contrastare il fenomeno, il Parlamento raccomanda agli Stati membri di
imporre alle imprese ed ai sindacati l’attuazione di efficaci politiche di
prevenzione, invitando, altresì, la Commissione a combattere il fenomeno del
mobbing sul posto di lavoro ed a valutare l’esigenza di iniziative legislative in tal
senso. La risoluzione esorta, inoltre, gli Stati membri ad uniformare la definizione
del mobbing, sottolineando la loro responsabilità per il mobbing e la violenza in
genere sul posto di lavoro, da combattere attraverso una strategia comune di
lotta.

Nei paesi dell'Unione Europea, il fenomeno del mobbing non è affrontato in


maniera uniforme.

Basterà guardare i Paesi Scandinavi, che sono stati i pionieri del pieno
riconoscimento normativo del mobbing grazie al fondamentale contributo fornito
dagli studi del Prof. Heinz Leymann negli anni '80. In particolare, la Svezia, che è
stata il primo Paese Europeo ha dotarsi di una legge nazionale sul mobbing
attraverso l’Ente Nazionale per la Salute e la Sicurezza Svedese, che - già nel
lontano 1993 - emanò una specifica Ordinanza (AFS 1993/17), entrata in vigore
dieci anni fa (il 31 marzo 1994), recante misure contro qualsivoglia forma di
"persecuzione psicologica" negli ambienti di lavoro. Essa attribuisce particolare
importanza agli aspetti psicologici, sociali ed organizzativi dell'ambiente di lavoro
e addossa al datore di lavoro la responsabilità riguardo all'organizzazione e la
programmazione dell'attività di lavoro. Si tratta di un vero codice
comportamentale delle relazioni sociali all'interno dei luoghi di lavoro. Esiste
inoltre una legge del 1992, che obbliga il datore ad effettuare controlli periodici

34
Il mobbing nel diritto del lavoro

nell'ambiente di lavoro e vi è un'altra normativa riguardante la riabilitazione


professionale che deve essere garantita alle vittime del mobbing.

O ancora, si veda la Norvegia, che ha preferito optare per una tutela a livello
legislativo del mobbing attraverso l’introduzione di una specifica previsione nella
legge sulla tutela dell'ambiente di lavoro del 1977 ad opera del § 12 della legge
24 giugno 1994, n. 41, che così recita: "..I lavoratori non devono essere esposti
a molestie o ad altri comportamenti sconvenienti…..".

Anche nei Paesi Francofoni, notevoli sono stati i passi in avanti compiuti.

In Francia, nel 2000 è stata varata la legge "lutte contre le harcélement moral au
travail" specifica sul mobbing, in cui si legge: "Nessun lavoratore deve subire atti
ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle
condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di
alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire
professionale. Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere
oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in
materia di remunerazione, di formazione, di riclassificazione, di qualificazione o
classificazione, di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del
contratto, per aver subito, o rifiutato di subire, i comportamenti definiti nel comma
precedente o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti.". Con
questa legge, entrata in vigore il 17 gennaio 2002, la Francia è, dopo la Svezia, il
secondo Paese comunitario ad essersi dotato di uno strumento legislativo per la
lotta contro il mobbing o meglio, in gergo nazionale, l’harcèlement moral. Le due
peculiarità di maggior interesse riguardano l’introduzione dell’istituto
dell’inversione dell’onere della prova (per cui è il soggetto accusato di aver posto
in essere azioni dirette o indirette di violenza morale in ambito lavorativo a dover
dimostrare l’estraneità da qualsiasi forma di responsabilità) e l’introduzione di
un’apposita figura di reato, con l’inserimento nel codice penale francese di una
nuova sezione intitolata, per l’appunto, all’harcèlement moral e di un articolo, il
222-33-2, che sanziona espressamente "il fatto di molestare gli altri attraverso
comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle
condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la

35
Il mobbing nel diritto del lavoro

sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale",


con la pena della reclusione fino a un anno o della multa di 15.000 euro.

Si veda poi il Belgio, dove esiste dall'11 Giugno 2002 la legge per
regolamentare il fenomeno. La legge si qualifica per la previsione dell'obbligo per
il datore di lavoro di designare, in accordo con i rappresentanti dei lavoratori, un
“Consigliere per la prevenzione” (interno od esterno a seconda delle dimensioni
dell'impresa) con specifiche competenze psico-sociali in particolare riferite
all'ambiente lavorativo. Le imprese al di sopra di 20 dipendenti, qualunque sia il
settore di attività, dovranno disporre del servizio interno di prevenzione, mentre
quelle con meno di 20 dipendenti che ne sono prive, saranno affiliate ad un
servizio esterno di prevenzione inter-aziendale che raggruppa specialisti di ben
cinque discipline (medicina del lavoro, sicurezza, igiene industriale, ergonomia e
psicologia).

Da alcuni anni, grazie all'azione svolta dal sindacato, si è costituita presso i


servizi pubblici per la protezione e prevenzione sul lavoro, una commissione
“d'avviso” composta da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, con lo
scopo di offrire ai lavoratori vittime del mobbing un'assistenza al di fuori
dell'attività lavorativa.

In Spagna, in data 23 novembre 2001, sono state presentate al "Congreso de


los Deputatos", da parte del Gruppo parlamentare socialista, due nuove proposte
di legge (la n. 122/000157 intitolata "derecho a no sufrir acoso moral en el
trabajo" e la n. 122/000158 intitolata "Organica por la que se incluye un articulo
314 bis en el Codigo Penal tipiticando el acoso moral en el trabajo") miranti a
regolare normativamente l’acoso moral e, in data 14 aprile 2001, il Parlamento
Catalano ha approvato una "Proposicion no de llei" sul mobbing, nella quale, tra
l’altro, propone di modificare l’attuale legge di prevenzione dei rischi lavorativi in
modo da includere la prevenzione dell’acoso moral tra le obbligazioni del datore
di lavoro.

In Germania, pur non essendoci ancora alcuna legge specifica, alla Volkswagen
nel 1996 è stato firmato un accordo tra azienda e sindacato con l’obiettivo di
prevenire molestie sessuali, mobbing ed ogni forma di discriminazione al fine di

36
Il mobbing nel diritto del lavoro

creare un clima di lavoro positivo basato sulla reciproca collaborazione e il 23


dicembre 1988 è stato sottoscritto il "Betriebsverfassungsgesetz" (BetrVG), ossia
un accordo sul mobbing nell’area del pubblico impiego.

In Austria è rinvenibile un’esplicita menzione del termine mobbing, all'interno del


piano d'azione per la parità uomo-donna approvato il 16 maggio 1998, che così
recita: "Tra i comportamenti che ledono la dignità delle donne e degli uomini nel
luogo di lavoro vanno annoverati in particolare le espressioni denigratorie, il
mobbing e la molestia sessuale. Le collaboratrici devono essere edotte sulle
possibilità giuridiche di tutela delle molestie sessuali".

In Svizzera, in assenza di una normativa specifica sul mobbing, forme di tutela


adeguate sono apprestate attraverso l'applicazione di norme generali poste a
tutela della salute fisica e psichica dettate dalla Legge federale sul lavoro e da
quella sull'uguaglianza tra donne e uomini, dal Codice delle obbligazioni nonché
da alcune disposizioni del Codice Penale.

In Gran Bretagna è in discussione una proposta di legge che, pur non tenendo
conto della dimensione collettiva o dell'organizzazione del lavoro come fattori alla
base del mobbing, dispone l'adozione da parte del datore di lavoro di una politica
mirata a prevenire il fenomeno da sottoporre alla consultazione dei
rappresentanti sindacali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Anche a livello internazionale hanno cominciato ad interessarsi al problema le


grandi Organizzazioni specializzate dell'ONU, come l'OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) e l'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che ha
promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. Quest’ultima, in un
recente studio (promosso nel corso della Conferenza Internazionale sul trauma
sul luogo di lavoro" tenutasi l’8-9 Novembre 2000 a Johannesburg,), intitolato "La
violenza sul lavoro: la minaccia globale", ha chiarito come non tutta la violenza
sia fisica e ha riconosciuto il grande impatto sul lavoro della violenza psicologica,
categoria a cui ha ricondotto diversi comportamenti, tra cui anche il mobbing ed il
bullying. Da questa ricerca è emerso un nuovo approccio alla violenza sul lavoro,
che attribuisce uguale enfasi sia ai comportamenti lesivi dell’integrità fisica del
lavoratore, sia a quelli che mirano ad intaccare il suo equilibrio psicologico.

37
Il mobbing nel diritto del lavoro

2.3. CONCLUSIONE
Comunque, nel nostro Paese, in considerazione della carenza esistente in materia
e della crescente domanda di tutela proveniente dai lavoratori, la questione
mobbing è stata finora affrontata soprattutto a livello giurisprudenziale e dottrinale
con l’utilizzo degli strumenti legislativi vigenti.

Viceversa, in ambito legislativo, l’elemento costante di armonia delle varie


proposte di legge italiane e delle varie norme sul tema è sempre quello di adottare
definizioni ampie e ricche di casistica che mal si conciliano con l’effettiva esigenza
di tutela di chi ricorre alla vie giudiziarie e affronta l’enorme ostacolo dell’onere
probatorio a suo carico.

Al di là della circostanza evidente che adottare una definizione ampia e flessibile -


com’era stato fatto nella Legge Regione Lazio -, pone seri problemi di
costituzionalità, soprattutto laddove si prevedano sanzioni amministrative e
pecuniarie per il presunto mobber, resta ancora la necessità di prefigurare
correttamente gli estremi giuridici che connotato in astratto l’illegittimità del
comportamento mobbizzante.

Il rischio principale è di ripetere gli errori del passato, con definizioni (come è stato
per quella che sanciva il reato di plagio, poi abrogata perché dichiarata
incostituzionale) che implichino una “probatio diabolica” (cioè una prova
impossibile da fornire) a tutti gli effetti o che siano troppo vaghe per ricondurvi le
peculiarità di ogni caso specifico.

In realtà, in Italia, nell’enorme prolificare legislativo che vi è stato, soprattutto con


riguardo alle garanzie e alle forme di tutela offerte ai lavoratori, esistono già, come
visto, sia a livello costituzionale che legislativo primario (civile e penale), tanti
strumenti normativi validi per garantire al singolo una tutela specifica contro il
mobbing. Pur in assenza di una definizione scritta da parte del legislatore, l’illecito
derivante e l’ingiustizia conseguente, è sanzionata opportunamente con forme
risarcitorie ed inibitorie che ampiamente offrono ristoro alla potenziale vittima.
Basterà focalizzare l’attenzione su quelle che comunemente vengono elencate
come fattispecie tipiche del mobbing (dequalificazione, violenza morale, abuso del

38
Il mobbing nel diritto del lavoro

potere gerarchico o disciplinare, calunnie sistematiche, ingiuria e/o diffamazione,


maltrattamenti ed offese verbali, etc…) per constatare che il maggior numero di
esse costituiscono, in linea di astratta previsione, fattispecie penalmente rilevanti
e/o integrano ipotesi tipiche di violazioni di obblighi del datore di lavoro.

39
Il mobbing nel diritto del lavoro

3. LA GIURISPRUDENZA ITALIANA
La giurisprudenza (e cioè le decisioni dei giudici di legittimità e di merito), ha
sostanzialmente “tappato il buco” venutosi a creare a livello legislativo nazionale,
attraverso una serie di sentenze e di provvedimenti che hanno progressivamente
nel tempo rafforzato la tutela dei lavoratori da danni per mobbing.
Più precisamente, si è osservata una crescente presa di posizione da parte dei
giudici del lavoro nei riguardi del già esposto fenomeno, tanto da poter
riscontrare un percorso evolutivo che, partendo dalle prime timide sentenze di
riconoscimento della problematica di specie con una serie di limiti e di vincoli ed
un ambito di applicabilità assai ristretto, attualmente concede al mobbing spazi di
applicazione di tutela assai vasti ed eterogenei tra loro, con un onere probatorio a
carico del dipendente assai ridotto rispetto anche al passato più prossimo.

Per somme linee si può affermare che originariamente per danno da mobbing era
strettamente inteso quello relativo alla lesione dell’integrità psico – fisica del
lavoratore, da cui scaturiva una malattia; si trattava, in sintesi, di un danno non
patrimoniale di natura extracontrattuale.

Successivamente, i giudici (esemplare in tal senso la sentenza del Tribunale di


Tempio Pausania del 10.07.2003 n. 15718) hanno esteso il concetto di danno non
patrimoniale da mobbing, includendo in esso oltre al danno biologico anche il
danno esistenziale, comprendente il danno da demansionamento, il danno
all’immagine e, più in generale, le sofferenze patite dal lavoratore per aver
lavorato per un certo lasso di tempo in un ambiente ostile ove ripetutamente
venivano emessi nei suoi confronti provvedimenti disciplinari e non, aventi natura
pregiudizievole.

Ulteriore passo in avanti si è avuto con la sentenza della Cassazione, sezione


lavoro del 2.01.2002 n. 1019. Tale sentenza ha aperto la strada ad un danno
18
Vedi: www.studiolegalelaw.it

40
Il mobbing nel diritto del lavoro

patrimoniale da mobbing, inteso come lesione del fondamentale diritto al lavoro


da considerarsi soprattutto come mezzo di estrinsecazione della personalità di
ciascun cittadino e dell’immagine e della professionalità del dipendente. In
pratica, quando viene lesa la dignità professionale del lavoratore (quale esigenza
umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto
lavorativo) viene danneggiato un bene immateriale per eccellenza, non stimabile
economicamente, ma comunque rilevante sul piano patrimoniale (per la sua
attinenza agli interessi personali del lavoratore), determinabile necessariamente
solo in via equitativa. Detto provvedimento è assai importante perché permette,
tra l’altro, di superare il concetto pregresso che la mortificazione della
professionalità del lavoratore potesse dar luogo a risarcimento solo ove venisse
fornita la precisa prova dell’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale; si
afferma infatti in suddetta sentenza che la prova è già insita nell’affermazione del
diritto fondamentale del lavoratore al riconoscimento ed alla tutela del bene a
carattere immateriale del valore superiore della professionalità.

Ulteriori sentenze (Tribunale di Pisa 3.10.200120 ed alcune pronunce della Corte


di Cassazione del 200321) si sono poi spinte fino a considerare il danno morale,
inteso quale “prezzo del dolore” che incide prettamente sulla sfera privata
attraverso una compromissione della personalità, risarcibile autonomamente
rispetto a cd. danno biologico. Si è infatti argomentato che ben può capitare che
un lavoratore subisca una evidente lesione della sua personalità morale senza
alcun danno psichico, allorquando il destinatario della pressione o della
vessazione – per sua fortuna – possegga risorse proprie che gli consentano di
superare indenne il comportamento vietato, così avvertendo un pregiudizio della
sua personalità, ma senza alcuna conseguenza permanente nelle sue capacità
psico fisiche. Ebbene, tale danno morale sfugge ai dettami codicistici (di cui
all’art. 2058 c.c. e 185 c.p.) in virtù dei quali il danno morale è intanto risarcibile in
quanto correlato ad un fatto illecito che sostanzi gli estremi di un fatto reato
perseguibile penalmente. Si è, in parole povere, dedotto che il danno morale da
mobbing può assurgere a figura autonoma, risarcibile in via equitativa, scisso da
19
Vedi: www.lavoropa.it/archivio/0/700/780/789/CorteCassazione2gennaio2002n10.pdf
20
Vedi: www.unicz.it/lavoro/SENTENZE_TOSCANE.htm
21
Vedi: www.infoius.it/sentenze/cass_2003/default.asp

41
Il mobbing nel diritto del lavoro

qualsiasi collegamento sia con il danno biologico sia con la commissione di un


fatto illecito che costituisca reato.

Infine, va segnalata la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del


4.05.2004 n. 8438 22. Detta sentenza, avente a presupposti un’azione giudiziaria
da mobbing per demansionamento, vessazioni e prevaricazioni di un lavoratore
da parte del datore di lavoro, evidenzia che la fattispecie di responsabilità, pur
quando il mobbing possa essere riferito ad ipotesi di pratiche vessatorie poste in
essere da uno o più soggetti diversi per danneggiare un lavoratore in modo
sistematico nel suo ambiente di lavoro, è prettamente riconducibile alla violazione
di obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego. Controversie aventi
siffatta natura attengono, infatti, a diritti soggettivi derivanti direttamente dal
medesimo rapporto di lavoro che vengono violati, nell’esercizio di tipici poteri
datoriali, da condotte lesive del principio negoziale di protezione delle condizioni
di lavoro e della stessa tutela della professionalità prevista dall’art. 2103 c.c.

L’importanza di tale pronuncia è di aver operato il definitivo passaggio dal


concetto iniziale limitato di mobbing quale malattia del lavoratore avente natura
extracontrattuale e sfera non patrimoniale, ad un concetto di lesione da mobbing
quale estrinsecazione di una violazione di diritti soggettivi che vengono
disciplinati e ricevono tutela nell’ambito delle stesse regole negoziali inserite nel
contratto di lavoro.

3.1. ALCUNE SENTENZE

22
Vedi: http://www.legge-e-giustizia.it/2004

42
Il mobbing nel diritto del lavoro

1. Tribunale di Torino, sentenza del 16 Novembre 1999

Giudice Ciocchetti - Erriquez c. Ergom

Risarcibilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 32 Cost. - Il mobbing come fatto
notorio - Danno psichico temporaneo.

Questa decisione costituisce la prima sentenza con cui un giudice italiano si


avvale del mobbing per definire ed inquadrare il comportamento aggressivo e
molesto di un superiore gerarchico nei confronti di un dipendente. Oggetto di
giudizio è il caso di un'impiegata costretta a svolgere le sue mansioni in uno
spazio angusto, isolato dai colleghi di lavoro e adibito a deposito e ripetutamente
insultata dal capo reparto per le lamentele relative a tale trattamento. A causa di
tale situazione, dopo circa 5 mesi dall'inizio dell'attività lavorativa la ricorrente si
assenta dal lavoro per malattia avendo contratto una grave forma di depressione
con frequenti stati di pianto ed agorafobia.

Il Tribunale di Torino con tale decisione: a) qualifica il mobbing come "fatto


notorio" ex art. 115 c.p.c. comma II, e quindi tale da non esigere dimostrazione
alcuna in giudizio, b) afferma la responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex
art. 2087 c.c. in combinato disposto con l'art. 32 Cost., per i danni psicologici
subiti dalla dipendente e dovuti ai trattamenti incivili ed ingiuriosi posti in essere
dal suo preposto; c) non ritiene necessario ricorrere alla consulenza tecnica
d'ufficio per l'accertamento del danno subito dalla ricorrente, dal momento che
idonei certificati clinici ed univoche testimonianze ricollegano l'insorgenza della
patologia al tempo in cui la vittima è stata sottoposta al mobbing; d) accerta la
mancanza di postumi di natura permanente e condanna la convenuta alla
liquidazione del danno biologico temporaneo assoluto, calcolato in via equitativa.

2. Tribunale di Torino, sentenza del 30 Dicembre 1999

Giudice Ciocchetti - Stomeo c. Ziliani s.p.a.

43
Il mobbing nel diritto del lavoro

Responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. e art. 32 Cost. - Il mobbing come fatto
notorio - Danno psichico temporaneo.

A distanza di un mese e mezzo dalla prima decisione il Tribunale di Torino torna


a pronunziarsi relativamente ad un altro caso di mobbing. La fattispecie è relativa
ad una lavoratrice che viene indotta dal presidente della società per cui lavorava
a dimettersi, in quanto la società stessa era venuta a conoscenza della
circostanza che il di lei convivente aveva iniziato a prestare attività lavorativa per
una società concorrente. Dopo un colloquio richiesto dalla società resistente
avente ad oggetto tale circostanza, la ricorrente entrava in malattia; cosicché la
società assumeva a tempo indeterminato un'altra lavoratrice con attribuzione a
quest'ultima delle mansioni già assegnate alla dipendente assente; inoltre la
stessa società , al rientro della malattia, attribuiva alla ricorrente mansioni
dequalificanti. In seguito al comportamento del datore di lavoro la ricorrente
accusava sindrome ansioso-depressiva, insonnia, ansia, inappetenza e crisi di
pianto.

Il Tribunale di Torino, con tale decisione riafferma i principi già enunciati nella
precedente sentenza del 16.11.1999, per quanto attiene a) la qualificazione del
mobbing come fatto notorio; b) l'accertamento del danno e del relativo nesso
causale, sulla base dei certificati clinici e delle univoche testimonianze, ritenendo
superfluo l'ausilio della consulenza d'ufficio; c) l'accertamento della responsabilità
del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. in combinato disposto con l'art. 32 Cost.; d)
l'accertamento della mancanza di postumi di natura permanente. Il caso de quo
è una tipica ipotesi di mobbing orizzontale; il mobber, infatti, è il datore di lavoro e
non un preposto. Lo schema giuridico che il Tribunale applica è arricchito dall'art.
2103 c.c, stante il danno da dequalificazione subito dalla dipendente rimasta
vittima di pratiche di mobbing.

3. Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza dell'8 Gennaio 2000, n. 143

Pres. Trezza - Rel. Prestipino - Filonardi c. Henkel s.p.a.

44
Il mobbing nel diritto del lavoro

Accuse di mobbing - Mancata prova - Giusta causa di licenziamento.

Con tale pronuncia la Suprema Corte conferma le sentenze di merito che


avevano ritenuto giustificato il licenziamento comminato alla dipendente, in
seguito alla diffusione di accuse diffamatorie da parte della lavoratrice ai danni
dell'azienda. La ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni, esponeva che fin dal
giorno della sua assunzione in servizio avvenuta nel 1974 aveva svolto la propria
attività lavorativa con piena soddisfazione sua e dei suoi superiori ma che, a
partire dall'anno 1985, quando era stato sostituito il capo del personale e a causa
del rifiuto che aveva opposto alle insistenti attenzioni di natura extra
professionale rivoltole dal suo superiore, aveva cominciato a subire un'opera di
“boicottaggio”, con irrogazione di sanzioni disciplinari e arresto della carriera, poi
culminata nel licenziamento, Con l'indicata decisione la Corte di Cassazione: a)
definisce il mobbing come quel fenomeno che consiste nell'aggressione della
sfera psichica altrui; b) pone a carico del lavoratore l'onere della prova del
mobbing; c) stabilisce che il mancato raggiungimento di tale prova giustifica la
comminazione di un licenziamento per giusta causa per violazione del rapporto di
fiducia.

E' bene, per non fraintendere il valore e la portata applicativa di tale precedente,
chiarire che la Corte di Cassazione e i giudici di merito, nel pervenire all'indicato
giudizio, sono stati influenzati non soltanto dal mancato assolvimento, ad opera
della ricorrente, del suo onere probatorio, ma anche dal comportamento della
stessa la quale, prima del licenziamento, aveva affidato le sue accuse all'azienda
ad un comunicato stampa, che successivamente risultò firmato dal marito.

4. Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro, sentenza del 25


Maggio 2000, n. 5491

45
Il mobbing nel diritto del lavoro

Francesco Florindo c. Ansaldo Industria s.p.a.

Accuse di mobbing- onere della prova a carico del lavoratore

Con questa sentenza la Suprema Corte riconosce il diritto del lavoratore, che sia
vittima di comportamenti "persecutori", al risarcimento del "danno biologico" ma
ribadisce che il riconoscimento di tale diritto è condizionato alla dimostrazione
Il caso oggetto di giudizio è quello di un lavoratore impegnato nell'attività
sindacale, che lamenta di aver subito un comportamento persecutorio da parte
del datore di lavoro, il quale gli aveva spesso inflitto sanzioni risultate poi
illegittime. Questi soprusi determinano nel lavoratore l'insorgenza di disturbi
nervosi con somatizzazioni (nausea, vomito, dolori epigastrici), i quali inducono la
vittima ad avanzare richiesta di risarcimento del danno biologico.

Il Pretore, in primo grado, accoglie il ricorso, in secondo grado la decisione viene


riformata, sicché il lavoratore ricorre in Cassazione. La Suprema Corte, però
rigetta la domanda ritenendo il lavoratore non abbia provato l'esistenza di un
rapporto di causalità tra la condotta del datore di lavoro ed il danno alla salute.

5. Tribunale di Forlì, sentenza del 15 Marzo 2001

Estensore Sorgi - Mulas c. Banca Antoniana Popolare.

Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale - Danno esistenziale.

Con questa sentenza il Tribunale di Forlì individua un caso di mobbing attraverso


la ricostruzione della storia professionale del ricorrente: dipendente modello della
Banca convenuta per la quale lavorava da oltre un ventennio, con riconoscimento

46
Il mobbing nel diritto del lavoro

assoluto delle proprie capacità e della propria professionalità fino al momento in


cui qualcosa cambia e da dipendente modello in piena ascesa professionale
diventa, nel volgere di pochi anni, un problema da gestire per la Banca. Le
qualifiche professionali si abbassano, si stenta a trovare per lui un ruolo
professionale effettivo, viene trasferito da Forlì, sede di suo gradimento, a Rimini
e non viene considerato per lui più nessun avanzamento in carriera.

Tale sentenza è profondamente innovativa rispetto alle pronunce del Tribunale di


Torino che l'hanno preceduta. Il Tribunale di Forlì, infatti: a) non si affida al
principio del "fatto notorio" ex art. 115, 2° comma c.p.c.; b) non attribuisce piena
ed esclusiva efficacia probatoria ai certificati medici prodotti dal ricorrente a
sostegno della risarcibilità del danno; b) dispone un preventivo colloquio del
lavoratore con uno specialista; c) affronta il tema del risarcimento del danno alla
salute sotto il duplice profilo della responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. ed
extracontrattuale ex art. 2043 c.c; e) ritiene il danno esistenziale congeniale a
situazioni di mobbing.

4. PREVENZIONE DEL MOBBING


Ricapitoliamo:
 il mobbing esiste;
 il mobbing non è una malattia;
 il mobbing può indurre a patologie;
 il mobbing è un pericolo;
 il mobbing sul posto di lavoro consiste in un comportamento ripetuto e

47
Il mobbing nel diritto del lavoro

immotivato, o una singola decisione ingiustificata le cui conseguenze si


protraggono nel tempo, rivolto contro un dipendente o un gruppo di
dipendenti, tale da creare un rischio per la salute e la sicurezza;
 il mobbing può essere verticale, esercitato dai vertici verso la “base”, (ed in
questi casi viene anche definito bossing) o in verso opposto, dalla base
contro il vertice; e può essere orizzontale, esercitato tra colleghi di pari
grado;
 il mobbing genera delle diseconomie aziendali e sociali;
 l'organizzazione del lavoro è un fattore di rischio;
 la salute del lavoratore è un bene sociale;
 un generale interesse collettivo deve essere istituzionalmente tutelato;
 uno stato di pericolo per la salute del lavoratore è penalmente sanzionato;
 il datore di lavoro ha il compito di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la
salute dei lavoratori;
 la salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale del
soggetto.

La prevenzione in un ambiente di lavoro, intesa a migliorare la vita lavorativa e,


nel caso del mobbing, ad evitare l'emarginazione sociale, deve procedere
attraverso due canali ben definiti:
 la prevenzione aziendale
 la prevenzione istituzionale

La prevenzione aziendale, intesa come miglioramenti apportati all'ambiente di


lavoro.
Secondo l'Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro sono:
• dare ai singoli lavoratori la possibilità di scegliere le modalità di esecuzione
del proprio lavoro;
• diminuire l'entità delle attività monotone e ripetitive;
• aumentare le informazioni concernenti gli obiettivi;

48
Il mobbing nel diritto del lavoro

• sviluppare uno stile di leadership;


• evitare definizioni imprecise di ruoli e mansioni.
Sempre nell'ambito della prevenzione aziendale vanno sicuramente inserite tutte
quelle attività che tendono a sviluppare una cultura organizzativa i cui standard e
valori siano contro il mobbing:
• una consapevolezza, da parte di tutti, del significato di mobbing;
• indagare l'estensione e la natura del fenomeno;
• sollecitare l'impegno etico dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti a
creare un ambiente in cui non ci sia posto per il mobbing;
• delineare i tipi di azione che sono accettabili e quelli che non lo sono;
• esporre le conseguenze dell'infrazione degli standard e dei valori
dell'organizzazione, con le relative sanzioni;
• indicare dove e come le vittime possono trovare un aiuto;
• impegnarsi ad impedire che i fatti segnalati producano ripercussioni sul
testimone;
• spiegare la procedura per segnalare gli episodi da mobbing;
• chiarire il ruolo dei dirigenti, supervisori, colleghi e rappresentanti sindacali;
• dettagliare i servizi di consulenza e di supporto disponibili per la vittima e
per chi pratica il mobbing;
• mantenere la riservatezza;
• distribuire/comunicare efficacemente gli standard ed i valori
dell'organizzazione a tutti i livelli organizzativi, tramite manuali, riunioni
informative, opuscoli, etc..;
• fare in modo che gli standard ed i valori dell'organizzazione siano noti ed
osservati da tutti i lavoratori dipendenti;
• migliorare la responsabilità e la competenza del management per quanto
riguarda la gestione dei conflitti e la comunicazione;
• stabilire un contatto indipendente per i lavoratori;
• coinvolgere i dipendenti ed i loro rappresentanti nella valutazione del rischio
e nella prevenzione del mobbing.

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Il mobbing nel diritto del lavoro

La prevenzione istituzionale deve elaborare modelli di riferimento, linee guida,


procedure, metodologie di analisi, verificare e controllare se e come il fenomeno
sia stato affrontato nelle aziende o nelle unità produttive, utilizzando la sanzione
penale con lo spirito e le finalità preventive che gli istituti legislativi oggi
permettono, con tutti gli altri strumenti, di “rimuovere” lo “stato di pericolo” nel più
breve tempo possibile.

In questo scenario dato dalla prevenzione aziendale e dalla prevenzione


istituzionale, le forze sindacali sono indiscutibilmente una parte attiva, costruttiva
e propositiva: il sindacato deve definire e proporre codici di condotta per la tutela
della dignità del lavoratore che deve ispirarsi ai principi di correttezza nelle
relazioni interpersonali. Le organizzazioni sindacali dovranno effettuare azioni
divulgative sul fenomeno mobbing attraverso convegni, pubblicazioni, marketing
sociale, analisi dei processi lavorativi promotori di patologie, studio ed analisi delle
proposte istituzionali finalizzate alla tutela della salute ed allo sviluppo delle risorse
umane ed alla formazione mirata allo sviluppo delle competenze.

SCHEDA

COME FERMARE IL MOBBING

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Il mobbing nel diritto del lavoro

Oltre alla disciplina giurisprudenziale, esistono moltissimi siti che trattano


l'argomento e che offrono informazioni e assistenza on-line e sul territorio. Basta
digitare “assistenza mobbing” su un qualunque motore di ricerca e si perviene ad

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Il mobbing nel diritto del lavoro

una grande quantità di contatti, sfruttabili attraverso una moltitudine di progetti,


iniziative e attività preposte al riconoscimento, alla denuncia e, quindi, alla
prevenzione e repressione del mobbing.
Un esempio ne sono questi indirizzi:

• www.mobbing.comunitaeuropea.com
• www.ugl.it/ugl/mobbing/Page.asp
• www.buoniesempi.it/scheda.asp

• www.101professionisti.it/guide/mobbing/home.aspx

• www.girodivite.it

• www.provincia.le.it/sis/doc/propleggemobbing.doc

• www.aziendalex.kataweb.it/article

• www.riflessioni.it/testi/mobbing.htm

• www.ausl.pe.it/mobbing/mobbing.htm

• www.uil.it

• www.unicam.it/ssdici/mobbing/mobb5III_00.html

• www.studiolegale-online.net/assistenza_legale.php

e molti altri ancora.

5. CONCLUSIONE
Le uniche strategie imprescindibili sono quelle atte a prevenire il fenomeno ed
aggredire le sue manifestazioni.

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Il mobbing nel diritto del lavoro

E' necessario intervenire sull'organizzazione del lavoro e su un efficace ed


efficiente processo formativo ed informativo dei lavoratori a tutti i livelli operativi,
attraverso un'adeguata valutazione del rischio.
Vista l'interdisciplinarità con la quale si deve affrontare una problematica
complessa è assolutamente indispensabile raggiungere una “uniformità di
linguaggio” da parte di tutte quelle professioni coinvolte nel processo.
Il fenomeno deve essere riconosciuto, assimilato, interiorizzato dall'azienda e dai
lavoratori per poter essere riconosciuto, combattuto ed eliminato il più presto
possibile, ossia aggredirlo quando rappresenti un rischio non accettabile. La
vigilanza ed il controllo istituzionale sono imprescindibili, perché stiamo
affrontando fenomeni e problemi, ossia pericoli e rischi per la salute e la sicurezza
dei lavoratori che sono dei beni sociali e come tali costituiscono un generale
interesse collettivo e quindi istituzionalmente tutelato, e lo stato di pericolo per un
lavoratore deve essere penalmente sanzionato.
Il lavoro è uno dei momenti fondamentali di autorealizzazione dell'individuo; la
menomazione di questa opportunità per conflitti interpersonali nei luoghi di lavoro
o per decisione dell'azienda, ente o amministrazione pubblica è un fatto
gravissimo sia sotto l'aspetto della tutela individuale della persona, sia perché
genera delle diseconomie interne ed esterne, dirette ed indirette al luogo di lavoro.
La cooperazione nel lavoro è la miglior strada per un'adeguata utilizzazione e
valorizzazione delle risorse umane e per questo è necessario trovare un metodo
che riveli e non nasconda i legami, le articolazioni, le solidarietà, le implicazioni, le
connessioni, le interdipendenze e le complessità. La convergenza di interessi tra
imprese, lavoratori, istituzioni e rappresentanze delle forze sociali è a questo
punto evidente, ed è per questo che il percorso di soluzione del problema e tutela
dal fenomeno deve essere tracciato da tutti i soggetti che ne sono coinvolti, così
da creare una sistema che valuti realmente tutte le problematiche emergenti e si
adoperi per risolverle.

Bibliografia

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Il mobbing nel diritto del lavoro

”Il Mobbing in Italia. Introduzione al Mobbing culturale”


Ege H., 1997, Pitagora Editrice, Bologna

“Mobbing. Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro”


Ege H., 1996, Pitagora Editrice, Bologna

”Stress e Mobbing”
Ege H., Lancioni M., 1998, Pitagora Editrice, Bologna

”I numeri del Mobbing. La prima ricerca italiana”


Ege H., 1998, Pitagora Editrice, Bologna

“Stop Mobbing”
Casilli A. A., 2000, Derive Approdi, Roma

”Mobbing: conoscerlo per vincerlo”


Ege H., 2001, Franco Angeli, Milano

“Cattivi capi e cattivi colleghi”


Gilioli A. e R., Ed. Mondadori, 2000

“Mobbing. Vessazioni sul lavoro”


Monateri P. G., Bona M., Oliva U., Giuffrè editore, Milano, 2000

“La valutazione peritale del danno da mobbing”


Ege H., Giuffrè editore, Milano, 2002

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