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Anno 0  Numero 6

INDICE

EDITORIALE………………………………………………………………….……………...pag. 2

LA COSA PUBBLICA (1)………………………………………………………….……….pag. 4

QUEL TREMENDO SBAGLIO, IL ’68!........................................................................pag. 7

BALLA: LA MODERNITA’ FUTURISTA……………………………….…………….…pag. 10

PADRONI DEL NOSTRO FUTURO……………………………………………….…….pag. 13

LA FILOSOFIA DEL DENARO “SIMMEL”………………………...………..………….pag. 15

SCAMBIO DI MAIL………………………………………………………………………...pag. 18

INTERVISTA A VINCENZO SOFO, RESP. DI GIOVENTU’ ITALIANA MILANO....pag. 20

INTERVISTA COMMANDOS TIGRI………………………………………………..……pag. 23

QUALCOSA (DI FUTURISTA) SU SINTESI……………………………………..……..pag. 31

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EDITORIALE

Ci siamo, siamo in campagna elettorale... una campagna già segnata


dalla spartizione del potere tra PD e PDL. L'elettorato deciderà su
quanto potere uno dei due maggiori partiti (?) potrà esercitare. E la
Destra? Due forze politiche di Destra si sono presentate alle elezioni,
la Destra che si è alleata alla Fiamma tricolore e Forza Nuova che ha
trovato come alleato Pino Rauti (ma non va più in pensione? La famosa
giovinezza fascista... eccola rappresentata da uno dei suoi maggiori
esponenti politici degli ultimi 50 anni...). É probabile che il 15 aprile
nessun rappresentante dello schieramento a Destra avrà la possibilità
di sedersi in parlamento, anzi è proprio poco possibile raggiungere il
4% alla camera a livello nazionale e l'8% al senato a livello regionale.
MA allora cosa serve essersi candidati? Quale motivo vi è dietro la
presenza delle liste elettorali della Destra?
Il motivo è superare l'1% che dà diritto al rimborso elettorale e quindi
a 2 euro per voto ricevuto e quindi la sopravvivenza del partito.
Sicuramente il pensiero dei dirigenti de La Destra è questo: prendere
più voti possibili (tanto meglio se si arriva al 4% ecc... ) per acciuffare
un bel gruzzolo che verrà investito alle prossime elezioni EUROPEE
(2009) dove sicuramente si faranno eletti sia perchè la legge
elettorale è proporzionale con lo scorporo (quindi possibilità di
elezione di rappresentanti con i resti a livello nazionale) sia perchè AN
non ci sarà più perchè avrà aderito completamente al PDL. Forza
Nuova invece è probabile che abbia fatto la scelta per ribadire da una
parte la sua presenza anti-sistema (peccato per la candidatura di
Rauti) e dall'altro a un probabile accordo sottobanco per fare andare il
segretario Roberto Fiore al parlamento Europeo tramite le dimissioni
della Mussolini. Ma in tutto questo cosa pensiamo? Che entrambe le
formazioni hanno fatto bene e fanno bene. Primo Fn e La Destra hanno
poco in comune sia come storia che come posizioni ideologiche inoltre
perchè la presenza dei due movimenti non crea problemi di voti, Fn
non supererà lo 0,5 e La Destra non arriverà al 4% per molto di più
dello 0,5% dei voti di Forza Nuova. Ma con questa operazione
entrambi i movimenti avranno la possibilità di boccate d'aria e di

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preparare le EUROPEE con un po' di sollievo e speranza.
In tutto questo speriamo, dal momento che il nostro ragionamento sia
giusto, che le nuove risorse servano a creare i presupposti per un
futuro in cui la DESTRA inizi a contare davvero. Ci chiediamo invece
che uomini sono tutti coloro che meno di 15 anni fa urlavano “non
vogliamo morire democristiani”, sono i veri sconfitti, i veri infinocchiati
dalla politica. Ogni tanto li si incontra in giro per Milano e subito a
raccontarsi le balle che serve per non fare vincere la sinistra... come
Montanelli... e vai continuare a turarsi il naso...

Un politico pensa alle prossime elezioni, un uomo di stato alle prossime


generazioni. (John Clarke)

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LA COSA
COSA PUBBLICA  1
Sulla democrazia

La casta. Un tema molto di attualità e che pone la riflessione su un


piano ben più ampio: la giusta forma di governo, la quale ormai per
abitudine subito si focalizza in un ambito preciso, cioè come
correggere certi meccanismi affinché tutto funzioni secondo il dictat
democratico. Si capisce quindi che il dibattito reale non si concentra su
quale forma sia più adatta alle esigenze dei nostri tempi (la
democrazia non è quindi messa in discussione), ma sulla ricerca di ciò
che è in contrasto con essa. La democrazia è il presupposto di tutti gli
Stati occidentali moderni. Perché? Essa vuol dire governo del popolo
(dal greco, demos: popolo, cratos: potere), e questo è considerato un
punto di partenza dal quale non si può prescindere. In realtà un’analisi
attenta metterebbe in discussione la democrazia stessa come metodo
valido per il governo di un popolo. E possiamo renderci conto di ciò
prendendo in considerazione quella che è considerata la prima forma
di democrazia attuatasi nella civiltà occidentale: la democrazia
ateniese. Essa è un punto di riferimento a cui tendere, quasi un mito in
quanto realizzazione della vera democrazia, quella diretta, che
consegnava alla popolazione lo scettro del comando senza dover
ricorrere ad intermediari. Approfondendo l’organizzazione della polis,
ci si rende conto che essa presentò dei limiti, uno dei quali manifesta
l’incompatibilità di questo tipo di organizzazione con il concetto
moderno di democrazia, mentre l’altro rappresenta il motivo della
decadenza della stessa polis. E’ dunque importante prenderli in
considerazione entrambi.
Il primo motivo consiste nel modo in cui era effettuata la democrazia
ateniese. Ad Atene la popolazione era suddivisa in quattro categorie: i
cittadini, i metechi, i liberti e gli schiavi. Di questi soltanto i primi
godevano dei diritti politici. E’ perciò comprensibile come la politica
fosse esercitata da una piccola minoranza di persone e come ciò
contrasti con la nostra concezione di democrazia che, a differenza di
quella degli antichi (la quale era basata sul concetto di partecipazione
alla cosa pubblica di coloro che avevano diritti politici), si fonda sulla
libertà e sul diritto di tutti di poter decidere.

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Il secondo limite consiste nei requisiti che l’attuazione della
democrazia richiedeva: le dimensioni limitate del territorio nel quale
veniva applicata e l’interesse delle persone verso tutto ciò che
riguardava la cosa pubblica. Il venir meno di questi due requisiti portò
infatti alla decadenza di Atene e delle poleis. Infatti le guerre intestine
della Grecia non bastano a spiegare la fine di tale civiltà, perché esse
c’erano sempre state ma non ne avevano impedito la crescita. Il
sistema Grecia era tutto fondato sulla città-stato, la quale
presupponeva la partecipazione diretta della popolazione (che si
riuniva nelle agorà), che era numericamente limitata. In questo
contesto i cittadini non si limitavano all’interesse per la propria
attività, ma si occupavano di tutto ciò che riguardava la città. Non vi
erano tecnici o specialisti, e ciò favoriva la completezza dell’essere
umano. Ma tecnici vi diventarono con il passare del tempo, quando
l’autarchia che caratterizzava questa società venne messa da parte per
far posto ai rapporti con le altre realtà. Lo sviluppo del commercio e i
numerosi conflitti con le altre potenze resero necessaria l’esistenza di
tecnici che sapessero fare bene un determinato mestiere. Questa
progressiva specializzazione impediva alle persone di avere del tempo
per dedicarsi alle altre “faccende pubbliche”. L’autarchia venne
sostituita dall’esigenza di un mondo più aperto. Si passò dalla polis
alla cosmòpoli. Il risultato fu questo: aumento del numero degli
abitanti e specializzazione del mestiere, il che causò la maggior
attenzione per l’interesse particolare a discapito del bene comune.
Tutto ciò spiega come la democrazia diretta – che rappresenta l’unica
vera forma di democrazia – non possa esistere in un contesto
globalizzato e specializzato come quello della nostra società attuale. A
ciò i moderni stati occidentali hanno riparato utilizzando un altro tipo
di democrazia: quella rappresentativa.
Bisogna tuttavia discutere se essa sia realmente una forma di
democrazia (intesa secondo la concezione moderna), se cioè
effettivamente essa lasci la sovranità nelle mani del popolo.
Massimo Fini, nel suo libro “Sudditi”, volge delle critiche alla
democrazia rappresentativa, le quali meritano di essere prese in
considerazione. Egli fa infatti notare come, alcuni elementi considerati
cardine della democrazia siano in realtà presenti anche in altre forme.
E’ il caso, ad esempio, del consenso (che può essere presente anche
nelle dittature), del potere della legge (maggiore negli stati
autoritari), l’uguaglianza dei cittadini (cosa che avviene anche nei

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regimi comunisti), la rappresentanza (i monarchi rappresentano il
popolo, almeno formalmente),ecc.
A ciò aggiunge che, nella democrazia rappresentativa, le elezioni sono
l’unico momento in cui effettivamente esercita il proprio potere,
dopodiché egli retrocede dalla posizione di governante a quella di
governato. La questione del voto è anch’essa da analizzare. La
democrazia prevede che il voto sia libero e uguale. Per quanto
riguarda la libertà del voto, la quotidianità ci dimostra che esso è
condizionato dagli strumenti del consenso (mass media su tutti). La
stessa campagna elettorale esiste proprio per condizionare gli elettori
e influenzare la loro scelta. Il cittadino pertanto non esercita il proprio
potere liberamente. L’uguaglianza del voto merita invece un
approfondimento tale da rendere necessaria una “puntata” a parte
(onde evitare di rendere il pezzo troppo lungo e noioso). La tesi di
fondo a favore del voto uguale è la seguente: ad ogni uomo deve
corrispondere un uomo, ed i voti hanno lo stesso peso…è giusto questo
presupposto? Sarebbe utile a tal proposito valutare le teorie
dell’elitismo, ma per questo vi rimandiamo al prossimo numero di
Sintesi.

La democrazia fondata sull'uguaglianza assoluta è la più assoluta tirannide.


(Cesare Cantù)

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QUEL TREMENDO SBAGLIO, IL Â68!

Sono passati ’40 anni dalla rivoluzione culturale che investì l’Italia, era
il ’68. Era il tempo degli studenti che avevano un sogno. Avevano
un’ideologia. Credevano in utopie. Volevano la rivoluzione. Era il ’68.
Dall’America arrivò, prima in Francia e poi in tutta l’Europa, la voglia
degli studenti di cambiare. All’inizio non vi era una vera e propria
connotazione ideologica, era per lo più una scelta generazionale…
quella di rivolta al capitalismo e alle ingiustizie. Una rivolta, dicevamo,
che nacque nelle Università e che si proponeva come vero
cambiamento e rottura verso il modello dominante, il modello
borghese. Una rivolta nei costumi. Giovani di tutte le estrazioni sociali
e con diverse visioni ideologiche si riversarono nelle piazze e
occuparono le Università. Vi era una forte volontà da parte dei giovani
di avere una modernizzazione di tutte le istituzioni.
Tutto procedeva verso una vera rivolta generazionale… sino a Valle
Giulia… li, in quel momento storico, la Destra mancò e si lasciò
trasportare dal suo istinto reazionario e borghese che la incatenava
dalla caduta del fascismo a stampella del sistema. Solo oggi ci si può
rendere conto di quanto drammatico ed errato fu la decisione di
contrastare le “effervescenze” giovanili invece di coinvolgerle in un
progetto di cambiamento globale delle società. Un grave errore che
fece finire masse di giovani verso il comunismo cinese e le ideologie
materialiste. Un errore che fece un gran piacere a dirigenti del partito
comunista, ai movimenti extraparlamentari guidati da uomini come
Capanna. Un errore che ancora oggi paghiamo. Lo paga tutta la
società.
Oggi viviamo i risultati di una rivolta generazionale che ha portato a
delegare tutto, alla deresponsabilizzazione, del tutto è un diritto, del
politically correct, del perdonismo… etc etc, di tutta quella cultura che
oggi rovina la società; la imbavaglia nel tutto è relativo, tutto è
opinabile, tutto giusto e sbagliato. Si è andata a costituire la società
del “vietato vietare”, tutto è lecito senza limiti. Una cultura così
lontana dalla nostra visione di società, visione che si rifà ad una

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visione tradizionale in cui vi è sostanziale differenza tra giusto e
sbagliato. Una società in cui la responsabilità soggettiva è prevalente
(perché alla fine è sempre l’uomo che sceglie). Una società che non sia
impregnata di sterile e umiliante egualitarismo ma che guardi e premi
il merito. Una società che dia senso al sacrificio e all’impegno per
migliorare la propria esistenza e quella della comunità di
appartenenza. Noi vogliamo uno Stato che sia in grado di intervenire,
di prendere decisioni, si scegliere per il bene dei suoi cittadini. Noi
siamo per la vita e per la salvaguardia della dignità umana.
Il ’69 ha introdotto un virus nella società che piano piano l’ha
sconvolta, la modificata alterando la normalità con una visione
artificiale della vita, quella visione che vuole rendere eguali le coppie
omosessuali a quelle che noi reputiamo “normali” cioè composte da
una donna e un uomo . Oggi, quindi, si vuole addirittura alterare ciò
che compone e crea la società, la famiglia. Vi è in atto un tentativo di
svilire il ruolo del genitore. Partendo dal divorzio per arrivare
all’aborto si è introdotto in Italia un modello di delegittimazione della
responsabilità che produce un male inguaribile: l’esaltazione della
libertà dell’individuo.
L’individuo viene collocato come essere a se, come figlio del mondo a
cui non deve rendere conto se non a se stesso, come soggetto a se
stante a cui è permesso “quasi” tutto per diritto. Molti credono, al
contrario di noi, che il ’68 non fu un’occasione perduta in quanto lo
vedono come ciò che oggi si è rivelato, cioè la negazione di tutto ciò in
cui crediamo. A queste persone rispondiamo che sono loro a non avere
colto che ciò che oggi si è verificato è a causa della nostra sconfitta di
allora. Non abbiamo avuto il coraggio di dare una prospettiva positiva
alla rivolta generazionale. Si è preferito la via di comodo. Si è preferito
stare giù dalle barricate a difendere i privilegi di coloro che ieri come
oggi mantengono il potere. La rivolta era possibile anche per noi e
proprio in quanto noi pensavamo di essere la parte sana della società
dovevamo tentare. Osare. Ma la nostra volontà, troppo umana, per
citare un filosofo a noi caro, ci ha fatto scegliere di stare con i
rappresentanti del potere. Oggi, a causa di quelle scelte, dobbiamo
lottare contro una società che nega da una parte tutti i nostri valori e
dall’altra è ancora in mano ai soliti potenti; al sistema dei furbetti, dei
tangentisti, dei mafiosi e degli speculatori.
Troppe volte il nostro mondo confonde la rivolta del ’68 come un
tentativo comunista di prendere il potere in Italia. No, fu a causa delle
scelte di uomini poco lungimiranti e molto borghesi che il movimento

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degli studenti si andò ad unire alle forze che si rifacevano a Mao e al
comunismo. Fu l’errore dei dirigenti del maggiore partito di destra,
l’MSI, che portò migliaia di studenti ad abbracciare il comunismo.
Si confonde ciò che era con ciò che si vuole credere che fosse.
La nostra colpa è stata quella di avere paura della forza del
cambiamento, paura di non credere in ciò che sempre noi abbiamo
decantato: la giovinezza.

I saggi fanno tesoro della scienza, ma la bocca dello stolto è un pericolo


imminente. (Salomone)

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BALLA: LA MODERNITAÊ FUTURISTA
Recensione

Balla approda a Milano. L'artista torinese sarà in esposizione fino al 2


giugno a Palazzo Reale, sede storica per le rivalutazioni artistiche e
l'apprezzamento dal grande pubblico.
La mostra si articola lungo un percorso attivo, lungo i periodi di attività
del maestro, per poi concludersi senza circolarità; e solo in questo
uscire ripercorrendo il profano potrà apprezzare meglio, se non
addirittura capire la rivoluzione non tanto stilistica quanto concettuale
sviluppata dal nostro.
Entrando, si percepisce l'atmosfera di quei primi anni del secolo nuovo,
gli anni del soggiorno parigino, durante i quali i suoi ideali socialisti,
ideali sempre vivi in lui, incontreranno le sperimentazioni tecniche
dell'impressionismo e post impressionismo. Emblematici in questa
direzione sono “lavorano,mangiano,ritornano”, che si serve del
divisionismo per proporre una critica sociale non più sul modo del
primo realismo, ma unita al movimento dei tempi, reso grazie al
movimento circolare su cui è costretto lo sguardo per leggere le tavole
dalla disposizione inconsueta così come all'opposto si colloca “l'agave
sul mare, il mare di Anzio”, agave leggera nella sua consistenza, che
sembra osservare il mare, aspettando. Tutta questa prima sala è
orientata alla ricerca fotografica di una realtà che aspetta, eternizzata
nei busti dei giardini romani e nelle donne in attesa, statuarie eppure
come di passaggio; tutto, grazie al tratto veloce che cerca luce.
Si passa poi alle tre sale dedicate all'analisi del movimento futurista.
Siamo qui ai primi anni '10, successivi ai primi manifesti del
movimento futurista; anni in cui scopo dell'arte non è più il fotografare
ma il rendere il movimento del reale. Anni in cui si sviluppa
l'automobile, il treno, la luce elettrica, e tutto corre, si accende. Tutto,
dalla “bambina moltiplicata balcone” ai “mercuri”, senza tralasciare le
serie delle velocità, in cui la mono o bicromia è tesa a rendere l'unicità
del movimento che comprende in sé, riunendoli, tutti gli elementi che
coinvolge con il suo movimento circolare, con le sue linee di fuga che
tutto tagliano e ricompongono. I numerosi studi grafici che corredano
le opere ne permettono una più facile comprensione, nonché aprono lo

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sguardo sulla superba capacità grafica dell'artista.
La parte veramente degna di nota è però quella a venire; si accede
infatti alla sala successiva, dedicata alla ricostruzione futurista
dell'universo. Si trovano in questo spazio i disegni e dipinti e sculture
successivi alla redazione del manifesto concernente lo stesso tema, la
cui stesura risale al 1915 e alla mano amica del gigante della grafica e
della progettazione scenografica Fortunato Depero.
Il percorso è aperto da schizzi, studi grafici e cartoline
“futttturisssssteee” spedite ai suoi amici-colleghi del manifesto o
sostenitori dello steso, nonché da oli e disegni di studio per
scenografie e costumi per spettacoli futuristi, quali ad esempio la
progettazione della scena per “cielo e ciglia” di Cangiullo, eccellente
nelle parolibere più che in altro, risalente al 1921. Sempre a proposito
delle parolibere, ecco le grandi grandissime presentazioni di queste, in
disegni e dipinti che venivano declamate nelle serate futuriste, come
raccontano elica e luce nel video che scorre nella sala per spiegare la
poetica del padre. video che, piccola parentesi, con le scene di
Stavinskij e la musica dei Pink Floyd è un'opera in sé.
Comunque, tornando indietro nella medesima sala, un'aiuola circolare
sorregge un finto albero i cui frutti sono le sculture lignee raffiguranti
coloratissimi fiori destinati alla fruizione domestica; dalle pareti
intorno emergono gli studi per gli abiti futuristi, in primis lo studio per
maglione futurista (1925) e per la cravatta (1916), sorretti dal
manifesto del vestimento futurista: il vestito antineutrale, datato al
1914, in cui gli artisti si scagliano contro le tinte piatte e borghesi,
contro il monocromo e il puntinato, contro l'ovvietà delle solite stoffe,
concludendo con l'abolizione quasi totale del nero. “Le mori eroiche
non devono essere compiante, ma ricordate con vestiti rossi”.
Lodevole, estremamente lodevole, il fatto che fu non solo tra i primi a
teorizzare e progettare, ma fu tra gli unici a indossare le sue idee,
dalla cravatta di cartone all'abito di luce. Luce che impronta, come già
si è visto, la poetica degli inizi dell'artista, prima appunto sulla scia del
reale, per renderlo ancora più reale, poi per superarlo, con l'ideazione
dei balletti astratti dominati dal colore delle luci danzanti. in questa
porzione di spazio dedicato all'argomento della ricostruzione
dell'universo, spicca la scultura “il pugno di boccioni”, bronzo fuso
negli anni '50 i cui studi risalgono agli anni '10-'20, studi sia grafici
che in rilievo. lo schizzo a lapis del 1916 ha come supporto un non
meglio identificato libro, più precisamente il capitolo ottavo dal titolo
“la flottiglia dei m.a.s.”. Lettura ispiratrice?

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Il legame di balla con la politica a venire non sarà facile; il fascismo
degli inizi non ha tempo da dedicare all'arte, che entrerà nel regime
soltanto con la Sarfatti, grande donna di cultura, l'amante ebrea del
duce, che fino al 1943 sarà la critica madre di novecento, vera e
propria arte di regime, accanto al futurismo architettonico di Sant'Elia,
deceduto troppo presto perché divenisse reale. Ma questa è un'altra
storia.
Il balla che viene escluso dalla politica ufficiale non ripiegherà
certamente su se stesso, ma anzi, sostiene con più forza la funzione di
un'arte che abbia un ruolo ufficiale e attivo nella vita, la vita di tutti i
giorni, grazie a un decorativismo da applicare al quotidiano.
Egli si dedica infatti alla creazione di un mondo futurista, che parta
dalla carta da parati per arrivare alle opere provocatrici di idee, che
poi, in realtà, è l'unico vero scopo dell'arte. non solo in teoria; basti
infatti varcare la soglia delle ultime due sale, intitolare rispettivamente
“arte-azione futurista” e “sensazioni ed energie”.
Per quanto possa essere stato rifiutato dal regime, che poi non si
tratta di vero e proprio rifiuto ma di una scala di priorità che non può
permettersi di osannare così presto un movimento così d'élite, rimarrà
in lui la forza nazionalista che ne aveva guidato la forte propaganda
interventista nel '15, concretizzatasi nei collage e negli oli su tela di
“manifestazione interventista”, “manifestazione patriottica”,
“oscurantismo e progresso”, per concludersi con l'immenso smalto su
tela, ancora un trittico piramidale datato al 1927, “le mani del popolo
italiano”, mani che si protendono verso una luce di stella-sole che
abbaglia il sottostante, un'immensa mano verde e la speculare rossa,
su un luminosissimo sfondo sbianco, che richiamano il socialismo degli
inizi e la consapevolezza del presente.

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Padroni del nostro futuro

Vogliamo promuovere, con ambiziosa azione, la creazione di un punto


di riferimento a coloro i quali non intendono arrendersi di fronte ai
modelli comportamentali della società d'oggi. Per questo avanziamo
un programma suddiviso in quattro punti fermi :

1) RESPONSABILITA': Troppo spesso si antepone la richiesta di diritti


(recitati il più delle volte pedissequamente e senza troppa
convinzione) ad ogni forma che comporti il senso del dovere.
proponiamo la responsabilizzazione del mondo giovanile contro la sub
cultura del "tutto e' dovuto".

2) APPARTENENZA: Ogni realtà comunitaria oggi e' demandata al


cosiddetto "comitivismo giovanile"vuoto succedaneo proteso alla
divisione tribale del mondo dei giovani. Noi proponiamo volgere
l'attenzione al principio dell'APPARTENENZA di gruppo intesa come
momento di partecipazione generazionale comune.

3) CITTADINANZA: Le moderne metropoli non ispirano certo - per la


loro struttura e i loro ritmi spesso alienanti- al senso di
CITTADINANZA attiva interessata alla tutela del bene comune.
Proponiamo di portare il senso di cittadinanza\appartenenza come
valore civico al centro della vita dei quartieri attivandosi in iniziative
che trovino nei giovani il loro protagonismo sociale.

4) VITALISMO: Come si e' precedentemente affermato il modello


dominante oggi nelle nuove generazioni e' contraddistinto dal mero
consumismo e da (dis)valori che impongono comportamenti degni di
individui "lobotomizzati".
Noi siamo portatori di una concezione volta all'esaltazione di ogni
manifestazione dinamica nella vita individuale e di quella sociale.
Promuoviamo il VITALISMO contro la mortificazione e l'inedia
permeanti l'odierna società .

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Scendiamo in campo contro l'esercito dei disillusi, dei parrucconi , dei
perbenisti e dei professorini di quarto ordine che pieni di boria
vorrebbero impartire alla gioventù proclami e obiettivi da loro
precedentemente e inevitabilmente falliti, ci riferiamo alla
gerontocrazia figlia del 68.

Alzate la testa!...Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta
ancora,la nostra sfida alle stelle!...
F.T. MARINETTI

Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare. (Seneca)

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LA FILOSOFIA DEL DENARO "Simmel"

La "Filosofia del denaro" (1900) è stata spesso considerata l'opera


migliore di Simmel: essa pone il denaro come simbolo dell'epoca
moderna , epoca caratterizzata dall'impersonalità dei rapporti umani,
sempre più freddi e distaccati, per analizzare poi, nell'ultima parte
dell'opera, le conseguenze negative derivanti dalla sempre maggiore
diffusione di questa organizzazione monetaria della società, e
riconosce nella più grave, la riduzione dei valori qualitativi a valori
quantitativi (tutte tematiche già in qualche misura toccate da Marx
stesso), dato che la vita diventa un continuo calcolo matematico, che
porta alla prevaricazione da parte dell'attività intellettuale delle
attività spirituali, in particolar modo di quelle affettive ed emotive.
L'ambiente perfetto per questa società è la grande città : gli effetti che
suscita nell'individuo vengono studiati ne "La metropoli e la vita
mentale". L'uomo diventa un piccolo ingranaggio rispetto all'enormità
di tutto il sistema, ed è costretto ad aumentare la sua attività nervosa
per adattarsi ai veloci cambiamenti tra sensazioni esterne ed interne.
Il tema principale della "Filosofia del denaro", è però il predominio
dello spirito oggettivo su quello soggettivo , che porta sino
all'alienazione totale dell'individuo: causa principale di questa
situazione è la divisione del lavoro dopo l'invenzione delle macchine;
l'uomo diventa parte di un processo di produzione, non si riconosce più
come autore del lavoro. Per Simmel l'individuo moderno è mobile,
fluido, plasmabile ma nel senso di un intreccio variabile di realtà date e
di possibilità costruite. L'uomo moderno è simile a una cifra da
cassaforte, formata da elementi comuni a tutti gli altri, mescolati però
in modo da produrre una precisa e inconfondibile combinazione. Nel
passato l'uomo era incapsulato dentro una molteplicità di sfere
tendenzialmente concentriche (famiglia, stirpe, corporazione, Stato,
Chiesa). Abbandonando tale ordine e ponendo il singolo
all'intersezione di circoli sociali eccentrici, la società contemporanea
avanza invece verso una accentuata differenziazione. L'individuo
diventa così tanto più se stesso, quanto più ingloba tratti di
universalità condivisi con altri e quanto più allarga il ventaglio delle
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combinazioni possibili (la tematica della massificazione è sullo
sfondo). Oscillando tra processi di socializzazione e di
personalizzazione, ciascuno ha ora l'opportunità, non sempre colta, di
realizzarsi. Dare senso alla propria vita quando la centralità
dell'individuo non è più garantita dalle istituzioni, è tuttavia
un'impresa ardua. A ogni accrescimento del ruolo della soggettività si
produce infatti, come contraccolpo, una dilatazione dell'ambito
dell'oggettività (e viceversa), nel senso, ad esempio, in cui la
razionalità inserita in una semplice macchina da cucire (oggettività
priva di coscienza, progettata però consapevolmente da uno o più
uomini) prende il posto della coscienza, dell'abilità, della capacità,
dell'attenzione della donna che con l'ago e il filo eseguiva a mano le
medesime operazioni. Simili movimenti risultano ora inglobati nella
razionalità interna della macchina , in cui lo spirito è - per così dire -
trapassato. La diffusione delle macchine esonera dalle mansioni più
pesanti o che richiedono maggior tempo, ma la prestazione si paga,
persino nel campo dei lavori domestici. Alla donna di determinati ceti
si spalanca infatti, all'improvviso, un inatteso spazio di virtualità, di
tempo libero, di cui essa però non ha ancora appreso a godere. La
nuova condizione la mette anzi in conflitto con il proprio ruolo
tradizionale, giacché il matrimonio in quanto istituzione non ha
progredito con la stessa velocità dello "spirito soggettivo" dei coniugi
e delle innovazioni tecniche. La liberazione dalle fatiche non si traduce
così in una maggiore soddisfazione personale, in un aumento sensato
del tempo di una vita sensata : moltissime donne della classe borghese
hanno visto sfuggire il contenuto attivo della vita senza che con
altrettanta rapidità altre attività o altre mete siano subentrate nel
posto rimasto vuoto. La frequente insoddisfazione delle donne
moderne, l'inutilizzabilità delle loro forze che retroagendo provocano
tutta una serie di turbamenti e di distruzioni, la loro ricerca, in parte
sana e in parte morbosa, di conferme in un ambito esterno alla casa, è
il risultato del fatto che la tecnica nella sua oggettività ha preso un
cammino proprio, più rapido della possibilità di sviluppo delle persone.
Quanto più la razionalità emigra dalla coscienza soggettiva e si insedia
in automatismi e supporti materiali (come il denaro), tanto più il
singolo rischia dunque di venire svuotato delle sue precedenti
prerogative. La razionalità tende a diventare priva di senso e il senso
privo di razionalità. Il trasferimento della spiritualità entro
automatismi oggettivi lascia tuttavia agli individui uno spazio sempre
più ampio di libertà e di indeterminatezza. Essi non si devono ora

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preoccupare tanto di sopravvivere, quanto di non "sottovivere", ossia
di non restare al di sotto delle proprie possibilità inespresse. La
pienezza e il significato della vita si ritrovano però in tempi e spazi
virtuali. Ad essi giungiamo in un movimento che solo apparentemente
va verso le cose future, e in direzione di paesi esotici. Li scopriamo
invece nel presente e dentro di noi. Ciò che si dimostra dapprima
estraneo o straniero è già in noi, è anzi noi. Attraverso un falso
movimento, Simmel scopre l'essenziale nell'inessenziale , fissando il
centro dei nostri interessi nella periferia della vita consueta: nel
marginale, nell'eccentrico, nelle possibilità non saturate che ci
vengono incontro come un dono o come il risultato di un'attività non
interamente nostra, non interamente voluta (l'avventura, i sogni, le
opere d'arte). Attraversando spazi logicamente intransitabili, si varca
con il desiderio la parete dello specchio che separa il reale
dall'immaginario, si penetra in un mondo senza spessore che appare
più significativo di quello in cui tridimensionalmente ed effettivamente
viviamo. Si stabilisce un gioco di vicinanza e di lontananza. Siamo
sospinti verso una zona di irrealtà che soddisfa, verso un'illusione più
vera di ogni realtà che ci circonda. Si aprono così impreviste e
improbabili finestre di senso, mondi extraterritoriali alla realtà e al
tempo cronologico, che alludono a un'altra esistenza più degna di
essere vissuta, a una gemma incastonata nella banalità del quotidiano.

Il denaro è come il letame, che non serve se non è sparso. (F. Bacone)

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scambio di mail⁄

Proponiamo qui di seguito uno scambio di mail tra il sig. Antonio e il


professor Marco Tarchi. La proponiamo così come ci è arrivata, senza
aggiunte e senza commenti.

“Caro Marco, ho appena finito di leggere la nuova edizione di


Fascisteria di Tassinari. Se lo hai sfogliato, avrai visto che qualche
cattiveria te la riservano; ma non credo che questo sia il problema,
oramai ci hai fatto sicuramente l'abitudine. Quello che
è insopportabile è che questo libro, ovviamente, visto chi lo ha
pubblicato, prosegue quella linea mistificatoria di studi sul
neofascismo partita con Telese e proseguita da Rao con “La fiamma e
la celtica”. In una parola, dal dopoguerra agli anni '70 tutto il
neofascismo fu solo attività di golpisti, massoni e filo atlantisti, finché
finalmente arrivarono i grandi politici di Terza Posizione che
riuscirono per la prima volta ad abbeverarsi alla purezza degli ideali,
e, tutto sommato, lo stesso può dirsi dei Nar e dello spontaneismo
armato. Così pagine e pagine vengono dedicate al Gruppo Ludwig, alla
banda della Magliana e a tutti gli scemi e psicopatici che in quegli
anni incrociarono per qualche motivo il modo dell'estrema destra,
magari solo per compiere attività puramente criminali. Sono andato a
rivedere gli anni di edizione di Proviamola Nuova, Hobbit Hobbit, etc.
etc.; forse in quegli anni c'era anche chi non passava le giornate a fare
a sprangate e/o a sparare alla gente a casaccio. Perchè tutto questo
viene ignorato? Dove vuole andare a parare questa gente? Io non
riesco proprio a capirlo. Ciao”.
ANTONIO C.

“Caro Antonio, non ho letto né la nuova edizione, né la vecchia.


Quest'ultima giace nella mia libreria assieme a tanti altri volumi che
vorrei leggere senza averne il tempo. Quando è uscita l'ho sfogliata e
vedere con quanta malafede si raccoglievano e commentavano certe
testimonianze di compiacenti personaggi dell'ultradestra terrorista
dell'epoca mi ha provocato un senso di repulsione. Cercherò di
vincerlo, prima o poi. Concordo con te sul rischio di mistificazione che

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emana da questa sorta di filone rievocativo, di cui ho letto e
commentato altri tasselli. Tu ti chiedi e mi chiedi "dove vuole andare a
parare questa gente". Si potrebbero avanzare varie ipotesi. Io ne
propongo una minimalista, senza pretendere che sia quella più
fondata: forse vogliono soprattutto, se non solo, vendere. Quali
prodotti editoriali possono, oggi, ambire a raccogliere 10-20.000
acquirenti oggi su quel versante? Quelli che vedi, incentrati su: a) la
vicenda straziante delle vittime del terrore. E', ahinoi, una versione
"nobile" della psicologia che attrae i televedenti davanti allo schermo
per i reality shows. Paga; b) la vicenda di successo del brutto
anatroccolo che diventa candido cigno e da frequentatore delle fogne
arriva a fare il sotto-vice-capo di governo. Tutti gli instant books sul
passaggio dal neofascismo missino alla destra governativa di AN
hanno seguito questo copione. Funziona; c) la vicenda dai toni forti dei
duri disposti a tutto pur di raggiungere lo scopo, per abietto che sia o
fosse. E' la trama dei gialli sanguinolenti oggi di moda, in stile
"Romanzo criminale". Anche questa furoreggia. Ti pare che nel filone
di cui fai cenno ci sia qualcosa che fuoriesce sostanzialmente da
queste coordinate? Pensi che un libro sugli sgobboni di Cison di
Valmarino raccoglierebbe più di 500 copie vendute (e sto largo)? Sì,
sui Campi Hobbit si potrebbe fare meglio, ma certo non ristampando
Hobbit/Hobbit (so che Telese ci aveva pensato, prima di leggerlo...).
Se si rimpinzasse di foto e si raccogliessero testimonianze su quel che
succedeva dentro certe tende, su sesso, alcool, droghe - che suppongo,
e in uno dei casi temo, fossero molto moderatamente profusi... -, saluti
romani, croci celtiche e slogan - che invece in più di un'occasione
furono troppo profusi... -, allora sì, forse un libro sull'argomento
venderebbe. E si troverebbero certo molti postfascisti immaginari
disposti ad inventarsi tutto l'inventabile pur di renderlo ancor più
appetibile. Ma credi che ne varrebbe la pena? Io no.
E se c'è in questa lista ancora un bel pò di gente che neanche si sogna
di leggersi "Al di là della destra e della sinistra" o "Le idee a posto"
malgrado i miei continui appelli, credi che si comprerebbero gli stessi
volumi se li ristampassero Mondatori o Sperling & Kupfer? Consentimi
una forte dose di scetticismo...”
MARCO TARCHI

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intervista a Vincenzo sofo,
responsabile di Gioventù Italiana
Milano
Vi proponiamo ora una breve intervista a Vincenzo Sofo, responsabile di
Gioventù Italiana Milano, il movimento giovanile de La Destra.

Come vedi l’unione tra La Destra e La Fiamma Tricolore?

E’ ovvio che chiunque abbia a cuore le sorti del nostro ambiente spera che un
giorno finalmente si concretizzi il sogno di un unico partito che riesca a
raccogliere l’intera nostra comunità. E’ questo un progetto che va studiato per
prosperare nel lungo termine e quindi non può ridursi ad un cartello elettorale
(cosa che ha già fallito in passato). Affinché possa realizzarsi con successo un
simile “matrimonio” non basta avere un’affinità ideologica, ma è necessaria
una visione comune su COME portare avanti queste idee. La missione di
ognuno di noi non si esaurisce nell’avere delle idee che si ritengono giuste. Non
basta questo per essere camerati, bisogna saperle portare avanti; e ciò
significa fare in modo che esse influenzino la realtà esistente.
Se la Destra-Fiamma saprà fare ciò, allora questa sarà un’unione vincente.
Altrimenti sarà l’ennesimo fallimento che aumenterà la sfiducia della gente che
si identifica nella nostra realtà ma che fino ad ora non si è sentita da essa
rappresentata.

Come ti relazioni con il fascismo?

Con il rispetto, la riconoscenza e l’ammirazione che si deve ad un movimento


rivoluzionario che ha avuto la capacità di costruirsi, affermarsi e innovare,
portando avanti valori intramontabili nei quali anche io mi riconosco,
rispondendo alle necessità della società di quel tempo e lasciandoci un’eredità
che purtroppo però non è stata sfruttata. Ovviamente non bisogna avere la
presunzione di dire che è stato tutta luce e niente ombre (caratteristica che
d’altronde appartiene a tutto ciò in cui l’uomo, che per natura non è perfetto,
mette le mani), ma voglio sottolineare come nell’arco di soli due decenni il
fascismo abbia saputo creare qualcosa che nei sessanta anni successivi non si
è stati in grado –per vari motivi- di sviluppare. Non ci si è riusciti forse proprio
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perché si è rimasti troppo legati ad esso. La forza del fascismo è stata il suo
modo rivoluzionario e nuovo e dirompente di proporre dei valori sacri ed eterni,
la sua capacità di renderli attuali e la sua volontà di renderli indistruttibili nel
tempo non limitandosi ad affermarli nel breve periodo, ma creando una base
culturale solida che li supportasse e li facesse permeare nel tessuto della
società. Questa è l’eredità che ci ha lasciato e questo è quello che noi
dobbiamo fare se vogliamo davvero onorarlo.

Che cosa rappresenta per te AN?

Al momento niente visto che è confluita nel partito di Berlusconi, tant’è che ieri
nel centro di Milano abbiamo persino celebrato il suo funerale. Folklore a parte,
AN per me rappresenta una grandissima occasione persa. Rappresenta la
volontà di essere di attualità invece che essere attuali con i propri valori. Mi
spiego meglio: AN rappresenta la rinuncia a combattere per i propri valori a
costo dell’impopolarità (dovuta al fatto che la lotta doveva avvenire in un
contesto culturale materialista, relativista, comunista, ecc., quindi radicalmente
opposto al nostro). In questo caso si è preferito invece rinunciare a questi
valori per essere maggiormente accettati nella società odierna e per assicurarsi
quindi una carriera politica scontata. In due parole, la DESTRA DI COMODO
che preferisce adattarsi completamente al sistema piuttosto che combatterlo.

C’è una mancanza di cultura strutturale a destra e soprattutto nei


giovani che manifestano con la forma il loro pensiero…si può parlare di
pensiero moderno della destra?

Se per pensiero moderno si intende la capacità di interpretare e risolvere le


questioni del nostro tempo, credo che ci sia molto da lavorare. C’è un difetto a
mio avviso nei giovani di destra e che invece si presenta meno in quelli di
sinistra: la capacità e la voglia di formulare idee con la propria testa. Nel
nostro ambiente vige una sorta di paralisi dovuta all’eccessivo senso
dell’autorità e al sentimento di devozione verso pensieri già esistenti. Essi
vanno sì rispettati e appresi, ma non ci si deve limitare a quello, bisogna
andare avanti. Detto banalmente, ho sempre ammirato maggiormente chi
esprime un concetto proprio rispetto a chi ne esprime uno altrui. Guardiamo ai
grandi filosofi, pensatori, politici, ecc. che studiamo a scuola (e pensiamo
anche a quelli appartenenti alla nostra cultura che non ci vengono fatti
studiare): essi sono diventati grandi non perché hanno ripetuto ciò che
dicevano altri prima di loro, ma perché hanno saputo creare qualcosa di valido
con la propria testa. E questi autori non vanno ignorati; al contrario devono

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essere analizzati con cura perché da loro possiamo apprendere moltissimo.
Non devono però rappresentare un punto di arrivo, bensì un punto di partenza.
Devono fornirci le basi per poter sviluppare qualcosa di nuovo, di nostro. E’ per
questo che è di fondamentale importanza la formazione culturale (la qual cosa
fu perfettamente compresa dal fascismo): per poter interpretare efficacemente
la realtà contemporanea è necessario l’apporto innovativo di chi vive la
contemporaneità. Per potersi occupare del futuro c’è bisogno di gente che
abbia ancora tutto il futuro davanti. Detto ciò, non bisogna però neanche
trascurare il contributo importantissimo di chi questo percorso l’ha fatto prima
di noi.
Insomma dobbiamo ricordarci sempre che bisogna sì imparare da chi ha
un’esperienza ed un bagaglio culturale superiore al nostro, ma possiamo
appropriarci del futuro solo con la nostra testa, perché non c’è nulla di più
attuale, dinamico ed innovativo della testa di un giovane. Solo con i giovani si
può restare moderni.
Il domani appartiene a noi…

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INTERVISTA COMMANDOS TIGRI

1) Ciao Giulio, cominciamo con un po’ di storia: quando e come nasce il


CT? Quali le sue caratteristiche ed il modo di tifare? Quale lo spirito
che vi ha contraddistinto? Come mai si scioglie il CT? Tira un po’ tu le
fila di questo gruppo!

Il Commandos Tigri, e di conseguenza il movimento ultras bustocco, inizia a


muovere i primi passi nel 1973 per opera di un gruppo di ragazzi che legati da
profonda amicizia e sospinti sia da quanto stava ormai avvenendo nelle
maggiori città italiane, ed in particolar modo nella vicina Milano, sia da un forte
entusiasmo ed una nuova concezione di vivere lo stadio, decisero di
organizzarsi per dare il proprio sostegno alle tigri bianco-blu. In quei tempi il
tifo era spontaneo e piuttosto rudimentale, il materiale come sciarpe e
bandiere venivano prodotti in casa, le latte di vernice vuote venivano utilizzate
come tamburi ma ciò che più contava era il cambiamento epocale che ormai
stava prendendo forma. Nella stagione 79/80 nacquero i Tigers Supporters che
si avvicendarono con il Commandos Tigri caratterizzando un decennio della
storia del panorama ultras bustocco ma nella stagione 87/88 in seguito alla
retrocessione dell’amata Pro Patria nel campionato dilettanti i TS si sciolsero e
la loro eredità venne presa in carico dai più giovani che decisero di
riorganizzarsi rispolverando il nome del vecchio Commandos. L’attaccamento

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alle proprie radici fu un punto di partenza ma tante cose erano cambiate,
innanzitutto il gruppo era composto da ragazzi più giovani rispetto a quanto
non lo fossero i TS, inoltre decisero di prendere parte a questo nuovo progetto
elementi che portavano con se l’esperienza accumulata in anni di militanza in
curve di serie A; anche il nostro modo di tifare divenne differente, la fusione
fra lo stile tipicamente italiano e quello anglosassone aveva dato vita ad un
modello che ci caratterizzava e ci distingueva dalla maggior parte delle
tifoserie. Nel 95 ritrovammo la serie C2 dopo parecchi anni di purgatorio
disputati nelle categorie dilettantistiche durante i quali il gruppo non smise mai
di dare il proprio supporto alla squadra; il salto di categoria contribuì a creare
grandissimo entusiasmo in città tanto che il CT ne trasse grandi vantaggi
anche per merito di un direttivo molto organizzato e con gerarchie ben definite
che riuscì a gestire nel migliore dei modi la situazione che si era venuta a
creare. Nel 2000 in seguito agli incidenti nel derby di Legnano subimmo 3
arresti ed il direttivo venne quasi interamente diffidato mettendo in ginocchio il
gruppo, si decise quindi di non esporre più Commandos Tigri ma di presentarci
per il resto della stagione con lo striscione “non reprimerete mai la nostra fede”
da quel momento in poi anche il nostro impatto estetico fu differente in quanto
i vecchi striscioni furono messi da parte per dare spazio agli stendardi in
rappresentanza delle varie realtà esistenti all’interno della curva bustocca; allo
stesso tempo prese piede il movimento casual, vennero così archiviate le
caratteristiche maglie blucerchiate che ci fecero contraddistinguere negli anni
precedenti come una tifoseria molto colorata. Lo scioglimento del CT
sopraggiunse nell’estate del 2003 in maniera abbastanza improvvisa sia perché
si riteneva che ormai un ciclo si fosse concluso, sia come forma di
contestazione nei confronti di una società che non aveva rispettato il nostro
dichiarato ideale nazionalista, la cui massima espressione era l’orgoglio di
sostenere una squadra composta da soli giocatori italiani; la nostra battaglia
durante quella stagione proseguì al di fuori dello stadio ed il tifo organizzato si
ripresentò solo l’anno seguente con una formazione senza alcun straniero in
rosa. Ciò di cui possono andare fieri tutti coloro che contribuirono a fare la
storia del CT è che, nel bene o nel male, abbiamo sempre combattuto per i
nostri valori ed i nostri ideali distinguendoci sempre per stile e mentalità.

2) Come organizzavate le trasferte? E quali sono state le più belle,


oppure le più lontane e difficili da affrontare?

Le trasferte venivano organizzate nella consueta riunione settimanale che si


teneva presso il nostro luogo di ritrovo che era Comunità Giovanile dove
quotidianamente si svolgeva vita di gruppo, come mezzo di trasporto era

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solitamente utilizzato il pullman o meglio il “lamierone” mentre per le trasferte
più vicine, quindi i derby, ci si spostava in treno. A mio parere le trasferte più
lunghe ed impegnative coincidevano quasi sempre con le più belle poiché le
svariate ore passate insieme ci permettevano di conoscerci sempre meglio e di
accrescere quella unità di gruppo che è fondamentale per poter creare
qualcosa di realmente concreto, inoltre gli show di alcuni personaggi facevano
sì che il pullman si trasformasse nel palco di un locale di cabaret cosicché fra
birre cori e risate anche la trasferta più lontana sembrava sempre dietro
l’angolo. Indicarne qualcuna in particolare diventa quindi molto difficile perché
ogni volta era una storia a se ma personalmente potrei citarti Crotone e
Brindisi per il fascino del sud, quelle di Trieste, Cremona e Sassari per
l’amicizia che ci ha sempre legato per non dimenticare i derby con Legnano e
Varese e con i rivali di Novara.

3) Quali sono le più belle coreografie che ricordi?

Le coreografie venivano sempre interamente prodotte da noi, ci armavamo di


vernice e pennelli per non dire di ago e filo per poter cucire le nostre creazioni;
fra le più belle a mio parere ricorderei quelle dei play off del 96/97 contro la
Pro Sesto che ci impegnò particolarmente per via delle notevoli dimensioni sia
della maglia che della riproduzione su tela dei monumenti cittadini fra i quali
spiccavano anche i tetti di una fabbrica che rivendicava l’anima industriale
della nostra amata Busto.

Pro Patria-Pro Sesto (1996-1997)

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Tra le altre citerei Pro Patria-Triestina play off del 00/01 e Pro Patria- Varese
02/03 dove spiccava sempre il tricolore in rivendicazione del nostro forte
nazionalismo.

Pro Patria-Triestina (play-off 2000-2001)

Pro Patria- Varese (2002-2003)

4) Gemellati e nemici, cosa mi dici?

Gemellaggi ed inimicizie sono come il dolce ed il salato sono quindi sapori che il
palato di un ultras deve per forza assaporare; al di la della similitudine
gastronomica al giorno d’oggi a causa della frammentazione che esiste
all’interno della maggior parte delle curve italiane risulta difficoltoso creare e
mantenere amicizie soprattutto perché, in quanto tali, vanno rispettate fino in
fondo in tutto e per tutto. I gemellaggi del CT erano con i ragazzi di Trieste e
Sassari mentre con Cremona era stata avviata una splendida amicizia che
continua ancora oltre lo stadio, per finire citerei anche i Bulldog Lucca con i
quali abbiamo avuto più volte modo di incontrarci, tali rapporti sono stati
mantenuti anche nel dopo CT tranne con gli ultras sassaresi i quali, per
motivazioni proprie, decisero di sciogliere ufficialmente tutti i gemellaggi ma
nonostante ciò anche successivamente ci hanno comprovato più volte che
l’amicizia si dimostra con i fatti e non con le parole. Per quanto riguarda le

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inimicizie non posso che menzionare i nostri derby storici con Legnano e
Varese, c’era e rimane la fortissima rivalità con Novara per non dimenticare poi
Mantova, non nutrivamo comunque in generale particolari “simpatie” per la
maggior parte delle tifoserie lombarde e piemontesi con le quali avevamo
avuto modo di “incontrarci in maniera ravvicinata”, posso quindi citarne
qualcuna come alessandrini, vercellesi, lecchesi, vogheresi e saronnesi, mentre
con i comaschi esistevano buoni rapporti a livello personale ma negli ultimi
anni si incrinarono per via del nostro gemellaggio con i triestini, tengo a
precisare in ogni caso che per noi anche il rispetto dei nemici è sempre stata
una prerogativa fondamentale.

5) I rapporti con la realtà ultras italiana in genere come erano?

I rapporti erano molto attivi per via delle molte amicizie personali che ognuno
di noi aveva coltivato durante gli anni di militanza nel gruppo, quindi fra raduni
ultras ai quali nei primi anni avevamo partecipato, e poi negli stadi negli
autogrill e tramite internet si era avuta la possibilità di confrontarsi con realtà
molto diverse dalla nostra e talvolta con tifoserie ostili. Quindi oltre che con i
gruppi ufficialmente amici i contatti in giro per l’Italia erano molteplici e
continuano ad esserlo tuttora, tra l’atro con molti dei ragazzi conosciuti sono
nate delle splendide amicizie che vanno oltre l’ambito sportivo colgo quindi
l’occasione di rivolgere un particolare saluto ai miei amici di Cremona, Sassari,
Trieste, Rimini, Verona, Lecco, Salerno e Sandro di Pavia.

6) Da anni un drappo “Busto Arsizio” segue la nazionale di calcio


italiana. Ci sono rapporti tra gli ex appartenenti al CT e questo gruppo?

Certo la maggior parte dei ragazzi che decisero di aderire al nascente progetto
“Ultras Italia”, appena avviato da veronesi, padovani e comaschi era sostenuto
in prevalenza da appartenenti al CT; infatti il nostro avvicinamento agli azzurri
ci fu nel 2000 in occasione degli europei che si svolsero in Belgio - Olanda,
mentre lo stendardo Busto Arsizio fece la propria apparizione nell’autunno dello
stesso anno quando vennero determinate le prime regole per la storica
creazione di un vero gruppo ultras per il sostegno della nazionale

7) Cosa ne pensi del movimento ultras odierno?

Ritengo che ai giorni nostri il movimento ultras sia entrato nella fase
discendente della parabola, il tutto dovuto a diversi fattori scatenanti fra cui in
primis sicuramente una repressione scriteriata da parte delle forze dell’ordine e

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governative che hanno criminalizzato senza distinzioni la nostra realtà, per poi
non parlare anche delle tv a pagamento che hanno allontanato sempre più la
gente dallo stadio; dobbiamo in ogni caso assumerci anche le nostre colpe,
infatti, invece di unirci per reagire in maniera compatta agli attacchi
provenienti dall’esterno, negli ultimi anni il processo è stato inverso e la
disgregazione anche all’interno delle curve più piccole è stata dilagante.
Nonostante i numerosi raduni svoltisi in tutta Italia non si sono ottenuti i
risultati sperati in quanto è risultato impossibile mantenere una linea comune
così ognuno continua sulla propria strada ma ormai il rischio è che dietro
l’angolo ci sia un vicolo cieco senza più una via di uscita, inoltre il ricambio
generazionale si è notevolmente ridotto in quanto a mio parere purtroppo i
giovani non coltivano più gli ideali di una volta che potevano essere rivolti alla
politica piuttosto che all’impegno in attività sociali come è la realtà ultras. Alla
fine dei conti la mia è un’amara constatazione ma spero di poter essere
smentito da ciò che accadrà in futuro, perché veder finire male qualcosa che ha
caratterizzato una parte fondamentale della propria vita sarebbe l’equivalente
di ricevere una pugnalata al cuore!

8) Hai qualche momento “storico” del gruppo che ti va di raccontarci?

Un momento particolare che ti voglio raccontare ha purtroppo un risvolto triste


dal punto di vista sportivo ma allo stesso tempo grande importanza per il modo
in cui il gruppo si è comportato in quell’occasione. Era il 6 giugno del 1998 e
disputavamo la semifinale di ritorno dei play-off per accedere al campionato di
C1 contro i nostri gemellati triestini, il risultato a due minuti dal 90’ era
inchiodato sul 2 a 0 per noi con la Pro virtualmente in finale al che, due ultras
triestini presi dalla rabbia, entrarono in campo e colpirono con calci e pugni un
proprio giocatore lasciandolo steso in terra, mentre nel settore dei tifosi
alabardati scoppiarono violenti tafferugli con le forze dell’ordine. Il direttore di
gara tale “Pieri”, arbitro più per raccomandazioni che per meriti propri, indicò 4
minuti di recupero e da qui cominciò una sequenza di errori interminabile che
costò la qualificazione ai blucerchiati; il recupero era ormai scaduto da 2 minuti
e tutti attendevano il fischio finale, la palla finì in rimessa laterale con il
guardalinee che la indicò in nostro favore ma un giocatore triestino si
impossessò della palla e fece ripartire il gioco con i biancorossi che si trovarono
incredibilmente in porta con uno di loro che in posizione plateale di fuorigioco
(si trovava perfino alle spalle del nostro portiere) insaccò il pallone nella
nostra rete dimostrando nella sua ritardata esultanza l’incredulità per
l’assegnazione del più classico dei gol fantasma! I tifosi della Pro che ormai
erano sulla pista d'atletica pronti per festeggiare la qualificazione alla finale

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play-off entrarono in campo alla caccia del sig. Pieri che inizialmente non si
rese conto di cosa stesse succedendo, poi scappò verso gli spogliatoi come un
degno erede di Mennea, alcuni arrivarono vicinissimi a prenderlo, mentre i
giocatori bianco-blu cercarono di arginare per quanto fosse possibile la
situazione, consentendo così alle forze dell'ordine di portarlo in salvo negli
spogliatoi dove rimase assediato per alcune ore.
Nella disavventura sportiva ritengo che il CT in quella occasione si comportò in
maniera esemplare dato che in certe situazioni di particolare tensione, pur
confrontandosi con tifoserie gemellate, basta solo una scintilla per poter
scatenare l’inferno ma, nonostante la rabbia per il torto subito, la
ragionevolezza consentì di evitare di mettere a repentaglio un rapporto di
amicizia che invece dal quel giorno si rafforzò ancor di più.

9) C’erano sezione del CT? Come collaboravano con voi?

In linea di massima l’idea degli elementi più carismatici del direttivo degli anni
‘90 era quella di non avere sezioni distaccate del CT in quanto si riteneva fosse
stato meglio aggregare tutti svolgendo vita di gruppo sette giorni su sette nella
nostra sede presso Comunità Giovanile anche se, a dire il vero, un tentativo ci
fu con la sezione di Gallarate che però ebbe vita breve per via di alcune
incomprensioni che si vennero a creare rafforzando l’idea che di sezioni non ne
sarebbero state mai più create.

10) Dopo i fatti di Catania, le leggi riguardanti stadio ed ultras si


stanno notevolmente inasprendo! Cosa ne pensi a proposito?

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Come ti dicevo già prima, ormai, siamo giunti ad un bivio e si rischia di
imboccare una strada senza via di ritorno. I fatti di Catania non hanno fatto
altro che accelerare dei processi che ormai erano già in atto da tempo. Il
clamore suscitato dalla morte dell’ispettore Raciti ha dato uno scossone alle
istituzioni governative che nell’arco di brevissimo tempo hanno legiferato come
mai non avevano fatto prima, il tutto in maniera assolutamente discriminante
tanto da non tenere assolutamente in considerazione i diritti di coloro che, pur
recandosi allo stadio per sostenere la propria squadra, dovrebbero essere
tutelati come qualsiasi altro cittadino italiano. Non capisco come uno stesso
reato commesso nell’ambito dello stadio piuttosto che in altre circostanze di
vita quotidiana, possa essere valutato in maniera differente per via delle leggi
speciali entrate in vigore dopo i fatti di Catania. Penso che una cosa del genere
sia gravissima perché come è scritto in ogni aula di tribunale la legge è uguale
per tutti… o almeno dovrebbe esserlo! Le problematiche sociali esistono ora
proprio come in passato, inoltre il risalto che viene dato dai media a
determinati episodi non fa altro che amplificarli con l’unico intento di ottenere
un ritorno economico derivante da vendite di giornali piuttosto che da ascolti
televisivi; la morte di Raciti, deceduto sul lavoro come tanti altri suoi colleghi
per i quali sono state spese poche parole, è stata un’ottima occasione per
perseguire i fini e gli interessi di alcuni creando così anche distinzioni fra morti
di serie A e di serie B. Colpevolizzare l’intero movimento ultras è stata la cosa
più semplice da fare mettendo tutti sullo stesso piano e dando
indiscriminatamente dei delinquenti per non dire degli assassini a coloro che
frequentano gli stadi italiani ma non sarà certo svuotando gli impianti sportivi
che si risolveranno i problemi che hanno radici ben più profonde all’interno
della nostra società.

Per concludere vorrei ringraziare tutti coloro che hanno contribuito attivamente
per fare la storia del CT durante tutti questi anni ed in particolare Ivan,
Stefano, Checco, Ale, Ronnie, Santino, Leo, Toe e tutti coloro che sono stati
perseguiti con diffide e denunce per non dimenticare poi gli amici Sandrino e
Pietro colonne portanti degli allora Skins e Busto Crew.

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QUALCOSA (DI FUTURISTA) SU SINTESI⁄

Tri tri tri,


fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi!
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche!
Sono la mia passione.
Farafarafarafa,
tarataratarata,
paraparaparapa,
laralaralarala!
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie
Bubububu,
fufufufu.
Friu!
Friu!
Ma se d'un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?

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bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù.
U.

Non è vero che non voglion dire,


voglion dire qualcosa.
Voglion dire...
come quando uno
si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!

Ma giovanotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
un sì gran foco?

Huisc...Huiusc...
Sciu sciu sciu,
koku koku koku.

Ma come si deve fare a capire?


Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.

Abì, alì, alarì.


Riririri!
Ri.

Lasciate pure che si sbizzarrisca,

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anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro,
gli daranno del somaro.

Labala
falala
falala
eppoi lala.
Lalala lalala.

Certo è un azzardo un po' forte,


scrivere delle cose così,
che ci son professori oggidì
a tutte le porte.

Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine io ò pienamente ragione,


i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai po tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire!

(A. Palazzeschi, 1910)

Quale sia il motivo preciso per cui ho voluto proporre questa


“canzonetta” forse non lo so bene neppure io, ma una cosa è certa: nel
leggerla, la mia mente è subito guizzata verso il ricordo degli amici di
birra al bar, degli amici del gruppo Sintesi, verso gli EJA EJA ALALA’ e
gli altri versi (magari creati anche da noi stessi in momenti di
goliardia) che talvolta ci procurano tanta ilarità, ma che in realtà
hanno un significato denso di potenza concettuale così forte da
consentire l'accesso soltanto a noi pochi eletti.
A primo impatto, leggendo il testo di Palazzeschi, ci si potrebbe anche
fare quattro risate pensando a quanto potesse essere ubriaco in quel
momento l’autore. Ma, rileggendo bene, sembra di scorgervi un invito
allo sprigionamento del sé, dell'energia che porta all'incomprensione
da parte dei più, ma anche a un rinnovamento, dal momento che finché

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si sarà apprezzati dai più nessun ordine potrà essere sovvertito. Lo
sapevano bene Palazzeschi e i suoi amici futuristi: per conoscere
l'infinito e porsi sopra i tempi, contenendone l'essenza e l'esistenza
stessa, non c'è altro modo che superare ciò che fu. E se ciò che fu non
può essere altro che un piatto ripetersi di eventi in ordine
consequenziale, noi ora dobbiamo dare sfogo al nostro bisogno
creatore, sia con la forza della parola, sia con la forza del pugno e dello
schiaffo, come disse proprio colui che già una volta riuscì a scatenare
la meglio gioventù e non solo d'Italia, creando un tale scompiglio da
fomentare la nascita di correnti avversarie artistiche più o meno
d'impatto, prima di declinare, per risorgere nella possenza incatenata
dei più sublimi novecentisti. Ci riuscì, una volta, fallendo; ci riuscì
finché la guerra non portò a esiti mortali. Ci riuscì, e ci riesce tuttora,
nel risvegliare matericamente l'urbe, insanguinando fontane e
insozzando a suon di palline colorate, ma anche mantenendo viva la
fiaccola dell'azione in tutti noi...
Sintesi è questo: superare ciò che fu per poter rinnovare. E chissà se ci
riusciremo e se creeremo anche noi scompiglio…ai posteri l’ardua
sentenza…ma nel peggiore dei casi non sarà comunque una umiliante
sconfitta, perché resteremo fieri di averci provato.

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Hanno collaborato: D. Rossi, F. Monti, C. La Ferla,

F. Ferracci, D. Leotti, S.Cappellari, R. Malossi, F. Fratus, C.Boccassini,

F. Boccassini, V. Sofo, V. Bencini, B. Leva.

e-mail: sintesi@gmail.com

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