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lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

PONTIFICIUM ATHENUM REGINA APOSTOLORUM


FACULTAS PHILOSOPHIAE
R. D. ALAIN CONTAT
Socius Pontificiae Academiae Romanae Sancti Thomae
Aquinatis

L'ABITO DEI PRIMI PRINCIPI


DELL'INTELLETTO
SECONDO SAN TOMMASO D'AQUINO
ROMAE A.D. MCMIC

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

"In quolibet genere pessima est principii


corruptio, ex quo alia dependent. Principia autem
rationis sunt ea quae sunt secundum naturam: nam
ratio, praesuppositis his quae sunt a natura
determinata, disponit alia secundum quod convenit. Et
hoc apparet tam in speculativis quam in operativis. Et
ideo, sicut in speculativis error circa ea quorum
cognitio est homini naturaliter indita, est gravissimus
et turpissimus; ita in agendis agere contra ea quae
sunt secundum naturam determinata, est gravissimum
et turpissimum" (II-II, 154, 12, c.).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

INDICE
I Parte: PROBLEMATICA DEI PRIMI PRINCIPI
1.
1.1.
1.1.1.
1.1.2.
1.2.
1.2.1.
1.2.2.
1.2.3.
1.2.4.
2.
2.1.
2.2.
2.3.
2.4
2.5.
2.5.1.
2.5.2.

Primo approccio ai primi princpi


2
Breve cenno storico-semantico 2
Aristotele 2
Boezio
6
Descrizione sommaria dei primi princpi
8
La natura dei princpi
9
La genesi dei princpi
11
La finalit dei princpi 12
Prima definizione dell'abito dei primi princpi
14
Problematizzazione dei primi princpi 15
Domande sulla natura dei princpi
15
Domande sulla genesi dei princpi
16
Domande sulla finalit dei princpi 17
Domanda sulla causa esemplare dei princpi 18
Lo statuto epistemologico di questo studio 19
Il posto di questo studio nelle scienze filosofiche 19
Il metodo da seguire
22

II Parte: INVESTIGAZIONE SPECULATIVA DEI PRIMI PRINCIPI


I

La natura dei primi princpi 25

1
1.
1.1.
1.2.
1.3.
2.
2.1.
2.1.1.
2.1.2.
2.2.
2.2.1.
2.2.2.

L'intuizione dei princpi un abito ?


25
Collocazione storica del problema
25
Aristotele 25
Alessandro di Afrodisia 26
L'averroismo
27
Investigazione speculativa
28
Le nozioni in causa
29
La potenza e l'abito
29
Le potenze intellettive umane 36
Soluzione del problema 39
L'intuizione dei princpi non una potenza 39
L'intuizione dei princpi un abito 43

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

2
1.
1.1.
1.2.
1.3.
2.
3
1.
2.
2.1.
2.2.
2.2.1.
2.2.2.
2.2.2.1.
2.2.2.2.
2.2.2.3.
2.2.3.
2.2.3.1.
2.2.3.2.
2.3.
4

L'abito dei princpi


una virt intellettuale speculativa ? 45
Le nozioni in causa
45
La nozione di virt45
La nozione di virt intellettuale 46
La nozione di virt intellettuale speculativa 49
Soluzione del problema 55
I che cosa consistono le proposizioni per se
di cui fanno parte i primi princpi ? 57
I tre contrassegni logici delle premesse necessarie 57
Analisi delle tre condizioni logiche di necessit 61
La prima condizione: dici de omni
61
La seconda condizione: dici per se 62
La nozione di perseit in communi
62
I singoli modi di perseit 66
Il primo modo di perseit 66
Il secondo modo di perseit
70
Il quarto modo di perseit
75
Paragone fra i tre modi di perseit
79
Confronto fra i tre modi quanto all'attribuzione
79
Confronto fra i tre modi quanto all'argomentazione 82
La terza condizione: dici ut universale85

1.
1.1.
1.2.
1.2.1.
1.2.2.
1.2.3.
2.
2.1.
2.2.
2.3.

In che cosa consiste il per se notum,


che specifica i primi princpi ?
90
L'elaborazione del per se notum sulla base di Boezio
Il commento sul De Hebdomadibus 90
I testi sull'inevidenza immediata dell'esistenza di Dio
Lo Scriptum super Sententias 96
Il De Veritate
97
I testi posteriori al De Veritate 100
Chiarimento speculativo 103
Bilancio dell'esegesi testuale 103
La perseit del per s noto
105
Proposizione per se nota e abito dei princpi 109

I primi princpi si dividono in comuni e propri ?110

90
96

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

1.
1.1.
1.2.
1.2.1.
1.2.2.
2.

La distinzione dei princpi e la ratio entis 111


Alcuni testi sui princpi e la ratio entis113
Soluzione speculativa del problema 115
I diversi tipi di additio all'ente 116
I modi dell'ente ed i primi princpi
La distinzione dei princpi nella dimostrazione

6
7

Quali sono i primi princpi comuni ?


150
Quale il primo principio primo comune ?

II

La genesi dei primi princpi

8
9

11

L'abito dei princpi naturale o acquisito ?


Attraverso quali fasi
l'abito dei princpi viene generato ?
Da dove viene conosciuto il nesso predicativo
nei primi princpi ?
L'abito dei princpi immutabile o pu crescere ?

III

La finalit dei primi princpi

12
13

necessario che ci sia un abito dei princpi ?


In quale modo l'abito dei princpi
lo strumento dell'intelletto agente ?
In quale modo la dimostrazione scientifica
procede dai princpi ?
In quale modo la dimostrazione scientifica
procede in virt dei princpi ?
Quale lo scopo dell'abito dei princpi
rispetto alla scienza ?
Quale lo scopo dell'abito dei princpi
rispetto alla sapienza ?
Quale il rapporto dell'abito dei princpi
nei confronti della sinderesi ?
La causa esemplare dei primi princpi
I primi princpi sono un riflesso della luce divina ?

10

14
15
16
17
18
IV
19

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ABBREVIAZIONI E SIGLE
1.
Opere di Aristotele
Cat.
Categorie
Int.
Liber de interpretatione seu Peri hermeneias
An. Pr.
Analytica priora
An. Post. Analytica posteriora
Top.
Topica
Soph.
Sophistici elenchi
Phys.
Physica
An.
De anima
Met.
Metaphysica
Eth. Nic.
Ethica Nicomachea
2.
c.
lect.
n.
sol.
I
I-II
II-II

Opere di San Tommaso d'Aquino


corpus articuli
lectio
numero (dell'edizione Marietti)
solutio
Summa theologiae, Ia pars
Summa theologiae, Ia-IIae
Summa theologiae, IIa-IIae

III
Summa theologiae, IIIa pars
CG
Summa contra Gentiles
CTh
Compendium theologiae seu brevis compilatio theologiae ad
fratrem Raynaldum
EBH
Expositio libri Boetii De hebdomadibus
EBT
Expositio super Boetium De Trinitate
EE
De ente et essentia
EPA
Expositio libri Posteriorum [Analyticorum]
EPH
Expositio libri Perihermeneias
QDA
Quaestio disputata De anima
Qdl
Quaestiones quodlibetales
QDM
Quaestio disputata De malo
QDP
Quaestio disputata De potentia
QDSC
Quaestio disputata De spiritualibus creaturis
QDV
Quaestio disputata De veritate
QDVC
Quaestio disputata De virtutibus in communi

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SA
SDN
SE
SM
Sn
SP
SPh

Sententia libri De anima


Super librum Dionysii De divinis nominibus
Sententia libri Ethicorum
Sententia super Metaphysicam
Scriptum super Sententiis
Sententia super Politicam
Sententia super Physicam

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I Parte
PROBLEMATICA DEI PRIMI PRINCIPI

1. Primo approccio ai primi princpi


1.1. Breve cenno storico-semantico
Come ben noto, in particolare con gli studi di Giovanni Reale che
riprendono su questo punto l'interpretazione aristotelica1(1), la storia della
filosofia antica, pu essere giustamente definita una ricerca dei princpi
(a)rxh/) e delle cause (a)iti/a) che fondano i fenomeni. In una prima fase che fu
del periodo presocratico, questa caccia ai princpi si mosse dentro l'ambito della
natura (fu/sij); poi, grazie alla svolta operata dalla maieutica socratica, ebbe
inizio con Platone la seconda navigazione, che deve condurre il filosofo ai
princpi soprasensibili dell'essere.
Nella sua configurazione platonica, l'inchiesta sui princpi giunse a
distinguere nella loro sfera due livelli basici: il primo, comunemente noto,
quello delle idee e delle metaidee, paradigmi specifici o generici delle realt
sensibili; il secondo, riscoperto solo negli ultimi decenni, quello dei due
princpi ultimi, ossia l'uno e la diade indefinita di grande e piccolo2(2).
Nella sua intenzione di fondo, il platonismo si pone quindi come une
spiegazione dell'intera realt a partire da questa coppia di princpi supremi,
tramite la progressiva complessificazione discendente delle idee a seconda del
maggiore peso della diade rispetto all'uno, il quale rimane la chiave di tutto il
sistema. Ora, l'uno o l'unit racchiude in s due valenze, giacch insieme
principio di essere (in una metafisica del genere) e principio di intelligiblit.
Pertanto, in Platone, la protologia d simultaneamente la chiave dell'essere e
del conoscere, senza che sia possibile distinguere i due piani.
1.1.1. Aristotele

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La riforma aristotelica della disciplina che pi tardi verr chiamata


metafisica ricongiunge l'ei)/doj (ossia il ti/ h)=n ei)=nai) alla cosa sussistente
(o)usi/a) di cui principio formale e che occorre deciffrare, in un primo
momento, a partire dal sinolo. Ne segue che la filosofia deve prendere le mosse
dall'esperienza sensibile, andando dal pi conosciuto per noi (l'o)usi/a
materiale corruttibile) al pi conosciuto in s (l'o)usi/a immateriale ed
incorruttibile), vale a dire dal meno conoscibile in s al meno conoscibile per
noi3(3). Pertanto, l'epistemologia aristotelica si differenzier radicalmente da
quella platonica a ragion della proporzione inversa che lo Stagirita ammette fra
l'ordo essendi e l'ordo conoscendi: ogni matematizzazione del sapere filosofico
viene quindi esclusa.
Da questa dualit fra ci che primo nell'ordine ontologico e ci che, per
l'intelletto umano legato al sensibile, primo nell'ordine gnoseologico,
proviene la distinzione fondamentale fra i princpi dell'essere ed i princpi del
conoscere4(4). Ai princpi del reale, che sono il baricentro del filosofare, lo
Stagirita dedic le sue maggiori opere: cos la Fisica ci fa scoprire nella
privazione, la forma, la materia, poi l'agente ed il fine, i princpi e cause degli
enti mobili; il De anima investigher l'anima tale causa formale del vivente e
causa efficiente - finale del suo automovimento; la Metafisica mostra nella
sostanza, nell'atto, poi nell'Atto puro, i fondamenti, su diversi livelli, dell'ente
in quanto ente. Per quanto riguarda invece i princpi del conoscere, i contributi
espliciti del Filosofo sono in numero pi limitato, ma nondimeno furono di
capitale importanza per lo sviluppo del versante epistemologico del suo
realismo filosofico nonch dell'intera speculazione occidentale. I luoghi
maggiori sono tre:
1. Il libro G (IV) della Metafisica ci offre, dal capitolo terzo alla fine, uno
studio del principio di non-contraddizione, considerato il primo degli
assiomi, nonch delle sue immediate implicanze.
2. L'ultimo capitolo (dicannovesimo) del libro B degli Analitici secondi
tratta dell'induzione dei princpi primi, su i quali poggia la dimostrazione
sillogistica. Molti brani pi corti della medesima opera alludono poi al
ruolo effettivo dei princpi nel processo dimostrativo.
3. Il libro Z (VI) dell'Etica Nicomachea, che studia le virt intellettuali in
ottica morale, contiene il breve capitolo sesto che assegna all'intuizione
dei princpi un abito (e)/cij) speciale: il nou=j (che verr tradotto con
intellectus dai latini). Tale abito si differenzia, in un modo che
esamineremo, da altri quattro generi di virt intellettuali: la scienza

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(e)pisth/mh), la sapienza (sofi/a), la prudenza (fro/nhsij), l'arte (te/xnh).


Come accade spesso nell'aristotelismo, vediamo quindi che una stessa
tematica viene studiata da diverse displine. Alla filosofia prima spetta la
determinazione dell'oggetto dei princpi, giacch esso dipende in qualche modo
dall'ente in quanto ente; all'Organon serviva una breve descrizione della genesi
dei princpi, per distinguere la deduzione a partire dai princpi dall'acquisizione
dei princpi stessi; all'etica conviene ordinare le diverse virt per mezzo delle
quali la mente ricerca il suo bene che la verit. Non entriamo ora nel dettaglio
della dottrina aristotelica dei princpi, di cui ci occuperemo a lungo nel corso di
questo studio; invece, torner utile dare uno sguardo previo alla terminologia
aristotelica.
Come ogni conoscenza intellettuale umana, quella raggiunta dal nou=j si
esprime in proposizioni. Nel capitolo secondo del primo libro dei Secondi
Analitici, Aristotele precisa il suo vocabolario rispetto ai princpi:
Un principio di dimostrazione, inoltre, una proposizione
immediata (pro/tasij a)/mesoj). Immediata poi la proposizione cui
nessun'altra anteriore. Dal canto suo, la proposizione l'una o l'altra
parte di una enunciazione, quando attribuisce un solo predicato ad un
solo soggetto: essa dialettica, se prende indifferentemente una qualsiasi
delle parti della enunciazione; essa invece dimostrativa, se prende una
parte determinata poich tale parte vera. Una enunciazione qualsiasi
delle parti di una contraddizione. Una contraddizione una opposizione
che non ammette per s nessun intermediario. La parte di una
contraddizione che unisce un predicato ad un soggetto una
affermazione, mentre la parte che nega un predicato di un soggetto una
negazione. Chiamo principio immediato (a)/mesoj a)rxh/) del
sillogismo una tesi (qe/sij), quando, pur non essendo suscettibile di
dimostrazione, non indispensabile a chi vuole imparare qualcosa; se,
invece, il suo possesso indispensabile chi vuole imparare checchessia,
un assioma (a/ci/wma): esistono, certe verit di questo genere, ed
sopratutto a tali verit che diamo abitualmente il nome di assiomi. Se una
tesi prende una qualsiasi delle parti dell'enunciazione, quando dico ad
esempio che una cosa o che una cosa non , una ipotesi (u(poqe/sij);
altrimenti, una definizione (o(rismo/j). La definizione una tesi,
poich, in aritmetica, si pone che l'unit ci che indivisibile secondo
la quantit; ma non una ipotesi, giacch definire ci che l'unit ed
affermare l'esistenza dell'unit non la stessa cosa5(5).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Per il momento, ci limitiamo a mettere in sinopsi la tipologia dei princpi


di dimostrazione che il Filosofo delinea qui:
principio immediato
a)/mesoj a)rxh/
indispensabile al discepolo
a/ci/wma
non indispensabile al discepolo
qe/sij
predicando qualcosa di qualcosa
u(poqe/sij
non predicando qualcosa di qualcosa
o(rismo/j
Si noter che la prima divisione dei princpi, in assiomi e tesi, si prende
dalla comprensione che ne ha il discepolo cui indirizzata la dimostrazione.
Agli assiomi appartengono quelle proposizioni senza la conoscenza delle quali
non si pu minimamente procedere alla dimostrazione; le tesi sono, per contro,
princpi che servono di punto di partenza alla dimostrazione, ma la cui verit
non necessariamente colta dall'uditore. Tale come viene presentata, questa
distinzione rimane da chiarire. La suddivisione seguente delle tesi in ipotesi e
definizioni pi facile da capire: mentre la ipotesi si esprime in una
proposizione, e quindi afferma o nega qualcosa di qualcosa, la definizione, di
per s, non ancora un discorso enunciativo.
Un p pi avanti nello stesso libro dei Secondi Analitici, al capitolo
decimo, Aristotele sembra includere le ipotesi in una classificazione diversa e
pi complessa:
Ci che, pur essendo dimostrabile, viene posto dal maestro senza
dimostrazione, questo , se il discepolo lo riceve come probabile, una
ipotesi, bench non sia una ipotesi in senso assoluto, ma solo una ipotesi
relativamente a qualcuno. Se il discepolo non ha nessuna opinione,
oppure se ha una opinione contraria, ci che esso riceve allora un
postulato. E di l viene la differenza fra l'ipotesi (u(poqe/sij) ed il
postulato (ai)/thma): il postulato ci che contrario all'opinione del
discepolo, dimostrabile, ma posto ed utilizzato senza dimostrazione. Le
definizioni (o(/roi) non sono ipotesi, giacch non dicono niente
sull'essere o sul non essere; ma le ipotesi si trovano nelle
proposizioni6(6).
Qua si studiano proposizioni che di primo acchito sono di per s
dimostrabili, a differenza delle tesi delle quali trattava il capitolo secondo.
Forse i due brani si possono mettere d'accordo se si considera l'opposizione

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

incidentale fra ipotesi in senso assoluto (a)plw=j u(poqe/sij) e ipotesi


relativamente a qualcuno (pro\j e)kei=noj). Solo le ipotesi in senso assoluto
sarebbero dimostrabili in s, mentre le ipotesi relativamente a qualcuno
sarebbero dimostrabili soltanto per noi, ma non in s; perci, queste ultime
potrebbero essere delle tesi, cio dei princpi immediati non ancora evidenti per
il discepolo. Comunque ne sia di questo punto controverso, chiaro che la
differenza posta qui fra ipotesi (u(poqe/sij) e postulato (ai)/thma) dipende
dalla recezione del discepolo: allorch la ipotesi suscita un certo assenso
imperfetto, il postulato lascia inizialmente l'interlocutore o scettico, o addiritura
contrario.
Nell'ottica del nostro studio, ci troviamo quindi a due grandi tipi di
enunciati. I primi sono gli assiomi, la cui appartenenza all'ordine dei princpi
non discutibile; gli altri comprendono le tesi, le ipotesi, i postulati, e anche, in
qualche misura le definizioni: per tutti questi ultimi, si dovr determinare
perch e in quale modo costituiscono pure dei princpi.
1.1.2. Boezio
Per l'Occidente latino, e quindi per san Tommaso, l'altra grande fonte
dalla quale si attinger la teoria dei princpi venne offerta dall'opera di Severino
Boezio. Il suo apporto pu essere sintetizzato sotto due capisaldi. In primo
luogo, si deve menzionare lo scritto intitolato Quomodo substantiae in eo quod
sint, bonae sint cum non sint substantialia bona. Questo brevissimo trattatelo,
che tiene in meno di quattro colonne della Patrologia Latine del Migne, fu
recepito nel Medioevo sotto l'appellazione pi commoda di Liber de
Hebdomadibus. Poco dopo l'inizio, Boezio vi presenta una celebre divisione dei
princpi, la cui terminologia ed il cui contenuto giocheranno un grande ruolo
nella speculazione posteriore:
Ut igitur in mathematica fieri solet, caeterisque etiam disciplinis,
proposui terminos regulasque quibus cuncta quae sequuntur efficiam.
Communis animi conceptio est enuntiatio, quam quisque probat auditam.
Harum duplex modus est: nam in una communis est, ut omnium
hominum sit, velut si hanc proponas: Si duobus aequalibus aequalia
auferas, quae relinquuntur aequalia esse; nullus id intelligens neget. Alia
vero est doctorum tantum, quae tamen ex talibus communi animi
conceptionibus venit, ut est: Quae incorporalia sunt, in loco non esse, et
caetera, quae non vulgus, sed docti comprobant7(7).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Due punti sono qui da rilevare:


1. Ci che Aristotele chiamava a/ci/wma viene qui interpretato come
communis animi conceptio, e viene definito in funzione
dell'approbazione che qualunque potenziale uditore le pu d subito:
quam quisque probat auditam.
2. Queste concezioni comuni (che non sono concetti, bens enunciazioni)
si dividono in due classi: nella prima rientrano quelle che ricevono
l'assenso da tutti gli uomini (omnium hominum), mentre alla seconda
classe appartengono quei enunciati che, pur essendo veramente dei
princpi ai quali si pu de iure assentire fin dal semplice ascolto,
rimangono per de facto intelligibli solo agli scienziati (doctorum).
L'altro grande apporto di Boezio alla riflessione sui princpi sta nella sua
traduzione dell'Organon, ed in particolare dei Secondi Analitici8(8). Da questa
traduzione molto letterale9(9), il Medioevo desunse un lessico che potrebbe
sorprendere il lettore non informato. Diamo qui una breve tavola trilingue della
terminologia aristotelica sui princpi, a partire dai capitoli secondo e decimo
(ottavo per Boezio) dei Secondi Analitici di cui abbiamo gi dato il testo
italiano10(10):
Aristotele

Boezio

traduzione

a)rxh/

principium

principio

pro/tasij

propositio

proposizione

a)/mesoj

immediatum

immediato

a/ci/wma

dignitas

assioma

qe/sij

positio

tesi

u(poqe/sij

suppositio

ipotesi

ai)/thma

petitio

postulato

o(rismo/j

definitio

definizione

o)/roj

terminus

delimitazione

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Con ci, possediamo il vocabolario elementare che ci consente di leggere


gli autori sia greci che latini senza fraintenderli. Dopo questa sommaria
ambientazione storico-semantica, dobbiamo completare il nostro primo
approccio ai princpi con un abbozzo speculativo, che si appelli direttamente a
san Tommaso.

1.2. Descrizione sommaria dei primi princpi


Le caratteristiche fondamentali dello habitus grazie al quale la nostra
facolt intellettuale accede agli assiomi o primi princpi vengono cos
presentate dall'Aquinate:
inquantum [intellectus] continet prima principia universalia
cognita nobis per naturale lumen intellectus, ex quibus procedit ratio tam
in speculandis quam in agendis11(11).
Questa concisa descrizione si articola chiaramente in quattro punti,
enunciati in modo non impreciso, per abbastanza sommario :
1. Questo habitus ha per soggetto, come ovvio e come abbiamo gi detto,
l'intelletto.
2. Ogni potenza o abito essendo specificato dal suo oggetto, questo ne
determina il formale. San Tommaso si limita a qualificare qua tale
oggetto come i principi primi universali, vale a dire quelle
proposizioni al di l delle quali non si pu risalire nell'ordine della
conoscenza (non dell'essere), e il cui ambito non si restringe ad una
displina particolare.
3. La conoscenza di questi princpi proviene dal lume naturale
dell'intelletto : come dire che sono noti alla mente spontaneamente,
grazie alla sola luce dell'intelletto agente e senza il concorso di un'altra,
previa, conoscenza intellettuale.
4. Questi princpi non sono minimamente fine a s stessi, ma servono alla
ragione, quindi alla facolt intellettiva in quanto discorsiva per procedere
alla scoperta di verit che originariamente non le sono note, e questo sia
nel campo speculativo che in quello pratico.
In questa quadruplice caratterizzazione, facile discernere le quattro
cause dello habitus in causa12(12):

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

[1] L'intelletto possibile ne la causa quasi materiale.


[2] L'anteriorit e l'universalit conoscitive si ricollegano alla sua causa
formale, considerata nell'aspetto di differenza costitutiva rispetto ad
altri oggetti.
[3] Il riferimento alla luce naturale dell'intelletto indica un ruolo genuino
dell'intelletto agente nella causazione efficiente di questo abito.
[4] Il discorso proprio della razionalit viene proposto come effetto
proprio dei primi princpi, che saranno in qualche modo ordinati alla
scoperta di verit mediate come al loro scopo.
Lasciando da parte la causa materiale ossia il soggetto dell'abito dei
princpi, dobbiamo esplicitare le sue cause attuanti, ossia formale, efficiente, e
finale. Seguiamo questo ordine, perch quello suggerito dal testo appena
citato, e perch, in questo caso, occorre sapere prima che cosa sono i primi
princpi per determinare come vengono conosciuti e a che cosa servono.
1.2.1. La natura dei princpi
Abbiamo visto che san Tommaso assume a pieno titolo, nella sua
epistemologia, la classificazione aristotelica degli abiti intellettuali in cinque
generi di virt: arte, prudenza, scienza, sapienza, abito dei princpi. Per
distinguere l'ultimo dei quattro altri, si deve partire, in buon metodo
aristotelico, dall'oggetto proprio di ciascuno. Una prima differenziazione ci
viene offerta dall'opposizione fra necessario e contingente:
Aristoteles in VI Ethic. ponit quinque quae se habent semper ad
verum, scilicet artem, scientiam, sapientiam, prudentiam et intellectum;
subiungens duo quae se habent ad verum et falsum, scilicet suspicionem
et opinionem.
Prima autem quinque se habent solum ad verum, quia important
rectitudinem rationis. Sed tria eorum, scilicet sapientia, scientia et
intellectus, important rectitudinem cognitionis circa necessaria: scientia
quidem circa conclusiones, intellectus autem circa principia, sapientia
autem circa causas altissimas, quae sunt causae divinae. Alia vero duo,
scilicet ars et prudentia, important rectitudinem rationis circa
contingentia13(13).
L'abito dei primi princpi ha quindi per oggetto delle verit che sono
necessarie, e che stanno all'origine, per noi, di altre. Ontologicamente, il

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

necessario equivale al per se, vale a dire a ci che appartiene a qualcosa a


ragione dell'essenza di questo qualcosa14(14). Logicamente, il necessario viene
significato da proposizioni che sono anche dette per se, cio nelle quali il
predicato si riferisce al soggetto a causa dell'essenza stessa di
quest'ultimo15(15). Alla pari della sapienza e della scienza, l'abito dei princpi
raggiunge quindi il piano necessario dell'essere.
Ma che cosa ci consentir di distinguere poi gli abiti speculativi fra di
loro ? Quando san Tommaso intendette ricordare questo punto ai novizi in
teologia, che sono i destinatari della Summa theologiae, egli cominci la sua
spiegazione cos:
sicut iam dictum est, virtus intellectualis speculativa est per quam
intellectus speculativus perficitur ad considerandum verum; hoc enim est
bonum opus eius. Verum autem est dupliciter considerabile: uno modo,
sicut per se notum; alio modo, sicut per aliud notum. Quod autem est per
se notum, se habet ut principium; et percipitur statim ab intellectu. Et
ideo habitus perficiens intellectum ad huiusmodi veri considerationem,
vocatur intellectus, qui est habitus principiorum16(16).
Giacch le virt intellettuali sono virt, ci si ricorda opportunamente che
sono finalizzate al bene dell'intelletto; ora, siccome la causalit finale fonda un
ordine, possiamo gi porre che l'organismo degli abiti intellettivi costituisce un
ordine, nel quale ciascuno occupa un posto ben determinato, che dovremo
definire con la massima precisione.
Per quanto riguarda direttamente il nostro tema, l'abito dei princpi viene
distinto dagli altri tramite il modo in cui il tipo di verit contemplata da tale
abito viene conosciuta: essa deve essere per se nota. Questo significa che, nelle
proposizioni nelle quali l'intelligenza esprime i princpi primi, la forma
significata dal predicato viene applicata alla cosa denotata dal soggetto
immediatamente, e non per la mediazione di un altro termine (per aliud notum).
Come si vede, la caratterizzazione dell'abito dei princpi proposta qui si desume
dal modo in cui l'intelletto ne conosce l'oggetto. Rimanendo sul piano noetico,
l'Aquinate precisa poi che questi enunciati servono di principio per la
conoscenza degli altri, che sono per aliud, e che, in s stessi, sono noti subito
(statim). All'immediatezza conoscitiva della connessione fra soggetto e
predicato segue quindi l'immediatezza cronologica della loro percezione.
Congiungendo le due note specificanti dello habitus principiorum che
abbiamo finora abbozzate, possiamo darne una prima determinazione: esso ha

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

per oggetto proprio quelle verit che sono insieme per se da parte dell'oggetto
stesso e per se notae da parte del modo di conoscerlo. Una proposizione sar
pertanto un primo principio se il nesso fra il suo predicato ed il suo soggetto
necessario e se tale nesso viene colto dalla mente umana senza la mediazione di
un altro termine.
1.2.2. La genesi dei princpi
Dal punto di vista dell'origine, l'abito dei primi princpi si distingue dagli
altri abiti intellettuali per la sua indole naturale:
Intellectus igitur cum sit una vis, est eius unum naturale obiectum,
cuius per se naturaliter cognitionem habet. Hoc autem oportet esse id sub
quo comprehenduntur omnia ab intellectu cognita: sicut sub colore
comprehenduntur omnes colores, qui sunt per se visibiles. Quod non est
aliud quam ens. Naturaliter igitur intellectus noster cognoscit ens, et ea
quae sunt per se entis inquantum huiusmodi; in qua cognitione fundatur
primorum principiorum notitia, ut non esse simul affirmare et negare, et
alia huiusmodi. Haec igitur sola principia intellectus noster naturaliter
cognoscit, conclusiones autem per ipsa: sicut per colorem cognoscit
visus tam communia quam sensibilia per accidens17(17).
Si delinea quindi, rispetto alla genesi delle nostre conoscenze
intellettuali, una antitesi. Da un lato, la nostra mente entra naturalmente in
possesso di un sapere originario, che viene costituito dalle prime nozioni,
connesse alla nozione di ente, e dai primi princpi, connessi al principio di
non-contraddizione. L'abito dei princpi appare dunque legato, come sua prima
risultanza, alla nozione che per primo cade nell'intelletto18(18). A questa
conoscenza naturale si oppone, da un altro lato, il sapere propriamente
razionale, acquisito per lo sforzo di ricerca a partire dai princpi e di riduzione a
loro.
Ma se le prime nozioni, e gli assiomi a loro collegati, sono conosciuti
naturalmente dall'intelletto, non sono tuttavia innati nel senso che avr questo
vocabolo in Cartesio o in Leibniz, giacch vengono anche loro astratti
dall'intelletto agente a partire da una previa sensazione:
... praeexistunt in nobis quaedam scientiarum semina, scilicet
primae conceptiones intellectus, quae statim lumine intellectus agentis

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

cognoscuntur per species a sensibilibus abstractas, sive sint complexa, ut


dignitates, sive incomplexa, sicut ratio entis, et unius, et huiusmodi, quae
statim intellectus apprehendit19(19).
Il carattere originario dei primi princpi non consiste dunque nell'essere
innati stricte loquendo, bens nell'essere astratti per primo (statim)
dall'intelletto agente e nell'essere pertanto conosciuti dall'intelletto possibile
senza nessun esercizio della razionalit discorsiva (quae statim intellectus
apprehendit).
Giunti qui, possiamo dare alla genesi dell'abito dei princpi una sua
prima spiegazione: esso immediatamente consecutivo all'apprensione delle
prime nozioni conosciute grazie all'illuminazione dell'intelletto agente sulle
specie sensibili. L'anteriorit di cui si tratta non meramente cronologica, ma
piuttosto insieme cronologica e logica: allo stesso modo in cui, infatti, la
nozione di ente, e le nozioni connesse ad essa, sono come l'oggetto formale che
consente di apprenhendere ogni altra nozione, parimenti il principio di
non-contraddizione ed i princpi connessi ad esso sono come la regola che
rende possibile ogni altro giudizio20(20).
1.2.3. La finalit dei princpi
Essendo fondati sulla ratio entis, gli assiomi ne partecipano quindi
l'universalit e l'originariet; perci essi costituiscono il fondamento stabile che
rende possibile il movimento ordinato della ragione alla ricerca della verit:
Et inde est quod omnia mutabilia reducuntur ad aliquod primum
immobile. Inde est etiam quod omnis specifica cognitio derivatur ab
aliqua certissima cognitione circa quam error esse non potest, quae est
cognitio primorum principiorum universalium, ad quae omnia illa
cognita examinantur, et ex quibus omne verum approbatur, et omne
falsum respuitur21(21).
I primi princpi hanno cos un valore criteriologico rispetto a tutte le
proposizioni che, non conoscibili immediatamente dalla mente umana, possono
essere conosciute soltanto come conclusioni. Ora, la conclusione sta in un
rapporto duplice di fronte ai princpi grazie ai quali essa viene posta:
Et quia motus semper ab immobili procedit, et ad aliquid quietum

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

terminatur; inde est quod ratiocinatio humana, secundum viam


inquisitionis vel inventionis, procedit a quibusdam simpliciter intellectis,
quae sunt prima principia; et rursus, in via iudicii, resolvendo redit ad
prima principia, ad quae inventa examinat22(22).
Si d quindi nel primo momento il movimento di ricerca e di invenzione
della soluzione (viam inquisitionis vel inventionis) per il quale la ragione
investiga i predicati che possono interessare il tema di una determinata
inchiesta scientifica; se questi sono di fatto connessi all'oggetto in causa, si d
poi nel secondo momento il movimento inverso di riduzione ai princpi, per il
quale la ragione si assicura la verit di un asserto originariamente problematico.
Nell'esercizio di questa duplice funzione, la finalit dello habitus principiorum
quella di uno strumento grazie al quale l'intelletto, illuminando un nuovo dato
sperimentale, vi scopre implicazioni ancora non note:
Sicut enim principalius sanans est natura interior, sic principium
principaliter causans scientiam est intrinsecum, scilicet lumen intellectus
agentis, quo causatur scientia in nobis, dum devenimus per
applicationem universalium principiorum ad aliqua specialia, quae per
experientiam accipimus in inveniendo. Et similiter magister deducit
principia universalia in conclusiones speciales23(23).
Si noti che la strumentalit inventiva dei primi princpi viene
costantemente subordinata da san Tommaso all'intelletto agente, e non
all'intelletto possibile, giacch si tratta formalmente di far conoscere, e non di
conoscere. In questa ottica, i primi princpi sono come il riflesso della luce
dell'intelletto agente che rendono intelligibile la conclusione da dimostrare. La
loro finalit quella di un intermedio necessario.
1.2.4. Prima definizione dell'abito dei primi princpi
Possiamo ora collegare tutti gli elementi della nostra analisi preparatoria
in una prima definizione. Diremo allora che
- l'abito dei primi princpi una virt intellettuale
- il cui oggetto specificante consiste in tutte le verit necessarie che sono
insieme per se e per se notae,
- la cui genesi risulta senza mediazione dall'apprensione delle nozioni
che per primo cadono nell'intelletto,

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

- il cui fine sta nell'essere strumento dell'intelletto agente nel rendere


intelligibili conclusioni originariamente inevidenti per la ragione.
Questa definizione ci consente, negativamente, di delimitare strettamente
l'abito dei princpi dalle altre virt intellettuali speculative, giacch le tre
caratterizzazioni per l'oggetto, l'origine e la finalit gli appartengono in modo
esclusivo. Infatti, scienza e sapienza mirano a verit conosciute per aliud, la
loro acquisizione passa per la mediazione di premesse anteriori, e il loro fine
non di tipo strumentale - anzi, la sapienza ultima nell'ordine delle
conoscenze riconducibili alla sola luce naturale dell'intelletto. Al contempo, la
nostra definizione precisa poi, positivamente, le cause intrinseche ed
estrinseche del nou=j che l'Aquinate eredit dallo Stagirita. Per, i termini e le
proposizioni che abbiamo usati per definirlo debbono a loro volta essere
chiariti.

2. Problematizzazione dei primi princpi


Per arrivare a cogliere in modo perfetto la definizione dell'abito dei
princpi che abbiamo appena elaborata, dobbiamo quindi investigarne con la
massima precisione il contenuto. A questo scopo, formuliamo ora un elenco di
tutti i problemi che si possono sollevare a proposito della prima virt
intellettiva, ricordando con Aristotele che il giusto cammino (eu)pori/a) da
seguire in una ricerca dipende dalla giusta posizione dei problemi
(diaporei=n)24(24). Raggruppiamo queste domande in tre classi che
rispecchiano le tre linee di investigazione che abbiamo fissate ed all'interno
delle quali seguiremo un ordine progressivo dal pi comune al pi
specifico25(25). Per la comodit dello studio che verr cos configurato, diamo
a ciascun problema un numero di ordine, al quale corrisponder un paragrafo
risolutivo nella seconda parte. In questo modo, la nostra inchiesta proceder
secondo il metodo della quaestio disputata.

2.1. Domande sulla natura dei princpi


[1] Anzitutto, ci dobbiamo chiederci se e perch il nou=j ha per genere
remoto l'abito (e)/cij), il ch ci obbligher a ricordarci pur brevemente che cosa
un abito.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

[2] Allo stesso modo, ci si chieder poi se e perch l'abito dei princpi una
virt intellettuale speculativa. Si dovr quindi ricercare in primo luogo che cosa
una virt intellettuale, ossia la ratio comune a tutti i cinque generi di abiti
intellettuali. Inoltre, l'intellectus principiorum viene collocato, nei testi che
abbiamo citati, dentro il genere degli abiti speculativi, che hanno per oggetto
delle verit necessarie; perci dovremo precisare, in secondo luogo, che cosa
la necessit che li caratterizza, al fine di determinare se e perch i primi princpi
sono sempre necessari.
[3] Un quesito simile si pone a proposito della perseit, che la caratteristica
logica delle proposizioni nelle quali viene espressa la necessit metafisica di
queste verit.
[4] L'ultima differenza specificante dell'abito dei princpi consiste nell'essere
per se notum degli enunciati che esso raggiunge; ci domanderemo perci come
si definisce e come si analizza questa caratteristica.
[5] L'approfondimento di un oggetto richiede che, una volta definito nella
sua essenza, se ne dispiegano inoltre le parti; perci dovremo esaminare le
divisioni dei princpi, cominciando da quella, di capitale interesse per
l'epistemologia aristotelica e quindi tommasiama, fra i princpi comuni (koi\nai
do/cai) e quelli propri (i)/diai do/cai). Questa ricerca si intreccia con
l'investigazione del rapporto fra primi princpi e ratio entis, giacch si d un
legame stretto fra le prime proposizioni e le prime nozioni che cadono nella
mente umana.
[6] Concentrando poi la nostra attenzione sul primo membro della divisione
dei princpi, ci chiederemo se e come possiamo elencare i princpi comuni.
[7] Se vi sono diversi princpi comuni, questi debbono, come ogni pluralit,
essere ordinati ad un primo; pertanto ci domanderemo quale formalmente il
primo dei primi princpi e come lo si deve esattamente formulare.

2.2. Domande sulla genesi dei princpi


[8] Siccome i due predicati di naturale e di acquisito sembrano opporsi
nonostante la previa chiarificazione che ne abbiamo data, cercheremo cosa
significano questi due termini nel caso dell'abito dei princpi, e in quale modo

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

si applicano ambedue ad esso.


[9] Si dovr poi analizzare dettagliatamente le fasi attraverso le quali l'abito
dei princpi viene inizialmente iscritto nell'intelletto possibile per
l'illuminazione dell'intelletto agente su una sintesi sensoriale elaborata nei sensi
interni in base alla sensazione esterna.
[10] Ci che formale in un primo principio l'evidenza della connessione
immediata fra il predicato ed il soggetto; ora ci si chiede, dal punto di vista
genetico, se tale connessione viene conosciuta solo dall'intelletto agente,
oppure se viene in qualche sperimentata nella percezione.
[11] Da un lato, sembra che la conoscenza dei princpi sia interamente data
nella prima intellezione, poich loro sono il fondamento di ogni altro giudizio;
ma, d'altro lato, sembra pure che l'abito dei princpi possa crescere col tempo,
giacch i sapienti ricorrono ad uno spettro di princpi assai pi ampio dei rudes.

2.3. Domande sulla finalit dei princpi


[12] Sapendo che l'abito dei princpi esiste (an sit) nonch in che cosa esso
consiste (quid sit), siamo in grado di porre la domanda sulla sua necessit
(propter quid sit), e di risolverla.
[13] La necessit dell'abito dei princpi essendo quella di uno strumento, si
deve poi analizzare la sua finalit a partire dai due poli di ogni mediazione
strumentale che sono l'agente principale da un lato, poi l'effetto ottenuto dallo
stesso strumento d'altro lato. Ci si chiede quindi in primo luogo perch e come
l'abito dei princpi sia lo strumento necessario dell'intelletto agente.
[14] L'analisi della strumentalit dei primi princpi, nell'ottica della loro causa
finale, deve dunque proseguire considerando l'effetto intenzionale da loro
raggiunto, che consiste nell'invenzione e la risoluzione di una conclusione
mediata. Sotto questo aspetto, vi sono di nuovo due aspetti da esaminare. In una
dimostrazione scientifica, in primo luogo, le premesse debbono essere
immediate, o perlomeno riducibili a proposizioni immediate26(26); in altri
termini, i princpi sono ci a partire di cui il sillogismo viene effettuato. Ci si
chiede pertanto in quale modo la dimostrazione procede dai princpi (ex

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

principiis).
[15] Al contempo, in secondo luogo, un sillogismo adopera sempre il
principio
di
non-contraddizione,
non
tuttavia
come
premessa
dell'argomentazione, bens come sua molla interna. Ci dobbiamo quindi anche
chiedere in quale modo la dimostrazione procede in virt dei princpi (virtute
principiorum).
[16] Dopo aver considerato la finalit strumentale dei princpi nel loro
esercizio attuale, si deve risalire ai rapporti di finalit che l'abito stesso dei
princpi trattiene con le altre virt intellettuali. Quindi ci si chiede, per primo,
quale lo scopo dello habitus principiorum rispetto alle scienze speculative
che considerano un determinato segmento dell'essere (la metafisica essendo
quindi esclusa).
[17] Lo stesso problema si pone rispetto alla disciplina che specula l'essere in
quanto essere, cio la sapienza.
[18] Nella prospettiva comparativa dei due ultimi quesiti si inserisce anche la
domanda sul rapporto fra l'abito dei princpi, che viene collocato nell'ordine
delle virt speculative, e la sinderesi, ossia l'abito dei primi princpi pratici, che
ordinato all'agire morale di cui costituisce la suprema regola naturale.

2.4. Domanda sulla causa esemplare dei princpi


Allo stesso modo in cui l'investigazione metafisica sull'ente non
compiuta prima che il filosofo primo sia arrivato all'Ipsum Esse Subsistens che
ne il principio e causa supremo, cos anche la riflessione sui primi princpi
noetici deve giungere fino al loro esemplare transcendente, che non altro che
la summa et prima veritas. Integrando qua Agostino con Aristotele, l'Aquinate
allude spesso a questa risultanza della verit divina nella nostra mente
attraverso i primi princpi:
a veritate intellectus divini exemplariter procedit in intellectum
nostrum veritas primorum principiorum secundum quam de omnibus
iudicamus. Et quia per eam iudicare non possumus nisi secundum quod
est similitudo primae veritatis, ideo secundum primam veritatem de
omnibus dicimur iudicare27(27).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

[19] Concluderemo il nostro studio con l'elucidazione di questo rapporto di


esemplarit, ricercando in qualo modo i primi princpi trovano il loro
paradigma nella luce dell'intelletto divino.

2.5. Lo statuto epistemologico di questo studio


All'inizio di una inchiesta scientifica, nel senso aristotelico di questo
aggettivo, occorre determinare l'oggetto da studiare, la disciplina al quale
appartiene, ed il metodo da seguire28(28).
L'oggetto che vogliamo investigare, vale a dire il subiectum (ge/noj)
della presente ricerca29(29), stato sufficientemente delineato con la
definizione che ne abbiamo desunta da san Tommaso e le spiegazioni che ne
abbiamo date. Precisiamo ora che ci limiteremo, in questa sede, aa analizzare
l'abito dei princpi in quanto una virt intellettuale speculativa, riservando
solo un problema alla questione del suo rapporto con la sinderesi. Rimane
quindi da determinare la scienza nel campo della quale rientra il presente
studio, nonch il metodo che conviene adoperare.
2.5.1. Il posto di questo studio nelle scienze filosofiche
Per quanto riguarda il luogo epistemologico proprio di una riflessione sui
primi princpi, si deve tener conto dei diversi aspetti di questo tema, che sono
tre.

L'oggetto dei princpi


Considerando il primo luogo la realt stessa raggiunta dall'intellectus
principiorum ossia i primi princpi come oggetto di conoscenza, si deve
ascrivere il loro studio alla filosofia prima. San Tommaso lo dimostra con ogni
rigore nel suo commento alla Metafisica di Aristotele:
Hic solvit aliam quaestionem in tertio motam; scilicet utrum ad
istam
scientiam
pertineat
considerare
prima
principia
demonstrationis30(30).
Ratio talis est. Quaecumque insunt omnibus entibus, et non solum
alicui generi entium separatim ab aliis, haec pertinent ad considerationem
philosophi: sed praedicata principia sunt huiusmodi: ergo pertinent ad
considerationem philosophi. Minorem sic probat. Illa, quibus utuntur

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

omnes scientiae, sunt entis inquantum huiusmodi: sed prima principia


sunt huiusmodi: ergo pertinent ad ens inquantum ens31(31).
La ragione dell'appartenenza epistemologica dell'assiologia alla
metafisica si trova quindi nella loro connessione, gi accennata, alla ratio entis,
che il subiectum specifico della suprema disciplina filosofica. Dovremo
esaminare in quale misura l'insieme dei primi princpi collegatio all'ente,
giacch tutti non lo sono in modo cos immediato come il principio di
non-contraddizione. Si rilevi gi che, allo stesso modo in cui tutte le nozioni,
fossero pure traspredicamentali, non hanno la stessa totale universalit della
nozione di ente, cos anche non tutti i princpi propri, pur comuni, non si
estenderanno alla assoluta totalit del reale.
Si potrebbe poi muovere qui due obiezioni. La prima sarebbe che non si
capisce come l'oggetto proprio di un abito, che appunto lo habitus
principiorum, debba essere tematizzato da un altro abito, che sarebbe la
philosophia prima. A questa istanza, si risponder che l'abito dei princpi
conosce, s, i princpi, ma non riflessivamente, il ch appartiene, invece, alla
metafisica:
Sed quia [sapientia] habet aliquid proprium supra alias scientias,
inquantum scilicet de omnibus iudicat; et non solum quantum ad
conclusiones, sed etiam quantum ad prima principia32(32).
Mentre quindi l'abito dei princpi conosce semplicemente ed
immediatamente le proposizioni nelle quali i princpi vengono espresse, la
sapienza li giudica, ossia specula su di loro.
Un altra obiezione potrebbe nascere invece dal carattere strumentale dei
princpi. Siccome loro sono destinati alle scienze, qualcuno potrebbe non capire
perch non rientrano in quel genere di virt intellettuali, giacch le premesse
sono omogenee alla conclusione. San Tommaso risolve cos questa difficolt:
Principia vero demonstrationis posunt seorsum considerari, absque
hoc quod considerentur conclusiones. Possunt etiam considerari simul
cum conlusionibus, prout principia in conclusiones deducuntur.
Considerare ergo hoc secundo modo principia, pertinet ad scientiam,
quae considerat etiam conclusiones: sed considerare principia secundum
seipsa, pertinet ad intellectum33(33).
In sintesi, l'oggetto dei primi princpi viene quindi considerato, sotto

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

diversi aspetti, dai tre generi di virt intellettuali speculative:


oggetto dei primi princpi
considerato in s stessi
semplicemente
habitus principiorum
riflessivamente
philosophia prima
in ordine alle conclusioni scientia
Si d, fra questi diversi abiti, questa differenza che la metafisica tratter
dei princpi noti in actu signato, mentre l'abito stesso dei princpi e le scienze
che li utilizzano vi faranno ricorso sopratutto in actu exercito: sia che si dia un
semplice assenso agli assiomi, sia che loro vengano usati in dimostrazioni, non
ci si ferma sul significato dell'enunciato stesso, ma si passa subito oltre. Solo la
filosofia prima, proprio perch i princpi rientra nel suo soggetto, pu meditare
su di loro.

L'abito dei princpi come qualit dell'intelletto


Una seconda dimensione dei princpi l'essere abituale che possedono
nell'intelletto, appunto come habitus specificamente intellettuale. Sotto questo
aspetto, il o appartiene all'ordine delle realt immateriali, ed quindi
qualcosa di meta-fisico, cio di separato dalla materia. A questo titolo, lo
studio dell'abito dei princpi rileva della disciplina che san Tommaso chiama
incidentalmente scientia de intellectu, e che non pu non essere un momento
della filosofia prima34(34).

Il tipo di predicazione proprio dei primi princpi


Una terza dimensione dei primi princpi consiste nel tipo di predicazione
(per se e per se nota) che li caratterizza. Sotto questo profilo, uno studio dello
habitus principiorum coinvolger la logica, cui spetta considerare le relazioni
di ragione che la mente forma dentro di s per conoscere l'ente fuori di s.
Infatti, i princpi costituiscono un peculiare tipo di enunciazione, il ch ci
rimanda all'intenzione seconda di attribuzione35(35). Questa ragione teoretica
fonda l'ampio sviluppo che viene dato alla problematica dei princpi comuni e
propri negli undici primi capitoli del libro A dei Secondi Analitici.
2.5.2. Il metodo da seguire
L'altro punto da chiarire inizialmente riguarda il metodo da seguire.
Come in ogni scienza, si tratter di sollevare e di risolvere i problemi

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

(problh/mata) che si pongono a chi vuole investigare il suo soggetto (ge/noj),


e che abbiamo gi elencati. Stabiliremo quindi ogni volta, in modo conciso, lo
status quaestionis del problema in discussione, facendo valere le ragioni pro et
contra che si presentano. Chiameremo in causa la storia delle fonti di san
Tommaso o delle sue interpretazioni nella misura in cui sar necessario per
l'intelligenza del nostro oggetto di ricerca36(36). Per la soluzione, risaliremo ai
fondamenti che la giustificano, integrando in una prospettiva specificamente
speculativa le precisioni e le sfumature che ci offre una esegesi diretta del testo
tommasiano. In questo sforzo, cercheremo sempre di evidenziare perch i
problemi posti esigono tale determinata ed esclusiva risposta.

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J. PTRIN, Les modes de dire per se et la dmonstration. Revue de
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ragione : studi recenti di Scolastici moderni e note gnoseologiche.
Rivista di filosofia neoscolastica 16 (1924), pp. 47-63; 187-233.

TESTI PER FONDAMENTARE LA RICERCA SUI


PRINCIPI
Testi fondamentali ad omnia
ARISTOTELES, Met. (IV), 3-4; Eth. Nic. Z (VI), 6; An. Post. A (I), 1-11; B
(II), 19
BOETHIUS, Quomodo substantiae in eo quod sint, bonae sint cum non sint
substantialia bona, PL 64, 1311 B.
DIVUS THOMAS, SM 4, lect. 5-6; SE 6, lect. 5; EBH, lect. 1, nn. 12-18; I-II,
57, 1 e 2; EPA 1, lect. 3; 4; 5; 7; 9; 10; 13; 14; 17; 18; 19; 20; 2, lect. 20;
QDV 11, 1-3.

La natura dei primi princpi

L'intuizione dei princpi un abito ?


Sn 3, 23, 2, 1, 8m; QDV 17, 1, c; 20, 2, c; SA 3, lect. 5, n. 639; I-II, 49, 1
a 4; 50, 4; SE 6, lect. 5
2

L'abito dei princpi una virt intellettuale ?


Sn 3, 23, 1, 4, sol. 1, 4m; sol. 3, 3m; I-II, 55, 1 a 4; 56, 3; 57, 1 e 2;
QDVC 7; 12; EPH 1, lect. 14, n. 199 [24]; SE 6, lect. 5
3

I primi princpi hanno per oggetto verit necessarie ?


QDV 24, 1, 18; QDM 6, 10m; I, 82, 2, c; I-II, 94, 4, c; EPH 1, lect. 14, n.
199 [24]
4

I primi princpi hanno per oggetto proposizioni per se ?


Sn 1, 12, 1, 3, 4m; QDP 8, 2, 6m; I, 17, 3, 2m; EPA 1, lect. 14.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

L'oggetto dell'abito dei princpi per se notum ?


Sn 1, 3, 1, 2, c; 1, 3, 4, 5, c; 2, 25, 1, 2, c; 3, 23, 2, 3, sol. 1, 2m; 3, 24, 1,
2, sol. 1, 2m; EBH, lect. 1; QDV 10, 12, c; 14, 1, c; 15, 1, c; 18, 7, c; CG 1, 10,
nn. 60 e 63; SDN 4, lect. 7, n. 376; QDP 7, 2, 11m; I, 2, 1, c; 17, 3, 2m; 64, 2, c;
II-II, 25, 1, c; 180, 6, 2m; SM 4, lect. 5 e 6; 11, lect. 5, n. 2213; SE 6, lect. 5;
lect. 7, n. 1214; EPA 1, lect. 4, nn. 10-14; lect. 5, nn. 2-7; lect. 6, n. 2; lect. 7,
nn. 66-67 [7-8]; lect. 19, n. 162 [4]; lect. 28, n. 223 [3]; lect. 43, n. 392 [11];
lect. 44, n. 399 [5].
6

I primi princpi sono connessi alla ratio entis ?


Sn, 1, 8, 1, 3, c; QDV 1, 12, c; 11, 1, c; Qdl 8, 2, 2, c; QDP 9, 7, 15m; I,
85, 6, c; I-II, 94, 2, c; SM 4, lect. 5 e 6; SE 6, lect. 5
7

I primi princpi si dividono in comuni e propri ?


EPA 1, lect. 18; lect. 41, n. 367 [12]; lect. 43, n. 392-394 [11-13].

Quali sono i primi princpi comuni ?


EPA 1, lect. 19.

Quale il primo principio primo comune ?


EPA 1, lect. 20, n. 167 [1]; SM 4, lect. 6 e 7.

II

La genesi dei primi princpi

10 L'abito dei princpi naturale o acquisito ?


Sn 3, 14, 1, 1, sol. 2, c; 3, 14, 1, 2, sol. 1, c; 3, 23, 2, 2, sol. 3, c; 3, 23, 3,
2, 1m; 3, 24, 1, 2, sol. 1, c; QDV 11, 1, 5m; SA 3, lect. 10, n. 729; I-II, 51, 1; 63,
1, c; II-II, 8, 1, 1m; 47, 6, c; 15, c; III, 9, 1, c; QDVC 8
11 Attraverso quali fasi l'abito dei princpi viene generato ?
Sn 1, 3, 5, un., 1m; 3, 14, 1, 1, sol. 2, 2m; 3, 14, 1, 3, sol. 3, c; 3, 23, 2, 2,
sol. 1, c; QDV 8, 15, c; I, 117, 1, c; SDN 7, lect. 2, n. 711; I-II, 94, 2, c; II-II, 2,
3, 2m; QDM 3, 3, c; SM 1, lect. 1, nn. 9-22; EPA 2, lect. 20; SPh 8, lect. 3, n.
994 [4]; SE 6, lect. 3, n. 1148; 6, lect. 5.
12 Da dove viene conosciuto il nesso predicativo nei primi princpi ?
Sn 3, 25, 2, 1, sol. 4, 1m; EPA 2, lect. 20.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

13 L'abito dei princpi immutabile o pu crescere ?

III La finalit dei primi princpi


14 necessario che ci sia un abito dei princpi ?
Sn 3, 23, 1, 1, c; EBH, lect. 1; II-II, 47, 6, c
15 In quale modo l'abito dei princpi lo strumento dell'intelletto
agente ?
Sn 3, 23, 2, 1, 4m; QDV 9, 1, c e 2m; QDV 11, 1, c; 3, c; QDA 4, 6m; 5,
c; 16, c; QDSC 9, 7m; 10, 8m; Qdl 8, 2, 2, c; 10, 4, 1, 2m; I, 36, 3, 4m
16 In quale modo la dimostrazione scientifica procede dai princpi ?
Sn 1, 17, 1, 3, c; 2, 24, 3, 3, 2m; 3, 14, 1, 3, sol. 3, c; QDV 12, 1, c; 3, 2m
e 3m; 15, 1, c e 4m; I-II, 13, 3, c; EPA 1, lect. 17.
17 In quale modo la dimostrazione scientifica procede in virt dei
princpi ?
Sn 3, 14, 1, 1, sol. 4, c; 3, 14, 1, 3, sol. 5, c; 3, 24, 1, 2, sol. 2, 2m; 3, 25,
1, 1, sol. 1, 4m; QDV 11, 1, c; 5m; 13m; 2, c; 15, 1, c; 16, 2, c; 17, 1, 1m; Qdl 8,
2, 2, c; CG 1, 10, n. 64; SDN 4, lect. 7, n. 376; 7, lect. 2, n. 711; SA 2, lect. 11,
n. 372; I, 64, 2, c; SM 4, lect. 5 e 6; SE 1, lect. 18, n. 219; 2, lect. 4, n. 286; SE
6, lect. 3, n. 1149; III, 12, 1, 1m
18 Quale lo scopo dell'abito dei princpi rispetto alla scienza ?
Sn 3, 14, 1, 1, sol. 3, c e 2m; 3, 25, 2, 1, sol. 2, 2m; 3, 33, 1, 2, sol. 1, c;
QDV 11, 2, c; 15, 2, 3m; Qdl 8, 2, 2, c; I-II, 15, 3, 1m
19 Quale lo scopo dell'abito dei princpi rispetto alla sapienza ?
I-II, 66, 5, 4m
20 Quale il rapporto dell'abito dei princpi nei confronti della
sinderesi ?
QDV 16, 1, cI-II, 58, 4, c, in fine; 94, 1, 2m; II-II, 49, 2, 1m

IV La causa esemplare dei primi princpi

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

21 I primi princpi sono un riflesso della luce divina ?


QDV 1, 4, c e 5m; QDV 10, 6, c e 6m; Qdl 10, 4, 1, c;

II Parte
INVESTIGAZIONE SPECULATIVA DEI PRIMI
PRINCIPI

Capitolo primo
LA NATURA DEI PRIMI PRINCIPI
In questo capitolo, ci chiediamo che cosa sia questo nou=j aristotelico
che i medievali interpretarono come intelligenza dei princpi. In questa
determinazione, procediamo dal pi generico al pi specifico, secondo lo
seguente schema:
1
2
3
4
5
5
6
7

habitus intellectivus aut potentia ?


habitus
habitus operativus bonus ?
virtus intellectualis
circa necessaria ? virtus speculativa
circa per se ?
virtus speculativa
circa per se nota
et ratio entis ?
[differentia specifica]
circa communia et propria ? [partes]
qualia sunt communia ? [partes]
quale primum principium ?
[primum obiectum]

L'intuizione dei princpi un abito ?

1. Collocazione storica del problema


1.1. Aristotele

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Come si sa, Aristotele tratta dell'intelligenza in diversi contesti. Per


quanto interessa il nostro problema, i luoghi fondamentali sono due. Nel
capitolo 5 del libro del De Anima, lo Stagirita distingue due intelletti:
Ma, poich, in tutta la natura, si distingue per primo qualcosa che
serve di materia ad ogni genere, ed ci che in potenza tutti gli esseri
comprese sotto quel genere, e poi un'altra cosa che la causa e l'agente
perch li produce tutti, come fa l'arte rispetto alla sua materia,
necessario che, anche nell'anima, si ritrovino queste differenze. E, infatti,
vi si distingue, da una parte, l'intelletto che analogo alla materia, per il
fatto che esso diventa tutti gli intelligibili, e, d'altra parte, l'intelletto, che
li produce tutti, poich esso come qualcosa che si possiede ed una
specie di luce, giacch, in un certo senso, pure la luce converte i colori in
potenza in colori in atto1(37).
questo celebre passo che sta all'origine di tutta la speculazione della
tarda antichit e del medioevo, sia arabo che latino, sull'intelletto agente e
l'intelletto possibile. Ora la frase dove il Filosofo pone questa dualit di
intelletti molto concisa, e contiene, riguardo al nostro tema, una difficolt
testuale di grande importanza. Ecco il brano nell'originale greco:
Kai\ e)/stin o( me\n toiou=toj nou=j tw= pa/nta gi/nesqai, o(
de tw= pa/nta poiei=n, w)j e)/cij tij, oi)=on to\ fw=j2(38).
L'intelletto agente viene quindi caraterizzato con il termine e)/cij, che i
latini tradurrano con habitus. Come si deve interpretare questo possesso
dell'intelletto agente ?
La difficolt perdura se si mette in parallelo questo brano del De Anima
con il sesto libro dell'Ethica Nicomachea, la quale enumera pure il nou=j fra le
virt intellettuali, che rientrano nella categoria della e)/cij. Facendo una lettura
pi testuale che speculativa - come capita spesso nel caso di Aristotele, a causa
dell'estrema densit di quei scritti che sono appunti di lezioni -, possiamo
quindi vedere come una alternativa aperta nel pensiero aristotelico riguardo al
possesso dei primi princpi: o coincida con l'intelletto agente (sul cui stato
bisogna poi investigare), oppure un tertium quid fra intelletto agente ed
intelletto possibile. La storia dell'aristotelismo esit fra le due letture.
1.2. Alessandro di Afrodisia

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Si deve ad Alessandro di Afrodisia, che fior all'inizio del III secolo d.C,
la prima grande sistematizzazione del pensiero aristotelico sull'intelletto. Egli
esplicit cos i tre livelli semantici del lemma nou=j3(39), di cui diamo pure la
traduzione latina4(40):
[1] nou=j poihtiko/j intellectus agens
[2] nou=j kaq'e)/cin intellectus qui intelligit et habet habitum ut
intelligat
[3] nou=j u)liko/j
intelligencia materialis
Come risaputo, Alessandro platonizza Aristotele e perci postula una
totale separazione ontologica dell'intelletto agente rispetto al soggetto umano
concreto, che non possiede quindi in proprio che l'intelletto ilico. Questa
reificazione del nou=j poihtiko/j sta all'origine delle dottrine arabe
sull'intelletto agente separato. Ma il punto che ci importa in questa sede lo
statuto del secondo livello. Che cosa il nou=j kaq'e)/cin per Alessandro?
Senza dubbio, l'intelletto ut habitus , per lui, la risultanza dell'influsso
dell'intelletto agente (separato) sull'intelletto materiale, come lo spiega bene
Etienne Gilson:
Le deuxime intellect est l'intellectus in habitu. Alexandre n'en dit
que deux choses prcises dans la brve description qu'il en donne.
D'abord cet intellect connat (intelligit); il ne s'agit donc plus d'une pure
puissance comme dans le cas prcdent, mais d'une puissance dj en
acte. En outre, cet intellect possde l'habitus, c'est--dire l'habitude ou,
comme l'on traduisait au XVIIe sicle l'ayance d'exercer des actes
d'intellection. Pour user d'une comparaison, nous pourrions assimiler
l'intellect matriel la disposition de ceux qui sont en tat d'apprendre un
mtier pour devenir des artisans; l'intellect habituel, au contraire,
correspond l'tat de celui qui connat dj un mtier et peut tout
instant l'exercer. Enfin, dernire dtermination qui a son importance,
Alexandre ne semble pas faire de ces deux intellects deux tres distincts;
l'intellect habituel, c'est l'intellect matriel lui-mme, une fois qu'il a
acquis l'habitude d'agir et de connatre5(41).
Se, lasciando da parte la questione storicamente spinosa dello statuto
ontologico dell'intelletto agente, ci limitiamo a quella dello statuto noetico del
cosidetto intellectus secundus, possiamo dire che Alessandro inaugura la
tradizione che vede in esso una e)/cij sovraggiunta all'intelletto ilico.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

1.3. L'averroismo
Per, nel testo del De Anima, l'intelletto agente veniva descritto, fra
l'altro, come w)j e)/cij tij, sicut habitus quidam. Preso alla lettera, questo passo
poteva far supporre che la capacit di intuire i princpi fosse identica con lo
stesso intelletto agente, giacch ambedue vengono chiamati e)/cij, habitus. Il
possibile equivoco lessicale stato rilevato bene da san Tommaso nel suo
commento sul De Anima:
Necesse est igitur in anima intellectiva esse has differentias: ut
scilicet unus sit intellectus, in quo possint omnia intelligibilia fieri, et hic
est intellectus possibilis, de quo supra dictum est: et alius intellectus sit
ad hoc quod possit omnia intelligibilia facere in actu; qui vocatur
intellectus agens, et est sicut habitus quidam.
Huius autem verbi occasione, quidam posuerunt intellectum
agentem idem esse cum intellectu qui est habitus principiorum6(42).
Nella Somma contra i Gentili, l'Aquinate attribuisce poi questa tesi ad
Averro:
Haec enim est definitio habitus, ut Commentator Averroes ibidem
dicit, quod habens habitum intelligat per ipsum quod est sibi proprium ex
se et quando voluerit, absque hoc quod indigeat in eo aliquod extrinseco.
Expresse enim assimilat habitui non ipsum factum, sed intellectum quod
est omnia facere7(43).
Sapendo che, nella lettura che l'averroismo latino fece di Averro,
l'intelletto coincide con l'intelletto possibile, ed quindi come lui
ontologicamente separato, si capisce bene che l'abito dei primi intelligibli
debba essere riferito a questa sostanza separata.
2.

Investigazione speculativa

Per rispondere alla domanda sul genere al quale appartiene l'oggetto


della nostra ricerca, procederemo in due grandi tappe. In un primo momento,
dobbiamo chiarire le nozioni in causa nel quesito, giacch occorre preconoscere
in qualche modo il significato dei termini di un problema prima di

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

risolverlo8(44). Pertanto avremo da stabilire la natura e lo scopo propri della


potenza e dell'abito, che sono i poli della controversia che dobbiamo dirimere; e
siccome ci che in causa in tutta la problematica che abbiamo elaborata,
dovremo pure precisare che cosa siano le facolt intellettive umane. Compiuto
questo studio, potremo, in un secondo momento, enunciare e giustificare la
nostra soluzione.
2.1.

Le nozioni in causa

2.1.1. La potenza e l'abito


In antropologia ed in etica, san Tommaso riccorre costantemente alle
nozioni di potenza e di abito. Ricordiamone, per cominciare, il significato
usuale. La potenza, in questo contesto, viene descritta ci che una realt pu
fare o patire per natura sua:
potentia nihil aliud est quam principium operationis alicuius, sive
sit actio sive passio. Non quidem principium quod est subiectum agens
aut patiens, sed id quo agens agit aut patiens patitur9(45).
Si noti bene che, preso in questo senso, la potenza viene ristretta al piano
dell'operazione, in quanto opposto al piano dell'essere. Da canto suo, l'abito
pu descriversi come la maniera in cui una realt si tiene (se habet) in s, in
contrapposizione all'avere (che sarebbe il significato pi immediato della
parola):
hoc nomen habitus ab habendo est sumptum. A quo quidem nomen
habitus dupliciter derivatur: uno quidem modo, secundum quod homo,
vel quaecumque alia res, dicitur aliquid habere; alio modo, secundum
quod aliqua res aliquo modo se habet in seipsa vel ad aliquid
aliud10(46).
L'abito quindi il modo nel quale qualcosa viene stabilmente disposto, o
rispetto a s stesso, oppure rispetto a qualche altra cosa.
Sulla base di queste definizioni ancora usuali, possiamo evidenziare la
ragione di essere di questi specifici livelli di realt che sono le potenze e gli
abiti. Per quanto riguarda le prime, l'Aquinate suole inquadrare la domanda
sulla loro necessit nella questione, allora molto discussa fra aristotelici e
francescani, del loro statuto nei confronti dell'anima. Il motivo per il quale le

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

potenze dell'anima sono realmente distinte dall'anima stessa si trova


nell'omogeneit che deve regnare fra una potenza ed il suo atto. Alla luce di
questo principio, si capisce bene che la potenza che sta alla radice di una
operazione accidentale non pu essere quella che sta a fondamento di un atto
sostanziale:
Quia unumquodque genus dividitur per potentiam et actum. Unde
potentia homo est in genere substantiae, et potentia album est in genere
qualitatis. Manifestum est autem quod potentiae animae, sive sint activae
sive passivae, non dicuntur directe per respectum ad aliquid substnatiale,
sed al aliquid accidentale. Et similiter esse intelligens vel sentiens actu
non est esse substantiale, sed accidentale, ad quod oridnatur intellectus et
sensus; et similiter esse magnum vel parvum, ad quod ordinatur vis
augmentativa. [...] Manifestum est ergo quod ipsa essentia animae non
est principium immediatum suarum operationum, sed operatur
mediantibus principiis accidentalibus; unde potentiae animae non sunt
ipsa essentia animae, sed proprietates eius11(47).
Le potenze dell'anima sono quindi degli accidenti predicamentali, e pi
precisamente delle qualit, perch aggiungono una ulteriore determinazione
formale all'anima; invece, non sono degli accidenti predicabili, giacch
scaturiscono dall'essenza dell'anima, e ne sono quindi delle propriet12(48).
Le potenze si collocano cos su un livello ontologico aggiuntivo a quello
dell'anima, alla quale permettono di operare; ma il soggetto umano pu operare
bene o male a seconda che i suoi atti realizzano o contrastano una esigenza
della sua natura; perci si profila un'ulteriore livello ontologico di qualit
dell'anima, che modificano le potenze in vista della loro attuazione. a questo
piano che incontriamo gli habitus, la cui necessit viene propugnata in tre passi
da un articolo sintetico del Commento sulle Sentenze. Per primo, si mette in
evidenza la misurazione alla quale vengono sottomesse le potenze in virt
della loro finalit:
in omnibus quae habent regulam et mensuram, eorum bonitas et
rectitudo consistit in conformitate ad suam regulam vel mensuram;
malitia autem, secundum quod ab ea discordant.
Prima autem mensura et regula omnium est divina Sapientia. Unde
bonitas et rectitudo sive veritas uniuscujusque consistit secundum quod
attingit ad hoc ad quod ex divina Sapientia ordinatur, ut Anselmus dicit.
Et similiter est etiam de aliis secundis regulis, quod in conformitate ad

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

ipsas, bonitas et rectitudo regulatorum consistit13(49).


Il problema che si pone quindi quello del principio che funge da
secunda regula nelle potenze dell'anima. In alcune, tale ordinazione al fine
viene totalmente data dalla loro stessa natura; in altre, l'ampiezza della loro
apertura tale da richiedere una ulteriore determinazione:
Sunt autem quaedam potentiae limitatae ad determinatas actiones
vel passiones; et secundum quod illas implent, suae regulae
conformantur, quia per divinam Sapientiam ad talia sunt ordinatae. Et
quia naturae inclinatio semper est ad unum, ideo tales potentiae ex ipsa
natura potentiae rectitudinem sufficienter habere possunt et bonitatem;
malitia autem in eis contingit ex defectu potentiae.
Potentiae vero altiores et universaliores, cujusmodi sunt rationales
potentiae, non sunt limitatae ad aliquid unum vel objectum vel modum
operandi; quia secundum diversa et diversimode rectitudinem habere
possunt. Et ideo ex natura potentiae non potuerunt determinari ad rectum
et bonum ipsarum; sed oportet quod rectificentur, rectitudinem a sua
regula recipientes14(50).
La ragione precisa per la quale alcune potenze necessitano una
determinazione posteriore alla loro stessa natura viene quindi dalla loro
universalit, cio dalla molteplicit degli oggetti che possono raggiungere, e dei
modi con i quali li possono raggiungere. Questa pluralit si deve ovviamente
intendere degli oggetti materiali, giacch una potenza, per definizione, non pu
non avere un oggetto formale che la specifica per se15(51).
La potenza che non lo per la sua stessa essenza, potr essere
determinata ad unum in due modi: o per violenza, o per una certa qualit
inerente. Il primo tipo di determinazione essendo del tutto estrinseco, non pu
essere n perfetto n conforme alla natura delle cose; quindi ci vuole il
secondo, che san Tommaso descrive cos:
Oportet ergo ut alio modo recipiatur, scilicet per modum qualitatis
inhaerentis, scilicet ut rectitudo regulae efficiatur forma potentiae
regulatae; sic enim faciliter et delectabiliter quod rectum est operabitur,
sicut id quod est conveniens suae formae. Et haec quidem qualitas sive
forma, dum adhuc imperfecta est, dispositio dicitur; cum autem jam
consummata est et quasi in naturam versa, habitus nominatur, qui, ut ex
II. Eth. et V Meta., accipitur, est secundum quem nos habemus ad aliquid

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

bene vel male16(52).


L'abito appare quindi come una regola immanente alla potenza che ne
costituisce come una seconda natura (quasi in naturam versa), per opposizione
alla semplice disposizione che ancora imperfetta. Il segno della presenza di
quello o di questa la facilit e il diletto con i quali la potenza emana gli atti
alla quale cos ordinata.
Dopo aver evidenziato la necessit degli abiti, e con questo manifestato
ipso facto la loro natura, il Dottore Comune ha cura di stabilire quali potenze
esigono di essere perfezionate in questa maniera per giungere al loro fine, e
quali invece no:
Patet ergo quod potentiae naturales, quia sunt ex seipsis
determinatae ad unum, habitibus non indigent.
Similiter etiam nec apprehensivae sensitivae, quia habent
determinatum modum operandi, a quo non deficiunt nisi per potentiae
defectum.
Similiter etiam nec voluntas humana, secundum quod est
determinata naturaliter ad ultimum finem et ad bonum, secundum quod
est objectum ejus.
Similiter etiam nec intellectus agens, qui habet determinatam
actionem, scilicet facere intelligibilia in actu; sicut lux facere visibilia in
actu.
Similiter etiam nec in ipso Deo est aliquis habitus, cum ipse sit
prima regula ab alio non regulata; unde essentialiter bonus est, et non per
participationem rectitudinis ab alio; nec malum in ipso incidere potest.
Sed intellectus possibilis qui de se indeterminatus est, sicut
materia prima, habitu indiget quo participet rectitudinem suae regulae
[...].
Similiter etiam in voluntate quantum ad illa ad quae ex natura non
determinatur, et in irascibili et in concupiscibili, indigemus habitibus,
secundum quod participant rectitudinem rationis quae est eorum regula,
vel rectitudinem primae mensurae in his quae naturam humanam
excedunt, quantum ad habitus infusos.
Et similiter in corpore animato est habitus sanitatis, prout
participat ab anima dispositionem qua potest opus suum recte perficere;
quia oculus sanus dicitur qui opus oculi recte perficere potest ut X De
animal., dicitur.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Unde patet quod hujusmodi qualitates quas habitus dicimus, in


rebus animatis inveniuntur, et praecipue in habentibus electionem, ut in
V Meta., dicitur17(53).
Per quanto riguarda il nostro tema, si riterr che l'intelletto possibile ha
necessit di abiti, perch indeterminato come la materia prima, mentre
l'intelletto agente non ne pu ricevere, poich possiede una azione
determinata.
Prima di approfondire la tematica dell'intelletto, dobbiamo ora esaminare
in chiave metafisico-critica le definizioni rispettive della potenza e dell'abito in
rapporto alla qualit di cui sono delle modalit analogiche. Nel trattato che la
Ia-IIae dedica agli habitus, troviamo una sistematizzazione della qualit in due
tappe. Nella prima si spiega che cosa una qualit, e si distingue le qualit
sostanziali, che sono le differenze specifiche, dalle qualit stricte dictae, cio
dalle qualit accidentali:
Proprie enim qualitas importat quendam modum substantiae.
Modus autem est, ut dicit Augustinus, Super Gen. ad litteram, quem
mensura praefigit: unde importat quandam determinationem secundum
aliquam mensuram. Et ideo sicut id secundum quod determinatur
potentia materiae secundum esse substantiale, dicitur qualitas quae est
differentia substantiae; ita id secundum quod determinatur potentia
subiecti secundum esse accidentale, dicitur qualitas accidentalis, quae est
etiam quaedam differentia, ut patet per Philosophum in V
Metaphys18(54).
Per l'Aquinate, la ratio comune di qualit si pu dunque descrivere come
un modo della sotanza, il modo dovendo essere inteso come qualche
determinazione secondo qualche misura. Ogni predicamento essendo
quodammodo una determinazione, l'aggiunta della misura che consente di
precisare ci che la qualit. Ora misurare significa, al di l dell'ambito
strettamente matematico, confrontare con un esemplare di riferimento alla luce
di cui si pu qualificare una cosa, vale a dire dire quale . Quando, ad
esempio, esprimiamo il colore di qualcosa, giudichiamo che la superficie in
questione partecipa effettivamente alla taleit di quel colore.
Adoperando tale nozione di modo, san Tommaso ricostruisce poi
speculativamente la tavola dei quattro generi di qualit che vengono proposti

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

nelle Categorie19(55). Per cogliere pi facilmente la sistematicit di questa


divisione, ne evidenziamo le articolazioni tipograficamente e numericamente:
Modus autem sive determinatio subiecti secundum esse
accidentale, potest accipi vel in ordine ad ipsam naturam subiecti [1]; vel
secundum actionem [2] et passionem [3] quae consequuntur principia
naturae, quae sunt materia et forma; vel secundum quantitatem [4].
[4] Si autem accipiatur modus vel determinatio subiecti secundum
quantitatem, sic est quarta species qualitatis.
[-]
Et quia quantitas, secundum sui rationem, est sine motu, et
sine ratione boni et mali; ideo ad quartam speciem qualitatis non pertinet
quod aliquid sit bene vel male, cito vel tarde transiens.
[2-3] Modus autem sive determinatio subiecti secundum actionem et
passionem, attenditur in secunda et tertia specie qualitatis.
[]
Et ideo in utraque consideratur quod aliquid facile vel
difficile fiat, vel quod sit cito transiens aut diuturnum.
[]
Non autem consideratur in his aliquid pertinens ad rationem
boni vel mali: quia motus et passiones non habent rationem finis, bonum
autem et malum dicitur per respectum ad finem.
[1] Sed modus et determinatio subiecti in ordine ad naturam rei,
pertinet ad primam speciem qualitatis, quae est habitus et dispositio, dicit
enim Philosophus, in VII Physic., loquens de habitibus animae et
corporis, quod sunt dispositiones quaedam perfecti ad optimum: dico
autem perfecti, quod est dispositum secundum naturam.
[-]
Et quia ipsa forma et natura rei est finis et cuius causa fit
aliquid, ut dicitur in II Physic., ideo in prima specie consideratur et
bonum et malum; et etiam facile et difficile mobile, secundum quod
aliqua natura est finis generationis et motus.
[]
Unde in V Metaph. Philosophus definit habitus, quod est
dispositio secundum quam aliquis disponitur bene vel male.
[]
Et in II Ethic. dicit quod habitus sunt secundum quod ad
passiones nos habemus bene vel male. Quando enim est modus
conveniens naturae rei, tunc habet rationem boni: quando autem non
convenit, tunc habet rationem mali.
Et quia natura est id quod primum consideratur in re, ideo habitus
ponitur prima species qualitatis20(56).
Mettiamo questo testo in sinopsi:

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

determinatio
subiecti

qualitas

ratio boni et mali

ratio motus

sec. naturam

habitus

bonus aut malus

actus fit facile

sec. actionem

potentia

indifferens

a. fit facile vel


difficile

sec. passionem

passio

indifferens

a. fit facile vel


difficile

sec. quantitatem

forma et figura

indifferens

indifferens

Disponiamo ora di tutti gli elementi per un paragone rigoroso della


potenza e dell'abito. Cominciamo dalle somiglianze. La potenza e l'abito
appartengono ambedue al predicamento qualit, che consiste nella
determinazione del soggetto secondo una certa misura. Differiscono invece
quanto al fondamento della determinazione che aggiungono alla sostanza. La
potenza determina la sostanza in ordine all'azione ( infatti un principium
operandi), ma non quanto alla finalit di tale azione rispetto all'essenza del
soggetto in causa; ad esempio, l'appetito concupiscibile conferisce all'uomo la
capacit di amare i beni sensibili che possono soddisfarlo, ma non determina,
da s stessa, la finalit di questo amore, n, di conseguenza, la sua bont. Per
contro, l'abito determina la sostanza in ordine alla sua stessa natura, perch tale
determinazione riguarda esplicitamente il fine iscritto in questa natura, ed
quindi necessariamente o virtuosa o viziosa. Ad esempio, la temperanza
inserisce nel concupiscibile umano una disposizione stabile per la quale gli atti
di questa facolt saranno conformi alle esigenze della natura umana, ed in
ragione di questo ordine stabile al bene che un habitus virtuoso (mentre il
vizio opposto, ossia l'intemperanza, dispone stabilmente l'uomo ad agire contro
i fini della sua natura in questo ambito).
Ordiniamo ora in nostri risultati. La potenza una determinazione
accidentale della sostanza che la rende semplicemente capace di operare. Per
contro, l'abito una determinazione accidentale della sostanza che la dispone
stabilmente o bene o male in ordine ad una esigenza della sua natura; si noter
che gli abiti si dividono in abiti entitativi ed operativi, a seconda che il loro
soggetto immediato l'essenza di una cosa, oppure direttamente una
potenza21(57). questo caso che importa al presente discorso. Geneticamente,

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

la potenza precede quindi l'abito operativo come il determinabile precede il


determinante; ontologicamente, invece, l'abito superiore alla potenza perch
la determina, bene o male, in ordine alla stessa natura, e non solo ad una
qualunque operazione. Perci, l'abito viene collocato al primo posto nella
gerarchia delle qualit, mentre la potenza riceve soltanto il secondo posto.
2.1.2. Le potenze intellettive umane
Dopo aver precisato il significato dei due predicati che costituiscono
l'alternativa in discussione nel presente problema, dobbiamo pure avere
presente che cosa sono le potenze intellettive che giocano un ruolo
nell'intuizione dei princpi.
Ricordiamo, per cominciare, che san Tommaso fa derivare il vocabolo
<intelligere> da intus-legere, cio leggere dentro una realt, quindi al di l della
superficie che ci appare grazie ai sensi22(58). L'oggetto primario di questa
lettura in profondit delle cose la loro quiddit, conosciuta per astrazione
dalle cose stesse23(59). La conoscenza intellettuale differisce quindi
essenzialmente da quella sensibile, contrariamente a quanto postula ogni tipo di
empirismo nominalista; ci rimanendo fermo, il senso e l'intelletto umano
hanno qualcosa di comune, che Aristotele esprime cos:
ei) dh/ e)sti to\ noei=n w)/sper to\ ai)sqa/nesqai, h)/ pa/sxein
ti a)/n ei)/n u(po tou= nohtou= h)/ ti toiou=ton e)/teron 24(60).
L'intelligere implica quindi per l'uomo una certa passivit (pa/sxein ti),
il ch evidente se si considera la discontinuit dei nostri atti intellettivi.
Pertanto:
Intellectus igitur dicitur pati, inquantum est quodammodo in
potentia ad intelligibilia, et nihil est actu eorum antequam intelligat.
Oportet autem hoc sic esse, sicut contingit in tabula, in qua nihil est actu
scriptum, sed plura possunt in ea scribi. Et hoc etiam accidit intellectui
possibili, quia nihil intelligibilium est in eo actu, sed potentia
tantum25(61).
La potenza che formalmente conosce immaterialmente dunque,
nell'uomo, un intelletto possibile.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Ma se questo intelletto possibile , per natura sua, in potenza agli


intelligibili, occorre che ci sia nell'anima una facolt che sia in grado di
presentargli tali intelligibili: l'intelletto agente, la cui esistenza viene posta da
l'Aquinate in conclusione del seguente sillogismo inventivo:
quia Aristoteles non posuit formas rerum naturalium subsistere
sine materia; formae autem in materia existentes non sunt intelligibiles
actu: sequebatur quod naturae seu formae rerum sensibilium, quas
intelligimus, non essent intelligibiles actu. Nihil autem reducitur de
potentia in actum, nisi per aliquod ens actu: sicut sensus fit in actu per
sensibile in actu. Oportebat igitur ponere aliquam virtutem ex parte
intellectus, quae faceret intelligibilia in actu, per abstractionem
specierum a conditionibus materialibus. Et haec est necessitas ponendi
intellectum agentem26(62).
Nella minore del suo argomento, san Tommaso pone che le forme delle
cose sensibili non sono intelligibili in atto; questa premessa noetica fondata
sull'ontologia aristotelica per la quale queste forme esistono nella materia;
infatti, la materialit, in quanto principio di potenzialit, si contrappone
all'intelligibilit. La maggiore enuncia il principio che illumina tutto il
problema dell'acquisizione dei nostri intelligibili: nihil reducitur de potentia in
actum, nisi per aliquod ens actu. Di conseguenza, siamo metafisicamente
costretti a porre una facolt che faccia passare i dati elaborati nella sintesi
sensoriale dallo stato di intelligibilit potenziale a quello di intelligibilit
attuale.
In sintesi, occorre porre due potenze intellettive nell'uomo: l'intelletto
possibile, cui spetta l'atto stesso del conoscere in quanto tale, e l'intelletto
agente, che non conosce formalmente, ma fa conoscere imprimendo
nell'intelletto possibile le specie intelligibili che astrae dalle cose. L'intelletto
possibile essendo una potenza passiva, e l'intelletto agente una potenza attiva,
non possono coincidere, perch il rapporto all'oggetto di una potenza attiva
inverso di quello proprio di una potenza passiva27(63). A questo punto, san
Tommaso ritrova la triplice distinzione elaborata da Alessandro di Afrodisia,
poi tramandata dagli Arabi, fra intelletto agente, intelletto potenziale e intelletto
in habitu:
Sic igitur ad intelligendum primo necessarius est nobis intellectus
possibilis, qui est receptivus specierum intelligibilium; secundo
intellectus agens qui facit intelligibilia actu. Cum autem intellectus

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

possibilis iam fuerit per species intelligibiles perfectus, vocatur


intellectus in habitu, cum species intelligibiles iam sic habet ut eis possit
uti cum voluerit, medio quodam modo inter potentiam puram et actum
completum28(64).
L'intelletto in habitu consiste dunque nell'intelletto possibile attuato dalle
specie ricevute dall'intelletto agente e quindi pronto a passare all'intellezione in
atto.
Grazie a tutte le precisioni che abbiamo guadagnate in questo breve
percorso delle nozioni in causa, siamo ormai in grado di risolvere il problema
che abbiamo sollevato.
2.2. Soluzione del problema
2.2.1. L'intuizione dei princpi non pu essere una potenza
I due candidati ipotizzabili sarebbero gli intelletti agente e possibile. Ora
la capacit di intuire i princpi non pu essere n l'una n l'altra potenza
intellettiva
In due passi che si corrispondono rigorosamente (malgrado la differenza
del genere letterario!), san Tommaso spiega perch l'abito dei princpi non pu
essere l'intelletto agente. Il primo, in ordine cronologico, proviene dal secondo
libro della Summa contra Gentiles29(65), mentre il secondo, leggermente
posteriore, si trova nel Commento sul terzo libro del De Anima di
Aristotele30(66). Citiamo questi luoghi in sinopsi, per evidenziarne la
simmetria:
Nec tamen intelligendum est quod intellectus agens sit habitus per
modum quo habitus est in secunda <sic> specie qualitatis, secundum
quod quidam dixerunt intellectum agentem esse habitum principiorum.
Quia habitus ille principiorum est acceptus a sensibilibus, ut
probat Aristoteles in II Posteriorum: et sic oportet quod sit effectus
intellectus agentis, cuius est phantasmata, quae sunt intellecta in potentia,
facere intellecta in actu.
Sed accipitur habitus secundum quod dividitur contra privationem
et potentiam: sicut omnis forma et actus potest dici habitus. Et hoc

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

apparet, quia dicit hoc modo intellectum agentem esse habitum sicut
lumen habitus est.
[] Huius autem verbi occasione, quidam posuerunt intellectum
agentem idem esse cum intellectu qui est habitus principiorum.
[] Quod esse non potest: quia intellectus, qui est habitus
principiorum, praesupponit aliqua iam intellecta in actu: scilicet terminos
principiorum, per quorum intelligentiam cognoscimus principia: et sic
sequeretur, quod intellectus agens non faceret omnia intelligibilia in actu,
ut hic Philosophus dicit.
[] Dicendum est ergo, quod habitus, sic accipitur secundum
quod Philosophus frequenter consuevit nominare omnem formam et
naturam habitum, prout habitus distinguitur contra privationem et
potentiam, ut sic per hoc quod nominat eum habitum distinguat eum ab
intellectu possibili, qui est potentia.
In ambedue i testi, il discorso procede quindi in tre fasi.
[] L'occasione di questi brevi excursus viene offerta dalla formula w)j e)/cij
tij31(67) usata da Aristotele nel brano del De Anima che abbiamo riportato
all'inizio della presente ricerca. San Tommaso ricorda che la parola habitus
(e)/cij) diede luogo presso alcuni, cio presso Averro, ad una confusione fra
l'intelletto agente e la capacit di intuire i primi princpi.
[] I due passi si impiegano poi a confutare questo errore, a partire da due
punti di vista complementari. Nella Contra Gentiles, si rimanda all'ultimo
capitolo dei Secondi Analitici, dove Aristotele spiega la genesi dei primi
princpi a partire dall'esperienza sensibile. Posta questa tesi, ovvio che l'abito
dei princpi non lo stesso intelletto agente, bens un suo effetto, giacch
questo abito presuppone allora l'astrazione preliminare delle nozioni sulle quali
i primi princpi formulano un giudizio. Ora il nodo della questione infatti
questo: i primi princpi essendo degli enunciati, loro richiedono il possesso
anteriore degli estremi collegati in tali enunciati. Da dove vengono questi
concetti? O saranno astratti, o saranno innati: tertium non datur. Se sono
astratti, sono posteriori all'intelletto agente, dall'attivit del quale risultano, e
quindi non possono coincidere con esso. Se fossero invece innnati, ne
seguirebbe che non tutte le nozioni vengono acquisite attraverso l'illuminazione
dell'intelletto agente, che allora non sarebbe pi la facolt che fa passare in atto
tutti gli intelligibili in potenza. questo l'argomento adoperato nel Commento

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

sul De Anima.
[] L'argomento viene completato, in ambedue i testi, con la soluzione
corretta del problema esegetico sollevato. Si deve quindi interpretare l'uso del
termine e)/cij su un altro registro: nel contesto in questione, habitus
significher ci che si oppone a ci che in stato di privazione o di potenza, ed
quindi in atto, come infatti caratteristico dell'intelletto agente.
Nell'errore averroistico che provoca l'intervento di san Tommaso che
abbiamo commentato, l'abito dei princpi veniva implicitamente considerato
come uno strumento di conoscenza, giacch possiamo scoprire nuove verit per
la mediazione dei primi princpi. In questa ottica dove il primo principio appare
pi come ci che fa conoscere altre proposizioni che come una proposizione
conosciuta, si capisce che si poteva confonderlo con l'intelletto agente, giacch
ambedue esercitano una funzione inventiva rispetto agli oggetti conosciuti.
Pertanto, i due luoghi citati stabiliscono che una simile identificazione sarebbe
del tutto erronea, giacch l'intelletto agente anteriore all'abito dei princpi,
dovendo causarne gli elementi.
Si pu completare la confutazione tommasiana partendo dall'altra
valenza del primo principio, per la quale non solo uno strumento conoscitivo,
bens gi una vera e propria conoscenza; ora, l'intelletto agente, per sua natura,
non in alcun modo formalmente conoscitivo; perci l'abito dei princpi
necessariamente diverso dalla facolt dell'intelletto agente.
Avendo dimostrato questo punto, potremmo chiederci se la capacit di
intuire i princpi non va invece identificata con lo stesso intelletto possibile. Per
difendere questa ipotesi, si potrebbe ragionare cos: l'abito dei princpi non
altro che l'attitudine naturale dell'intelletto all'acquisizione ulteriore della
scienza32(68); ora l'attitudine naturale di una potenza coincide con la potenza
stessa; pertanto l'abito dei princpi sarebbe lo stesso intelletto possibile.
San Tommaso, tuttavia, si rifiut sempre a questa riduzione; perci
scrisse commentando il capitolo sesto del sesto libro dell'Etica a Nicomaco,
dove lo Stagirita tratta del nou=j:
Accipitur autem hic intellectus [nou=j] non pro ipsa intellectiva
potentia, sed pro habitu quodam quo homo ex virtute luminis intellectus
agentis naturaliter cognoscit principia indemonstrabilia33(69).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Perch l'intuizione dei princpi non la potenza stessa dell'intelletto


possibile? La ragione sta evidentemente nella natura stessa dell'intelletto che
originariamente tabula rasa. La domanda pu allora essere riproposta indietro:
perch l'innatismo non ammissibile in alcun modo, e se non l'innatismo
generalizzato di Platone o Cartesio, almeno un innatismo iniziale che sarebbe
limitato ai soli primi princpi? L'Aquinate risolve questo quesito, in nuce, su
due piani.
Il primo livello quello del fatto, ossia dell'an sit: noi abbiamo la chiara
esperienza del carattere progressivo della nostra conoscenza intellettuale, che
procede da una assoluta potenzialit originaria fino a delle attuazioni sempre
pi perfette34(70). Questo dato non eccetta i primi princpi, giacch l'uomo,
nell'infanzia, non esercita alcuna conoscenza intellettuale, nemmeno quella. Il
secondo livello, che fondamenta il primo, quello della spiegazione ultimativa,
ossia del propter quid. Si tratta della gerarchia di finalit che giustifica l'unione
dell'anima e del corpo, vale a dire l'unit sostanziale dell'uomo. Infatti, l'anima
non pu essere per il corpo, ma il corpo che per l'anima, altrimenti si
rovescierebbe il senso del rapporto fra materia e forma35(71); inoltre, l'anima
finalizzata alla sua operazione pi perfetta, che l'operazione intellettuale,
giacch ogni perfettibile per la sua perfezione, e non il contrario36(72): di
conseguenza, il corpo deve essere finalizzato all'intellezione, il ch avvienne
attraverso la percezione sensibile che prepara l'astrazione. Se non ci fosse
questo ordine di finalizzazione nell'uomo, il corpo non avrebbe alcuna ragione
di essere; anzi, sarebbe di ostacolo alla perfezione dell'anima, e quindi la sua
unione all'anima sarebbe assurda:
Maxime autem videtur corpus esse necessarium animae
intellectivae ad eius propriam operationem, quae est intelligere: quia
secundum esse suum a corpore non dependet. Si autem anima species
intelligibiles secundum suam naturam apta nata esset recipere per
influentiam aliquorum separatorum principiorum tantum, et non acciperet
eas ex sensibus, non indigeret corpore ad intelligendum: unde frustra
corpori uniretur37(73).
quindi l'ontologia stessa della natura umana che vieta l'innatismo, e
con esso ogni forma di apriorismo trascendentale, perch conduce a
dialettizzare il rapporto di attuazione fra anima e corpo.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

2.2.2. L'intuizione dei princpi un abito


Non potendo essere n la facolt dell'intelletto agente, nemmeno la
potenza dell'intelletto possibile, la capacit di intuire i primi princpi dovr
necessariamente, per esclusione, essere un habitus. Possiamo verificare perch
cos dimostrando che le caratteristiche essenziali dell'abito si riscontrano nel
possesso dei princpi.
Secondo tutto quanto abbiamo guadagnato nello stato della questione che
abbiamo delineato, ci sono tre condizioni perch la diposizione di una potenza
sia un habitus:
1. Ci vuole, in primo luogo, che la potenza, da s stessa, non abbia per
natura la capacit che verr conferita da questa disposizione38(74).
2. La disposizione in causa deve poi determinare bene o male la potenza in
ordine al fine della natura cui appartiene tale potenza.
3. Finalmente, questa disposizione non deve essere transitoria, ma stabile, in
modo da essere come una seconda natura.
Questi tre requisiti sono presenti nella capacit di intuire i princpi:
[1] L'intelletto possibile nativamente come una tabula rasa, e quindi del
tutto indeterminato quanto alla propria operazione39(75); pertanto, la
potenza intellettiva necessita una prima regola immanente di intellezione,
che funga da criterio di verit nella progressiva investigazione della
realt*.
[2] La verit essendo la perfezione dell'intelletto, ne il bene proprio40(76);
perci, ogni disposizione che ordina l'intelletto possibile ad un certo tipo
di verit lo orienta ipso facto al suo bene.
[3] L'intellectus principiorum una disposizione non soltanto stabile, bens
incorruttibile. Infatti, non si d alcuna causa che potrebbe agire in senso
contrario alla sua causa propria, che , come vedremo in dettaglio nel
secondo capitolo, l'intelletto agente41(77).
Consta quindi che la capacit di intuire i primi princpi un abito
dell'intelletto possibile.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

2 L'abito dei princpi una virt intellettuale speculativa?


1. Le nozioni in causa
Per risolvere questo secondo problema, dobbiamo esaminare il
significato delle tre nozioni in causa nel predicato.
1.1. La nozione di virt
Dopo aver trattato degli abiti, san Tommaso studia nella Ia-IIae l'essenza
della virt, che definisce aristotelicamente come un abito operativo buono. Egli
dedica un articolo a ciascuna di queste note definitorie, che possiamo
brevemente esporre
Nel primo articolo, si parte da una definizione usuale della virt per
arrivare al genere della definizione reale:
virtus nominat quandam potentiae perfectionem. Uniuscuiusque
autem perfectio praecipue consideratur in ordine ad suum finem. Finis
autem potentiae actus est. Unde potentia dicitur esse perfecta, secundum
quod determinatur ad suum actum.
[...] - Potentiae autem rationales, quae sunt propriae hominis, non
sunt determinatae ad unum, sed se habent indeterminate ad multa:
determinantur autem ad actus per habitus, sicut ex supradictis patet. Et
ideo virtutes humanae habitus sunt1(78).
La virt quindi un abito che perfeziona una potenza; ora la potenza
un principio di operazione; perci, la virt rientra nella categoria degli abiti
operativi2(79). Inoltre, un abito necessariamente o buono, o cattivo; ma la
virt essendo un abito che perfeziona il soggetto in cui sta, essa
costitutivamente buona. Questa implicazione viene esplicitata cos:
sicut supra dictum est, virtus importat perfectionem potentiae:
unde virtus cuiuslibet rei determinatur ad ultimum in quod res potest, ut
dicitur in I De caelo. Ultimum autem autem in quod unaquaeque potentia
potest, oportet quod sit bonum: nam omne malum defectum quendam
importat; unde Dionysius dicit, in 4 cap. De divinis nominibus, quod
omne malum est infirmum. Et propter hoc oportet quod virtus cuiuslibet
rei dicatur in ordine ad bonum. Unde virtus humana, quae est habitus

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

operativus, est bonus habitus, et boni operativus3(80).


L'ordine che l'abito virtuoso imprime nella potenza che determina, e
attraverso di essa, nel supposito in cui inerisce, quindi un ordine che gli
consente di operare positivamente verso il fine iscritto nella sua natura.
2. La nozione di virt intellettuale
Una virt intellettuale una virt che perfeziona l'intelletto possibile.
Questa evidenza cela una difficolt. La virt, abbiamo ricordato, un abito
operativo buono; quindi rende buoni gli atti che emanano dalla potenza che
essa perfeziona: ma in che cosa consiste precisamente questa bont? Un atto, e
dunque un abito, pu essere detto buono in un duplice senso:
sicut supra dictum est, virtus est habitus quo quis bene operatur.
Dupliciter autem habitus aliquis ordinatur ad bonum actum. Uno modo,
inquantum per huiusmodi habitum acquiritur homini facultas ad bonum
actum: sicut per habitum grammaticae habet homo facultatem recte
loquendi. Non tamen grammatica facit ut homo semper recte loquatur:
potest enim grammaticus barbarizare aut solecismum facere. Et eadem
ratio est in aliis scientiis et artibus.
Alio modo, aliquis habitus non solum facit facultatem agendi, sed
etiam facit quod aliquis recte facultate utatur: sicut iustitia non solum
facit quod homo sit promptae voluntatis ad iusta operandum, sed etiam
facit ut iuste operetur4(81).
Si deve quindi distinguere l'abito che conferisce la capacit (facultas) di
operare bene, dall'abito che conferisce non solo la capacit di operare bene,
bens anche l'uso buono della facolt. Ora, chiaro che il bene si dice per prius
dell'ente ci che raggiunge in atto secondo la sua perfezione, e soltanto per
posterius dell'ente che possiede in atto primo la facolt di agire bene secondo
qualche dimensione del suo essere5(82). Quindi la bont non si riferisce
primariamente alle singole facolt, ma alla sostanza dalla quale emanano,
giacch, comunque, non , ad esempio, l'intelligenza che pensa, ma l'uomo che
pensa grazie alla potenza intellettiva. Pertanto gli abiti che rendono
effettivamente perfetti gli atti delle potenze umane e buono l'uomo stesso
saranno buoni assolutamente, e potranno essere chiamati virt nel senso forte
della parola; invece, gli abiti che soltanto dispongono stabilmente le loro
potenze ad agire bene, ma non le fanno necessariamente agire effettivamente

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

bene, saranno virt soltanto in un senso derivato6(83).


Ma la potenza che effettivamente proporziona effettivamente l'uomo al
suo bene, perch lo ordina al suo fine, la volont; e siccome la causalit
efficiente dipende dalla causalit finale, anche la volont che opera nell'uomo
il passaggio all'atto secondo, sia che essa ponga il suo atto proprio, che
l'amore, sia che commandi a quelle altre facolt che stanno sotto il suo
dominio, muovendole ai loro atti rispettivi nella linea dell'esercizio (ma non in
quella della specificazione)7(84). Sotto questo punto di vista, anche la ragione
mossa dalla volont8(85). Da questo primato della volont per quanto
riguarda l'acquisizione effettiva della perfezione umana, dobbiamo dedurre che
soltanto quei abiti che sono o della volont o mossi dalla volont saranno virt
in senso stretto:
Subiectum vero habitus qui simpliciter dicitur virtus, non potest
esse nisi voluntas; vel alia potentia secundum quod est mota a voluntate.
Cuius ratio est, quia voluntas movet omnes alias potentias quae
aliqualiter sunt rationales, ad suos actus, ut supra habitum est: et ideo
quod homo actu bene agat, contingit ex hoc quod homo habet bonam
voluntatem. Unde virtus quae facit bene agere in actu, non solum in
facultate, oportet quod vel sit in ipsa voluntate; vel in aliqua potentia
secundum quod est a voluntate mota9(86).
Pertanto, l'intelletto potr essere soggetto di una virt intesa simpliciter
soltanto nella misura in cui essa sar consecutiva alla mozione della volont;
invece, gli abiti intellettuali che saranno anteriori a questa mozione, saranno
delle virt soltanto secundum quid:
Sciendum est autem, quod intellectus tam speculativus quam
practicus potest perfici dupliciter aliquo habitu. Uno modo absolute et
secundum se, prout praecedit voluntatem, quasi eam movens; alio modo
prout sequitur voluntatem, quasi ad imperium actum suum eliciens: quia,
ut dictum est, istae duae potentiae, scilicet intellectus et voluntas, se
invicem circumeunt.
Illi igitur habitus qui sunt intellectu practico vel speculativo, primo
modo, possunt dici aliquo modo virtutes, licet non ita secundum
perfectam rationem; et hoc modo intellectus, scientia et sapientia, sunt in
intellectu speculativo, ars vero in intellectu practico. Dicitur enim aliquis
intelligens vel sciens secundum quod eius intellectus perfectus est ad

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

cognoscendum verum; quod quidem est bonum intellectus [...].


Habitus vero qui sunt in intellectu speculativo vel practico
secundum quod intellectus sequitur voluntatem, habent verius rationem
virtutis; in quantum per eos homo efficitur non solum potens vel sciens
recte agere, sed volens10(87).
Nella parte del respondeo che abbiamo lasciata da parte, una obiezione
implicita viene proposta e risolta: si potrebbe rilevare che l'uomo in possesso
degli abiti elencati nella prima categoria, che sono delle virt soltanto aliquo
modo, tende ad usarli, e perci viene anche ordinato all'esercizio di tali
conosenze. San Tommaso risponde che a questi abiti non spetta il volere
conoscere il tipo di verit che li specifica, ma soltanto il potere conoscerla:
Et licet istud verum possit esse volitum, prout homo vult
intelligere verum; non tamen quantum ad hoc perficiuntur habitus
praedicti. Non enim ex hoc quod homo habet scientiam, efficitur volens
considerare verum, sed solummodo potens; unde et ipsa veri consideratio
non est scientia in quantum est volita, sed secundum quod directe tendit
in obiectum. Et similiter est de arte respectu intellectus practici; unde ars
non perficit hominem ex hoc quod bene velit operari secundum artem,
sed solummodo ad hoc quod sciat et possit11(88).
L'atto della scienza non scienza in quanto voluto, ma in quanto tende
direttamente al suo oggetto. Con questa distinzione, l'aspetto di efficienza
nell'esercizio del sapere viene epistemologicamente sostratto agli abiti
scientifici ed attribuito alla volont.
La prudenza rimane cos il solo abito naturale che abbia la sua sede
nell'intelletto e che sia contemporaneamente una virt nel senso pieno, perch
la prudenza determina appunto la recta ratio agendi12(89).
3. La nozione di virt intellettuale speculativa
Le virt intellettuali si dividono in speculative e pratiche. Questa
distinzione ha una duplice radice: la prima si prende dal fine degli abiti
intellettuali, mentre la seconda dipende dal loro oggetto specificante.
Esaminiamo successivamente questi due fondamenti.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Seguendo Aristotele13(90), l'Aquinate differenzia i saperi dal punto di


vista della finalit nel modo che segue:
theoricus sive speculativus intellectus, in hoc proprie ab operativo
sive practico distinguitur, quod speculativus habet pro fine veritatem
quam considerat, practicus autem veritatem consideratam ordinat in
operationem tanquam in finem14(91).
La conoscenza speculativa si ferma quindi alla verit, la contempla in s
stessa e si compiace in essa; invece, la conoscenza pratica va, per cos dire,
oltre, subordinando la verit raggiunta ad una operazione, che potr essere o
una azione morale, oppure una produzione tecnica15(92). Pertanto, gli abiti
intellettuali possono anche essere divisi in tre grandi gruppi: virt speculative,
ordinate alla contemplazione della verit; prudenza, ordinata all'agire morale;
tecnica o arte, ordinata al fare.
L'altro fondamento della distinzione delle virt intellettuali in
speculative e pratiche sta nel modo di essere del loro oggetto specificante, a
seconda che necessario o contingente, come l'abbiamo notato nella
problematica16(93). Nella Quaestio disputata De virtutibus in communi, san
Tommaso divide le virt intellettuali secondo lo stesso principio:
Cognitio autem veri non est respectu omnium unius rationis. Alia
enim ratione cognoscitur verum necessarium, et verum contingens: et
iterum verum necessarium alia ratione cognoscitur si sit per se notum,
sicut intellectu cognoscuntur prima principia; alia ratione si fiat notum ex
alio, sicut fiunt notae conclusiones per scientiam vel sapientiam circa
altissima: in quibus etiam est alia ratio cognoscendi, eo quod ex hac
homo dirigitur in aliis cognoscendis.
Et similiter circa contingentia operabilia non est eadem ratio
cognoscendi ea quae sunt in nobis, quae dicuntur agibilia, ut sunt
operationes nostrae, circa quas frequenter contingit errare, propter
aliquam passionem; quarum est prudentia: et ea quae sunt extra nos a
nobis factibilia, in quibus dirigit ars aliqua; quorum rectam
aestimationem passiones animae non corrumpunt17(94).
Una virt intellettuale speculativa avr quindi per subiectum qualche
aspetto della realt, circoscritto da una ratio, che non sia operabile e che sia
strettamente necessario.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Che cosa si intende per necessario? San Tommaso osserva, nel suo
Commento sulla Metafisica di Aristotele, che lo Stagirita tratta di questa
vocabolo, nel lessico filosofico del libro L, in un capitolo (5) immediatamente
consecutivo a quelli che spiegano nozioni legate alla causalit (1 a 4). Questo
legame non , per l'Aquinate, solo testuale, bens dottrinale, giacch la
necessit si manifesta a noi nel discorso che espone un rapporto di causalit:
Postquam Philosophus distinxit nomina, quae significant causas,
hic distinguit nomen quod significat aliquid pertinens ad orationem
causae; scilicet Necessarium. Causa enim est ad quam de necessitate
sequitur aliud18(95).
La necessit appare qui come un nesso ontologico fra due realt, oppure
due momenti, istanze o aspetti di una stessa realt, che non possono non essere
legati come lo sono, perch il loro rapporto non altro che la consecuzione che
unisce il principio e causa a ci di cui principio e causa (a)rxh/ kai\
ai)ti/a)19(96). Ci saranno, pertanto, tanti tipi di necessit quanti tipi di
causalit. Troviamo una ottima sintesi al riguardo nella Ia pars :
Necesse est enim quod non potest non esse. Quod quidem convenit
alicui, uno modo ex principio intrinseco: sive materiali, sicut cum
dicimus quod omne compositum ex contrariis necesse est corrumpi; sive
formali, sicut cum dicimus quod necesse est triangulum habere tres
angulos aequales duobus rectis. Et haec est necessitas naturalis et
absoluta.
Alio modo convenit alicui quod non possit non esse, ex aliquo
extrinseco, vel fine vel agente. Fine quidem, sicut cum aliquis non potest
sine hoc consequi, aut bene consequi finem aliquem: ut cibus dicitur
necessarius ad vitam, et equus ad iter. Et haec vocatur necessitas finis;
quae interdum etiam utilitas dicitur. Ex agente autem hoc alicui convenit,
sicut cum aliquis cogitur ab aliquo agente, ita quod non possit contrarium
agere. Et haec vocatur necessitas coactionis20(97).
San Tommaso ci offre qui una tavola sinottica delle modalit del
necessario che il Filosofo aveva elaborate nella Metafisica:
necessitas
[1]

assoluta

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

[2]

[1.1]
[1.2]
ipotetica
[2.1]
[2.2]

materiale
formale
finale
di costrizione

Esaminiamo successivamente la fonte aristotelica e l'interpretazione


tommasiana di ognuna di queste necessit:
[1] Il primo tipo di necessit la necessit assoluta fondata sulle cause
intrinseche. Aristotele aveva soltanto notato a questo riguardo che:
Inoltre, ci che non pu essere in modo diverso da come ,
diciamo che necessario che cos sia21(98).
Questo asserto era introdotto con la parola e)/ti che Guglielmo di
Moerbeke tradusse in amplius, e faceva seguito alla descrizione delle necessit
di mezzo o di costrizione, san Tommaso lo rifer ad un altro genere di cause, e
quindi a quelle intrinseche. Questa necessit si fonda o sulla forma, o sulla
materia, o sull'essenza:
Dicit, quod necessarium etiam dicimus sic se habere, quod non
contingit aliter se habere: et hoc est necessarium absolute. [...].
Differt autem necessarium absolute ab aliis necessariis: quia
necessitas absoluta competit rei secundum id quod est intimum et
proximum ei; sive sit forma, sive, materia, sive ipsa rei essentia; sicut
dicimus animal necesse esse corruptibile, quia hoc consequitur eius
materiam inquantum ex contrariis componitur. Dicimus etiam animal
necessario esse sensibile, quia consequitur eius formam: et animal
necessario esse substantiam animatam sensibilem, quia est eius
essentia22(99).
[1.1] Per quanto riguarda la necessit fondata sulla causa materiale, gli esempi
dati nell'articolo citato della Summa Theologiae e del Commento sulla
Metafisica sono lo stesso: si tratta della corruttibilit che consecutiva alla
natura materiale come sua propriet (nel senso del proprio di Aristotele e
Porfirio23(100)).
[1.2] Gli esempi destinati a fare capire la necessit fondata sulla causa formale
sono invece diversi. Nella Summa, l'Aquinate si appella al teorema per il quale

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

la somma degli angoli di un triangolo qualunque sempre uguale alla somma di


due angoli retti (180, ossia p rad). Questa implicanza di nuovo una
propriet, giacch scaturisce dall'essenza del triangolo senza essere identica con
essa. Nel Commento alla Metafisica, per contro, si cita come esempio l'essere
sensibile che appartiene all'essenza stessa dell'animale in quanto sostanza
animata sensibile: qui stiamo davanti ad una differenza specifica, anche se essa
fonda poi delle propriet, che saranno le potenze della vita sensitiva.
[2] In opposizione alla necessit assoluta, che risulta dalle cause intrinseche,
l'altro grande tipo di necessit dipende dalle due cause estrinseche, e rientra
pertanto nella categoria della necessit secundum quid :
Necessarium autem secundum quid et non absolute est, cuius
necessitas dependet ex causa extrinseca. Causa autem extrinseca est
duplex; scilicet finis et efficiens24(101).
Infatti, quando si pone una causa estrinseca, il causato ne segue
obbligatoriamente, ma la causa estrinseca non si d in ogni caso.
[2.1] Si considera quindi la necessit fondata sulla causa finale, perch
riguarda il rapporto del mezzo al fine. Aristotele aveva cominciato il suo
capitolo con la presentazione esemplificata di questa necessit e delle sue due
modalit:
Necessario significa ci senza il cui concorso non possibile
vivere: la respirazione e il nutrimento, per esempio, sono necessari
all'animale, perch questo non pu esistere senza di quelli.
E significa anche ci senza il cui concorso il bene non pu esistere
n prodursi, ovvero ci senza il cui concorso il male non pu essere
eliminato o evitato: il bere una medicina, per esempio necessario per
non essere ammalati, e navigare verso Egina necessario per guadagnare
denaro25(102).
Nel primo caso, il mezzo tale che il fine al quale ordinato non pu
essere raggiunto senza di lui, per cui si tratta di una necessit finale stretta. Nel
secondo caso, invece, si ha soltanto una convenientia, giacch il fine potrebbe
essere ottenuto per un'altra via. La necessit stretta viene spiegata dallo
Stagirita con il rapporto alla vita della respirazione, poi del cibo, e l'Aquinate
riprende questo secondo esempio. La necessit in senso improprio viene intuita
da Aristotele con due esempi: il farmaco profilattico rispetto alla salute, ed il

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

viaggio ad Egina rispetto al guadagno; san Tommaso sceglie l'esempio del


cavallo rispetto al percorso, il ch pi immediatamente evidente per un
medievale, giacch, il cavallo essendo allora il mezzo di trasporto pi veloce (e
vietato ai religiosi), un buon caso di mezzo pi adatto ad un fine26(103). Si
noti che la necessit finale stretta riguarda l'esse simpliciter del fine, mentre la
convenientia soltanto ad melius esse.
[2.2]
L'ultimo tipo di necessit contemplato nel testo citato della Ia pars
legato alla causa efficiente considerata sotto l'aspetto della costrizione, vale a
dire come causa proibitiva. Anche in questa contestualizzazione della causalit
efficiente, san Tommaso rieccheggia fedelmente Aristotele:
Inoltre, necessario significa ci che costringe e la costrizione. E questo
ci che si oppone come ostacolo e come impedimento all'impulso naturale e
alla deliberazione razionale. Infatti, ci che costretto si dice necessario, e
perci, anche, doloroso, come dice Evene: "Ogni cosa necessaria per sua
natura gravosa". E la costrizione una necessit, come anche Sofocle afferma:
"Ma la costrizione mi necessita a fare queste cose". E la necessit sembra essere
qualcosa di inflessibile, e a buona ragione perch si oppone al movimento che
scaturisce dalla deliberazione e dal ragionamento27(104).
Nei casi precedenti, la necessit procedeva da un legame causale preso
senza restrizione: dall'essenza proviene necessariamente la propriet, e dalla
volizione del fine proviene necessariamente la scelta del mezzo indispensabile.
Qua, non la causalit efficiente in tutta la sua estensione che fonda un nuovo
modo di necessit, bens quella causalit per cui un agente esterno ad una cosa
impedisce questa cosa di agire secondo la sua inclinazione. Perch tale
limitazione? La risposta si trova nella metafisica delle cause. Omnis agens agit
propter finem : in virt di questo assioma28(105), l'agente non si muove se non
per un fine che lo attira; per cui dobbiamo dire che la causa finale ,
normalmente, causa della causalit della causa efficiente. Perci, la necessit di
un processo causale efficiente conforme alla natura del suo soggetto in cui
avviene si fonda sulla fine che esso prosegue, ed quindi riconducibile alla
causalit finale. soltanto quando un soggetto viene impedito da raggiungere il
fine al quale era inclinato che la necessit, per questo soggetto, di pura
efficienza, giacch, allora, va contro la sua finalit. Cos si spiega che la
necessit ipotetica fondata sulla causalit efficiente sia una necessit di

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

costrizione. Con questa necessit, si fa violenza al soggetto, perch esso viene


impedito di fare ci a cui tendeva per natura sua, sia che si tratti di una cosa, sia
che si tratti di una persona29(106). Perci, questo tipo di necessit il pi
estrinseco ed il pi periferico di tutti e quattro.
Avendo esplicitato che cosa la necessit e in quali modi essa si divide,
dobbiamo tornare al nostro argomento, e mostrare perch le virt intellettuali
speculativi vertono solo ed esclusivamente sul necessario. Abbiamo visto che
una conoscenza speculativa ha per fine la pura contemplazione del suo oggetto,
come del resto suggerisce l'etimon del vocabolo: infatti, speculum significa in
latino specchio, e si ricollega alla radice *spec, che esprime l'attenzione dello
sguardo30(107). Speculare, per un medioevale, vuol dire lasciare la cosa
riflettersi nello specchio della mente umana, senza intervenire su di essa. Ma in
questo senso, ogni conoscenza, anche sensibile, originariamente speculare, e
lo poi formalmente quando non tende a produrre un oggetto31(108); perci
sembra, di primo acchito, che pure un giudizio che verte su una realt
contingente possa essere speculativo.
Perch allora le virt speculative concernono soltanto oggetti necessari?
Per sciogliere questa difficolt, si deve partire dall'essenza della virt. Essa
non una mera disposizione transitoria, ma un habitus, il ch implica di per s,
come l'abbiamo visto, la stabilit della perfezione che viene conferita
all'intelletto possibile. Ora questa stabilit essendo di ordine intenzionale, essa
deve provenire dall'oggetto conosciuto32(109); ma la stabilit, ossia
l'immutabilit di un oggetto conosciuto, non altro che la sua necessit, vale a
dire l'impossibilit che esso sia, e quindi sia vero, altrimenti che . Pertanto,
una virt intellettuale, per quello stesso che la rende virt, non pu essere
specificata se non da un oggetto necessario.
4. Soluzione del problema
Positis ponendis, siamo in grado di risolvere il problema che abbiamo
sollevato in questo 2, mostrando che tutte le caratteristiche cumulative
costitutive delle virt intellettuali speculative che abbiamo investigate si
riscontrano effettivamente nell'abito dei primi princpi.
In primo luogo, questo habitus operativo ed intellettuale, giacch si

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

trova nell'intelletto possibile, che una potenza, e non nell'essenza stessa


dell'anima; inoltre, un abito buono, perch esso perfeziona l'intelletto in
ordine al proprio bene, che la verit: infatti, non solo gli assiomi sono sempre
proposizioni sempre vere, ma acquistiamo con il loro possesso abituale un
criterio di verit che ci consentir di giudicare le proposizioni non
immediatamente evidenti. Invece, sebbene questa conoscenza abituale dia
all'intelletto la sua regola immanente e ne costituisca pertanto il primo bene,
essa non rende tuttavia l'uomo stesso buono, giacch si pu anche usare male i
primi princpi. Assomando le due tesi, ne concludiamo che la capacit di intuire
i primi princpi una virt intellettuale, e non una virt morale.
In secondo luogo, risulta poi dalle nostre analisi che un abito intellettuale
appartiene al genere delle virt speculative quando esso viene specificato da un
oggetto necessario, e quando mira alla semplice contemplazione della verit e
non ad una operazione ulteriore. Per quanto riguarda il prima condizione, lo
habitus principiorum sottomesso ad una doppia necessit. Il suo oggetto ,
anzitutto, necessario sul piano ontologico, poich il significato del predicato, in
una enunciazione assiomatica, fondato sull'essenza stessa del soggetto;
inoltre, la verit di un tale enunciato anche necessaria sul piano noetico,
giacch l'intelligenza non pu non assentire ad un tale enunciato33(110), come
lo spiegheremo in dettaglio pi avanti nel 4.
Per quanto concerne la seconda condizione, una obiezione viene
facilmente alla mente. Una virt speculativa a patto di essere finalizzata dalla
pura verit del suo oggetto; ora, l'esperienza intellettuale ci attesta che non ci
soffermiamo sulla verit degli assiomi, ma piuttosto li utilizziamo per inferire
conclusioni nuove; perci, pu sembrare che l'abito dei princpi non ha per fine
la verit del suo oggetto, ma un'altra cosa, cio la costruzione di un sillogismo.
Di fronte a questa difficolt, possiamo concedere che, dallo stretto punto di
vista della causa finale, la conoscenza dei princpi non viene ultimamente
formulata per s stessa, ma ordinata alla scoperta di altre verit, ed sopratutto
alla sapienza; tuttavia, i primi princpi non sono soltanto, per noi, il punto di
partenza della ricerca (in via inventionis), ma sono pure, in un certo senso, un
punto di arrivo, in quanto, conoscendo le conclusioni alla luce dei princpi, le
risolviamo in essi (in via resolutionis). proprio per questo motivo che l'abito
dei princpi costituisce il nostro criterio di verit, il quale quindi sempre
presente quando l'intelligenza (naturale) tesa verso la verit in quanto tale. In
questo modo, la conoscenza dei primi appare come una prima verit che d alle

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

altre verit che raggiungiamo la loro certezza (firmitas); pertanto, l'abito dei
primi princpi veramente finalizzato alla contemplazione della verit.

3 In che cosa consistono le proposizioni per se, di cui fanno parte


i primi princpi?
1. I tre contrassegni logici delle premesse necessarie
Abbiamo stabilito che l'abito dei primi princpi ha per oggetto
specificante delle verit che sono necessarie dal punto di vista ontologico. Ora
la necessit ontologica di una verit si traduce, sul piano logico, nella propriet
di perseit che caratterizza la proposizione che esprime questa verit:
Ea, quae per se praedicantur, necessario insunt1(111).
Questo asserto essendo una definizione, convertibile. Pertanto, se la
forma significata dal predicato di una enunciazione si trova necessariamente
nella cosa denotata dal soggetto, allora la enunciazione in causa sar per se,
perch la sua materia, cio il fondamento ontologico del nesso
proposizionale sar necessario, o impossibile, il ch equivalente; altrimenti,
l'enunciazione per accidens, perch verte sua materia contingente:
Potest accipi quinta divisio enunciationum secundum materiam,
quae quidem divisio attenditur secundum habitudinem praedicati ad
subiectum: nam si praedicatum per se insit subiecto, dicetur esse
enunciatio in materia necessaria vel naturali; ut cum dicitur, homo est
animal, vel, homo est risibile. Si vero praedicatum per se repugnet
subiecto quasi excludens rationem ipsius, dicetur enunciatio esse in
materia impossibili sive remota; ut cum dicitur, homo est asinus. Si vero
medio modo se habeat praedicatum ad subiectum, nec per se insit, dicetur
enunciatio esse in materia possibili sive contingenti2(112).
Nella proposizione per se, il legame fra predicato e soggetto riposa
quindi, in modi da precisare, sulla quiddit stessa (ratio) di quest'ultimo.
Essendo quindi gi chiaro che le proposizioni in cui vengono espressi i primi
princpi sono per s, dobbiamo, nel presente 3, esaminare dettagliatamente in
che cosa consiste la perseit.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

nel primo libro degli Secondi Analitici che Aristotele, poi san
Tommaso al suo seguito, tratta il tema delle enunciazioni kaq'au(to ossia per
se considerato dal punto di vista logico, giacch il luogo epistemologico dove
interviene questa nozione la teoria della dimostrazione. Infatti, la conclusione
scientifica dovendo essere necessaria, essa procede da premesse necessarie, che
poi o sono primi princpi o sono almeno riconducibili a dei primi princpi:
Poich impossibile che l'oggetto della scienza presa in senso
assoluto sia altro di ci che , ci che viene conosciuto per la scienza
dimostrativa sar necessario; ma la scienza dimostrativa quella che
abbiamo dal fatto stesso che siamo in possesso della dimostrazione; di
conseguenza, la dimostrazione un sillogismo costituito a partire da
premesse necessarie3(113).
Pertanto, lo studio della dimostrazione scientifica (a)po/deicij) deve
analizzare le condizioni che rendono una proposizione necessaria:
Occorre, di conseguenza, investigare quali sono le premesse della
dimostrazione e quale la loro natura. Per cominciare, definiamo ci che
intendiamo con l'essere detto di tutto il soggetto, per se, ed
universalmente4(114).
Tre sono quindi per il Filosofo le propriet logiche del rapporto fra
predicato e soggetto nelle enunciazioni il cui oggetto necessario:
[1]
[2]
[3]

il ci che diciamo secondo tutto [il soggetto]:


ti/ le/gomen to\ kata pantoj = quid dicimus de omni
[il] ci [che diciamo] secondo se stesso:
ti/ to\ kaq'au)to = quid per se
[il] ci [che diciamo] universale
ti/ to\ kaqo/lou = quid universale

Commentando queste tre concise espressioni di Aristotele, san Tommaso


ne afferma primo il carattere cumulativo, per cui la perseit del predicato ne
presuppone l'essere detto di tutto il soggetto:
...antequam determinetur in speciali ex quibus et qualibus sit
demonstratio, primo determinandum est quid intelligatur cum dicimus de
omni, et per se, et universale. Cognoscere enim ista est necessarium ad
sciendum ex quibus sit demonstratio. Hoc namque oportet observari in

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

demonstrationibus. Oportet enim in propositionibus demonstrationis


aliquid universaliter praedicari, quod significat dici de omni, et per se, et
etiam primo, quod significat universale. Haec autem tria se habent ex
additione ad invicem. Nam omne quod per se praedicatur, etiam
universaliter praedicatur; sed non e converso. Similiter omne quod primo
praedicatur, praedicatur per se, sed non convertitur. Unde etiam apparet
ratio ordinis istorum5(115).
Dopodich si d una prima spiegazione di ognuna delle tre modalit in causa:
[1] Differentia etiam et numerus istorum trium apparet ex hoc, quod aliquid
praedicari dicitur de omni sive universaliter per comparationem ad ea,
quae continentur sub subiecto. Tunc enim dicitur aliquid de omni, ut
habetur in libro Priorum, quando nihil est sumere sub subiecto, de quo
praedicatum non dicatur.
[2] Per se autem dicitur aliquid praedicari, per comparationem ad ipsum
subiectum: quia ponitur in eius definitione, vel e converso, ut infra
patebit.
[3] Primo vero dicitur aliquid praedicari de altero per comparationem ad ea,
quae sunt priora subiecto et continentia ipsum. Nam habere tres angulos
etc. non praedicatur primo de isoscele: quia prius praedicatur de priori,
scilicet de triangolo6(116)
La prima propriet concerne quindi la denotazione del predicato: esso
deve essere attribuito a tutto ci a cui si estende il soggetto; in altri termini, la
proposizione de omni deve essere universale, e non particulare quanto alla
quantit del soggetto. Ad esempio, la proposizione <ogni uomo mortale>
una proposizione de omni, perch il predicato <mortale> viene attribuito al
soggetto <uomo> senza restrizione alcuna7(117) (rispetto al senso proprio). Si
tratta quindi di una condizione che spetta al predicato attraverso l'estensione del
soggetto. La seconda propriet invece, cio la perseit stessa, riguarda il
predicato in quanto tale, vale a dire in quanto attribuito al soggetto: la
proposizione sar per se qualora o il predicato entra nella definizione del
soggetto, o vice-versa. Ad esempio, nella proposizione <ogni uomo
razionale>, il predicato <razionale> si dice per se del soggetto <uomo> perch
la razionalit appartiene alla definizione dell'uomo; in un altro modo, la
proposizione <ogni uomo ha un intelletto agente> pure per se, perch il
predicato <avendo un intelletto agente> coinvolge lo statuto astrattivo della

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

conoscenza intellettuale umana, e quindi contiene il suo soggetto <ogni uomo>


nella sua definizione, come ogni potenza8(118). Quanto alla terza propriet,
essa mette in risalto ci a cui il predicato viene formalmente attribuito nel
soggetto: se si tratta dell'ultima nota specificativa di quest'ultimo, allora la
proposizione verr detta per se prima; se si tratta invece di una nota
logicamente anteriore, quindi di un genere, allora la proposizione non sar
prima. Ad esempio, i predicati <razionale> o <capace di ridere> si dicono per
se primo del soggetto <uomo>, giacch sia la razionalit che la capacit di
ridere sono convertibili con l'uomo: si trovano in ogni uomo, e soltanto
nell'uomo. A rovescio, i predicati <animale> e <mortale> si dicono per se, ma
non primo del soggetto <uomo>, perch, sebbene l'animalit e la mortalit si
dicono di ogni uomo, ed a causa della stessa natura umana, tuttavia non sono
proprie all'uomo in quanto uomo, bens in quanto animale. Lo stesso si verifica
nell'esempio scelto da san Tommaso: la propriet per cui la somma dei tre
angoli uguale a due retti si trova nell'isoscele in quanto triangolo, e non in
quanto isoscele. Perci, non si dice primo dell'isoscele, ma del triangolo.
Siamo ora in grado di capire perch le tre caratteristiche logiche della
premessa scientifica siano cumulative. Sia una proposizione il cui predicato
rispondi alle tre condizioni, ad esempio <ogni uomo razionale>. <Razionale>
si dice de omni relativamente a tutti gli individui inclusi nell'estensione del
soggetto; si dice per se relativamente al significato del soggetto; e si dice primo
relativamente a ci che ultimo nella comprensione del soggetto. Quindi si
considerano successivamente i concetti inferiori al soggetto, il soggetto stesso,
e finalmente i concetti superiori al soggetto:
[1] Il predicato <razionale> si dice di ogni singolo uomo che contenuto
nella specie <uomo>: per comparationem ad ea, quae continentur sub
subiecto.
[2] Il predicato <razionale> si dice dell'uomo in ragione di ci che l'uomo
per essenza: per comparationem ad ipsum subiectum.
[3] Il predicato <razionale> si dice dell'uomo in ragione della nota che
specifica ultimamente ci che l'uomo per essenza, e non in ragione di
una nota anteriore che l'uomo avrebbe in comune con altri esseri: [non]
per comparationem ad ea, quae sunt priora subiecto et continentia
ipsum.
Avendo descritto ognuno dei tre modi dicendi in causa nel sillogismo
scientifico, ed avendoli collocati l'uno rispetto all'altro, dobbiamo ora

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

approfondire il significato preciso di ciascuno.


2. Analisi delle tre condizioni logiche di necessit
2.1. La prima condizione: dici de omni
Mette conto leggere la spiegazione che lo stesso Aristotele d dei criteri
richiesti perch una proposizione sia detta kata\ panto\j:
Con [la formula] affermato della totalit del soggetto, intendo ci
che non viene attribuito a qualche caso di questo soggetto all'esclusione
di qualche altro caso, n viene attribuito ad un certo momento
all'esclusione di tale altro: ad esempio, se animale si dice di ogni uomo, e
se vero dire che questo un uomo, pure vero, allora, dire che questo
un animale; e se la prima proposizione vera ora, l'altro lo anche nello
stesso momento. Il segno di ci che abbiamo appena detto, che le
obiezioni che solleviamo, quando siamo interrogati sul punto di sapere se
una attribuzione vera della totalit del soggetto, vertono su ci che, in
tal caso oppure in tal momento, questa attribuzione non ha luogo9(119).
Il predicato deve quindi essere attribuito al soggetto in tal modo che si
dica di tutti gli individui ai quali il soggetto in causa estende, senza restrizione
di tempo:
Et ideo in definitione dici de omni duo ponit: quorum unum est, ut
nihil sit sumere sub subiecto cui praedicatum non insit. Et hoc significat
cum dicit: Non in quodam quidem sic, in quodam autem non. Aliud est,
quod non sit accipere aliquod tempus, in quo praedicatum subiecto non
conveniat. Et hoc designat cum dicit: Neque aliquando sic, aliquando
non; et ponit exemplum. Sicut de omni homine praedicatur animal; et de
quocunque verum est dicere quod sit homo, verum est dicere quod sit
animal, et quandocunque est homo, est animal. Et similiter se habet de
linea et de puncto: nam punctum est in linea qualibet et semper10(120).
San Tommaso rileva, inoltre, che, nei Primi Analitici, Aristotele si
limitava al primo criterio, quindi all'appartenenza attuale del predicato a tutti
gli individui denotati del soggetto11(121), mentre, nei Secondi Analitici,
aggiunge il secondo criterio per cui il predicato deve stare nel soggetto in ogni
tempo, e non solo nel presente. La ragione implicita di questa precisazione
tiene alla perenne validit della premessa scientifica, di cui tratta questa sezione

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

dei Secondi Analitici, allorch i Primi Analitici elaboravano la teoria del


sillogismo in generale, valida quindi sia per l'argomentazione probabile che per
la dimostrazione certa12(122). Ma se un predicato si dice di un soggetto
secondo tutta la sua estensione e senza limiti temporali, una tale attribuzione
riposa in ultima analisi sulla natura stessa degli estremi che vengono cos
collegati13(123); ora in questo caso, il dici de omni non ha un valore
meramente estensionale, ma richiama il dici per se, che si fonda sulla
comprensione dei concetti in causa.
2.2. La seconda condizione: dici per se
2.2.1. La nozione di perseit in communi
Nella lingua di Aristotele, il kaq'au)to la specificazione di una nozione
pi ampia, quella di kaq'o)/14(124). Nel greco, le due locuzioni sono
accomunate dalla la preposizione kat\a che, seguita dall'accusativo, significa
sull'estensione di, conformemente a, secondo; le rispettive traduzioni
letterali sarebbero quindi secondo se e secondo che, le quali
mancherebbero assai di chiarezza. Perci, il genio delle lingue romaniche
essendo diverso, si sono coniate altre espressioni, etimologicamente meno
vicine al greco15(125). Ne diamo una tavola:

greco

latino

italiano

francese

spagnolo

kaq'o)/

secundum quod

ci per cui

par quoi

por lo que

kaq'au)to

secundum se o per per s


se

par soi

por s mismo

Seguiremo l'uso ricevuto, ben consapevoli della difficolt di rendere


queste due locuzioni tecniche nelle nostre lingue16(126).
In vista di capire meglio il kaq'au)to, vediamo come lo Stagirita spiega,
nel libro della Metafisica, il kaq'o)/:
L'espressione ci per cui ha molteplici significati.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

(1) In un primo senso, significa la forma [ei)=doj] e l'essenza [ou)si/a] di


ciascuna cosa: per esempio, ci per cui colui che buono buono, il
bene in s.
(2) In un altro senso, significa il sostrato primo nel quale qualcosa si
genera per sua stessa natura, per esempio il colore nella superficie.
Il ci per cui inteso nel primo significato la forma, mentre nel
secondo significato la materia ed il sostrato prossimo di ogni cosa.
In generale, il termine ci per cui deve avere tutti i significati
che il termine causa.
(3) Infatti noi domandiamo indifferentemente: che cosa ci per cui
venuto? e: qual lo scopo per cui venuto?.
(4) Oppure: che cos' ci per cui uno caduto in un paralogismo o ha
fatto un sillogismo? e qual la causa del sillogismo e del
paralogismo?.
(5) Inoltre, la nostra espressione viene intesa anche in riferimento alla
posizione: per esempio, si parla di ci in cui uno sta o ci per cui uno
cammina. Esempi, questi, che si riferiscono appunto alla posizione e
al luogo17(127).
Come lo stesso Aristotele lo nota, e come i commentatori medievali e
odierni l'hanno facilmente esposto18(128), la formula ci per cui (kaq'o(/)
significa quindi anzitutto i quattro possibili rapporti di causalit, poi, inoltre, il
rapporto fra il luogo o la posizione, e ci che occupa tale luogo o ha tale
posizione. significativo che, in questo lessico filosofico, il significato pi
frequente nell'uso comune venga posto alla fine: ci che geneticamente primo
nel linguaggio invece ultimo nella gerarchia dell'essere.
Quando san Tommaso si accinger a spiegare, nel suo commentario sui
Secondi Analitici, in che cosa consiste l'essere detto per se, egli si ricorder del
brano della Metafisica che abbiamo appena citato, e lo applicher alla
preposizione per :
sciendum est quod haec praepositio per designat habitudinem
causae; designat etiam interdum et situm, sicut cum dicitur aliquis esse
per se, quando est solitarius. Causae autem habitudinem designat,
aliquando quidem formalis; sicut cum dicitur quod corpus vivit per
animam. - Quandoque autem habitudinem causae materialis; sicut cum
dicitur quod corpus est coloratum per superficiem: quia scilicet proprium
subiectum coloris est superficies. - Designat etiam habitudinem causae
extrinsecae et praecipue efficientis; sicut dum dicitur quod aqua calescit

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

per ignem19(129).
Se lasciamo l'uso locale della preposizione per, costatiamo che negli
esempi di impiego causale, l'Aquinate propone delle enunciazioni che fanno
intervenire tre nozioni: il soggetto, il predicato, e la causa per la quale il
predicato viene detto dal soggetto, che almeno concettualmente diversa da
ambedue gli altri termini.
soggetto

predicato

motivo

causa formale

corpus

vivit

per animam

causa materiale

corpus

est coloratum

per superficiem

causa efficiente

aqua

calescit

per ignem

Questa tavola evidenzia bene che la causa per la quale il significato del
predicato inerisce nel soggetto differisce, in tutti e tre gli esempi, dal predicato
stesso. Uno potrebbe chiedersi perch san Tommaso non integra la causalit
finale fra le modalit secondo le quali la preposizione per significa un rapporto
di causalit, a differenza del brano della Metafisica che viene qua adoperato.
Una prima ragione , ovviamente, di ordine strettamente testuale, giacch il
testo dei Secondi Analitici che l'Aquinate sta per commentare non contiene
nessun riferimento al fine; ma, a nostro avviso, questo silenzio si giustifica
anche speculativamente per il fatto che, da un lato la causa finale sempre
presente, in aristotelismo, nella causa efficiente, giacch ne fonda la causalit,
mentre, d'altro lato, la causa finale non causa attualmente se non muovendo per
attrazione una causa efficiente20(130).
Lo scopo di questa analisi del per (kaq'o(/) si trova nello studio del per
se (kaq'au)to). Per passare dal primo al secondo, sar sufficiente ricondurre il
motivo dell'attribuzione al soggetto stesso, il ch spiegher anche
l'introduzione, sul piano grammaticale, del pronome riflessivo se (o del
pronome dimostrativo au)to). Perci, san Tommaso pu continuare cos:
Sicut autem haec propositio per designat habitudinem causae,
quando aliquid extrinsecum est causa eius, quod attribuitur subiecto; ita
quando subiectum vel aliquid eius est causa eius, quod attribuitur ei, et
hoc significat per se21(131).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Una proposizione per s quindi una proposizione nella quale il soggetto


stesso, o qualche aspetto costitutivo del soggetto, causa dell'affermazione o
della negazione del predicato. Non ci stupiremo, allora, che gli stessi modi di
causalit gi presi in considerazione fondino altrettanti modi di perseit, che
dobbiamo ora studiare singolarmente22(132).
2.2.2. I singoli modi di perseit
2.2.2.1. Il primo modo di perseit
Aristotele presenta il primo modo di perseit nel capitolo citato dei
Secondi Analitici come segue:
Sono per s, in primo luogo, gli attributi che appartengono al
soggetto in rapporto alla sua quiddit (o(/sa u(pa/rxei te e)n tw= ti/
e)stin): cos al triangolo appartiene la linea, e alla linea il punto (giacch
la sostanza [ou)si/a] del triangolo e della linea integra questi elementi, i
quali entrano nella definizione che dice che cosa la cosa [e)n tw=
lo/gw tw= le/gonti ti/ e)stin e)nupa/rxei])23(133).
Quindi tutti i predicati che integrano il costitutivo essenziale del
soggetto, perch ne dicono ci che (ti/ e)stin), gli vengono attribuiti per se
primo modo. Gli esempi geometrici potrebbero dare luogo a qualche equivoco,
poich il punto essendo l'elemento materiale della linea, e la linea l'elemento
materiale del triangolo, si potrebbe obiettare che il predicato esplicita la causa
materiale del soggetto, e non la sua causa formale. In realt, il punto fa parte
della definizione della linea, e la linea fa parte di quella del triangolo, quindi si
tratta di istanze che fanno parte dell'essenza de definito, come lo precisa bene
l'ultima parte del brano. Perci, il punto rientra nel costitutivo formale della
linea, e la linea in quello del triangolo, anche se in modo generico e non
specificante.
Nel suo commentario, san Tommaso ha spiegato dettagliatamente la
definizione di questo primo modo di perseit, gli esempi proposti, nonch la
precisazione finale. Vediamo successivamente queste tre puntualizzazioni:
Primus ergo modus dicendi per se est, quando id, quod attribuitur
alicui, pertinet ad formam eius. Et quia definitio significat formam et
essentiam rei, primus modus eius quod est per se est, quando praedicatur
de aliquo definitio vel aliquid in definitione positum (et hoc est quod
dicit quod per se sunt quaecunque insunt in eo, quod quid est, idest in

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

definitione indicante quid est), sive ponatur in recto sive in


obliquo24(134).
Un predicato si dice per se primo modo di un soggetto quando ne
esplicita, ontologicamente parlando, la forma o l'essenza; logicamente
parlando, si tratta allora o della definizione, o di una parte logica di essa, vale a
dire il genere o la differenza specifica. Si danno poi due esempi di note
definitorie, che vengono dunque attribute secondo questo tipo di perseit:
Sicut in definitione trianguli ponitur linea; unde linea per se inest
triangulo: et similiter in definitione lineae ponitur punctum; unde
punctum per se inest lineae25(135).
Segue allora la giustificazione:
Rationem autem quare ista ponantur in definitione subiungit
dicens: Substantia, idest essentia, quam significat definitio ipsorum, idest
trianguli et lineae, est ex his, idest ex linea et punctis. Quod non est
intelligendum quod linea ex punctis componatur, sed quod punctum sit
de ratione lineae, sicut linea de ratione trianguli. Et hoc dicit ad
excludendum ea, quae sunt partes materiae et non speciei, quae non
ponuntur in definitione, sicut semicirculus non ponitur in definitione
circuli, nec digitur in definitione hominis, ut dicitur in VII Metaphysicae.
Et subiungit quod quaecumque universaliter insunt in ratione dicente
quid est, per se attribuuntur alicui26(136).
In questo testo, san Tommaso mette in risalto un punto assai importante
per una giusta comprensione del primo modo di perseit, ed che tutto quello
che entra nella costituzione di una specie si predica per s di essa nel primo
modo. Questa precisione comporta due implicazioni, di cui si chiarisce qui la
prima: se tutto ci che entra nella definizione del soggetto gli viene attribuito
per se primo modo, allora quella materia che fa parte dell'essenza in causa
rientra anche in questo tipo di predicazione. Incontriamo qui la dottrina dei tre
modi di definire, che corrispondono agli oggetti specificanti le tre scienze. Cos
la materia sensibile comune appartiene alla definizione delle nozioni naturali, e
la materia intelligibile appartiene a quella delle nozioni matematiche; soltanto
le nozioni metafisiche escludono la materia della loro definizione27(137). Per
questa ragione, gli enti sensibili e quelli matematici includono la materia nella
loro definizione, che si dice quindi di loro per se primo modo. Contro questa
conclusione, si potrebbe obiettare che, in questo modo di perseit, il predicato
deve esprime o la forma del soggetto, oppure qualcosa che appartiene alla sua

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

forma: primus ergo modus dicendi per se est, quando id, quod attribuitur
alicui, pertinet ad formam eius. Risponderemo che, quando si attribuisce ad un
soggetto la propria materia, lo si fa nel discorso perch, nell'essere della cosa,
l'informare tale materia una esigenza iscritta nella forma stessa del soggetto;
quindi l'attribuzione del predicato viene allora fondata sulla forma stessa che
costituisce il soggetto nella sua essenza.
Come si vede, la composizione fisica di materia e di forma che
costituisce l'essenza degli enti naturali si riflette nella composizione logica di
genere e differenza che ne costituisce la definizione. Pertanto, il testo citato
contiene un'altra implicazione, di ordine strettamente logico: in una
enunciazione per se primo modo, il predicato pu esplicitare o l'intera
definizione, oppure solo una sua parte (logica). Nel testo della Metafisica dove
Aristotele tratta del kaq'au)to subito dopo aver spiegato il kaq'o)/, si precisa
cos questo punto:
Conseguentemente, anche il termine per s avr necessariamente
molteplici significati.
In un primo senso, per s significa l'essenza propria di ciascuna
cosa: per esempio, Callia per s Callia e l'essenza di Callia.
In un altro senso, per s significa tutto ci che si trova
nell'essenza: per esempio Callia per s animale, perch nella
definizione di Callia incluso l'animale: Callia, infatti, animale di una
data specie28(138).
Questi due significati del per s non sono essenzialmente diversi,
come lo spiega san Tommaso nel suo commentario in hoc loco :
Concludit ex praedictis, quatuor modos dicendi per se, vel
secundum se. Quorum primus est, quando definitio significans quid est
esse uniuscuiusque, dicitur ei inesse secundum se, sicut Callias et quod
quid erat esse Calliam, idest et essentia rei, ita se habent quod unum
inest secundum se alteri. Non autem solum tota definitio dicitur de
definito secundum se; sed aliquo modo etiam quaecumque insunt in
definitione dicente quid est, praedicantur de definito secundum se, sicut
Callias est animal secundum se. Animal enim inest in ratione Calliae.
Nam Callias est quoddam animal; et poneretur in eius definitione, si
singularia definitionem habere possent. Et hi duo modi sub uno
comprehenduntur. Nam eadem ratione, definitio et pars definitionis per
se unoquoque praedicantur. Est enim hic primus modus per se, qui
ponitur in libro Posteriorum; et respondet primo modo eius quod dicitur

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

secundum quod, superius posito29(139).


Dunque la definizione, il genere, e la differenza specifica, vengono detti
di una cosa lo stesso motivo (eadem ratione), cio perch la quiddit di questa
cosa costituisce la ragione formale per la quale tali predicati possono esserle
attribuiti.
Qui, sorge una difficolt. Nella enunciazione, infatti, il predicato si dice
formalmente mentre il soggetto si dice materialmente, perch si d, fra il primo
ed il secondo, un rapporto di determinante a determinato30(140). Invece,
sembriamo ora pretendere che il soggetto pi formale del predicato, perch
quello contiene la ragione formale di questo. Per risolvere questa obiezione,
occorre distinguere bene, nel discorso enunciativo, il livello logico da quello
ontologico. Sul piano strettamente logico delle intenzioni seconde, vero che,
in ogni enunciazione affermativa, il soggetto denota una cosa, allorch il
predicato significa un quid che la mente applica a questa cosa mediante
l'assenso31(141); pertanto l'attribuzione opera una certa determinazione del
soggetto, nella quale la funzione determinante spetta al predicato. Inoltre, nel
caso di una proposizione per se primo modo, che studiamo ora, il predicato
determina il soggetto nella linea della causalit formale, in quanto ne dischiude
la forma32(142). Per, il rapporto si rovescia in qualche modo se si guarda a
ci che finalizza l'intenzione prima del discorso, quindi al fondamento
ontologico dell'attribuzione. Questa, infatti, riposa sulla realt stessa della cosa
denotata del soggetto, realt che, nel caso dell'attribuzione necessaria, viene
considerata nella sua quiddit (cio nell'essenza in quanto principio di
intelligibilit). Sotto questo aspetto, la ragione per la quale devo dire che
<Callia un animale razionale> sta nella quiddit di Callia, che l'umanit;
costruendo nella mia mente questa enunciazione, non faccio altro che
esplicitare concettualmente questa quiddit. Se dico che <Callia razionale> o
che <Callia animale>, mi limito ad esplicitare l'aspetto generico o l'aspetto
specificante di questa quiddit; ma sempre il mio dire, quindi l'attribuzione del
predicato, si fonda sulla quiddit di Callia, che, essendo ci per cui Callia ci
che , ne come la causa formale33(143).
In sintesi, abbiamo mostrato che il primo modo di perseit consiste
nell'attribuzione ad un soggetto della sua definizione o di una parte (logica) di
essa, e che il predicato esprime allora la quiddit del soggetto, in modo
determinato o determinabile. Ne risulta che il rapporto fra il predicato ed il
soggetto rimanda alla causalit formale dell'essenza costitutiva di quest'ultimo.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Cos il primo modo di attribuzione per s si radica, ontologicamente, nella


necessit formale che abbiamo spiegata nel paragrafo precedente, ma non si
identifica con essa34(144).
2.2.2.2. Il secondo modo di perseit
Il secondo modo in cui un attributo si riferisce per s al suo soggetto
viene cos presentato dallo Stagirita:
[] [In secondo luogo, si dicono per s] gli attributi contenuti in soggetti
che, a loro volta, vengono inclusi nella definizione che esprime la
quiddit (ti/ e)sti) di questi attributi:
[] cos il rettilineo ed il circolare appartengono alla linea, il pari e l'impari,
il primo ed il composto, il quadrato e l'oblungo al numero; e per tutti
questi attributi, la definizione che esprime la loro quiddit (ti/ e)sti)
contiene il soggetto, cio talora la linea e talora il numero.
[] Similmente, per tutti gli altri attributi, coloro che appartengono ai loro
soggetti rispettivi, li chiamo attributi per s; invece, coloro che non
appartengono ai loro soggetti in alcuno di ambedue i modi, li chiamo
accidenti: per esempio, musico o bianco per l'animale35(145).
In questo testo, come l'abbiamo pure evidenziato graficamente, il
pensiero percorre tre momenti. Nel primo [a'], Aristotele definisce il secondo
modo di perseit; nel secondo [b'], egli lo esemplifica in chiave matematica; nel
terzo, egli estende il campo di applicazione della definizione, e distingue
finalmente i due primi modi di essere detto per se dall'essere detto per accidens.
Aiutandoci del commento tommasiano, spieghiamo ora ciascuna di queste tre
tappe.
[] Abbiamo visto che, nel primo modo di perseit, il predicato esplicita la
quiddit del soggetto, e quindi fa parte della sua definizione, oppure coincide
addirittura con la essa. Nel secondo modo di perseit, del quale Aristotele tratta
qui, accade proprio il contrario: vale a dire che il soggetto, allora, fa parte della
definizione del predicato. Ad esempio, il predicato <camuso> si dice in questo
modo del soggetto <naso>, giacch non si pu definire la nozione di camuso
senza includervi quella di naso che n il proprio soggetto. Perci questo tipo
di perseit rimanda, nella cosa della quale l'attributo viene predicato, ad un
rapporto di causalit materiale, per cui il secondo modo di essere detto
kaq'au)to corrisponde al secondo dei modi essere detto kaq'o)/ che abbiamo
considerati precedentemente36(146). San Tommaso commenta cos il primo

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

brano del testo citato:


[1] Secundus modus dicendi per se est, quando haec praepositio per
designat habitudinem causae materialis, prout scilicet id, cui aliquid
attribuitur, est propria materia et proprium subiectum ipsius.
[2] Oportet autem quod proprium subiectum ponatur in definitione
accidentis: quandoque quidem in obliquo, sicut cum accidens in
abstracto definitur, ut cum dicimus, quod simitas est curvitas nasi;
quandoque vero in recto, ut cum accidens definitur in concreto, ut
cum dicimus quod simus est nasus curvus.
[3] Cuius quidem ratio est, quia cum esse accidentis dependeat a
subiecto, oportet etiam quod definitio eius significans esse ipsius
contineat in se subiectum. Unde secundus modus dicendi per se est,
quando subiectum ponitur in definitione praedicati, quod est proprium
accidens eius37(147).
Si precisa quindi, in primo luogo, che la preposizione per designa qui, sul
piano ontologico [1], un rapporto di causalit materiale fra la cosa denotata dal
soggetto e la forma significata dal predicato. Questo non implica, ma
ovviamente non esclude che la cosa in questione sia materiale; occorre soltanto
che essa sia un soggetto in cui la forma considerata venga ricevuta in modo
necessario. Cos, ad esempio, le potenze organiche vengono attribute per se
secondo modo al composto umano, che include il corpo e quindi la materia; ma
pure le potenze puramente spirituali come l'intelletto e la volont vengono
attribute secondo questo tipo di perseit all'anima umana, bench essa sia del
tutto immateriale.
Sul piano logico [2], questo rapporto di causalit materiale fonda
l'inclusione del soggetto nella definizione dell'attributo che lo determina
secondo questo modo di perseit. Infatti, una forma che non pu essere senza il
soggetto che informa coinvolge necessariamente tale soggetto nella sua
comprensione, come l'abbiamo rilevato nell'esempio nella nozione di
<camuso> la cui definizione include il <naso>. San Tommaso osserva che
questa inclusione pu essere espressa, grammaticalmente, in modo diretto (in
recto) quando l'attributo viene considerato in concreto, oppure in modo
indiretto (in obliquo) se viene considerato in abstracto.
La giustificazione di questo riferimento al soggetto viene proposta [3] a
partire dell'ontologia dell'accidente, la cui stessa essenza implica l'essere non in
s, ma in un altro38(148). Pertanto, il secondo modo di perseit si dar

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

emblematicamente ogni volta che si attribuisce ad una sostanza i suoi propri


accidenti, cio quei accidenti che ineriscono sempre in quella sostanza a
ragione della sua stessa quiddit. In questa maniera, l'essere detto per s nel
secondo modo conviene per eccellenza alle nozioni che sono predicabili come
proprio, o propriet, nel senso dei Topici o dell'Isagoge. Tuttavia, la logica del
proprio non si applica soltanto al rapporto fra sostanza ed accidenti necessari,
ma pi generalmente ogni volta che un predicato si pu attribuire ad un
soggetto come qualcosa che vi inerisce necessariamente. Pertanto, non
richiesto che ci sia una distinzione reale fra il determinante ed il determinato,
ma basta una distinzione di ragione, consecutiva al nostro modo astrattivo e
discorsivo di intendere. Ad esempio, si d un rapporto di perseit del secondo
modo fra il predicato <visibile> ed il soggetto <colore>, nonostante il fatto che
la visibilit non una forma sovraggiunta al colore, ma una sua semplice
propriet, che tuttavia la nozione stessa di colore non esplicita39(149).
[] Questo appare bene nei esempi matematici che fa Aristotele nel secondo
segmento del testo che abbiamo riportato. Si tratta di coppie di attributi che
qualificano necessariamente, in modo disgiuntivo, la quantit geometrica o
aritmetica: infatti, una linea non pu non essere o rettilinea o curva, mentre un
numero intero (elemento di ) non pu non essere o pari o impari, o primo o
non primo40(150), e la sua raffigurazione non pu non essere o quadrata o non
quadrata41(151). In tutti questi casi, il soggetto della propriet disgiuntiva fa
parte della sua definizione, giacch impossibile definire la quiddit del
rettilineo o del curvo, del pari e dell'impari, ecc., senza includervi quella del
numero continuo o discreto che le serve di fondamento, ed questo che importa
ad Aristotele in questo brano, perch sono buoni esempi di propriet per se
secundo modo42(152). Il fatto che non ci sia, in questi casi, alcuna distinzione
reale fra la propriet ed il suo soggetto non diminuisce la validit dell'esempio.
Se quindi vero che il rapporto causale che si d in questo tipo di perseit
riconducibile a quello che unisce un soggetto ed il suo accidente proprio, lo si
deve intendere analogicamente di ogni rapporto noetico di materia a passione, il
ch pi ampio del solo rapporto ontologico di sostanza ad accidente reale
proprio.
[] Lo stesso Aristotele allarga poi il suo discorso al di l della matematica,
precisando che un predicato si dice per s del suo soggetto se soddisfa alle
condizioni dell'uno o dell'altro modo di perseit che ha appena elaborato. Con
questa osservazione, si vuole rilevare che una enunciazione per s coinvolge la
quiddit del soggetto, sia che il predicato ne espliciti la definizione od una parte

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

logica di essa, come nel primo modo, sia che, invece, questa quiddit entri nella
definizione (non espressa) del predicato, come nel secondo modo. Altrimenti, si
d una enunciazione per accidens:
Quae vero praedicata neutraliter insunt, idest neque ita quod
ponantur in definitione subiectorum, neque subiecta in definitione
eorum, sunt accidentia, idest per accidens praedicantur, sicut musicum et
album praedicantur de animali per accidens43(153).
Un attributo quindi per accidens quando rimane esterno non al soggetto
al cui viene de facto riferito, ma alla sua quiddit.
Nella luogo parallelo del libro della Metafisica, Aristotele opera una
distinzione implicita fra due modalit in cui il soggetto contenuto nella
definizione del predicato:
Per s si dicono anche le propriet che appartengono
originariamente a una cosa o a qualcuna delle sue parti: per esempio,
bianco propriet per s della superficie e vivente propriet per s
dell'uomo; infatti, l'anima, nella quale la vita originariamente risiede,
una parte dell'uomo44(154).
Il predicato <bianco> viene attribuito al soggetto <superficie> in tal
modo che la definizione (generica) di <bianco> includa tutto quanto
compreso in quella di <superficie>: in questo caso, quindi la specie stessa del
soggetto che fa parte della definizione del predicato. Per contro, il predicato
<vivente> viene attribuito al soggetto <uomo> in riferimento non a tutta la
natura dell'uomo, bens alla sua anima: in questo caso, soltanto una parte del
soggetto (nell'esempio, la sua causa formale) che appartiene alla definizione del
predicato45(155). Questa distinzione costituisce l'analogon, nel secondo modo
di perseit, di quella che si deve porre, nel primo modo, fra il predicato che
esprime tutta la definizione, e quello che ne esplicita soltanto un momento,
ossia il genere oppure la differenza.
Possiamo ora mettere in sinopsi i guadagni gi acquisiti rispetto alla
perseit:
- per se primo modo
Sul piano logico, il predicato appartiene alla
definizione del soggetto, e la esplicita in maniera determinata o
determinabile. Sul piano ontologico, il predicato fa parte della
quiddit del soggetto, che fonda quindi l'attribuzione.
- per se secundo modo Sul piano logico, il soggetto, oppure una parte
di esso, appartiene alla definizione del predicato, ma questa non viene

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

esplicitata. Sul piano ontologico, il soggetto causa materiale o quasi


materiale della forma significata dal predicato.
- per accidens
Sul piano logico, n il predicato appartiene alla
definizione del soggetto, n il soggetto appartiene alla definizione del
predicato. Sul piano ontologico, la forma significata dal predicato
inerisce nel soggetto per una ragione esterna alla sua quiddit.
Una differenza ulteriore fra il primo ed il secondo tipo di perseit emerge
da questa tavola. In un attribuzione del primo modo, non si d mai n una
diversit fra la ratio del soggetto e quella del predicato, nemmeno, a fortiori,
alcuna distinzione reale fra la realt del soggetto e quella del predicato, giacch
questo non fa che dispiegare la quiddit di quello. In una attribuzione del
secondo modo, invece, almeno le rationes rispettive del soggetto e del predicato
sono diverse, nel senso che la nozione del predicato aggiunge qualcosa a quella
del soggetto, bench, tuttavia, quella del soggetto contenuta in quella del
predicato; questa diversit ancora pi ovvia nei casi in cui interviene una
distinzione reale fra la cosa denotata dal soggetto e l'accidente al quale rimanda
il predicato46(156).
2.2.2.3. Il quarto modo di perseit
Al seguito dei due primi modi di perseit, Aristotele ne propone, come
risaputo, un terzo, che in realt non un modo di attribuzione, ma un modo di
essere, giacch consiste proprio nel non essere riferibile ad un altro
soggetto47(157). In questo terzo modo di perseit si designa quindi, con un
procedimento logico-critico, la sostanza prima48(158). Siccome questo tema
non entra nell'ambito della presente ricerca, possiamo tralasciarlo, e passare
direttamente al quarto modo di perseit, che di nuovo un modi di attribuzione.
Aristotele introduce cos questo quarto tipo di predicazione per s:
In un altro senso ancora, ci che appartiene ad una cosa a causa di
questa cosa viene detto per s, mentre ci che in una cosa, ma non a
causa di questa cosa, n un accidente. Ad esempio, quando si cammina,
[il folgore] lampeggia: questo un accidente, giacch il lampeggiare non
causato dal camminare, ma si tratta, secondo il nostro modo di dire, di
un fatto accidentale. Se, invece, [l'attributo appartiene alla cosa] a causa
della cosa stessa, allora [esso] per s; ad esempio, se un animale muore
sgozzato, per il fatto stesso di essere stato sgozzato, perch stato
sgozzato che morto, e non vi un rapporto puramente accidentale fra lo
sgozzamento e la morte49(159).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Gli esempi che ci offre lo stesso Aristotele evocano un rapporto di


causalit efficiente fra un effetto e la sua causa: l'animale sgozzato muore
perch ed in quanto stato sgozzato. Ma, per investigare il significato esatto di
questo modo di perseit, ne dobbiamo capire con precisione la descrizione
iniziale. A questo scopo, riportiamo l'originale greco:
e)/ti d'a(/llon tro/pon to\ me\n di'au)to\ u(pa/rxon e)ka/stw
kaq'au)to, to\ de\ mh\ di'au)to\ simbebhko/j50(160).
Guglielmo di Moerbeke tradusse letteralmente:
Item, alio modo quod quidem propter ipsum inest unicuique, per
se; quod vero non propter ipsum, accidens est51(161).
In una enunciazione, si attribuisce per definizione un predicato ad un
soggetto, che vengono successivamente designati qui con le parole to\ (quod) e
e)ka/stw (unicuique); questa correlazione essendo comune ad ogni
attribuzione, che sia per se o per accidens, ci che allora specifica, nel testo
citato, il quarto modo di perseit che si sta descrivendo, interamente
condensato nell'espressione di'au)to\ (propter ipsum). In un primo approccio,
dobbiamo quindi caratterizzare questo modo di attribuzione per s come
l'espressione logica di un rapporto di dipendenza causale fra la cosa denotata
dal soggetto e la forma significata nel predicato, giacch la prima la causa e il
motivo per la quale (dia/) la seconda le (au)to\) deve essere attribuita.
A questo punto, sorge naturalmente la domanda sulla specificit di
questo quarto tipo di perseit rispetto ai due primi. Infatti, abbiamo fondato il
primo modo sulla quiddit del soggetto, cio sulla sua causa formale, mentre
abbiamo ricondotto il secondo modo ad un rapporto di causalit materiale fra
soggetto e predicato. Perci, la spiegazione aristotelica del quarto modo sembra
alquanto insufficiente, sia che si debba ulteriormente restringerlo alla causalit
efficiente, come potrebbero suggerire gli esempi posti dubito dopo, sia che,
invece, questo modo non differisce essenzialmente dai due primi, ma ne
costituisca una precisione oppure una sintesi.
In vista di risolvere questa obiezione, e determinare allo stesso momento
ci che costituisce precisamente il quarto modo di perseit, consultiamo il
commentario di san Tommaso:
Deinde cum dicit: Item alio modo etc., ponit quartum modum,
secundum quod haec praepositio per designat habitudinem causae
efficientis vel cuiuscunque alterius. Et ideo dicit quod quidquid inest

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

unicuique propter seipsum, per se dicitur de eo; quod vero non propter
seipsum inest alicui, per accidens dicitur, sicut cum dico: hoc ambulante
coruscat. Non enim propter id quod ambulat, coruscavit; sed hoc dicitur
secundum accidens. Si vero quod praedicatur insit subiecto propter
seipsum, per se inest, ut si dicamus quod interfectum interiit: manifestum
est enim quod propter id quod illud interfectum est, interiit, et non est
accidens quod interfectum interierit52(162).
L'Aquinate ha colto l'importanza del ' , trascritto in propter
seipsum, e lo ha interpretato come rapporto di causalit efficiente, estensibile
per ad ogni genere di causalit, come lo implica la preposizione per53(163). In
s, il quarto modo di perseit mette quindi specialmente in evidenza un legame
di causalit per il quale il predicato procede dal soggetto. in questo rapporto
di provenienza causale che consiste formalmente questo tipo di attribuzione: la
proposizione <l'animale sgozzato muore> si dice per se quarto modo, perch la
morte in fieri risulta dall'essere sgozzato come dal suo principio efficiente
immediato. Un tale rapporto si dar, in ogni tipo di causalit, ogni volta che
l'enunciato, nella sua stessa formulazione, fa capire che ci che posto nel
predicato risulta da ci di cui tiene luogo il soggetto come l'effetto proprio
(in senso analogico) dalla causa propria.
Questa definizione verr chiarita se la confrontiamo con quella dei due
primi modi. Nel primo modo, il predicato esplicita totalmente o parzialmente la
quiddit del soggetto; dunque l'attribuzione viene allora fondata sulla causa
formale della cosa, come l'abbiamo spiegato; ma, tuttavia, questa attribuzione
non significa, precisamente, un rapporto di causalit formale che avrebbe la sua
sede nel soggetto ed il suo termine nel predicato. Affermando che <l'uomo
razionale>, esplicito, s, la differenza specifica per la quale il soggetto
determinato dalla natura umana; ma non intendo dire che il <razionale>
proviene da <l' uomo> come da suo principio formale, il ch, del resto, non
sarebbe esatto: infatti, il <razionale> che allora specifica, e quindi determina
formalmente <l'uomo>. Cos, la proposizione <l'uomo razionale> fondata su
la quiddit del soggetto <uomo>, e dunque su ci che fa essere l'uomo uomo,
ma essa non significa alcun rapporto di causazione formale fra il suo soggetto
ed il suo predicato. Per contro, se esaminiamo la proposizione <ci che
razionale capace di parlare>, osserviamo che il predicato <capace di parlare>
proviene dal soggetto <ci che razionale> per una necessit che non
strettamente efficiente, bens formale; infatti, la capacit di parlare dipende
dalla razionalit come dal suo fondamento spiegativo immediato, ma non come

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

da un principio operativo. In una proposizione del genere, l'attribuzione


evidenzia un rapporto di dipendenza causale (secondo la forma) fra il
significato del predicato e la cosa denonata dal soggetto, cosicch il predicato
esprime qualcosa che come un effetto formale del soggetto. Qualora, nella
linea della causalit formale, l'enunciazione evidenzia un tale nesso causale fra
il soggetto ed il predicato, allora l'attribuzione si fa secondo il quarto modo di
perseit; se, invece, la proposizione dispiega semplicemente, in maniera
determinata o determinabile, la quiddit del soggetto, essa si fonda sulla forma,
ma non esprime un nesso di causalit formale, per cui l'attribuzione si fa allora
secondo il primo modo di perseit.
Mutatis mutandis, la stessa differenza si riscontra fra il quarto ed il
secondo modo di attribuzione per s. In quest'ultimo, l'enunciato pone
l'inerenza necessaria della forma significata dal predicato nella cosa designata
dal soggetto, che funge di conseguenza da fondamento quasi materiale alla
forma in questione; perci, l'attribuzione viene fondata sul soggetto come sulla
sua causa quasi materiale, ma essa, tuttavia, non esplicita questo legame di
causalit materiale, n alcun altro legame causale. Cos, ad esempio, la
proposizione <l'uomo capace di parlare> afferma che la capacit di parlare
conviene all'uomo come una sua propriet, giacch, infatti, questa capacit
inerisce sempre e necessariamente nella natura umana; ma n il rapporto di
dipendenza materiale fra il linguaggio e la natura umana viene espresso,
nemmeno il rapporto di dipendenza formale che unisce, sotto un altro aspetto,
gli stessi estremi. Per contro, quando affermiamo che <ci che razionale
capace di parlare>, colleghiamo, come l'abbiamo appena detto, la capacit del
linguaggio alla razionalit come al suo principio formale immediato, giacch
quella scaturisce di questa come da sua propria fonte54(164): perch l'uomo
razionale, quindi discorsivo, socievole, e docibile, che esso anche un animal
naturaliter loquens. Nell'enunciazione che esprime questa implicazione,
l'attribuzione verte sulla ragione per cui il predicato appartiene al soggetto, pi
che sull'appartenenza stessa, ed perci che si fa nel quarto modo.
In sintesi, l'attribuzione per s di quarto modo suppone che la cosa alla
quale rimanda il soggetto sia la causa propria ed immediata della forma che
viene posta nel predicato. Un tale rapporto di dipendenza causale pi facile da
cogliere nella linea della causa efficiente, perci Aristotele sceglie i suoi
esempi in questa genere di causalit; ma nondimeno si possono formare
enunciati per se quarto modo in ogni tipo di causalit, purch l'attribuzione
faccia vedere nel soggetto la causa del predicato55(165).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

2.2.3. Paragone fra i tre modi di perseit


I modi di perseit che abbiamo analizzati sono formalmente dei modi di
attribuzione, ma il loro studio ordinato a quello della dimostrazione, come lo
manifesta il suo inserimento nei Secondi Analitici. Rispettando questa duplice
valenza, istituiamo ora un paragone fra i tre modi in causa da questi due punti
di vista.
2.2.3.1. Confronto fra i tre modi di perseit quanto all'attribuzione
Possiamo differenziare i modi di attribuzione per s a partire da ci che li
costituisce tali, cio dal tipo di rapporto fra predicato e soggetto che viene
rispettivamente e specificamente significato da ciascuno.
Nel primo modo di perseit, l'attributo significa ci che il soggetto ,
indicandone la definizione, o il genere, o la differenza specifica. In ciascuno di
questi tre casi, il predicato significa la quiddit del soggetto: la definizione (o la
specie) lo fa a modo di totalit determinata56(166); il genere, a modo di totalit
determinabile, in quanto comprende potenzialmente la specie57(167); la
differenza, a modo di totalit determinante, in quanto ci che caratterizza la
specie58(168). Quindi in questo tipo di perseit, l'attribuzione pone una identit
formale fra la quiddit del soggetto e la sua esplicitazione nel predicato,
identit che perfetta se si attribuisce la definizione o la specie, e imperfetta se
si attribuisce la differenza o il genere. Perci, il predicato posto in questo modo
non dice alcuna nozione (ratio) nuova rispetto a quella che costituisce la
quiddit del soggetto.
Nel secondo modo di attribuzione, il predicato non si attribuisce pi a
modo di identit formale, giacch la sua nozione (ratio) aggiunge qualcosa a
quella del soggetto, pur includendo quest'ultima in s. Il fondamento
dell'attribuzione, in questo tipo di perseit, sta nel rapporto di soggetto-materia
a propriet-forma che intercorre fra il soggetto ed il predicato59(169); perci,
l'attribuzione stessa pone allora l'inerenza della forma significata dal predicato
nella cosa denotata dal soggetto. per questo motivo che una propriet
affermata per se secundo modo di un soggetto n una passio; infatti, ci che
l'intelligenza coglie in questo modo di attribuzione l'essere-ricevuto del
predicato nel soggetto, vale a dire ancora il suo essere-sostenuto dal soggetto, il
ch implica una certa passivit della cosa rispetto alla propriet60(170).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Nel quarto modo di attribuzione per s, il predicato non viene detto del
soggetto n secondo l'identit formale (sia pure imperfetta), n secondo
l'inerenza, bens secondo la causalit, perch il nesso fra il soggetto ed il
predicato rimanda in re ad un rapporto di causazione, sia secondo la causalit
efficiente, sia secondo ogni altro genere di causalit. Ci che si vuole dire con
le proposizioni di questo tipo che il significato del predicato procede dalla
cosa denotata dal soggetto come l'effetto dalla causa61(171), che si tratti di un
effetto risultante secondo l'efficienza, la forma, il fine, o, addirittura, la materia.
Anche qui, la nozione (ratio) del predicato differisce abitualmente da quella che
costituisce il soggetto nella sua realt, ma si evidenzia fra di loro un legame di
provenienza, e non di inerenza62(172).
In quanto i modi di perseit sono precisamente dei modi di attribuzione,
si differenziano quindi secondo lo schema seguente:
modi dicendi per se

fondamento
dell'attribuzione

significato
dell'attribuzione

primo modo

note
necessariamente identit del predicato
costitutive della quiddit con la quiddit del
del soggetto
soggetto

secondo modo

sostegno necessario del inerenza del predicato


soggetto rispetto al nel soggetto
predicato

quarto modo

causalit necessaria del causazione del predicato


soggetto ripsetto al dal soggetto
predicato

Questa tavola ci aiuta a capire che la divisione dei modi di perseit in tre
adeguata. Infatti, una attribuzione necessaria se:
[ ]il predicato appartiene alla costituzione quidditativa del soggetto, ed
allora si d il primo modo di perseit;
[] oppure il predicato non appartiene alla quiddit del soggetto, ma inerisce
nel soggetto, attuandolo ulteriormente (per una ragione fondata sulla
quiddit stessa del soggetto);
[] oppure ancora il predicato che necessario ma non quidditativo, non

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

viene considerato sotto l'aspetto del suo inserimento nel soggetto, ma


sotto quello della sua provenienza causale a partire del soggetto (a
ragione della quiddit stessa di quest'ultimo).
In sintesi, o il predicato qualcosa del soggetto [], oppure sta nel
soggetto [], oppure proviene dal soggetto []: non essendovi altre possibilit,
la divisione adeguata63(173).
Perveniamo allo stesso risultato se ragioniamo a partire dai predicabili.
L'accidente predicabile d ovviamente luogo ad un'attribuzione per accidens,
per cui fuori gioco qui. Rimangono i quattro predicabili fondati sulla quiddit,
che sono la specie (e la definizione), il genere, la differenza, ed il proprio.
Quando si attribuisce ad un individuo la sua specie, il suo genere, la sua
differenza specifica, oppure la sua definizione, il predicato per s nel primo
modo; lo stesso avviene se si attribuisce ad una specie il suo genere, la sua
differenza, oppure la sua definizione. Quando all'individuo od alla specie si
attribuisce il proprio, il predicato per s nel secondo modo, cos anche se si
attribuisce ad un genere quel tipo di proprio che converr agli inferiori per
questo stesso genere. Finalmente, quando si attribuisce ad una differenza
specificante un proprio, si evidenzia in quella differenza la causa per cui gli
enti che essa specifica debbono anche possedere la propriet in causa, e perci
il predicato per s nel quarto modo64(174).
2.2.3.2. Confronto fra i tre modi di perseit quanto all'argomentazione
Nel modello aristotelico di dimostrazione perfetta, le premesse e la
conclusione sono delle proposizioni per s che si articolano nel modo seguente:
Sciendum autem est quod cum in demonstratione probetur passio
de subiecto per medium, quod est definitio, oportet quod prima
propositio, cuius praedicatum est passio et subiectum est definitio, quae
continet principia passionis, sit per se in quarto modo; secunda autem,
cuius subiectum est ipsum subiectum et praedicatum ipsa definitio, in
primo modo. Conclusio vero, in qua praedicatur passio de subiecto, est
per se in secundo modo65(175).
Volendo dimostrare che una propriet si riscontra in un soggetto, lo
scienzato (sciens) secondo Aristotele comincia per definire quest'ultimo,
elencandone le note costitutive in un enunciato del primo modo, poi fa vedere
che tale definizione anche il principio della propriet in questione, il ch

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

viene espresso in una proposizione del quarto modo; grazie al sillogismo allora
costruito, egli pu concludere che la passio che scaturisce dalla quiddit del
soggetto deve inerire in esso. Si d quindi lo schema dimostrativo seguente:
maggiore
definitio passio per se quarto modo
minore
subiectum definitio
per se primo modo
conclusione
subiectum passio per se secondo modo
Esemplifichiamo questa tipologia del sillogismo scientifico con un facile
argomento, preso ad litteram dallo stesso Aquinate:
dicendum quod ratio aeternitatis consequitur immutabilitatem,
sicut ratio temporis consequitur motum, ut ex dictis patet. Unde, cum
Deus sit maxime immutabilis, sibi maxime competit esse
aeternum66(176).
Sintetizzate in un entimema, ritroviamo qui le tre tappe proposte nel
commentario sugli Analitici Secondi:
maggiore
Ci che immutabile eterno;
minore
ora Dio massimamente immutabile;
conclusione
quindi Dio massimamente eterno.
Nella maggiore, l'eternit appare come una propriet che risulta
dall'immutabilit, giacch si precisa che la ratio stessa di eternit consecutiva
all'immutabilit: stiamo quindi di fronte ad una premessa mostra, nel quarto
modo di attribuzione per s, che la propriet in discussione scaturisce da quello
che funge da termine medio del ragionamento come da sua fonte immediata.
Nella minore, si attribuisce l'immutabilit a Dio come una sua caratteristica
(guadagnata gi nella prima via e confermata nella questione anteriore) che gli
appartiene per essenza, e gli viene quindi attribuita nel primo modo di perseit.
Congiungendo le due premesse, si deduce che Dio eterno; da un punto di
vista strettamente logico, questa conclusione del secondo modo, perch il
predicato <eterno> include, nella sua definizione reale, <Dio> come suo unico
soggetto proprio. Nondimeno, dal punto di vista metafisico, l'eternit, e tutti gli
attributi divini, si identificano con l'essenza divina, per cui si dicono,
ultimamente, secondo il primo modo; ciononostante, la ragione umana coglie
l'eternit come qualcosa che proviene dall'immutabilit come dal suo
fondamento prossimo, ed quindi attraverso la mediazione dell'immutabilit
che, selon l'ordre des raisons, attribuiamo a Dio l'eternit.
Questa struttura della dimostrazione richiama due osservazioni. La prima

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

concerne l'ordine stesso delle proposizioni. Nell'esempio che abbiamo scelto


come nel suo modello di riferimento, la propriet da dimostrare appare, nella
maggiore, come causata dalla definizione del soggetto del quale essa viene
dimostrata, mentre, nella conclusione, la stessa propriet si ritrova sotto un
altro aspetto, cio in quanto radicata nel soggetto che le serve di quasi sostrato.
In altri termini, la maggiore mostra la causa per la quale il predicato in
questione appartiene al soggetto come sua propriet: si passa, in questo schema
epistemologico, dalla causa della propriet, che la definizione della cosa, alla
sua inerenza nella cosa, motivata dalla definizione di quest'ultima.
L'altra osservazione riguarda la natura della dimostrazione. Il discorso
dal per se quarto modo al per se secundo modo si riscontra precisamente
quando la nostra ragione pu giungere, nella maggiore, alla causa ontologica ed
immediata della propriet, il ch si d nella dimostrazione propter quid che,
appunto, fa conoscere il motivo (il propter ossia to\ dio/ti) per il quale la
propriet appartiene al soggetto. Se la dimostrazione si limita invece a provare
soltanto il fatto (il quia ossia to\ o)/ti) che il termine maggiore appartiene al
soggetto, allora non si conosce la conclusione a partire dalla sua causa
immediata, bens a partire da una sua causa remota (quindi non propria), oppure
a partire da un effetto67(177). Il questi casi, il termine medio del sillogismo
non sar la stretta definizione del soggetto, ma una sua descrizione, alla quale si
ricondurr, nella maggiore, il predicato da dimostrare. Pertanto, quest'ultima
non dischiuder la causa immediata del predicato; per, ne dar una ragione pi
nota a noi, che sar quindi, nell'ordine puramente noetico, la causa. Cos si
pu dire che la struttura che abbiamo evidenziata vale pure, mutatis mutandis,
per le dimostrazioni quia quanto ad un punto preciso: la maggiore deve essere,
quanto alla pura logica dell'attribuzione, nel quarto modo di perseit, giacch
l'unico modo nel quale il soggetto causa il predicato, almeno nel senso che ne
rende noeticamente ragione. Quindi tutte le dimostrazioni, in qualche modo,
poggiano su premesse che sono per s nel primo e nel quarto modo. In seguito,
dovremo approfondire ancora questa tematica.
2.3. La terza condizione : dici ut universale
Nell'ultima parte del capitolo IV dei Secondi Analitici che sottende il
presente paragrafo, Aristotele studia la terza condizione richiesta per le
premesse della dimostrazione: ti/ to\ kaqo/luo ossia il dici ut universale. La
nozione di universalit viene considerata, in questo contesto, in un senso
tecnico ben preciso, per cui non si tratta della predicabilit in genere, bens di

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

un certo tipo di predicabilit che si d quando l'attributo si riferisce al soggetto


in virt di ci che costituisce specificamente questo soggetto. San Tommaso
spiega cos questo punto:
Ad evidentiam autem eorum, quae hic dicuntur, sciendum est quod
universale non hoc modo hic accipitur, prout omne quod praedicatur de
pluribus universale dicitur, secundum quod Porphyrius determinat de
quinque universalibus; sed dicitur hic universale secundum quandam
adaptationem vel adaequationem praedicati ad subiectum, cum scilicet
neque praedicatum invenitur extra subiectum, neque subiectum sine
praedicato68(178).
L'universalit in questione quindi un rapporto di convertibilit secondo
il quale il predicato non si riscontra fuori l'ambito del soggetto (neque
praedicatum extra subiectum), n il soggetto si d senza il predicato (neque
subiectum sine praedicato). Cos, ad esempio, la capacit di parlare
strettamente connessa alla natura umana, giacch, da una parte, gli esseri
inferiori all'uomo non hanno l'intenzionalit intellettuale che come l'anima del
linguaggio, mentre, d'altra parte, gli esseri superiori all'uomo non hanno la
corporeit che da sola consente di imprimere un significato in un suono.
Pertanto, la capacit di parlare si dice dell'uomo universalmente, perch si
trova sempre (virtualmente) nell'uomo, e perch, al contempo, non si trova al di
fuori dell'uomo.
Dopo aver ricordato che l'essere detto universalmente, nel presente
senso, presuppone l'essere detto di tutto ci a cui si estende il soggetto nonch
l'essere detto per s, lo Stagirita esplicita ci che questa terza caratteristica
aggiunge alle due altre:
to\ kaqo/lou de\ upa/rxei to/te, o)/tan e)pi\ tou= tixo/ntoj kai\
prw/tou deiknu/htai69(179),
il ch si pu tradurre cos:
L'attributo appartiene universalmente al soggetto, quando si pu
mostrare che esso appartiene al soggetto comunque e primariamente.
Le condizioni di questo tipo di universalit sono quindi due:
[] Il predicato deve essere riferito al soggetto comunque (e)pi\ tou=
tixo/ntoj). Con questa espressione, Aristotele vuole dire che l'attributo
deve appartenere a tutto ci a cui si estende il soggetto, quindi a tutti gli
individui e a tutte le specie di cui si dice il soggetto stesso.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

[] Il predicato deve, inoltre, essere riferito al soggetto primariamente


(e)pi\ tou= prw/tou). Questa formula significa che l'attributo appartiene
al soggetto a causa di ci che ontologicamente primo in questo
soggetto, cio la sua ultima nota costitutiva, all'esclusione di un genere
anteriore, fosse pure il genere prossimo.
Nel seguito del testo, Aristotele illustra queste due condizioni con grande
rigore, adoperando due esempi geometrici. Per la prima condizione [], si
argomenta cos:
Ad esempio, il fatto di avere degli angoli uguali a due [angoli] retti
non per la figura un attributo universale. Cos, bench sia possibile
provare che qualche figura ha i suoi angoli uguali a due [angoli] retti,
non lo si pu tuttavia provare di una figura qualunque, n ci si serve di
qualsiasi figura nella dimostrazione: infatti, un quadrato una figura,
per i suoi angoli non sono uguali a due [angoli] retti70(180).
facile cogliere il nucleo del passo: la propriet che consiste nell'avere
la somma degli angoli uguale a 180 gradi non predicabile della figura in
quanto tale, giacch non si trova in alcune figure, in particolare nel
quadrato71(181). In questo caso, l'universalit viene meno perch l'attributo in
discussione appartiene soltanto ad un segmento del soggetto, e non alla sua
totalit.
Nell'esempio coniato da Aristotele per la seconda condizione, il
predicato, al contrario, ha una ampiezza maggiore del soggetto:
D'altra parte, un triangolo isoscele qualunque ha i suoi angoli
uguali a due [angoli] retti, ma il triangolo isoscele non tuttavia il
[soggetto] primo: il triangolo, che anteriore. Ci di cui, dunque, preso
come soggetto qualunque e primo, si dimostra che ha i suoi angoli uguali
a due [angoli] retti, o che possiede qualsiasi altro attributo, questo che
ci a cui, preso come [soggetto] primo, l'attributo appartiene
universalmente72(182).
Se vero che la propriet di avere <la somma degli angoli uguale a due
retti> appartiene al <triangolo isoscele>, essa per non appartiene soltanto ai
triangoli isosceli, ma a tutti i triangoli; la propriet in questione ha, quindi, una
estensione superiore a quella del soggetto <triangolo isoscele>. Questa
osservazione, che rileva dal punto di vista dell'estensione, trova la sua
spiegazione, dal punto di vista della comprensione, nel fatto che l'attributo in

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

causa non scaturisce formalmente dalla differenza specifica <isoscele>, bens


dal genere <triangolo>73(183).
In sintesi, un predicato si dice universalmente di un soggetto, qualora
l'attribuzione si fa secondo la specie stessa del soggetto in causa, e quindi n
secondo una nozione superiore, generica rispetto a quel soggetto, n secondo
una nozione inferiore, che sarebbe invece una parte soggettiva del soggetto.
Uno schema desunto dal cosidetto albero di Porfirio illustrer utilmente questo
punto di dottrina74(184):
soggetto

propriet

figura
|
...
poligono
|
triangolo

angoli =

|
isoscele
Appare cos che l'attributo universale, nel limitato senso tecnico che ci
interessa ora, deve essere predicato del soggetto solo e del soggetto tutto, a
causa della sua stessa quiddit specificamente considerata. A queste condizioni,
tale attributo reciprocabile col soggetto, e si dice di lui primariamente
(primo).
Possiamo allora concludere che un predicato convertibile col soggetto si
attribuisce per se primo, nel modo di perseit definito dal rapporto che
intercorre fra questo predicato ed il suo soggetto; se, invece, il predicato per
s, ma non convertibile, allora lo si attribuisce per se secundo.
Esemplifichiamo:
<l'uomo razionale>
per se primo primo modo

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

<l'uomo loquens>
<ci che razionale loquens>
<l'uomo animale>
<l'uomo libero>
<ci che razionale libero>

per se primo secundo modo


per se primo quarto modo
per se secundo primo modo
per se secundo secundo modo
per se secundo quarto modo

In una dimostrazione propter quid, come quella che consente di


dimostrare il teorema di Euclide per cui la somma degli angoli di un triangoli
uguale a due angoli retti, sia la conclusione che le premesse sono delle
proposizioni per se primo, giacch vi si dimostra l'appartenenza di una
propriet al proprio soggetto75(185).
Avendo stabilito in che cosa consistono le tre caratteristiche delle
premesse scientifiche, cio il dici de omni, il dici per se, ed il dici ut universale,
e sapendo che i primi princpi sono per definizione proposizioni de omni et per
se, dovremo ancora determinare, nelle prossime tappe del nostro studio, entro
quali tipi di perseit rientrano gli assiomi, e se si tratta di enunciati
reciprocabili.

4 In che cosa consiste il per se notum, che specifica i primi


princpi?
Fra tutti gli asserti che enunciano verit ontologicamente necessarie e
che le esprimono logicamente per l'attribuzione per s del predicato al soggetto,
i primi princpi si distinguono dalle altre proposizioni per il fatto che il loro
significato per s noto alla mente umana. Come l'abbiamo gi evidenziato
all'inizio di questo studio1(186), questa caratteristica costituisce quindi la
differenza specifica dell'abito dei princpi. Per investigarla, procederemo in due
tappe. Vedremo, per cominciare, come san Tommaso elabora la nozione di per
s noto sulla base del trattatello De Hebdomadibus di Boezio, e quale uso ne
fa in alcuni testi chiavi2(187). In un secondo momento, approfondiremo
speculativamente le note definitorie di tale nozione.
1. L'elaborazione del per se notum sulla base di Boezio
1.1. Il commento sul De Hebdomadibus
Per capire bene l'interpretazione tommasiana, conviene rileggere il

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

passaggio del De Hebdomadibus dove Boezio accenna ai primi princpi e che


abbiamo gi citato nella problematica:
[] Ut igitur in mathematica fieri solet, caeterisque etiam disciplinis,
proposui terminos regulasque quibus cuncta quae sequuntur efficiam.
[] Communis animi conceptio est enuntiatio, quam quisque probat
auditam.
[] Harum duplex modus est: nam in una communis est, ut omnium
hominum sit, velut si hanc proponas: Si duobus aequalibus aequalia
auferas, quae relinquuntur aequalia esse; nullus id intelligens neget.
Alia vero est doctorum tantum, quae tamen ex talibus communi animi
conceptionibus venit, ut est: Quae incorporalia sunt, in loco non esse,
et caetera, quae non vulgus, sed docti comprobant3(188).
Abbiamo diviso il brano in tre sezioni, per agevolare la comprensione del
commento tommasiano, secondo il quale Boezio articola il suo discorso in tre
fasi.
Nella prima di queste fasi, si esplicita il fine dei primi princpi:
[] Dicit ergo primo, quod ipse intendit primo proponere
quaedam principia per se nota, quae vocat terminos et regulas. Terminos
quidem, quia in huiusmodi principiis stat omnium demonstrationum
resolutio; regulas autem, quia per eas dirigitur aliquis in cognitionem
sequentium conclusionum. Ex huiusmodi autem principiis intendit
concludere et facere nota omnia quae consequenter tractanda sunt, sicut
fit in geometria, et in aliis demonstrativis scientiis, quae ideo dicuntur
disciplinae, quia per eas discipulis aggregatur scientia ex demonstratione
quam magister proponit4(189).
Il vocabolo <terminus> viene dunque interpretato come il termine della
risoluzione, cio l'enunciato originario al quale si riconduce analiticamente la
conclusione di una dimostrazione, nel senso che tale analisi finisce nel
principio per s noto. Per contro, la parola <regula> si riferisce ai stessi princpi
primi, ma sotto un altro aspetto, in quanto cio la proposizione per s nota
funge da regola, ossia da criterio nella ricerca della conclusione. Come
terminus, il principio per se notum dunque ultimo in via resolutionis, mentre
lo stesso principio, considerato come regula, primo in via inventionis : sotto
ambedue i aspetti, l'enunciato per s noto appare come finalizzato alla
conoscenza scientifica. Questo ci ricorda utilmente, prima di esaminare la
differenza specifica dell'abito dei princpi, che esso non fine a s stesso.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Segue l'analisi della definizione boeziana:


[] Deinde cum dicit, Communis animi conceptio est, notificat
principia per se nota: et primo per definitionem: secundo per divisionem,
ibi, Harum autem duplex est modus.
Circa primum considerandum est, quod huiusmodi principia, quae
sunt regulae demonstrationum sunt, vocantur communes animi
conceptiones. Definit ergo communem animi conceptionem dicens:
Communis animi conceptio est enuntiatio quam quisque probat auditam,
id est quam quilibet approbat statim ut eam audit. Aliae autem
propositiones quae his demonstrantur non statim ex ipso auditu
approbantur, sed oportet quod per aliqua alia fiant nota. Hoc autem non
est procedere in infinitum, unde oportet pervenire ad aliqua quae statim
per se sunt nota, unde dicitur communes animi conceptiones et
communiter cadunt in conceptione cuiuslibet intellectus. Cuius ratio est
quod praedicatum est de ratione subiecti et ideo statim nominato subiecto
et intellecto quid sit, statim manifestum est praedicatum ei inesse5(190).
Tre punti sono qua da rilevare. In primo luogo, san Tommaso rende
conto della locuzione sostantiva con la quale Boezio chiama i primi princpi: la
communis animi conceptio viene spiegata alla luce del concetto noetico, di
matrice avicenniana, degli oggetti che comunemente cadono nell'intelletto
(per cui l'anima umana formalmente umana)6(191). Allo stesso modo in cui
certe nozioni vengono conosciute comunemente, nel doppio senso che
qualunque intelletto le pu capire e che sono comuni a diversi saperi, parimenti
certi enunciati possono essere approvati da ogni intelletto e possono servire da
princpi in diversi settori del sapere. Registriamo che, con questo carattere di
comunanza, siamo indirizzati verso proposizioni che non sono proprie ad un
determinato tipo di scienza, ma che sono anzi comuni a tutte le scienze.
In secondo luogo, l'Aquinate precisa che tali concezioni comuni
dell'anima vengono comprese subito, senza termine n tempo intermedio,
nella sola misura in cui l'intelligenza coglie il significato degli estremi, alla
differenza delle conclusioni dimostrate, che richiedono tempo e medio.
quindi l'evidenza immediata di queste proposizioni prime che giustifica il loro
qualificativo di per se notae, il ch si pu tradurre con conosciute in virt di s
stesse, cio dei soli estremi che esse collegano fra di loro. Questa
immediatezza conoscitiva viene espressa, e solo espressa, attraverso
l'immediatezza cronologica, giacch tali concezioni comuni dell'anima sono

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

approvate subito dalla mente. Sia ben chiaro, rispetto a questo punto centrale,
che ci troviamo ad un livello formalmente gnoseologico (e non
temporale-descrittivo): il primo principio si caratterizza per l'immediatezza
dell'assenso che la mente d alla sintesi predicativa in cui viene profferto,
perch il semplice avvicinamento dei due concetti basta a far vedere la verit
della loro composizione (o divisione). Cos, il costitutivo specifico ultimo dei
primi princpi sta nel tipo di assenso che pu ricevere da parte dell'intelletto (ex
parte subiecti).
Come tuttavia normale in una filosofia realista, il fenomeno
conoscitivo che abbiamo appena collocato alla radice del per se notum non
autosufficiente, ma viene fondato, in terzo luogo, su un dato oggettivo (ex parte
obiecti). Infatti, il predicato della proposizione nota per s deve essere de
ratione subiecti, quindi incluso nella nozione del soggetto. Di quale natura
questa inclusione ? Se si prendesse il testo al piede della lettera, lo dovremmo
comprendere secondo il primo modo di perseit, nel quale, come l'abbiamo
spiegato nel 3, il predicato dispiega la quiddit del soggetto oppure alcuna
delle sue note costitutive; se invece interpretiamo il testo pi ampiamente,
possiamo considerare che in ogni proposizione per s, il predicato procede in
qualche modo dalla quiddit del soggetto, sia che la espliciti, sia che vi
inerisca, sia che ne scaturisca. Gli esempi che seguono immediatamente nel
testo boeziano vanno chiaramente in questa seconda direzione; ma rimandiamo
alla fine del presente paragrafo la soluzione definitiva di questo importante
problema. Comunque ne sia, rimane certo che una proposizione per s nota nel
senso che intendiamo in questo contesto non pu mai essere una proposizione
per accidens, ma deve sempre essere per se.
Avendo spiegato la definizione della communis animi conceptio,
l'Aquinate ne analizza la divisione proposta da Boezio:
[] Deinde cum dicit, Harum autem duplex est modus, dividit
praedicta principia, dicens, quod praedictarum communium animi
conceptionum duplex est modus.
Quaedam enim animi conceptiones sunt communes hominibus
omnibus, sicut ista: Si ab aequalibus aequalia auferas, quae relinquuntur
sunt aequalia.
Alia vero animi conceptio est communis solum doctis, quae
derivatur a primis animi conceptionibus, quae sunt omnibus hominibus
communes: et huiusmodi est: incorporalia non esse in loco, quae non
approbatur a vulgo, sed solum a sapientibus.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Huius autem distinctionis ratio est quia cum communis animi


conceptio vel principium per se notum sit aliqua propositio, ex hoc quod
praedicatum est de ratione subiecti, si idem id quod significatur per
subiectum et praedicatum cadat in cognitionem omnium, consequens est
quod huiusmodi propositio sit per se nota omnibus, sicut quid sit
aequale, omnibus est notum et similiter quid sit subtrahi; et ideo
praedicta propositio est omnibus per se nota, et similiter: "omne totum
est maius sua parte", et aliae huiusmodi. Sed ad apprehendendam rem
incorpoream, solus intellectus sapientum consurgit, nam vulgarium
hominum intellectus non transcendunt imaginationem, quae est solum
corporalium rerum, et ideo ea quae sunt propria corporum, puta esse in
loco circumscriptive, intellectus sapientum statim removet a rebus
incorporeis: quod vulgus facere non potest7(192).
Sulla scia di Boezio, le proposizioni per s note vengono divise in due
classi, in funzione dell'assenso che ricevono dai diversi intelletti umani. Alcune
sono comuni a tutti gli uomini, perch tutti le capiscono; altre sono accessibili
soltanto ai dotti (doctis), perch solo loro le capiscono. La distinzione fra le due
classi si prende quindi a partire dall'essere-conosciuto della proposizione. Ma
da dove viene questa variazione nell'intellezione di enunciati che abbiamo
caratterizzati per la carenza di ogni intermedio conoscitivo? Potrebbe sembrare
che, per questa ragione, una proposizione per s nota dovrebbe essere ipso
facto conosciuta da tutti.
La spiegazione tommasiana lascia perfettamente intatti i due assi
definitori del per s noto, vale a dire, da una parte, l'immediatezza soggettiva
dell'approvazione che deve dare l'intelligenza, nonch, d'altra parte,
l'appartenenza oggettiva del predicato alla ratio del soggetto, che viene ribadita.
Pertanto, la distinzione in due classi delle comuni concezioni dell'anima non
va ricercata nella linea del giudizio, bens in quella dell'apprensione concettuale
che, almeno logicamente, precede il giudizio. Certe nozioni, infatti, sono aperte
a tutti; altre nozioni, invece, pur essendo intelligibili in s stesse, non sono
tuttavia afferrate da tutti, ma soltanto da alcuni (i dotti), perch la loro ratio
supera l'effettiva capacit intellettiva del vulgus. Cos, la comprensione della
proposizione per s nota si gioca interamente nell'apprensione degli estremi che
essa unisce o separa. Se la quiddit del soggetto e del predicato palesa per
chiunque, allora l'enunciato per s noto a tutti; se, al contrario, essa richiede
uno studio attento, allora la verit alla quale rimanda l'enunciato manifesta
soltanto a coloro che colgono i significati del predicato e del soggetto, bench

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

la proposizione in causa rimane per s nota in s, giacch, in re, il significato


del predicato procede immediatamente da quello del soggetto.
Verifichiamo ora come questa differenza viene illustrata negli esempi.
Per san Tommaso, la proposizione ipotetica secondo la quale <se da [diverse
quantit] uguali fra di loro vengono sottratte [diverse quantit] uguali fra di
loro, allora le [quantit] restanti sono uguali fra di loro> una proposizione per
s nota a tutti. Si noti, prima, che tale enunciazione condizionale ipotetica si
lascia facilmente ricondurre ad una enunciazione categorica, che sarebbe
<[diverse quantit] uguali sottratte da [diverse quantit] uguali sono uguali fra
di loro>; avendo cos soppresso l'implicazione (caratteristica della proposizione
ipotetica), rimaniamo con le due nozioni di <uguale> e di <sottratto> : <uguali
sottratti da uguali sono uguali>, oppure <uguali meno uguali sono uguali>. A
questo punto, chiaro che il predicato <uguali> proviene immediatamente dal
soggetto (complesso) <uguali meno da uguali> secondo il quarto modo di
attribuzione per s, poich l'uguaglianza finale risulta dalla sottrazione di
uguali da uguali che era posta nel soggetto. Questo enunciato di matematica
elementare essendo per s, e i suoi termini essendo universalmente intelligibili,
ci troviamo quindi di fronte ad un assioma evidente per tutti.
Lo stesso vale, mutatis mutandis, per il principio <omne totum est maius
sua parte> che l'Aquinate ha inserito nel commento che abbiamo letto e che egli
spesso cita come proposizione per s nota. La nozione di tutto, infatti, non pu
essere descritta dalla nostra intelligenza se non come la somma delle
parti8(193), bench le parti siano ontologicamente posteriori al tutto (come,
analogicamente, la nozione di uno viene esplicitata con l'assenza di divisione,
sebbene la divisione sia ontologicamente posteriore all'unit9(194)). Pertanto,
dire che <il tutto pi grande della sua parte> equivale, re et ratione, a dire che
<la somma delle parti pi grande di una parte>: anche in questa proposizione,
l'attribuzione si fa nel quarto modo, se si considera che l'essere pi grande della
parte scaturisce immediatamente dalla nozione di tutto, cio di somma delle
parti, come dalla sua propria ragione formale. Ora, le nozioni di <tutto> (come
somma delle parti), di <parte> e di <pi grande> essendo conoscibili senza
difficolt da ognuno, l'assioma che li collega per s noto a tutti.
A rovescio, il soggetto della proposizione <incorporalia non sunt in
loco> non facile da intuire, giacch il genere delle sostanze incorporee
trascende per definizione l'orizzonte della nostra esperienza sensibile10(195).
A causa di questa difficolt nell'ordine dell'apprensione, l'enunciato in causa

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non pu essere per s noto a tutti. Ci nonostante, il predicato <non in loco>


immediatamente consecutivo al soggetto <incorporalia> come una propriet
logicamente negativa, che gli viene quindi riferita secondo il secondo tipo di
perseit. Se infatti vero che il corpo sta in un luogo, e che questa collocazione
(nel senso proprio!) una sua propriet reciprocabile, ne segue che l'essere
incorporeo non sta in luogo: dalla negazione del fondamento della propriet
segue necessariamente la negazione della propriet stessa. Dunque, chi capisce
i due termini <sostanza incorporea> e <luogo>11(196) non pu rifiutare
l'assenso alla proposizione negativa <la sostanza incorporea non ha luogo>;
perci si tratta di un assioma per s noto ai dotti che ne comprendono gli
estremi.
1.2. I testi sull'inevidenza immediata dell'esistenza di Dio
Il posto privilegiato dove l'assiologia abozzata da Boezio deve essere
adoperata , per san Tommaso, il problema dello statuto epistemologico che
spetta alla proposizione <Deum esse>. In tutti i brani dove il Dottore Comune
affronta questo argomento, si fa un riferimento esplicito al capitolo del De
Hebdomadibus di cui abbiamo analizzato il commentario. Perci, esamineremo
ora in ordine cronologico i testi pi rilevanti a questo riguardo.
1.2.1. Lo Scriptum super Sententias
All'epoca del primo soggiorno d'insegnamento a Parigi, risale lo
Scriptum super Sententias, ch tratta il tema della non-evidenza immediata
dell'esistenza di Dio in modo molto sintetico:
Respondeo, quod de cognitione alicuius rei potest aliquis
dupliciter loqui: aut secundum ipsam rem, aut quoad nos. Loquendo
igitur de Deo secundum seipsum, esse est per se notum, et ipse est per se
intellectus, non per hoc quod faciamus ipsum intelligibile, sicut
materialia facimus intelligibilia in actu. Loquendo autem de Deo per
comparationem ad nos, sic iterum dupliciter potest considerari. Aut
secundum sua similitudinem et participationem; et hoc modo ipsum esse,
est per se notum; nihil enim cognoscitur nisi per veritatem suam, quae est
a Deo exemplata; veritatem autem esse, est per se notum. Aut secundum
suppositum, id est, considerando ipsum Deum, secundum quod est in
natura sua quid incorporeum; et hoc modo non est per se notum; immo
multi inveniuntur negasse Deum esse, sicut omnes philosophi qui non
posuerunt causam agentem, ut Democritus et quidam alii, I Metaphys.,

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lect. 9. Et huius ratio est, quia ea quae per se nobis nota sunt, efficiuntur
nota statim per sensum; sicut visis toto et parte, statim cognoscimus quod
omne totum est maius sua parte sine aliqua inquisitione. Unde
Philosophus, I Posterior.: "Principia congnoscimus dum terminos
cognoscimus". Sed visis sensibilibus, non devenimus in Deum nisi
procedendo, secundum quod ista causata sunt et quod omne agens non
potest esse corpus, et ita in Deum non devenimus nisi arguendo; et
nullum tale est per se notum12(197).
In nuce, troviamo gi in questo testo tutti gli elementi di soluzione del
problema posto, anche se in un modo che ancora non raggiunge la precisione
tecnica dei luoghi ulteriori. Due punti sono particolarmente interessanti per il
presente studio.
Si noter, in primo luogo, che il tema del per s noto concerne
formalmente la conoscenza di una cosa: de cognitione alicuius rei potest
aliquis dupliciter loqui. Ci si troviamo quindi su un piano specificamente
noetico, sebbene esso abbia, ovviamente, un fondamento ontologico.
In secondo luogo, il per s noto viene diviso in noto secondo la cosa
stessa (secundum ipsam rem) e in noto secondo il suo rapporto a noi (per
comparationem ad nos). Il per s noto secondo la cosa riguarda l'intelligibilit
della realt per s stessa, e si d quando essa viene intelletta da s stessa: la
locuzione per s noto si riferisce quindi ad una auto-intelligibilit della cosa,
data concretamente con la sua auto-intellezione. Il per s noto in rapporto a noi
viene pure messo in relazione con il modo in cui accediamo originariamente
all'intelligibilit del reale, cio alla conoscenza sensibile, a partire dalla quale
un enunciato viene detto per s noto qualora la sola astrazione dei termini
richiesta alla sua compensione intellettuale, senza mediazione dimostrativa.
Come si vede, la spiegazione del commento sulle Sentenze affera la
distinzione di due modalit nel per s noto da un punto di vista ancora genetico:
san Tommaso ci spiega come il significato di un enunciato per s noto lo per
l'intelligenza divina, poi per la nostra intelligenza.
1.2.2. Il De Veritate
Nel De Veritate, troveremo uno sviluppo assai pi sistematico, in chiave
anti-anselmiana, della nozione di per s noto, in chiara dipendenza della

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dottrina elaborata nel commentario su Boezio. La disposizione grafica aiuter a


cogliere il movimento del testo:
Est enim dupliciter aliquid per se notum, scilicet secundum se et quoad
nos. Deum igitur esse, secundum se, est per se notum; non autem quoad
nos; et ideo nobis necessarium est, ad hoc cognoscendum,
demonstrationes habere ex effectibus sumptas.
Et hoc quidem sic apparet.
[] Ad hoc enim quod aliquid sit per se notum secundum se, nihil aliud
requiritur nisi ut praedicatum sit de ratione subiecti: tunc enim
subiectum cogitari non potest sine hoc quod praedicatum sibi inesse
appareat;
[] ad hoc autem quod sit per se notum nobis oportet quod nobis sit
cognita ratio subiecti in qua includitur praedicatum.
[] Et inde est quod quaedam per se nota sunt omnibus, quando
scilicet propositiones huiusmodi habent talia subiecta quorum ratio
omnibus nota est, ut omne totum maius est sua parte: quilibet enim
scit quid est totum et quid est pars;
[] quaedam vero sunt per se nota sapientibus tantum qui rationes
terminorum cognoscunt, vulgo eas ignorante.
[] Et secundum hoc Boetius in libro De hebdomadibus dicit quod
"duplex est modus communium conceptionum:
[] una est communis omnibus, ut si ab aequalibus aequalia demas",
etc.
[] "alia quae est doctorum tantum, ut puta incorporalia in loco non
esse, quae non vulgus sed docti comprobant", quia scilicet vulgi
consideratio imaginationem transcendere non potest ut ad rationem
rei incorporalis pertingat.
[] Hoc autem quod est esse, in nullius creaturae ratione perfecte
includitur: cuiuslibet enim creaturae esse est aliud ab eius
quidditate: unde non potest dici de aliqua creatura quod eam ese sit
per se notum et secundum se. Sed in Deo esse suum includitur in
eius quidditatis ratione, ut dicit Boetius et Dionysius, et idem est
an est et quid est, ut dicit Avicenna: et ideo per se et secundum se
est notum.
[] Sed quia quidditas Dei non est nobis nota, ideo quoad nos Deum
esse non est per se notum, sed indiget demonstratione. Sed in
patria, ubi essentiam eius videbimus, multo amplius erit nobis per
se notum Deum esse, quam nunc sit per se notum quod affirmatio
et negatio non sunt simul verae13(198).

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Il segmento del respondeo che abbiamo riportato si articola in due parti,


che si suddividono a loro volta in due sezioni. Nella prima parte, san Tommaso
distingue due sensi nella nozione di per se notum; nella seconda, poi, egli
adopera questa distinzione per risolvere la dodicesima domanda posta all'inizio
della questione, cio utrum Deum esse, per se sit notum menti humanae, sicut
prima principia demonstrationis, quae non possunt cogitari non esse. Tutta
l'esposizione quindi finalizzata a determinare se si pu equiparare, dal punto
di vista epistemologico, l'esistenza di Dio con i primi princpi della
dimostrazione14(199).
Lo studio preliminare del per s noto ne chiarisce molto bene le due
dimensioni: il per se notum secundum se ne dice il momento oggettivo [],
mentre il per se notum quoad nos ne esprime, per l'intelligenza umana, il
momento soggettivo []. Per impostare correttamente l'analisi, utile osservare
che san Tommaso, in tutto il testo citato, usa soltanto una volta il vocabolo
<propositio>, e lo fa parlando del per s noto per noi. A nostro avviso,
questo il segno che la distinzione fra le due istanze del per s noto concerne
primariamente il significato dell'enunciato nella realt, considerato nella sua
intelligibilit in s, poi nella sua intelligibilit per noi, e non un contenuto di
pensiero che sarebbe un tertium quid fra la realt e l'atto con il quale la
esprimiamo.
Spiegando sotto quale condizione il significato di una enunciazione pu,
in primo luogo, essere per se notum secundum se [], san Tommaso riprende
alla lettera la formula che aveva adoperato due volte nel passaggio citato del
commentario sul De Hebdomabidus: ci vuole che il predicato appartenga alla
ratio del soggetto. Si aggiunge poi subito una precisione molto importante: a
causa di questa appartenenza necessaria del predicato al soggetto, qualunque
intelletto che sia in grado di capire il soggetto non pu non vedervi anche il
predicato. Cos, il per se notum secundum se si identifica, nella cosa, con il per
se, e gli aggiunge, quanto alla nozione, l'intelligibilit in s, prescindendo
quindi dall'intelligibilit per la mente umana. Pertanto, ogni il significato di
ogni proposizione per s (in qualunque modo) anche per s noto in s; infatti,
il soggetto implicando necessariamente il predicato in re, ne risulta che la stessa
implicanza deve darsi pure in intellectu : ens et verum convertuntur15(200).
L'altro senso [] del per se notum segue naturalmente dal primo. Il
significato di una enunciazione sar dunque per s noto a noi nella misura in

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cui accediamo al suo soggetto, giacch, per il tramite della sua definizione,
abbiamo pure accesso alle sue note costitutive nonch alla radice delle sue
propriet. Perci, chi pu veramente intus-legere la quiddit del soggetto, ne
legge anche quello che ne possono dire le proposizioni per s del primo e del
quarto modo16(201). A questo punto, ritroviamo senza peculiare difficolt i
due tipi di per se notum quoad nos, a seconda che il soggetto dell'enunciato
intelligibile a tutti [], oppure soltanto ai dotti []. Gli esempi citati per
ciascuno dei due tipi di proposizioni sono addirittura gli stessi che nel
commentario su Boezio.
Nella seconda met del testo, san Tommaso applica le distinzioni che ha
proposte all'enunciato <Deum esse>. Nella creatura, l'atto di essere non mai
un predicato necessario rispetto all'essenza considerata in s, bench,
contrariamente a quanto pensava Avicenna, esso non sia accidentale rispetto
all'ente esistente, alla differenza degli accidenti predicabili17(202). A rovescio,
ed questa una tesi cardinale del tomismo, Dio (e Dio solo) il suo essere per
essenza; perci, la proposizione che afferma l'esistenza di Dio rientra, se la
consideriamo nel suo significato reale, nel primo modo di perseit, ed quindi,
quanto all'intelligibilit, per s nota in s []. Di conseguenza, l'intelletto che
vede la stessa essenza divina, vede ipso facto che essa si identifica con il suo
essere. Invece, nella condizione di viatore, la nostra virt intellettiva non
potendo mai adeguarsi all'intelligibilit della divina essenza, siamo
strutturalmente incapaci di cogliere senza dimostrazione gli attributi che le
appartengono, e quindi pure il suo essere. Cos, la proposizione <Deum esse>
non mai per s nota per noi, n per tutti, nemmeno per i sapienti, ma necessita
sempre una dimostrazione quia a partire dagli effetti della causalit divina,
grazie alla quale l'esistenza di Dio diventa nota per aliud18(203).
Il principale guadagno speculativo di questo articolo del De Veritate
consiste nella distinzione fra il per s noto in s ed il per s noto per noi.
Essendo presupposto che in una enunciazione per s nota, si d un legame
necessario fra il soggetto ed il predicato, questa distinzione equivale a quella
dell'intelligibilit in s, fondata appunto sulla necessit del nesso atttributivo, e
dell'intelligibilit per noi, che dipende dalla nostra capacit di conoscere il
soggetto e, con esso, le sue implicanze.
1.2.2. I testi posteriori al De Veritate
Con il De Veritate, la dottrina di san Tommaso sul per s noto nonch il

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suo impiego nell'analisi epistemologica della proposizione <Dio > ci sembra


fissata definitivamente. Infatti, i testi successivi assumeranno in modo
perfettamente omogeneo la distinzione fondamentale fra le due modalit del per
s noto; pertanto, le novit che si potranno rilevare saranno o sfumature oppure
esplicitazioni.
Nella Summa contra Gentiles, incontriamo una variante terminologica:
Partim vero contingit ex eo quod non distinguitur quod est notum
per se simpliciter, et quod est quoad nos per se notum. Nam simpliciter
quidem Deum esse per se notum: cum hoc ipsum quod Deus est, sit suum
ese. Sed quia hoc ipsum quod Deus est mente concipere non possumus,
remanet ignotum quoad nos. Sicut omne totum sua parte maius esse, per
se notum est simpliciter: ei autem qui rationem totius mente non
conciperet, oporteret esse ignotum19(204).
Simpliciter prende il posto di secundum se, senza cambiarne il
significato, giacch si tratta sempre dell'intelligibilit di un significato
considerato in s stesso, anteriormente al suo rapporto ad un intelletto specifico
(che, nel contesto, sempre quello umano).
Nella Ia pars della Summa theologiae, l'articolo che risponde alla
domanda utrum Deum esse sit per se notum si svolge in maniera pressoch
simmetrica al luogo parallelo del De Veritate:
Respondeo dicendum quod contingit aliquid esse per se notum
dupliciter: uno modo, secundum se et non quoad nos; alio modo,
secundum se et quoad nos.
Ex hoc enim aliqua propositio est per se nota, quod praedicatum
includitur in ratione subiecti, ut homo est animal: nam animal est de
ratione hominis.
Si igitur notum sit omnibus de praedicato et de subiecto quid sit,
propositio illa erit omnibus per se nota: sicut patet in primis
demonstrationum principiis, quorum termini sunt quaedam communia
quae nullus ignorat, ut ens et non ens, totum et pars, et similia.
Si autem apud aliquos notum non sit de praedicato et subiecto quid
sit, propositio quidem quantum in se est, erit per se nota: non tamen apud
illos qui praedicatum et subiectum propositionis ignorant. Et ideo
contingit, ut dicit Boethius in libro De hebdomadibus, quod quaedam
sunt communes animae conceptiones et per se notae, apud sapientes
tantum, ut incorporalia in loco non esse.
Dico ergo quod haec propositio, Deus est, quantum in se est, per se

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nota est: quia praedicatum est idem cum subiecto: Deus enim est suum
esse, ut infra patebit. Sed quia nos non scimus de Deo quid est, non nobis
est nobis per se nota: sed indiget demonstrari per ea quae sunt magis nota
quoad nos, et minus nota quoad naturam, scilicet per effectus20(205).
Il principio di base sempre lo stesso: il significato di un enunciato per
s noto in s stesso qualora il predicato incluso nella ratio del soggetto, il ch
viene illustrato con l'attribuzione a l'uomo del suo genere, quindi con una
proposizione del primo modo, nel quale l'appartenenza del predicato al soggetto
particolarmente lampante.
Rispetto al De Veritate, ci sono due sfumature nell'impostazione della
coppia per s noto in s / per s noto per noi. Una prima differenza si trova
nella definizione del per se notum quoad nos. Qua, si richiede la conoscenza
previa del quid sit del predicato e del soggetto, cio di ambedue gli estremi
della proposizione, mentre il De Veritate metteva in risalto l'assimilazione della
ratio subiecti in qua includitur praedicatum. Lo scarto fra i due testi non
riguarda il risultato, ma piuttosto l'approccio. Se, infatti, si parte dal noto in s
per arrivare al noto per noi, si evidenzier successivamente:
il legame ontologico per cui il significato del soggetto esige in s stesso
quello del predicato;
l'immediatezza conoscitiva che ne risulta, in tal modo che l'intelligenza
che conosce la ratio del soggetto deve vedervi quella del predicato.
In questa chiave, si procede dalla quiddit del soggetto alla percezione
del predicato che ne deriva: questa la presentazione del De Veritate.
Se, invece, si parte, in altro senso, dal noto per noi per scoprire che
anche noto in s, si conoscer allora successivamente:
le due rationes del predicato e del soggetto, la cui comprensione porta
immediatamente ad assentire all'attribuzione che li collega;
l'inclusione del predicato nel soggetto, che l'intelligenza vede
immediatamente per e nell'atto in cui applica il primo al secondo.
In questa ottica, si mostra come l'intelligenza risale dal confronto fra le
due nozioni del predicato e del soggetto alla percezione intuitiva della
necessaria connessione a partire dalla quiddit del soggetto: questo il
percorso suggerito dalla Ia pars.
Questa differenza fra i due testi si risolve quindi nella complementariet
fra il punto di vista del per s noto in s e quello del per s noto per noi. In s,

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la nozione (ratio) del soggetto o si identifica con quella del predicato


(attribuzione della definizione alla specie), o la include (attribuzione del genere
o della differenza alla specie), oppure comunque la richiede (attribuzione della
propriet alla specie o alla differenza, secondo l'esempio boeziano per cui
incorporalia non sunt in loco); pertanto, chi conosce la ratio subiecti capisce
ipso facto tutto ci che le si attribuisce per s. Per noi, diversamente, occorre
piuttosto cominciare dalle due rationes del predicato e del soggetto, cosicch il
nostro intelletto veda in modo noeticamente immediato il loro legame
ontologicamente necessario, riconducendo allora la nozione del predicato a
quella del soggetto come a suo fondamento necessitante.
L'altra sfumatura fra i due testi in causa riguarda il per se notum
secundum se, e procede dallo stesso cambio di prospettiva. Nel De Veritate, il
per s noto in s era definito in s stesso, senza aggiunta, secondo
l'intelligibilit del significato di un enunciato a partire dal suo soggetto; nella
Summa, per contro, il per s noto in s viene definito in opposizione al per s
noto per noi, cio come per s noto in s non per noi. Pertanto, si parte allora
del per s noto per noi non per tutti, nel quale la nozione del soggetto nota
soltanto alla ristretta cerchia dei sapienti; in una seconda tappa, si radicalizza
questo tipo di per s noto, estendendo l'ignoranza del soggetto: nel per s noto
per i sapienti, la nozione del soggetto conosciuta dai pochi, per una ragione
di fatto; nel per s noto in s non per noi, la nozione del soggetto rimane
sconosciuta a tutti, e per una ragione strutturale. Questa approccio non altera
minimamente la definizione della radice comune a tutti i modi considerati, cio
il per s noto, che consiste nell'appartenenza del predicato al soggetto, e che
rimane totalmente identico al con il per s noto in s del De Veritate.
In sintesi, tutti i luoghi posteriori allo Scriptum dove, all'occasione della
discussione sullo statuto epistemologico dell'esistenza di Dio, san Tommaso
adopera ed amplifica la dottrina boeziana del per s noto sono assai omogenei
fra di loro.
2. Chiarimento speculativo
Ci conviene quindi riprendere in un bilancio i dati del nostro inventario,
per risolvere poi le questioni che resteranno aperte.
2.1. Bilancio dell'esegesi testuale

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Iniziamo questa sintesi con un testo pressappoco contemporaneo della


Summa theologiae, che ripropone in modo pi breve tutto quanto abbiamo gi
visto:
Ad undecimum dicendum, quod aliqua propositio est per se nota
de se, quae tamen huic vel illi non est per se nota; quando scilicet
praedicatum est de ratione subiecti, et tamen ratio subiecti est alicui
ignota; sicut si aliquis nesciret quid est totum, non esset ei nota ista
propositio per se, omne totum est maius sua parte ; huiusmodi enim
propositiones fiunt notae cognitis terminis, ut dicitur I Posteriorum.
Haec autem propositio, Deus est, quantum est de se, est per se
nota, quia idem est in subiecto et praedicato; sed quantum ad nos non est
per se nota, quia quid est Deus nescimus: unde apud nos demonstratione
indiget, non autem apud illos qui Dei essentiam vident21(206).
La dottrina esposta riassunta qui ed esposta nell'insieme dei testi che
abbiamo citati apparir ormai abbastanza lineare per chi ha seguito
attentamente il paragrafo presente e quello precedente: il per s noto, infatti,
stato ogni volta, senza soluzione di continuit da un testo all'altro, oggetto di un
presupposto implicito, di una definizione, e di una divisione. Facciamo la
sintesi di queste tre serie di risultati.
a) Il presupposto
La proposizione per s nota deve avere un significato necessario, e
quindi essere per s; pertanto, le enunciazioni del tipo <Socrate bianco> che
vertono su una materia contingente non sono, strettamente parlando, per s
note, sebbene siano immediatamente evidenti ai sensi22(207).
b) La definizione della proposizione per s nota
Sulla base del presupposto, la proposizione per s nota viene definita a
partire da due condizioni. La prima riguarda l'oggetto, ed che il predicato
deve procedere dalla ratio del soggetto, il ch equivale a dire che la
proposizione deve essere per s. Passando dal piano del significato a quello
della sua intelligibilit, deduciamo poi che un enunciato per s noto
immediatamente intelligibile a chi ne coglie perfettamente il soggetto, giacch
vi intuisce allora, con la sua quiddit, tutte le sue implicanze. La seconda
condizione che rende una proposizione per s nota concerne il soggetto
conoscente, il quale deve vedere subito (statim) la connessione fra il soggetto
ed il predicato, senza la mediazione di una terza nozione. Per noi, questa
immediazione si verifica quando siamo in grado di assentire all'enunciazione in

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

seguito alla sola apprensione dei suoi estremi (cognitis terminis). In sintesi, una
proposizione per s nota un enunciato il cui predicato entra nella nozione del
soggetto (de ratione subiecti) e la cui verit viene vista immediatamente grazie
alla conoscenza dei suoi estremi:
principia per se nota sunt illa quae statim, intellectis terminis,
cognoscuntur, ex eo quod praedicatum ponitur in definitione
subiecti23(208).
c) La divisione della proposizione per s nota
La connessione necessaria fra il predicato ed il soggetto sufficiente,
come abbiamo visto nel De Veritate, affinch una proposizione sia per s nota
in s: l'intelligibilit del significato complesso si fonda infatti soltanto su quella
delle sue componenti, ed, in ultima analisi, su quella del soggetto. Per essere
inoltre nota per noi, la proposizione per s nota deve quindi avere degli estremi
che cadano nell'ambito della nostra facolt intellettiva. In funzione di questo
criterio, possiamo distinguere le proposizioni per s note in proposizioni per s
note a tutti, ad alcuni, oppure a nessuno, a seconda che il soggetto ed il
predicato siano noti a tutti, ad alcuni, oppure a nessuno (nello statuto della vita
presente).
Questo bilancio lascia ancora irresoluto un quesito capitale per una
definizione precisa del per s noto: quando si dice che il predicato della
proposizione per s nota deve appartenere alla nozione del soggetto
(praedicatum est de ratione subiecti), quale modo di perseit viene allora
inteso?
2.2. La perseit del per s noto
In tutti i luoghi che abbiamo citati in questo 4, san Tommaso ha
caratterizzato la proposizione per s nota con l'appartenenza del predicato alla
ratio24(209) o alla definitio25(210) del soggetto. Egli fa lo stesso anche fuori il
contesto della proposizione <Dio >:
Secundum se quidem quaelibet propositio dicitur per se nota, cuius
praedicatum est de ratione subiecti: contingit tamen quod ignoranti
definitionem subiecti, talis propositio non erit per se nota26(211).
Quod autem huiusmodi principia communia pertineant ad
considerationem primae philosophiae, huius ratio est quia cum omnes
primae propositiones per se sint, quorum praedicata sunt de ratione
subiectorum; ad hoc quod sint per se notae quantum ad omnes, oportet

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

quod subiecta et praedicata sint nota omnibus27(212).


Ad huius autem divisionis intellectum sciendum est quod quaelibet
propositio, cuius praedicatum est in ratione subiecti, est immediata et per
se nota, quantum est in se28(213).
Scito enim quid est totum et quid est pars, cognoscitur quod omne
totum est maius sua parte: quia in talibus propositionibus, ut supra
dictum est praedicatum est de ratione subiecti29(214).
Dunque: de ratione subiecti, o addirittura in ratione subiecti. Il lettore
pu essere facilmente indotto a capire questa inclusione del predicato nella
nozione o nella definizione del soggetto secondo il primo modo di perseit.
Questa impressione viene rafforzata dal seguente passo del commentario sulla
Metafisica :
Ad huius autem evidentiam sciendum, quod propositiones per se
notae sunt, quae statim notis terminis cognoscuntur, ut dicitur primo
Posteriorum. Hoc autem contingit in illis propositionibus, in quibus
praedicatum ponitur in definitione subiecti, vel praedicatum est idem
subiecto30(215).
Il predicato viene posto nella definizione del soggetto quando ne una
nota definitoria (i generi supremi, intermedi, prossimo, nonch la differenza
specifica), e il predicato si identifica con il soggetto o quando si attribuisce lo
stesso allo stesso, oppure quando si attribuisce ad un definito la sua definizione
completa. Siamo allora costretti a concludere, per via esegetica, che le
proposizioni per s note sono attribuzioni per s del primo modo?
In realt, questo non pu essere, per una ragione che ora spieghiamo. Un
testo del commentario sugli Analitici Secondi, in primo luogo, risponde in
modo diretto alla nostra domanda:
Et patet ex praemissis quod, sicut sunt quaedam principia
indemonstrabilia affirmativa in quibus unum de alio praedicatur
significando quod hoc essentialiter est illud, sicut cum genus praedicatur
de proxima specie, vel hoc sit in illo, sicut cum passio praedicatur de
primo et immediato subiecto, ita etiam sunt principia indemonstrabilia in
negativis, negando vel essentiale praedicatum vel etiam propriam
passionem31(216).
San Tommaso afferma qui, con la massima chiarezza, che i princpi
indimostrabili, quindi le proposizioni per s note, sono o enunciazioni

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

essenziali secondo il primo modo di perseit, come l'attribuzione del genere alla
specie, oppure enunciazioni che rientrano nel secondo modo di perseit, come
l'attribuzione della passione al suo soggetto. Con questa ultima tesi, abbiamo
pure la spiegazione della formula in ratione subiecti: essa non designa sempre
un rapporto di inclusione formale, ma pu significare pure un rapporto di
inerenza materiale, come conviene proprio alla nozione della propriet che
sta in quella del soggetto. Il testo ci dice esplicitamente, inoltre, che il
predicato deve appartenere in modo noeticamente immediato al suo soggetto: il
genere deve essere attribuito alla sua specie immediatamente consecutiva, e la
passione al suo soggetto proprio e immediato. Implicitamente, poi, ne possiamo
dedurre che, se si danno proposizioni per se note nel secondo modo di perseit,
ce ne sono altrettante nel quarto modo, giacch ci che si dice nel secondo
modo in quanto inerisce nel soggetto, si dice pure nel quarto modo in quanto
procede causalmente dal soggetto32(217).
Questa conclusione si rivela coerente con tutta la teoria tommasiana della
dimostrazione. Se, infatti, le due premesse immediate in cui si risolve
ultimamente un sillogismo scientifico, fossero sempre e necessariamente per s
nel primo modo, la conclusione sarebbe obbligatoriamente del primo modo,
poich l'intero discorso si muoverebbe dentro le note costitutive del soggetto.
Ad esempio, ponendo che <la giustizia una virt morale> e che <la virt
morale un abito>, si conclude che <la giustizia un abito>, risalendo al
genere supremo attraverso il genere prossimo del soggetto su cui verte la
conclusione.
Ora, abbiamo visto nel 3 che una dimostrazione propriamente
scientifica conclude ad una propriet del soggetto, quindi nel secondo modo,
grazie ad una premessa minore che esplicita la definizione del soggetto, e sta
quindi nel primo modo, ed a una premessa maggiore che ricollega la propriet
alla definizione come alla sua propria causa, per una attribuzione del quarto
modo. Perci, necessario, in un sillogismo dimostrativo del genere, che una
delle premesse non sia per s nel primo modo, ma che essa sia, allo stesso
tempo, per s nota. Di conseguenza, ci debbono essere proposizioni per s note
a noi che rientrino nel quarto modo di perseit, e quindi pure, per la ragione
appena detta, nel secondo modo.
interessante notare che il problema che abbiamo sollevato e risolto non
rimasto sconosciuto nella storia del tomismo. Il Gaetano, in particolare, ne
tratta espressamente. Commentando la seconda questione della Ia pars, dove

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

l'Aquinate descrive il per s noto dicendo che ex hoc enim aliqua propositio
est per se nota, quod praedicatum includitur in ratione subiecti, egli spiega
sottilmente:
Circa hanc partem, sunt multa dubia et argumenta Scoti, Aureoli et
Gregorii: sed quoniam haec ad librum Posteriorum spectant, ubi in capite
iii diffuse hanc materiam tractavi, idcirco, absque eorum repetitione,
videndae sunt ibi solutiones argumentorum, cum toto processu. - Id
tantum hic notato, quod in littera non definitur propositio per se nota,
dicendo quod est cuius praedicatum ponitur in definitione subiecti: sed
ponitur causalis, scilicet ex hoc quod praedicatum ponitur in ratione
subiecti, fit propositio per se nota; quae est convertens respectu illius. Et
hoc ideo dico, quia bene verum est apud s. Thomam, quod omnis
propositio cuius praedicatum cadit in ratione subiecti est per se nota, sed
non e converso: quoniam cum unum generalissimum negatur de alio, et
cum prima passio negatur de primo subiecto, fiunt propositiones
immediatae secundum se, et consequenter secundum se per se notae. Si
tamen alicubi sic definita reperitur, glossetur ly esse in ratione subiecti
formaliter, vel virtualiter proxime. Non tamen extendatur talis locutio,
quia minus propria est33(218).
Per il Gaetano, la clausola <praedicatum includitur in ratione subiecti> si
deve originariamente intendere strettamente secondo il primo modo di perseit.
Per non ridurre poi il per s noto al solo primo di perseit, egli propone di
leggere il testo tommasiano in modo causale, e non definitorio; quindi, non si
deve capire che la proposizione per s nota tale che il suo predicato incluso
nella ratio del soggetto, ma, a rovescio, che se il predicato della proposizione
incluso nella ratio del soggetto, allora la proposizione per se nota. Cos,
tutte le proposizioni del primo modo sono per se note, ma non tutte le
proposizioni per s note sono del primo modo. Noi condividiamo quest'ultima
conclusione, ma, tuttavia, non ci sembra necessario dire che le formule del tipo
<praedicatum est de ratione subiecti> implicano obbligatoriamente il primo
modo di perseit. Lo stesso Gaetano lo riconosce poi al fine del suo commento,
precisando che il modo in cui un predicato in ratione subiecti pu intendersi
anche virtualiter proxime, quindi non solo in quanto esso fa parte della
definizione del soggetto, ma pure quando esso dipende virtualmente dalla
definizione, come appunto il caso delle propriet.
2.3. Proposizione per s nota e abito dei primi princpi

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Tutte le ricerche che abbiamo condotte finora sono finalizzate a definire


con la massima precisione possibile il o ossia l'abito dei primi princpi
dell'intelletto. In questo paragrafo, abbiamo raccolto gli elementi necessari per
esplicitare la differenza specifica di tale abito, che viene infatti data dal per s
noto. Perci possiamo porre che l'oggetto formale specifico dello habitus
principiorum consiste negli enunciati che sono per s noti per noi. Questo
implica, da parte del loro significato, che il predicato venga attribuito per s al
soggetto, nel primo, nel secondo o nel quarto modo di perseit. Da parte della
mente, inoltre, l'assenso deve venire dato subito alla proposizione, sulla base
della sola conoscenza previa del soggetto e del predicato.
A queste condizioni, una proposizione quindi immediata, nel senso che
non dipende, n in s, n per noi, da proposizioni anteriori, e costituisce
pertanto un principio di dimostrazione, primo ed indimostrabile.

5 Come i primi princpi vengono divisi in princpi comuni ed in


princpi propri ?
Abbiamo visto nel paragrafo precedente che la differenza specifica
dell'abito dei princpi, ossia il per s noto, concerne formalmente l'intelligibilit
di quello che nel nostro modo di conoscere si presenta in una enunciazione.
Sotto questo punto di vista, abbiamo pure spiegato che il per s noto si pu
dividere in per s noto in s ed in per s noto per noi, il quale viene poi
ulteriormente suddiviso in per s noto a tutti ed in per s noto ai dotti. da
quest'ultima distinzione che dobbiamo partire per capire quali sono le due
grandi classi nelle quali si distribuiscono i primi princpi.
Ricordiamo che la radice dell'opposizione fra le due modalit del per s
noto a noi si trova esclusivamente nell'apprensione degli estremi dai quali
risulta la proposizione. Negli Analitici Secondi, Aristotele aveva distinto i
princpi immediati del sillogismo in assiomi (a)cw//mata) e tesi
(qe/seij)1(219), espressioni che Boezio aveva tradotte rispettivamente con
dignitates e positiones. Commentando questa distinzione, san Tommaso la
fonda nei due tipi di per s noto per noi:
Ad huius autem divisionis intellectum sciendum est quod quaelibet
propositio, cuius praedicatum est in ratione subiecti, est immediata et per
se nota, quantum est in se.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Sed quarundam propositionum termini sunt tales, quod sunt in


notitia omnium, sicut ens, et unum, et alia quae sunt entis, in quantum
ens: nam ens est prima conceptio intellectus. Unde oportet quod tales
propositiones non solum in se, sed etiam quoad omnes, quasi per se notae
habeantur. Sicut quod, non contingit idem esse et non esse; et quod,
totum sit maius sua parte: et similia. Unde et huiusmodi principia omnes
scientiae accipiunt a metaphysica, cuius est considerare ens simpliciter et
ea, quae sunt entis.
Quaedam vero propositiones sunt immediatae, quarum termini non
sunt apud omnes noti. Unde, licet praedicatum sit de ratione subiecti,
tamen quia definitio subiecti non est omnibus nota, non est necessarium
quod tales propositiones ab omnibus concedantur. Sicut haec propositio:
Omnes recti anguli sunt aequales, quantum est in se, est per se nota sive
immediata, quia aequalitas cadit in definitione anguli recti. Angulus enim
rectus est, quem facit linea recta super aliam rectam cadens, ita quod ex
utraque parte anguli reddantur aequales. Et ideo, cum quodam positione
recipiuntur huiusmodi principia2(220).
In questa analisi, si fonda la distinzione fra i due tipi di princpi
immediati nella distanza fra la ratio entis e le nozioni incluse negli enunciati
per s noti. Se la proposizione in causa verte sull'ente oppure su una nozione
vicina all'ente, allora essa sar nota a tutti, giacch tali nozioni sono note a tutti.
Si noti che l'Aquinate annumera di nuovo il principio per cui <il tutto pi
grande della parte> fra i princpi noti a tutti, il che implica dunque che le
nozioni di <tutto> e di <parte> siano vicine a quella di ente. Questi princpi
noti a tutti sono comuni a tutte le scienze, allo stesso modo in cui le nozioni che
loro integrano si ricollegano all'ente comune. Cos il principio di
non-contraddizione (non contingit idem esse et non esse) ed altri simili
vengono adoperati, in un modo che rimane da precisare, in tutte le discipline.
Perci, il loro studio non spetta a queste singole discipline, ma alla stessa di
quella che ha l'ente per soggetto, cio alla metafisica3(221).
Se invece una proposizione, che in s per s nota, ha per soggetto una
nozione come quella di <angolo retto>, allora essa non sar per s nota a tutti,
perch le nozioni del genere, essendo pi remote dalla ratio entis, non cadono
comunemente nell'apprensione di tutti. I princpi che risultano da tali nozioni
sono propri ad una determinata scienza, o addirittura ad un suo settore, come lo
sono le nozioni stesse. Cos la tesi per cui omnes anguli recti sunt aequales
appartiene specificamente alla geometria (euclidiana), come la nozione stessa

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

di angolo retto. Pertanto, questi princpi vengono tematizzati dalle singole


scienze che ne trattano.
A partire di quanto abbiamo appena abbozzato, occorre approfondire la
differenza fra gli assiomi e le tesi in una duplice chiave. Dobbiamo, in primo
luogo, spiegare in che cosa consiste la vicinanza e la lontananza rispetto all'ente
delle nozioni in causa nelle enunciazioni per s note, e quindi degli stessi
princpi che ne derivano. In un secondo luogo, dobbiamo poi mostrare come i
princpi comuni e propri si differenziano rispetto alla dimostrazione.
1. La distinzione dei princpi e la ratio entis
Un celebre testo della Ia-IIae ci aiuter a collegare la problematica dei
primi princpi con quella della prima nozione:
Et inde est quod, sicut dicit Boethius, il libro De hebdomad.,
quaedam sunt dignitates vel propositiones per se notae communiter
omnibus: et huiusmodi sunt illae propositiones quarum termini sunt
omnibus noti, ut Omne totum est maius sua parte, et, Quae uni et eidem
sunt aequalia, sibi invicem sunt aequalia. Quaedam vero propositiones
sunt per se notae solis sapientibus, qui terminos propositionum
intelligunt quid significent: sicut intelligenti quod angelus non est
corpus, per se notum est quod non est circumscriptive in loco, quod non
est manifestum rudibus, qui hoc non capiunt.
In his autem quae in apprehensione omnium cadunt, quidam ordo
invenitur. Nam illud quod primo cadit in apprehensione, est ens, cuius
intellectus includitur in omnibus quaecumque quis apprehendit. Et ideo
primum principium indemonstrabile est quod non est simul affirmare et
negare, quod fundatur supra rationem entis et non entis: et super hoc
principio omnia alia fundantur, ut dicitur in IV Metaphys.4(222).
Si comincia quindi ricordando tutto quanto abbiamo gi studiato nel
paragrafo precedente sui due tipi di proposizioni per s note a noi. Sapendo che
un enunciato per s noto nella misura in cui lo sono i termini che esso collega
fra di loro, san Tommaso ne deduce che il primo prinicipio sar quello che
scaturisce dalle due prime nozioni; ora, queste essendo quelle di ente e di
non-ente, ne risulta che il principio di non-contraddizione, che poggia
direttamente su di loro, il primo principio.
Questo primato sar, coerentemente, dello stesso ordine della nozione di

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

ente sul quale riposa il principio; ora la nozione di ente non soltanto
cronologicamente prima, in quanto sta all'inizio della vita intellettuale, ma
anche noeticamente prima, in quanto tutte le altre nozioni derivano da essa e vi
sono incluse5(223); parimenti, dunque, il principio di non-contraddizione non
soltanto cronologicamente primo, ma lo anche criticamente, perch tutti gli
altri princpi si fondano su di esso. Infatti, in ogni atto giudicativo si pone ci
che si pone oppure si nega ci che si nega, e perci, al contempo, si esclude che
la contraddittoria possa essere vera; perci, il principio di non-contraddizione
presente, in actu exercito, in ogni giudizio. Si d, quindi, un parallelismo fra la
prima nozione ed il primo principio, che sono sempre presenti, rispettivamente,
nella prima e nella seconda operazione:
Ad huius autem evidentiam sciendum est, quod, cum duplex sit
operatio intellectus: una, qua cognoscit quod quid est, quae vocatur
indivisibilium intelligentia: alia, qua componit et dividit: in utroque est
aliquod primum: in prima quidem operatione est aliquod primum, quod
cadit in conceptione intellectus, scilicet hoc quod dico ens; nec aliquid
hac operatione potest mente concipi, nisi intelligatur ens. Et quia hoc
principium, impossibile est esse et non esse simul, dependent ex
intellectu entis, sicut hoc principium, omne totum est maius sua parte, ex
intellectu totius et partis: ideo hoc etiam principium est naturaliter
primum in secunda operatione intellectus, scilicet componentis et
dividentis. Nec aliquis potest secundum hanc operationem intellectus
aliquid intelligere, nisi hoc principio intellecto. Sicut enim totum et
partes non intelliguntur nisi intellecto ente, ita nec hoc principium omne
totum est maius sua parte, nisi intellecto praedicto principio
firmissimo6(224).
Torneremo nel 7 sulla natura e la funzione del primo principio in
quanto precisamente primo. Per il momento, dobbiamo esaminare come le
nozioni che l'intelletto nostro pu apprendere si differenziano dalla ratio entis,
in modo di capire come si differenziano pure i primi princpi in comuni e
propri. Esamineremo, in un primo momento, alcuni testi che spianeranno la via,
poi, in un secondo momento, risolveremo il problema in modo speculativo.
1.1. Alcuni testi sui princpi e la ratio entis
Le nozioni pi vicine all'ente sono i trascendentali:
Primum enim quod cadit in imaginatione intellectus, est ens, sine
quod nihil potest apprehendi ab intellectu; sicut primum quod cadit in

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

credulitate intellectus, sunt dignitates, et praecipue ista, contradictoria


non esse simul vera: unde omnia alia includuntur quodammodo in ente
unite et indistincte7(225), sicut in principio; ex quo etiam habet quandam
decentiam ut si propriissimum divinum nomen. Alia vero quae diximus,
scilicet bonum, verum et unum, addunt super ens, non quidem naturam
aliquam, sed rationem: sed unum addit rationem indivisionis; et propter
hoc est propinquissimum ad ens, quia addit tantum negationem: verum
autem et bonum addunt relationem quandam; sed bonum relationem ad
finem, verum relationem ad formam exemplarem; ex hoc enim
unumquodque verum dicitur quod imitatur exemplar divinum, vel
relationem ad virtutem cognoscitivam; dicimus enim verum aurum esse,
ex eo quod habet formam auri quam demonstrat, et sic fit verum iudicium
de ipso8(226).
Per passare dall'ente alle sue quasi propriet trascendentali, occorre,
come risaputo, aggiungere (addere) all'ente una negazione oppure una
relazione de ragione, all'esclusione di ogni realt (non quidem naturam
aliquam, sed rationem). Con l'ente, san Tommaso mette in correlazione, come
sempre, il principio di non-contraddizione; per i trascendentali, invece, egli non
fornisce alcun esempio di principio corrispondente; ma facile porre che <ogni
ente quodammodo uno, vero, buono, ecc.>. Questo testo rimane nella sfera
delle nozioni le pi vicine all'ente, per cui possiamo anche dire che <ogni uno,
vero, buono, ecc., quodammodo ente>, giacch i trascendentali sono
convertibili con l'ente.
Un brano delle Quaestiones quodlibetales avvia la discesa verso le
nozioni categoriali, mettendola in parallelo con i primi princpi:
Nam intellectus humanus natus est rerum quidditatem
comprenhendere; in quibus cognoscendis naturaliter procedit sicut in
cognoscendis conclusionibus complexis.
Insunt enim nobis naturaliter quaedam principia prima complexa
omnibus nota, ex quibus ratio procedit ad cognoscendum in actu
conclusiones quae in praedictis principiis potentialiter continentur, sive
per inventionem propriam, sive per doctrinam alienam, sive per
revelationem divinam; in quibus omnibus modis cognoscendis homo
invatur ex principiis naturaliter cognitis [...].
Et similiter in intellectu insunt nobis etiam naturaliter quaedam
conceptiones omnibus notae, ut entis, unius, boni, et huiusmodi, a quibus
eodem modo procedit intellectus ad cognoscendum quidditatem

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

uniuscuiusque rei, per quem procedit a principiis per se notis ad


cognoscendas conclusiones; et hoc vel per ea quae quis sensu percipit,
sicut cum per sensibiles proprietates alicuius rei concipio illius rei
quidditatem; vel per ea quae ab aliis quis audit, ut cum laicus qui nescit
quid sit musica, cum audit aliquam artem esse per quam discit canere vel
psallere, concipit quidditatem musicae, cum ipse praesciat quid sit ars, et
quid sit canere; aut etiam per ea quae ex revelatione habentur, ut est in
his quae fidei insunt9(227).
L'argomentazione evidenzia la seguente analogia di proporzionalit
propria: i primi princpi noti a tutti sono alle conclusioni, nell'ordine della
seconda operazione della mente, ci che le prime nozioni, esemplificate con dei
trascendentali, sono alle specifiche quiddit delle cose, nell'ordine della prima
operazione della mente. Si aggiunge che procediamo, poi da quest'ultime,
illustrate dai princpi comuni, alla scoperta delle conclusioni.
Esplicitiamo questi due asserti. Nella linea della prima operazione, le
quiddit specifiche appariscono come delle concrezioni delle prime nozioni, e,
quindi, in primo luogo, della nozione di ente. Cos la nozione di <musica> si
pu definire (per un medievale) come <l'arte di cantare o di
salmodiare>10(228), combinando quindi una qualit - abito, l'arte, con una
azione, il cantare; ora la qualit e l'azione sono delle categorie. Ne deduciamo
che ci saranno tre livelli di nozioni noeticamente posteriori all'ente: i
trascendentali, le categorie o predicamenti e la seria dei generi intermedi, le
specie ultime, bench san Tommaso non si fermi, qua, sulle categorie.
Nella linea della seconda operazione, questa delimitazione delle
quiddit specifiche per concrezione dell'ente che rende fecondi i primi princpi
fondati sulle nozioni vicine all'ente. Cos, applicando un principio comune ad
un dato specifico espresso nella definizione di una quiddit, si potr inferire
delle conclusioni nuove. Ma si danno anche princpi per s noti sulla base delle
quiddit specifiche:
sic dicitur proprie intelligere cum apprehendimus quidditatem
rerum, vel cum intelligimus illa quae statim nota sunt intellectui notis
rerum quidditatibus, sicut sunt prima principia, quae cognoscimus cum
terminos cognoscimus; unde et intellectus habitus principiorum
dicitur11(229).
L'uso del termine quidditas suggerisce infatti, questa volta, i princpi

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

propri di una determinata cosa, fondati sulle specie, e non su nozioni


trascendentali.
Alla luce dei testi che abbiamo appena citati, si sta delineando un
parallelismo ancora imperfetto, ma rigoroso fra l'ordine delle nozioni e l'ordine
dei princpi, cio delle proposizioni per s note:
nozioni
ente
trascendentali
predicamenti
specie ultime

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princpi
principio di non contraddizione
princpi comuni
princpi meno comuni
princpi propri
1.2. Soluzione speculativa del problema
Dobbiamo ora completare il precedente schema, e sopratutto giustificarlo
teoreticamente. A questo fine, conviene prima determinare, nell'ordine della
prima operazione della mente, in che cosa consiste l'addizione (additio) che
si oppone alla risoluzione (resolutio), e in cui consiste il passaggio dall'ente
ai trascendentali, poi alle categorie12(230). In un secondo momento, si
fondamenter nei diversi gradi di partecipazione all'ente i diversi tipi di primi
princpi.
1.2.1. I diversi tipi di additio all'ente
La nozione di additio viene spiegata in dettaglio nel De Veritate,
nell'articolo in cui san Tommaso si chiede se il bene aggiunge qualcosa
all'ente:
Dicendum, quod tripliciter potest aliquid super alterum addere.
[1] Uno modo quod addat aliquam rem quae sit extra essentiam illius rei
cui dicitur addi; sicut album addit super corpus, quia essentia
albedinis est praeter essentiam corporis.
[2] Alio modo dicitur aliquid addi super alterum per modum contrahendi
et determinandi; sicut homo addit aliquid super animal: non quidem
ita quod sit in homine alia res quae sit penitus extra essentiam
animalis, alias oporteret dicere, quod non totum quod est homo esset
animal, sed animal esset pars hominis; sed animal per hominem
contrahitur, quia id quod determinate et actualiter continetur in
ratione hominis, implicite et quasi potentialiter continetur in ratione
animalis. Sicut est de ratione hominis quod habeat animam
rationalem, et de ratione animalis est quod habeat animam, non
determinando ad rationalem vel non rationalem; ista tamen
determinatio ratione cuiuis homo super animal addere dicitur, in
aliqua re fundatur.
[3] Tertio modo dicitur aliquid addere super alterum secundum rationem

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

tantum; quando scilicet aliquid est de ratione unius quod non est de
ratione alterius: quod tamen nihil est in rerum natura, sed in ratione
tantum, sive per illud contrahatur id cui dicitur addi, sive non.
Caecum enim addit aliquid supra hominem, scilicet caecitatem, quae
non est aliquod ens in natura, sed rationis tantum, secundum quod est
est comprehendens privationes; et per hoc homo contrahitur, non
enim omnis homo caecus est; sed cum dicimus talpam caecam, non fit
per hoc additum aliqua contractio.
[1] Non autem potest esse quod super ens universale aliquid addat
aliquid primo modo, quamvis illo modo posit fieri aliqua additio
super aliquod ens particulare; nulla enim res naturae est quae sit extra
essentiam entis universalis, quamvis aliqua res sit extra essentiam
huius entis.
[2] Secundo autem modo inveniuntur aliqua addere super ens, quia ens
contrahitur per decem genera, quorum unumquoque addit aliquid
super ens; non aliquod accidens, vel aliquam differentiam quae sit
extra essentiam entis, sed determinatum modum essendi, qui fundatur
in ipsa essentia rei. Sic autem bonum non addit aliquid super ens: cum
bonum dividatur aequaliter in decem genera, ut ens, ut patet in I
Ethicor.: et ideo oportet quod vel nihil addat super ens, vel si addat,
quod sit in ratione tantum.
[3] Si enim adderetur aliquid reale, oporteret quod per rationem boni
contraheretur ens ad alilquod speciale genus. Cum autem ens sit id
quod primo cadit in conceptione mentis, ut dicit Avicenna, oportet
quod omne illud nomen vel sit synonymum enti: quod de bono dici
non potest, cum non nugatorie dicatur ens bonum; vel addat aliquid
ad minus secundum rationem; et sic oporet quod bonum, ex quo non
contrahit ens, addat aliquid super ens, quod sit rationis tantum. Id
autem quod est rationis tantum, non potest esse nisi duplex. Omnis
enim positio absoluta aliquid in rerum natura existens significat. Sic
ergo supra ens, quod est prima conceptio intellectus, unum addit id
quod est rationis tantum, scilicet negationem: dicitur enim unum quasi
ens indivisum. Sed verum et bonum positive dicuntur; unde non
possunt addere nisi relationem quae sit rationis tantum13(231).
Possiamo tralasciare, al seguito dello stesso Aquinate, l'addizione che
aggiunge una realt ad un altra [1], giacch nulla si pu aggiungere in questo
modo all'ente, per la ragione detta: niente pu essere fuori dell'essenza dell'ente
universale14(232). Rimangono due tipi fondamentali di addizione: uno che

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

avviene per via di contrazione e determinazione (per modum contrahendi et


determinandi) [2], sul modello della specificazione della nozione di animale in
quella di uomo, ed un'altro che avviene invece soltanto secondo la ragione
(secundum rationem tantum) [3], sul modello della cecit che caratterizza o
l'uomo cieco oppure la talpa. Analizziamo successivamente queste due
modalit dell'addizione concettuale, cominciando dall'ultima, perch il suo
risultato il pi vicino alla stessa ratio entis.
L'addizione che arrichisce una nozione solo secondo la ragione [3] si
trova interamente dalla parte della ragione umana che pensa un oggetto, e non
dalla parte di questo oggetto stesso; in altre parole, l'aggiunta si fa nel
pensiero della realt, ma non nella realt stessa (quod tamen nihil est in rerum
natura, sed in ratione tantum). Consideriamo successivamente questi due punti
di vista. Nella cosa pensata, non si d differenza alcuna fra ci a cui rimanda il
concetto originario e ci a cui rimanda invece il concetto al quale stato
aggiunto una negazione oppure una relazione di ragione15(233). Quindi, per
quanto riguarda il significato reale delle due nozioni, l'addizione in causa non
muta nulla. Cos, ad esempio, la realt dell'ente universale e quella del bene
universale o del vero universale sono strettamente identiche16(234). Cos
anche la realt di tale ente particolare e quella del bene particolare costituito da
tale realt sono pure strettamente identiche; sebbene infatti ci che ente
simpliciter sia buono solo secundum quid, e vice-versa, tuttavia tutto ci che
buono in proporzione di ci che e nella misura in cui 17(235).
Se si considera non pi il significato dei diversi trascendentali in re,
bens l'analisi delle loro diverse rationes, allora una nozione differisce dall'altra
secondo l'implicito e l'esplicito, il grado di attualit reale rimanendo per lo
stesso. Sotto questo punto di vista, la nozione di bene esplicita qualcosa, cio
l'appetibilit, che la nozione di ente contiene, ma non esplicita. Vale a dire che
la nozione di bene contiene quella di ente e vi aggiunge quella di ordine
all'appetito, mentre la nozione di ente non esprime questo ordine, sebbene lo
contiene quanto al suo significato reale. Ne va cos di tutti i
trascendentali18(236), per la chiarificazione dei quali rimandiamo al ben noto
primo articolo del De Veritate.
Avendo spiegato come si passa dall'ente ai trascendentali, sul duplice
livello del significato reale e dell'addizione nozionale, dobbiamo ora esaminare
come, analogicamente, si varca la frontiera che collega l'ente ai predicamenti.
Nel testo citato, san Tommaso caratterizza questo passaggio come contrazione

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

e determinazione, e lo esemplifica, nella prima parte del suo respondeo con la


specificazione del genere <animale> in <uomo>. In questi casi, l'addizione
delle sue parti soggettive ad un genere univoco consiste nell'attuazione di ci
che era soltanto in potenza, cosicch la specie possieda determinate et actualiter
ci che il genere aveva solo implicite et quasi potentialiter. Perci, la differenza
si aggiunge al genere come qualcosa che il genere non , ma al quale esso in
potenza, come, ad esempio, la razionalit attua il genere <animale> come
qualcosa che l'animale non ha, ma pu avere; in tal modo, la differenza s
esteriore al genere, in quanto esso in s indeterminato a tale o tale differenza,
tuttavia l'addizione non si fa in modo modo totalmente esteriore (non penitus
extra essentiam generis), giacch il genere che indeterminato in rapporto alle
differenze tuttavia in potenza ad esse19(237). L'addizione della differenza
avviene quindi sul piano nozionale, determinando e delimitando (per modum
contrahendi) il genere; ma, siccome ci a cui il genere e la specie rimanda nella
realt non lo stesso, poich il genere designa un tutto indeterminato e quindi
determinabile, mentre la specie designa un tutto pienamente determinato, la
specificazione del genere per la differenza coinvolge anche il piano della cosa,
oltre quello della nozione, in contrasto con quanto succedeva nell'ordine dei
trascendentali. Infatti, ad esempio, la nozione di <uomo> non solo esprime
qualcosa che <animale> non esprimeva, ma, in pi, il significato in re di
<uomo> realmente diverso da quello di <animale>, come un tutto determinato
diverso da un tutto determinabile: mentre <animale> significa un vivente
capace di sentire e di muoversi, senza precisare se questo vivente razionale o
no, la nozione di <uomo>, invece, significa questo vivente sensitivo e mobile
determinatamente ed esclusivamente come razionale20(238).
La contrazione dell'ente nelle dieci categorie presenta somiglianze e
dissomiglianze con quella del genere univoco nelle sue specie. Il testo che
stiamo commentando punta sulle similitudini, che sono due. La pi ovvia che
l'addizione per cui si passa dall'ente al predicamento comporta un esplicitazione
sul livello della ratio, giacch, ad esempio, la nozione di ente non esprime lo
stesso delle nozioni di sostanza (predicamentale), di qualit o di relazione: ci
che viene detto soltanto comunemente nella nozione di ente, viene dichiarato
espressamente nelle categorie.
Ma che cosa accade sul livello della res significata? Fra un genere
univoco e la specie immediatamente inferiore, si d un rapporto di contrazione,
per limitazione dell'estensione e arrichimento della comprensione. Nel rapporto
fra l'ente e la categoria, si d pure una contrazione per restrizione della

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

denotazione: cos la nozione di sostanza predicamentale ha una estensione


minore rispetto alla nozione di ente. Per quanto riguarda invece la
comprensione, non si d nessuna aggiunta che consisterebbe in una
determinazione dell'ente estranea all'ente, il ch impossibile:
Sciendum est enim quod ens non potest hoc modo contrahi ad
aliquid determinatum, sicut genus contrahitur ad species per differentias.
Nam differentia, cum non participet genus, est extra essentiam generis.
Nihil autem posset esse extra essentiam entis, quod per additionem ad
ens aliquam speciem entis constituat: nam quod est extra ens, nihil, est,
et differentia esse non potest21(239).
Di conseguenza l'addizione di una categoria all'ente comune non vi
aggiunge qualcosa che l'ente comune non avrebbe, ma soltanto esplicita una
modalit che la nozione di ente lascia implicita. La contrazione non comporta
quindi, in questo caso, un arrichimento, giacch tutto ci che la categoria
esprime gi contenuto virtualmente nella nozione di ente. Rimane invece una
esclusione implicita: passando dalla nozione di ente a quelle di sostanza o di
qualit, l'intelligenza concentra la sua attenzione su una modalit categoriale
dell'ente, ed esclude le altre, salvo tuttavia l'ordine degli accidenti alla
sostanza22(240). Se, infatti, l'ente comprende tutte le categorie, una
determinata categoria, invece, limitata a ci che comprende la sua
descrizione. Ne risulta che la seconda somiglianza fra il rapporto del genere
alla specie e quello dell'ente alla categoria si limita alla restrizione della
denotazione nonch all'esclusione degli altri significati non sostanziali.
Per quanto riguarda invece l'aspetto positivo dell'addizione, sempre
considerata dalla parte della realt, i due rapporti sono diversi. In effetti,
l'addizione della differenza specifica al genere univoco aggiunge qualcosa alla
realt significata, allorch l'addizione di un predicamento all'ente non gli
aggiunge niente che esso non contenga gi in modo virtuale23(241). Perci,
l'addizione categoriale all'ente soltanto, dalla parte del significato reale
dell'ente universale, un passaggio dall'implicito all'esplicito.
Esemplifichiamo il nostro discorso con il rapporto fra l'ente da un lato, e
la sostanza e l'accidente d'altro lato. Ricordiamo le loro descrizioni, in ambito
categoriale:
Substantia est res cuius naturae debetur esse non in alio; Accidens
vero est res, cuius naturae debetur esse in alio24(242).

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Sul piano dell'espressione della realt, in primo luogo, la nozione di ente


dice soltanto ci-che-, senza precisare in quale modo ci che ha l'essere; le
due nozioni di sostanza e di accidente, invece, spiegano che ci che ha
l'essere rispettivamente non in un altro, oppure in un altro. Pertanto, queste due
nozioni esplicitano, in modo opposto, qualcosa che rimane implicito nella
nozione di ente comune: si d quindi, passando dall'ente alle categorie, una
determinazione concettuale, in quanto il modo di avere l'essere viene
esplicitato, nonch una contrazione concettuale, in quanto si considera l'uno o
l'altro modo di essere ad esclusione degli altri modi non sostanziali. Sul piano
della realt espressa, in secondo luogo, si limita la denotazione dell'ente ad uno
dei suoi due modi categoriali fondamentali, e, contemporaneamente, si
restringe parimenti la sua significazione ad un modo all'esclusione degli altri
modi che non siano sostanziali.
Consideriamo ora in modo sintetico i tre passaggi che abbiamo analizzati
partendo dal testo citato.
Per quanto riguarda i trascendentali, il loro significato totalmente
identico a quello dell'ente nella linea della realt significata, la cui
attualit la stessa; al contempo, invece, la nozione stessa (ratio) di
questi trascendentali aggiunge qualcosa di ragione, negazione o
relazione, alla nozione di ente, che quest'ultima contiene ma non
esprime25(243). Il passaggio dall'ente ai trascendentali non comporta
quindi alcuna attuazione o determinazione reale, ma soltanto un
dispiegamento nozionale di ci che presente, ma, per cos dire,
ripiegato.
Per quanto riguarda, poi, i predicamenti, il loro significato limita l'ente,
nella linea della realt significata, ad un certo modo di essere,
all'esclusione degli altri modi (non sostanziali); al contempo, tuttavia, la
nozione stessa (ratio) dei predicamenti non aggiunge nulla di reale alla
nozione di ente comune che non sarebbe incluso in questa stessa
nozione, ma la determina e la restringe (contrahit) ad una certa modalit
che la nozione di ente non esprime26(244). Il passaggio dall'ente alle
categorie non implica una attuazione nella realt per un principio
attuante che fosse estraneo allo stesso ente, ma solo una determinazione
nella mente per esplicitazione di un modo di essere implicito nella
nozione di ente e per la contemporanea esclusione degli altri modi non
sotanziali.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Per quanto riguarda, finalmente, la differenziazione delle categorie, il


loro significato reale si ottiene per l'addizione di una differenza specifica
ad un genere. In questa operazione, la differenza che viene aggiunta non
totalmente estranea al genere al quale viene aggiunta, giacch si d un
rapporto di atto a potenza fra la prima ed il secondo; tuttavia, l'addizione
reale, e quindi non di pura ragione, perch n il genere contiene la
differenza (se non potenzialmente), n la differenza partecipa
(attualmente) al genere. Questa alterit della differenza rispetto al genere
si ritrova sul piano nozionale, poich la differenza intelligibile senza il
genere che essa deve attuare, mentre il genere pure intelligibile senza
l'attuazione ulteriore che le d la differenza27(245).
Giunti a questo punto, abbiamo ora abbozzato una topologia dell'essere
su tre piani: l'ente stesso ed i suoi trascendentali, i predicamenti, le suddivisioni
dei predicamenti per generi e differenze. Per completare il quadro, dobbiamo
aggiungergli la divisione per cui l'ente reale si divide per se in ente in atto ed in
ente in potenza. Infatti, giacch san Tommaso, commentando Aristotele, vi
scorge una analisi dell'ente complementare a quella categoriale28(246). A
questo proposito, ci dobbiamo logicamente chiedere quale tipo di addizione
consente di passare dalla nozione di ente a quelle di atto e di potenza.
Per risolvere questa domanda, ricordiamo, in modo previo, i due assi
attorno ai quali si costruisce tutta la metafisica dell'atto e della potenza. In
primo luogo, si terr presente che non si pu definire l'atto, ma soltanto
coglierne induttivamente la ratio attraverso alcune coppie di atto e di potenza:
Actus autem est de primis simplicibus; unde definiri non potest.
Sed per proportionem aliquorum duorum adinvicem, potest videri
quid est actus. Ut si accipiamus proportionem aedificantis ad
aedificabile, et vigilantis ad dormientem, et eius qui videt ad eum qui
habet clausos oculos cum habeat potentiam visivam, et eius quod
segregatur a materia, idest per operationem artis vel naturae formatur, et
ita a materia informi segregatur; et similiter per separationem eius quod
est praeparatum, ad illud qoud non est praeparatum, sive quod est
elaboratum ad id quod non est elaboratum. Sed quorumlibet sic
differentium altera pars erit actus, et altera potentia. Et ita
proportionaliter ex particularibus exemplis possumus venire ad
cognoscendum quid sit actus et potentia29(247).

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Non possiamo quindi dedurre che cosa sono l'atto e la potenza a partire
dalla ratio entis, ma li dobbiamo scoprire nelle cose. Una volta compiuta questa
induzione, appare poi, in secondo luogo, che, mentre l'atto del tutto
indefinibile, la potenza viene colta a partire dall'atto, giacch essa gli
ontologicamente e noeticamente posteriore:
Id per quod oportet alterum definiri, est prius eo ratione; sicut
animal prius homine, et subiectum accidente. Sed potentia non potest
definiri nisi per actum. Nam prima ratio possibilis in hoc consistit, quod
convenit ipsum agere vel esse in actu; sicut aedificator dicitur qui potest
aedificare, et speculator qui potest speculari, et visibile dicitur alquid
quod potest videri, et sic est in aliis. Ergo est necessarium, quod ratio
actus praecedat rationem potentiae, et notitia actus notiam potentiae. Et
propter hoc superius Aristoteles manifestavit potentiam definiendo per
actum; actum autem non potuit per aliquod aliud definire, sed solum
inductive manifestavit30(248).
Cos l'adagio secondo cui potentia dicitur ad actum trova la sua piena
giustificazione.
Descrittivamente, possiamo ora porre che l'ente in atto l'ente che
esercita l'essere che gli spetta, mentre l'ente in potenza l'ente che pu
esercitare, ma non esercita tale essere. Con essere, si intende comunque una
attualit, o sostanziale, o accidentale. Ad esempio, l'uomo vivente un ente in
atto primo, perch l'atto di essere proporzionato alla quiddit di uomo attua
quest'ultima; l'uomo contempla un principio metafisico un ente in atto
secondo, perch un atto di intellezione specificato da tale principio metafisico
attua il suo intelletto attraverso lo habitus di metafisica. A rovescio, il seme
(che seme in atto) un uomo vivente in potenza, perch un uomo pu essere
generato da esso; parimenti, l'uomo che possiede gi lo habitus di metafisica (il
quale un ente in atto) ha la potenza prossima di contemplare le conclusioni
della metafisica, perch il suo intelletto ordinato in modo prossimo a tale atto
intellettivo.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


Endnotes
1 (Popup - Popup)
Cf. Giovanni REALE, Storia della filosofia antica, I Dalle origini a Socrate, Milano, 1989, pp. 32-36;
ARISTOTELE, Met., A, cap. 3 a 6.

2 (Popup - Popup)
Oltre all'opera ben nota di Giovanni REALE, Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della
metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle Dottrine non scritte, Milano, 1991, si veda l'esposizione molto
precisa di Marie-Dominique RICHARD, L'enseignement oral de Platon, Paris, 1986, dove vengono raccolte,
nell'originale greco accompagnato dalla traduzione francese, tutte le testimonianze indirette sull'argomento.

3 (Popup - Popup)
Cf. il celebre passo di Phys. A, 1, 184 a 16-21: Ora, il cammino naturale fa andare dalle cose le pi conoscibili
e le pi chiare per noi a quelle che sono pi chiare e pi conoscibili in s; giacch non sono le stesse cose che
sono conoscibili per noi ed assolutamente (a)plw=j). Perci bisogna procedere cos: partire dalle cose meno
chiare in s, pi chiare per noi, per andare alle cose pi chiare in s e pi conoscibili.

4 (Popup - Popup)
La parola principio (a)rxh/) possiede quindi per Aristotele diversi significati, che egli ragrupp nella
Metafisica in tre grandi classi; cf. D, 1, 1013 a 17-19: Dunque, carattere comune a tutti i significati di principio
di essere il primo termine a partire dal quale una cosa o o generata o conosciuta. Si veda tutto il capitolo
1 del libro D.

5 (Popup - Popup)
Anal. Post. A, 2, 72 a 7-24.

6 (Popup - Popup)
Anal. Post. A, 10, 76 b 27-34.

7 (Popup - Popup)
PL 64, 1311 B.

8 (Popup - Popup)
Cf. Posteriorum Analyticorum Aristotelis Libri Duo, in PL 64, 711-762. Si noter uno sbaglio typografico
nell'edizione di Migne: ci che costituisce in realt la traduzione del libro secondo dei Secondi Analitici, viene
falsamente intestato come Priorum Analyticorum Aristotelis Interpretatio.

9 (Popup - Popup)
Le traduzioni letterali di Aristotele sono le migliori, perch le pi adeguate ad un linguaggio tecnico molto
preciso nonostante la sua apparente negligenza.

10 (Popup - Popup)
Ecco la traduzione di Boezio.
Anal. Post. A, 2, 72 a 7-24 in PL 64, 714 C-D: Est autem principium demonstrationis propositio immediata.
Immediata autem est qua non est alia prior. Propositio autem est enuntiationis altera pars, unum de uno.
Dialectica quidem est similiter accipiens quamlibet. Demonstrativa autem determinatae alterum quoniam verum
est. Enuntiatio autem contradictionis quaelibet pars. Contradictio autem est oppositio cujus non est medium
secundum se. Pars autem contradictionis, quae quidem aliquid de aliquo est, affirmatio est. Quae vero est aliquid
ab aliquo, negatio est. Immediati autem principii syllogistici, positionem quidem dico, quam non est monstrare,
nec necesse est habere docendum aliquid. Quam vero necesse est habere quemlibet docendum, dignitatem. Sunt
enim quaedam hujusmodi, hoc enim maxime in hujuscemodi consuevimus nomen dicere. Positionis autem, quae
quidem est quamlibet partium enuntiationis accipiens, ut dico aliquid esse, aut non esse, suppositio est. Quae
vero sine hoc, definitio est, definitio enim positio quaedam est. Ponit enim arithmeticus unitatem, indivisibile
esse secundum quantitatem, suppositio autem non est, id enim quod quid est unitas, et esse unitatem, non idem
est.
2. Anal. Post. A, 10, 76 b 27-34 in PL 64, 722 D: Quaecunque ergo quidem demonstrabilia esse accipit ipse
non demonstrans, haec si quidem quae videntur accipiat, dicenti suppositio, et non est simpliciter suppositio, sed
illum solum, si vero neque unius opinionis, aut contraria est, accipiat, idem petit. Et in hoc differt suppositio, et
1.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


petitio, est enim petitio in contrarium discentis opinioni, aut quodcunque aliquis demonstrabile cum sit, accipiat,
et utatur non demonstrans. Termini igitur non sunt suppositiones, nihil enim esse aut non esse dicunt, sed in
propositionibus sunt suppositiones

11 (Popup - Popup)
I-II, 62, 3, c.

12 (Popup - Popup)
Giova ricordare qui laconicamente, con EPA 2, lect. 1, n. 414 [8], che scire est causam rei cognoscere.

13 (Popup - Popup)
EPA 1, lect. 44, n. 405 [11].

14 (Popup - Popup)
Cf. CG 2, 55, n. 1299: Quod per se alicui competit, de necessitate et semper et inseparabiliter ei inest.

15 (Popup - Popup)
Cf. Sn 3, 11, 4, 6m: ad veritatem propositionis sufficit quod praedicatum conveniat subiecto quocumque modo.
Sed ad hoc quod propositio sit per se, oportet quod conveniat sibi ratione formae importatae per subiectum;
QDP 8, 2, 6m: Per se autem praedicatur aliquid de aliquo, quod praedicatur de eo secundum propriam
rationem.

16 (Popup - Popup)
I-II, 57, 2, c. Una buona divisione sintetica dei cinque generi di virt intellettuali si trova in QDVC 12, c:
Cognitio autem veri non est respectu omnium unius rationis. Alia enim ratione cognoscitur verum necessarium,
et verum contingens: et iterum verum necessarium alia ratione cognoscitur si sit per se notum, sicut intellectu
cognoscuntur prima principia; alia ratione si fiat notum ex alio, sicut fiunt notae conclusiones per scientiam vel
sapientiam circa altissima: in quibus etiam est alia ratio cognoscendi, eo quod ex hac homo dirigitur in aliis
cognoscendis. Et similiter circa contingentia operabilia non est eadem ratio cognoscendi ea quae sunt in nobis,
quae dicuntur agibilia, ut sunt operationes nostrae, circa quas frequenter contingit errare, propter aliquam
passionem; quarum est prudentia: et ea quae sunt extra nos a nobis factibilia, in quibus dirigit ars aliqua; quorum
rectam aestimationem passiones animae non corrumpunt.

17 (Popup - Popup)
CG, 2, 83, n. 1678.

18 (Popup - Popup)
Cf. la celebre formula di QDV 1, 1, c: Illud autem quod primo intellectus concipit quasi notissimum, et in quod
omnes conceptiones resolvit, est ens, ut Avicenna dicit in principio Metaphysicae suae; oppure I-II, 55, 4, 1m:
id quod primo cadit in intellectu, est ens: unde unicuique apprehenso a nobis attribuismus quod sit ens. Per la
dipendenza dei primi princpi rispetto alla nozione di ente, cf. Sn 1, 8, 1, 3, c: Primum enim quod cadit in
imaginatione intellectus, est ens, sine quod nihil potest apprehendi ab intellectu; sicut primum quod cadit in
credulitate intellectus, sunt dignitates, et praecipue ista, contradictoria non esse simul vera.

19 (Popup - Popup)
QDV 11, 1, c.

20 (Popup - Popup)
Cf. SM 4, lect. 6, n. 605: Ad huius autem evidentiam sciendum est, quod, cum duplex sit operatio intellectus:
una, qua cognoscit quod quid est, quae vocatur indivisibilium intelligentia: alia, qua componit et dividit: in
utroque est aliquod primum: in prima quidem operatione est aliquod primum, quod cadit in conceptione
intellectus, scilicet hoc quod dico ens; nec aliquid hac operatione potest mente concipi, nisi intelligatur ens. Et
quia hoc principium, impossibile est esse et non esse simul, dependet ex intellectu entis, sicut hoc principium,
omne totum est maius sua parte, ex intellectu totius et partis: ideo hoc etiam principium est naturaliter primum in
secunda operatione intellectus, scilicet componentis et dividentis.

21 (Popup - Popup)
QDV 16, 2, c.

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22 (Popup - Popup)
I, 79, 8, c. Stessa dottrina in Sn 3, 35, 1, 2, sol. 2, c: Inquisitio autem rationis sicut a simplici intuitu intellectus
progreditur, quia ex principiis quae quis intellectu tenet ad inquisitionem procedit, ita etiam ad intellectus
certitudinem terminatur, dum conclusiones inventae in principia resolvuntur, in quibus certitudinem habent.

23 (Popup - Popup)
QDSC 9, 7m; cf. QDV 11, 1, c: Processus autem rationis pervenientis ad cognitionem ignoti in inveniendo est
ut principia communia per se nota applicet ad determinatas materias, et inde procedat in aliquas particulares
conlusiones, et ex his in alias; Qdl 8, 2, 2, c: Insunt enim nobis naturaliter quaedam principia prima complexa
omnibus nota, ex quibus ratio procedit ad cognoscendum in actu conclusiones quae in praedictis principiis
potentialiter continentur, sive per inventionem propriam, sive per doctrinam alienam, sive per revelationem
divinam; in quibus omnibus modis cognoscendis homo iuvatur ex principiis naturaliter cognitis: vel ita quod ipsa
principia cognita ad cognitionem acquirendam sufficiant adminiculantibus sensu et imaginatione, sicut cum
aliquam cognitionem acquirimus per inventionem vel doctrinam; vel ita quod principia praedicta ad cognitionem
acquirendam non sufficiant: nihilominus tamen in huiusmodi cognoscendis principia dirigunt, in quantum
inveniuntur non repugnare principiis naturaliter cognitis: quod si esset, intellectus nullo modo eis assentiret, sicut
non potest dissentire principiis.

24 (Popup - Popup)
Cf. Met. B, 1, 995 a 24 - b 4, ed in particolare a 27-31: Ora, per chi vuol risolvere bene un problema, utile
cogliere adeguatamente le difficolt che esso comporta: la buona soluzione finale, infatti, lo scioglimento delle
difficolt precedentemente accertate. Non possibile che sciolga un nodo colui che lo ignora; e la difficolt che
il pensiero incontra, manifesta le difficolt che sono nelle cose. San Tommaso commenta in SM 3, lect. 1, n.
339: posterior investigatio veritatis, nihil aliud est quam solutio prius dubitatorum; n. 340: illi qui volunt
inquirere veritatem non considerando prius dubitationem, assimilantur illis qui nesciunt quo vadant. Et hoc ideo,
quia sicut terminus viae est illud quod intenditur ab ambulante, ita exclusio dubitationis est finis qui intenditur ab
inquirente veritatem.

25 (Popup - Popup)
Cf. EPA 1, lect. 4, n. 43 [16]: in generatione scientiae nostrae prius est cognoscere magis commune quam
minus commune; SA 1, lect. 1, n. 1: in quolibet genere rerum necesse est prius considerare communia et
seorsum, et postea propria unicuique illius generis.

26 (Popup - Popup)
Cf. EPA 1, lect. 4, n. 41 [14]: Detur ergo quod aliquis demonstrator syllogizet ex demonstrabilibus, sive
mediatis: aut ergo habet illorum demonstrationem, aut non habet: si non habet, ergo non scit praemissa, et ita nec
conlusionem propter praemissa; si autem habet, cum in demonstrationibus non sit abire in infinitum, ut infra
ostendet, tandem erit devenire al aliqua immediata et indemonstrabilia. Et sic oportet quod demonstratio ex
immediatis procedat, vel statim, vel per aliqua media.

27 (Popup - Popup)
QDV 1, 4, 5m. Questa dottrina si trova anche nelle opere pi tardive; cf. ad esempio I, 16, 6, 1m: anima non
secundum quamcumque veritatem iudicat de rebus omnibus; sed secundum veritatem primam, inquantum
resultat in ea sicut in speculo, secundum prima intelligibilia; QDSC 10, 9m: regulae illae quas impii
conspiciunt, sunt prima principia in agendis, quae conspiciuntur per lumen intellectus agentis a Deo participati,
sicut etiam prima principia scientiarum speculativarum; Comp. theol. I, 129, n. 258: Deus autem ad
intelligendum hominem iuvat non solum ex parte obiecti, quod homini proponitur a Deo vel per additionem
luminis, sed etiam per hoc quod lumen naturale hominis, quo intellectualis est, a Deo est, et per hoc etiam quod
cum ipse sit veritas prima, a qua omnis alia veritas certitudinem habet, sicut secundae propositiones a primis in
scientiis demonstrativis, nihil intellectui certum fieri potest nisi virtute divina, sicut nec conclusiones fiunt certae
in scientiis nisi secundum virtutem primorum principiorum.

28 (Popup - Popup)
Cf. SM 3, lect. 2, n. 346: prius oportet quaerere modum scientiae, quam ipsam scientiam.

29 (Popup - Popup)
Il latino subiectum o, pi precisamente genus subiectum, traduce il greco o, termine con il quale Aristotele

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


designa l'oggetto di una scienza, vg. in An. Post. A, 28, 87 a 38: M ' o.
Ricordiamo le tre condizioni che, secondo san Tommaso in Sn 1, prol., 4, c, caratterizzano il subiectum di una
disciplina: Respondeo, quod subjectum habet ad scientiam ad minus tres comparationes. Prima est, quod
quaecumque sunt in scientia debent contineri sub subjecto. [...] Secunda comparatio est, quod subjecti cognitio
principaliter intenditur in scientia. [...] Tertia comparatio est, quod per subjectum distinguitur scientia ab
omnibus aliis; quia secantur scientiae quemadmodum et res, ut dicitur in III De anima. Ora vogliamo qui,
infatti: 1. esplorare l'insieme dei predicati che qualificano necessariamente lo habitus principiorum; 2. esplicitare
con ci le cause costitutive dell'abito in causa. 3. Pertanto, la nostra indagine si trova specificamente distinta da
ogni altra.

30 (Popup - Popup)
SM 4, lect. 5, n. 588.

31 (Popup - Popup)
Ibid., n. 590. Lo stesso argomento si riscontra in EPA 1, lect. 17, n. 146 [4]: Illa enim priora principia, per
quae possent probari singularum scientiarum propria principia, sunt communia principia omnium, et illa scientia,
quae considerat huiusmodi principia communia, est propria omnibus, idest ita se habet ad ea, quae sunt
communia omnibus, sicut se habent aliae scientiae particulares ad ea quae sunt propria. Sicut cum subiectum
arthmeticae sit numerus, ideo arithmetica considerat ea, quae sunt propria numeri: similiter prima philosophia,
quae considerat omnia principia, habet pro subiecto ens, quod est commune ad omnia; et ideo considerat ea,
quae sunt propria entis, quae sunt omnibus communia, tanquam propria sibi. Cf. anche SE 6, lect. 5, n. 1181.

32 (Popup - Popup)
I-II, 57, 2, 1m. Cf. pure SE 6, lect. 5, n. 1182: quia sapientia est certissima, principia autem demonstrationum
sunt certiora conclusionibus, oportet quod sapiens non solum sciat ea quae ex principiis demonstrationum
concluduntur circa ea de quibus considerat; sed etiam quod verum dicat circa ipsa principia prima: non quidem
quod demonstret ea: sed inquantum ad sapientes pertinet notificare communia, puta totum et partem, aequale et
inaequale, et alia huiusmodi, quibus cognitis principia demonstrationum innotescunt. Unde et ad huiusmodi
sapientem pertinet disputare contra negantes principia, ut patet in quarto Metaphysicae.

33 (Popup - Popup)
I-II, 57, 2, 2m.

34 (Popup - Popup)
Il riferimento alla scientia de intellectu si trova in SM 6, lect. 4, n. 1242. Per quanto concerne l'appartenenza di
tale scienza alla metafisica, si veda questa dichiarazione molto esplicita della Sentencia Libri De sensu et
sensato, lect. 1, n. 4: intellectus quidem nullius partis corporis actus est, ut probatur tertio de Anima: unde non
potest considerari per concretionem, vel applicationem ad corpus vel ad aliquod organum corporeum. Maxima
autem concretio eius est in anima: summa autem eius abstractio est in substantiis separatis. Et ideo praeter
librum de Anima Aristoteles non fecit librum de intellectu et intelligibili: vel si fecisset, non pertineret ad
scientiam Naturalem, sed magis ad metaphysicam, cuius est considerare de substantiis separatis.

35 (Popup - Popup)
A questo proposito, cf. EPA 1, lect. 20, n. 171 [5]: Et quia circa omnia quae in rebus sunt habet negotiari ratio,
logica autem est de operationibus rationis; logica etiam erit de his, quae communia sunt omnibus, idest de
intentionibus rationis, quae ad omnes res se habent. Non autem ita, quod logica sit de ipsis rebus communibus,
sicut de subiectis. Considerat enim logica, sicut subiecta, syllogismum, enunciationem, praedicatum, aut aliquid
huiusmodi.

36 (Popup - Popup)
Il lettore trover una storia molto erudita dei primi princpi nel libro di Luca F. TUNINETTI, 'Per se notum'.
Die logische Beschaffenheit des Selbstverstndlichen im Denken des Thomas von Aquin, Leiden - New York Kln, 1966. Questo volume molto utile non toglie la pertinenza di quanto afferma l'Angelico nella Sententia
super librum De caelo et mundo 1, lect. 22, n. 228 [8]: studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid
homines senserint sed qualiter se habeat veritas rerum. Ci sia consentito di aggiungere anche questo brano della
QDV 9, 6, c: quandoque contingit aliqua nobis manifestari per locutionem, ex quibus intellectus nullo modo ad
intelligendum magis roboratur; sicut cum recitantur mihil aliquae historiae.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


37 (Popup - Popup)
An. , 5, 430 a 10-17.

38 (Popup - Popup)
430 a 14-15. Guglielmo di MOERBEKE tradusse cos: Et est intellectus hic quidem talis in omnia fieri, ille
vero in omnia facere, sicut habitus quidam, et sicut lumen.

39 (Popup - Popup)
Su questo argomento, vedasi per un primo approccio Giovanni REALE, Storia della filosofia antica, vol. IV, Le
scuole dell'et imperiale, Milano, 1989, pp. 43-48. Il testo di Alessandro si trova nel Supplementum
Aristotelicum, editum consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae Borussicae, vol. II, Parte 1:
Alexandri Aphrodisiensis praeter commentaria scripta minora: De anima cum mantissa, ed. I. Bruns, Berlin,
1887, rist. 1961, pp. 106-113.

40 (Popup - Popup)
Cf. G. THRY O.P., Autour du dcret de 1210 : II. - Alexandre d'Aphrodise. Aperu sur l'influence de sa
notique, [Bibliothque Thomiste, 7], Le Saulchoir, Kain, 1926, pp. 69-74.

41 (Popup - Popup)
tienne GILSON, Les sources grco-arabes de l'augustinisme avicennisant, [Vrin - Reprise], Paris, 1986, p.
11.

42 (Popup - Popup)
SA 3, lect. 10, nn. 728-729.

43 (Popup - Popup)
CG 2, 78, n. 1590.

44 (Popup - Popup)
Cf. EPA 1, lect. 2, n. 15 [3].

45 (Popup - Popup)
QDA 12, c.

46 (Popup - Popup)
I-II, 49, 1, c.

47 (Popup - Popup)
QDA 12, c. Sullo stesso argomento, vedasi I, 77, 1, c; 54, 3, c; Qdl 10, 3, 1, c; Sn 1, 3, 4, 2, c; QDSC 11, c.

48 (Popup - Popup)
Vale la pena, a questo proposito, riportare le considerazioni di san Tommaso in QDSC 11, c, in fine:
Relinquitur ergo quod potentiae animae non sunt ipsa eius essentia. Quod quidam concedentes dicunt quod nec
etiam sunt animae accidens; sed sunt eius proprietates essentiales, seu naturales. Quae quidem opinio uno modo
intellecta, potest sustineri; alio vero modo est impossibilis.

Ad cuius evidentiam considerandum est, quod accidens a philosophis


dupliciter accipitur. Uno modo, secundum quod condividitur substantiae, et
continet sub se novem rerum genera. Sic autem accipiendo accidens, positio est
impossibilis. Non enim inter substantiam et accidens potest esse aliquid
medium, cum substantia et accidens dividant ens per affirmationem et
negationem; cum proprium substantiae sit non esse in subiecto, accidentis vero
sit in subiecto esse. Unde, si potentiae animae non sunt ipsa essentia animae (et
manifestum est quod non sunt aliae substantiae), sequitur quod sint accidentia
in aliquo novem generum contenta. Sunt enim in secunda specie qualitatis,
quae dicitur potentia vel impotentia naturalis.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino

Alio modo accipitur accidens, secundum quod ponitur ab Aristotele


unum de quatuor praedicabilibus in I Topicorum, et secundum quod a
Porphyrio ponitur unum quinque universalium. Sic enim accidens non
significat id quod commune est novem generibus, sed habitudinem
accidentalem praedicati ad subiectum, vel communis ad ea quae sub communi
continentur. Si enim haec esset eadem acceptio cum prima, cum accidens sic
acceptum dividatur contra genus et speciem, sequetur quod nihil quod sit in
novem generibus poset dici vel genus vel species; quod patet esse falsum, cum
color sit gunus albedinis, et numerus binarii. Sic igitur accipiendo accidens, est
aliquid medium inter substantiam et accidens, id est inter substantiale
praedicatum et acidentale; et hoc est proprium. Quod quidem convenit cum
substantiali praedicato, in quantum causatur ex principiis essentialibus speciei;
et ideo per definitionem significantem essentiam demonstratur proprietas de
subiecto. Cum accidentali vero praedicato convenit in hoc quod nec est essentia
rei, nec pars essentiae, sed aliquid praeter ipsam. Differt autem ab accidentali
praedicato, quia accidentale praedicatum non causatur ex principiis
essentialibus speciei, sed accidit individuo sicut proprium speciei; quandoque
tamen separabiliter, quandoque inseprarbiliter. Sic igitur potentiae animae sunt
medium inter essentiam animae et accidens, quasi proprietates naturales vel
essentiales, idest essentiam animae naturaliter consequentes.
49 (Popup - Popup)
Sn 3, 23, 1, 1, c, n. 17.

50 (Popup - Popup)
Loc. cit., nn. 18-19.

51 (Popup - Popup)
Questo punto spiegato bene in SA 2, lect. 6, n. 307: Sed sciendum est, quod ex obiectis diversis non
diversificantur actus et potentiae animae, nisi quando fuerit differentia obiectorum inquantum sunt obiecta, id est
secundum rationem formalem obiecti, sicut visibile ab audibili. Si autem servetur eadem ratio obiecti,
quaecumque alia diversitas non inducit diversitatem actuum secundum speciem et potentiae. Eiusdem enim
potentiae est videre hominem coloratum et lapidem coloratum: quia haec diversitas per accidens se habet in
obiecto inquantum est obiectum. Cf. anche I, 77, 3, c; QDA 13, c.

52 (Popup - Popup)
Sn 3, 23, 1, 1, c, n. 21.

53 (Popup - Popup)
Loc. cit., nn. 22-26. Per uno studio dettagliato del soggetto degli habitus, cf. I-II, 50. Nella QDVC 1, c, si arriva
allo stesso risultato tramite la divisione delle tre potenze in tre gruppi: Secundum autem diversam conditionem
potentiarum, diversus est modus complexionis ipsius. Est enim aliqua potentia tantum agens; aliqua tantum acta
vel mota; alia vero agens et acta. Quindi:

Le potenze puramente attive non richiedono abiti: Potentia igitur quae est tantum agens, non indiget,
ad hoc quod sit principium actus, aliquo inducto; unde virtus talis potentiae nihil est aliud quam ipsa potentia.
Talis autem potentia est divina, intellectus agens, et potentiae naturales; unde harum potentiarum virtutes non
sunt aliqui habitus, sed ipsae potentiae in seipsis completae.

Le potenze puramente passive sono nella stessa situazione, ma per una ragione opposta, in quanto non
possono ritenere in so nessun principio perfettivo, che rimane quindi loro estrinseco: Illae vero potentiae sunt

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


tantum actae quae non agunt nisi ab aliis motae; nec est in eis agere vel non agere, sed secundum impetum
virtutis moventis agunt; et tales sunt vires sensitivae secundum se consideratae; unde in III Ethic. dicitur, quod
sensus nullius actus est principium: et hae potentiae perficiuntur ad suos actus per aliquid superinductum; quod
tamen non inest eis sicut aliqua forma manens in subiecto, sed solum modum passionis, sicut species in pupilla.
Unde nec harum potentiarum virtutes sunt habitus, sed magis ipsae potentiae, secundum quod sunt actu passae a
suis activis.

Pertanto, solo le potenze parzialmente attive e parzialmente mosse vengono perfezionate da abiti:
Potentiae vero illae sunt agentes et actae quae ita moventur a suis activis, quod tamen per eas non
determinantur ad unum; sed in eis est agere, sicut vires aliquo modo rationales; et hae potentiae complentur ad
agendum per aliquid superinductum, quod non est in eis per modum passionis tantum, sed per modum formae
quiescentis, et manentis in subiecto; ita tamen quod per eas non de necessitate potentia ad unum cogatur; quia sic
potentia non esset domina sui actus. Harum potentiarum virtutes non sunt ipsae potentiae; neque passiones, sicut
est in sensitivis potentiis; neque qualitates de necessitate agentes, sicut sunt qualitates rerum naturalium; sed sunt
habitus, secundum quos potest quis agere cum voluerit ut dicit Commentator in III de Anima. Et Augustinus in
lib. de Bono Coniugali dicit, quod habitus est quo quis agit, cum tempus affuerit.

54 (Popup - Popup)
I-II, 49, 2, c.

55 (Popup - Popup)
Cf. Cat. 8, 8 b 25 - 11 a 38.

56 (Popup - Popup)
I-II, 49, 2, c.

57 (Popup - Popup)
Su questa distinzione, cf. I-II, 49, 3, c. Citiamo la fine di questo respondeo: Sed sunt habitus qui etiam ex parte
subiecti in quo sunt, primo et principaliter important ordinem ad actum. Quia, ut dictum est, habitus primo et per
se importat habitudinem ad naturam rei. Si igitur natura rei in qua est habitus, consistat in ipso ordine ad actum,
sequitur quod habitus principaliter importet ordinem ad actum. Manifestum est autem quod natura et ratio
potentiae est ut sit principium actus. Unde omnis habitus qui est alicuius potentiae ut subiecti, principaliter
importat ordinem ad actum.

58 (Popup - Popup)
Cf. II-II, 8, 1, c: nomen intellectus quandam intimam cognitionem importat: dicitur enim intelligere quasi intus
legere. Et hoc manifeste patet considerantibus differentiam intellectus et sensus: nam cognitio sensitiva
accupatur circa qualitates sensibiles exteriores; cognitio autem intellectiva penetrat usque ad essentiam rei,
obiectum enim intellectus est quod quid est, ut dicitur in III De anima. I filologi ricollegano invece intel-legere
a inter-legere, cio cogliere con la mente fra diverse cose, e quindi capire, conoscere, discernere. Cf. F.
MARTIN, Les mots latins groups par familles tymologiques, Paris, 1976, p. 129.

59 (Popup - Popup)
Su questo punto, si veda in SA 3, lect. 8, come l'Aquinate commenta l'induzione per la quale Aristotele arriva a
questa tesi.

60 (Popup - Popup)
ARISTOTELE, An. , 4, 429 a 13-15. Guglielmo di Moerbeke tradusse cos: Si igitur est intelligere sicut
sentire, aut pati quoddam erit ab intelligibili, aut aliquid huiusmodi alterum.

61 (Popup - Popup)
SA 3, lect. 9, n. 722. Cf. I, 54, 4, c: necessitas ponendi intellectum possibilem in nobis, fuit propter hoc, quod
nos invenimur quandoque intelligentes in potentia et non in actu; CTh 1, cap. 80, n. 140: infima vero
intellectualium substantiarum, per quam homo intelligit, est quasi in potentia tantum in esse intelligibili. Huic
enim attestatur quod homo invenitur a principio potentia tantum intelligens, et postmodum paulatim reducitur in
actum; et inde est quod id per quod homo intelligit, vocatur intellectus possibilis; QDSC 9, c: Similiter cum
inveniamur quandoque intelligentes in actu, quandoque in potentia, necesse est ponere aliquam virtutem per
quam simus intelligentes in potentia, quae quidem in sua essentia et natura non habet aliquam de naturis rerum

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


sensibilium, quas intelligere possumus, et propter hoc vocatur possibilis intellectus.

62 (Popup - Popup)
I, 79, 3, c. Cf. I, 54, 4, c: Necessitas autem ponendi intellectum agentem fuit, quia naturae rerum materialium,
quas nos intelligimus, non subsistunt extra animam immateriales et intelligibiles in actu, sed sunt solum
intelligibiles in potentia, extra animam existentes: et ideo oportuit esse aliquam virtutem, quae faceret illas
naturas intelligibiles actu. Et haec virtus dicitur intellectus agens in nobis; QDSC 9, c: Sed quia Aristoteles
posuit ea [gli universalia] non subsistere nisi in sensibilibus, quae non sunt intelligibilia in actu, necesse habuit
ponere aliquam virtutem quae faceret intelligibilia in potentia esse intelligibilia actu, abstrahendo species rerum
a materia et conditionibus individuantibus; et haec virtus vocatur intellectus agens. La stessa argomentazione
viene esposta in modo pi dettagliato in QDA 4, c; mentre san Tommaso descrive in CG 2, 77, nn. 1581-1584, il
modo in cui il fantasma sensibile e la luce intellettuale determinano a vicenda l'intellezione.

63 (Popup - Popup)
Cf. I, 79, 7, c: Diversificatur tamen potentia intellectus agentis, et intellectus possibilis: quia respectu eiusdem
obiecti, aliud principium oportet esse potentiam activam, quae facit obiectum esse in actu; et aliud potentiam
passivam, quae movetur ab obiecto in actu existente. Et sic potentia activa comparatur ad suum obiectum, ut ens
actu ad ens in potentia: potentia autem passiva compararatur ad suum obiectum e converso, ut ens in potentia ad
ens in actu. Vedasi pure SA 3, lect. 10, n. 728.

64 (Popup - Popup)
CTh 1, 83, n. 145. Cf. I, 79, 10, c: Invenitur enim talis divisio etiam a philosophis. Quandoque enim ponunt
quatuor intellectus: scilicet intellectum agentem, possibilem, et in habitu, et adeptum. Quorum quatuor
intellectus agens et possibilis sunt diversae; sicut et in omnibus est alia potentia activa, et alia passiva. Alia vero
tria distinguuntur secudum tres status intellectus possibilis: qui quandoque est in potentia tantum, et sic dicitur
possibilis; quandoque autem in actu primo, qui est scientia, et sic dicitur intellectus in habitu; quandoque autem
in actu secundo, qui est considerare, et sic dicitur intellectus in actu, sive intellectus adeptus.

65 (Popup - Popup)
CG 2, 78, n. 1591. Secondo il P. Jean-Pierre TORREL O.P., nella sua Initiation saint Thomas d'Aquin,
Paris-Fribourg, 1993, pp. 148-153 e 486, possiamo situare la redazione del secondo libro della Summa contra
Gentiles in Italia, fra il 1261 ed il 1263.

66 (Popup - Popup)
SA 3, lect. 10, n. 729. Secondo lo stesso autore, in op. cit., pp. 249-253 e 498, la Sentencia Libri De anima
risale al soggiorno romano di san Tommaso, e fu scritto fra la fine del 1267 e l'estate del 1268.

67 (Popup - Popup)
An. , 5, 430 a 15.

68 (Popup - Popup)
Si legge, ad esempio, in I-II, 63, 1, c: ... virtus est quodammodo naturalis secundum quandam inchoationem.
Secundum quidem naturam speciei, inquantum in ratione homini insunt naturaliter quaedam principia naturaliter
cognita tam scibilium quam agendorum, quae sunt quaedam seminalia intellectualium virtutum et moralium.

69 (Popup - Popup)
SE 6, lect. 5, n. 1179.

70 (Popup - Popup)
Cf. I, 84, 3, c: Videmus autem quod homo est quandoque cognoscens in otentia tantum, tam secundum sensum
quam secundum intellectum. Et de tali potentia in actum reducitur, ut sentiat quidem, per actiones sensibilium in
sensum; ut intelligat autm, per disciplinam aut inventionem. Unde oportet dicere quod anima cognoscitiva sit in
potentia tam ad similitudines quae sunt principia sentiendi, quam ad similitudines quae sunt principia
intelligendi; QDA 15, c: Similiter in experimento patet quod scientia in nobis non provenit ex participatione
specierum separatarum, sed a sensibilibus accipitur; quia quibus deest unus sensus, deest scientia sensibilium
quae illo sensu apprehenduntur; sicut caecus natus non potest habere scientiam de coloribus. Il vocabolo
<scientia> si pu intendere qui di ogni cognoscenza intellettiva.

71 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


Cf. I, 84, 4, c: Non enim potest dici quod anima intellectiva corpori uniatur propter corpus: quia nec forma est
propter materiam, nec motor propter mobile, sed potius e converso.

72 (Popup - Popup)
Cf. CG 3, 25, n. 2057: Propria operatio cuiuslibet rei est finis eius: est enim secunda perfectio ipsius; unde
quod ad propriam operationem bene se habet, dicitur virtuosum et bonum. Intelligere autem est propria operatio
substantiae intellectualis. Ipsa igitur est finis eius.

73 (Popup - Popup)
I, 84, 4, c.

74 (Popup - Popup)
Cf. I-II, 49, 4, c: Secundo requiritur quod id quod est in potentia ad alterum, possit pluribus modis determinari,
et ad diversa.

75 (Popup - Popup)
Cf. I, 50, 4, 1m: Et ideo dicendum est quod intellectus possibilis est subiectum habitus: illi enim competit esse
subiectum habitus, quod est in potentia ad multa; et hoc maxime competit intellectui possibili. Unde intellectus
possibilis est subiectum habituum intellectualium.

76 (Popup - Popup)
Cf. SM 6, lect. 4, n. 1239: Patet etiam quod nihil prohibet verum esse quoddam bonum, secundum quod
intellectus cognoscens accipitur ut quaedam res. Sicut enim quaelibet alia res dicitur bona sua perfectione, ita
intellectus cognoscens, sua veritate. Cf. anche Sn 3, 23, 2, 3, col. 3, c; QDV 1, 10, 4m in contr.; 18, 6, c; I, 16,
1, c; 82, 4, c; I-II, 9, 1, 3m; 57, 2, 3m; 64, 3, c; QDVC 13, c; SPh 1, lect. 10, n. 79 [5]; EPH 1, lect. 3, n. 29 [7];
SE 1, lect. 12, n. 139; 6, lect. 3, n. 1143; CTh 1, 174, n. 345; In Eph. 4, lect. 7, n. 241.

77 (Popup - Popup)
Cf. I-II, 53, 1, c.

78 (Popup - Popup)
I-II, 55, 1, c.

79 (Popup - Popup)
Cf. I-II, 49, 3, c, nonch 55, 3, c.

80 (Popup - Popup)
I-II, 55, 3, c.

81 (Popup - Popup)
I-II, 56, 3, c.

82 (Popup - Popup)
A questo proposito, cf. I, 5, 1, 1m: Sed bonum dicit rationem perfecti, quod est appetibile: et per consequens
dicit rationem ultimi. Unde id quod est ultimo perfectm, dicitur bonum simpliciter. Quod autem non habet
ultimam perfectionem quam debet habere, quamvis habeat aliquam perfectionem inquantum est actu, non tamen
dicitur perfectum simpliciter, nec bonum simpliciter, sed secundum quid.

83 (Popup - Popup)
Su questo tema, cf. QDVC 7, 2m: homo non dicitur bonus simpliciter ex eo quod est in parte bonus, sed ex eo
quod secundum totum est bonus: quod quidem contingit per bonitatem voluntatis. Nam voluntas imperat actibus
omnium potentiarum humanarum. Quod provenit ex hoc quod quilibet actus est bonum suae potentiae; unde
solus ille dicitur esse bonus homo simpliciter qui habet bonam voluntatem. Ille autem qui habet bonitatem
secundum aliquam potentiam, non praesupposita bona voluntate, dicitur bonus secundum quod habet bonum
visum et auditum, aut est bene videns et audiens.

84 (Popup - Popup)
Su questo punto, cf. I-II, 9, 1, c.

85 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


Cf. I-II, 17, 6, c: Sed attendendum est quod actus rationis potest considerari dupliciter. Uno modo, qunatum ad
exercitium actus. Et sic actus rationis semper imperari potest: sicut cum indicitur alicui quod attendat, et ratione
utatur. Cf. anche I, 82, 4, c; QDV 22, 12.

86 (Popup - Popup)
I-I, 56, 3, c.

87 (Popup - Popup)
QDVC 7, c.

88 (Popup - Popup)
Ibid.

89 (Popup - Popup)
Cf. loc. cit.: Prudentia vero est in intellectu sive ratione practica, ut dictum est: non quidem ita quod ex
voluntate determinetur obiectum prudentiae, sed solum finis; obiectum autem ipsa perquirit: praesupposito enim
a voluntate fine boni, prudentia perquirit vias per quas hoc bonum et perficiatur et conservetur.

90 (Popup - Popup)
Cf. Met. , 1, 993 b 20-21: Qewrhtikh=j me\n ga\r te/loj a)lh/qeia praktikh=j d'e)/rgon.

91 (Popup - Popup)
EBT 5, 1, c. Cf. ibid., 1m; CG 3, 25, n. 2063: Omnes autem scientiae et artes et potentiae practicae sunt tantum
propter aliud diligibiles: nam in eis fini non est scire, sed operari. Scientiae autem speculativae sunt propter
seipsas diligibiles: nam finis earum est ipsum scire. Nec invenitur aliqua actio in rebus humanis quae non
ordinetur ad alium finem, nisi consideratio speculativa; SM 2, lect. 2, n. 290: Theorica, idest speculativa,
differt a practica secundum finem: hoc enim est quod intendit, scilicet veritatis cognitionem. Sed finis practicae
est opus, quia etsi "practici", hoc est operativi, intendant cognoscere veritatem, quomodo se habeat in aliquibus
rebus, non tamen quaerunt eam tamquam ultimum finem. Non enim considerant causam veritatis secundum se et
propter se, sed ordinando ad finem operationis, sive applicando ad aliquod determinatum particulare, et ad
aliquod determinatum tempus.

92 (Popup - Popup)
Cf. Sn 3, 35, 1, 3, sol. 2, c: dicendum quod duplex est cognitio. Una "speculativa, cujus finis est veritas",
secundum Philosophum in II Meta. Alia "cujus finis est operatio", quae est causa et regula eorum quae per
hominem fiunt. Quae autem ab homine fiunt, quaedam dicuntur factibilia quae fiunt per transmutationem
aliquam exterioris materiae, seicut contingit in operationibus artis mechanicae; quaedam vero non transeunt in
transmutationem exterioris materiae, sed in moderationem propriarum passionum et operationum.

93 (Popup - Popup)
Cf. I-II, 57, 2, c, citato supra p. 13.

94 (Popup - Popup)
QDVC 12, c.

95 (Popup - Popup)
SM 5, lect. 6, n. 827.

96 (Popup - Popup)
Per le nozioni di principio e di causa, cf. SM 5, lect. 1-3; SPh 2, lect. 5-6.

97 (Popup - Popup)
I, 82, 1, c. Si veda il commento alla fonte di questa classificazione in SM 5, lect. 6. In III, 46, 1, c, san Tommaso
ne fa un uso simile a quello del brano citato: sicut Philosophus docet in V Metaph., necessarium multipliciter
dicitur. Uno quidem modo, quod secundum sui naturam impossibile est aliter se habere. [...] Alio modo dicitur
aliquid necessarium ex aliquo exteriori. Quod quidem si sit causa efficiens vel movens, facit necessitatem
coactionis: utpote cum aliquis non potest ire propter violentiam detinentis ipsum. - Si vero illus exterius quod
necessitatem inducit, sit finis, dicetur aliquid necessarium ex suppositione finis: quando scilicet finis aliquis aut
nullo modo potest esse, aut non potest esse convenienter, nisi tali fine <sic> praesupposito.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


98 (Popup - Popup)
Met. , 5, 1015 a 33-35.

99 (Popup - Popup)
SM 5, lect. 6, nn. 832-833.

100 (Popup - Popup)


Cf. PORFIRIO, Isagoge, 12, 12-22; 19, 10-15.

101 (Popup - Popup)


SM 5, lect. 6, n. 834.

102 (Popup - Popup)


Met. , 5, 1015 a 20-26.

103 (Popup - Popup)


La distinzione fra necessit finale stretta e convenienza viene proposta, con gli stessi esempi di I, 82, 1, in III, 1,
2, c: ad finem aliquem dicitur aliquid esse necessarium dupliciter: uno modo, sine quo aliquid esse non potest,
sicut cibus est necessarius ad conservationem humanae vitae; alio modo, per quod melius et convenientius
pervenitur ad finem, sicut equus necessarius est ad iter.

104 (Popup - Popup)


Cf. Met. , 5, 1015 a 26-33.

105 (Popup - Popup)


A questo proposito, cf. CG 3, 2; I-II, 1, 1 e 2.

106 (Popup - Popup)


Cf. SM 5, lect. 6, n. 829: Dicit quod id quod infert violentiam, et etiam ipsa violentia necessarii nomen accepit;
nam violentia necessaria dicitur, et qui vim patitur dicitur de necessitate id facere ad quod cogitur. Quid autem
sit faciens vim, manifestat in naturalibus, et in voluntariis. In naturalibus quidem est impetus, sive inclinatio ad
aliquem finem, cui respondet voluntas in natura rationali; unde et ipsa naturalis inclinatio appetitus dicitur.
Utrumque autem, scilicet et impetum naturalis inclinationis, et propositum voluntatis, contingit impediri et
prohiberi.

107 (Popup - Popup)


Cf. F. MARTIN, Les mots latins groups par familles tymologiques, Paris, 1976, pp. 245-246. Secondo lo
stesso autore, in Les mots grecs groups par familles tymologiques, Paris, 1937, il greco qewr/ia procede in
modo simile dalla radice *qeF, che ha dato qe/a, spettacolo, vista.

108 (Popup - Popup)


Per questa valenza del termine <speculativo>, cf. I, 14, 16, c: Ad cuius evidentiam, sciendum est quod aliqua
scientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte rerum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente;
sicut est scientia hominis de rebus naturalibus vel divinis.

109 (Popup - Popup)


A questo proposito, san Tommaso rileva in SE 6, lect. 3, n. 1145 che l'oggetto della scienza deve essere certo,
cio non solo soggettivamente evidente, ma anche oggettivamente determinato, quindi non contingente; mutatis
mutandis, quello vale anche per gli altri abiti speculativi: Sed certa ratio scientiae hinc accipitur, quod omnes
suspicamur de eo quod scimus quod non contingat illud aliter se habere: alioquin non esset certitudo scientis, sed
dubitatio opinantis. Huiusmodi autem certitudo, quod scilicet non possit aliter se habere, non potest haberi circa
contingentia aliter se habere. Tunc enim solum potest de eis certitudo haberi cum cadunt sub sensu. Sed quando
fiunt extra speculari, idest quando desinunt videri vel sentiri, tunc latet utrum sint vel non sint. Sicut patet circa
hoc quod est Socratem sedere. Sic ergo patet quod omne scibile est ex necessitate.

110 (Popup - Popup)


Questi due aspetti, con una leggera accentuazione noetica, sono presenti in QDV 24, 2, 18m: ...aliquid verum
est quod propter impermixtionem falsi de necessitate ab intellectu recipitur, sicut prima principia
demonstrationis. Cf. anche QDM 6, un., 10m: intellectus ex necessitate movetur a vero necessario quod non

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


potest accipi ut falsum; EPH 1, lect. 14, n. 199 [24] mette formalmente in risalto la necessit noetica: Est
autem quoddam verum, quod est per se notum, sicut prima principia indemonstrabilia, quibus ex necessitate
intellectus assentit.

111 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 13, n. 110 [2].

112 (Popup - Popup)


EPH 1, lect. 13, n. 166 [3]. Il corsivo ovviamente nostro.

113 (Popup - Popup)


An. Post. A, 4, 73 a 21-24. Cf. EPA 1, lect. 13, n. 112 [4]: Conclusio necessaria non potest sciri nisi ex
principiis necessariis; sed demonstratio facit scire conclusionem necessariam; ergo oportet quod sit ex principiis
necessariis.

114 (Popup - Popup)


An. Post., loc. cit., 73 a 24-27. SAN TOMMASO commenta in hoc loco, EPA 1, lect. 9, n. 77 [2]: Et qua
conclusio demonstrationis non solum est necessaria, sed etiam per demonstrationem scita, ut dictum est, sequitur
quod demonstrativus syllogismus sit ex necessariis. Et ideo accipiendum est ex quibus necessariis et qualibus
sint demonstrationes.

115 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 9, n. 78 [3].

116 (Popup - Popup)


Loc. cit.

117 (Popup - Popup)


A questo proposito, cf. PETRUS HISPANUS, Tractatus called afterwards Summulae logicales, Tract. IV, 1,
ed. L.M. De Rijk, Assen, 1972, p. 436-9 : Dici de omni est quando nichil est sumere sub subiecto de quo non
dicatur predicatus, ut 'omnis homo currit'; hic cursus dicitur de omni homine et nichil est sumere sub homine de
quo non dicatur cursus.

118 (Popup - Popup)


A questo proposito, cf. I, 77, 6, sc: potentiae animae sunt quaedam proprietates naturales ipsius. Sed subiectum
est causa propriorum accidentium: unde et ponitur in definitione accidentis, ut patet in VII Metaphys..

119 (Popup - Popup)


An. Post. A, 4, 73 a 27-34.

120 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 9, n. 80 [5].

121 (Popup - Popup)


Cf. An. Pr. A, 1, 24 b 28-30: E diciamo che [un termine] affermato universalmente (= to kata\ panto\j)
quando non si pu trovare nel soggetto alcuna parte di cui non si possa affermare l'altro termine.

122 (Popup - Popup)


Cf. EPA, lect. cit., n. 79 [4]: Ad quod sciendum est quod dici de omni, prout hic sumitur, addit supra dici de
omni, prout sumitur in libro Priorum. Nam il libro Priorum accipitur dici de omni communiter, prout utitur eo et
dialecticus et demonstrator. Et ideo non plus ponitur in definitione eius, quam quod praedicatum insit cuilibet
eorum quae continentur sub subiecto. Hoc autem contingit vel ut nunc, et sic utitur quandoque dici de omni
dialecticus; vel simpliciter et secundum omne tempus, et sic solum utitur eo demonstrator.

123 (Popup - Popup)


Cf. EPH 1, lect. 10, n. 130 [13]: Sicut autem supra dictum est, quandoque aliquid attribuitur universali ratione
ipsius naturae universalis; et ideo hoc dicitur praedicari de eo universaliter, quia scilicet ei convenit secundum
totam multitudinem in qua invenitur; et ad hoc designandum in affirmativis praedicationibus adinventa est haec
dictio, omnis, quae designat quod praedicatum attribuitur subiecto universali quantum ad totum id quod sub
subiecto continetur.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


124 (Popup - Popup)
Il rapporto di specifico a comune che collega il kaq'au)to al kaq'o(/ stato colto bene da SAN TOMMASO in
SM 5, lect. 19, n. 1050: Primo [Aristoteles] determinat de hoc, quod dicitur secundum quod; quod est
communius quam secundum se.

125 (Popup - Popup)


H. BONITZ, nella sua traduzione della Metafisica rivista da H SEIDL, rende to/ kaq'o(/ con das Wonach,
mentre to/ kaq'au)to viene tradotto con das An-sich. Cf. ARISTOTELES' Metaphysik, ed. Horst Seidl,
Hamburg, 1989, in hoc loco, p. 231.

126 (Popup - Popup)


A questo proposito, G. REALE nota giustamente nella sua edizione di ARISTOTELE, Metafisica, vol. III,
Sommari e commentario, Milano, 1993, p. 268: Impossibilit di tradurre kaq'o)/ con una espressione che
ricopra la corrispettiva area semantica. - Si tenga presente che kaq'o)/ non ha che un approssimativo
corrispondente nell'italiano ci per cui, donde l'apparente forzature di alcune distinzioni di significati (per
esempio, il secondo) e l'inadeguatezza dell'espressione italiana a rendere il giusto rapporto che lega i vari
significati.

127 (Popup - Popup)


Met. , 18, 1022 a 14-24. Abbiamo riportato senza cambiamenti la traduzione di G. REALE, ed. cit., vol. II.

128 (Popup - Popup)


Cf. SM 5, lect. 19, nn. 1050-1053, dove SAN TOMMASO blocca tuttavia insieme il terzo ed il quarto
significato: Circa primum ponit quatuor modos eius quod dicitur secundum quod; quorum primus est, prout
species [ei)=doj], idest forma, et substantia rei [ou)si/a], idest essentia, est, secundum quod aliquid esse
dicitur; sicut secundum Platonicos, per se bonum, idest idea boni, est illud, secundum quod aliquid bonum
dicitur. Secundus modus est, prout subiectum, in quo primo aliquid natum est fieri, dicitur secundum quod, sicut
color primo fit in superficie; et ideo dicitur, quod corpus est coloratum secundum superficiem. Hic autem modus
differt a praedicto, quia praedictus pertinet ad formam, et hic pertinet ad materiam. Tertius modus est, prout
universaliter quaelibet causa dicitur secundum quod. Unde toties dicitur secundum quod quoties et causa. Idem
enim est quaerere secundum quod venit, et cuius causa venit; similiter secundum quod paralogizatum, aut
syllogizatum est, et qua causa facti sunt syllogismi. Quartus modus est prout secundum quod significat
positionem et locum; sicut dicitur, iste stetit secundum hunc, idest iuxta hunc, et ille vadit secundum hunc,
idest iuxta hunc; quae omnia significant positionem et locum. Et hoc manifestius in graeco idiomate apparet.

129 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 10, n. 83 [2].

130 (Popup - Popup)


SM 5, lect. 2, n. 775: Est igitur efficiens causa finis, finis autem causa efficientis non quantum ad esse, sed
quantum ad rationem causalitatis. Nam efficiens est causa in quantum agit: non autem agit nisi causa finis. Unde
ex fine habet suam causalitatem efficiens.

131 (Popup - Popup)


Loc. cit.

132 (Popup - Popup)


Sulla perseit ed i suoi tipi, si pu sempre consultare il libro di P. HOENEN, La thorie du jugement d'aprs St.
Thomas d'Aquin, ed. altera, Romae, 1953, pp. 107-151. Questa opera offre una eccellente documentazione di
prima mano, ma rimane profondamente viziata dalla sua gnoseologia rappresentazionistica, a nostro avviso
straniera alla lettera ed allo spirito di san Tommaso. Pi modesto nel suo proposito, ma assai pi coerente con i
testi ci sembra invece l'articolo di J. PTRIN, Les modes de dire per se et la dmonstration, Revue de
l'Universit d'Ottawa 21 (1951), pp. 173*-192*. Vedasi pure R. SCHMIDT, The Domain of Logic according to
Saint Thomas Aquinas, The Hague, 1966, pp. 226-231; R. McINERNY, Being and Predication, Thomistic
Interpretations, Washington D.C., 1986, pp. 190-202. Questi due ultimi autori non affrontano in dettaglio il
tema delle proposizioni per s.

133 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


An. Post. A, 4, 73 a 34-37. Abbiamo conservato le parentesi dell'edizione di Oxford a cura di W.D. Ross.

134 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 10, n. 84 [3].

135 (Popup - Popup)


Loc. cit.

136 (Popup - Popup)


Loc. cit.

137 (Popup - Popup)


Per questo teorema fondamentale dell'epistemologia tommasiana, cf. EBT 5; I, 85, 1, 2m; SM 6, lect. 1; 11, lect.
7; 8, lect. 5, nn. 1760-1764; SA 3, lect. 8, nn. 716-717; EE 2, III, 77, 2, 4m; QDV 2, 6, 1m.

138 (Popup - Popup)


Met. , 18, 1022 a 25-29.

139 (Popup - Popup)


SM 5, lect. 19, n. 1054.

140 (Popup - Popup)


Cf. III, 16, 7, 4m: terminus in subiecto positus tenetur materialiter, idest pro supposito: positus vero in
praedicato, tenetur formaliter, idest pro natura significata. Vedasi pure Sn 1, 21, 2, 1, 1m; Sn 3, 1, 2, 5, 5m; 6,
1, 3, 3m; 2, 1, 2m; 11, 1, 2, 3m; III, 16, 9, c et 3m; 10, c e 2m, nonch P. HOENEN, op. cit., pp. 90-94.

141 (Popup - Popup)


Cf. I, 16, 2, c: in omni propositione aliquam formam significatam per praedicatum, vel applicat alicui rei
significatae per subiectum, vel removet ab ea.

142 (Popup - Popup)


Perci, SAN TOMMASO pu scrivere in SA 2, lect. 14, n. 401: Per se autem dupliciter dicitur. Uno enim
modo dicitur propositio per se, cuius praedicatum cadit in definitione subiecti, sicut ista, Homo est animal:
animal enim cadit in definitione hominis. Et quia id quod est in definitione alicuius, est aliquo modo causa eius,
in his quae sunt per se, dicuntur praedicata esse causa subiecti. Si noti che l'Aquinate dice precisamente che il
predicato appartiene alla definizione del soggetto, e non che il predicato e quindi causa del soggetto, ma non
che il predicato causa dell'essenza stessa della cosa. Infatti, il rapporto di causalit formale , qui, puramente
logico, perch interviene fra la definizione o i suoi elementi, da un lato, e il soggetto, d'altro lato, cio fra i due
estremi dell'enunciazione considerata in quanto tale. Il punto di vista del fondamento in re dell'enunciazione
diverso, ed addirittura opposto, come lo evidenziano i testi citati nella nota seguente.

143 (Popup - Popup)


Cf. SM 7, lect. 2, n. 1275: Hoc autem quod quid erat esse hic ponitur, sed ibi [=in Praedicamentis]
praetermittitur, quia non cadit in praedicamentorum ordine nisi sicut principium. Neque enim est genus neque
species neque individuum, sed horum omnium formale principium; lect. 5, n. 1357: Hoc autem quod est quod
quid erat esse, est substantia eius cuius est quod quid erat esse. Cf. anche nn. 1668 e 1672-1680. Qua, siamo sul
livello della sostanza come principio di essere, quindi nell'ordine ontologico che, s, fondamenta l'ordine logico,
ma non coincide con esso.

144 (Popup - Popup)


Nel suo art. cit., p. 176*, il P. J. PTRIN si domanda: Quel rapport de causalit trouve-t-on dans ce mode de
persit? Saint Thomas y voit un ordre de causalit formelle, en ce sens que l'attribut signifie la forme, l'essence,
la nature spcifique ou gnrique de son sujet. Il se comporte donc comme sa cause formelle. Et ceci est vrai
mme si l'on affirme de lui ce qui en constitue la cause matrielle, parce que celle-ci est alors considre comme
faisant partie de la nature ou de l'essence du sujet. Questo verissimo dal punto di vista formalmente logico
dell'attribuzione; invece, dal punto di vista ontologico del fondamento sul quale poggia l'attribuzione, si deve
dire che la quiddit del soggetto (non espressa nella proposizione) causa formale di ci che viene esplicitato
nel predicato.

145 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


An. Post. A, 4, 73 a 37 - b 5.

146 (Popup - Popup)


Cf. supra, p. 73.

147 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 10, n. 85 [4].

148 (Popup - Popup)


Su questo punto, cf. queste chiare definizioni di Qdl 9, 3, un., 2m, che giova mettere in contesto: secundum
Avicennam in sua Metaph., esse non potest poni in definitione alicuius generis et speciei, quia omnia particularia
uniuntur in definitione generis vel speciei, cum tamen genus vel species non sit secundum unum esse in omnibus.
Et ideo haec non est vera definitio substantiae: Substantia est quod per se est; vel: Accidens est quod est in alio.
Sed est circumlocutio verae descriptionis, quae talis intelligitur: Substantiae [<sic>; leggere: <Substantia>] est
res cuius naturae debetur esse non in alio; Accidens vero est res, cuius naturae debetur esse in alio.
Interpretando Avicenna, san Tommaso mostra bene il puro costitutivo formale della sostanza o dell'accidente
non include l'essere in quanto contrapposto all'essenza, ma tuttavia lo richiede necessariamente per la definizione
stessa della sostanza e dell'accidente.

149 (Popup - Popup)


Cf. SA 2, lect. 14, n. 402: Intelligendum est ergo, quod color est visibilis per se, hoc secundo modo, et non
primo. Nam visibilitas est quaedam passio, sicut simum est passio nasi. Et hoc est quod dicit, quod color
secundum se est visibile "non ratione", idest non ita quod visibile ponatur in eius definitione, sed quia in seipso
habet ut sit visibile, sicut subiectum in seipso habet causam propriae passionis. Infatti, il predicato <visibile>
non si dice del soggetto <colore> secondo il primo modo di perseit, giacch la visibilit non costitutiva della
quiddit del colore, ma si dice nel secondo modo, perch il colore appartiene alla definizione della visibilit. Il
P. J. PTRIN spiega cos questo punto nel suo art. laud., pp. 178*-179*: Quel rapport de causalit tablir entre
les deux termes de l'attribution? Saint Thomas y voit un rapport de causalit matrielle, puisque le sujet est
considr comme ce en quoi est son accident propre; il se comporte son endroit comme une matire seconde
relativement une forme accidentelle. Il ne peut tre videmment question que de causalit logique, et plus
prcisment dans l'ordre de l'attribution. Cette causalit logique peut tre significative de la causalit relle
lorsque, par exemple, il y a distinction relle entre les deux termes en cause. Parfois elle ne sera que logique, par
exemple, dans le cas d'une pure distinction conceptuelle. Celle-ci cependant ne sera pas sans fondement dans la
ralit, puisque nous devrons trouver une priorit dans la raison formelle de ce que nous utiliserons comme sujet
sur ce qui lui sera attribu.

150 (Popup - Popup)


Ricordiamo che un numero primo se divisibile soltanto per s stesso e per l'unit (come 3, 5, 7, 11, ecc.)
mentre un numero divisibile per altri numeri composto (4, 6, 8, 10, ecc.).

151 (Popup - Popup)


Questa distinzione si ispira al metodo pitagorico di raffigurazione geometrica della quantit aritmetica, secondo
il quale un numero quadrato si rappresenta con punti disposti in forma di quadrato, i cui lati sono uguali: ad
esempio, il numero 9 venirebbe espresso con un quadrato di 9 punti il cui lato ne comprende 3. In terminologia
odierna, possiamo dire che un numero quadrato se, per un numero naturale n, la sua radice quadrata n d
ancora un intero naturale.

152 (Popup - Popup)


SAN TOMMASO commenta cos il passaggio citato in EPA 1, lect. 10, n. 85 [4]: Et hoc est quod dicit, et per
se dicuntur quibuscunque eorum, idest de numero eorum, quae insunt ipsis, idest subiectis accidentium, ipsa
subiecta insunt in ratione demonstrate quid est ipsum accidens, idest in definitione accidentis. Sicut rectum et
circulare insunt lineae per se: nam linea ponitur in definitione eorum. Et eadem ratione par et impar per se insunt
numero, quia numerus in eorum definitione ponitur: nam par est numerus medius habens. Et similiter primum et
compositum per se praedicantur de numero, et numerus in definitione eorum ponitur. Est enim primum in
numeris, numerus qui nullo alio numero mensuratur, sed sola unitate, ut septenarius. Compositus autem numerus
est, quem etiam alius numerus mensurat, sicut novenarius. Et similiter isepleuros, idest aequaliterum, et
scalenon, idest trium inaequalium laterum et altera parte longius, per se insunt triangulo, et triangulus ponitur in

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


definitione eorum. Si noter che l'Aquinate segue una altra lezione del testo, per cui l'ultimo esempio non si
riferisce ai numeri aritmetici, ma al triangolo.

153 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 10, n. 86 [5].

154 (Popup - Popup)


Met. , 18, 1022 a 29-32.

155 (Popup - Popup)


Su questa diversit quanto al punto di inserimento del predicato nel soggetto, cf. SM 5, lect. 19, n. 1055:
Secundus modus est, quando aliquid ostenditur esse in aliquo, sicut in primo subiecto, cum inest ei per se.
Quod quidem contingit dupliciter: quia vel primum subiectum accidentis est ipsum totum subiectum de quo
praedicatur (Sicut [<sic>; lege sicut] superficies dicitur colorata vel alba secundum seipsam. Primum enim
subiectum coloris est superficies, et ideo corpus dicitur coloratum ratione speciei). Vel etiam aliqua pars eius;
sicut homo dicitur vivens secundum se, quia aliqua pars eius est primum subiectum vitae, scilicet anima. Et hic
est secundus modus dicendi per se in Posterioribus positus, quando scilicet subiectum ponitur in definitione
praedicati. Subiectum enim primum et proprium, ponitur in definitione accidentis proprii.

156 (Popup - Popup)


Anche questo punto stato visto chiaramente dal P. J. PTRIN, in art. laud., p. 178*: On voit immdiatement
comment ce mode de persit diffre radicalement du premier, puisqu'il suppose une distinction entre la raison
formelle de ce qui est propos comme sujet et la raison formelle de ce qui lui est attribu. Il suppose cependant
un rapport entre leurs natures respectives: le sujet ne peut exister sans avoir en lui tel attribut et celui-ci ne peut
exister sans tre dans ce sujet considr selon sa raison spcifique ou selon une de ses raisons gnriques.

157 (Popup - Popup)


Cf. An. Post. A, 4, 73 b 5-6: Inoltre, per s ci che non viene detto di qualche altro soggetto.

158 (Popup - Popup)


Cf. EPA 1, lect. 10, n. 87 [6]: ...ponit alium modus eius, quod est per se, prout per se significat aliquid
solitarium, sicut dicitur quod per se est aliquod particulare, quod est in genere substantiae, quod non praedicatur
de aliquo subiecto. [...] Sciendum est autem quod iste modus non est modus praedicandi, sed modus existendi.

159 (Popup - Popup)


An. Post. A, 4, 73 b 10-16.

160 (Popup - Popup)


Loc. cit., 73 b 10-11.

161 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 10, textus Aristotelis. Nella sua Posteriorum Analyticorum Aristotelis Interpretatio, BOEZIO
aggiunse per chiarezza un <dico> a questa frase, cf. PL 64, col. 717 A: Item alio modo quod quidem propter
ipsum inest unicuique, per se dico, quod vero non propter ipsum, accidens est.

162 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 10, n. 88 [7].

163 (Popup - Popup)


A questo proposito, cf. Sn 1, 32, 2, 2, c: Istae praepositiones "a" et "per" in hoc differunt quia "a" designat
tantum habitudinem principii per modum efficientis, sed "per" designat habitudinem principii secundum
quodlibet genus causae; unde omne illud quod est ab aliquo est per illud, sed non convertitur.

164 (Popup - Popup)


A questo proposito, cf. SP 1, lect. 1, n. 37: Sed loquutio humana significat quid est utile et quid nocivum. Ex
quo sequitur quod significet iustum et iniustum. Consistit enim iustitia et iniustitia ex hoc quod aliqui
adaequentur vel non adaequentur in rebus utilibus et nocivis. Et ideo loquutio est propria hominibus; quia hoc
est proprium eis in comparatione ad alia animalia, quod habeant cognitionem boni et mali, ita et iniusti, et
aliorum huiusmodi, quae sermone significari possunt.

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


165 (Popup - Popup)
Quindi possibile costruire proposizioni del quarto modo di perseit nelle quali il soggetto sia causa materiale
del predicato, e sia formalmente considerato come tale. Cf. a questo riguardo, J. PTRIN, art. cit., p. 187*:
Ainsi, mme la matire premire peut tre sujet dans une proposition du quatrime mode, comme dans cet
exemple: la matire premire reoit la forme. J'entends alors signifier son action (!) propre en lui supposant une
nature (!) bien dfinie, ce qui [ne] peut tre dit sans analogie.

166 (Popup - Popup)


Cf. EE 2, n. 11: Sed definitio vel species comprehendit utrumque, scilicet determinatam materiam quam
designat nomen generis et determinatam formam quam designat nomen differentiae.

167 (Popup - Popup)


Cf. EE 2, n. 8: Haec autem determinatio vel designatio, quae est in specie respectu generis, non est per aliquid
in essentia speciei existens, quod nullo modo in essentia generis sit; imo quidquid est in specie est etiam in
genere ut non determinatum. Si enim animal non esset totum quod est homo, sed pars eius, non praedicaretur de
eo, cum nulla pars integralis praedicetur de suo toto.

168 (Popup - Popup)


Cf. I-II, 67, 5, c: Sed sicut species significat totum, idest compositum ex materia et forma in rebus
materialibus, ita differentia significat totum, et similiter genus: sed genus denominat totum ab eo quod est sicut
materia; differentia vero ab eo quod est sicut forma; species vero ab utroque. Sicut in homine sensitiva natura
materialiter se habet ad intellectivam: animal autem dicitur quod habet naturam sensitivam; rationale quod habet
intellectivam; homo vero quod habet utrumque. Et sic idem totum significatur per haec tria, sed non ab eodem.

169 (Popup - Popup)


Cf. CG 2, 58, n. 1345: in isto modo dicendi per se, id quod est formale praedicatur per se subiecto: ut cum
dicimus, Superficies est alba, vel, Numerus est par.

170 (Popup - Popup)


Cf. J. PTRIN, art. cit., p. 179*: Pour distinguer ce genre d'attribut, saint Thomas utilise ordinairement
l'expression "passion du sujet". C'est que les formes qui sont attribues au sujet selon ce mode de persit ne
sont pas formellement considres comme son effet, mais prcisment comme reues en lui, comme subies
(logiquement) par lui. Le sujet se comporte leur gard uniquement comme cause matrielle (materia in qua).

171 (Popup - Popup)


Cf. EPA 1, 26, n. 214 [2]: Et unus modus dicendi per se est quando subiectum est causa praedicati, ut
interfectum interiit, sicut supra dictum est.

172 (Popup - Popup)


Quindi le potenze dell'anima o del composto si dicono dell'anima o del composto nel secondo modo in quanto
loro ineriscono necessariamente nel loro soggetto proprio, mentre vengono attribuite ad esso nel quarto modo, in
quanto provengono o dall'anima o dal composto. A questo riguardo, cf. I, 77, 6, c: Ita quod subiectum,
inquantum est in potentia, est susceptivum formae accidentalis: inquantum autem est in actu, est eius
productivum. [..] Unde manifestum est quod omnes potentiae animae, sive subiectum earum sit anima sola, sive
compositum, fluunt ab essentia animae sicut a principio: quia iam dictum est quod accidens causatur a subiecto
secundum quod est actu, et recipitur in eo inquantum est in potentia. Quindi non sotto lo aspetto che la
potenza viene attribuita al suo soggetto prossimo nel secondo o nel quarto modo di perseit.

173 (Popup - Popup)


Sulle implicazioni metafisiche dell'attribuzione, e segnatamente sulla partecipazione, si consulter C. FABRO,
La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d'Aquino, Milano, 1939, P. II, sez. II, La
partecipazione predicamentale, pp. 143-185; L.-B. GEIGER, La participation dans la philosophie de S.
Thomas d'Aquin, Paris, 1942, pp. 122-150; 264-277.

174 (Popup - Popup)


Su questo punto, cf. J. PTRIN, art. cit., p. 187*: Au surplus la distinction entre le premier, le deuxime et le
quatrime mode correspond parfaitement la division traditionnelle des cinq prdicables. Il faut sans doute
commencer par exclure le cinquime, l'accident, qui fonde une attribution accidentelle. Si on compare les trois

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


premiers, le genre, l'espce et la diffrence spcifique, avec l'individu, elles peuvent lui tre attribues selon le
premier mode; de mme le genre et la diffrence spcifique sont attribuables l'espce selon le premier mode; le
propre peut tre compar soit avec l'espce, soit avec la diffrence spcifique: dans le premier cas, l'attribution
se fait selon le deuxime mode, tandis que dans le second cas, l'attribution se fait selon le quatrime mode.

175 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 13, n. 111 [3].

176 (Popup - Popup)


I, 10, 2, c.

177 (Popup - Popup)


Sulla differenza fra la dimostrazione propter quid e quia, cf. EPA 1, lect. 23, nn. 194-195 [3-4]: In una autem
scientia dupliciter differt utrumque praedictorum, secundum duo quae requiruntur ad demonstrationem
simpliciter, quae facit scire propter quid; scilicet quod sit ex causis, et quod sit ex immediatis. Uno igitur modo
differt scire quia ab hoc quod est scire propter quid; quia scire quia est si non fiat syllogismus demonstrativus
per non medium, idest per immediatum, sed fiat per mediata. Sic enim non accipietur prima causa, cum tamen
scientia, quae est propter quid, sit secundum primam causam. Et ita non erit scientia propter quid. Alio modo
differunt, quia scire quia est quando fit syllogismus non quidem per media, idest per mediata, sed per immediata,
sed non fit per causam: sed fit per convertentiam, idest per effectus convertibiles et immediatos.

178 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 11, n. 91 [2].

179 (Popup - Popup)


An. Post. A, 4, 73 b 32-33. SAN TOMMASO commenta in hoc loco, EPA 1, lect. 11, n. 95 [6]: tunc est
universale praedicatum, cum non solum in quolibet est de quo praedicatur, sed et primo demonstratur inesse ei,
de quo praedicatur.

180 (Popup - Popup)


An. Post. A, 4, 73 b 33-37.

181 (Popup - Popup)


Cf. EPA 1, lect. 11, n. 96 [7]: Secundo, ibi: Ut duos rectos habere, etc., manifestat per exemplum, dicens quod
habere tres angulos aequales duobus rectis, non inest cuilibet figurae universaliter: licet hoc de figura
demonstretur, quia de triangulo demonstratur qui est figura; sed tamen non cuilibet figurae inest, nec
demonstrator in sua demonstratione utitur qualibet figura. Qudrangulus enim figura quaedam est, sed non habet
tres duobus rectis aequales.

182 (Popup - Popup)


An. Post. A, 4, 73 b 38 - 74 a 1.

183 (Popup - Popup)


Cf. EPA 1, loc. cit.: Isosceles autem, idest triangulus duorum aequalium laterum, habet quidem universaliter
tres angulos aequales duobus rectis, sed non convenit primo isosceli, sed prius triangulo, quia isosceli convenit,
in quantum est triangulus. Quod igitur primo demonstratur habere duos rectos, aut quodcunque aliud huiusmodi,
huic primo inest praedicatum universale, sicut triangulo.

184 (Popup - Popup)


Ricordiamo che il genere supremo al quale si riconduce il triangolo la figura (sxh=ma), che la quarta
specie di qualit, e che uno dei cinque sensibilia communia. Cf. An. B, 6, 418 a 17-18: kiona\ de\ ki/nhsij,
h)remi/a, a)riqmo/j, sxh=ma, me/geqoj.

185 (Popup - Popup)


Cf. EPA 1, lect. 37, n. 329 [7]: Et manifestat quod in universali inveniatur secundum se. Habere enim tres
angulos aequales duobus rectis non convenit isosceli secundum se, idest secundum quod isosceles est, sed
secundum quod est triangulus; et ideo qui cognoscit quemdam triangulum habere tres, scilicet isoscelem, minus
habet cognitionem de eo quod est per se, quam si cognoscat quod triangulus habet tres. Et hoc est universaliter
dicendum, quod si aliquid non insit triangulo secundum quod est triangulus, et demonstretur de eo, quidquid sit

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


illud, non erit vera demonstratio. Si autem insit ei secundum quod est triangulus, cognoscens in universali de
triangulo secundum quod huiusmodi, perfectiorem cognitionem habet.

186 (Popup - Popup)


Cf. supra, p. 12, nota 16.

187 (Popup - Popup)


Una utile raccolta dei testi maggiori si trova in Luca F. TUNINETTI, <Per se notum>, Die logische
Beschaffenheit des Selbstverstndlichen im Denken des Thomas von Aquin, Leiden - New York - Kln, 1996,
pp. 11-26.

188 (Popup - Popup)


PL 64, 1311 B.

189 (Popup - Popup)


EBH, lect. 1, n. 13.

190 (Popup - Popup)


Lect. cit., nn. 14-15.

191 (Popup - Popup)


Cf. Sn 1, 8, 1, 3, c: Primum quod cadit in imaginatione intellectus est ens, sine quo nihil potest apprehendi ab
intellectu; sicut primum quod cadit in credulitate intellectus sunt dignitates, et praecipue ista, contradictoria non
esse simul vera: unde omnia alia includuntur quodammodo in ente unite et distincte sicut in principio. (Al posto
del distincte scelto dal Mandonnet che abbiamo citato, l'edizione di Parma porta indistincte, il ch sembra pi
corretto). Quanto agli influssi avicenniani nel lessico noetico di san Tommaso, cf. B. GARCEAU, Judicium,
Vocabulaire, sources, doctrine de saint Thomas d'Aquin, Montral-Paris, 1968, pp. 107-112.

192 (Popup - Popup)


Lect. cit., nn. 16-18.

193 (Popup - Popup)


Cf. SM 5, lect. 21, n. 1098: Primo ponit rationem communem totius, quae consistit in duobus. Primo in hoc
quod perfectio totius integratur ex partibus. Et significat hoc, cum dicit quod "totum dicitur cui nulla suarum
partium deest, ex quibus" scilicet partibus "dicitur totum natura", idest secundum suam naturam constituitur.
Secundum est quod partes uniuntur in toto. Et sic dicit quod totum "continens est contenta", scilicet partes, ita
quod illa contenta sunt aliquid unum in toto.

194 (Popup - Popup)


Cf. I, 11, 1, c: unum non addit supra ens rem aliquam, sed tantum negationem divisionis: unum enim nihil aliud
significat quam ens indivisum; 2, 4m: unum opponitur privative multis, inquantum in ratione multorum est
quod sint divisa. Unde oportet quod divisio sit prius unitate, non simpliciter, sed secundum rationem nostrae
apprehensionis. Apprehendimus enim simplicia per composita: unde definimus punctum, cuis pars non est, vel
principium lineae.

195 (Popup - Popup)


Spetta alla metafisica dimostrarne l'esistenza e la natura, per quanto sia possibile all'intelletto umano. Nel
campo della nostra esperienza rientra invece l'autocoscienza, che ci svela l'immaterialit dell'operazione
intellettuale, la quale non una sostanza, ma rimanda per all'immaterialit della nostra anima, che principio
formale della nostra sostanza. Sui rapporti fra immaterialit e metafisica, si consulter l'importante articolo di V.
BURGOA, Il separato come condizione e come oggetto della metafisica, Divus Thomas (Bologna) 6
(3/1993), 62-94.

196 (Popup - Popup)


Si noti che pure la definizione del luogo (terminus immobilis continentis primum) difficile da cogliere con
precisione: Aristotele ci arriva, nella Fisica, dopo una lunga investigazione. Cf. Phys. , 4, 210 b 32 - 212 a 20;
SPh 4, lect. 5 e 6.

197 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


Sn 1, 3, 1, 2, c.

198 (Popup - Popup)


QDV 10, 12, c.

199 (Popup - Popup)


Il lettore avr subito notato che la celebre formula anselmiana viene inquadrata in una problematica
squisitamente aristotelica, quella dei princpi della dimostrazione. Questo fatto, scandaloso per la raison
historienne, manifesta invece la buona salute della ragione tommasiana, per la quale l'intelligibilit trascende la
contestualit culturale o filologica.

200 (Popup - Popup)


Vg. SM 2, lect. 2, n. 298: unumquodque sicut se habet ad hoc quod sit, ita etiam se habet ad hoc quod habeat
veritatem; 7, lect. 2, n. 1304: Secundum enim quod aliquid est ens, secundum hoc est cognoscibile.

201 (Popup - Popup)


Cf. supra, p. 98, il testo di EPA 1, lect. 13, n. 111 [3], con la successiva analisi.

202 (Popup - Popup)


Cf. Qdl 12, 5, 1, c: Et sic dico quod esse substantiale rei non est accidens, sed actualitas cuiuslibet formae
existentis, sive sine materia sive cum materia. Et quia esse est complementum omnium, inde est quod proprius
effectus Dei est esse, et nulla causa dat esse nisi in quantum participat operationem divinam; et sic proprie
loquendo, non est accidens.

203 (Popup - Popup)


Un riassunto di questa tesi, anteriore allo stesso De Veritate si trova in EBT 1, 3, 6m: dicendum, quod Deum
esse, quantum est in se, est per se notum, quia sua essentia est suum esse; et hoc modo loquitur Anselmus. Non
autem nobis, qui eius essentiam non videmus. Sull'epistemologia della dimostrazione dell'esistenza di Dio,
raccomandiamo l'articolo di L.-M. de BLIGNIRES, Le statut logique des preuves de Dieu est, Revue
thomiste 96 (1996), 235-268.

204 (Popup - Popup)


CG 1, 11, n. 66.

205 (Popup - Popup)


I, 2, 1, c.

206 (Popup - Popup)


QDP 7, 2, 11m.

207 (Popup - Popup)


Ci opponiamo, su questo punto come su molti altri, all'interpretazione di P. HOENEN, op. cit., pp. 108-109,
secondo il quale pas tout ce qui est "notum per se" s'exprime par une proposition per se, une proposition donc
qui affirme un rapport ncessaire entre le sujet et le prdicat. Bien que le "per se notum" se dise ordinarement
des principia per se nota, on appelle aussi "per se notum" tout ce que nous affirmons comme donn par la
perception simple et immdiate des sens; et de bon droit, car cela est connu directement, immdiatement, sans
l'intermdiaire d'un "aliud". Ainsi nous lisons dans Phys. II lect. 1 n. 8 "Naturam autem esse, est per se notum, in
quantum naturalia sunt manifesta sensui". Or une proposition qui affirme l'existence de n'importe quelle crature,
n'est jamais une proposition per se. Se possiamo concedere che la proposizione che esprime un giudizio di
percezione non mediata da un terzo concetto, dobbiamo rifiutare l'argomentazione che l'autore avanza a favore
della sua tesi. Infatti, la proposizione <naturam esse> non un semplice asserto contingente, come vorrebbe un
certo razionalismo latente, ma il frutto di una induzione, operabile anche su un solo caso: perci una
proposizione universale, simile a <veritatem esse>, che per se nota, come viene osservato in I, 2, 1, 3m:
veritatem esse in communi, est per se notum. A proposito di un errore simile a quello del P. Hoenen, il P.
M.-L. GURARD des LAURIERS nota giustamente in La preuve de Dieu et les cinq voies, Roma, 1966, p. 91:
Et c'est mme l'un des traits les plus typiques du gnie d'Aristote, du gnie de S. Thomas, que de "passer"
directement de l'observation d'un existant concret tel principe mtaphysique universel.

208 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


I, 17, 3, 2m.

209 (Popup - Popup)


Cf. EBH, lect. 1, n. 15: Cuius ratio est quod praedicatum est de ratione subiecti; n. 18: quia cum communis
animi conceptio vel principium per se notum sit aliqua propositio, ex hoc quod praedicatum est de ratione
subiecti; QDV 10, 12, c: nihil aliud requiritur nisi ut praedicatum sit de ratione subiecti; QDP 7, 2, 11m:
aliqua propositio est per se nota de se [...] quando scilicet praedicatum est de ratione subiecti; I, 2, 1, c: Ex
hoc enim aliqua propositio est per se nota, quod praedicatum includitur in ratione subiecti.

210 (Popup - Popup)


Cf. I, 17, 3, 2m: ...ex eo quod praedicatum ponitur in definitione subiecti.

211 (Popup - Popup)


I-II, 94, 2, c.

212 (Popup - Popup)


SM 11, lect. 4, n. 2210.

213 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 5, n. 50 [7].

214 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 7, n. 67 [8].

215 (Popup - Popup)


SM 4, lect. 5, n. 595.

216 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 36, n. 315 [8]. Il fatto che la dimostrazione procede da premesse per s note nei due modi di
perseit si desume pure da EPA 1, lect. 13, n. 110 [2]: Deinde cum dicit: Quae autem per se sunt etc., ostendit
quod demonstratio sit ex necessariis; et primo, per rationem, secundo per signum; ibi: Signum autem est etc.
Circa primum ponit duas rationes: quarum prima talis est. Ea quae per se praedicatur, necessario insunt. Et hoc
manifestat in duobus modis per se. In primo quidem, quia ea, quae per se praedicatur, insunt in eo quod quid est,
idest in definitione subiecti. Quod autem ponitur in definitione alicuius, necessario praedicatur de eo. In secundo
vero, quia quaedam sunt subiecta, quae ponuntur in quod quid est praedicantibus de ipsis, idest in definitione
suorum praedicatorum. Quae quidem si sint opposita, necesse est quod alterum eorum suibecto insit; sicut par
vel impar numero, ut superius ostensum est. Sed manifestum est quod ex quibusdam principiis huiusmodi,
scilicet per se, fit syllogismus demonstrativus; quod probat per hoc, quod omne quod praedicatur, aut praedicatur
per se aut per accidens; et ae, quae praedicatur per accidens, non sunt necessaria; ex his autem, quae sunt per
accidens, non fit demonstratio, sed magis sophisticus syllogismus. Unde relinquitur quod demonstratio sit ex
necessariis.

217 (Popup - Popup)


Cf. EPA 1, lect. 10, n. 89 [8]: Propria autem subiecta non solum ponuntur in definitione accidentium, sed etiam
sunt causae eorum. Unde conclusiones demonstrationum includunt duplicem modum dicendi per se, scilicet
secundum et quartum. Ci che vale della conclusione vale, quanto a questo punto preciso, della premessa
immediata, purch si tenga presente che il rapporto fra il significato del predicato e quello del soggetto deve
essere, anche nozionalmente, immediato.

218 (Popup - Popup)


[THOMAS DE VIO CAIETANUS], In Sum. theol., I, 2, 1, n. IV. Abbiamo citato dall'edizione leonina delle
Opera omnia di san Tommaso, vol. IV, Romae, 1888, p. 28b.

219 (Popup - Popup)


An. Post. A, 2, 72 a 14-17.

220 (Popup - Popup)


EPA 1, lect. 5, n. 50 [7].

221 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


Lo stesso collegamento fra ratio entis, primi princpi comuni e metafisica viene proposto in modo assai sintetico
in SE 6, lect. 5, n. 1181: Universalissima autem principia sunt etiam quoadnos magis nota, sicut ea quae
pertinent ad ens inquantum est ens: quorum cognitio pertinet ad sapientiam sic dictam, ut patet in quarto
Metaphysicae.

222 (Popup - Popup)


I-II, 94, 2, c.

223 (Popup - Popup)


Cf. ad esempio QDV 21, 4, 4m: quia illud quod primo cadit in apprehensione intellectus est ens; unde oportet
quod cuicumque apprehenso per intellectum, intellectus attribuat hoc quod est ens.

224 (Popup - Popup)


SM 4, lect. 6, n. 605.

225 (Popup - Popup)


Seguiamo la lezione dell'edizione di Parma, che porta indistincte, al posto di quella ritenuta dal Mandonnet,
che sarebbe distincte, il ch ci sembra assurdo.

226 (Popup - Popup)


Sn 1, 8, 1, 3, c.

227 (Popup - Popup)


Qdl 8, 2, 2, c.

228 (Popup - Popup)


Ricordiamo che la musica faceva parte, con l'aritmetica, la geometria e l'astrologia, delle arte liberali insegnate
nel quadrivium. San Tommaso considera la musica, poi, come una disciplina subalternata all'aritmetica. A
questo riguardo, cf. EPA 1, lect. 25, n. 209 [3]; lect. 41, n. 358 [3].

229 (Popup - Popup)


QDV 1, 12, c.

230 (Popup - Popup)


Si pu consultare a questo proposito M. TAVUZZI O.P., Aquinas on the Operation of Additio, New
Scolasticism 62 (1988), pp. 297-318. Facciamo tuttavia delle riserve su una eccessiva opposizione fra
l'addizione secundum rationem e secundum rem, che risente dall'attrazione esercitata sull'autore dalle Logische
Untersuchungen di Husserl.

231 (Popup - Popup)


QDV 21, 1, c. Corsivo nostro.

232 (Popup - Popup)


Osserviamo, con questo, che san Tommaso non esita a distinguere l'ens universale e l'ens particulare, il ch
suppone che l'attualit raggiunta nel giudizio di esistenza, del tipo <questo >, possa essere in qualche modo
universalizzata in una nozione, che sar appunto l'ens commune. Pertanto pensiamo, nonostante l'opinione
contraria del grande Gilson, che si possa concettualizzare l'esse, attraverso l'ente.

233 (Popup - Popup)


Al massimo, questa aggiunta concettuale connota una quasi sottrazione reale, a modo di privazione, come nel
caso dell'uomo cieco, se si considera cio la nozione integrale di uomo, che comprende la capacit di passare
all'atto in tutte le potenze, e quindi anche nella vista. Ma il rapporto dell'ente ai trascendentali, che ci importa in
questa sede, non comporta una tale privazione.

234 (Popup - Popup)


Cf QDV 1, 1, 4m: verum est dispositio entis non quasi addens aliquam naturam, nec quasi exprimens aliquem
specialem modum entis, sed aliquid quod generaliter invenitur in ente, quod tamen nomine entis non
exprimitur. Il corsivo nostro.

235 (Popup - Popup)

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


Sui i rapporti (strutturati a modo di chiasmo) fra l'ente ed il bene, cf. I, 5, 1, 1m: Nam cum ens dicat aliquid
proprie esse in actu; actus autem proprie ordinem habeat ad potentiam; secundum hoc simpliciter aliquid dicitur
ens, secundum quod primo discernitur ab eo quod est in potentia tantum. Hoc autem est esse substantiale rei
uniuscuiusque; unde per suum esse substantiale dicitur unumquodque ens simpliciter. Per actus autem
superadditos, dicitur aliquid esse secundum quid, sicut esse album significat esse secundum quid: non enim esse
album aufert esse in potentia simpliciter, cum adveniat rei iam praeexistenti in actu. Sed bonum dicit rationem
perfecti, quod est appetibile: et per consequens dicit rationem ultimi. Unde id quod est ultimo perfectum, dicitur
bonum simpliciter. Quod autem non habet ultimam perfectionem quam debet habere, quamvis habeat aliquam
perfectionem inquantum est actu, non tamen dicitur perfectum simpliciter, nec bonum simpliciter, sed secundum
quid. -Sic ergo secundum primum esse, quod est substantiale, dicitur aliquid ens simpliciter et bonum secundum
quid, idest inquantum est ens: secundum vero ultimum actum, dicitur aliquid ens secundum quid, et bonum
simpliciter.

236 (Popup - Popup)


Cf. QDV 1, 10, 2m: verum, proprie loquendo, non potest esse differentia entis; ens enim non habet aliquam
differentiam, ut probatur in III Metaph.; sed aliquod verum verum se habet ad ens per modum differentiae, sicut
et bonum; in quantum, videlicet, exprimit aliquid circa ens quod nomine entis non exprimitur.

237 (Popup - Popup)


Di l, nel testo citato, la precisione: ... homo addit aliquid super animal: non quidem ita quod sit homine alia
res quae sit penitus extra essentiam animalis. Cf. anche EE 2, n. 8: Haec autem determinatio vel designatio,
quae est in specie respectu generis, non est per aliquid in essentia speciei existens, quod nullo modo in essentia
generis sit; imo quidquid est in specie est etiam in genere ut non determinatum. Si enim animal non esset totum
quod est homo, sed pars eius, non praedicaretur de eo, cum nulla pars integralis praedicetur de suo toto. (Il
corsivo nostro).

238 (Popup - Popup)


Cf. EE 2, n. 10: sed [animal] est genus secundum quod significat rem quamdam ex cuius forma potest
provenire sensus et motus, quaecumque sit illa forma, sive sit anima sensibilis tantum, sive sit sensibilis et
rationalis simul. Sic ergo genus significat indeterminate totum id quod est est specie: non enim significat tantum
materiam.

239 (Popup - Popup)


SM 5, lect. 9, n. 889.

240 (Popup - Popup)


importante ricordarsi che il rapporto alla sostanza appartiene alla definizione delle categorie; cf. ad esempio
SM 9, lect. 1, n. 1768: omnia accidentia habent rationem substantiae, quia in definitione cuiuslibet accidentium
oportet ponere proprium subiectum, sicut in definitione simi ponitur nasus.

241 (Popup - Popup)


Cf. QDP 3, 16, 4m: ens alio modo se habet ad ea quae sub ente continentur, et alio modo animal vel quodlibet
aliud genus ad species suas. Species enim addit supra genus, ut homo supra animal, differentiam aliquam quae
est extra essentiam generis. Animal enim nominat tantum naturam sensibilem, in qua rationale non continetur;
sed ea quae continentur sub ente, non addunt aliquid supra ens quod sit extra essentiam eius.

242 (Popup - Popup)


Qdl 9, 3, un., 2m. Cf. anche QDP 7, 3, 4m: ens per se non est definitio substantiae, ut Avicenna dicit [III
Metaphysicorum, capit. viii]. Ens enim non potest esse alicuius genus, ut probat Philosophus [III Metaph., com.
10], cum nihil possit addi ad ens quod non participet ipsum; differentia vero non debet participare genus. Sed si
substantia possit habere definitionem, non obstante quod est genus generalissimum, erit eius definitio: quod
substantia est res cuiuis quidditati debetur esse non in aliquo. Et sic non conveniet definitio substantiae Deo,
qui non habet quidditatem suam praeter suum esse. Unde Deus non est in genere substantiae, sed est supra
omnem substantiam. Vedasi pure I, 3, 5, 1m; III, 77, 1, 2m.

243 (Popup - Popup)


La distinzione che proponiamo, per intendere correttamente la dottrina dei trascendentali, fra l'addizione
nell'ordine nozione e l'identit nell'ordine reale, stata assai bene spiegata da M.-D. PHILIPPE, L'activit

lo habitus principiorum secondo san tommaso d'aquino


artistique, Philosophie du faire, vol. II, Paris, 1970, pp. 261-262: Autrement dit, il s'agit de distinguer dans tel
transcendantal ce qu'il est en tant que distinct de l'tre et ce qu'il est en lui-mme. En tant que "quasi-proprit"
de l'tre, le transcendantal ne peut, en effet, rien ajouter de rel l'tre. A l'tre on ne peut rien ajouter, puisqu'il
n'y a rien en dehors de lui. Il serait donc contradictoire d'affirmer qu'un transcendantal ajoute quelque chose de
rel l'tre. C'est pourquoi les transcendantaux, en tant que quasi-proprits de l'tre, s'identifient
ncessairement l'tre lui-mme. Ils ne peuvent s'en distinguer qu'en raison d'une certaine relation de raison, ou
d'une certaine ngation, qu'ils impliquent explicitement dans leurs notions, tandis que la notion de l'tre,
considre en elle-mme, ne l'explicite pas. La seule chose que les transcendantaux peuvent ajouter l'tre, c'est
donc soit une relation de raison, soit une pure ngation. Ceci ne veut pas dire que le constitutif formel du
transcendantal soit une relation de raison ou une ngation, puisque, dans ce cas, le transcendantal ne serait plus
quelque chose de rel, convertible avec l'tre, mais un tre de raison (relation de raison ou pure ngation). Le
constitutif formel du transcendantal, c'est donc la notion mme de l'tre en tant qu'elle fonde cette relation de
raison ou cette ngation.

244 (Popup - Popup)


Cf. I, 5, 3, 1m: dicendum quod substantia, qualitas et qualitas, et ea quae sub eis continentur, contrahunt ens
applicando ens ad aliquam quidditatem seu naturam.

245 (Popup - Popup)


Cf. SM 11, lect. 1, n. 2169: Nulla enim differentia participat actu genus; quia differentia sumitur a forma,
genus autem a materia. Sicut rationale a natura intellectiva, animal a natura sensitiva. Forma autem non
includitur in essentia materiae actu, sed materia est in potentia ad ipsam. Et similiter differentia non pertinet ad
naturam generis, sed genus habet differentiam potestate. Et propter hoc differentia non participat genus; quia
cum dico rationale, significo aliquid habens rationem. Nec est de intellectu rationalis quod sit animal. Illud
autem participatur, quod est de intellectu participantis. Et propter hoc hoc dicitur, quod differentia non participat
genus.

246 (Popup - Popup)


Cf. SM 5, lect. 9, n. 897: In omnibus enim praedictis terminis, quae significant decem praedicamenta, alquid
dicitur in actu, et aliquid in potentia. Et ex hoc accidit, quod unumquodque praedicamentum per actum et
potentiam dividitur; 9, lect. 1, n. 1769: ens dividitur uno modo secundum quod dicitur quid, scilicet substantia,
aut quantitas, aut qualitas, quod est dividere ens per decem praedicamenta; alio modo secundum quod dividitur
per potentiam et actum vel operationem, a qua derivatum est nomen actus.

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SM 9, lect. 5, nn. 1826-1829.

248 (Popup - Popup)


SM 9, lect. 7, n. 1846.

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