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notte.

Piove fortissimo, uno di


quegli acquazzoni estivi che abbiamo atteso
tutta lestate. Guidando la mia automobile
percorro questa tortuosa strada di
fondovalle che non ricordavo essere
cos stretta. Non ricordavo tutta
questa distanza e tutte queste curve
prima di raggiungere il paese. Il suono
della musica allinterno dellabitacolo si
diffonde nellaria, leggero. Laria secca lavorata
dal condizionatore esce frusciando tra le feritoie del cruscotto.
Quello che vedo fuori, oltre i vetri del parabrezza, non pioggia;
una scenografia di cattivo tempo che accompagna il mio moto. Il
temporale violento e scuote i rami degli alberi con forza. Ma
bello o brutto tempo, per me oggi fa lo stesso. Oggi ho passato
lintera giornata davanti a un computer. Ho respirato aria
condizionata per buona parte della giornata. Aria finta. Una noiosa
giornata dufficio. Non ho mai sudato n mi sono sporcato di fango
o di terra oggi, se escludo quel paio dore di corsa sotto lacqua
percorrendo in salita e in senso inverso questa stessa strada.
Adoro correre, per riconnettermi con lambiente e per ricordarmi
che sono vivo. Corro per sport, istintivamente. Lidea di farlo per
puro piacere personale e non per allenamento in vista di una
competizione, mi fa sentire libero. Ancora una volta mi sento
freerider. Mentre mi appresto a curvare su un tornante, i miei fari
illuminano dritto davanti a me una donna seduta su un guard-rail,
sotto la pioggia. una fotografia che si incolla alla mia mente.
Cento metri pi avanti arresto lautomobile. Mi chiedo se avr
bisogno di qualcosa, se si sente bene. Innesto la retromarcia e
risalgo. Cosa ci fa una donna da sola, alle 2 e 32 della notte pi
DROP IN

previtali@freeridermag.com

IL VERO FREERIDING

FOTO MATTIAS FREDRIKSSON, TREBLE CONE, NZ.

piovosa dellestate, seduta sul bordo della strada? Mi affianco.


una ragazza della mia et, con un gigantesco borsone bianco a
tracolla. bagnata fradicia. Vorrei evitare di chiederle se va tutto
bene, ma non mi viene in mente niente di meno stupido. Abbasso
il finestrino e le chiedo se vuole salire. Mi sembra titubante,
spaventata. Apro la porta e le dico di salire. Lei esita qualche
istante, il vento spinge per qualche interminabile secondo la
pioggia fin dentro labitacolo dellauto. Poi, finalmente, sale. I suoi
vestiti sono inzuppati di pioggia e le labbra viola per il vento e il
freddo. Tiene il borsone sulle gambe e lacqua le cola dai capelli
sui sedili e sul pavimento della mia auto. piuttosto imbarazzata,
e anche io lo sono. Le chiedo se va tutto bene, e mi fa cenno di s
con il capo. Le chiedo cosa le successo e la risposta di una
semplicit disarmante. Non successo niente. Sto andando a
lavorare. Tutte le notti percorro a piedi questa strada fino al paese.
Viene dal Kirghizistan, non parla bene litaliano. Mi verrebbe da
dirle che io ci sono stato in Kirghizistan, per scalare e fare
snowboard su una montagna, ma me ne vergogno. Mi sento
stupido, dannatamente fuoriposto. Penso tra me e me che quello
che stato il mio allenamento di oggi , semplicemente, linizio
della giornata di lavoro di questa donna. Mi vergogno anche di
questo. La ragazza intravede i miei indumenti e le scarpe da corsa
appoggiate nella borsa sul sedile posteriore. Con le poche parole
che conosce in italiano, mi dice che anche lei nel suo paese
correva a piedi. Maratona. Io National Team, mi dice. Ma ora
conclude ridendo, corro una maratona ogni notte per andare a
lavorare. Anche io sorrido, un po imbarazzato e penso a quante
cose possono capitare quando lo sport e la competizione si
mescolano con la vita. Penso al vero significato della parola
Emilio Previtali
avventura. Altro che freeriding.

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