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QUANDO UN DIO MUORE

MORTI E ASSENZE DIVINE


NELLE ANTICHE TRADIZIONI MEDITERRANEE

a cura di

PAOLO XELLA
Contributi di
GABRIELLA SCANDONE MATTHIAE - PAOLA PISI
ANNA MARIA POLVANI - PAOLO XELLA
SERGIO RIBICHINI - MARIA GRAZIA LANCELLOTTI
GIULIA SFAMENI GASPARRO - MARIA ROCCHI
ILEANA CHIRASSI COLOMBO

ESSEDUE EDIZIONI

PROPRIET LETTERARIA RISERVATA


' Copyright 2001 by Essedue edizioni
37122 Verona- Corso Porta Nuova, 99

In copertina:
Deposizione di Franco Pistoso (coll. priv.)

Stampato in Italia - Printed in Italy


GRAFICHE FIORINI - VIA ALTICHIERO, I I - VERONA

SOMMARIO

PAOLOXELLA
Prefazione
Al.ITORI VARI

Il problema del "dio che muore"

GABRIELLA SCANDONE MATrniAE


Osiride l'Africano, ovvero la morte re gale

15

PAOLAPISI
Dumuzi-Tammuz, alla ricerca di un dio

31

ANNA MARIAPOLVANI
Telipinu e gli di nascosti in Anatolia

63

PAOLOXELLA
Da Baal di Ugarit agli di fenici: una questione di vita o di morte

73

SERGIO RIBICHINI
La scomparsa di Adonis

97

MARIA GRAZIA LANCELLOTTI


Attis, il caro estinto

115

GIULIA SFAMENI GASPARRO

Demetra e Kore-Persefone a Eleusi: assenze divine e destini umani

151

MARIA ROCCHI

Morte di Dioniso e nuova armonia delle sue membra

181

ILEANA CHIRASSI COLOMBO

Postfazione: Why a God Must Die

199

Elenco delle abbreviazioni

209

Gli Autori di questo libro

211

PREFAZIONE*

PAOLOXELLA

Come ben noto, la novit del messaggio cristiano, la sua forza


dirompente che mina nelle fondamenta i sistemi religiosi del mondo
antico spazzandoli via nell'arco di pochi secoli, risiede nello "scandalo
della croce", cio nell'incredibile realt dell'unico Dio che scende sulla
terra acquistando la natura umana fino alle conseguenze pi estreme.
Ma alla Sua morte segue la Sua resurrezione, prototipo e garanzia della
resurrezione di tutti gli uomini che in Lui avranno fede. Secondo le pa
role di Paolo: Cristo mor per i nostri peccati secondo le Scritture,

fu

sepolto e resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture ( ...). Ora,

se

si predica che Cristo resuscitato dai morti, come possono dire alcuni
di voi che non esiste la resurrezione dei morti? Se non esiste la resurre
zione dei morti neanche Cristo resuscitato! ( ...)Ora, invece, Cristo
resuscitato

dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poich se a

causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verr anche la


resurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, cos tutti rice
veranno vita in Cristo. Ciascuno per nel suo ordine: prima Cristo,
che la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono

di Cristo; poi

sar la fine, quando egli consegner il regno a Dio Padre, dopo aver ri
dotto al nulla ogni principato e ogni potest e potenza

Corinzi 15, 3-24).

(/ Lettera ai

Per contro, la circostanza che altre religioni, diverse dal Cristiane


simo, contemplano una (o pi) divinit che muore, pu essere causa di

Per quanto riguarda le grafie dei nomi dei personaggi divini e/o mitici, s i

talvolta preferito adottare deliberatamente l a forma pi consueta, pur se


non perfettamente coerente rispetto alla traslitterazione dalla lingua origi
nale: cf. ad esempio i casi di Attis, Adonis e Osiride che, a rigore, avreb
bero dovuto essere citati come Attis/ Adonis/Osiris dvvero come Attide/
Adonide/Osiride. In ogni caso, si sono lasciati i singoli Autori liberi di
decidere sui criteri specifici da adottare, fatta salva la coerenza interna,
nell'ambito dei propri contributi.

incredulit o sconcerto, e non solo al giorno d'oggi. Gi alcuni autori


cristiani restarono colpiti da talune analogie - vere o presunte - tra certi
culti pagani e la "vera" religione, additando i primi come tentativi dia
bolici di generare confusione e fuorviare la fede. E' tuttavia fuori di
dubbio che, nel mondo antico, la credenza in "morti" divine dai diversi
esiti (inclusi resurrezioni e/o ritorni) e dalle varie conseguenze per
l'umanit, fosse abbastanza diffusa. Per tenerci lontani dall'epoca elle
nistica e romana, vanno ricordati - tra i casi non studiati in questo
libro - quelli mesopotamici di Apsu nella cosmogonia dell'Enuma
e/ish, di Kingu, il dio che viene sacrificato dalle altre divinit perch
l'uomo riceva da lui la scintilla divina, o ancora della voluttuosa
Inanna, ridotta a cadavere nell'aldil ma che poi, fortunatamente, viene
ripescata grazie al sacrificio di un suo sostituto. Tali esempi potreb
bero agevolmente moltiplicarsi, e i saggi che seguono ne forniscono
un'esemplificazione eloquente.
Comunque stiano le cose, proprio la "passione" e la "morte" di al
cune divinit sono state al centro di una riflessione profonda che non
ha cessato di interessare tano gli studiosi delle religioni che quelli del
Cristianesimo primitivo. Si tratta di un problema complesso e deli
cato, nella misura in cui esso chiama in causa le radici stesse della no
stra cultura e che pu coinvolgere emotivamente tanto i credenti
quanto i laici. Le domande di fondo, di rado formulate esplicitamente,
sono pi o meno le seguenti: se esistono prima di Cristo tradizioni
relative a personaggi divini che hanno anch'essi sperimentato e
superato la morte, e se questa loro vicenda ha conseguenze positive
(talora addirittura salvifiche, a vario livello) per l'umanit, c' un
rapporto storico e genetico con la vicenda di Ges? Qual la
consistenza, quali i limiti (se ve ne sono) della novit di quest'ultima e
del messaggio su di essa incentrato? Si tratta di un "modello" mitico
rituale preesistente e confluito mutatis mutandis nella tradizione
cristiana, oppure quest'ultima, con una metabasis eis allo genos, ha
compiuto anche sul piano storico un incomparabile salto di qualit,
segnando indelebilmente l'itinerario spirituale dell'umanit?
L'ampiezza straordinaria e le profonde implicazioni di queste do
mande sono tali da rendere impensabile che in un solo volume si possa
anche solo presumere di dare delle risposte definitive. E non si tratta
soltanto di limiti negli strumenti concettuali o nello spazio materiale,
ma anche perch ci si propone qui di restare solidamente ancorati al

piano storico, rifiutando programmaticamente ogni indebita evasione


nel campo delle valutazioni etiche e teologiche dei fatti studiati. Ma
anche cos l'impresa impegnativa e irta di difficolt di vario tipo.
In questo volume ci si propone di indagare, con obiettivit, rigore
storico e coerenza metodologica, proprio alcune figure di questi "di
morenti", nel tentativo di ricostruire, attraverso un'attenta analisi delle
fonti, le tradizioni mitico-rtual che li concernono. Lo scopo quello
di fornire una messa a punto chiara, affidabile e aggiornata per ciascun
personaggio preso in considerazione, nonch una valutazione storico
religiosa d'insieme, che serva da riferimento per futuri ulteriori appro
fondimenti.
Il materiale esaminato estremamente vario sia per la dispersione
spazio-temporale delle fonti che per la tipologia delle stesse: dai testi
cuneiformi mesopotamici, ittiti e siriani ai geroglifici egiziani; dalle
iscrizioni alfabetiche semitiche alle testimonianze letterarie ed epigrafi
che classiche; dalla documentazione archeologica e iconografica ai testi
patristici. Ci ha comportato la necessit di suddividere i temi e fare ri
corso, per ciascuno di essi, a studiosi che fossero anche specialisti
delle varie aree culturali, pur se tutti accomunati dalla sensibilit e dal
l'interesse per i problemi storico-religiosi e dalla consapevole utilizza
zione di una specifica metodologia. Non si trattato soltanto di
esporre "monograficamente" i dossiers relativi a ciascun personaggio,
ma ogni Autore stato posto di fronte ad un problema comune e
specifico: valutare se e in quali modi, forme e tempi i vari personaggi

muoiano, avendo cura di distinguere tra morti vere e proprie (ma le


cito parlare di morte "umana" per un dio?) e scomparse, latitanze, as
senze, ecc. Inoltre, si cercato di indagare cosa avvenisse dopo tali
eventuali morti/scomparse: se cio il dio risorgesse, ritornasse o

re

stasse confinato nell'aldil, e quali conseguenze avessero questi esiti


per i loro fedeli e l'umanit in genere.
La scelta dei personaggi qui presentati tutt'altro che arbitraria. Si
tratta, in primo luogo, d tutte quelle figure che, nel corso degli ultimi
due secoli, sono gi stati chiamati dagli studiosi a far parte della cJi..
scutibile (e discussa) categoria degli "di morenti''. Proprio la necessit
di ridscutere i limiti e l'eventuale arbitrariet di tale operazione ha
comportato tuttavia l'esigenza di aggiungervi altri personaggi apparen
temente affini ai primi, ma generalmente omessi (pi o meno voluta-

mente) dalla suddetta "categoria". Ci ha permesso non soltanto di ar


ricchire il panorama dell'indagine, ma anche di verificare pi a fondo la
validit euristica di certe tipologie e di evitare discriminazioni arbitrarie
talvolta inconsciamente finalizzate (sia consentito di avanzare questo
sospetto) a "far tornare meglio i conti", nell'una o nell'altra direzione.
Si prendono dunque le mosse dall'egiziano Osiride, mitico re del
l'aldil e prototipo del faraone defunto, per passare al mesopotamico
Dumuzi-Tammuz, a sua volta identificato in epoca tarda con il bell'
Adonis, l'amato dalle donne che lo piangono alle porte del tempio di
Gerusalemme. L'Anatolia fornisce, attraverso il

dio Telipinu (ma

anche attraverso altre figure minori), un caso di personaggio che,


indiscutibilmente,

non muore ma si

nasconde,

con

conseguenze

catastrofiche per il mondo divino e umano. Se vi una tradizione


consolidata di di che muoiono variamente e ritornano alla vita (in
forma divina o divinizzata), la ritroviamo senza alcun dubbio in Siria
Palestina, come testimonia esplicitamente il caso di Baal a Ugarit, alla
fine del II millennio,

e poi quelli (meno espliciti ma comunque

sufficientemente chiari) di alcune divinit cittadine fenicie (Melqart,


Eshmun, lo stesso Adonis, sia pure con gli opportuni "distinguo").
L'Attis trapiantato, per cos dire, dalla Frigia in Grecia e quindi a
Roma, forse un antico re divinizzato e rifunzionalizzato a fini cultuali
e teologici, rappresenta in un certo senso il ponte di passaggio con
l'Occidente. Qui Eleusi si segnala per la peculiarit della vicenda delle
divine Madre e Figlia,

Demetra e Kore, la

cui

sorte alternante

condiziona il destino umano. Chiude il panorama Dioniso, un immor


tale che condivide paradossalmente e tragicamente con gli eroi e gli
uomini la prerogativa della morte.
Il nostro obiettivo era di riflettere e far riflettere, proponendoci di
fornire la pi solida informazione storica possibile su un tema dalle
implicazioni

inesorabili:

quell'ineluttabile destino mortale

in

cui

l'uomo ha voluto di volta in volta coinvolgere i suoi divini interlocu


tori.
Testimonianza, forse, di un'ambizione senza limiti e insieme di
un'angoscia senza tempo, ma anche esigenza insopprimibile di fornire
alla propria esperienza culturale il pi sublime dei fondamenti.

IL PROBLEMA DEL "DIO CHE MUORE"

AUTORI VARI*

La definizione

di "dio che muore e risorge" (dying and rising god)

ha conosciuto un'enorme fortuna grazie all'opera di Sir James George


Frazer' il quale, a sua volta, era debitore ai lavori etnografici di W.
Mannhardt sul folklore contadino europeo, oltre che a certe correnti del
pensiero romantico tedesco2
La teoria di Frazer concerneva alcuni personaggi maschili delle an
tiche tradizioni religiose mediterranee (il "fenicio" Adonis, identificato
col mesopotamico Tammuz), il frigio Attis, l'egiziano Osiride, tutti
considerati protagonisti di una vicenda mitico-rituale di "morte" e
"resurrezione" apparentemente connessa con l'alternarsi delle stagioni e
il periodico rigenerarsi della natura. Queste figure sarebbero state mani
festazioni di un unico "modello" mitico-rituale di cui sembrava abba
stanza semplice delineare lo schema: personaggi soggetti a una crisi,
caratterizzati da una morte e una discesa nell'aldil, con un successivo
periodico ritorno alla vita, tutti profondamente legati ad una dea da un
rapporto amoroso. Ad essi Frazer aggiungeva anche Kore/Persefone e
Dioniso, che mostravano caratteri specifici, ma che potevano in qual
che modo assimilarsi ai primi.
La vicenda del dio che stagionalmente muore e quindi ritorna

dal

mondo dei morti avrebbe dunque simbolizzato il processo naturale che


veniva riattualizzato dall'uomo attraverso riti specifici, il cui scopo

era

quello di favorire il ritorno della vita in tutte le sue forme.


Per lungo tempo la teoria frazeriana raccolse ampi consensi e pochi
dubitavano dell'effettiva esistenza di un "archetipo" di dio morente e ri
sorgente nelle antiche culture del Mediterraneo. Col progredire delle
conoscenze, ai personaggi chiamati in causa da Frazer se ne aggiunsero

anzi degli altri: il babilonese Marduk, il sumerico Dumuzi controparte

(se
fu invece prestata a una figura importantissima, cio il dio siro

del pi tardo Tammuz, l'anatolico Telipinu. Minore attenzione


pure)

palestinese Baal, l'unico personaggio per il quale (come si vedr me


glio) attestato senza ombra di dubbio un ritorno alla vita, senza con5

tare alcuni di fenici come Melqart e Eshmun, per i quali la documen


tazione era oggettivamente molto meno abbondante, ma indubbia
mente orientata in senso analogo.
Col passare del tempo cominciarono ad affacciarsi dei dubbi e si re
gistrarono progressive reazioni critiche all'impostazione frazeriana e al
l'idea stessa che esistesse una categoria di "di morenti e risorgenti".
La storia recente degli studi mostra che ci si

confrontati con

l'impostazione del Frazer seguendo due direttrici tendenziali. Da un


lato, ci si posti di fronte a tale teoria nel suo impianto generale per
verificame poi l'eventuale fondatezza e limiti attraverso specifiche
esemplificazioni; dall'altro lato, vari studiosi interessati monografica
mente a questo o a quel personaggio "morente" hanno compiuto un
cammino inverso, partendo cio dai singoli dossiers per riconfrontarsi
poi con la teoria generale, modificando la o respingendola, a seconda dei
casi. Si pu aggiungere che, in generale, il primo approccio pi
frequente presso gli storici delle religioni "di mestiere", laddove i l
secondo h a pi largamente caratterizzato l e ricerche degli specialisti dei
vari settori.

Nell'uno come nell'altro caso, tuttavia,

della

teoria

frazeriana non stato contestato tanto l'accostamento tra le figure


selezionate, generalmente sempre analizzate a priori, quanto il comune
simbolismo che esse avrebbero veicolato. Si cercato di articolare i l
concetto d i morte/rinascita della vegetazione criticando l a semplice
equazione divinit

natura, senza abbandonare d'altronde del tutto

questa idea: non raro verificare infatti che ci si continua talora a


riferire a questi di come a delle figure legate ai cicli delle stagioni,
caricandole per contemporaneamente di altre valenze simboliche.
Attualmente gli studiosi sono tendenzialmente concordi sul fatto
che l'interpretazione frazeriana sorpassata e inadeguata, soprattutto
perch chiama in causa personaggi le cui differenze sono forse pi co
spicue delle somiglianze e i cui rapporti con la sfera della fecon
dit/fertilit - ammesso che esistano - sono limitati e, aggiungeremo
noi, devono essere piuttosto considerati come elementi di un codice
che va decifrato utilizzando una metodologia specifica.
Questo per non significa che tutti i dubbi e i problemi siano stati
risolti. In primo luogo, c' ancora chi continua a restare pervicace
mente attaccato ai vecchi schemi interpretativi, specie (ma non solo)
in ambito biblico e vicino-orientale. All'estremo opposto, va segnalata
la posizione di quanti, mirando ad eliminare ogni residuo dell'ingom
brante impianto frazeriano, finiscono per dissolvere totalmente la pro6

blematica negando che si possa mai parlare di "morti" e "ritorni" i n


vita per nessuna figura eroica e/o divina. Si deve infine registrare la
posizione di chi, pur riconoscendo i limiti dell'impostazione frazeriana,
recupera, per cos dire, l'antica categoria degli "di morenti" in base a
un'ottica diversa. A questi personaggi viene cio riconosciuta una certa
unit sostituendo la categoria degli "di morenti e risorgenti" con una
macro-tipologia (che si presume storicamente fondata) che ravvisa i n
essi dei cosiddetti "di in vicenda": personaggi soggetti a u n a crisi, ca
ratterizzati da un rapporto intimo e privilegiato con i propri devoti che
implica un'interferenza profonda tra il piano divino e quello umano,

senza negare i loro legami con il ciclo stagionale. A tali figure sarebbe
per lo pi connessa un'ideologia di salvezza (in questo mondo,
nell'altro mondo) variamente orientata e diffusasi nelle culture mediter

ranee a partire dai culti cosiddetti mistici, ma i cui precedenti affonde


rebbero in pi antichi "culti di fecondit" (di problematica identifica
zione e definizione i.
Un cenno merita infine un altro approccio al problema, che man
tiene in parte l'interpretazione frazeriana, ma ne ribalta i presupposti,
proponendo di individuare precise situazioni storiche che avrebbero

prodotto personaggi del tipo dying gods. Questi ultimi troverebbero


infatti la loro origine nell'accoglienza, in
dell'istituto

regale

nella

conseguente

ambiente

aporia

politeistico,

provocata

dalla

circostanza che un uomo di rango "divino" come il sovrano (faraone,


re) debba ugualmente subire la

sorte degli altri

mortali

non

condividere quella immortale delle divinit. Ricerche di questo tipo4


affrontano

il

problema

del

dying

god

ponendosi

in

decisa

contrapposizione alla teoria del "dema", resa popolare dagli studi di

A.E. Jensen, la quale sembrava offrire a etnologi e storici

delle

religioni una reale spiegazione alternativa all'origine del dying god


5
proposta dallo stesso Frazer. Jensen postulava infatti l'esistenza di un
tipo di religione basata sul mito di un personaggio, maschile o
femminile, che veniva ucciso e smembrato; i suoi resti venivano

sepolti e da essi spuntavano le prime piante alimentari.

tale

personaggio veniva esplicitamente ricondotto ad es. anche Osiride6

Sulla

scia di Jensen,

altri

dying gods furono

interpretati

come

personaggi-dema, legati cio ali' origine e al destino delle piante ali


mentari.
Appare dunque sempre pi indispensabile interrogarsi sulla legitti
mit di approcci che continuano a proporre l'accostamento - a vario ti7

tolo - di detenninate figure appartenenti a culture geograficamente e


cronologicamente differenti: possiedono tali personaggi degli aspetti
morfologici e funzionali veramente comuni che ne giustifichino la ri
duzione a una tipologia unitaria? Ha senso un tale approccio dal punto
di vista storico? Si possono mettere sullo stesso piano tennini (e av
venimenti) come "morte", "scomparsa", "latenza" da una parte, e
"resurrezione", "riapparizione" o "ritorno" dall'altra? E ancora: si pu
parlare d "morte" per un dio o per un eroe nella stessa accezione (che
andrebbe indagata scrupolosamente e caso per caso) che si usa per un
essere umano? In altri tennini, quanto pu una "tipologa" fondata su
queste basi costituire uno strumento enneneutico efficace per una mi
gliore comprensione delle figure considerate? Ci si deve insomma in
terrogare a fondo sulla liceit d continuare ad accomunarle in una
"categoria", magari non pi legata ai vecchi e superati schemi fertili
stici.
Risulta
queste

pertanto necessario riesaminare la

figure sia

usando

un

documentazione su

criterio rigorosamente

storico

sia

verificando - nella misura del possibile - cronologia e carattere delle


font. Il materiale relativo ai vari personaggi tutt'altro che omogeneo
e non consente facili generalizzazioni. Parlare genericamente di

un

Osiride significa, ad esempio, ricostruire arbitrariamente a tavolino una


figura unitaria che, come tale, non mai esistita storicamente; la
stessa figura di Dumuzi - troppo facilmente ( con)fusa con quella d
Tammuz - ha una storia plurimillenaria e, all'interno di questa, diverse
sono ad esempio le tradizioni mitico-rituali concernenti il personaggio
sumerico, da quelle accadiche che, specie a partire dal II millennio,
sviluppano soprattutto gli aspetti del rituale che saranno molto pi
tardi recepiti dagli autori di lingua greca e latina.
Oltre a questo, va tenuto conto del fatto che le figure in questione
appartengono a tradizioni religiose diverse, testimoniate da fonti in va
rie lingue: l dominio e il controllo diretto delle diverse documenta
zioni da parte di un solo studioso appare perci largamente utopistico.
Lo storico delle religioni si vede costretto a "fidarsi" di volta in volta
del sumerologo, dell'egittologo, del semitista, il che lo espone - se
non proprio all'arbitrio altrui- certo all'utilizzo di traduzioni superate o
eccessivamente disinvolte, su cui egli rischia poi di costruire interpre
tazioni parzialmente o totalmente infondate.
Partendo da una revisione critica delle fonti su ciascun personaggio,
per ogni epoca e cultura, alla luce di conoscenze molto pi approfon-

dite di quelle che aveva Frazer, questo libro si propone di verificare i


fondamenti di tale "tipologia", le ragioni che ne hanno costituito il
successo e quelle che eventualmente ne comprovano l'insostenibilit,
parziale o totale.
A tle proposito, importante tenere presente che lo stesso Frazer
non si era inventato ex nihilo la sua teoria sui dying gods. Egli era
stato indotto a focalizzare la sua attenzione su quelle specifiche figure
da una tradizione tarda (cf. pi avanti) che oggi siamo in grado di rico
struire e che, appunto, accomunava i personaggi in questione in base
ad una serie di pretese analogie. Lo studioso inglese quindi non si
mosso solamente sulla base di opzioni personali, ma ha recepito una
scelta ed una valutazione in chiave allegorica sorta in un determinato
momento culturale e storico e vi ha costruito una teoria storico-reli
giosa.
Il processo di identificazione tra le diverse figure si mosso in
epoca antica su due piani diversi che, successivamente, hanno finito
per fondersi: da una parte, la riflessione razionalistica sui miti mirante
ad attribuire alle divinit un "senso" naturistico e/o etico (cf. ad es. lo
Stoicismo); dall'altra parte, lo sforzo compiuto dagli apologeti
cristiani - per la potenziale pericolosit di figure cosl simili al Cristo di accentuare le somiglianze tra i diversi "di morenti", per creare una
categoria "totalmente altra" da contrapporre in blocco alla figura del
Salvatore. L'idea di una resurrezione di tali divinit legata a un qualche
tipo di beneficio per gli uomini non era certo estranea ad alcune di
queste tradizioni mitico-rituali, n occorre sempre e necessariamente
pensare a un'influenza cristiana. Gli apologeti cristiani erano d'altra
parte inclini a speculazioni razionalistiche sul divino, gi operate dai
filosofi precedenti. Essi si proponevano di dimostrare che i personaggi
venerati non erano veri di, ma proiezioni di fenomeni naturali, vale a
dire false rappresentazioni destinate a scomparire davanti alla verit
cristiana dell'unico Dio. Nella stessa direzione, mutatis mutandis,
andavano anche i Neoplatonici, ultimi difensori del paganesimo ormai
al tramonto: nel loro caso, tuttavia, la rilettura dei miti e dei riti non
eliminava la qualit divina dei protagonisti ma li

ipostatizzava,

considerandoli diverse manifestazioni di un unico principio articolato


1
nei vari livelli di realt
Se le ragioni che hanno indotto certi autori antichi ad un accosta
mento tipologico di questi personaggi si comprendono alla luce delle
tendenze

culturali

religiose

della
9

loro

epoca,

pi

difficile

giustificare l'attitudine di certi moderni a voler trovare a tutti i costi


delle analogie (morte, resurrezione, nessi con il ciclo stagionale, eventi
drammatici in generale affrontati) in figure che, a dispetto delle comuni
radici mediterranee, sono molto differenti l'una dall'altra. A ben
guardare, poi, un altro condizionamento in agguato, con effetti forse
non meno negativi sul piano scientifico. Si tratta dell'assunto che nega
aprioristicamente l'esistenza di una sequenza morte/resurrezione nei
dossiers

di

questi

personaggi,

comprensione storica di eventuali

che

impedisce

"resurrezioni"

ipso
al

di

facto
fuori

la
del

Cristianesimo. In altri termini, si individua talora la tendenza - pi


evidente in chi impegnato religiosamente, ma talvolta operante anche
nei "laici" - a ritenere che a un solo dio nel corso della storia sia stato
concesso di risorgere veramente, mentre per gli altri si tratterebbe, di
volta in volta, di forme di "ritorno" di varia e differente natura.
Valgano a titolo di esempio le osservazioni di K. Pri.imm, la cui
acutezza di studioso sembra in questo caso essere superata dall'impegno
fideistico. In un articolo dedicato proprio alle divinit "morenti e risor
genti" egli criticava l'uso stesso della definizione (evidentemente
derivata dalla terminologia cristiana), perch con essa si afferma come
storicamente accertato il fatto da provare, cio la somiglianza del
cristianesimo in un punto cos centrale,
risurrezione,

con

il

sostrato

qual la

mitologico

di

dottrina della

questi

culti.

Egli

protestava contro l'applicazione ad altre figure, reali o mitiche, dell'idea


di resurrezione. Per Pri.imm mancava, per questa vicenda, ogni
paragone non soltanto nell'ordine reale della storia, ma fino ad un
certo grado anche in quello dell'ordine ideologico (per quanto era
accessibile a Tertulliano, di cui si cita una celebre affermazione). L'A.
non escludeva per che l'idea di un dio morto e risorto potesse avere
avuto una certa preistoria almeno nel desiderio religioso dell'umanit
antica. Reagiva

contro

l'affermazione

tout

court di

un

valore

soteriologico (da parte di non pochi storici della religione) attribuibile


alla sorte degli eroi pagani, cosa che invece avrebbe potuto costituire
un punto di partenza per un'indagine scientifica extra-teologica. Il
valore soteriologico anzi non creerebbe difficolt al Kerygma aposto
lico della redenzione, che insegna il

fatto storico della salvezza

dell'uomo, avvenuto in un tempo e in un luogo determinato. Pri.imm


sottolineava comunque (se pure ve ne fosse stato bisogno!) la libert
del teologo di affermare la trascendenza e
10

sublimit

dei misteri

cristiani, nonch di credere che i culti pagani avessero un valore sote


riologico identico a quello cristiano7
In questo contesto pare allora quanto meno sospetta l'assenza, negli
stu di di insieme sui dying gods, dell'ugaritico Baal, per cui i testi par
lano esplicitamente di un ritorno in vita dall'aldil come momento
culminante della sua "vicenda", con tutte le implicazioni che essa

comporta per l'uomo. Tale personaggio resta quasi sempre ai margini

negli studi storico-religiosi, ovvero se ne mettono in dubbio i fonda


menti documentari (in realt inattaccabili), forse a causa dell'imbarazzo
che pu suscitare l'inclusione nella "tipologia" di un vero risorto, di
ambiente siro-palestinese, la cui vicenda di "resurrezione" non pu es
sere ovviamente imputata all'influsso del Cristianesimo.
Alla

luce

di

queste

riflessioni

si

rende

pertanto

necessario

riaffrontare il problema dei cosiddetti "di morenti e risorgenti" su


nuove basi e con una nuova coscienza del condizionamento esercitato
dal Cristianesimo e da una serie di scelte aprioristiche, connesse o no
con quest'ultimo, vuoi di tipo polemico vuoi di tipo apologetico.
In sede di esposizione specifica e di conclusioni si proceder a una
valutazione generale e a una verifica delle analogie tra le diverse figure
chiamate in causa, sia quelle citate tradizionalmente, sia quelle per lo
pi tenute fuori dall'indagine. Ma per essere ritenute tali, le eventuali
analogie dovranno essere non solo di natura morfologica e funzionale,
ma anche coerenti dal punto di vista storico. Solo a questo punto sar
possibile pronunciarsi sulla validit euristica del creare, per quello che

riguarda l'oggetto della presente ricerca (ma non solo per essa!), una
"categoria" alla quale eventualmente far afferire - anche solo a scopo

euristico - i personaggi studiati. Ma, e questo vale la pena di sottoli

nearlo, proprio l'assenza di assunti aprioristici potrebbe condurci a una


possibilit estrema, quella cio che queste figure non permettano di
proporre alcuna "tipologia". In questo caso sar proprio la categoria 00.
gli "di morenti" ad essere dichiarata morta per sempre.

11

Il testo di questo capitolo si fonda in gran parte su un lavoro ancora ine

dito di M.G. Lancellotti dal titolo "Le thme du 'dieu qui meurt' l'poque
perse: les aspects mthodologiques", presentato al Ve Colloque Internatio
nal "La Transeuphratne l'poque perse: religions,
images", Parigi 30/3- 1/4/2000,

croyances, rites et

i cui Atti sono attualmente in corso di

stampa. Tale contributo stato in qualche sua parte rielaborato e lieve


mente modificato dal curatore, con il consenso dell'A., per essere adattato
al presente volume, di cui costituisce un'ideale introduzione. Questo per
quanto concerne la sua "storia" redazionale. Alcuni amici e pi stretti col
laboratori del volume (l. Chirassi Colombo,

S. Ribichini,

G. Scandone

Matthiae) ne hanno successivamente preso visione e hanno espresso la


propria adesione al metodo e ai contenuti, oggetti del resto di discussioni e
riflessioni comuni. E' dunque per tali ragioni che apparso opportuno al
curatore - d'intesa con gli interessati - adottare la formula "Autori vari" per
la paternit di questo contributo: si rende cos giustizia a chi vi ha concre
tamente lavorato, ma se ne esplicita al contempo il carattere di riflessione
comune aperta a molteplici apporti, diretti e indiretti, di vario tipo.

NOTE

J.G. Frazer, The Golden Bough, III ed., voli. IV-V, The Dying Gode Ado

nis Attis, Osiris, I ed., London 1890, 2 voli.; II ed., London 1900, 3 voli.;
III ed., London 19 1 1- 1915, 12 voli. Per quanto riguarda la differenza tra le
diverse edizioni cf. J.Z. Smith, Drudgery Divine, Chicago 1990, pp. 9 1-

92, nn. 12-13.


1

W. Mannhardt, Wald- und Feldkulte, 2 voli., Berlin 1875-1877 (Il ed.

1905).
2

Cf. U. Bianchi, "Initiation, mystre, gnose", in C.J. Bleeker (ed.), Initia

tion. Contribution to the Theme of the Study-Co nference of the Interna


tional Association far the History of Religions Held at Strasbourg, Leiden

1965, pp. 154-171 =id., Selected Essays on Gnosticism, Dualism and


Mysteriosophy, Leiden 1978, pp. 159- 176; id., "Lo studio delle religioni
di mistero. L'intenzione del Colloquio", in U. Bianchi - M.J. Vermaseren
(edd.), The Soteriology of the Orientai Cults in Roman Empire, Leiden

1982, pp. 1-15; id., "Epilegomena", in ibidem, pp. 9 17 -930; e altrove


nella sua vasta produzione scientifica.

12

Cf. D. Sabbatucci, Il mito, il rito e la storia, Roma 1978; id., Da Osiride

a Quirino, Roma 1984, e altri luoghi della sua produzione scientifica, spe
cie Mistica agraria e demistificazione, Roma 1986. Sul problema cf. infra
la

Postfazione

di

l.

Chirassi

Colombo,

anche

sui

rischi

di

una

"demolizione" indiscriminata.
4

Cf. soprattutto A.E. Jensen, Das religiose Weltbild einer fruhen Kultur,

Stuttgart 1948, tr. it. Come

una

cultura primitiva ha concepito il mondo,

Torino 1952.
5

Id., Mythos und Kult bei Naturvolker, Wiesbaden 1951.

Sulla rielaborazione filosofica e cristiana dei miti classici cf. tra gli altri

F. Buffire, Les mythes d'Homre et la pense grcque, Paris 1956; J .


Ppin, Mythe e t allgorie, Paris 1976; I. Chirassi Colombo, "Modalit
dell'interpretatio cristiana di culti pagani", in M. Pavan (ed.), Mondo
Classico e Cristianesimo, Roma 1989, pp. 30-43. Come ha giustamente
sottolineato J.Z. Smith, op. ci t. (n. l), la teoria del dying god molto pi
importante per la storia degli studi che per la ricerca storico-religiosa

in

quanto tale.
7

Cf. K. Pri.imm, "I cosiddetti 'dei morti e risorti' nell'Ellenismo", Grego

rianum, 39, 1958, pp. 410-439.

13

OSIRIDE, L'AFRICANO
ovvero la morte regale

GABRIELLA SCANDONE MATIHIAE

"Per i Greci il carattere di Osiride

in quanto re

morto era quasi privo di significato. Per gli Egi


ziani

ne costituiva

la caratteristica

pi

impor

tante... Tuttavia le credenze greche oscurano com


ple tamente quelle egiziane".
(H. Frankfort,

Kingship and the Gods, p. 292).

Osiride, il celeberrimo dio dell'aldil e re dei defunti nel sistema

re

ligioso egiziano classico, compare piuttosto tardi nel pantheon del


paese del Nilo: le sue prime attestazioni, infatti, risalgono alla fine
della V- inizi della VI dinastia

(2500- 2270 a. C. ca.). Egli menzio


Testi delle Piramidi, raccolta

nato per la prima volta esplicitamente nei

di formule magiche e non, di varia origine e antichit, destinate ad as


sicurare la vita eterna nell'oltretomba prima di tutto al sovrano defunto

e, in seguito, a pochi privilegiati della famiglia reale. I Testi delle Pi


ramidi sono cos chiamati dagli studiosi moderni perch iscritti sulle
pareti interne delle piramidi dell'ultimo faraone della V dinastia, Unas,
di quasi tutti i faraoni della VI e di alcune regine consorti dell'ultimo

re

della VI dinastia, Pepi Il. Essi furono raccolti e sistemati, sembra, dai
sacerdoti di Heliopolis, citt del dio Sole: quindi, in essi prevale una
visione dell'aldil fortemente influenzata dal culto solare e dall'idea del
destino celeste ed astrale riservato al sovrano post mortem.

Osiride, esponente di un altro corso di pensiero mitico-religioso,


non vi ricopre perci un ruolo particolarmente significativo. Egli ,
tuttavia, presente e, dalle formule in cui nominato, si pu compren
dere, seppur non in modo dettagliato che, a quell'epoca, il mito che ne
narra i patimenti e il martirio era gi stato costituito.
Osiride mu()_r: discende nel Mondo Inferiore, sotto la terra, l dove
;
pr
a- a reg_
-1
_ ?

de_s

j!_- !!e
15

f-

e.:f <

tato lo stesso destino, in contrasto, ma anche in Qarallelo, con l'asces

af cielo ed il soggiorno nella barca di R o tra le stelle imperiture ri

servatogli dalla religione di i111postazione sol <ire. Si pu osservare la

presenza di una certa ambiguit nelle formule osiriane dei

Testi delle
Piramidi: in alcune si augura al faraone di "diventare Osiride" nel
mondo sotterraneo, mentre in altre (poche) formule il dio e la sua cer

chia di divinit sono palesemente disprezzati e, in un caso, insultati

() (Form.1267 dei

Testi delle Piramidi).

Ma questi pochi resti, derivati dall'ostilit degli ambienti religiosi

"solari", scompaiono nella successiva raccolta di formule redatta per tu

telare il morto nell'aldil: i

Testi dei Sarcofagi, cos chiamati perch

scritti ad inchiostro sulle pareti interne dei sarcofagi lignei soprattutto

del Medio Regno (2000 - 1800 a. C. ca.). In essi Osiride trionfa e la

sua presenza assai pi frequente di quanto lo fosse

ramidi.

nei Testi delle Pi

A questo punto necessario compiere un passo indietro, per

spiegare il perch del "progresso" del dio. La fine dell'Antico Regno fu

seguita da una fase di forte instabilit politica dell'Egitto, caratterizzata,


oltre che da infiltrazioni dei vicini asiatici, da pesanti lotte intestine.

Contemporaneamente il privilegio, dapprima esclusivamente regale e,

in seguito, di alcune regine, dell'identificazione con Osiride, venne, a


poco a poco, avocato a s dai grandi personaggi della corte e poi anche

da quei pochi comuni mortali che potevano permettersi il lusso di farsi

costruire una tomba bene equipaggiata.

Tale modificazione della situazione antecedente determin, natural

mente, l'esecuzione di numerose stele recanti invocazioni di sovrani e

di privati ad Osiride, con la relativa raffigurazione del dio, che rimarr

sostanzialmente invariata per tutta la lunga durata della storia egiziana.


Osiride rappresentato sempre in aspetto umano, strettamente avvolto

nelle bende della mummificazione. Le mani sono libere dalla costri

zione delle fasce: con una egli impugna il flagello e con l'altra uno

scettro, detto in egiziano

heka. Sul capo reca, all'epoca del Medio Re

gno, l'alta Corona Bianca, simbolo della signoria sull'Alto Egitto, il

Sud del paese. In seguito, durante il Nuovo Regno, oltre alla Corona
Bianca, Osiride porter assai spesso la grande corona chiamata in egi

ziano

atef, in origine caratteristica del faraone, come dimostrano vari

esempi dell'Antico Regno. Mentre la Corona Bianca sicuramente il

simbolo della regalit altoegiziana, non altrettanto facile comprendere


il significato racchiuso nella corona

atef Forse si trattava, in origine,

16

di un'acconciatura propria del sovrano defunto, che alludeva alla vita


eterna nell'aldil, come sembra potersi dedurre da passi dei Testi dei
Sarcofagi: ma questa non certo un'interpretazione sicura. Si tratta
solo di un'ipotesi, che difficilmente potr essere confermata.
La fortuna di Osiride continuer, sempre maggiore, nel Nuovo Re
gno: ormai ogni defunto che ne abbia la possibilit tende ad identifi
carsi con lui e, per la prima volta, abbiamo in questo periodo non solo
allusioni, ma testi egiziani che parlano a lungo delle sue vicende dolo
rose. Il pi importante la narrazione del processo, svoltosi davanti al
dio-Sole Ra e all'Enneade, per decidere se si debba attribuire ad Horus,
figlio postumo di Osiride e della sua sposa Iside, la sovranit sull'in
tero Egitto, usurpata dal malvagio e turbolento dio Seth, fratello as
sassino di Osiride e quindi zio di Horus. Inoltre, nel celebre Libro dei
Morti (cos chiamato dagli egittologi moderni perch presente nella
maggior parte delle sepolture del Nuovo Regno: il suo titolo in egi
ziano Libro dell'Uscire di Giorno), Osiride l'arbitro supremo, da
vanti al quale, e ai suoi quarantadue giudici, il defunto deve discolparsi
dei propri peccati, sottoponendosi alla pesatura del cuore. Sull'altro
piatto della bilancia, l'immagine di Maat, entit divina che per gli antichi Egiziani impersonava la verit, la giustizia ed il giusto equilibrio
dell'universo, garantisce la veridicit delle parole del defunto, destinan
dolo, se stato sincero e ha bene operato, alla felicit ultraterrena, ov
vero consegnandolo alla Divoratrice infernale, mostro femmina mezzo
coccodrillo e mezzo ippopotamo, se invece ha ardito mentire sulle pro
prie passate azioni.
Fino alll!_fiJ!e_j.el_ti_ovo. Regno, Osiride seguita -(!re sem_p!i
cemente il re dei mof!:j t!.d 11 signore dell'aldil quindi a conservare ca
reristiche esclusi(lf!ll! giziaf!. Con il disgregarsi dell'Egitto
unito e le -ripetute-Invasioni straniere nel corso del I millennio a. C.,
che culmineranno con l'avvento al trono faraonico della dinastia stra
niera dei Tolomei nel IV sec. a. C., !o, insime alla onsorte-,2rella Iside, diverr protagonista _diU!ll! re_!igiQJ! .s.i!lfretitiC:<!_ salvifica,
chnon ne ten pi in gran conto l' "egizianit", ma _gli attribuil--ca
ratferistiche universali: basti "pensare alla figura dlylna, di-nuova rea
zione, di _Qsi!i_<!e_p}_erap!c!_. A ql!esto_IJ\!ne>.Qsirid _1!9!1.1 pi_ len
tit divina originaria, avendo diluito e mescolato le proprie peculiarit
l"n-unsorta di f!!:eJ!jllg pot J!ldit(!mm_o: In questa indagine si intende
trattare prevalentemente dell'Osiride "egiziano", della genuina figura di
17

"

"dio che muore", riservando solo alcuni accenni agli sviluppi della sua
figura e del suo culto in epoca ellenistico-romana.
Ritornando, dunque, al racconto-mito dell'uccisione e dello smem
bramento di Osiride, vogliamo qui riassumerlo brevemente, per pun
tualizzame gli elementi basilari. lnnanzitutto, dobbiamo ricordare che,
seppure la letteratura egiziana farao11ica classica contiene fruenti allu
sl.oiifenarrazioni parz.iali delle vicende de dio, il mito in . folJlla com
pletici noto solo dlJ.lla.tardissiml! redazione di Plutarco.Nel DelsJe
f Osirid lo storico di Cheronea, vissuto tra il I ed il II secolo d. C.
(471:27 d. C.), narra de(t)iion re Osiride, eroe civilizzatoredrascita
divin-(eri'f]glio di Nut/Rhea e di Geb/Kronos), che insegn agli Egi
ziani l'agricoltura, la legge,e la venerazione degli di. II perfido fratello
gemello di Osiride, Seth (da Plutarco chiamato Tifone), lo uccise con
uno stratagemma, rinchiudendolo in una bara, che fu poi gettata nel
Nilo. Alla notizia dell'assassinio Iside, sorella e moglie affettuosissima
di Osiride,inizi una lunga e disperata ricerca del cadavere del consorte.
Ella fin per ritrovare la bara sulle coste del Levante, 11 Biblo; la
nascose in un luogo sicuro e raggiunse il fig
_ lio Horusfche veniva
) allevato in segreto a Buto, nelle paludimpenetrablfi del delta del Nilo.
Seth scopr la bara, l'apr, fece il corpo del fratello in quattordici pezzi,
che disperse. Iside li ritrov e li riun, ad eccezione di uno: il fallo,
mangiato dai pesci. Ma la dea lo sostitu con uno finto, affinch la
spoglia del marito fosse completa. Osiride fece !J2!:2QfO ingresso nel
tldil,da cui_torn solo per aiutare il figljQ.tlf>runella lotta..oni:fQ
v ! th peil d()mino sull'Egt"f La battaglia dur molti giorni e si
concluse con la vttoria di Horus, sostenuto dagli altri di anche du
rante il successivo processo intentatogli da Seth, che non voleva asso
lutamente cedere la regalit al nipote. lsidE.()1sllln ad Osiride anche
dl consorte e ne ebbe un figl}9 pre!Ilaturo e rachitico:
ate\
0
La narrazione di Plutarco riproduce abbastanza fedelmente il mito
originale; se ne discosta, tuttavia, in alcuni punti, decisamente impor
tanti. Innanzitutto, secondo la tradizione egiziana classica, Osiride non
ucciso da Seth con il sistema di chiuderlo vivo in una bara, ma viene
colpito con un'arma, o affogato nel Nilo. Poi, la ricerca del cadavere
del dio condotta non dalla sola Iside, ma da Iside e dalla-sorella Nef' tis, c.!:'. ()!!t c<>.Pe :4f1amllt!).tr'ici., :-1?-:=ife
mo.!:. ebr}J?.C!.t_t.J_t-1:\llt:at!lf:illa t()ri(l_gz !: In terzo
J n.
/

;l .'!1.()!:1<?
-

__

18

luogo, il corpo del dio ritrovato in Egitto e non si fa menzione di


Biblo; !!!llt()J()!S_e_pi_sis_lliftc_ !ivo_e.gli!tr!1__si
af!l!lle Qsi:r:de Il!Ot!()Un solo fig_ljg1_ Ho!\!s X!:gi! ti-l_ f!o.. zapo<i_ mt<:>_
_!!!_!:lel!.U.!!:P I1TIE1:lone di due Horus, na..t:i__l'uno prima
-del p. Horus pro-tto, X!tf()_.Q()Stl1I1_1<:L.(l!:li2!lls)..: Un ultimo im- /
portante puntoi d':'_eSI13:<l.t:t:a. la_ve.rione_pJJ!1!!I'che_a,__l'ori_giJl
iiiilalneili neoritorno di Osiride sulla terra in aiuto di Horus, . riferito /..
dallo storico-greco. nfiti:nef milo egiziano, Osiride nonitorna-mai <""
dall'aldil, neppure per dar inanforte-a1 figlio:-A.nche nelfa-'Thniesa di :
Horus e Seth", raconiO.:mltoiliciiattere-ppolare la cui prima
zione sembra risalire al Medio Regno (2000 1750 a. C., mentre il pa
piro su cui ci giunto il testo databile al tardo Nuovo Regno, 1160
a. C. ca.), Osiride non ricompare sulla terra per affermare la legittimit
di Horus come suo erede. Onde conoscerne il parere Thot, lo Scriba di
vino, gli invia una lettera agli Inferi, rivolgendoglsi con i titoli riser
vati al faraone. Osiride risponde, naturalmente, che la regalit spetta al
proprio figlio, ossia ad Horus. Ma non interviene assolutamente di
persona davanti al tribunale a sostenerne i diritti.
Un altro importante testo religioso, la cui antichit ha suscitato
numerose discussioni tra gli studiosi, la cosiddetta "Teologia Men
tita", giunta a noi su una lastra di pietra datata alla XXV dinastia, ma
probabilmente composta in epoca assai pi remota. Essa incentrata
sulla figura di Ptah, dio creatore e signore di Menfi; vi si fa per men
zione delle vicende di Osiride: l' annegamento nel Nilo, il recupero del
corpo ad opera di Iside e Neftis e il seppellimento nel tempio di Ptah
in Menfi (diverse citt egiziane, oltre alla tradizionale Abido, si gloria
vano di possedere una tomba, o meglio cenotafio, di Osiride). Ecco il
brano della "Teologia Mentita":
.

__

E cos Osiride fu sepolto nel Palazzo del Re (ossia nel


tempio di Ptah) nel lato nord di questo luogo.
Anche in quest'opera di alta teologia, dunque, Osiride considerato
morto per sempre, senza alcuna prospettiva di ritorno sulla terra.
--A tale concettocorrispondono i riti in onore defaiO,Clie-slelebra
vano nelle due citt a lui particolarmente sacre: Busiris, nel Delta cen
trale e, soprattutto, Abido, in Alto Egitto. A Busiris, capitale del IX

19

nomo del Delta, il cui dio originario era l'antropomorfo Angiti, si


svolgevano i cc.dd. "misteri" osirian, di cui parte fondamentale erano
le cerimonie consistenti nello "sminuzzare la terra" (con la zappa) e
nell'erezione del pilastro Ged, considerato la colonna vertebrale del dio.
Con la prima cerimonia s alludeva all'aspetto di Osiride come provve
ditore di cibo (se ne vedr pi tardi il motivo); con la seconda, al suo
trionfo postumo sui nemici.
Ad Abido, principale centro di culto di Osiride, che aveva preso il
sopravvento sull'originaria divinit canina (lupo o sciacallo) funeraria
indigena Khentiamentiu, il cui nome significa "Il Primo degli Occiden
tali" (ossia dei defunti) e si era con essa sincretizzata nella forma
"Osiris-Khentiamentiu", si celebravano ugualmente riti "misterici" in
onore del dio, dei quali abbiamo notizia sin dal Medio Regno.
Infatti, la stele di Ikhemofret, alto funzionario del re Sesostris m
della xn dinastia ( 1878 -1841 a. c. ca.), contiene una brevissima de
scrizione di tali riti, in cui si fa cenno ad una "grande battaglia", alla
sepoltura di Osiride a Peker ed alla sua successiva intronizzazione come
Sovrano dei Defunti nel suo "Palazzo" di Abido, ossia nel principale
tempio della citt.
Molto oltre nel tempo, a circa 1500 anni di distanza, abbiamo noti
zie pi ampie sui "misteri" di Abido dai testi del tempio tolemaico di
Dendara, che trattano delle celebrazioni osiriane nel mese di Khojak.
Nel corso di esse, si rappresentavano i "patimenti" di Osiride (sincretiz
zato con il menfita Sokaris, mummiforme dio-falco preposto all'
aldil), terminanti con la mummificazione, la sepoltura e la conse
guente signoria sul regno dei defunti.
l cil!e.dolo
Con i! procedere del tempo, dunque, la commemoaziQ'e
rose vicende dl Osiride venne ad assumere l'aspetto di una ')aera rap
presentazione", una sorta di "passione", che affondava le radici nel
l'eterna speranza dlogrii essere umano: rinascere--ad una vita futura,
clrnadi felicit e di tutte le soddisfazioni mai raggiunte in quella ter
rena. Osiride, dopo tanto soffrire, diviene sovrano dei defunti e regna in
un'eterna beatitudine, avendo inoltre trionfato sui nemici che sulla terra
oharirio cos vilmente ingannato. Allo stesso modo, l'uomo onesto,
buono elberoillil peccato, identificandosi con il dio prima martire e
poi trionfante, era sicuro di conseguire nella vita futura la ricompensa
alle sofferenze ed alle delusioni di cui certo l'esistenza terrena gli era
stata prodiga.

20

Q_obbi aillO quin.di ribadire che Osiride muore e non risorge:_egU c(


stato all'origine, prima della cosiddetta "democratizzazione" del cred0'
osiriano, esclusivamente il simbolo per eccellenza, il prototipo, del re <
morto, del faraone che ha terminato la propria funzione terrena. Se
condo quanto ha scrittg l:egittologo inglese J.G. Griffiths, che ha di-
SteSaiiiente stiidTto l'origine di Osiride, la morte di Osiride in realt
laffiite del re. A lui deve, di necessit, succedere nel regno il figlio, <
f[()rus, prototipo del faraone vivente, il cui primo e pi sacro dovere
iadare una degna sepoltura al proprio padre, come afferma una serie
numerosa di testi egiziani. La successione diretta Osirde/padre - HO:
rusffiglio era garanzia di un corretto svolgersi della vita del cosmo. Era
la realizzazione terrena della Maat, questo concetto cos peculiare alla
mentalit dell'antico uomo egiziano che possiamo rendere, imperfetta
mente, nella nostra lingua non con un solo termine, ma con diversi:
equilibrio universale, giustizia, ordine, verit, armonia.
Ma il "morto" Osiride continuava a vivere; o meglio, non a "vive
re" nef senso' di resuscitare, ma ad essere presente sulla terra mediante
alCune manifestazioni naturali. Gi nei Testi delle Piramidi si dice che
dalle linfe del corpo del dio deriva l'inondazione del Nilo, la cosiddetta
"acqua pura" o "acqua giovane": Horus viene per riconoscere in te suo
padre, nel suo nome di "acqua giovane" (Par. 589 dei Testi delle
Piramidi) e l corsi d'acqua sono colmi, i canali debordano a causa delle
purificazoni che vengono da Osiride (Par. 848 dei Testi delle Pira

midi}.

Il concetto pi volte ribadito in numerosi testi posteriori, fino a


Plutarco (De fs. et Os. 39, trad. M. Cavalli), il quale scrive: <l rac
conto dell'imprigionamento di Osiride nella bara, quindi, altro non sa
rebbe che il simbolo del decrescere delle acque e della loro scomparsa:
per questo che la scomparsa di Osiride viene fissata nel mese di Athyr,
quando cio i venti etesii non soffiano pi, il Nilo va in secca e la terra
spoglia.
In realt, bisogna distinguere il fenomeno simboleggiato da Osi
ride, ossia l'nondazione, dal Nilo in quanto corso d'acqua. Quest'ul
timo, infatti, era impersonato da una diversa e ben precisa divinit:
Hapi. Quindi, Osiride all'origine non era identificato con il Nilo, come
avverr in seguito, bens esclusivamente con l'acqua dell'inondazione
che portava fertilit e rinnovamento all'Egitto intero, ed era una delle
manifestazioni benefiche, dei "messaggi", indicanti che il dio, dall'al21

\
"'

l
'

dil, continuava a prendersi cura degli uomini.


Una seconda manifestazione di Qii:!Q, aJ!c:bsa .l!Si __significativa
per comprenderne la-veriedultima essenza, si esplicava nello spuntare
e-nellacrescitidei cereali: grno,_ orzo, spelt. Come scriv H. Frank
fort inun magistrale studio sull'origine divina della monarchia egiziana, sempre valido nonostante risalga a oltre cinquant'anni addietro,
Osiride "riappare" nel grano gi in testi assai antichi, come la contro
versa "Teologia Menfita" e il "Mistero della Successione". Anche nella
gi citata "Contesa di Horus e Seth", forse risalente al Medio Regno,
Osiride cos risponde al dio-Sole Ra: Perch si farebbe torto a mio fi
glio Horus, poich sono io che ho fatto l'orzo e tutto ci che nutre gli
di, e anche gli esseri viventi dopo gli di, mentre nessun altro dio, o
dea, stato capace di farlo?. Sempre secondo le parole di Frankfort,
anche se stato seppellito nella terra:Osiild non un d dHa terra -e
dlfe- messi, ma delle manifesta:il.onidella vita emananti dalla terra:In.:::
fatti--come abbiamo- ricorcat per quanto riguarda -il Nilo, anche il
grano era identificato ad una diversa e ben precisa divinit, Nepri, e le
messi ricadevano sotto la sovranit di una dea, Renenutet. Quest'ultima
aveva forma ofidica, come si conviene ad un'entit divina che presiede
ai prodotti del suolo, habitat naturale dei serpenti. Una volta di pi,
dunque, si deve operare una distinzione tra Osiride che si manifesta nei
cereali, ma non i cereali, e gli di preposti specificamente ai grani e
al raccolto: Nepri e Renenutet.
Un'ulteri-lllanifestazione di Osiride che, a prima vist, sembre
rebbe aliena da legami con la terra, quella che lo vede risiedere in u_na
stella: Orione. Gi nei Testi delle Piramidi si dice: Ecco che egli ve
nuto come Orione; ecco che Osiride venuto come Orione (Par. 819).
Tuttavia, per quanto a noi moderni possa sembrare assurda, la spiega
zione quella che troviamo nella gi citata opera di H. Frankfort sul
l'origine della regalit egiziana: Tutto ci che sembra provenire dalla
terra pu essere considerato una manifestazione di Osiride. E, per
quanto ci possa sembrare paradossale, la nozione si applica a tutti i
corpi celesti. Le stelle sorgono all'orizzonte, e cos il sole e la luna,
cosicch Osiride chiamato "Colui dell'Orizzonte, da cui sorge Ra".
Ancora una volta, il dio si manifesta in quel che (apparentemente)
emana dalla terra. A questo punto si potrebbe pensare che Osiride sia la
Terra: ma non cos. La Terra, nel pensiero mitico egiziano, era di
sesso maschile: Geb, consorte di Nut, la dea-cielo, e genitore di Osi
22

ride, lside, Seth e Neftis. Osiride sUt:Q.a, come gi si detto, nelle


mani_!!OJ1i vitali emananti dalllJ. terra; ra:biUSO perS.empri_SS,
fa se_nil_!?P.'i_presc;:nza nel grano che germoglia, nell'inondazion
dffiume, nel sQ_rt:t!_9L9Ii9n,--L!!:tta, quindi, di un'ntit-(iiVlii
fleilonncoe i_!1-_@aJ1tO _S stessa _sulla terra, ma rnsita nle-su
essiQIj_j _vitA_ di ri!lJl_o_val_!l_t!llto__,__c_eflg n(m _c:l!!finibili _'):,Yifi
zioni".
-osiride all'origine non altri (e lo si detto precedentemente) che
la figura, l'icona, del faraone morto, contrapposto a Horus, il faraone
vivente; nella loro successione che , in ultima analisi, l'eterno avvi
cendarsi della vita e della morte, risiede gran parte dell'attuazione della
Maat nel cosmo, garantita dai riti che devono accompagnare la sepol
tura del vecchio re e l'accessione al trono del nuovo. Osiride, in quanto
re morto, continua, tuttavia, a possedere una forza vitale operante a be
neficio degli esseri umani: egli "detentore" delle acque fertilizzanti
dell'inondazione e dell'impulso germinativo del grano, pur non essendo
n il Nilo n il dio-grano Nepri.
Non si pu negare che Osiride sia una figura assai singolare: perso
naggio divino s, ma ricoprente una funzione che stata umana, il
quale conservava nell'aldil alcune prerogative del sovrano vivente. E'
noto, infatti, che nell'antico Egitto il faraone era colui che garantiva il
buon andamento dell'esistenza, realizzando sulla terra la Maat mediante
la propria opera di re giusto e di figlio devoto degli di. Cos operando,
egli contribuiva, naturalmente, anche al corretto svolgimento dei fe
nomeni naturali e "produceva" nutrimento per i propri sudditi, come
dice di se stesso Amenemhet I, fondatore della XII dinastia (1991 1962 a. C.): Ero uno che produceva orzo e amava il dio-grano. Il Nilo
mi rispettava ad ogni inondazione. Nessuno ebbe fame durante i miei
anni (di regno), n sete. Tale convinzione era cos diffusa, che dur
molto tempo dopo che il faraone aveva perso ogni reale potere, quando
il glorioso Egitto non era pi che un ricordo: infatti, Ammiano Mar
cellino sapeva ancora che gli Egiziani attribuivano al proprio sovrano
la capacit di produrre abbondanza o, al contrario, di attirare sul paese
la carestia.
L'idea che il re conservi, anche dopo morto, potere sopra le forze
della natura non , tuttavia, esclusivit dell'Egitto faraonico. Essa si ri
trova (o meglio, si ritrovava, perch attualmente difficile capire se
credenze valide ancora sessanta o settant'anni addietro siano state o no
__

23

spazzate via dall'occidentalismo imperante dovunque) in alcune culture


di popoli africani moderni, estesamente studiate nei primi trent'anni del
1900 dall'illustre etnologo inglese C.G. Seligman. Seligman stato il
fondatore degli studi etnologici moderni relativi alla parte dell'Africa
centro-orientale comprendente il Sudan ed i paesi limitrofi, abitati c:b
popoli definiti "nilotici": Dinka, Shilluk e Nuer, fino all'Uganda e alla
Tanzania. Egli riscontr in queste genti l'esistenza di concetti, tradi
zioni ed usanze che si potevano ricondurre a precedenti dell'Egitto fa
raonico. Alcuni erano di tipo cultuale agrario, come l'estrema affezione
per il bestiame bovino e l'abitudine di deformarne artificialmente le
lunghe corna, in modo identico a quello visibile in raffigurazioni di
buoi bene accuditi e ingrassati delle tombe dell'Antico Regno. Altri ri
guardavano particolari di ornamenti personali; altri, infine, estrema
mente significativi, concernevano modi di pensiero e convinzioni reli
giose. Tra queste ultime, soprattutto due colpiscono vivamente coloro
che studiano l'antica civilt egizia: una l'idea, tipicamente africana,
che ritiene la perfezione consistente non nell'unit, come pensano ge
neralmente i seguaci del pensiero filosofico greco, ma nella duplicit.
Da tale idea derivano, come stato pi volte osservato, la costante di
visione dell'Egitto faraonico in due monarchie, il dualismo-rivalit tra
Horus e Seth, la credenza nel "doppio" di ciascun individuo (la forza vi
tale chiamata in egiziano antico Ka, da non confondersi con il Ba, una
sorta di "anima") e, addirittura, l'espressione designante la Sala del Su
premo Giudizio ove siedono Osiride e i quarantadue giudici dell'aldil:
"Sala delle Due Verit", espressione che, per noi, suona come una vera
e propria contraddizione di termini: la verit, come noto, una sola!
L'altro importante concetto proprio di questi moderni popoli afri
cani, rintracciabile nel modo di pensare degli antichi Egiziani, la po
sizione particolare di cui godeva il sovrano sia da vivo, sia post

mor

te m. Secondo quanto appurato da Seligman, alcune trib Shilluk e


Dinka consideravano divino il proprio re; quando egli moriva (il tra
passo spesso avveniva in seguito a morte violenta: ma questo fatto ri
guarda un altro aspetto della regalit africana), al momento della sepol
tura nella sua mano destra si versava del latte e nella sinistra del mi
glio. In tal modo, il sovrano portava con s nella tomba il nutrimento
della sua gente, rimanendone, in un certo senso, depositario e posses
sore. Anche dopo morto, perci, il re di alcune trib Dinka e Shilluk
continuava ad essere, secondo le parole degli antichi Egiziani nutri24

m ento e abbondanza per i propri sudditi.


Tale situazione ha molti punti in contatto con quella di Osiride:
possessore dell'acqua ma non fiume, suscitatore del grano ma non
grano. Secondo l'opinione di Seligman, espressa in un'opera dedicata
nel1934 allo studio della regalit divina africana, la causa delle singo
lari affinit tra idee correnti ancora nei primi trent'anni del 1900 tra al
cune genti africane centro-orientali e idee proprie dell'Egitto dei faraoni
sarebbe da ricercarsi nell'influenza esercitata anticamente dalla cultura
egiziana classica su quelle dei popoli vicini, estesasi poi lentamente
verso l'Africa centro-occidentale, fino alla Nigeria, e conservatasi fino
ai giorni nostri. Lo studioso inglese, infatti, ritiene che una infiltra
zione graduale di idee egiziane nell'Africa nera deve essere esistita fin da
tempi remoti, probabilmente gi dall'et delle Piramidi. Tuttavia, il
medesimo Seligman, nella stessa opera, scrive: (...) ma, nonostante
queste somiglianze sorprendenti, fattori cronologici ci impediscono di
credere che i Re Divini del Sudan siano dovuti direttamente all'influsso
egiziano; dobbiamo piuttosto considerarli esempi di una antica e
diffusa credenza hamitica. E' proprio questo riconoscimento dell'esi
stenza di un remoto substrato nord-orientale africano comune che da
rebbe ragione pi realisticamente dell'esistenza di idee simili nel
l'Egitto faraonico e in una vasta parte dell'Africa moderna.
H. Frankfort, nella sua gi citata opera sulla regalit egiziana an
tica, accoglie favorevolmente questa seconda spiegazione del fenomeno
data da Seligman e accosta l'Osiride dell'et delle piramidi e del Medio
Regno al "Re Morto Divinizzato" degli Shilluk e dei Dinka, indivi
duando la prima origine di questa particolare figura in un remoto e ba
silare sostrato africano nord-orientale comune. Naturalmente, nel corso
della lunghissima storia dell'Egitto faraonico l'originario ''re morto"
africano, impersonato da Osiride, all'in_iz_i()- esc.(l1sivamente il "faraone
defunto" contrapposto a Horus, re vivente, sub modificazioni ed evo
luZlo!iJJ}Qo _a <:Iivenire dapprima l signore-e giudice dell'aldil e poi la
divinit salvifica diffusa ben oltre i confini dell'Egitto.
--La figura oi Osiride, dunque, si collo.ain una posizione particolare,
se paragonata a quelle dei cc.dd. "di che muoiono" del Vicino Oriente
antico. Innanzitutto, egli rispecchia un prototipo umano e regale: la
sua iconografia , sin dall'origine, mummiforme e antropomorfa e solo
in seguito ad accostamenti e sincretismi con divinit funerarie terio
morfe (Khentiamentiu di Abido, Sokaris di Menfi) ne assumer, talora,
25

dei tratti iconografici, solitamente la testa di animale. Poi, Osiride non


risorge 11Uli: egli il "re morto" per eccellenza, destinato a r:1i.!M_Cfl::
finato-neff'aldli,.poiti sufla terra regna, seondo quanto esige Ma!!! ,
f:Iorus, suo legittimo successore. Tuttavia, egli non escluso dalla vita
quot:lC!hina di-coloro che Iiono i suoi sudditi. Sotto la terra, egli ..
m-all.il possessore della forza vitale, che si esprime nell'acqua del
l'inondazione, nello spuntare e nel crescere dei grani, nel sorgere degli
astri. a_sull mort_ l_(l_':'_ita per gli uomini: secondo. 1-pole d!_frank
fort, bisognava che il re morisse, per poter penetrare nella terra,_ e
l a profitto degli uomini, come dio ctonio; bisognava che i. I
gt"ano
_ seminato-morisse per far spuntare la messe;- bisog-nava che i-l
Njlo decrescesse, per far ritornare l'inondazione>>.
Tali poteri vitali, come abbimo gi detto;-si ritrovano nelle figure
dei "re morti" delle moderne trib nilotiche; tra di essi Frankfort cita,
seguendo Sir James Frazer, Nyakang, venerato dagli Shilluk. Di lui,
come di Osiride, si racconta che fu un re, insegn agli uomini a colti
vare la terra e dall'aldil continua ad aver cura di essi, inviando la piog
gia e favorendo il raccolto. In lui si confondono tutti i sovrani defunti,
proprio come tutti i faraoni trapassati erano sintetizzati in Osiride.
Possiamo, dunque, concludere che l'originario Osiride-"re morto" dei
Testi delle Piramidi e del Medio Regno fosse una figura divina deri
vante dal sostrato africano, elemento certamente presente nella com
plessa cultura dell'Egitto antico. In seguito, dopo "democratizzazioni",
accrescimenti, sincretismi, l'Osiride "africano" e "re morto" si tra
sform e si svilupp, fino a divenire il perno d una credenza salvifica
diffusa nei pi remoti centri del mondo antico precristiano. Ma l'Osi
ride primitivo, quello di cui si diceva Tu possiedi la tua acqua. Tu hai
il tuo flutto (Par. 1291a dei Testi delle Piramidi) e <o sono Osiride ...
Gli di vivono per mio merito. Io vivo e cresco come Nepri... Io sono
l'orzo, non sono distrutto . (Par. 168c -l70b dei Testi dei Sarcofagi)
deriva da quel sostrato africano, forse un poco sottovalutato dagli egit
tologi a favore delle componenti asiatiche, che certamente contribu
alla formazione dell'antica civilt faraonica, insieme ad altri, diversi,
elementi amalgamati in quella perfetta armonia che fu l'Egitto antico.
.

Un cenno almeno meritano infine gli sviluppi che ebbero a subire


la figura, la mitologia e il culto di Osiride in epoca greco-romana.
26

Come precedentemente accennato, nel mondo ellenistico Osiride


al centr2__!!i n.!i tr.afQazione che. finisce per proiettare fntica divi
ru.t egiz.iaf!a in una dimensione extra-nazionale, facendone un dio difi

i91e.niyersllJi_e idoneo a soddisfe nu()ve istanze religiose.


Solo all!!lL!'!! .tti tradizionali del mito e del lllto osiriani Vt!ngpn
mantenuti anche se sono ricontestualizzati all'interno di nuovi sisterrl
ideJQ&!(;LrmIi molto lontani dall'antca religione dei faraoni. Si
tratta di una problematica complessa e in questa sede ci si limiter solo
ad alcuni accenni in stretta relazione con il tema trattato.
La prima questione concerne i "misteri di Osiride". Testimonianze
relativamente antiche parlano infatti di misteri in connessione con la
coppia Iside-Osiride (cf. Erodoto, II 171; Diodoro Siculo, I 27,86) ma,
come ormai opinione diffusa tra gli studiosi, l'uso del termine
"misteri" in questo caso sembra essere stato suscitato dalle analogie tra
le vicende dei due di egiziani - rappresentata in cerimonie pubbliche e
quindi non caratterizzate n da esoterismo n da iniziazione e quelle di
Demetra e Kore nell'ambito della religiosit eleusina. In entrambi i
casi, infatti, c' il riferimento ad una ricerca del personaggio scomparso, al lutto e alla gioia conseguente al suo ritrovamento. Veri e
propri misteri sono invece attestati in Grecia e a Roma durante l'epoca
imperiale. Come ci racconta Apuleio attraverso il "romanzo" di Lucio,
la dea Iside poteva chiamare a s dei privilegiati che divenivano, attra
verso delle cerimonie iniziatiche che restano parzialmente oscure, dei
_ z_flli a?
J .r.e....&!lfl_i sem2_nnet
novelli Osiride. Il tipo di i>1!.lvez
te_rsi tantQJ!lllLYita t.t:r:ra ch.e._Ail'alfl.U- Una seconda inizi azione, que
'sta volta ai misteri di Osiride, conferisce all'iniziato/Lucio ulteriori ga
ranzie nell'esistenza terrena; un'ultima cerimonia gli consente infine di
conoscere Osiride nel suo vero aspetto e partecipare cos pienamente al
l'attivit cultuale entrando nel collegio dei "pastofori".
Su un'altra testimonianza vale la pena di soffermarsi per cercare di
capire meglio il carattere di Osride nell'ambito della religiosit impe
riale. Si tratta di un passo di Firmico Materno (De err. prof rei., 22)
relativo ad una cerimonia cultuale di cui protagonista una divinit
non esplicitamente menzionata. Gli studiosi sono stati per lungo
tempo divisi sull'attribuzione del culto in questione ad Attis o a Osi
ride. Recentemente stato dimostrato (J. Podemann Srensen) come
esso sia connesso alla tradizione rituale egiziana, con chiari riferimenti
alle cerimonie osiriane, facendo cos pendere la bilancia decisamente
27

dalla parte di Osiride. Finnico riferisce che in una notte particolare un


simulacro viene posto su una lettiga e lamentato con ripetuti pianti;
dopo che i partecipanti si sono estenuati secondo le lamentazioni pre
scritte, viene introdotta una luce e un sacerdote, dopo aver unto la gola
di coloro che hanno partecipato al pianto, dichiara con voce lenta e
sussurante: Gioite, o misti del dio salvato; infatti anche per noi ci
sar la salvezza dalle pene. Segue il commento di Finnico: Tu sep
pellisci un idolo, tu piangi un idolo, tu porti fuori dalla tomba un
idolo e tu, misero, nel fare ci, ti rallegri. Tu liberi il tuo dio, tu com
poni le giacenti membra di pietra, tu riassetti la pietra insensibile. A te
faccia grazia il tuo dio, te con pari doni remuneri, ti voglia partecipe di
s. Cos tu muoia come morto, cos viva come vissuto.
L'impalcatura misterica nella quale viene inserito Osiride costitui

sce un elemento di novit rispetto all'antica tradizione egiziana: qui ai


essere eventualmente "osirizzato" non il defunto ma il miste ancora
in vita, anche se tale innovazione si colloca nel solco della religiosit
pi antica in cui tale personaggio non considerato un "salvatore"
bens un "salvato". Sar piuttosto la sua "salvatrice", Iside, a vedersi
0 assegnato nei culti misterici di et greco-romana un ruolo pi attivo,
coerentemente con il suo assurgere a divinit cosmica dalle prerogative
pantocratiche.
Le_pr()spettive che si aprono ai devoti non saranno per da imma
gn(lrsi nei termini di una "resurrezione", poich essi non sono
"salvati" dalla morte, bens nella morte.
-Nelle speculazioni filosofiche- dei primi secoli della nostra era,

siano esse "pagane" o cristiane, la figura di Osiride e degli altri perso


naggi del suo mito vengono utilizzate quali metafore attraverso cui
"spiegare" la realt. Nel risulta un complesso schema il cui punto di ri
ferimento il Medioplatonismo e in cui il racconto mitologico sot
toposto ad un'esegesi serrata: questo il caso di Plutarco (citato sopra),
che fa di Osiride l'anima mundi positiva, di Iside la natura dal primo
fecondata, di Seth l'anima mundi negativa, di Horus il cosmo. Tali

speculazioni saranno poi riprese dalla setta "eretica" dei Naasseni


(lppolito, Ref omn. haer., V 6-11) e inserite all'interno di una cosmo
logia e una teologia gnostiche. Non si tratta della negazione delle anti
che tradizioni, ma di una loro rilettura tesa a scavare il fenomeno alla
ricerca delle "verit" in esso nascoste. L'orizzonte mitologico-rituale
pi antico che fa da sfondo alle interpretazioni filosofiche medioplato-

28

niche invece completamente assente nel quadro della "teologia solare"


dove Osiride, al pari di altre divinit, diventa un'ipostatizzazione del
Sole, principio divino unico ma invocato con nomi diversi dai diffe
renti popoli. Nella IV Orazione dell'Imperatore Giuliano accanto a Osi
ride si menzionano Serapide, Apollo, Dioniso, Ares, Hermes, Ascle
pio, Eracle, Attis, Horus, Adad e altri, nella testimonianza di Marziano
Capella (De nupt. Philol. et Mercur., II 191-192) appaiono insieme
Osiride, Attis, Adonis, Ammone e Serapide. Sempre alla tendenza
enoteistica va ricondotto l'inno riportato dai Naasseni, in cui Osiride
identificato con altre divinit. Se si continuano a riportare nomi di
person:1_g_gi antic_hi llEPartellnt
l diversi sistemi religiosi del
mondo mediterraneo, per evidente che non si parla pi di loro, bens
attraverso di loro, manifestazioni solo formalmente diverse di uno
s_ess? principi() divino che origina e informa tutta la realt. Con ci,
superfluo sottolinearlo, i legami con le figure originarie e in partico
lare con l'antico Osiride, l'Africano, si sono definitivamente e irrime
diabilmente dissolti.

iaTJ"l

BIBLIOORAFIA SELETTIVA

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30

DUMUZI-TAMMUZ
Alla ricerca di un dio

PAOLAPrSI
l. II nome di Tammuz, forma accadica di Dumuzi, ci stato tra
smesso anteriormnte alla decifrazione oel cunertorme dall'Antico Te
stamento, e precisamente dal profeta Ezechiele, che descrive in una vi
sione simbolica il Tempio di Gerusalemme profanato dagli idolatri:
Mi condusse all'ingresso del portico della casa del Signore che guarda
a settentrione, e vidi donne sedute che piangevano Tammuz (Ez. 8,
14). Nella traduzione dei LXX il nome del personaggio oggetto del la
mento femminile non viene tradotto, ma soltanto traslitterato dal
l'ebraico in lettere greche (ho thammouz), mentre nel testo latino di S.
Girolamo il nome del dio compianto dalle donne suona diversamente:

et ecce ibi sedebant mulieres plangentes Adonidem.

L'identificazione tra Tammuz e Adonis non era per nuova. Il


primo di una serie di esegeti di Ezechiele a omologare esplicitamente
Tammuz con Adonis e!_9rigne, il quale ci informa che Ebrei e
Siri chiamavano appunto Tammuz la divinit detta dai Greci Adonis
(Sel. in Ez. 8, 12: PG XIII, 797 B - 800 B), aggiungendo che ogni
anno veniva pia11ta a morte -LIli_s.:_!apf!l\:1. -Jegg!!J:tJ!'J:_u
resurreziOB!lJuttCOf!!par--dio.Jace-u_ll_t2!uale o
gioioso, durante il quale Adonis-Tammuz veniva celebrato come se
fosse risorto aai morti(h]Js q_eq_;Ikr6Ji!fi!l]l):oilgeile"n .
o i
i
r ! i ,_,
-
i.

rt1
Jfl
.... .......
. iiliii, .....
all
a, quan

bolo dei frutti dell tf!".:_he ..':E_ian.!l_ -


!g
muoiono, _!Ile_nt!.-2'!Q ..l!!.?._j_Ui?._ia qu->_: sia nell'ap
plicazione al culto di Adoms-Tammuz di uno schema di morte e
resurrezione, sia nell'interpretazione allegorica del dio, Origene trover,
a partire appunto da Girolamo, diversi seguaci fra i commentatori anti
chi di Ezechiele (e anche fra gli studiosi moderni).
Fino alla decifrazione del cuneiforme, dunque, del dio mesopota
mico si sapeva praticamente solo quanto ci avevano trasmesso i com
mentari patristici e rabbinici dell'Antico Testamento: Tammuz era il
--- -

__________

_____

31

gg

__

_g

___ __

_________________-----

corrispondente semitico del greco Adonis (identificazione accettata dalla


maggior parte degli studiosi, nonostante qualche dissenso), veniva ritualmente celebrato nel mese omonimo, e ogni anno moriva e risor
gevi:\J_colllt!_ gr_no di cui era una peonificazione: Nonostante la
:_;; scarsit di dati non mancarono, gi prima dell'accesso ai testi cunei
formi, diverse teorie sull'origine e sul significato del dio, cui fu spesso
attribuito, in analogia con la greca Persefone, un culto misterico. Nel
'700, comunque, appariva ormai saldamente stabilita l'identit tra l'egi
ziano Osiride, il caldeo Tammuz e il greco-fenicio Adons (cui a volte
si aggiungeva "Bacco")5
Gli studi su Dumuzi-Tammuz, nell'epoca pionieristica dell' assirio
logia, trassero impulso dal ritrovamento, negl scavi di Ninive (la c.d.
Biblioteca di Assurbanipal), del testo accadico della Discesa di /Star agli
Inf!n"', che divenne oggetto di numerose trduzionlaa-parte-dei mag
giori orientalisti della fine dell'800. Come scriver Sayce - esprimendo
un'opinione largamente condivisa da tutti gli specialisti dell'epoca
dopo aver letto il mito sappiamo finalmente chi il Tammuz pianto
dalle donne di Gerusalemme, e ci risulta evidente che i babilonesi IStar
e Tammuz sono le medesime divinit denominate dai Greci rispettiva
mente Afrodite e Adonis7
L'affermazione di Sayce non corrisponde per del tutto al vero:
come gi abbiamo detto, non era stato certo necessario attendere l ri
trovamento della Discesa di /Star per ipotizzare che nel Tammuz
"assiro" si dovesse riconoscere il greco Adonis. Ben difficilmente, del
resto, si sarebbe potuto dedurre l'identificazione delle due divinit dal
mito, d incertissima lettura, e in cui Tammuz compare solo, e assai
enigmaticamente, nel finale. L'equivalenza Tammuz-Adonis era in
realt fondata sulle testimonianze degl antichi, e in particolare dei Pa
dri della Chiesa: piuttosto, fu proQrio [i!}lilaz;i?.Jla divinit
mesopotamica all'amante di Afrodite a guidare l'interpret_a.?iQI! della
) Discesa di /Star. Subito, infanonostante le difficolt di traduzione,
apparve chiara la trama del mito: la -deai'i0van1Flilll aper cerarell
gloviiie.aninte, Cfie"verr nprtato.inorit'amente suflc:erra. Taie rico
struzwne, iion'glustfi1a1n'alunmodo'<artesto,. venn-aedoita'dJ_

fiiiUTe"SCaiSe) noiizisuilria"'i'flscsa agli Inl'erf;;. fAfrOdite, pr.otle


-dii 1()i1eTa rsiTtzione ai Adonis8 Nesinciltre_Seln
V dubbio (e cos sar, tranne qualche rar eccezione, per molto tem.E22J.a
..- "resurrezwn<?"aeraro. Scoflito fu. pur il significato natunstico del

.../'
. ,_.
i

32

j_(

mito, anche per 9!lf1tQ Ii-.&!!.<! !_ttag!i: Itar!..P!ta dei suoi abiti e
orJ!I!!!l__n!Lal!e_P.Qt:! _deliinfeljLla T'?!!!l.!'I?.slLlia-llJ2lli!.!1Q!:!
'? fr_!!i ch-IEbel!}2'!() LIl i '>'.l!..!.l:l()!!Je.!tt.Jr}.!!l!!?a.
Tammuz divenne cos ben presto i!__!!!QQ.t?}lo cll gi()_mQT!! ..rtsorJprOn dyi!}g_):lfli!:r.f.S.i8 l!c{, belle . i!l()t !l ei
mondo SCientifico da Frazer, non fu infatti coniata (a rurferenz w
quanto comunemellte-sfntener<Tan'a'ntropologobrtannlcO.NefiS78;
in unac oii:fereiza tenuta al IV Cngiesso dgu6ilellt1Isti: Fl-enr
fuanat_inistae ?"!el\1fs:?2":1![. a2.!t() !f:s2
C5siride e Adonis-Tammuz, ne <<tutte quelle storie di di peiWJ.icamen_:ifii?"_ -rznascenti slmboleg_i-oJ.ri1EodFji_iifE:fu:f?._
verse vicende dlla rivoluzioa e diurna del so!e , che !!!ili!
tali divinit devono essere considerate come forme parallele, derivate
da uno stesso concetto pnmarw .
Nella ch1ave mterprefaffvif"proposta da Lenormant e, in genere,
nella prima fase degli studi assiriologici, Dumuzi-Tammuz s confi
gura dunque innanzitutto_S..2.!ll.!!\l_!l _9nificazione del sole primave
nle. Sarebbe per improprio ricondurre esclusivamente alla linea
Maflnhardt-Frazer il riconoscimento di un simbolismo vegetale nella
(presunta) periodica scomparsa e ricomparsa del dio: ancor prima della
decifrazione del cuneiforme la vicenda di Adons-Tarnmuz era stata in
fatti comparata con quella della Kore eleusina e, al pari di questa, letta
come una codificazione mitca del ciclo stagionale della vegetazione, e
in particolare del granou. E' difficile pertanto valutare se e quanto gi
negli studi assriologci di fine '800 potesse farsi sentire l'influenza di
Mannhardt12, che nel secondo volume di Wald- u n d Feldkulte aveva de
dicato ampio spazio a Tammuz-Adonis, interpretato tramite un'am
plissima comparazione con usi folklorci nord-europei, e con perso
naggi del mondo classico (in particolare Lino) - come uno "spirito
della vegetazione", il cui culto era orientato a favorire "magicamente"
la fertilit stagionale. In ogni caso, negli studi assriologici dell'ultimo
o
!
t _
i ? t 6
n
titeM'.etto qu111rsolare. Appena scoprto niCiOCiilient cuneiformi, Dumuzi-Tammuza.qiisisce dunque i tratti che lo caratterizze
ranno in quasi tutta la storia degli studi moderni: un dio "morente e
risorgente", la cui vicenda mitica codifica un ciclo naturale (solare o O
agrario-vegetale), ed la forma mesopotamica di un tipo divino diffuso
__

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-"--

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.

---''1' ,,_,--1ft- --- '""-----.-...---- - - . .

--

-------------- ---------

J % n:c:
33

in area mediterranea, chiamato di volta in volta Attis, Osiride, Adonis,


etc.
L'in tez..i i_IIl!:-:o !!l_e. <fi.2_.7 1l<!Jc9l!Q!Et..tg\9.!li
,
i_ppose comunque af mondo scientlfi: _t!g_qtq!!'! q_l:l _.?I !:t'aze!
la cui prima edizQil.'!!l!1:.2,0..ta al l 890. L'mnovazione oi Frazer, che an
he in questo aveva trovato un precedente in Mannhardt, non consiste
per principalmente n nel passaggio da un codice solare ad uno vege
tativo nell'interpretazione degli "di morenti", n nella teoria tipolo
gico-classificatoria del dying god che, come abbiamo detto, appartiene
alla comune coscienza scientifica del XIX secolo, ma piuttosto nello
spostamento del baricentro interpretativo dalla vicenda mitica alla
prassi rituale. Nell'opera frazeriana la teoria generale della magia a
costituire lo sfondo da cui emerge come tappa inevitabile nell'evolu
zione della civilt la figura del dio che muore e risorge. Il "dio mo
rente" acquisisce nell'opera di Frazer un carattere di necessit culturale
in quanto obbedisce ai bisogni basilari di ogni essere umano, e cio ci
barsi e riprodursi: secondo l'antropologo britannico, Tammuz, al pari
dei suoi "confratelli" egizio e frigio, non soltanto un'allegoria della
) vegetazione o il prodotto di un'affabulazione su fenomeni della natura,
ma rappresenta lo strumento simbolico di un tentativo di controllo
magico della fertilit vegetale e animale. Di conseguenza, bench al
l'epoca della stesura del Ramo d'oro non fossero ancora stati scoperti
testi ierogamici relativi a War e Tammuz, l'antropologo britannico po
stul che le nozze sacre dovessero costituire un tratto integrante dei
culti di fecondit imperniati sugli "di morenti", poich proprio
l'amplesso divino a produrre "magicamente" il rifiorire delle piante e la
fecondit del bestiame. Anche su questo punto Frazer era stato prece
duto da Mannhardt, che aveva interpretato la "strana" prassi delle donne
babilonesi di offrirsi, almeno una volta nella vita, ad uno straniero nel
tempio di Afrodite-Astarte (Mylitta) descritta da Erodoto (l 199)- e la
"prostituzione sacra" praticata a Cipro e a Pafo come forme mimetiche
dell'unione annuale fra le "divinit della vegetazione" !!:tar e Tammuz,
D allo scopo di favorire "magicamente" la crescita delle piante13 Frazer
fece propria la lettura mannhardtiana della "prostituzione sacra", ma
nella sua ricostruzione la ierogamia si configura prima di tutto come
un rito regale: se i sovrani corrispondono funzionalmente al dying god,
in quanto incarnazioni dello "spirito della vegetazione", dovranno im
personare il dio anche nel matrimonio sacro. Quando venne ritrovato il
__

34

testo della ierogamia tra Inanna e Iddin-Dagan, l'interpretazione fraze..


riana da un lato sembr cos trovare una straordinaria conferma e dal
l'altro costitu lo schema concettuale precostituito entro cui calare il
testo.
A seg':!ito delli!-_.Q!!.g_li.z,iqm'<..J!eLBg
_ mQ....Q.QrQ,J2Y.!!l;I.-c;liven
rapidame!Jte anche !.!i-1!EIQ.te_!!215?.Bico_!L()5!1lo !!! dio jlla
fecondit. nella cui !Jl()_rJ-.Eesuone J>e!!oc!9!.si esprimf"'ritm
..,
2
della vita vegetativ_ e_h-qgL!!.Il..ll.n-}.11...':!-!".2 !.u.!1.P.les
con la Grande Dea, allo scopo di far rifiorire tutta la natura. E tale, con

......
poche eccezioni, sar destinato a rimanere fino ai giorni nostri. A
partire dai primi del '900 si moltiplicarono le monografie su Dumuzi
Tammuz, contemporaneamente alla pubblicazione di nuovi testi che lo
vedono protagonista: Tammuz era, ed rimasto, il dio mesopotamico
che pi ha appassionato gli studiosi moderni, nonostante non possa
essere considerato una delle divinit pi importanti del pantheon locale.
La popolarit di Tammuz presso assiriologi e storici delle religioni
non pu evidentemente essere disgiunta dal successo del modello
frazeriano del culto_ . di fesoJ1jitt.h-, .Jl,EL.P!illli 9:".!!L -I_:J_QO, C
costitu la cat_a2[iPE!-per..-:_r---i..-!().&e!'--.!
riti dell'antichit. La soluzione frazeriana, con la conseguente riduzione
del simbolismo mitico-rituale, nella sua fase originaria, ad una risposta
ai bisogni primari dell'uomo (cibo e procreazione), sembrava infatti
una ragionevole spiegazione della produzione religiosa "primitiva".
Inoltre, il paradigma naturalistico del ciclo stagionale poteva essere
visto come il livello esplicativo pi elementare ed arcaico, ma non
esclusivo, della vicenda di amore, morte e resurrezione di Tammuz. Nel
clima culturale dei primi del '900 infatti risultava quasi scontata
l'ipotesi di un passaggio aa-iiiiil"'nnasTia"cllanaturaooii'i.l'visiOne o
globale della pereiiiienascmnrerravta aarra-morte e"iif"fne aana
Soierlofogia-oltierrioriaana.lre:orre-gamemotrila''Sfvezzarr<rena
atura, che ognljnno sconfT_i8eia !!.!.!!!!.-t?!-9
id)erato oagli Inferi permetteva dunque di ricondurre al dying god anche
eventuali svirupprescaiolgiCf:Tiritraconczronrfgosa de Vilno
Oriente . anticO:alm-eno'-nelfe-rasrpr 'inillle:-poteva''cosl.- venire
fondata sul!aVcrdi.. aegiT "df iioreiiire..nsorgeniL II ''dramm.i
stagiOnale" acqulSI m tl moilo-unvaiOreeuristicoqliliSfuiiversare.-Non furono persoltanio'"i'appareiteragionevolzza lriSta nel
ricondurre la produzione religiosa a un sistema di bisogni elementari,
.

---------"

---., -

' ''"

35

n la possibilit di ricostruire una Weltanschauung arcaica fondata


sull'inesauribile alternanza di vita e morte, a determinare il trionfo del
frazerismo, e la conseguente ipervalutazione negli studi assiriologici
dell'importanza di Dumuzi-Tammuz: la teoria friana dIdying gtJ.:
1
nel suo duplice p_c:t!-ivclifiato_ritualmente per _ll!

:t )_!8!15'--i dJ_?rio.<:Ii!ffiente morente e risor&_costituisce una evidente ricodificazione in termini di ciclicit stagionale
:> di unffi(flTQ[iJtan_Q.d -morte eresurreQJ}. La_ <;toria tipol ()gi
_
del "dio morente", infatti, da un lato rendeva universalizzabile la
mo_:!S.Ia nna-dTiJfia-m orte e resfliil()epp..I'_tati di salvezza
(a diversi livelli: mondana, come nnascita annua della natura,
t!t_o_nniJ.). d.a1t'altro-poteva racilmeriteessere' tr.sronlata nuna
teoria sulle orig!ni del Cristianesimo. Dumuzi-Tammuz, la cui morte
a_ Siajp1;nia,"comeavvei per-queir icrlst(), <lalle
di
Gerusalemme, divenne cos l'antecedente caldeo del Redentore . Del
resto, una-volta che la vicenda di Tarnm f-ccii;rt;;_- prima di Padri
della Chiesa e poi dagli studiosi moderni in uno schema concettuale
cristiano di morte e resurrezione "salvifiche", il referente comparativo
del Cristianesimo si impose inevitabilmente, anche se non sempre
J venne esplicitato: ancora in anni relativamente recenti uno dei massimi
sumerologi, Samuel :N--Kiiilel r'. potr affermare che- derrieilti
fondamentali" del ctiTto-aeTmlio -diDum1zi son orifliiii ne1la figura
J d'""Cilsio - La pubblicazione pressoch completa della variante sumerica della
Discesa di /Star (La discesa di /1U1Ttna agli Inferi) mise per in crisi
numerose certezze consolidate da tempo. La versione sumerica del mito
era stata trovata a Nippur, durante una campagna di scavi diretta
dall'Universit di Pennsylvania; le tavolette per vennero divise in due
diversi musei (lstanbul e Filadelfia). I primi cinque frammenti del testo
vennero pubblicati da Langdon e da Poebel, ma il contenuto rimaneva
inintelligibile. Una ricostruzione della prima met del mito comparve
nel l937 ad opera di Kramer, che si era valso anche dei lavori inediti di
Chiera, precocemente scomparso. Kramer continu la pubblicazione
del testo e nel 1942 il mito era stato ricostruito sino al ritorno di
Inanna dall'aldil. La scoperta sensazionale avvenne con la decifrazione
e collazione delle iavolette successive, pubbiT'teda Kramerel 1950 e
i9sT:--di-esseu.sl apvren<!.xli c P11uzC m ;,-.aio-oiisegnat-a
demoni Galla da Inanna, la quale, pertanio, JziC h s.ede f_r.egno
_
36
_

d9

_ _

...

---

i morti per li_!.J:!. !.- a_ c.llll: d_lla S(;gmpsa Lgiovane


dJ'Lt93l!i..Els fll ign.<: del test(). venne pressoch complctt,
czione di. alc.II_$h-_!!lall<:I1i p!!lla.<!!!.f()_}us.-!
dovette nconoscere che la vicenda termmava con la morte di Dumuz1,

=::
-1i/tfj;1t
iJte
n:::J
impose :..u.a. uo_\1 interprtazine_p ql]:>_!i.d..cg, l!?_sino..!.

quel momento, nonose le tfficoltte,stuah, _c()_m all!J_S,.IVO 'iOii'"na

il'CercaaeTI'airiato scompars-d..Ellt di !

Come era Ievita6ie, la scoperta dell'inaspettato finale della


!nanna indusse a rivedere molte teorie sulla figura di
Dumuzi e, pi in generale, a nterrogarsi sulla consistenza tipologca
del dying and risng god. All'n?._? deg!i.__Ei_:.Q_!<r1_l:/
scrivere__(! --()!2_li_Il blio secolar-yva PIJ.!:9:t.<? !L\1}1)
Dumuzi il l?_!:_ototil?_el_ dio morente che . rE-[l!l..!!I1E_la _../
morte: in real-o sp_2()di lnanna no_!!_rl!a l.r,ng_ .Qi.mortj.L]
elle spiega co mai JX?_:;ed<tJl12 t(l!l!_ J!!!.!!EnJ .n!lfe
neppure un testo liturgico che ne celebri la resurrezione. Dumuzi concluae Kramer:: ei:i.un ani:K:--iearUiK; vissufoan'inizio del m
millennio e divinizzato, forse a seguito della celebrazione di un rituale
ierogamico con lnanna17 L'ipotesi evemeristica, non nuova peraltro
nella storia degli studi su Dumuzi'8, parve infatti al momento l'unica
soluzione possibile per eludere il problema posto dalla conclusione del
testo sumerico.
Mentre s stavano ponendo le premesse per una globale revisione
del ciclo mitico-rituale relativo a Tarnmuz'9, Falkenstein:o propose una
nuova lettura del finale della Discesa di /nanna, con la quale si ebbe
fiilalmente la taiitoTtingameiltitaitesa provaa-ena''resurrelron'"'"def
dio: le righe conclusVe olmito "descnvono" coiii'el.Jiimuzidebba
rstare_E_egli Inferi solo .l__!!lI..<_Jm anno, l..!E!l!!!e! quali'f'SuO
posto viene preso dalla sorella Getinanna. Dobb1amo dunque
presumere, a parere di FalkeriS'tein, che nei versi perduti Getinanna si
fosse offerta di sostituire il fratello negli Inferi, e che fosse stata
accontentata soltanto parzialmente. Kramer accett immediatamente la
lettura del c_llega,. col!.fs_<:IQLS!J Ol.L-YE!.,S?
. o--!a
serious misinterpre_!t!_o..AIl!J svolg_mento del mito: Ili. r1ga m di
UET VI, no. l O, che riporta la conclusione della Discesa di !nanna,
deve dunque essere tradotta: Tu [Dumuzi] met dell'anno! Tua sorella
Discesa di

__

..

__

..

- -

..,

37

met dell'anno. Nonostante la frammentariet e oscurit del testo,


secondo Kramer possibile affermare con ragionevole certezza che
tali parole siano pronunciate da !nanna, la quale, rendendosi conto che
la presenza sulla terra di Dumuzi, dio pastore, era necessaria per
assicurare la fertilit animale, decret che egli rimanesse nell'aldil solo
per una met dell'anno, e GeStinanna ne prendesse il posto per l'altra
met. A onor del vero - ammette Kramer - non vi traccia nel testo di
tale preoccupazione di Inanna per la prolificazione del bestiame, ma s
tratta di una ragionevole ipotesi da parte di Falkenstein, e possiamo
essere certi che dovesse comparire, in un modo o in un altro, nella
) parte mancante del componimento. Sempre nella stessa parte
mancante, in accordo con un'altra "ragionevole ipotesi" di Falkestein,
GeStinanna doveva seguire il fratello nell'aldil e offrirsi di sostituirlo
nel regno dei defunti.
Dunque,_}-<2.'!lusi()f!Ui era giunto prece<l.ntement_ e_ Kramer,_
cio che Dumuzi dovesse rimanere per sempre negli Inferi, era errata.
Fino a quefmoinento iaresurrezione di rYumuii - conClude Kramer-
era llna mera po1si'-avallzat da rroHISiu-diosi;-me-ntre ragrane
all'integrazione defiesto e aHa lettura pro.Q-oste--CiapFalkensteln-, se -ne
possedeva una_ prova -e . Lo stess_() Kr_er,_IJ(l _vo!<l onvinto
.
della lettura di Falkenstein, recuperer in pieno iltpo del diO "morto e
iTsOrtO", personif'lcaZioii-Cf!l Yf5ta- antecednte storio e
tipologico di Cristo, pur senza abbandonare l'ipotesi evemeristica,
fondata sulla storiclia, in realt indimostrabile, dei sovrani divini della
c.d. I dinastia di Uruk (Enmerkar, Lugalbanda, Dumuzi e GilgameS).
Dopo l'assenso di Kram!:-.!--e!_ l1El:l._i_Ealkenstein.!. -"?len_
plasmata sulla vicenda della Kore eleusina, nessuno metter pi in
dubbio il ntorrio'linniio"deldloaagTJfiferi:-n--onostante la totale assenza
drUnqilaisivoglla rscoriii-On altrl"doc_um.enti paralleli: in nes_n altro
testo mfatt1 leggiamo"'Cll1:ieftlnanniChe'da""1"d immolarsi al posto del
fratello, n che lo.sostitus-ca-semestralmi-ite-neglf"Inferi.--------una-vol'ta-sl1flf:-:JiQiijiiiC!in:i:iiilQ!1.P__r:iQ<l.if
'!te C(l!gg_t:a-lAyjnglJ!UfrisR894_rtP.!s- vi()e; taii!' che
ne fecero uso due fra i massimi sumerologi contemporanei, Kramer come-abbimo detto - e 1atsen:T(}uali dect1Caroio gran parte ferToro
studi al ciclo ruDUmuzn!Triiiiiia-rculf ounmzi ,---secondo
Jacobsen, paradigmatico peiCOiilprendere la fase pi antica della cultura
mesopotamica: sulla figura dello sposo di !nanna, il dying god pi
---------- ---

.... - 21

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-,____

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--- - --

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38

rappresentativo, era infatti incentrata la vita religiosa sumerica del N


millennio a. C. Le prove documentarie per- come riconosce lo stesso
studioso - scarseggiano: tutta la dimostrazione storico-filologica si
riduce al cosiddetto "vaso di Uruk" (fine IV-inizio III millennio), di
difficilissima interpretazion!!.L!D:l_l!!_.!!l.f..<?.l.?en _jndi!_dua con
_ a.?i9n..e della ir9_gaJlli._fr:.l.!!1_11!!l:l_.-J?.muzi. E' D
sicurezza una raQprese
evidente che tale incertissima testimonianza iconografica nn._sarebbe
stata sufficiente da sola per ricostruire una fase originaria della
religione mesopotamica incentrata sul culto di dying gods of
fertility>/'. Ma, come spesso accade, dove fanno difetto le prove
interviene la teoria, che, nel caso di Jacobsen, il risultato di un
improbabile connubio tra un irrazionalismo intuizionistico desunto m
R. Otto - in base al quale a fondamento di ogni religione vi sarebbe
l'esperienza del "numinoso", inteso come il ganz anderes, insieme
fascinans e tremendum e un naturalismo evoluzionistico di matrice
frazeriana. Di conseguenza i Sumeri, all'alba della propria cultura,
percepivano il numinoso essenzialmente nei "poteri" da cui proveniva
loro il cibo. Sulla base di tali premesse metodologiche, il culto di
Dumuzi, dying god of fertility, pu venire proiettato da Jacobsen in
epoca protodinastica, o addirittura nel IV millennio, pur sulla scorta di
una documentazione neosumerica e paleobabilonese: l'arcaicit del dio
infatti desunta dalla sua "intransitivit" (e cio dalla non trascendenza
rispetto al fenomeno naturale, e dalla conseguente mancanza di azione:
tutta l'attivit di Dumuzi si riduce al contrasto tra presenza e assenza).
Non dotato di una personalit piena e attiva (e, di conseguenza, in
un'ottica evoluzionistica, considerato anteriore rispetto agli di
pienamente personificati), Dumuzi pu essere cos riguardato, nella
ricostruzione di Jacobsen, come una delle divinit pi antiche del
pantheon mesopotamico, e come la pi rappresentativa della religiosit
del IV millennio. In realt- continua Jacobsen - non possiamo neppure
parlare di una figura unitaria del dio, ma dobbiamo distinguere quattro
aspetti o "forme" di Dumuzi, tutte manifestazioni "numinose" o
personificazioni di fenomeni naturali, e correlate con le diverse forme
di produzione economica: avremo cos un Dumuzi della palma m
datteri (AmauSumgalanna), il cui culto tutto centrato sui gioiosi
rituali di ierogamia e non presenta aspetti funebri; un Dumuzi pastore,
connesso sia con le festose nozze sacre che con le lamentazioni alla
fine della stagione del latte; un Dumuzi legato ai cereali e alla birra e
-----..:...-, ----M....It''--.W.-..,..
..
,....,..,.,...,.,,_

39

venerato dai coltivatori; e infine Damu, dio fanciullo originariamente


indipendente rispetto a Dumuz, collegato al succo fertile della piante e
oggetto di ricerca rituale da parte della madre e della sorella". L'unit
della figura del dio comunque assicurata dal fatto che tutti i fenomeni
in cui egli presente are foods or connected with foods25: Dumuzi
oggetto - e non soggetto - di amore, rimpianto e desiderio, in quanto
raffigura il cibo, perennemente desiderato in una societ sempre esposta
al rischio della fame e della carestia. E' dunque l'assunto teorico
secondo cui la religione sumerica era espressione di un interesse
pragmatico e in primo luogo alimentare a orientare l'analisi fatta dl
Jacobsen del materiale relativo a Dumuzi (condotta peraltro
egregiamente dal punto di vista strettamente filologico). Mai
l'assiriologo danese ritiene d dover dimostrare il legame di Dumuz
con la fertilit vegetale e animale. Egli si limita a postularlo, e i testi
addotti servono sostanzialmente ad illustrare una tesi data per scontata,
o forse per acquisita: tutti, dopo cento anni d studi in cui si ripete la
stessa cosa, sanno che lo sposo di Inanna un dio della fecondit.
, ;)
L'autorevolezza e l'indubbio valore filologico degli studi di KraJl1er
e Jacobsen hanno fatto s ctie-Incampo asslriologico a-categora d
> 'dl0ll1oreiii--e--flsorgen-te"--cosiifiisca iutiora -icc:-iteiio-- Cii reitlii:-a
privilegiato per i!Complesso:].l_c()f_iri/!l[.iel<!tfvq :i Pliii.i!i
nonostante il compatto fronte dell'interpretazione fertilistica abbia
cominCiato aa t!!!Q--}lio_}! i!!::iinatiri e--NefTr.iieii_!E9,
per, sia l'identificazione Tammuz-Adonis, inizialmente accettata in
..2...
a iti22 !lnLP!--Qi!e tetimQU.la,Pl!tristil1e,, i!l_la
tradizionale intel]'.t?()!l.l? dellAdo'!is gr.eco . c_om. giyipjt l!g;;aria,
soggetta a morte e resurreiQ!l_.J?!tj.t:l!<;e, song_ riula_t!':._erronee La
lungamente postulata esistenza di un Adonis siro-fenicio che avrebbe
-costit_SJE....g: iCi
l! edlUm .t9uco ti:I!J[_Thi!i_I_I_luz
meso2ota!!I_IO eJ::J:Il!.Jeco,, dal trasparente nol!le ,slllit}?.,.,i
ormai rivelata illusoria: l'amante di Afrodite non la rielaborazione di
) !lna spedfica'"-diVfi
i[ai_Anoillfn_t!l -(JC[o:-.:J>C la
ione ellenica . di una generica morfologia divina siro
, palestinese:-alfrne-dicarttenzzare--Pbii nte. come--alierii-negativa
) nspetiof.:_a -_(li_:v-lorf"iE:se_,_aunque rfsur&-scorretto
omologare meccanicamente Adonis ad uno specifico dio orientale, e
non individuable alcuna continuit Tammuz/Adonis, per vero che
l'eroe greco risulta tributario di uno specifico "tipo" divino siro__

..

..

-------------------

--- .-

__

.. .........

H-

...

__

..

__

__

40

palestinese, le cui radici ultime devono essere rintracciate non nel


dramma stagionale della vegetazione, bensl nel culto degli antenati
reali, ampiamente documentati nella cultura ugaritica (i rpum), e da cui
prese le mosse anche il processo di formazione delle divinit cittadine
fenicie, quali Bmun e Melqart, annoverate anch'esse da Frazer, e dai
suoi seguaci, fra gli "dei morenti" 28
gli inizi dIL'!!!!Ii. Q, __Q.ll n_qu,....la C!lt_t?g()i :l_del ''diOf!l_2!:I!e_le_i:k
sorgente" Q_are ormai definitivamente in crisi: gi nei primi anni del se
l<:_cul!igiJ{Q!.()gi avevat:to potut(l t:te.& -.aJa:J eurrezio_l)__ dCQride, sia la sua connessione con il ciclo stagionale , e successivamente
uno dopo rafiio-Tttiiiis:..2!L!i<l!-ajl'appefto. -sf
tanto Dumuzi-Tammuz risulta particolarmente resistente e, per la
maggior parte degli studiosi moderni il ciclo mtico-rituale dello sposo
d Inanna continua ad esprimere la morte e rinascita annua della vegeta
zione. Se per si nega un valore euristico metaculturale al modello del
"dio morente", non ora pi possibile, come invece spesso si fatto
in passato, ricorrere ad un criterio analogico per affermare sia la rela
zione di Dumuzi con la fertilit stagionale sia la sua resurrezione pe
riodica, e il dossier che lo riguarda dovr essere riconsiderato senza gri
glie intepretative precostituite.
2. I nomi divini Dumuzi e Amaullumgalanna - non sappiamo se
all'epoca gi identificati - ricorrono gi a partire dal periodo di Fara
(2600 a. C. circay", anche se le fonti presargoniche non ci permettono
di ricostruirne culto e funzione. L'unica eccezione_ costituita da Lagall,
dove una divinit denominata Lugal-URUxKARk1(-Amaullumgalanna),
in cui si da tempo riconosciuta una forma locale d Dumuzi'\ tribu
taria di un culto funerario, verosimilmente in qualit di "prototipo" di
vino degli antenati regali, fonte della legittimit e del potere del so
vrano in carica. Il campo d'azione del dio lagallita non presenta alcun
legame con la vegetazione o con la fecondit stagionale, ma, dalla do
cumentazione pervenutaci, appare piuttosto strutturalmente correlato
alla trasmissione del potere regale. Nelle iscr!ziot;ti, infatti, i sovrani si
definiscono figli generati da Lugal-URUxKARki, da cui hanno rice
vuto la regalit di Lagall, e subito dopo enumerano i propri antenati
storici, in perfetto parallelismo con le registrazioni amministrative
dove, appunto, il dio associato nelle liste di offerte ai monarchi cb41

funti, di cui s configura come la proiezione sul piano divino32 Nel pe


riodo sargonico scarsi sono i riferimenti nella documentazione ammi

nistrativa al culto di Dumuzi, e l'unica menzione del dio degna di nota


contenuta in un inno a Inanna composto dalla figlia di Sargon,
Enkheduanna, sacerdotessa-en del dio Nanna: nella quattordicesima

stanza la dea viene invocata come amata sposa di U!lumgalanna, in


un contesto, comunque, astrale, e non ctonio-vegetativo (nin-me-Mr-ra,
r. 111).
La prima delle rare occorrenze del nome di Dumuzi in iscrizioni re
gali dovuta, intorno al 2200 a. C., a Urg!lgigir - figlio di Urnign di

H. Steible, Die neusumerischen Bau- und


Uruk (UET VIII, 15
Weihinschriften, Stuttgart 1991: Urnigin l) -, il quale reca il titolo di
=

!lagina, e cio comandante (militare) l stratega di Dumuzi: una

terminologia,

dunque,

che

rinvia

ad una sfera guerriera e non

naturistico-vegetativa. Dumuzi torna un secolo pi tardi nella celebre


iscrizione con cui Utukhegal, re di Uruk, celebra la propria vittoria
sugli invasori Gutei. Rivolto ai concittadini, il sovrano, poco prima
della battaglia decisiva, proclama che gli porteranno soccorso, oltre a
Enlil,

sovrano degli di, le principali divinit di Uruk:

!nanna,

Dumuzi-Amau!lumgalanna e Gilgame!l (ed. F. Thureau-Dangin, RA, 9,

1912, pp. 111-120, rr. II 25 - III 2). Le funzioni degli di urukiti


appaiono interconnesse e orientate a garantire a Utukhegal la vittoria e
la riconquista della regalit sumerica: Inanna il sostegno del sovrano
nella futura battaglia, Dumuzi, attraverso un responso oracolare, ha
pronunciato il destino del re (cio ha espresso il proprio assenso
all'impresa che Utukhegal si accinge a compiere) e gli ha dato come
aiutante Gilgame!l, modello divino della regalit cittadina.
i uovo, dunque, Dumzi mos_t
n --.!_si_rli ,c_()!!.]-E-Eale e

belhca . Tale campo d'azione nsulta d'altronde coerente con la

tii:lizne

attestata dalla Lista reale sumerica, che registra due sovrani

recanti il nome di Dumuzi: il "pastore", re antidiluviano di Badtibira, e


il

"pescatore"

postdiluviano,

nativo

di

Ku'ara,

successore

di

Lugalbanda e predecessore di Gilgame!l sul trono di Uruk>. Al Dumuzi


re di Uruk un duplicato della Lista reale proveniente da Nippur
attribuisce la vittoria sul sovrano di Ki!l, Enmebaragesi, impresa che
altre volte vede protagonista Gilgame35 Bench la scarsit della
documentazione non ci consenta di caratterizzare maggiormente il culto
di Dumuzi a Uruk - dove il quarto mese prendeva il nome dal Dumuzi

42

di Badtibira, e cio Lugal--mu!l* - le iscrizioni regali e la lradizione


flilQil}l,l_prjyi\giano dunque J'(lspetto guerriero_ e r_egale del dio,
ss i-vid-i<l .del reso anche !l allre <?J:!lPO iz_i() !__l!.=tO.
dJ}n';lllii- eseP.I(},. mau!lumgalanna Id!ltif!t(?_E. E..!:!!
stella generata da An ogm mese, alla luna nuova - viene celebrato con
ti spriie--marziail
Al periodo neosumerico e paleobabilonese rimontano i numerosi
testi letterari che descrivono gli amori tra !nanna e Dumuzi, il rapi
mento del dio negli Inferi e l compianto funebre per la sua morte.
Kramer e soprattutto Jacobsen, cui, come abbiamo detto, dobbiamo i
maggiori tentativi di sistematizzazione della documentazione relativa a
Dumuzi, hanno tentato di ricostruire un ciclo mitico-rituale unitario, i
cui momenti culminanti sarebbero la celebrazione delle nozze sacre, le
lamentazioni per la morte del dio, e verosimilmente i festeggiamenti
per la sua "resurrezione". Menlre per il legame cultuale di (Dumuzi-)
Amau!lumgalanna con la sfera funeraria attestato gi nella Laga!l pre
sargonica, e le lamentazioni rituali per Tammuz continueranno ad es
sere eseguite per tutto l'arco della storia mesopotamica, diffondendosi
anche al di fuori dell'area del cuneiforme, la ierogamia fra Dumuzi e
!nanna non invece documentata per il medesimo lasso d tempo. La
prima testimonianza certa delle "nozze sacre" risale infatti al regno di
Sulgi (2094-2047 a.C.)38, e la fine della dinastia di Larsa segn pure la
scomparsa del rituale ierogamico. Anche se l'argomento ex silentio
non pu essere considerato risolutivo, comunque indubbio che man
chino indizi consistenti della celebrazione delle nozze sacre prima della
III dinastia di Ur11, e non possono certo essere i criteri extratestuali ai
dotti da Kramer e Jacobsen (rispettivamente evemeristico ed evoluzio
nistico) a permetterei di considerare i testi neosumerici come rappresen
tativi della Mesopotamia protodinastica. Le nozze sacre sembrano piut
tosto trovare un'adeguata giustificazione storico-culturale nell'elaborn
i10nedllTc:feoogia -regale neosinerica: ''figli'' di Ninsun e Lugalbflia
e "fratelli" di Gilgame!l'"', i re "diVlni" di Ur ill41 riattualizzano su un
piano simbolico il modello costituito dai mitici sovrani della c.d. I di
nastia di Uruk, fra cui la Lista reale annovera appunto anche Dumuzi.
Del resto, non solo datano all'epoca neosumerica e paleobabilonese gli
scarsi componimenti sicuramente riconducibili ad un contesto ieroga
mico42 (due dei quali riportano anche il nome dei sovrani protagonisti
del rituale, Sulgi e Iddin-Dagan), ma a partire da Amar-Sin, figlio e
__

,_

..

--

43

---

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- --- ------

---

successore di Sulgi, anche nelle iscrizioni i sovrani iniziano a vantare


le proprie nozze con la dea. La titolatura "sposo (amato) di lnanna" di...... ----- --.....,venter ua!e dura'!__) dinasi Ealeobil11esi di }i_Il_ - Larsa , per
scomparire.fQ.!LI3..'!!Jlgt_ll!.ll: 1.J?Jlafi.1ent_l1!l<l ce_sazione della prassi
delle nozze sacre.
Dai componJ!!!I!tiierog(l!J:ll.hi!.a.Lri!!.LI!le.I!!La.!l()_ sp()s_l!!
Inanna contenuti negli inni autocelebrativi dei sovrani, come finalit
_ eL!iJ.-!!lE&!l1:'s.ZJoE-LQ!In{:per.ll re, e non
PriOrlianad
la promozione della fertilit vetale .l1.J'lima1:.J'lSr..e fecondit
del Pliese n-n):ei.<ff!! g:l--! sac_r,_(lgtpssg"-s gli ovvi
corollari del _!eg
_ _!!--<!vole, vi!_t.Qri()_Q .Je.!!--h!!_J!l_anna accorda
all'amato'" . N tantomeno pu essere indicativo di una finalit
fertilistica del rituale l'utilizzo, nei dialoghi amorosi tra i due amanti,
di un codice espressivo vegetale, ricorrente, peraltro, pi nei canti
d'amore che nei testi ierogamici veri e propri: si tratta infatti di
metafore sessuali ben note nel linguaggio erotico slinenco, e non d
sTrimi51ldeffa-l'econ"d'it dersuf!'':-Neppurele.lscrlzio-nr-rearr
stabiliscono aTUil'Colegamento""tfa'. il matrirriorTOCoilfnanna e la
furtilit del regno. Afn-:cheperpniTOfarifrin:nto alle proprie
nozze divine, definisce mfa!t_In.aI!.!<__i11_()fa defa-batiagfi'aTSua
amata sposalRTt16T, Die neusumerischen Bau- und Weihin
schriften, Stuttgri'I991: AmarSin 14: 1-3):-un.'a deaguemerae
.; datrice Civitoria; duilcjiie, non una Signora della frtlht .
-L'esstenza-arun -nessoi-a la fi-ogamia e il rinnovamento periodico
della natura messa in discussione ulteriormente da una circostanza
spesso trascurata, e cio l'assenza fra i testi amministrativi mesopo
mici di documenti riferibili alle nozze--sacre. L'unia eccezion costituita dalla registrazione ad Umma, ner-(Jnodo neosumerico, di "doni
nuziali" di Dumuzi - probabilmente per Inanna di Zabalam47- durante il
XII mese del calendario locale, che prendeva il nome dalla festa del dio.
Il rito di Umma, in cui non risulta avere alcuna parte il sovrano, non
pu per coincidere con le nozze sacre descritte nei componimenti let
terari, ambientate nei testi coevi casomai ad Uruk, e pare riferirsi piut
tosto a uno sposalizio fra le statue templari delle due divinit (come al
esempio avviene per le nozze di Baba e Ningirsu nella vicina Laga). Il
silenzio degli archivi di Ur III, Isin e Larsa48 rende assai improbabile
che la ierogamia fosse un rito calendariale, di cui sarebbe inevitabil
mente rimasta qualche traccia nei resoconti amministrativi. Anche il
------ - - -

__

44

fatto che SRT l (r. 174) indichi probabilmente nel primo giorno del
l'anno (zag-mu)"' il momento delle nozze tra lddin-Dagan e Inanna non
implica che il rito venisse reiterato annualmente. L'individuazione del
l'inizio dell'anno come momento della celebrazione della ierogamia rrequenTe-anlie}[Sj-1?.! re_enti.- dip!le!. <lJ. .rsQdll.---h
I'iilcerto dato del test!..?!E.:Pa?!!_:_el'-!P?.-dallil
Scuola mitlco-rituale e sogg1acente alTe mterpret!.Q..I!i di J:f.IJ)(!r e JaObsen, oelTa-uranOeF(a=.oi !;ipdan9,([__iiLJL<:: 2.Il)Pk.sQ Ij
resurri-ie!:2B.m--()still!rebejlllo sif!l.!? Anche in que
sfo--per, i documenti smentiscono la teoria, e con ogni probabilit,
ciascun sovrano celebrava una sola volta le nozze con la dea, forse al
l'inizio del regno. Bench la finalit specifica e l'occasione del rito
non siano determinabili con certezza, se non per quanto concerne la
"fissazione dei destini" per il re, con conseguente conferimento di so
vranit e "benedizione" per il regno da parte di Inanna - elementi per
relativamente generici e non peculiari della sola ierogamia -, !'ipotesi
ei.l?__l!bil-c:e)t!_ ll()':(!-()s-q.o.,_l!!f!lll_<_l!IJ:t?P.o._c:a di lJ. Ig,
far parte della complessa cerimonia di intronizzazione, e in particolare
Ge-riti (:h acesso al trono celebrati acftJrik ..
In ogni casoTe-noe-sa!i1991lo;-:ccnnt!_)I!\'ece \'l)_()le un_a vul: (
gataasSfologica_i()_ri o -!i_&i<t1__!1-l!ti?.?.E!o_n--J.9()llZIQ fuOJimni:.J:?.ll lll.u.z.Lil r?.no ll.! ita.[i!ua!lll..n.te il !l_l 1-J.
e di.o < .
all'interno di una!!!.a !-a!a_pan.f!!:iml:l,
la
cb . m en
sp()sa
ma
_
___
. .
_
_ _ _l!l;
persona, e solometaroncamente viene appellato (e neppure - in tutti
i
componimenti) con il nome dell'amante prototiprCodllniiiina, per in:
dlare, pi che un'Iiientffi,-uiYniOTOgla-funzlonf:"l5elfeSiO,Tacond:../j
ZiOnedi "sposo di Inaniia11 "'o-tui.:ii_il-t-a!:.s()vr ;c()e
risulta dalla produzione Inni!!_e dllejsc!. . .'?,!l.i7.1!9.!!..J.Ui!l:lit(l_- ..
_
. e l
l'occI()_
_! _cl- r?;I_o !!..!!..
__

sr_

..

..

...

- -

__

__

3. La ierogamia del sovrano con Inanna, dunque, solo in senso lato


pu essere riferita al culto di Dumuzi che, con l'eccezione del rito nu
ziale di Umma, sembra avere carattere principalmente funerario. Le
numerose versioni della morte di Dumuzi, fra loro inconciliabili
_E_rdfl.'?.-la_E()_IIione, .1.2.1!_! deful:i!iYartita .-:(
del dio , i!._cui.ti!grno__ dal!.:ldi!t lll:l!l:.l:l1.C>..-!C?._II!. fl.IIa!. Pt!lC?.}l_!
tilo e oi_ct.!It.ile lllp_r()?e_, del_I_a, s_:-iJ"'!_'!_.l.i [!!_Le!_. <_ _

45

infra). Analogamente, non compare alcun cenno ad una possibile futura

) "resurrezione''.reQQ
. r--"l efcan ii. driameriiazioii?';". in-cui Dumuzi - a
volte id!!iligto c?_ p_aon-altre_(fi"viiJ[f!_l_fli!P oitretOniba
(NllaZu, Ni_!!&ill:. _t_;_J:.':'iell_ompianto da spos-1? sorella.

Secondo Jacobsen il ritorno in vita ru)UriiuzT-Damu sarebbe cele


brato da un canto, probabilmente processionale57, in cui al cordoglio
per la morte del dio farebbe seguito la gioia per il suo ritorno dall'al
dil. A rigore, il testo in questione non appartiene neppure, in senso
proprio, al ciclo di Dumuzi, visto che la divinit oggetto del lamento
non mai chiamata n Dumuzi, n Amau1::umgalanna. In ogni caso, i
canti di giubilo che compaiono verso il finale della composizione non
sono motivati dal ritorno del dio dagli Inferi, di cui non vi alcuna
esplicita menzione, bens dal fatto che Damu, assimilato (o accomu
nato) ai sovrani defunti delle dinastie di Ur III e di Isin-Larsa, si reca
dal "padre" (probabilmente Enki: rr. 191 ss.)58 Anche nelle litanie del
lamento eden-na u-sag-ga (nel deserto alle prime erbe) - dove a Du
muzi-Damu sono attribuiti i nomi di numerose divinit, specie "infere"
- vengono enumerati i sepolcri dei re neosumerici e paleobabilonesi".
Per giustificare tale nesso tra il dio e i sovrani defunti non necessa
rio, come fa Jacobsenro, ricorrere all'ipotesi che le tombe regali fossero
venerate in quanto fonti di fertilit e cio, di fatto, alla teoria frazeriana
' )
del re come garante magico della fecondit del suolo e degli armenti.
Tanto nei riti ierogamici quanto nel culto funerario la relazione Du
muzi-regalit risulta infatti primaria, e non dipende dalla mediazione
simbolica della fertilit stagionale. Del resto, come abbiamo detto, gi
nella Laga1:: presargonica, nonostante le ovvie differenze rispetto all'et
neosumerica e paleobabilonese, lo sposo <!iJ!!!!'!i configura come il
modello divino degli antenati regali, datore, come questi, di regalit per
iTSOvrano."nccaJ?on[fecondi"ij?_r.f'no. Non mancano, inoltre, altrt mdlZl dt un'assimilazione della sorte escatologica dei sovrani
neosumerici con"quela ilnuiiiizi;Ta-cuC''sopvivenza" garanttta
non da un enoruc"iifiiioTii.vti,-mada1fa"sua_Si.bile presenza fra le
dtvinit de 'oltretombam wlfk:e51-haTilf'at messo. in evidenza come
nella Mrte di Ur-Na'iiimu in cui ha convincentemente riconosciuto il
lamento composto o commissionato dalla vedova del re, Watartum Inanna compianga il sovrano defunto in termini che richiamano ine
quivocabilmente la figura di Dumuzi. Anche la catasterizzazione po
stuma di Sulgi, figlio dello stesso Ur-Nammu e primo sovrano divi-

46

nizzato della III dinastia di Ur III, con ogni probabilit deve essere cor
relata con l'aspetto astrale di Dumuzi-AmauSumgalanna63
Tutto questo non s!g!J:i_fic(l_cileJa _mgrte Qi_ Q.l;l!!l!!:Z:i clb.l..!.!! ,ti
dotta in maniera univoca ed esclusiva ad una codificazione mitica della
realizza, a
morte del re: piuttosto, come ha mostrato Alster , Dumuzi
vari live_!!---11.11 mediazione tra :ni"\7ersrsfll.ilicfopposti (viiaJ
di l u?_'!li_ni, citt f spazio xtr:aurbano\ e pertanto pu fo!:&
una soluzione alla contraddizione insita nella ineludibile mortalit di
un sovrario divirio. Moitol. _Il1a pure perm1emente dio e sposo di
Qu.!I!-i (;2.it_ uisce un p_ijJ_:di_.[fefiiEJifJ?!lV.!Jgato <
un'escat?.Is!_<\1-!-- (;_sin alla l1gas _presargo11ica prevede la
'-rs<)pravvivenza" degli antenati come fonte del potere del success'ore:e
clle'n-epoEa-neos-umeriC deve necessariamente_ conciliar moriant1t
iiiViilTtr.''PJjn 1r2ILounqu_.: jl: c<lllll'Q. c!Lii2_ di l?.lli.--<
bench si estenda anche alla pastorizia (sia in senso proprio che metafonco, scoC!'o la_ 6en-nofa eqivalenza simbolca_Ehfa eLijLJ.i:
s>E@), ;5P<ll?.l?Jing_ <:l!tQ.L .ss.n:z;j_ah11e11te funerarie>:.!
m1t1 di mrte dil:>umuzi L2..11!is-<!ti.re._!_ -!::.h<?. CQ_I!:'.-<
fondazione del lutto, delle lamentazioni e delle offerte per i defunti, e
cio di un ra OffcUTIUraiiilntecorreito"'cnTmort:'-f'lsthiiZI'one"di
--------- ---------------.....
---- - -- ,.,__ ....... --...,.
parte di Inanna del cto fuE
_ -e._a _u_itg dt?!l<l:._I!l_()r-ell<:J .R2!2_7
particolarmente evidente in /nanna e Bilulu, e la corretta esecuzione dei "
ntJ di lutto costituisce-no(feriemr_erTncipaffdeTiaDiScesa-dilnanna
-coerenremente"con-ir aaio ffiiticaerraoenrirv-a-morie- d nuniuzi,
la documentazione arrlministratfva"iiO'-fmTsc.aicuillnii'Zio_a_-fa;ore
dell'esistenza di cerimonie-cil.liecTe6rnssero-Ifntorno-in--vitae,-a-ilzf,
s_r s_!!l:_!!tir!!J_I_Iti!!?-(feTos=y_e_rT_qul} _c-!1:
spesso attribuitagli negli studi moderni: il grande rilievo che riveste
Dumuzi nelle.compoSzoniletteiirie non trova infatti riscontro nei te
sti economici, dai quali invece risulta una presenza del dio nella prassi
religiosa tutto sommato scarsa. Le testimonianze pi consistenti pro
vengono da Umma, dove il XII mese traeva il nome, sin dall'epoca
sargonica, dalla festa di Dumuzi, la quale, come abbiamo detto, impli
cava probabilmente una liturgia nuziale: i dati relativi a tale occasione
rituale, recentemente analizzati da Sallaberger67, non ci permettono per
di ricostruirne un quadro coerente"'. A Lagas, nel periodo di Ur III, era
invece il VI mese a prendere il nome dalla festa di Dumuzi, sulla quale
per non possediamo alcuna informazione"'. In una tavoletta lagaSita
__

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-------.r;r-

_____ _,_____

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-- - - - -

-"--

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47

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_____

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- -

datata al mese di Dumuzi sono registrate offerte a divinit collegate con

la cerchia del dio o con l'aldil (Ninegal, NingiSzida, Nungal e Andu

musag), ai sovrani defunti della citt e alle loro spose, ma non allo
stesso DumuziX>: bench sia impossibile trarre conclusioni definitive
un solo documento (tanto pi che sacrifici

di
ai ovemanti morti di LagaS

sono attestati anche in altre occasioni rituali \ comunque degno di

nota che nel periodo neosumerco a LagaS il mese della festa del dio

fosse occasione di un culto dinastico (analogo a quello del mese di


Lugal-URUxKARki durante la prima dinastia lagaSta)72 Il culto di

Dumuzi si ricollega in maniera univoca al culto ancestrale dei sovrani

neosumerici a Ku ara, dove nel periodo di Ur

III il dio era tributario di

offerte nel tempio di Ninsun insieme con la stessa Ninsun e Lugal


banda (considerati come i "genitori" divini dei dinasti di Ur

III),

GeStinanna e i predecessori defunti del re in carica. Purtroppo insuffi

cienti a definire la funzione del dio sono invece i documenti pervenutici

sul culto di Badtibira, dove Dumuzi, con il nome di Lugal--muS, era

sin dal periodo protodinastico titolare di un tempio, la cui attivit con


tinua in periodo paleobabilonese73 Nulla sappiamo di una "festa di

Lugal--muS" a Uruk, da cui prendeva nome il

IV mese del calendario

locale. Piuttosto, risulta scarsamente compatibile con un culto di fe

condit stagionale la discrasia fra le datazioni delle diverse "feste di


Dumuzi" nei calendari dell'epoca di Ur

LagaS e

m (XII mese a Umma, VI a


IV a Uruk). Della festa di Dumuzi abbiamo notizia anche di

alcuni componimenti letterari, che la mettono inequivocabilmente in


connessione con il culto dei defunti: dall'Inno

a lnanna-Ninegal/a

(Signora del palazzo), di epoca paleobabilonese, apprendiamo che durante la festa d Dumuz, che doveva

danno,., la dea incontrava il proprio


riceveva offerte funerarie

(rr. 65

cadere probabilmente a Capo

oso nel tempio di Enki a Eridu e


sp
ss.) . Tale circostanza trova conferma

in una pi recente lamentazione-balag, secondo la quale la festa di

Dumuzi cade nel mese di Abu77, e cio in un periodo destinato al culto


dei defunti: dal medesimo testo sembra di dover comprendere che Du

muzi, accanto a NingiSzida e GilgameS, ha un posto stabile fra le divi


nit dell'aldil.

Solo all'interno di tale quadro culturale e religioso pu essere valu

tata adeguatamente la conclusione della

Discesa di /nomul'. Abbiamo

gi detto della travagliata vicenda interpretativa di tale componimento:

dopo la ricostruzione di Falkenstein nessuno ha pi dubitato che le ri-

48

ghe mancanti del testo dovessero contenere la generosa profferta di


GeStinanna e il conciliante verdetto finale. La parte conclusiva della
Discesa di !nanna tJ2r2_-.rHem_!lJt!!!!..l1!:>Ji&l!l'I..Q.Y.lllJWal
mente da Alster -- LQe!:!_!nann(l_n_<?!l.. vi --lcU!!!_!!:l!,.:. Le_!!g
a i_!iJ?.9E.a_nE__!LE!!!!O r:_it}:!a!e. L!!!L..&tllillLQ eli. (lnI!I!_!-
.U!.ssa !l.2..Pt;,.l-iocE_IlC..t!LfS.j.!_ !:
dialoo tra Inann.$.._!!19:})nsff() fJ_a.H;,_ dg::.,_sL!!'':.a
Dumuzi, ottenell.9..2.i!l..SI!!!'.!.!.ll1 dstmQ.L<lYI:?fY()le . Dopo dl)e, .ig_e
ininte!l!giQili, !n .. (;'-!_i Alster ip()tizza. che !l qt.Il:\JC.Ce_JTI()c!Qd()ye. n
--C.<?!!Geti_!!_l_lll.'! (}pe il }al}}()!;()_:- srnp_re ffi!JQ c,2
prensibil_e- passo probite rela!!._-_!:alt!_nanza .:'.'!!strale fr!}l
dio e la s In attesa della collazione e pubblicazione completa del
siamo comunque osservare che solo una chiave esegetica
costituita pu indurre Jil!:.Yiduru:e. (;()n -C::Illle.!!--ge P..e
conclusive, pronunciate da un personaggio ignoto, la codificazrone
sriiOOITcaill-ncTcloruTrtilitasiagionale: potrebbe trathisi,-coru
trettap_!.l,o ri!ssJ_niir9.b111:!Tii. ad esempio, i 11-iEE>j!feJse
non altro perch il carattere astrale di Dumuzi - a differenza della sua
!!ss. ion-e.ifiTiili'Ict-e-It!<JeTI::Q1a@! :-. .ifes!to. a /
documentazione mesopota"!ict In_2gni c1 !!..Ergll._il.J!<!IE.<?.J.- ...
riodico di Dumuzi dagli Inferi nella Discesa di /nanna costituisce un
hapax.nellaJetrf m-opica,.edu9.iffi!eni_!iii /
di frnte _ll_!l:e!!!-9_!l:e<?.l!!!J!{li!.P!t9 allll..f!!l,i?ern,
che lle!a--l!fl!litiva la [!!_Orte di DumQe.J.Jesto._K!tern..?:.'l
Dum!!z_igtinanna non come neppure nellll..PiE!!.!!_c!i !._a.=ca_
<'
la cui !l.t:!L{)!l..clusivaLl diffi.<:iJ_J!21llP. rll.P_!l!!
.!o ]i'
nferimento all'istituziondl !l.!!'J..dL.iq, c e..n _n" Jtor.llll. c
llt-ll'.f!fl:e c()_ll}!l_!;:8taZ!()Il!.lll.t\ !:illl.l1!1.291.-gior no
lffi:l lll1E.()_,f acco!l:papna!o .<!1:?.?.!<>..<f. ej_(j(! fl1E!h . J! _ e_ndeJl!rte ale ..,.,
1 UJ,
1
o erte unerans..!!!Y() ntt:l.. .ll--.2.-.!_E:!'!!.!!!
ll d
e privoji C()!Jl!l.eE!.i__?.n la fe!.!:ilit stagionle:
Lamentazioni per Dumuzi-Tammuz continuarono ad essere eseguite
anche dopo la fine del periodo paleobabilonese: Gilgame. nell'epopea
"classica", rivolgendosi ad l!ltar, afferma: per Tammuz, l'amato della
tua giovinezza, hai decretato un compianto annuale (VI 46-47), e dal
rituale atti /!tar !a !Ja.nna$a Dumuzi apprendiamo che scongiuri ro
esorcismi contro i dmoni e gli spettri devono essere eseguiti nel
mese di Tammuz, quando Itar fece piangere il popolo del paese su
..

__

. .

__

..

..

..

__

__

..

49

Tammuz, il suo amato81 Altre fonti ci forniscono alcuni particolari


sui rituali della fine del mese di Tammuz, quando si celebrava la
"prigionia'_fors.L.l!Il_I!Q__-!PP seppelliento) . del dio; in
numerose citt assire le cerimonie implicavano anche l'esibizione della
statua del dio morto . Lo sviluppo maggiore del culto di DumuziTammuz, in epoca post-Cassita, sembra comunque essere inerente al
una sua sempre pi marcata funzione esorcistica: il 27 del mese omo
nimo Tammuz torna dall'aldil insieme con i morti di famiglia, per es
sere lamentato ritualmente, e il giorno successivo rientra nella sua sede
infera, portando con s anche spettri nocivi ed entit malefiche che du
rante l'anno fossero risaliti sulla terra per arrecare danni e malattie"'. Un
testo rituale assiro del I millennio riferisce che la morte di Tammuz co
incideva con la tostatura di alcuni chicchi grano84: bench la succes
sione delle azioni rituali non sia del tutto chiara, si tratta della prima
esplicita associazione del dio con i cereali, anche se sarebbe sicura
mente arbitrario dedurne un'interpretazione naturistica.
L'identi:f!_azio d!la sorte di Tammuz con guell _?-1 rano si rea
/-, lizza invece r'ifmente
nel rituale medievale delle donne di Harran, cb
/ cui partita Ili moderna storia dei.-'!. ?f?rifeYCiesnver la festa di Ta)uz (Tammuz) ad Harran, celebrata in fglio e denominata el
Bqat, )an-Nadim scrive: Ta)uz. Alla met di questo mese ha luogo la
festa di el-Bqat, ossia delle Lamentatrici, e questa la festa di Ta)uz,
celebrata in onore del dio Ta)uz. Le donne piangono il suo destino,
poich il suo signore lo uccise in maniera cos crudele, macin le sue
ossa in un mulino e poi le sparse al vento. Le donne, durante questa
festa, non mangiano niente che sia stato macinato in un mulino, ma
limitano la loro dieta a grano macerato, alle cicerchie dolci, datteri, uva
secca e simili"'.
Non neppure il caso di insistere sul fatto che significato e conte
sto del rito medievale non possono essere proiettati sulla Mesopotamia
v del 3000 a. C. Piuttosto, degno di nota che anche quando, al termine
della sua storia plurimillenaria, il destino di Tammuz viene finalmente
assimilato a quello del grano, non si tratta, come volevano i Padri della
Chiesa, della "morte" stagionale del grano seminato che rinascer a
primavera, ma dell' "uccisione" culturale del cereale macinato, che mai
verr restituito alla terra per sorgere a nuova vita: pure in questo caso,
dunque, una morte definitiva.
_.._............ ....

............ u-----"---

50

NOTE
1 Fonti in F. Lenormant, "Il mito di Adone-Tammuz nei documenti cunei
formi", in Atti del IV Congr. Int. degli Orientalisti, Firenze 1880, I, p .
144ss. e W.W. Baudissin, Adonis und Esmun, Leipzig 1911, p . 94ss.

2 Gi lo stoico Cornuto ( Theol. Graec. 54, 19 ed. Lang) aveva visto i n


Adonis un simbolo del frutto di Demetra>> . Sulle interpretazioni allegori
che di Adonis nelle fonti antiche, cf. W. Atallah, Adonis dans la littrature
et l'art grecs, Paris 1966, p. 320ss.
3 Sull'identificazione tra i due di cf. ad es. G.E.J.G. De Clermont-Lodve,
Baron de Sainte-Croix, Recherches historiques et critiques sur le Mystres
du paganisme, Paris 18172 (l ed. 1784), II, p. 101 e bibliografia citata.
4

Cf. De Clermont-Lodve, op. cit., II, p. l OOss.

5 Cf. D. Chwolson, Vber Tammuz und die Menschenverehrung bei den al


ten Babyloniern, St. Petersburg 1860, p. 22ss. (la prima monografia dedi

cata a Tammuz). In un ponderoso saggio del 1856, Die Ssabier und der Ssa
bismus, I-II, St. Petersburg 1856, Chwolson aveva analizzato una serie di

testi sui Sabei "pagani"' di Harran, in alcuni dei quali compare Tammuz: i n
particolare l'Agricoltura Nabatea, composta nel X sec., e la relazione di
>an-Nadim sulla festa di Ta>uz a Harran, celebrata in luglio e denominata
ei-Bfiqit (Il, pp. 27s. e 20 l ss.; cf. infra). Quattro anni dopo Chwolson
pubblica appunto un breve volume (Uber Tammuz, cit.) in cui raccoglie
tutte le interpretazioni anteriori sul dio, dai commentari cristiani e rabbi
nici su Ezechiele sino agli studi pi recenti. Dal ricco dossier emerge un
panorama interpretativo assai variegato e fantasioso, ma la linea esegetica
dominante negli studi sette-ottocenteschi quella dell'oloi!?
E!
!.fpglogica fra Osiride, Adonis e Tammuz, posizione peraltro respinta dallo
stesso A., che vede.in Tammuz un fondatore di religione>> e un martire
del nuovo culto>> . Il volumetto di Chwolson verr comunque ben presto
dimenticato: tre anni prima della sua pubblicazione era stato infatti
"ufficialmente" decifrato il cuneiforme, e ben presto si pot accedere a
fonti dirette sul dio mesopotamico.
6

La prima notizia del ritrovamento della Discesa di !Star venne data da Fox
Talbot nel 1865. Negli anni successivi quasi tutti i principali orientalisti

si cimentafoii0i1ella traduzione e interpretazione del mito: bibliografia i n


Lenormant, op. cit., p . 157, nota 4 . Gi nel 1874 Lenormant (op. cit.,

Ph

51

163s.) aveva intepretato la Discesa di !tar come una ricerca di Tammuz da


parte della dea.

7 ....
,-----

A.H. Sayce, Lectures on the Origin and Growth of Religion as lllustrated

. the Religion of Ancient Babylonians, London 1887, p. 227.


na catabasi di Afrodite alla ricerca dell'amato testimoniata

solo da

/ qualche incerta notizia di autori cristiani: Aristldes: Ajj'QT Xl 3-4 p. 1 6


Geffcken; Cyril. Alex., PG 70, 4408-4418; Proc. Gaz., PG 87, 2137D2140B; Schol. Greg. Naz. (in J. Declerck, "Five Unedited Greek Scholia of
Ps.-Nonnos", L'Antiquit Classique, 45, 1976, p. l 84s.).

9 Lenormant, "Il mito di Adone-Tammuz", p. 165; corsivo mio. Cf. anche


id., La magie chez les Chaldens et les origines accadiennes, Paris 1874,
p. 121: ces dieux qui meurent et ressuscitent priodiquement, propres aux
cultes de l'Asie antrieure, sont des personnifications du soleil dans les
phases successives de sa course diurne et de sa course annuelle>> (corsivo
mio). Frazer conosce il saggio di Lenormant, che cita a p. 10, nota l, del I
volume dt Adonis, Attis, O siris, del 1906.
10

Lenormant, "Il mito di Adone e Tammuz", p. 155.

11 Cf. F.C. Movers, Die Phonizier, I, Bonn 1841, p. 209ss.; H. Brugsch,

Die Adonisklage und das Linoslied, Berlin 1852, p. 15.

12 W. Mannhardt, Wald- und Feldkulte, II, Berlin 1876. Certo Mannhardt

venne precocemente conosciuto nel mondo degli antichisti: Roscher, s. v .

Adonis (del 1884, e cio sei anni prima dell'uscita del Ramo d'oro), nel

Lessico mitologico da lui curato, fa pi volte riferimento alla sua opera,


accogliendone sostanzialmente le tesi.
13 Mannhardt, op. cit., 19052 (1876), p. 85.

14 Ovviamente il problema di Tammuz si i ser nel pi ampio dibattito cul


turale, di cui ci non si pu occupare qui, sulle origini del Cristianesimo, e
Ila relazione tra soteriologia cristiana e "religioni" misteriche.

S.N. Kramer,

16 Sulla ricostruzione del testo sumerico cf. S.N. Kramer, "Scoperta e deci
frazione della 'Discesa di Inanna"', in D. Walkenstein - S.N. Kramer, Il
mito sumero della vita e dell'immortalit, Milano 198.5---(a: -or. /nanna
en of Heaven and Hearth, New York).

-t

The Sacred Marriage Rite, Bloomington 1969, p. 133.

17

.N. Kramer, "Introduction", in id. (ed.), Mythologies of the Ancient

orld, Garden City 1961, p. lOs.

52

18 La storicit di Dumuzi, ritenuta probabile da alcuni studiosi di inizio se


colo, venne ribadita, con grande acribia filologica, da Falkenstein ("Was
sagen die schriftlichen Quellen ii ber das Tammiiz-Problem aus?", i n
CRRAI, Leiden 1954, pp. 41-65). Nonostante la ricchezza documentaria e
l'accurata analisi delle fonti, l'ipotesi di Falkenstein si fonda sul presup
posto indimostrato che tutti i mitici sovrani di Uruk, tramandati dalla

reale

sumerica e celebrati dall'epica, siano personaggi storici.

JSS,

7, 1962,

Lista

19 O.R. Gurney, 'Tammuz Reconsidered: Some Recent Developments",


pp.

147-160.

'}f)A. Falkenstein, ree. di S.N. Kramer - C.J. Gadd,

t!!{st Part,

BiOr

22, 1965, p. 281.

LJS .N. Kramer, "Dumuzi's Annua)


to 'Inanna's Descent'", BASOR,

riage,
22

p.

155.

Th. Jacobsen,

Ur Excavations Texts VI,

Resurrection: An Important Correction

183, 1966,

The Treasures of Darkness,

p.

31

e id.,

The Sacred Mar

New Haven-London

1976,

p.

24ss.

Fourth Millennium Metaphors. The Gods as Providers: Dying Gods of


Fertility il titolo del capitolo sulla fase pi antica della religione meso
potamica in Jacobsen, The Treasures of Darkness.
24 Jacobsen, The Treasures of Darkness, p. 26s. e id., Toward the lmage of
Tammuz and Other Essays on Mesopotamian History and Culture, Cam
bridge (Mass.) 1970, p. 73ss.
25
Jacobsen, Toward the lmage of Tammuz, p. 74.
{26) f. B. Alster, Dumuzi's Dream, Copenhagen 1972; F.R. Kraus, "Das
'artbabylonische Konigtum", in P. Garelli (ed.), Le Palais et la Royaut
(RAI XIX), Paris 1974, p. 244s.; J. Renger, "Heilige Hochzeit", RIA IV,
75, pp. 251-259.
f. M. Detienne, l giardini di Adone, Torino 19822 (ed. or. LesJ.ardins
d'Adonis2.-I97.f1rPJ_iJ!NBE!.:.?i'i8C?iJi!I,]li:r
gioniL Ro1_ 11a .!.?.. p. 77ss.; .:. -iih.iiL.!'!. .AP!L :_qrienqy::.f!i.
un mito greco,
Roma 1981.
-23

28 Ribichini

. it: :i.i i contributi di P.

Xella e dello stesso S. Ribi

ini.
\_2 Cf. A.H. Gardiner, ree. di J. G. Frazer, The Golden Bough: Adonis, Attis,
Osiris,

JEA,

2, 1915, pp. 121-126.

53

-<

30

Negli Inni za-mf compare AmauSumgal (r. 220; R.D. Biggs,

lnscrip

tions from Abu Saliibikh, Chicago-London 1974, p. 52), ma non nomi

nato Dumuzi, assente anche dalla grande lista di Fara. Inoltre TSS 715 re

gistra offerte di farina sia per Dumuzi che per AmauSumgalanna, il che po

trebbe far ritenere che le due figure divine fossero all'epoca distinte. La pi

antica documentazione relativa ad un luogo di culto del dio si trova in due

contratti provenienti da Suruppak, datati da Edzard al periodo di Fara: nel


primo uno dei testimoni Baza, portiere (l-dug) di Dumuzi; nel secondo i l
tempio di Dumuzi i l luogo i n cui il contratto scritto. Circa nel mede

simo periodo compaiono i primi nomi teofori composti con l'elemento

ddumu-zi (cf. R. Kutscher, "The Cult of Dumuzi!fammuz", in J. Klein -A.

Skaist [edd.], Bar-flan Studies in Assyriology Dedicated to P. Artzi, Jerusa


lem 1990, p. 30 e G. Selz, Untersuchungen zur Gotterwelt des altsumeri
schen Stadtstaates von Laga:r, Philadelphia 1995, p. 114).
31

Nelle iscrizioni

regali Lugal-URUxKARki chiamato <<AmauSum-ga

lanna>> e <<sposo di Inanna>> ed associato nel culto alle divinit del ciclo
di Dumuzi nnanna e AmageStinanna, etc.: cf. P. Pisi, "Il dio Lugal
URUxKARki e il culto degli antenati regali nella LagaS pre-sargonica",

Orientis Antiqui Miscellanea, II, 1995, pp. 1-40). Nelle liste di offerte

della LagaS presargonica ricorre anche una divinit indicata come ddumu
zi: si tratta per dell'abbreviazione del nome di una dea, Dumuzi-apzu, del
tutto irrelata rispetto allo sposo di Inanna: cf. Selz, op. cit., p. 114ss.
32
33

Cf. P. Pisi, "Il dio Lugal-URUxKARki", passim.


Dumuzi non compare in alcuna iscrizione dei sovrani di Ur III e Isin, n

possiamo dedurre molto di significativo dalle due attestazioni del nome del

dio in iscrizioni del periodo di Larsa, ad opera rispettivamente di Siniddi

nam e Rim-Sin. Siniddinam dichiara di aver costruito il muro di Badtibira e


di avere in tal modo rallegrato il cuore di Utu e Dumuzi (1. Karki, Die sume

rischen Konigsinschriften der friihaltbabylonischen Zeit in Umschrift und


Ubersetzung, Helsinki 1968: Siniddinam 7, 34-35), mentre Rim-Sin de

dica un'iscrizione per celebrare la costruzione di un tempio di Dumuzi, pro

tettore delle stalle e degli ovili (UET I 42= I. Karki, op. cit.: Rim-Sin 9).
34

La domanda - ricorrente negli studi moderni - su quale dei due Dumuzi

vada identificato con lo sposo di Inanna, non pare metodologicamente

corretta. Tutta la tradizione sumerica conosce un solo Dumuzi, il pastore,

che a Badtibira aveva un celebre luogo di culto (nell'epiclesi di Lugal-


muS: cf. infra), ma che nel contempo risulta palesemente collegato con la

tradizione urukita e a volte viene considerato nativo di Ku'ara (ad es. in

/nanna e Bilulu). Piuttosto, occorrerebbe interrogarsi sul perch la figura

54

del dio, altrimenti unitaria, nella Lista reale risulti scissa in due diversi

sovrani. Alster, uno dei pochi studiosi a sollevare tale problema, sostiene

che tale duplice presenza motivata dal fatto che Dumuzi si reincama con
tinuamente in ogni re terreno (B. Alster, Studies in Sumerian Proverbs,

Copenhagen 1975, p. IOOs.).

Anche senza ricorrere a cicliche incarna

zioni del dio, sembra emergere dalla Lista reale una connessione strutturale
tra istituto regale e Dumuzi: due volte la regalit scende dal cielo (prima

e dopo il cataclisma) e due volte deve realizzarsi nello sposo di lnanna. E'

inoltre degno di nota che nomi di sovrani antidiluviani di Badtibira e di

Larak compaiano in liste divine e testi di lamentazioni come epiclesi dello

stesso Dumuzi (cf. Jacobsen, Toward the lmage ofTammuz, p. 325).

35 J. Klein, "A New Nippur Duplicate of the Sumerian King List in the

Brockmon Collection, University of

Haifa", Au Or 9 (= Velles Paraules.

Ancient Near Eastern Studies in Honor of M. Civil), 1991, pp. 123-129.


36

Cf. M.E. Cohen, The Cultic Calendars of the Ancient

Bethesda 1993, p. 209.

37 BM 96739

Cf XXXVI 33-34, in D.A. Foxvog,

Near East,

"Astrai Dumuzi", i n

M.E. Cohen - D.C. Snell - D.B.Weisberg (edd.), The Tablet and the Scroll.

Near Eastem Studies in Honor of W. W. Hallo, Bethesda 1993, pp. 103108.

38 Si tratta dell'inno Sulgi X (rr. 15ss.). Un'allusione alla ierogamia forse


contenuta in un inno autocelebrativo di Ur- Nammu, padre di Sulgi e fonda

tore della III dinastia di Ur (TCL 15 no. 12, col. III

rr.

73-75), il che, co

munque, non porterebbe ad antedatare di molto la celebrazione del rituale.


La lettura ierogamica del passo comunque tutt'altro che sicura: cf. J.S.

Cooper, "Sacred Marriage and Popular Cult in Early Mesopotamia", in E.

Matsushima (ed.), Official Cult and Popular Religion in the Ancient Near

1!:\st, Heidelberg 1993, p. 85.


O ltre al "Vaso di Uruk", l'unico

indizio a favore dell'esistenza in epoca

presargonica delle nozze sacre fra il re e lnanna un'iscrizione di Mesan- D

nepada, nella quale il sovrano si proclama sposo della nugig (UE, p l .

191, U. 13607). Anche se nugig frequente epiteto d i Inanna, nel caso i n


questione pu pi verosimilmente trattarsi d i u n titolo della sposa del so

vrano, Ninbanda. Nel periodo sargonico attestata per Naram-Sin la qua

lifica di mu-ut diNANNA An-nu-n'i-tum (1.1. Gelb - B. Kienast, Die alt


akkadischen Koniginschriften des dritten Jahrtausends v.

C h r., Stuttgart

1990: Naram-Sin C 4): possibile tanto la traduzione sposo di lnanna


(!Star) Annunitum, quanto quella guerriero di lnanna (!Star) Annunitum.

In ogni caso, non detto che la titolatura regale rimandi necessariamente a

55

celebrazioni rituali; piuttosto, degno di nota che, nel caso in cui la tradu
zione corretta dell'iscrizione di Naram-Sin debba essere sposo di Inanna
Anunnitum, la dea compaia con un'epiclesi che evoca un campo d'azione
bellico, e non certo fertilistico: cf. I.J. Gelb, "Compound Divine Names in
the Ur III Period", in F. Rochberg-Halton (ed.), Language, Literature, and
History; Philological and Historical Studies Presented to Erica Reiner,

New Haven 1987, p.1 30ss.

40

P. Pisi, "L' 'ascensione' di Sulgi", SM SR, 62, 1996, p. 40 3s.

Il primo sovrano neosumerico divinizzato fu Sutgi, figlio del fondatore


della dinastia, Ur-Nammu. In epoca anteriore erano stati divinizzati i so
vrani accadici, a partire da Naram-Sin. Per quanto riguarda la differenza fra
il modello regale sargonico e quello neosumerico (e la conseguente diversa
valenza simbolica della divinizzazione), cf. M. Liverani, Antico Oriente.
ria societ economia, Roma-Bari, 19952, p. 285ss.
41

"

stato giusta_fl.l.!to -C!'JI_!I.Pim!!!Ll!i!l!Lri

di
!nanna e Dumuzi, spesso triilfatJ unitariamente studiosi, apparten
goTi01:ilre aTtaageencompSiflvlersF non di rado, infatti, non
si operata un'd
_ eguata distnzione fra testi destinati ad accompagnare i l
nto Jerogam1co 12. i su!rativi lLP!!!tY.,JI,).ffi2.J!!.:..!LYsill!.r.iJmiti
ai ciclo delle due divinit anhe in assenza del loro nome (cf. le osserva
zioni di B. Alster''SumerianTove Song;.\R.A, 79,1985, pp. 127-159; J.
Renger, op. cit., p. 255s., cui rinviamo anche per la descrizione del rito
ierogamico, e Cooper, op. cit., p. 86). Senza pretendere di fissare precisi e
definitivi criteri tassonomici - prematuri allo stato attuale della documen
tazione -occorrer dunque distinguere gli scarsi testi sicuramente (o al
meno probabilmente) collegati con la celebrazione delle nozze sacre da
composizioni (come i canti di corteggiamento) di cui non conosciamo
l'eventuale contesto cultuale.
43

Y.

Sefati, Love

Songs in Sumerian Literature. Critcal Edition of the Du

muzi-lnanna Songs,

44

Jerusalem 1998, p. 38.

Cf. Renger, op. cit., p. 258 e Kraus, op. cit., p. 244ss.

45

Cf. J.G. Westenholz, "Metaphorical Language in the Poetry of Love in


the Ancient Near East", in D. Charpin -F. Joanns (edd.), La circulation

des biens, des personnes et des ides dans le Proche-Orient Ancien (RAJ

!f.XX
\ VJJJ ), Paris 1992, pp. 381-387, e bibliografia ivi citata.
onostante lnanna sia stata presentata, _sin _at gli inizi d,egli

studi assi
riologci, come una Signora d e_lla_ fecondit, arbitra !.Eesperire
d1_ ogni forma dJ, vita, occorre_ rileVare'Clie nella dumentazione mesopo-

<J
/

56

tamica mai la dea esercita un dominio sulla sfera della fecondit vegetale e
i pete_e([!nanna".:"'cne'"Rrepos_!!!
tmale. n vastissimo spdrcon
principalmente alla guerra:...la sani_._jiJI'i!.I!.ssuJll .-!1J..J!. '
pJ generale, ad ogni trasformazione i status (cf. J.J. Glassner, "Inanna et <
les me", in M. de Jong Ellis [ed.], Nippur at the Centennial (RAI XXXV),
Philadelphia 1992, pp. 55-85) - esclude proprio l'ambito agrario, la ferti
lit e la rieroduzione. Anc_l})!J?..S2._g!Ll!Q-a..!l
!L !!R.J!!..:_f.,..L
litamente _addotto ri[ OVa_5!!1!.,-!!J?f!ili!-E- - <
sareiifea1t ntensce eScfusivamente che durante la catabasi di l!!tar cessano gliacoppifit'!1Lli . - iini: l'accttQtO _P.oso-:Pr!ffiaritTi
Sii.liiSesl!.r:!
..!l9.. . ':'l!!..!!J>rf!dllz.!<>.ne,. n vien..J'!tt()_.,Jf!!P..<:.lll1
vegetazione.
Cf. Kuts her, op. cit., p. 33s.; Cohen, The Cultic Calendars, p. 186s. e
W. Sallaberger, Der kultische Kalender der Ur J/J-Zeit, Berlin-New York

1993, l, p. 257ss.

48

Per il periodo di Ur III, cf. Sallaberger, op.cit., l, p. 210, nota 990. Per
l'epoca paleobabilonese, cf. Kraus, op. cit., p. 244ss.
49

Sulla base di un'ampia documentazione amministrativa Sallaberger ha


recentemente dimostrato che per, almeno nel periodo di Ur III, zag-mu
non significa Capodanno, visto che pu riferirsi a mesi differenti, e per
tanto deve essere tradotto come momento culminante dell'anno, con al
lusione alla celebrazione di una grande festivit (Sallaberger, op. cit., l, p.
l 42s., nota 669 e ibid. p. 192, nota 912). E' possibile che anche durante il
regno di Isin il valore di Capodanno per zag-mu non sia dunque cos certo.
Comunque, anche se zag-mu dovesse significare Capodanno, SRT l dimo
strerebbe soltanto che la ierogamia, durante il regno di Iddin-Dagan, era
stata celebrata all'inizio dell'anno, e non che veniva reiterata annual
mente.
50 Kraus, in una radicale e opportuna revisione della documentazione pale
obabilonese sulla ierogamia, giunge a mettere in discussione l'effettiva ce
lebrazione del rito, che potrebbe essere esclusivamente eine literarische
Angelegenheit, finalizzata a dare un contenuto concreto alla titolatura
regale "sposo di Inanna" (Kraus, op. cit., p. 249). Nonostante gran parte
delle considerazioni di Kraus siano condivisibili, nelle conclusioni lo
studioso - che comunque prende in esame solo la documentazione di Isin
Larsa e non quella di Ur III- pare cadere in un'ipercritica: la descrizione del
rituale risulta infatti nei componimenti ierogamici troppo puntuale per ri
ferirsi ad un contesto esclusivamente letterario.

57

51

Cf. Renger, op. cit., p. 257 e Alster, "Sumerian Love Songs", p. 2 0 .

Tale ipotesi deve per essere avanzata con una certa cautela, visto che ci

pervenuta la registrazione

amministrativa dell'incoronazione dell'ultimo

sovrano di Ur III, lbbi-Sin (cf. Pisi, "L' 'ascensione' di Sulgi", p. 422ss.),


dalla quale non sembra emergere alcun indizio della celebrazione

delle

nozze sacre.
52 Prescindiamo

qui dalla vexata quaestio su chi interpretasse la parte della

dea nel rito ierogamico (su cui cf. Renger, op. cit., p. 256 e Cooper, o p .
cit., p . 87s.): solitamente s i pensa a d un'operatrice rituale - en, lukur, etc. o alla regina. Dal testo delle "nozze" di lddin-Dagan pare per che !nanna

e rappresentata dal suo idolo templare e non da un personaggio umano.


l/nche le allusioni al rito ierogamico contenute nei poemi epici (specie
m

quelli aventi come protagonista Enmerkar) indicano che la ierogamia

era funzionale all'acquisizione e al mantenimento del potere, e che i so


vrani "sposavano" Inanna in prima persona, e non come rappresentanti ri-

r di Dumuzi.
f. in particolare Il sogno di Dumuzi (in Alster, Dumuzi's Dream),

anna e Bilulu (in Jacobsen, Toward the lmage of Tammuz, p. 52 ss.), BM


100046 (in S.N. Kramer, "The Death of Dumuzi: a New Sumerian Version",
AnSt, 30, 1980, pp. 5-13), e le sequenze narrative nei testi di lamenta
.
ne cit. nella nota successiva.
f. le lamentazioni pubblicate da M.E. Cohen, Sumerian Hymnology:

he Er:remma, Cincinnati 1981, p. 71ss. e id., The Canonica/ I..amenta


tions of Ancient Mesopotamia, Potomac 1988, p. 677ss. (e passim). Vedi
anche Th. Jacobsen, "Religious Drama in Ancient Mesopotamia", in H.
Goedicke - J.J.M. Roberts (edd.), Unity and Diversity, Baltimore-London

1975, p. 67ss.; id., The Treasures of Darkness, p. 47ss.; id., The Harps

That Once... Sumerian Poetry in Translation, New Haven-London 1987, p .


56ss.
5 6 Jacobsen,
57

The Treasures of Darkness, p. 68ss.

TRS no. 8 e duplicati;

cf. testo

e traduzione in W.H.Ph.

Rtimer,

"Sumerische Emesallieder", BiOr, 49, 1992, pp. 636-679.


58

Anche l'intenzione, espressa dai celebranti, di rallegrare il dio che

esce dal fiume>> (rr. 232ss.) si riferisce con ogni probabilit ad una barca
rituale, e non al ritorno di Damu dall'aldil per via fluviale. Dal finale della
composizione,

purtroppo

mutilo,

sembra

di comprendere che

Damu

porti>> qualcosa, provocando il restauro e ripristino di templi e citt. Il


contesto rituale ci ignoto.

58

59 In Cohen, The Canonica/ Lamentations, p. 677ss. e Jacobsen, The


Harps That Once, p. 78ss. Jacobsen (Religious Drama, p.85), seguito, i n
maniera pi analitica, d a Sallaberger (op. cit., I , p . 233s.), h a individuato
un collegamento tra la lamentazione eden-na u-sag-ga e un rito celebrato a

Umma nel I mese del calendario locale, e denominato u-sag-S -a (escono


nelle prime erbe>> , o <<nelle alte erbe>> , traduzione quest'ultima proposta da

Sallaberger). La presenza di due epiclesi di Inanna e di Gula fra le divinit


tributarie di offerte potrebbe avvolorare l'ipotesi che il rito u-sag-S -a

contemplasse lamentazioni per Damu, il quale per non mai menzionato

nei testi economici relativi a tale festivit. Riti u-sag sono documentati

anche a Ur, probabilmente in connessione con il culto dei sovrani defunti


(cf. Sallaberger, op. cit., I, p. 183), e a Nippur, in un contesto non rico

struibile.
60

Jacobsen, Toward the lmage of Tammuz, p. 324s.; cf. anche B. Alster,

"Edin-na u-sag-ga: Reconstruction, History and Interpretation of a Sume

rian Cultic Lament", in K. Hecker - W. Sommerfeld (edd.), Keilschriftliche

Literaturen (RAI XXXII), Berlin 1986, p. 27.


61

Cf. ad es. La morte di Gilgame:r (S.N. Kramer, "The Death of

GilgameS",

BASOR, 94, 1944, pp. 2-12) e La morte di Ur-Nammu (id., "The Death of

Ur-Nammu and His Descent to the Netherworld", JCS, 21, 1967, pp. 104-

122): entrambi i sovrani, il mitico signore di Ur e il re storico fondatore

della III Dinastia di Ur, recano offerte agli di dell'aldil, fra cui figura Du
muzi.

62 C. Wilcke, "Konig Sulgis Himmelfahrt", Mi.inchner Beitrage zur Volker


kunde, l ( Festschrift L. Vajda), 1988, pp. 245-255.
=

63 Cf. Pisi, "L"ascensione' di Sulgi", passim.


64

Alster, Dumuzi's Dream, p. 14s.

65 Cf. ad es. Enki e l'ordine del mondo,

rr.

361 ss., dove per Dumuzi sem

bra avere come compito primario quello di rifornire di offerte - grazie ai

prodotti della pastorizia - i templi degli di (I'Eanna e I'Ekur), mentre la ri


produzione degli animali affidata a Sakan. Nell'iscrizione di Rim-Sin ci

tata supra, nota 33, a Dumuzi viene chiesto di moltiplicare greggi e ar

menti.

66Cf. B. Alster, "The Mythology of Mourning", ASJ, 5, 1983, pp. 1-16.


67 Sallaberger, op. cit., I, 257s.

68 A parere di Cohen (The Cultic Calendars, p. l 88) la "festa di Dumuzi" do

veva celebrare il ritorno del dio dagli Inferi, cui faceva seguito il ricon-

59

giungimento con la sposa e la celebrazione delle nozze; tale ipotesi non

per suffragata da alcun dato, e nell Inno a /nanna Ninegalla (cf. infra) i l
'

"ricongiungimento" fra Dumuzi e !nanna si realizza in un contesto infero,

ed accompagnato da sacrifici per i defunti. Offerte per i sovrani diviniz


zati (Sulgi defunto e Amar-Sin vivo) e per gli ensf morti sono del resto at

testate anche ad Umma durante il XII mese. Sallaberger (op. cit., I, p .

233s.) individua nel ciclo calendariale di Umma una continuit tra le fe

stivit del XII mese, che avrebbero celebrato le nozze di Dumuzi, e il ri

tuale u-sag- -a del I mese (cf. supra, nota 59), che invece ne avrebbe
compianto la morte. Tale ricostruzione, bench non implausibile, rimane
per fortemente ipotetica, tanto pi, che, come abbiamo gi rilevato, nel I
mese non vengono menzionati

n Dumuzi, n Damu. Aggiungiamo che

tanto Cohen quanto Sallaberger utilizzano un taglio interpretativo naturi


stico (Dumuzi come "dio della vegetazione"), che risulta sovrapposto

ai

dati e non dedotto dagli stessi. Un problema a parte costituisce il culto nel
territorio di Umma di una divinit denominata ddumu-zi-URUxA-a, so
litamente considerata negli studi moderni come una forma locale di Dumuzi
(e cio il Dumuzi venerato a URUxA-aki); contro tale identificazione si

per pronunciato recentemente Sallaberger (op. cit., l, p. 240s.), secondo

cui si tratta di una divinit del tutto indipendente dallo sposo di !nanna.
69

Cohen, The Cultic Caldendars, p. 74.

70 B. Perlov, "The Families of the Ensf's Urbau and Gudea and their Fune

rary Cult", in B. Alster (ed.), Death in Mesopotamia (RAI XXVI), Copen


hagen 1980, pp. 77-81.
71

Cf. Sallaberger, op. cit., p. 282 s.

72

A Laga Dumuzi di Kinunir risulta avere un ruolo di un certo rilievo nelle

festivit del V mese: in questo caso, potrebbe per trattarsi non dello

sposo di !nanna, bens di una forma abbreviata per intendere la dea Du


muzi-apzu (su cui cf. supra, nota 31 ), venerata all'epoca di Gudea appunto a
Kinunir (dati e discussione del problema in Kutscher, op. cit., p. 36s. e
Sallaberger, op. cit., I, p. 284).
73

Cf. Kutscher, op. cit., p. 37ss. e Cohen, The Cultic Calendars, p. 235.

74 Il termine impiegato zag-mu, solitamente tradotto appunto con Capo


danno: ma cf. supra, nota 49.

75 La traduzione di H. Behrens (Die Ninegalla-Hymne. Die Wohnungnahme

lnannas in Nippur in altbabylonischer Zeit, Stuttgart 1998, p. 32ss.), edi

tore dell'Inno, differisce in maniera considerevole da quella di Alster (''The


Mythology of Mourning", p. lls.) - in particolare per quanto riguarda la

60

funzione di sacerdoti e personale di culto menzionati nelle

rr.

72ss., morti

e destinatari di offerte funebri secondo Behrens, vivi ed esecutori delle


stesse secondo Alster -, ma certo il contesto funerario della festa di Du
muzi. Per il parallelismo tra la descrizione della festa di Dumuzi nell'Inno a
Inanna-Ninegalla e quella dei funerali regali nella Morte di Ur-Nammu e

nella Morte di Gilgame, cf. Behrens, op. cit., p. IOlss.


76

Cohen, The Canonica/ Lamentations, p. 565s.

77 In epoca neosumerica, ad Ur un'occasione rituale denominata abum de


dicata al culto dei sovrani defunti, senza che peraltro Dumuzi paia avervi
alcuna parte (cos come non compare nell'analoga celebrazione ab- di
Nippur): cf. Sallaberger, op. cit., I, p. 205ss. e Cohen, The Cultic Calen
ders, p. 458ss. Successivamente Abu(m) comparir come nome di mese

(Sallaberger, op. cit., I, p. 206). Nei calendari paleobabilonesi il mese di


Abum il quinto, e solitamente segue quello di Dumuzi!fammuz. Nella do

cumentazione amministrativa di Mari vengono registrate uscite per olio


destinato alle statue di mar e Dumuzi nel mese di Abum (IV), e nel mede
simo mese sono annotate uscite di notevoli quantit di grano per le Iamen
tatrici (forse per il culto del dio): cf. Cohen, The Cultic Calendars, p. 289s.
78

Ed. pi recente in W. G. Sladek, lnanna's Descent to the Netherworld


s.), Ann Arbor 1974.
. Alster, "!nanna Repenting:

The Conclusion of Inanna's Descent",

J, 18, 1996, pp. 1-18.

&l L'episodio della mosca era gi noto prima della pubblicazione di Alster,
il quale fa notare come si tratti di un testo parallelo all'eremma CT 15, 19:
19ss., su cui cf. Cohen, Sumerian Hymnology, p. 87ss.
81

W. Farber, Beschworungsrituale an Utar und Dumuzi, Wiesbaden 1977,

p. 140 e Kutscher, op. cit., p. 41s.


82

Cohen, The Cultic Calendars, p. 315ss. e J.A. Scurlock, "K 164 (BA 2,

P. 635): New Light on the


p. 58ss.

Mourning Rites for Dumuzi?", RA, 86, 1 9 9 2,

83 Cf. Farber, Beschworungsrituale e Scurlock, op. cit., e bibliografia ci


tata. Scurlock, cui dobbiamo un'analisi dettagliata dei testi rituali relativi
alla festa di Tammuz, dall'esame di un rituale di guarigione (K 194), con
nesso con la funzione esorcistica del dio, deduce che il 26 di Tammuz
Getinanna dovesse sostituire il fratello agli Inferi: il testo in questione
per non menziona la sorella di Dumuzi, bens esclusivamente quella del
malato di cui si vuole ottenere la guarigione.

61

84 Cf. Cohen, The Cultic Calendars, p. 217; vedi anche A. Livingstone,


Explanatory Works of Assyrian and Baby

Mystical and Mythological

lonian Scholars, Oxford 1986, p. 160ss.

85 Cf. supra, nota 5. All'inizio della seconda met dell'800 F. Liebrecht


("Tammuz-Adonis", ZDMG, 17, 1863, p. 399ss.) scrive che il racconto di

fondazione della festa di el-Biqt (<<le piangenti>>) pu essere facilmente

spiegato se, al seguito di Movers, si considera Tammuz (al pari di Adone)


come un <<Naturgott>> , e cio come un Bild des Samenkorn>> , visto che
viene triturato in un mulino. Liebrecht mette in rilievo la somiglianza
della sorte di Tammuz nel mito di fondazione della festa el-Biqt con quella

del John Barleycorn della poesia di R. Burns ( <<Gli arrostirono le ossa e le

midolla su di un gran fal/e un mugnaio dentro al suo mulino lo tritur>> ):


paragone fortunatissimo, che verr utilizzato innumerevoli volte
studi su Tammuz, per dimostrare

che

il

dio

mesopotamico

personificazione del grano.


86

Chwolson, Die Ssabier und der Ssabismus, Il, pp. 27s. e 20 l ss.

62

negli

una

Il DIO "NASCOSTO" IN ANATOLIA

ANNA MARIA POLVANI

l.

Di "nascosti" in Anatolia: il problema generale

Il tema del "dio scomparso" un motivo centrale nella mitologia


anatolica in generale, ittita in particolare, ma non caratterizza un'unica
figura divina; infatti esso si riscontra in miti diversi e ne sono prota
goniste divinit differenti: Telipinu, il "Dio della tempesta", il Dio
Sole, la dea Hannahanna, le dee Anzili e Zukki, la dea Inara.
Ai miti che raccontano tali vicende riservata dagli scribi ittiti una

definizione particolare: essi cio sono chiamati mugawar l mugenar,


termine che significa "invocazione", "evocazione", rivolte

ad una fi

gura divina percepita come lontana allo scopo di farla riavvicinare1


Questa circostanza, sia detto per inciso, ci invita a riflettere sull'uso
indiscrirninato di un termine come "mito" che, se pu valere in linea
generale per definire racconti "sacri" dalle funzioni fondanti avvenuti in
un tempo diverso da quello attuale, possiede evidentemente un senso
troppo generico se usato all'interno di una tradizione complessa e ori
ginale come quella anatolica.
Per i miti di Telipinu, del "Dio della tempesta" e del Dio Sole
possibile ricostruire almeno in parte il racconto nelle sue linee fonda
mentali; altri miti, invece, ci sono pervenuti in forma estremamente

frammentaria (come il caso, ad esempio, di Hannahanna e di Inara).

In questa sede si prenderanno in considerazione i racconti miti ci re


lativi a Telipinu, non soltanto perch essi sono ricostruibili con una
certa completezza e coerenza, ma anche (e soprattutto) perch a tale
personaggio si guardato in passato, e in qualche caso anche attual
mente, come a un "dio della vegetazione" con caratteristiche riconduci
bili a quelle del frazeriano

dying gocf. C' infatti chi ha voluto vedere

in Telipinu una specie di "antecedente" di Attis3 o, addirittura, della


Kore eleusina4; da altri, invece, l'accento stato posto prevalentemente
sulle sue caratteristiche di dio della tempesta5 o della fertilit6 Questi
due aspetti, in realt, non si escludono vicendevolmente: proprio in
63

quanto divinit legata ai grandi fenomeni atmosferici, l'azione di Teli

pinu pu produrre effetti tanto negativi - come distruzioni, inonda

zioni, incendi, etc. - quanto positivi - pioggia benefica per i campi e la

natura in genere, aumento delle acque irrigue, etc. - per l'umanit.

Nell'ambito delle tradizioni mitologiche riguardanti Telipinu, ci

concentreremo qui in particolare sull'episodio della sua scomparsa, sia

valutandolo sullo sfondo dell'intera vicenda, sia analizzandone le im


plicazioni rituali.

2. Il mito di Telipinu nelle sue tre redazioni

La circostanza che il mito di Telipinu ci sia giunto in tre diverse


redazioni testimonia il processo continuo di rielaborazione a cui tale
tradizione mitologica fu sottoposta in ambito ittita e ci consente una
analisi comparativa di maggior respiro.

Dalle narrazioni giunte fino a noi emerge che Telipinu non il

protagonista di una vicenda di morte e successiva "resurrezione"; il dio,

adirato, si sottrae di fatto ad ogni rapporto con gli esseri viventi, siano
essi di, uomini o animali, che vanamente lo cercano per scongiurare

gli effetti della sua irreperibilit. Pi che con una vera e propria scom

parsa, si ha perci a che fare con una "latitanza" del dio, che sospende

ogni sua attivit.

Fondamentale appare ancora la circostanza che il posto in cui il dio

irato si nasconde non gi l'oltretomba (tratto che ne potrebbe even


tualmente giustificare una valutazione in termini di "dio morente"),
bens un luogo terreno pi o meno preciso identificato, a seconda delle

versioni, in una palude ovvero nella citt di Lihzina.

Le conseguenze catastrofiche provocate dal suo nascondersi sono di

una gravit tale da non potersi neppur paragonare alla lontana con le
"crisi" temporanee che pu comportare l'avvicendarsi del ciclo stagio
nale. La situazione che si viene a creare da un lato investe drammati
camente l'ordine naturale, sconvolto e sovvertito (siccit, carestia,

moti tellurici), dall'altro colpisce e travolge anche l'assetto politico


sociale della comunit (il testo parla, tra l'altro, di madri che non allat
tano pi i propri figli) ed ha naturalmente ampie ripercussioni anche a
livello divino7 In particolare, si dice che gli di bevono e mangiano

64

senza riuscire a dissetarsi o sfamarsi risultando coinvolti nel disastro

che incombe sull'umanit. Oltre che a una carenza oggettiva di

bevande e di cibi, imputabile tra l'altro all'inefficienza dei fedeli

travolti dalla situazione, si deve anche pensare, pi in generale, ad una


crisi radicale e terribile dovuta alla sottrazione, da parte di Telipinu,

della fonte stessa di ogni benessere. Questo emerge con grande


evidenza dalle parole pronunciate dal Dio della tempe sta, in cerca di
suo figlio Telipinu:

(A I 20' )Telipinu, mio figlio, non c', egli si adirato

e ha preso con s tutto il bene! .

Si viene insomma configurando una sorta di "mondo alla rovescia",


anticipato e simbolizzato nel modo pi immediato dal comportamento
dello stesso Telipinu che, in preda all'ira, calza le scarpe al contrario:

si tratta di un tema che, del resto, ricorre in altri racconti di scomparsa


di altre divinit e che trova un ulteriore sviluppo nel mito delle 00!
Anzili e Zukki dove si aggiunge la veste, il pettorale e il velo indos
sati tutti all'incontrario dalle protagoniste:

(A I l ') Telipinu [si adir e grid]: "Non devono esserci

parole che intimi[dano e nell'agitazione] indoss

[la

scarpa destra al piede] sinistro e la (scarpa) sinistra [al

piede destro ... ]))9

Dall'analisi del mito si evince che alla base della crisi vi sono

tanto l'inattivit del dio, quanto il suo furioso agire, che provoca
dannose conseguenze; gi prima che egli scompaia - cio nella fase

dell'ira- si avvertono i primi sintomi della catastrofe che si consumer


all'atto della scomparsa:
(A I 5') La nebbia invase le finestre, il fumo [invase] la

casa e nel focolare i ceppi erano spen[ti, sull'altare] gli

di erano soffocati (dal fumo), nel recinto le pecore erano

soffocate, nella stalla i buoi erano soffocati, la pecora

trascur il suo agnello, la mucca trascur il suo vi


tellm) .,.

65

La scomparsa del dio scatena quindi definitivamente la crisi:


(A I 10') Telipinu scomparve, port via nelle paludi il
grano, la fertilit, la crescita, lo sviluppo e il rigoglio
(tolti) ai campi coltivati, ai pascoli; Telipinu se ne and
e si nascose nella palude e sopra di lui crebbe l'erba della
palude e quindi grano e spelta non crescono pi; buoi,
pecore, uomini (15') non rimangono pi
quelli che sono

pregni non

pregni (e)

partoriscono pi

[e

le

mon]tagne inaridirono, gli alberi seccarono e i germogli


non spuntarono (pi), i pascoli inaridirono, le fonti sec
carono e nel paese venne la carestia e gli uomini e gli
di morivano di fame

11

Oltre al mondo degli di e degli uomini, viene coinvolto e scon


volto anche l'aldil:
(A II 33') Telipinu infuriato venne tuonando e lampeg
giando; gi la nera terra (

oltretomba) a soqquadro

12

...)) .
I diversi interventi diretti di divinit o di animali da esse apposita
mente inviati non sortiscono alcun effetto positivo. Anzi, nel caso del
l'ape mandata da Hannahanna (un motivo presente in tutte e tre le ver
sioni), le conseguenze sono addirittura nefaste, le sue punture destinate
a svegliare Telipinu provocano un accrescimento della sua ira:
(B II l) [And] l'ape [esplor] le alte montagne, esplor
le [prof]onde [valli esplor le limpide] acque, nel (suo)
[inter]no fin il miele fin [ ...], [la cera] fi[n] e lo
[trov] su un prato nel bosco del pa[ese di Lihzi]na e (5)
[lo] punse sulle mani e su i piedi ed egli si al[z], e
[cos] (disse) Telipinu: "Io mi sono adirato! [ ...] perch
voi [avete fatto alzare] me che dormivo e perch avete
fatto parlare me [che ero adi]rato? [Telipinu] divenne
[in]furiato e poi la fonte [ ...] ferm [ ...] (10) de[vi] i
fiumi scorrenti [ ...] li trasform in letti rocciosi [ ...] ro-

66

vesci [...] le cit[t], rove[sci] le case. Egli fece morire


[l'umani]t, fece peri[re] i buoi e le pecore ( ...) 13
Soltanto il rituale eseguito dall' uomo del Dio della tempesta ri
uscir a questo punto a placare il dio adirato, ristabilendo il corretto or
dine della realt. Il rituale in questione costituito dall'esortazione af
finch tutte le parti dell'edificio (finestra, cortile, portale, etc.) favori
scano la scomparsa dell'ira del dio che non dovr pi contaminare i
campi, le vigne e i boschi, ma dovr finire nell'oltretomba del quale
viene fornita una descrizione chiaramente derivata da modelli mesopo
tamici:
(A IV ) Il portiere ha aperto i sette battenti, ha tirato i
sette chiavistelli, (15) gi nella nera terra stanno i calde
roni di bronzo e i loro coperchi (sono) di piombo, la
loro chiusura di ferro, ci che vi entra non torna pi

su, ma vi muore dentro (...) 14

Se, come si evince dai testi, la scomparsa di Telipinu causata


dalla sua incontenibile ira, diventa fondamentale comprenderne le

ra

gioni per capire il rapporto che esiste fra la struttura narrativa del mito
e il rituale che gli connesso. Purtroppo le tavolette in nostro pos
sesso sono mutile proprio nella parte relativa agli antefatti e siamo
quindi costretti a procedere sul rischioso terreno delle ipotesi.
Alcuni indizi nella parte finale del mito collegano tuttavia la solu
zione della crisi al benessere della coppia reale: tale riferimento ai so
vrani, se viene esaminato all'interno del passaggio in cui esso ripor
tato, getta qualche luce anche su quella che potrebbe essere la parte ini
ziale del racconto. Il ritorno di Telipinu e la sua pacificazione sono
rappresentati mediante un progressivo
perfettamente

recupero

della

"normalit"

speculare, ma contrario, rispetto al passaggio iniziale

della narrazione in cui si fa riferimento alle conseguenze nefaste della


sua ira.
Si confronti:
(A I 5') La nebbia invase le finestre, il fumo [invase] la
casa e nel focolare i ceppi erano spen[ti, sull'altare] gli
dei erano soffocati (dal fumo), nel recinto le pecore erano
67

soffocate, nella stalla i buoi erano soffocati, la pecora


trascur il suo agnello, la mucca trascur il suo vi
tello 15
con:
(A IV

20) Telipinu torn a casa sua e si prese cura del

suo paese; la nebbia usc dalla finestra, il fumo abban

don la casa, furono allestiti gli altari degli dei, nel foco
lare i ceppi bruciarono, nell'ovile le pecore furono libe
rate (dal fumo), nella stalla i buoi furono liberi

(dal

fumo) e la madre accud suo figlio, la pecora accud i l


16
suo agnello, (25) l a mucca accud il suo vitello
a cui per si aggiunge:
e Telipinu (accud) il re e la regina e li provvide di vita

e di forza per l'avvenire17

Vista la perfetta specularit dei due passaggi, non apparir fuori


luogo ipotizzare che, nella parte iniziale ora perduta, ci fosse un riferi
mento alla coppia regale e si potrebbe immaginare che l'ira divina
fosse indirizzata proprio contro il re e la regina, forse in seguito a una
loro mancanza nell'adempiere ai doveri connessi alle celebrazioni del
culto. Tale ipotesi sarebbe in perfetta sintonia con l'ideologia regale e
religiosa degli lttiti, che che vede nel sovrano il garante dell'ordine non
solo politico e sociale, ma anche cosmico. Interessante in questo senso
il convogliamento dell'ira di Telipinu nell'oltretomba, cio proprio
in quello spazio anti-cosrnico sul quale il sovrano non esercita alcun
potere.
Un tratto di estrema importanza nel mito di Telipinu il fatto che
non sono n gli di n gli animali da essi inviati (aquila, ape) a ripor
tare il dio, bens un particolare operatore sacrale, l' uomo del Dio
della tempesta, il solo a conoscere il rituale in grado di pacificare il
dio adirato'. L'intervento "umano" nella narrazione stabilisce una
stretta correlazione tra mito e rito, e proprio il piano rituale suscet
tibile di farci capire pienamente il senso e la valenza della vicenda mi
tica: le conseguenze dell'ira e della scomparsa del dio descrivono nel
68

mito una situazione di sconvolgimento che poteva essere impiegata


funzionalmente in occasione del verificarsi di eventi disastrosi di vario
genere, dalle epidemie alle carestie, alla siccit. Non va esclusa allora
la possibilit che il mito di Telipinu si collocasse all'interno di un
culto ufficiale nel corso del quale veniva recitato ritualmente. Sap
piamo che in epoca imperiale erano celebrate molte feste per il dio e la
preghiera del sovrano Mursili II ne attesta una in particolare che si
svolgeva di primavera; tuttavia tale culto non doveva tanto svolgersi
nell'ambito di una periodica crisi stagionale, quanto piuttosto in occa
sione di calamit particolarmente disastrose per tutto il paese.
Attraverso il rituale eseguito dall' "uomo del Dio della tempesta"
Telipinu torna al suo tempio e con questo riattiva il normale dispie
garsi della realt. Per di particolare interesse il fatto che il ritorno di
Telipinu non coincide soltanto con una "normalizzazione" dei ritmi na
turali prima sconvolti, ma anche garanzia di prosperit e benessere.
L'albero eya (probabilmente una specie sempreverde, forse una quercia
o un tasso) elevato dinanzi al dio e colmo di ogni bene promette alr
bondanza non solo per il presente ma anche per il futuro:
(A IV

25) ( ...) Telipinu si prese cura del re e davanti a

Telipinu si innalz un albero eya, una borsa da caccia


(fatta di pelle) di pecora appesa all'albero eya e dentro
c' grasso di pecora e dentro

(30) c' (il simbolo della)

fecondit animale e del vino e dentro c' il bestiame e


poi ci sono lunghi anni (dell'avvenire) e la progenie e
poi dentro c' il dolce messaggio dell'agnello, c' ascolto
ed esaudimento e poi dentro c' il dio[...] ugualmente e
poi dentro c' la coscia destra

(35) e poi dentro c' la

crescita, lo sviluppo e il rigoglio 19


Anche quest'immagine mi sembra che possa essere letta nei termini
di una "specularit rovesciata":<l, rispetto all'immagine iniziale del
paese sconvolto dall'ira di Telipinu. Quest'ultima rappresentazione pu
a buon diritto essere inserita all'interno di quel motivo mitologico, let
terario e iconografico noto come "mondo alla rovescia"21, attraverso cui
vengono rappresentate realt che, per eccesso o per difetto, si contrap
pongono dialetticamente a quella attuale. Nel caso del mito di Telipinu
il mondo rovesciato un mondo in

69

mancanza, paralizzato dalla

scomparsa del dio, in cui non solo si interrompono i ritmi naturali ma


anche quelli psico-affettivi e sociali (si vedano gli animali che non nu
trono pi i propri piccoli, le madri che non si curano pi dei propri fi
gli). A questo mondo svuotato fa da contrappunto, dopo il ritorno del
dio, l'immagine dell'albero eya a cui appesa la borsa di cuoio piena di
ogni simbolo di ricchezza e prosperit: un vero e proprio "albero della
22
Cuccagna", che reca con s la promessa di un futuro migliore .
2
Il mito di Telipinu 3 apre cos uno spiraglio sulla mentalit pro
pria della cultura in cui tale mito fu prodotto e utilizzato: essa appare
in bilico tra l'affannosa ricerca di un "ordine" in un mondo in cui care
stia e/o epidemie rappresentano una minaccia costante e l'aspirazione a

una realt libera da eventi minacciosi e colma di benessere; al centro di


questa visione della vita vi il sovrano che conferisce stabilit e assi

cura che ciascuna delle sue componenti si leghi armoniosamente con le


altre.
Nonostante il fatto che il tema del "dio irato che si nasconde" non

coinvolga solo Telipinu, dio legato ai grandi fenomeni atmosferici, ma


anche altre divinit, indubbio che il racconto riguardante questa figura
rimanga il pi articolato sia sul piano "letterario" sia su quello della
piena integrazione all'interno del rituale a cui collegato. Anche se
non lo possiamo affermare con sicurezza, non sembra improbabile che
esso abbia costituito una specie di modello, di prototipo, al quale si
sono conformati con varianti maggiori o minori le versioni riguardanti
altre divinit che "scompaiono" o meglio che, adirate, si "nascondono"
temporaneamente prima di essere placate dalla

celebrazione di un

rituale che riparer al motivo dell'ira.


Il fatto stesso che il modulo narrativo dell' "ira e del nascondi
mento" sia stato impiegato anche per divinit e per occasioni diverse,
dimostra l'estraneit e l'infondatezza di interpretazioni che si colle
ghino al tema del c.d. dying god.

70

NOTE
l Cf. F. Pecchioli Daddi - A.M. Polvani, La mitologia ittita, Brescia 1990,
pp. 13-14.
2

Cf. ad es. Th.H. Gaster, Thespis, New York 1961, passim; R. Gusmani,

"Le religioni dell'Asia Minore nel primo millennio a. C.", in P. Tacchi


Venturi (ed.), Storia delle religioni, Torino 1970, p. 321; E. von Schuler,
in H.W. Haussig (ed.), Worterbuch der Mythologie, Stuttgart 1983, p p .
201-202.
3

D.M. Cosi, "Aspetti mistici e misterici del culto di Attis", in U. Bianchi -

M.J. Vermaseren (edd.), The Soteriology of the Orientai Cults in Roman

E mpire, Leiden 1982, pp. 485-504: Telipinu sarebbe << ( . ..) un "genio della
fecondit" soggetto a ritmi alternanti di presenza e di assenza (... ) (p.
494).
4

W. Burkert, Structure and History in Greek Mythology

and Ritual,

Berkeley- Los Angeles - London 1979, pp. 123-142.


5

H.-G. Gtiterbock, "Gedanken tiber das Wesen des Gottes Telipinu", in R.

von Kienle et a/ii (edd.), Fs. J. Friedrich zum 65.Geburtstag, Heidelberg

1959, p. 209; B. de Vries, The Style of the Hittite Epic and Mythology,
Ann Arbor 1967, pp. 5-7.
6

Come dio legato all'agricoltura Telipinu interpretato da M. Popko, Re

ligions of Asia Minor, Warsaw 1995, pp. 71, 106; cf. anche V. Haas, Ge
schichte der hethitischen Religion, Leiden - New York - Koln 1994, p .
442ss.
7

Tipica nel Vicino Oriente siro-mesopotamico e anatolico la concezione

secondo cui le divinit abbiano, mutatis mutandis, bisogni materiali ana

loghi a quelli delle creature mortali e ad esse vengono prestate tutte quelle
cure che mirano alloro benessere, a cominciare da una dimora adeguata i n
cui ospitarle. Quasi ovunque vige infatti il concetto che l'uomo stato
creato dagli di per servirli e onorarli in cambio di protezione, benefici e,
in alcuni casi (come in Egitto), della partecipazione almeno parziale alla
loro sorte privilegiata. Questa idea di fondo non implica solo una sotto
missione degli uomini alle divinit, ma prevede anche un coinvolgimento
degli esseri soprannaturali nel destino di questo mondo.
8
9

Pecchioli Daddi - Polvani, op. cit., p. 79.


lbid., p. 78.

71

10
Il

12

13
14
15
16
17
18

lbid., pp. 78-79.


Jbid., p. 79.
lbid., p. 81.
lbid., pp. 86-87.
Ibid., p. 83.
Ibid., pp. 78-79.
Ibid., p. 83.
Ibid., p. 83.
Per l'ipotesi che la celebrazione del mito contenesse un motivo eziolo

gico collegato alla citt di Lihzina cf. A.M. Polvani, in Pecchioli Daddi Polvani, op. cit., p. 78.
19

20

Ibid., p. 84.
'
E un modulo narrativo che abbiamo visto gi ricorrere nella narrazione

sopra presentata.
21

Ancora attuale in proposito lo studio ormai classico di G. Cocchiara, Il

mondo alla rovescia, Torino 1963.

22

Si rimanda anche per questo tema a Cocchiara, op. cit., a cui deve ag

giungersi, dello stesso autore, Il paese di Cuccagna, Torino 1980.

23

Cf. da ultimo A.M. Polvani, "Temi di mitologia anatolica tra Oriente e

Occidente: il dio scomparso", in M. Rocchi - S. Ribichini - P. Xella (edd.),

La questione delle influenze vicino-orientali sulla religione greca: stato


degli studi e prospettive della ricerca, Atti del Colloquio Internazionale,
Roma, 20-22.5.1999, in stampa.

72

DA BAAL DI UGARIT AGLI DEI FENICI


Una questione di vita o di morte

PAOLOXELLA

Intorno al terzo quarto del XIV secolo a. C., probabilmente tra gli

anni 1370 e 1350, si verific in Siria un evento di importanza straor

dinaria per la storia culturale umana. In quest'epoca, infatti, Niqmaddu


Il, re del piccolo stato di Ugarit (oggi Ras Shamra, sulla costa siriana
prospiciente l'isola di Cipro)' decise di costituire un grande deposito di

archivi raccogliendovi i testi pi importanti della tradizione mitologica


e cultuale di quella regione.

Il luogo scelto fu, significativamente, l'acropoli della citt, preci


sente quell'edificio chiamato dagli archeologi "Biblioteca del Gran

Sacerdote" posto tra i due grandi templi urbici attribuiti convenzional

mente agli di Baal e Dagan2 Non conosciamo le ragioni precise che


indussero il re Niqmaddu a prendere una tale decisione. E' teoricamente
possibile che l'esigenza di costituire una sorta di "biblioteca sacra" sia

stata legata al cataclisma (terremoto e incendio) che aveva colpito Uga

rit nell'epoca di ei-Amarna. In questa occasione, il palazzo reale celebre


in tutto l'antico Oriente era stato distrutto ed plausibile che anche le
altre precedenti "biblioteche" e "archivi" cittadini fossero stati danneg
giati o addirittura distrutt{
Il re di Ugarit decise dunque di far registrare una selezione del pa
trimonio religioso locale su tavolette d'argilla, secondo l'uso mesopo
tamico; tuttavia, certo a causa del contenuto dei testi, non si us la
lingua accadica (lingua diplomatica e di cultura per eccellenza, a
quest'epoca). I testi mitologici di tradizione siriana furono invece re

datti in ugaritico, la lingua locale (semitica occidentale), usandosi per

la prima volta un sistema grafico di tipo alfabetico, con trenta lettere


rappresentate da segni cuneiformi.
Nella vasta biblioteca dell'acropoli gli archeologi hanno scoperto i
pi importanti testi mitologici della religione ugaritica: gli episodi del
c.d. ciclo di Baal, i racconti di Kirta, Danil e Aqhat, il testo mitico-ri
tuale di Shahar e Shalim e quello relativo al dio lunare Nikkal,

73

insieme a tutta una serie di testi rituali e cultuali redatti sempre in


ugaritico (oltre a vari testi lessicali mono- e multilingui).
Di questa impresa voluta dal sovrano ugaritico noi conosciamo an
cora un altro protagonista,

di cui ci sono documentati nome e

funzioni. Si tratta di Ili-malku, un importante personaggio responsa


bile della redazione dei miti di Baal e di Kirta. Due colofoni4 ci
documentano che non si trattava per di un semplice scriba, poich Ili
malku non si limit soltanto a scrivere i testi ma, come suggeriscono
i suoi numerosi titoli e la sua posizione a corte ("Indovino", "Capo dei
Sacerdoti", "Capo dei Pastori", "Celebrante liturgico" del re di Ugarit)
doveva essere la suprema autorit in materia di tradizioni religiose.
Grazie a lui ci stato trasmesso un materiale preziosissimo per la

conoscenza

della

mitologia

della

vita

religiosa

ugaritica,

rappresentativo per di un'area assai pi vasta di quella ricoperta


geograficamente dal piccolo regno di Ugarit. Ideologie, complessi di

credenze, riti, temi mitici che emergono da tali testi costituiscono una

sorta di "punta di iceberg" di un ricchissimo patrimonio culturale siro


palestinese di alta antichit e larga diffusione, con molteplici varianti e

tradizioni locali andate purtroppo perdute. In questo senso, gli indizi


sono numerosi e univoci sia riandando indietro nel tempo sino alla

civilt di Ebla, nella Siria interna del lll millennio, sia scendendo
verso il I millennio

e le tradizioni aramaiche, fenicie, ebraiche.

Personaggi, motivi, concezioni, gli stessi usi linguistici tradiscono


una notevole continuit di

fondo

che

deve

essere

indagata

per

individuarvi modalit di trasmissione, adattamenti, innovazioni che


caratterizzarono le varie civilt e le diverse fasi all'interno della stessa
cultura.

Non necessario insistere troppo sul fatto che la tradizione mitolo

gico-rituale siro-palestinese merita un'attenzione particolare nella trat


tazione del nostro tema: tra le varie ragioni, soprattutto perch essa fu
la culla di quelle antichissime tradizioni che, attraverso complesse me
diazioni, furono recepite almeno in parte dalla letteratura vetero- e neo
testamentaria. Gli studi in questo campo hanno dimostrato quanto pro
fondo fu l'influsso esercitato dalla cultura locale sulla religione ebraica
e anche sul susseguente cristianesimo. Tra i vari esempi additabili, qui
si rileva solo l'influsso esercitato dalle personalit e dai culti di El e
Baal sulla figura del Dio d'Israele, che assimil

molti

aspetti

prerogative di entrambi: nel caso del primo, addirittura una delle sue
74

denominazioni (El), del secondo una parte notevole della morfologia di


"dio della tempesta", anche se al contempo Baal venne assunto come
avversario emblematico e irriducibile di Yahweh. Questo a livello di
teologia ufficiale, perch nella religione dei comuni mortali, almeno
fino ad una certa epoca, predominava un sereno sincretismo nel quale
la devozione per Yahweh doveva convivere accanto a quella per
Asherah, la sua sposa cananea, per lo stesso Baal e per molte altre
figure minori, il cui destino sarebbe stato di trasformarsi o in accoliti
del Dio d'Israele, o in figure "demoniache" da lui stesso combattute,
vinte, distrutte o asservite ai suoi ordini'.
Ma torniamo alla nostra mitologia ugaritica, per ricordame breve
mente due aspetti fondamentali. Da un lato, questo sistema religioso
rivela che al vertice del pantheon esisteva una diarchia di poteri.
L'autorit carismatica (ma spesso anche operativa) di El, antico crea
tore del cosmo e padre delle generazioni divine, e la forza e il coraggio
di Baal, campione degli di e difensore dell'ordine cosmico. L'armonica
complementarit tra i poteri di El e Baal - diversi nella storia e nelle
forme in cui si esplicano - sono la sola garanzia per l'organico attuarsi
e preservarsi dell'assetto cosmico: dal punto di vista umano, questi due
di devono cooperare affinch il modello culturale scelto da quella so
ciet prosperi e possa perpetuarsi senza essere minacciato dalle forze
del caos. Queste ultime sono rappresentate in primo luogo da Mot, i l
dio della morte, quindi da Yam lo "spirito" delle acque libere e
devastatrici,

oltre

che

da una

serie

di

figure

minori

ciascuna

apportatrice di flagelli ai livelli pi diversi (malattia, carestia, siccit,


guerra, etc.). Alcuni di questi arei-nemici sono gi stati vinti,

in

un'epoca remota, da Baal spalleggiato da sua sorella Anat, come si


evince specialmente da un passo mitologico in cui la dea ricorda le
comuni, vittoriose imprese:
Quale nemico si levato contro Baal,
Quale rivale contro l'Auriga delle nuvole?
Io ho gi abbattuto l'amato di El, Yam,
ho gi annientato Nahar, dio delle acque immense,
ho gi messo la mordacchia a Tannin, ho serrato la sua bocca,
ho gi abbattuto il serpente tortuoso,
Shaliyat dalle sette teste,
ho abbattuto l'amato di El, Arish,
75

ho distrutto il vitello divino, Atik,


ho abbattuto la cagna divina, Ishat,
ho annientato la figlia di El, Dhabib

(KTU 1.3 III 37-47).


Un secondo aspetto fondamentale di questa tradizione mitologica
merita di essere evidenziato, e cio il

leit-motiv che percorre e caratte

rizza quasi ogni racconto: la dialettica tra la vita e la morte, tra le forze
positive della continuit e quelle negative della distruzione. Non pos
sibile qui dilungarci in un'esposizione dettagliata di tutti gli episodi
ma, nell'ottica del nostro tema, i cc.dd. di che muoiono e risorgono,
giocoforza riconsiderare brevemente la figura e le imprese del dio Baal,
una figura talmente caratterizzata in questo senso (sui modi precisi si
torner tra breve) che se Sir J.G. Frazer avesse potuto conoscere i testi
di Ugarit (Ras Shamra non fu scoperta che nel
dubbio inserito nel novero dei

1929) l'avrebbe senza


dying gods, certamente come personag

gio altamente emblematico.


Dobbiamo dunque raccontare succintamente la trama del suo mito,
soffermandoci in particolare sugli episodi che ne determinano da un
lato la sconfitta e la sparizione agli inferi, dali'altro il suo trionfale ri
torno e la sua proclamazione definitiva a campione e re degli di.
*
*

Baal ha appena trionfato sul terribile Yam, il Principe-Mare, divi


nit caotica legata trasparentemente alle acque marine e fluviali: ha
cos compiuto un'impresa fondamentale di ordinamento cosmico e
stabilito al contempo la propria sovranit universale. Ha ottenuto che
gli venisse costruito uno splendido palazzo, segno tangibile di una
regalit conquistata a caro prezzo, e qui invita tutti gli di a un
banchetto di festeggiamento. Ma la pace solo momentanea. Una
nuova

terribile

minaccia

si

profila,

nella

figura

di

Mot,

personificazione della Morte, che sta per penetrare nel palazzo di Baal
attraverso un'apertura che lo stesso dio ha voluto. Mot, eternamente
affamato di vita e di vite, viene a sfidare Baal col desiderio di imporre
all'universo

la

sua

legge

di

dissoluzione

di

annientamento

indiscriminato. Egli vive in un luogo sotterraneo descritto come una

76

gigantesca, polverosa tomba; suo unico scopo uccidere e divorare


ogni essere vivente, senza riguardo per la sua natura umana o divina. Il
suo minaccioso messaggio fa rabbrividire Baal e tutti gli altri di:
Io stesso ora ti divorer,
ti manger brano a brano,
le interiora a spanne!
Dovrai scendere nelle fauci del divino Mot,
nella profondit dell'amato di El, il forte!
(KTU 1.5 I 33-35 e par.).
Il destino di Baal ormai segnato: egli deve arrendersi, discendere
nel ventre di Mot, dire addio alla vita. Particolare importante, ci av
viene quando riarso l'olivo, i prodotti della terra e i frutti degli al
beri (KTU 1.5 II 4-6). Abbiamo qui un'esplicita allusione al tempo
estivo, in cui la natura sembra sospendere la propria esuberante vita
lit, e all'arrivo della siccit, un aspetto "fertilistico" innegabilmente
presente nel mito, che per, come vedremo, ben lungi dall'esaurire le
diverse e profonde implicazioni della vicenda o dal costituirne la sola
chiave di lettura.
Baal dunque rinuncia a difendersi e si dichiara schiavo di Mot. No
nostante varie lacune testuali, si comprende tuttavia che non tutto fi
nito. Da alcune allusioni frammentarie si pu dedurre che Baal viene
convocato da El e riceve dal saggio padre degli di una serie di ordini o
consigli: questi sembrano finalizzati ad evitare che la scomparsa di
Baal nella fauci di Mot provochi la fine della vita sulla terra, fatale per
uomini come per di. Le prime parole leggibili dopo la lacuna menzio
nano un "vitello" figlio di Baal che dovr continuare a garantire la fe
condit; quindi si allude a riti di sepoltura per Baal, che dovr portare
nell'aldil le sue figlie, i suoi poteri, le sue energie vitali:
Tu per prendi le tue nubi,
il tuo vento, la tua folgore, la tua pioggia,
prendi con te i sette valletti,
i tuoi otto servitori,
prendi con te Pidray, figlia della luce,
prendi con te Talay, figlia della pioggia.
Quindi dirigiti
77

verso il monte Kankanay,


scala il monte con le mani,
l'altura con entrambe le palme
e discendi nella "Dimora di reclusione" dell'aldil.
Sarai annoverato tra quelli che discendono nell'aldil
e gli di sapranno che sei morto
(KTU 1.5 V 7a-17a).
Baal adesso scomparso inghiottito da Mot, l'universo in crisi.
Gli uomini e gli di lo piangono per morto ed lo stesso dio supremo
El, in preda alla disperazione dei riti di lutto, ad affermare:
Baal morto! Che ne sar delle genti?
Il figlio di Dagan! Che ne sar delle moltitudini?
Dietro Baal io stesso discender nell'aldil!
(KTU 1.5 VI 23-25).
E' fondamentale tenere presente qui che il testo usa esplicitamente
il verbo che, nelle varie lingue semitiche, significa morire. Natu
ralmente morire, per un dio, altra cosa che per un uomo. La
rivincita, il ritorno si annuncia gi ed la fedele Anat che prepara la
riscossa. Animata da un amore pi forte della morte la dea, aiutata
dalla divinit solare Shapash, cerca a lungo e ritrova il corpo del
fratello tra le zolle della terra, lo trasporta sulle vette del monte divino,
il Sapanu, e lo seppellisce celebrando un grandioso sacrificio funerario.
Nel frattempo, privi di un re, gli di tentano di sostituire Baal
mettendo sul trono Athtar; quest'ultimo, dotato pi di intelligenza che
di forza, per inadeguato al compito. E' a questo punto che
sopravviene la vendetta di Anat. Spinta dalla forza della disperazione,
animata da una fede cieca, ella trova e affronta Mot faccia a faccia,
distruggendolo senza una apparente resistenza da parte di quest'ultimo:
Afferra allora (Anat) il divino Mot:
con il coltello lo taglia,
col ventilabro lo vaglia,
col fuoco lo brucia,
con una mola lo stritola,
nei campi lo disperde,
78

<nel mare lo sparge>6


La sua carne la mangiano gli uccelli,
i suoi brandelli li consumano i volatili:
carne grida a carne!
(KTU 1.6 Il 30d-37).
Ecco dunque create le premesse per il ritorno alla vita di Baal: sep
pelliti i suoi resti, eseguiti i riti funerari, smembrata e dispersa nella
terra e nel mare l'incredibile potenza della morte, il campione degli di
si manifesta come di nuovo vivo (anche qui si usa il verbo appro
priato, vivere), con immediato enorme sollievo di uomini e di, ma
nifestato ancora dalle parole di El, che ha un sogno premonitore che si
rivela immediatamente veritiero:
Se per fosse vivo il potente Baal,
se fosse in vita il principe, signore della terra,
in un sogno del benigno El, il misericordioso,
in una visione del creatore delle creature,
i cieli farebbero piovere olio,
i torrenti scorrerebbero con miele:
allora saprei che in vita il principe, signore della terra!
In un sogno del benigno El, il misericordioso,
in una visione del creatore delle creature,
i cieli facevano piovere olio,
i torrenti scorrevano con miele!
Si rallegr il benigno El, il misericordioso,
i suoi piedi sullo sgabello poggi,
distese la fronte corrucciata e sorrise,
lev la sua voce ed esclam:
Ora potr sederrni e riposare,
riposer nel petto l'anima mia!
Perch vivo il Potente Baal,
in vita il Principe, Signore della terra!
(KTU 1.6 III 14-21).
Tornato dunque in vita, Baal affronta personalmente la Morte e in
un duello senza vincitori n vinti stabilisce limiti e regole all'azione
del suo avversario. Mot aveva tentato in un primo tempo di ottenere il

79

dominio sul cosmo, divorando Baal e minacciando gli altri di e


l'umanit. Dopo il trattamento inflittole da Anat, la Morte si disin
tegrata spandendosi nel mondo, simbolizzato meristicamente da terra e
mare; il cielo, cio gli di, non sono pi toccati. Resta la minaccia,
inevitabile e operante, contro il genere umano, essendo la morte un
dato ineluttabile dell'ordine cosmico; ma l'azione di Baal non senza
conseguenze positive anche per l'umanit, giacch Mot sar costretto
ad operare con discernimento, avendo trovato dei limiti precisi ai suoi
poteri. Questo avverr sotto il controllo di Baal il quale, dopo la sua
catabasi agli inferi e l'esperienza conseguita, prender sotto la sua pro
tezione i defunti, cio tutti coloro che sono caduti davanti al suo antico
nemico.
Non possibile qui dare conto in tutti i dettagli dell'importanza del
culto degli antenati a Ugarit, come nella tradizione siro-palestinese, c:b
Ebla alle epoche posteriori. Sar sufficiente sottolineare che Baal, pro
prio per avere affrontato i rischi mortali della discesa nell'aldil, viene
chiamato nei testi ugaritici Baal-Rpu, "Baal il salvatore/guaritore".
Sotto questa forma, egli onorato nel culto come eponimo e leader 00.
gli antenati, soprattutto i re e i grandi eroi della tradizione siriana, i
quali saranno parimenti venerati come Rapiuma, cio "salvatori/ guari
tori" capaci di proteggere e aiutare i

vivi in

circostanze cruciali

dell'esistenza. Gli uomini, naturalmente, continueranno a morire, ma


potranno (almeno alcuni di essi) sperare in una sorte non troppo ango
sciosa nell'adil, poich diventeranno ritualmente Rapiuma, cio eroi
antenati, onorati dai vivi e a loro vicini come elargitori di fertilit, fe
condit, oracoli e interventi salvifici. Anche l'ordine cosmico, al ri
torno di Baal, riprende i suoi ritmi che non saranno pi minacciati
dalle forze del caos.
La grandiosit dei temi e degli eventi narrati da questo mito si
fonda precisamente sulla eterna dialettica tra la vita e la morte, le cui
implicazioni sono talmente profonde che non possono essere ridotte
alla sola dimensione fertilistica.
Certo il mito di Baal e Mot si serve innegabilmente di un linguag
gio agrario, poich la vita dell'uomo e della divinit, che da lui di
pende, indissolubilmente legata ai cicli naturali, alla fertilit della
terra, alla fecondit animale. Baal muore, scende nella fauci di Mot,
proprio quando l'aridit minaccia la vita in ogni sua forma. Del resto,
il legame tra il dio ugaritico e l'acqua pluviale benefica confermato
80

anche dai testi rituali. Una tavoletta cuneiforme, in particolare, ristu

diata a fondo recentemente', apporta nuova luce in proposito. Essa ap

partiene alla letteratura esorcistica di ambito sacerdotale ed probabil


mente in rapporto con una festa di capodanno. L'azione vede come pro

tagonisti Baal e il suo servitore, il re, e prevede varie cerimonie di

idroforia e magia acquatica. Qui il dio El sembra agire contro Baal

provocando la nascita di due "uomini-toro" al di fuori del contesto delle


terre agricole; questo pare il presupposto per una sconfitta di Baal;

descritto come un cacciatore, qui Baal riesce ad avere la meglio sui due

mostri, ma rimane lui stesso vittima del duello, cadendo morto a terra,

il che viene immediatamente riflesso dal morire della natura. El fu


trascorrere 7/8 anni di siccit/carestia, finch gli accoliti (''stirpe") di

Baal lo cercano, lo trovano e gli danno sepoltura (questo passaggio


non certissimo, solo un'ipotesi interpretativa). Con ci si

identificata la ragione della carestia; il mito sembra avere come scopo


di indicare la disavventura e la morte di Baal come ratio ultima della

carestia/siccit.

Con

Baal

scompare

indispensabile per la natura e gli uomini.

anche

l'acqua,

vitale

Anche se il mito si serve qui e altrove di un linguaggio prevalen

temente agrario, per arbitrario ridurre il

suo

messaggio

alla

semplice sfera fertilistica. La realt dell'alternarsi delle stagioni, del

languire e risorgere della natura,era ovviamente ben nota agli antichi,


nel Vicino Oriente come in ogni angolo della terra. Al di l di ci, il

linguaggio impiegato (il corpo di Baal viene ritrovato tra le zolle della
terra, egli risorge sul monte Sapanu, cio tra le nuvole, Mot sembra
trattato come un cereale, ... ),era quello che meglio di tutti si prestava

a diventare la metafora dell'esperienza millenaria della morte ed


storicamente rilevante come tale realt e il linguaggio che ne deriva
siano stati usati culturalmente dall'uomo. E' infatti l'uomo, non

l'acqua benefica o la terra arida,ad essere al centro della vicenda. Se si

tiene adeguato conto delle implicazioni rituali degli eventi mitici,


testimoniate da altri testi, chiaro che la catabasi di Baal agli inferi

apre la strada al riconoscimento cultuale del semplice morto

che

diviene ritualmente antenato. Membro, cio, di una comunit ritenuta

attiva e operante a favore dei vivi, presente nelle memorie e nel culto.
Non pi o non solo larve anonime e piene di rancore, ma esseri
culturalmente utili

a una societ che ha scelto di non !asciarli

nell'oblio. Attraverso l'avventura mitica esemplare di Baal e di M o t,


81

n questa originale formulazione del culto dei Rapiuma, uno dei tratti
pi caratteristici della relgione in Siria-Palestina, l'uomo oppone la
propria risposta all'annientamento perpetuo nella morte, che prevede
tutt'al

pi

una

penosa

sottoesistenza come

spirito

malefico

rancoroso. Reintegrando i morti, o almeno alcuni morti, in un sistema


positivo di valori, la cultura siriana ha fatto di Baal una delle pi affa
scinanti e complesse figure di divinit mediatrice, schierata sempre e
senza ambiguit dalla parte dell'uomo, d cui ha condiviso la pi
drammatica delle esperienze.
Ma Baal davvero un "dio che muore e risorge"? Premesso che
metodologicamente scorretto partire da una categoria astratta per ritro
varne conferme nella documentazione, si pu comunque affermare che
a lui viene davvero ascritta una "morte" (verbo mwt, morire) e poi
un ritorno in vita (verbo yhw, vivere); che il suo non un ritorno
in tono minore, n simbolico, ma prepotente, clamoroso, tale eh
restaurare l'ordine naturale e confinare la morte in limiti pi
controllabili; egli proclamato re su di e uomini, funzione che
eserciter senza concorrenti. Non per questione

di alternanze

nell'aldil, n di dipendenza da una dea, anche se Anat (sia pure col


concorso di Shapash) gioca un ruolo fondamentale nella vicenda.
Inoltre,

non possibile

affermare che il momento forte

sia la

scomparsa/morte ma, al contrario, proprio il ritorno e la lotta contro


8
Mot appaiono essere i fulcri della vicenda
Resta da chiedersi perch Baal non venga fatto rientrare abitual
mente nel novero di quegli di inseriti nella categoria dei dying gods.
Se Frazer non poteva conoscerlo, i moderni non hanno questa scusa.
Senza voler anticipare qui i risultati della ricerca collettiva e quanto si
dir in sede di conclusioni, sia lecito avanzare una risposta, che anche
un'ipotesi di lavoro sulla Weltanschauung degli studiosi contempora
nei: Ugarit molto, troppo vicina alla Palestina, geograficamente e
culturalmente; il Baal della Bibbia combattuto dallo Yahwismo da n
conoscersi proprio in tale figura; e poi, last but not least, Baal sembra
proprio l'unica figura divina che, indiscutibilmente, muore e risorge,
legandosi al destino dell'uomo, venendo chiamato "Salvatore": pensate
che non ve ne sia abbastanza?

82

Abbiamo cos potuto verificare che Baal un dio che "ritorna" deci
samente con un ruolo, dopo la crisi, assai pi attivo e universale di
prima: forse per questo si rivelato una figura "scomoda" da inserire in
tipologie precostituite che non prevedono resurrezioni con tali conse
guenze clamorose. Proprio per tali ragioni Baal merita di diritto un po
sto preminente nel quadro dell'indagine sulle divinit che sono prota
goniste di una "crisi" variamente definibile e pi specificamente per
due motivi fondamentali.
9
In primo luogo, si tratta - se si esclude parzialmente Dumuzi
dell'unico dio le cui vicende ci siano pervenute attraverso una fonte di
retta ed immediata (le tavolette ugaritiche); in secondo luogo, perch
Baal deve considerarsi una sorta di "prototipo" (ci si passi il termine
inadeguato) per l'antichit delle tradizioni che lo concernono (i test
sono redazionalmente della met del II millennio a. C., ma devono ri
salire nel contenuto molto pi indietro nel tempo). Per queste ragioni
Baal pu considerarsi storicamente e morfologicamente correlato alle
divinit cittadine fenicie che emergono (nella documentazione a noi di
sponibile) nell'Et del Ferro e che, pur nella specificit dei culti locali,
rientravano certamente in un'ideologia mitico-rituale affine a quella del
loro "predecessore" ugaritico. E' a queste figure che dedicata la se
conda parte del presente contributo.
*
*

Nel I millennio le fonti, dirette e indirette, sul pantheon fenicio,


documentano l'esistenza di alcune figure sovrumane (eroiche/divine)
protagoniste di un'esperienza di morte/sparizione/latenza seguita da una
riapparizione/ritorno/resurrezione. Si tratta di personaggi che vivono
una crisi piuttosto drammatica, dallo svolgimento non identico, che va
di volta in volta analizzata nelle sue specifiche implicazioni mitiche e
rituali, senza lasciarsi condizionare da schemi preconcetti. Si tratta di
Adonis, Eshmun e Melqart, legati dalla tradizione rispettivamente alle
citt di Biblo, Sidone e Tiro.
Per quanto riguarda queste figure, prima di esaminare le fonti che le
concernono, opportuno anche in questo caso ricordare i quesit fon
damentali che occorre porsi affrontando il tema del presente volume. Si
tratta davvero di personaggi che muoiono e risorgono? In altri termini,
83

si tratta nel loro caso di una vera e propria morte, rapportabile


ali' esperienza umana, ovvero si ha a che fare con un "cambiamento"

di

natura diversa, una sorta d passaggio verso un'altra dimensione? Si

tratta di una sopravvivenza miracolosa, ovvero di un'immortalit con

quistata come nei casi pi celebri narrati dalla mitologia classica?

L'opportunit di una verifica suggerita tra l'altro anche dallo stato


degli studi pi recenti, in cui si ben lungi dall'aver raggiunto una

uniformit di opinioni. Vi chi,

ad esempio, critica giustamente


di morenti quasi onnicompren

l'esistenza storica di una categoria d

siva, ma poi non prende in considerazione un caso abbastanza chiaro


come il Baal di Ugarit appena esaminato, ovvero glissa rapidamente

sugli di fenici al centto della nostra attenzone10 Altri si muovono nel


solco dell'impostazione tradizionale senza prendere posizione11, altri
ancora negano il carattere esemplare della vicenda di Baal ritendola trat
tarsi di un semplice fatto letterario che riecheggerebbe l'ideologia reale

ugaritica12

E' inutile qui soffermarc sul personaggio d Adonis, al centro

di

uno studio specifico di S. Ribichini in questo stesso volume13 Ricor


deremo soltanto che esso certamente reinterpretazione greca di un
"modello" di divinit poliade fenicia, non senza aspetti che lo

acco

stano a Tammuz (specie le lamentazioni femminili) e a Osride (la ri


tualit dei "giardini"). Del resto, gli studi degli ultimi anni hanno indi
cato la molteplicit di approcci con cui pu essere studiato il suo

dos
sier (da cacciatore fallito a simbolo di un Oriente "di maniera"), che

deve comunque sempre essere valutato equilibratamente in tutte le sue

componenti. Resta il fatto che una divinit con questo nome non
mai attestata nelle fonti semitiche e, se proprio si volessero trovare
forti somiglianze con un personaggio vicino-orientale, si dovrebbe
forse chiamare in causa pi che un dio, un personaggio "umano"

protagonista di una vicenda mitica, cio l'ugaritico Aqhat figlio

di

Danil. Studiosi d varia impostazione hanno comunque ampiamente


mostrato che i miti relativi ad Adonis non adombrano alcuna forma

di

salvezza extra-mondana e che tale figura si ricollega a quelle delle


divinit cittadine fenicie,

con il

Baal ugaritico come

esponente e Melqart e Eshmun come casi chiari nel


resto

pi

antico

I millennio. Del

adon nelle lingue semitico-occidentali un epiteto divino (oltre

84

che regale) spesso collegato a "Baal", designazione solo apparente


mente generica di questi di-re della tradizione siro-palestinese.
Riandando ad altre figure di Baal locali delle citt fenicie, i due pi

famosi ci sono noti - a differenza di Adonis - con il loro nome proprio,


Eshmun e Melqart; pure ad essi le tradizioni attribuiscono variamente
un'esperienza di crisi e relativo superamento.
Eshmun era un dio pan-fenicio, legato per particolarmente alla

citt di Sidone di cui era probabilmente originario14 Fin dagli inizi

della documentazione esso si presenta come un dio guaritore molto


specializzato, aspetto confermato dalla sua identificazione classica con
Asclepio [e Esculapio] e, pi raramente, con Apollo e Iolao.

Se le fonti epigrafiche, archeologche e letterarie su Eshmun atte

stano con chiarezza la sua inclinazione a guarire, non esiste alcun indi
zio diretto (salvo quello che esamineremo subito) di una sua esperienza

di morte/resurrezione, n di suoi rapporti specifici con la sfera della fer

tilit/fecondit. Abbiamo comunque un testo abbastanza tardo (inizio

del VI sec. d. C.) attribuito al filosofo neoplatonico Damascio15, che

riporta un racconto mitologico dal carattere composito. Ecco il passo


che ci interessa:

L'Asclepio d Berito non n greco n egiziano, ma un altro,


autenticamente fenicio. Da Sadykos nacquero infatti dei figli
che essi interpretano come Dioscuri e Cabiri. Ottavo dopo di
questi nacque Esmounos, che essi interpretano come Asclepio.
Dato che egli era il pi bello e il pi giovane e tale da suscitare
l'ammirazione a vederlo, Astronoe, dea fenicia, madre degli di,
s innamor di lui, come narra il mito. Egli aveva l'abitudine di
cacciare nelle valli del paese e, vedendo la dea che lo inseguiva
nella fuga e stava per raggiungerlo, si tagli i genitali con un
colpo di ascia. La dea afflitta fece la lamentazione per lui e lo
chiam Peana (ovvero: invoc Peana). Dopo averlo risvegliato
col calore vitale, lo fece diventare un dio. Egli fu chiamato
Esmounos dai Fenici a causa del calore vitale. Altri invece ri
tengono che Esmounos significhi "ottavo", poich egli era
l'ottavo figlio di Sadykos>>.
Gi molti anni or sono si era tentato di individuare gli elementi

"autenticamente" fenici di questo racconto', che presenta del resto al


cune analogie con la versione usualmente definita "frigia" del mito di

85

Atts17, in particolare l' autoevirazione e l'innamoramento della Madre


degli di, qui chiamata Astronoe, cio Astarte, insieme per a diffe
renze notevoli, quali il motivo della misoginia del protagonista, as

sente nelle tradizioni sul pastore frigio. Quanto a Adonis, anche lui era

un giovane morto durante la caccia, animato

da una misoginia
di

profonda verso una dea; il "risveglio" di Esmounos/Eshmun da parte

Astronoe/Astarte ricorda poi l'intervento di Iside nei confronti di Osi

ride, mentre tutto il racconto mostra infine analogie non trascurabili


con il mito ugaritico del cacciatore Aqhat, il che ci orienta verso
un'epoca molto pi antica (almeno il Tardo Bronzo).

In ogni caso ben probabile che questo testo abbia conservato un


nucleo di tradizioni genuinamente fenicie su Eshmun, giovane caccia
tore, principe e figlio di Sadykos, amato da Astronoe/Astarte, protago

nista di un episodio di "morte" e di "divinizzazione"

(= elevazione al

rango divino). Ma forse il caso di entrare in maggiori dettagli, esa


minando isolatamente i motivi pi caratteristici del racconto.

Cominciamo dal .fUoco, che riveste un ruolo notevole nel mito i n


questione. Secondo i l nostro testo, i l nome d i Esmounos deriverebbe o

dal termine semitico-occidentale per "fuoco" o da quello che indica i l


numerale ordinale "ottavo". Entrambe l e etimologie antiche non hanno
fondamento linguistico'", ma sono preziose perch ci consentono

di

meglio comprendere alcuni aspetti originali della personalit del prota

gonista, estranei tanto ad Attis che ad Adonis. La relazione col fuoco,


individuabile (erroneamente) nel nome e nel "calore" vitale, richiama

da presso il ruolo rivestito da questo elemento nella mitologia di

Melqart, l'Eracle fenicio, di cui sono noti i rapporti con Eshmun. Si

tratta di un potente mezzo di trasformazione, capace di conferire

capacit straordinarie e addirittura l'immortalit19

Un'altra tradizione vuole che Eshmun fosse l'ottavo figlio di Sa


a>
dykos . La circostanza di essere "ottavo" di una famiglia o di una dina
stia ha un valore simbolico rilevante nelle tradizioni semitiche e carat
terizza vari personaggi destinati a una sorte speciale (come David, ot
tavo figlio di Jesse o, nei miti ugaritici, la figlia del re Kirta che si

chiama precisamente "Ottavia"). Esmounos, in pi, di origine reale e


questo aspetto lo si ritrova neii'Eshmun fenicio che porta l'epiteto

di
di
suo padre, Sadykos, il calco greco di un termine semitico (/idq), di
"principe santo" nelle iscrizioni di Sidone d'et persiana21 Il nome

una radice che esprime la nozione di "giustizia", la virt reale per

86

eccellenza. Questo personaggio

dunque chiaramente la prmeztone

archetipale di un re, antenato e modello ideale di tutti i sovrani. Si

ritrova qui dunque il legame con la regalt che caratterizza i Baal

cittadini

della

tradizione

siro-palestinese

particolare.

in

generale,

fenicia

in

Un terzo aspetto che va sottolineato

Eshmun con la caccia. Egli

il legame di Esmounos/
descritto come un cacciatore profonda

mente misogino. Oltre alle analogie con Adonis, il motivo si ritrova


anche nelle tradizioni sidonie su Eshmun, e precisamente nelle scene di
caccia che decoravano le mura della cappella presso la piscina, che fa
ceva parte del santuario di Bostan esh-Sheikh dedicato a Eshmun e,

forse, anche ad Astarte22 Ancora, non va dimenticato che la pratica ve

natoria era una prerogativa di re e principi nel Vicino Oriente anticon.

Restano da segnalare ancora alcuni tratti fondamentali che emer


gono dal mito di Esmounos, caratterizzandolo fortemente, e cio la sua
misoginia, che lo induce a fuggire l'amore della dea, la morte che ne
la conseguenza e la successiva elevazione al rango divino operata
Astronoe/Astarte.

cb

L'atteggiamento misogino deve essere considerato un aspetto origi

nale del personaggio, condiviso come

anche da Aqhat e da Adonis.

Ad un'attenta lettura del testo, emerge che la morte del protagonista


non

menzionata esplicitamente. Sembra trattarsi di una perdita di

energia vitale, di un indebolimento della forza e del calore interno. E'

vero che Astronoe fa una lamentazione per lui, ma questo atto sembra
far parte

di un rituale pi complesso che implica l'intervento di Peana:w


anazopyresasa)

che riesce a rigenerare, e "risvegliare" (dice il testo,

Esmounos e a farlo "diventare dio".

Non agevole in questo caso parlare di morte e di resurrezione nel

senso convenzionale dei termini. Esmounos perde la virilit e allo


stesso tempo tutte le sue energie vitali

(= calore), reintegrate poi dalla

dea che gli conferisce una pienezza di forze che coincide con una im

mortalit di tipo "divino". Questo aspetto si ritrova anche nelle tradi


zioni concernenti Melqart e in quelle su Asclepio; quest'ultimo, come

noto, venne colpito dalla folgore di Zeus poich resuscitava i morti e


divenne un dio immortale per aiutare il genere umano e lenime le sof
ferenze.

Il carattere di guaritore attribuito a Eshmun appare del tutto compa

tibile con una tradizione mitologica in cui il protagonista, in origine

87

uomo mortale, diviene dio a seguito di un evento drammatico che non

pu essere definito come una semplice morte e resurrezione. Si tratta


proprio del meccanismo narrativo che caratterizza molte

vicende

eroiche della mitologia greca: un mito di "trasformazione" che fonda

la nuova dimensione attinta da questi personaggi straordinaria.


Per concludere, Eshmun un personaggio dalla personalit origi

nale e complessa, legato all'ideologia regale, specializzato in guari


gioni ordinarie e straordinarie; una figura che non pu rientrare negli
"di morenti" dello schema di Frazer, tanto pi che non mostra alcun
rapporto con la fertilit e la fecondit della natura27 Questo personag
gio ha conosciuto, a livello mitico, un'esperienza drammatica (in
quanto essere umano), sfuggito alla morte e agisce ormai come un
dio, cio nella nuova dimensione acquistata grazie all'intervento mira
coloso della grande dea.
Non vi dubbio che Melqart fosse il signore (Baal) di Tiro e, in

sieme, la figura emblematica della colonizzazione fenicia in occidente.

La sua identificazione con Eracle testimonia un sincretismo semitico


indoeuropeo che sta alla base del pi celebre ciclo mitologico dell'an
tico Mediterraneo. Studiato approfonditamente in una specifica mono
grafia28, questo personaggio attira la nostra attenzione soprattutto per

gli episodi di "morte" e "resurrezione" ascrittigli da certe tradizioni, eh


valutare appunto nell'ottica della nostra indagine. Il teonimo Melqart
significa letteralmente, come noto, "re della citt", denominazione
che allude al suo strettissimo rapporto con Tiro, qui intesa come

"citt" per eccellenza. Come proiezione divina del re terreno Melqart


(in cui

occorre riconoscere il Melkathros o

Melkarthos di certe

tradizioni)N mostra comunque aspetti ctonii nella sua personalit e


continua la tradizione siro-palestinese degli antenati reali divinizzati

dopo la morte.

Come accennato, un elemento essenziale nel dossier di Melqart


costituito dalla tradizione - nota a livello sia mitico che rituale - con
cernente una festa periodica in suo onore che le fonti greche defini
scono egersis, cio pi o meno "risveglio", "resurrezione", un rito
pubblico e solenne celebrato dal re in personal). Secondo l'interpreta
zione pi accreditata, in essa si commemorava un'esperienza mitica di

morte o scomparsa, seguita - come momento centrale - da un ritorno,

risveglio o resurrezione del protagonista in forma divina. Un personag88

gio detto mqm >[m(carica onorifica di primo piano nel mondo fenicio
punico) aveva un ruolo importantissimo nella festa; esso significa pi

o meno resuscitatore della divinit e corrispondeva al greco egersei

t es, una carica in rapporto al culto di Eracle. Esistono due passi dello
storico Giuseppe Flavio3' che concernono la celebrazione del'egersis di

Melqart su cui occorre soffermarsi:

Inoltre egli (= il re di Tiro, Hiram l) venne a tagliare legna


sulla montagna chiamata Libano per i falegnami del tempio. Di
ritorno, egli demol gli antichi santuari e costru un nuovo
tempio a Eracle(= Melqart) e a Astarte. Per primo egli effettu
(la cerimonia del)l' egersis di Eracle nel mese di Peritios
'
(Ant. Jud., VIII V 3, 145-146).
Egli(= il re di Tiro, Hiram l) riemp I'Euricoro e dedic la co
lonna d'oro che si trova nel tempio di Zeus; and a tagliare le
gna di cedro sulla montagna chiamata Libano per i falegnami
dei templi. Di ritorno, egli demol gli antichi templi e ne co
stru un altro, quello di Eracle e di Astarte. Per primo effettu
(la cerimonia del)l' egersis di Eracle nel mese di Peritios
(Contra Ap ionem, I 117-119).
L'analisi critica di questi testi32 giunta alla conclusione che il

passo meno contaminato il primo e che, per i templi, la versione al


singolare quella da preferire. Il termine egersis designa la cerimonia,
il verbo epoiesato significa compiere, effettuare: abbiamo a che
fare dunque con un rito solenne il cui nome lo stesso che viene cor

rentemente usato dai Padri della Chiesa per designare la resurrezione (di
Cristo, dei morti)33 Aggiungeremo che il verbo *qwm significa ap
punto (ri)sorgere e le interpretazioni alternative proposte non sono
n convincenti n esurienti34

La festa era annuale e commemorava un evento speciale, accaduto

una volta per tutte nel tempo del mito e riattualizzato dal rito. Il suo
carattere periodico esclude naturalmente che si trattasse di una cerimo

nia da celebrare in caso di necessit. Il resuscitatore della divinit per


eccellenza era probabilmente il re in persona e la carica contrassegnava
comunque personaggi eminenti della societ.
Questa interpretazione avvalorata dalle tradizioni mitologiche sul
l'Eracle fenicio, che si immola volontariamente sul rogo e ottiene in

89

seguito uno status divino. Un documento importante su questo evento


35
il c.d. vaso di Sidone pubblicato da Barnett , che ci ha trasmesso ve
rosimilmente la sequenza delle fasi del rito che si svolgeva in tre
giorni. Le quattro scene rappresentano infatti la cremazione di Melqart
sul rogo (primo giorno); i funerali e il seppellimento del personaggio,
insieme alle lamentazioni e ai riti funebri compiuti

da una rea

(Astarte) e dal re (all'indomani della morte, secondo giorno); l'egersis


di Melqart che ha la sua epifania post morte m all'interno del suo tem
pio, all'alba del terzo giorno. Anche se il senso dell'iscrizione sul
vaso,

bel

kr, (signore

della

fornace

?)

incerto36,

l'oggetto

costituisce una fonte di primaria importanza su questo rito e le


tradizioni soggiacenti.
Vi sono dunque vari elementi importanti che fanno allusione con
insistenza alla stessa tradizione: i dati sul culto di Melqart a Gades, in
J1
Spagna , l'esistenza di credenze concernenti le vicissitudini dell'Eracle
fenicio, alle quali forse si riferisce anche la festa detta giorno del sep
38
pellimento della divinit nell'iscrizione fenicia di Pyrgi , e ancora, le
espressioni derisorie della Bibbia ebraica sull' "assenza" degli di cana
nei e sulle assurde pretese del re di Tiro che si crede divino:JJ. Si tratta
insomma di una serie imponente e omogenea di dati che, anche se non
tutti allo stesso livello di sicurezza, rappresentano nell'insieme una do
cumentazione impressionante e univoca, che ben si armonizza, in pi,

con gli altri elementi concernenti Eshmun e Adonis, contribuendo a di


segnare una tradizione coerente anche se con varianti locali.
*
*

Nel mito ugaritico del re Kirta, i figli del protagonista, un sovrano


malato che sta per morire, si chiedono con angoscia e incredulit se il
re loro padre, ritenuto pari a un dio, finir per morire come i comuni
mortali:
Ecco, padre, proprio come i mortali tu morirai?(...)
Come si potr dire che Kirta figlio di El,
prole del Misericordioso-e-Santo?
Ahim, gli di muoiono?
La prole del Misericordioso non vivr?
(KTU 1.16 II 41-44).
90

A questa drammatica domanda la religione siro-palestinese ha cer


cato di dare una sua originale risposta con uno sforzo notevole, sul
piano rituale e, pi generalmente, cultuale. Nelle tradizioni di que
st'area, come si visto, il re delle origini, antenato mitico della dina
stia, protagonista di una sorte insieme tragica e privilegiata, una
morte drammatica seguita dall'elevazione al rango divino, proprio
come vari eroi della mitologia greca: non certo casuale che Eracle e
Asclepio, identificati rispettivamente con Melqart e Eshmun, siano i
soli di della religione greca di origine umana.
Morto come uomo, il re mitico raggiunge il suo status divino gra
zie ad un passaggio in una nuova dimensione di forza e di vitalit otte
nuta dal calore (del fuoco). Proprio come il suo modello umanoJ, il
Baal poliade sar al contempo garante della salvezza degli uomini, della
fecondit, della fertilit, del commercio, della navigazione, dell'espan
sione coloniale, in breve, del benessere del paese in tutte le sue forme
e manifestazioni.
Si pi volte accennato al fatto che l'ideologia soggiacente a
queste tradizioni affonda le proprie radici nella cultura siro-palestinese
del III-II millennio, da Ebla a Ugarit, con il suo culto degli antenati, i
Rapiuma. Nel I millennio, forse, i modelli rappresentati da Aqhat e
Kirta non corrispondevano pi alle esigenze contemporanee, ma il
nucleo ideologico di fondo resta comunque ben percepibile. Eshmun,
da un lato, sviluppa gli aspetti di guaritore in armonia con la humus
dell'epoca ellenistica,

la crisi dell'individuo e dei culti

ufficiali;

Melqart, d'altro lato, mostra una personalit pi complessa poich


passa a esprimere i valori dell'identit nazionale senza che un aspetto
prevalga sull'altro.
Che resta, a questo punto, del binomio morte-resurrezione presente
nella teoria di Frazer e nelle interpretazioni moderne orientate in tal
senso? A mio avviso, "morte" deve essere in questo caso interpretata
come la fine della vita per un eroe del mito, in un senso fondamental
mente biologico rapportabile all'esperienza del comune mortale: di qui
il seppellimento, la tomba, il culto funerario. Non questione qui di
resurrezione in senso stretto del termine, poich si tratta di un passag
gio verso un'altra dimensione del tutto diversa che implica la conquista
di nuovi poteri positivi per gli uomini, le cui implicazioni non riguar-

91

dano che la dimensione umana (e, naturalmente, le modalit della


morte).
Il "risveglio" implica dunque un ristabilimento di energie sospese o
esaurite, una reintegrazione totale della forza vitale che consente a
colui che sta per "diventare dio" di acquistare delle capacit straordinarie
d'intervento nel cosmo.
La vittoria di Baal su Mot e i sui poteri della morte, cantata dagli
antichi miti di Ugarit, lungi dall'essere stata dimenticata, continuava
dunque a fornire qualche speranza agli uomini del I millennio a. C.

N01E
I Per una introduzione generale divulgativa su Ugarit si rinvia a P. Xella,

Dossier Ugarit, Archeo XVI/4, 182, 2000, pp. 53-87; pi tecnico W.G.E.

Watson- N. Wyatt (edd.), Handbook of Ugaritic Studies, Leiden 1999. La

migliore introduzione archeologica quella di M. Yon, La cit d'Ougarit


sur le tell de Ras Shamra, Paris 1977. Testi in traslitterazione: M. Dietrich

-O. Loretz - I. Sanmartfn, The Cuneiform Alphabetic Texts from Ugarit,

Ras lbn Hani and Other Places, Miinster 1995 (= abbr. KTU).
2

I nomi delle divinit e dei vari personaggi ugaritici vengono qui citati

nella loro forma pi comune e convenzionale, Baal, El, Mot, Anat, Sha
pash, etc., anzich nella grafia "scientifica" ma meno popolare (Ba<a!u,
Ilu, Motu, <Anatu, SapSu, etc.).
3

Di questi ultimi in ogni caso non rimasta alcuna traccia ma, data

l'epoca,

ben difficilmente essi potevano

contenere testi redatti

nella

"nuova" scrittura cuneiforme alfabetica.


4

Versione breve: KTU 1.4.VIII, margine della tavoletta; cf. anche K1U

1.16 VI, margine; versione lunga: KTU 1.6 VI 54-58.


5

Temi trattati, tra l'altro, in P. Xella, Gli antenati di Dio, Verona 1982; s i

veda anche K. van der Toorn - B. Becking - P.W. van der Horst (edd.),
Dictionary of Deities and Demons in the Bible, Leiden 19992; su Asherah,
cf. P. Merlo, La dea A.\'era, Roma 1998.

Come dice testualmente lo stesso Mot in KTU 1.6 V 18b-19c, apportando

una fondamentale aggiunta al precedente passaggio che descrive il suo


massacro da parte di Anat in cui manca la menzione del "mare". Questo ap
pare un elemento di dissonahza rispetto al quadro "agrario" della distru
zione di Mot, di cui va tenuto il debito conto, cf. infra.

92

In KTU 1.12 abbiamo una prima parte mitologica (l l - II 55a: probabil

mente una versione abbreviata e mancante del finale di un pi ampio rac


conto) e una seconda rituale (Il 55b-61). Il destino di Baal strettamente
legato a quello dell'acqua, e questo testo va forse posto in correlazione con
il "ciclo di Baal", cf. M. Dietrich - O. Loretz, Studien zu den ugaritischen
Texten-1. Mythos und Ritual, Miinster 2000.
8

Cf. pi tardi !'egersis di Melqart, infra.

10

Cf. il contributo di P. Pisi in questo stesso volume.


J .Z. Smith, "Dying and Rising Gods", in M. Eliade (ed.), The Encyclo

pedia of Religion, 4, New York 1987, pp. 521-527; cf. anche id., Drudgery
Divine. On the Comparison of Early Christianities and the Religions

of

Late Antiquity, London 1988, p . 85ss. L e lacune testuali non impediscono

di comprenderne il senso di fondo, cf. supra.

11

Cf. ad esempio T.N.D. Mettinger, "The "Dying and Rising God". A Sur

vey of Research from Frazer to the Present Day", Svensk Exegetisk Ars
bok, 63, 1998, pp. 111-123.
12

M.S. Smith, "'Ibe Death of "Dying and Rising God" in the Biblica!

World. An Uptodate, with Special Reference to Baal in the Baal Cycle",


SJOT, 11, 1997, pp. 257-313 (cf. le critiche fondate di G. del Olmo Lete,
"El Ciclo de Baal revisado", AuOr, 14, 1996, pp. 269-277). E' ben difficile
accettare la teoria paradossale di M.S. Smith secondo cui il re, anzich le
garsi attraverso il mito al destino del dio, si riterrebbe ab aeterno di natura
divina e proietterebbe su Baal tale condizione. Si opererebbe cos un ribal
tamento dei rapporti tra mito-rito-realt storica che senza paralleli nella
Storia delle religioni. Dal momento che l'ideologia veicolata dal mito ri
flette in ogni caso (anche se variamente, in una dialettica dalla molte facce
e direzioni), la Storia delle religioni mostra che si tratta comunque di un
processo tendenzialmente opposto a quello supposto da Smith. A livello
mitico si postula un modello al quale ci si sforza di conformarsi parteci
pando (variamente) ai privilegi divini anche attraverso il rito, e non vice
versa. Il destino dei Rapiuma ugaritici, pur privilegiato rispetto a quello
dei comuni mortali, non pu paragonarsi alla condizione divina, a cui fa al
lusione tra l'altro la dea Anat nel celebre episodio (KTU 1.17 VI 16 ss.) i n
cui offre a Aqhat l'immortalit (una vita come quella di Baal!) i n cambio del
suo arco.
13

Cf. infra.

93

14

Cf. P. Xella, "Eschmun von Sidon. Der phtinizische Asklepios", in M.

Dietrich - O. Loretz (edd.), Mesopotamica - Ugaritica - Biblica. Fs. K. Ber


gerhof, Kevelaer/Neukirchen-Vluyn 1993, pp. 480-498.
15

Dam., Vita Isidori Reliquiae, ed. Cl. Zintzen, Hildesheim 1967, fr. 348,

p. 283 (= Photh., Biblioth., 302, in Migne, SG 103 col. 1304 s.).


6

Cos W.W.G. Baudissin Adonis und Esmun, Leipzig 1911, p. 339ss.

17

Secondo la definizione di H. Hepding, Attis.

Seine Mythen und sein

Kult, Giessen 1903, p. 98ss. Secondo Ph. Borgeaud, La Mre des dieux. De
Cyble la Vierge Marie, Paris 1996, p. 203, n. l, si tratterebbe di una
"variante orientalizzante" del mito di Attis. Su Attis, cf. il contributo di
M.G. Lancellotti in questo stesso volume.
18

P. Xella, "Etimologie antiche del teonimo fenicio Eshmoun", Atti del

Sodalizio Glottologico Milanese, 29, 1988 (=1991), pp. 145-151. Il teo


nimo Eshmun deriva dalla radice *Smn <<essere grasso (= sano, bello).
19

Il lavoro di riferimento resta quello di M. Edsman, lgnis divinus. Le feu

comme moyen

de rajeunissement

mythes et rites, Lund 1949.

et d'immortalit:

La teoria ippocratica

contes,

lgendes,

del "calore innato"

(mphyton thermon) pu avere influenzato in parte il testo di Damascio,


cf. E. Lipinski, "Eshmun, "Healer"", AION, 23, 1973, pp. 161-183,

p.

168 ss.
20

Dato confermato da Filone di Biblo, apud Eus., P.E. I IO, 38: l'Asclepio

fenicio era l'ottavo figlio di Sydyk. La tradizione che considera Eshmun


come ottavo

dei Cabiri confermata forse da una moneta

di Berito

dell'epoca di Elagabalo, sulla quale figurano otto personaggi, uno dei quali
potrebbe essere teoricamente Eshmun, dati in P. Xella, op. cit. (nota 14),
p. 149.
21

Cf. C. Bonnet- P. Xella, "Les inscriptions phniciennes de Bodashtart

roi de Sidon", in Scritti in onore di Antonia Ciasca, in stampa.

22

Cf. R. Stucky, Tribune d'Echmoun, Base! 1984; id., "Il santuario di

Eshmun a Sidone e gli inizi dell'ellenizzazione in Fenicia", Scienze del


l'antichit, 5, 1991, pp. 461-482.
23

M. Liverani, "Partire sul carro, per il deserto", AION, 32, 1972, p p .

403-41524

Il testo pu interpretarsi in modo diverso: la dea invoca Peana ovvero,

come io credo pi probabile, chiama il giovane Peana; si ricordi che paion


un epiteto di Asclepio e di Dioniso.
94

25

Cf. P.Merlo- P. Xella, "Da Erwin Rohde ai Rapiuma ugaritici. Antece

denti vicino-orientali degli eroi greci?", in S. Ribichini -M. Rocchi -P.


Xella (edd.), La questione delle influenze vicino-orientali sulla religione
greca. Stato degli studi e prospettive di ricerca (Atti del Congresso

di

Roma, 19-2115/1999), in stampa.

26

La definizione di "eroe-dio" proposta per Eshmun, Melqart e Adonis da

S. Ribichini si rivela appropriata, cf. id., Poenus advena. Gli di fenici e


l'interpretazione classica, Roma 1985, p. 43ss. (cap.: "L'eroe divino"). La
dimensione ctonia del culto di Eshmun potrebbe trovare un indizio nel to
ponimo

libanese

(nei

dintorni

di

Beirut)

qahr mun,

cio

"tomba

d'(E)shmun", cf. S. Wild, Libanesische Ortsnamen, Beyrouth 1973, pp.

202-203.
27

Oltre alla morfologia del personaggio, anche la probabile etimologia

del suo nome non lascia intravedere particolari nessi con i processi della
natura, ma riguarda precisamente il benessere fisico, la salute degli uomini,

da cui il carattere di Eshmun di guaritore dai mali che si afferma pro


gressivamente.
28

C. Bonnet, Melqart. Cultes et mythes de l'Hracls tyrien en Mditerra

ne, Leuven-Namur 1988.


29

Eus., P.E., I 10, 18 et 27. Cf. S. Ribichini, "Le origini della citt santa.

Biblo nei miti della tradizione classica", in. AA.VV., Biblo. Una citt e la
sua cultura, Roma 1994, pp. 215-230,

in particolare. su Malkandros i n

Plutarco, De fs. et Os., 15-16, 357 A-C.


30

Oltre

allo

studio

pionieristico

di.

Lipinski,

"La

de

fte

l'ensevelissement et de la rsurrection deMelqart", in Actes de la XV/le


RA/, Ham-sur-Heure 1970, pp. 30-58, cf. la discussione dettagliata in

C.

Bonnet, op. cit., p . 104ss.; pi recentemente, cf. H.-P. Miiller, "Sterbende


und auferstehende Gotter? Eine Skizze", in Fs. Jenni (= Theologische
Zeitschrift,

53), 1997, pp. 74-82; id., "Unterweltsfahrt und Tod des

Fruchtbarkeitsgottes",

in R. Albertz (ed.), Religion

und Gesellschaft,

Miinster 1997, pp. 1-13.


31

Notizia diMenandro di Efeso.

32

Ch. Clermont-Ganneau, "L'gersis d'Hrakls et le Rveil des dieux", i n

id., Recueil d'Archologie Orientale Vlll, Paris 1921, pp. 149-166.


anche C. Bonnet, op. cit., p. 34 ss.

95

Vedi

33

Cf. tra l'altro le voci egeiro, egersis, in H. Balz -G. Schneider (edd. ),

Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament, l, Stuttgart 19922, coli.

899-910 (J. Kremer).


34
35

Cf. i lavori di H.-P. Miiller citati supra, nota 30.


R. D. Barnett, "Ezekiel and Tyre". Eretz-Israel, 9, 1969 (= Albright Me

moria! Volume), pp. 6-13; cf. in seguito le analisi di E. Lipinski, op. ci t. ,


p. 43 ss. e di C. Bonnet, op. cit., p. 78ss.
36

Status quaestionis in J. Hoftijzer - K. Jongeling,

North- West Semitic Jnscriptions, Leiden 1995,vol. I,

Dictionary of the

s. v. kq, p. 534.

37

Bonnet, op. cit., p. 203ss.

38

Recente messa a punto in S. Ribichini -P. Xella, La religione fenicia e

punica in Italia, Roma 1994, pp. 127-136.

39

I Re 18, 20-40 (cf. ancheGius. Fl., Ant. Jud. VIII, 8, l ss.) e Ezechiele

28, 1-19.
40

E' ormai tempo di interrogarsi a fondo su certi presupposti della teoria

evemerista, certo legata ad una specifica visione del mondo, ma anche fe


dele, in certa misura, a una tradizione storica secondo cui gli di cittadini
fenici sarebbero stati in un lontano passato uomini di rango reale.

96

LA SCOMPARSA DI ADONIS

SERGIO RmiCH!NI

l. Amore e morte

Ecco che spira, o Citera, il tenero Adonis! Che cosa faremo? l


Battetevi il petto, fanciulle, e strappate le vostre tuniche!. I due versi,
attribuiti alla poetessa Saffo di Lesbo\ racchiudono e insieme riassu
mono gli elementi essenziali del culto di Adonis nella Grecia antica.
Ci sono, anzitutto, i due protagonisti del mito: da un lato Afrodite, qui
invocata con l'epiteto che ne ricordava la nascita sulle rive dell'isola
di Citera; dall'altro Adonis, il suo tenero e giovane amante, sempre
descritto come bellissimo e desiderabile e sempre pianto per la sua
troppo breve esistenza, spezzata, in un incidente di caccia, dalle zanne
di un cinghiale, nel quale, secondo varie testimonianze, s'era trasfor

mato il dio Ares, geloso di quell'amore. C' poi il lamento delle don

ne, che piangono la morte di Adonis e che sono le protagoniste del rito
col quale si commemorava la fine del giovane.
"Adonie" si chiamavano in Grecia tali celebrazioni, che Saffo te

stimonia per la citt di Lesbo nel VII secolo a. C. e che altri scrittori

documentano per l'Atene della met del V secolo. Qui le feste di

Adonis si celebravano d'estate, in forma privata, senza sacerdoti o

templi; le Adonie ateniesi, pi precisamente, si svolgevano in abita


zioni private e avevano le donne come attrici in primo piano. Secondo
le fonti dell'epoca2, erano soprattutto cortigiane e concubine, che si ri
univano di notte; recavano alla festa piccole figurine del giovane
amante d'Afrodite, banchettavano, bevevano e danzavano allegra
mente con i loro compagni; poi s'abbandonavano a manifestazioni di
lutto, con grida e lamenti sulle terrazze delle case. Le partecipanti pre
paravano inoltre, per l'occasione, piccoli vasi di coccio, nei quali se
minavano grano, orzo, lattuga e finocchio, )asciandoli crescere per po

chi giorni; poi, durante le Adonie, le donne esponevano quei


"giardinetti di Adonis" sui tetti, alla calura cocente del sole estivo che
subito li faceva seccare.
Neli'Atene del V secolo a. C. le Adonie presentavano dunque

un'atmosfera insieme allegra e luttuosa: con quei momenti di gioia le


97

donne ateniesi ricordavano l'amore di Adonis e di Afrodite; con quei


pianti gridati, con quelle piantagioni forzate ed effimere esse richia
mavano invece alla memoria la morte acerba di Adonis, troppo presto
strappato ali' amore della sua dea.
A volere quelle celebrazioni, del resto, era stata la stessa Afrodite,
per consolarsi in tal modo della perdita dell'amato. Come avevano
fatto molti altri eroi, narravano i miti, Adonis aveva voluto affrontare
un cinghiale; preso per dai giochi d'amore, trascurata l'educazione
ali' arte venatoria, egli era del tutto impreparato a quella prova. Invano
peraltro, secondo Ovidio (nato nel 43 a. C.), la sua divina amante

l'aveva messo in guardia sui pericoli della caccia e gli aveva suggerito
d'inseguire soltanto animali innocui, evitando le bestie che non fuggo

no davanti al cacciatore: lei lontana, con i cani che all'improvviso se


guono la traccia di un cinghiale e spingono la belva davanti a lui,

l'Adonis di Ovidio quasi costretto al confronto e subito rimane feri


to. Ecco: l'eroe trema e cerca un riparo, ma il cinghiale l'insegue,

l'azzanna, lo lascia moribondo, immerso nel proprio sangue. Accorre


Afrodite, ma non pu fare altro che ricevere l'ultimo sospiro di Ado
nis, gridare il proprio dolore e accusare la sorte: "No", dice la dea nei
versi del poeta latino, "non di tutto il destino potr disporre. Un ri
cordo del mio dolore, rimarr in eterno: la scena della tua morte, Ado
nis, periodicamente rappresentata, ricorder ogni anno i miei pianti; e
il tuo sangue sar mutato in un fiore. Che mai: se un giorno a Persefo
ne fu permesso di trasformare il corpo di una donna in una pianta di

menta odorosa, perch io dovrei essere rimproverata se concedo a


questo eroe una nuova forma?". E a quelle parole la dea versa sul
sangue del morto un nettare profumato; quello al contatto comincia a
spumeggiare, come nel fango si formano sotto la pioggia bolle iride
scenti. Un'ora non passa che dal sangue spunta un fiore dello stesso
colore, simile a quello del melograno che nasconde i suoi grani sotto
una duttile scorza'.
Adonis, dunque, era una vittima, per i Greci che celebravano le sue
feste: ucciso dal cinghiale, ma anche dall'amore di Afrodite4, che lo
aveva tenuto lontano da altre e pi concrete occupazioni e che aveva

suscitato l'odio di Ares, geloso di quell'unione. Cos, bellissimo cac


ciatore fallito, Adonis era considerato ormai morto, defunto, scom
parso, confinato per sempre nel mondo degli Inferi, come accadeva
peraltro genericamente a tutti gli eroi greci, passati nell'aldil dopo
una vita di memorabili imprese.

98

Al regno dei morti, del resto, e a quell'esistenza strettamente vin


colata ali'amore di Afrodite, Adonis era in un certo senso abituato fin
dalla nascita, giacch, ancora neonato, era stato consegnato a Perse
fone, la regina degli Inferi. I miti raccontavano infatti5 che egli fosse
stato il figlio di un re orientale o cipriota, nato dall'amore incestuoso
con la principessa sua figlia. Costei aveva osato offendere Afrodite,
che l'aveva punita con un'insana passione per il proprio genitore. Con
la complicit della nutrice e nell'oscurit della notte, la fanciulla era
riuscita a giacere pi volte col padre; poi, scoperta, era fuggita davanti
a lui pronto ad ucciderla. Gli di, pietosi, avevano accolto la richiesta
d'aiuto della fanciulla ormai gravida e l'avevano trasformata nell' al
bero della mirra; a tempo debito, la corteccia s'era aperta, per lasciar
uscire il frutto di quell'incesto. Cos era nato Adonis, subito profumato
con le lacrime della mirra, quasi "imbalsamato" con quella resina che
s'usava per i cadaveri. Adonis, prosegue il mito, era cos bello che A
frodite lo volle tutto per s; per evitare altri sguardi e ulteriori atten
zioni divine su quel bambino, la dea lo racchiuse anzi in una cassa,
che consegn a Persefone. Questa per apr il baule e viste le grazie di
Adonis si rifiut di restituirlo ad Afrodite. Non c'era modo di scioglie
re la disputa tra le dee, su quel bambino conteso; intervenne infine Ze
us, che decise: Adonis doveva trascorrere la terza parte dell'anno con
Persefone, un'altra con Afrodite, mentre era libero di decidere per il
tempo rimanente. Ma Adonis offr anche questo ad Afrodite.
Due parti dell'anno con la dea dell'amore, un terzo con la regina
dei morti: con l'esistenza cos divisa, Adonis apparteneva alla schiera6
di quegli esseri mortali dei miti greci che da vivi avevano potuto far
ritorno dagli Inferi. La sua alternante presenza nell'oltretomba era
dunque un'eccezione e al tempo stesso un preludio: ai morti egli ap
parteneva da sempre, anche se, ancor vivo, periodicamente tornava a
stare con Afrodite. Il mitografo Apollodoro, che registra nel I sec. d.
C. il mito con le sue varianti, sembra ben conscio di questo aspetto,
annotando, dopo la soluzione della contesa tra Afrodite e Persefone,
che in seguito, poi, Adonis mor, ucciso dal cinghiale. Stando ai
racconti greci, insomma, l'alternante scomparsa e il periodico ritorno
del bellissimo eroe, bench caratteristici di una sorte privilegiata, non
erano successivi alla sua morte, bens l'avevano preceduta.
Adonis morto, perito, defunto, deplora del resto un Idillio at

tribuito a Bione (fine II sec. a. C }: lo piangono gli Amorini, i monti, i

boschi e le sorgenti; lo piange soprattutto Afrodite, che lo bacia e si


99

lamenta: Ecco che sfuggi lontano, o beli'Adonis, te ne vai ali' Ache


ronte, presso un sovrano orribile e duro; e io infelice vivo. Sono dea:
non ti posso seguire. In epoca ellenistica s'indicava anche la sua
tomba, tra i boschi del monte Libano e presso il fiume che portava il
suo stesso nome8 Ancora in et cristiana Agostino (IV-V sec. d. C.)9
scriveva che i riti sacri a Venere celebravano con lamentazioni il suo
amato Adonis, ucciso dal cinghiale. All'inizio del V secolo un altro
Padre della Chiesa, Girolamo, annotava scandalizzato che perfino Be
tlemme accoglieva il pianto per l'amato di Venere, nella grotta in cui
il Cristo neonato aveva vagito10; pi o meno nello stesso periodo, in
fine, Ammiano Marcellino11 interpretava come un triste presagio i lu
gubri pianti che si levavano da ogni parte della citt di Antiochia, nella
Siria del IV sec. d. C., per la festa annuale ivi celebrata secondo
l'antico rito, in onore del compagno della dea, ucciso dalla zanna del
cinghiale.
Lo stesso Ovidio, del resto, che di Adonis ben conosceva il mito e
le celebrazioni, non registra altro modo di sopravvivenza, per il gio
vane esanime a terra nel proprio sangue, che la "memoria" annuale nel
rito. Per il poeta, anzi, Afrodite s'era pur posta il problema, ma lo ave
va risolto non gi richiamando Adonis alla vita, bens, come s' visto,
con la celebrazione periodica della sua festa e con la metamorfosi del
sangue in un anemone, fiore rosso e bello, ma anche di vita breve, co
me l'eroe: fissato male, fragile e troppo leggero, esso rapidamente
cade, strappato dal vento cui deve anche il nome 12
Certo, questo panorama deriva da una messe d'informazioni di
verse tra loro per natura e per epoca; ma queste sono tutte relative alle
diverse varianti che circolavano nel mondo antico sulla morte di Ado
nis e che, nel loro insieme, costituivano lo sfondo per la celebrazione
delle sue feste. Queste, per concludere, commemoravano gli amori di
Adonis, periodicamente tornato a stare con Afrodite, e unitamente ri
cordavano la fine di quella dolce passione, replicando l'afflizione della
dea per la perdita del giovane amato: v'erano cos momenti di gioia, in
riti sfrenati; e poi, a chiusura, momenti di grande tristezza, con grida e
lamenti, per ricordare l'eroe ferito a morte dal cinghiale. Celebrare le
Adonie vuoi dire piangere Adonis, attestano con precisione vari les
sicografi greci'\ spiegando in tal modo il contenuto della festa e sotto
lineando l'importanza che aveva in essa il lamento rituale per l'eroe

defunto.

100

2. Oltre la vita
Morte celebre, insomma, quella di Adonis, per i Greci che raccon

tavano la sua fine e celebravano le sue feste; ma anche morte inglo


riosa, che di certo non si proponeva a modello n aveva valore salvi
fico o significati cosmologici per i devoti che la ricordavano. Adonis

non si sacrifica per nessuno: solo un cacciatore cacciato; e l' alter


nante ritorno sulla terra, sempre secondo il mito, a nulla serve se non a
restituire un bellissimo (e apparentemente passivo) compagno alla dea
dell'amore. Di Adonis nell'oltretomba, per altro verso, non sono con
servate notizie particolari che ne glorifichino la figura o ne esaltino il
ruolo accanto a Persefone. Solo un'espressione proverbiale ricordava
come "sciocca" la risposta che lui aveva dato a chi gli aveva chiesto
cosa avesse lasciato di pi bello sulla terra: Il sole, la luna, i fichi e le
mele14
Sembra chiaro in breve che, per la tradizione classica, di Adonis,
finita la sua breve esistenza terrena nel lontano tempo del mito, altro
non rimaneva che una labile memoria; il suo rituale ritorno, al mo
mento delle Adonie, era cos funzionale soltanto alla celebrazione del
rimpianto della dea per la scomparsa dell'amato giovane.
Altri luoghi, in altre epoche, sono ancora teatro delle solennit per
Adonis nel mondo antico, ripetendo l'immagine di un eroe defunto ma
anche proponendo un diverso modo di festeggiarlo.
Il poeta Teocrito testimone ad esempio delle Adonie celebrate ad
Alessandria, nell'Egitto del III secolo a. C.'5 Qui la festa si svolgeva
nella reggia di Arsinoe, sposa di Tolomeo Filadelfo, e ci presentata

come uno spettacolo, con coro e attori, dinanzi alle immagini dei due
protagonisti del mito, Adonis e Afrodite, uniti sotto un chiosco di
piante. Si portavano frutta, i "giardinetti" in cesti d'argento, profumi
di Siria in ampolle dorate, dolci di farina impastata con olio e miele in
figure d'animali; una solista cantava Adonis, restituito ad Afrodite di
sei mesi in sei mesi. Nel giorno conclusivo, poi, un corteo funebre ac
compagnava la statua di Adonis al mare e sulla riva le partecipanti
salutavano lo scomparso. L'inno di commiato era anche un appunta
mento per la festivit dell'anno successivo: Sii a noi propizio, Ado
nis, e propizio il nuovo anno ritorna. Caro giungesti e caro sarai, Ado
nis, quando tornerai!. Anche qui, come nella Grecia d'epoca arcaica
o classica, la festa sembra svolgersi al di fuori del culto pubblico e ha
come partecipanti privilegiate le donne; si osservino per contro,

101

l'ambientazione ufficiale nel palazzo reale, i diversi contenuti della


celebrazione e la differente divisione del tempo che Adonis trascorre
con Afrodite e con Persefone (sei mesi con ciascuna). Nel generale
contesto dell'Idillio teocriteo sembra anche evidente una certa confu
sione tra il ritorno periodico del giovane durante la sua vita (nel mito)
e la sua sorte dopo la morte (con un ritorno ciclico al momento della
festa). Solo tu, dolce Adonis, unico tra i semidi, alterni la vita tra
l'Acheronte e la terra. Tanto non ottenne Agamennone, n Aiace fu
rente, n Ettore, n Pirro o gli altri eroi della guerra di Troia.
Sempre nel III secolo a. C., nella stessa Atene, alcuni Ciprioti del
tiaso dell'Afrodite siriana celebravano le feste di Adonis in modo au
tonomo ed originale16, distinguendo, verosimilmente, il personaggio
celebrato dalle donne ateniesi sui tetti da quello al quale, con lo stesso
nome, essi rivolgevano il proprio culto. Per Cipro, del resto, Pausania
attesta nel II sec. d. C. l'esistenza di un antico santuario di Adonis e
di Afrodite nella citt di Amatunte, dove evidentemente la venera

zione di quell' Adonis s'inseriva nel culto pubblico. Stefano di Bisan


zio dichiara poi che in questa stessa antichissima citt si onorava
Adonis in quanto Osiride, il quale, bench egiziano, era stato fatto pro
prio dai Ciprioti e dai Fenici17 Varie e brevi informazioni, raccolte

soprattutto dai lessicografi, testimoniano inoltre che Adonis era vene


rato sull'isola e altrove con varie denominazioni/identificazioni:

Gauas, ad esempio, spiegato con un riferimento al suo stato di morte;


oppure Eoies o Aoios, che era anche il nome di un fiume cipriota; poi
Kirris o Kyris e Pygmaion; e ancora Abobas (a Perge); Gingras (dai
flauti usati dai Fenici per la sua lamentazione); infine Itaios e Phe
rekles18. Il dossier del figlio (dell'albero) di Mirra, evidentemente, era
ricco di varianti non sempre tra loro conciliabili.
Di una certa variet nello svolgimento dei riti per Adonis in altri
luoghi, e conseguentemente dell'esistenza di diverse interpretazioni
del racconto relativo alla sua morte, nonch di differenti valutazioni
circa la sua natura sovrumana, sono del resto testimoni, con pi detta
gli, altri scrittori, in altre epoche.
Biblo, una delle principali citt della Fenicia, era ad esempio teatro
nel II secolo d. C. di grandi feste annuali, sulle quali siamo bene in
formati dal resoconto che ne ha lasciato l'autore del trattato Sulla dea

Siria, attribuito a Luciano di Samosata. A Biblo, diversamente da


quanto avveniva molti secoli prima ad Atene, la festa delle Adonie
coinvolgeva tutta la regione e si celebrava nel santuario di Afrodite; i

102

momenti di gioia seguivano quelli di tristezza, con evidente riferi


mento a una diversa esposizione del mito; le donne erano qui ancora
protagoniste di primo piano, ma con il sacrificio della propria bel
lezza; il segnale per la festa, infine, giungeva a Biblo da fatti prodi
giosi, che portentosamente ogni anno si ripetevano.
Gli abitanti di Biblo, stando a questo resoconto che conviene riper

correre nella sua interezza, raccontavano che Adonis fosse morto non
lontano dalla citt, sul monte Libano; in ricordo di tale accadimento
essi ogni anno facevano la lamentazione, celebravano orgie e facevano
gran lutto in tutta la contrada. Quando hanno cessato di battersi il
petto e di piangere - continua il testo - essi celebrano dapprima i fune
rali di Adonis, come se fosse morto; poi, il giorno seguente, essi rac
contano che egli vive e lo portano all'aria aperta [verosimilmente con

una processione; ma la frase si pu tradurre anche: essi lo fanno salire


al cielo]. Essi, inoltre, si radono il capo come fanno gli Egiziani per la
morte di Apis. Le donne che non vogliono tagliarsi i capelli, si libe
rano dall'obbligo con un'ammenda che cos raccolgono: per un intero
giorno esse devono essere disponibili a trarre profitto dalla propria
bellezza; il luogo dove si trovano accessibile soltanto agli stranieri e
il denaro che si procurano in tal modo diventa una offerta per Afro
dite. Taluni abitanti di Biblo credono che Osiride sia sepolto presso di
loro e che tutti questi lutti e queste feste siano celebrate non per Ado
nis ma per Osiride. E posso anche spiegare perch propongano
quest'interpretazione degna di fede. Ogni anno una pignatta arriva
dall'Egitto a Biblo galleggiando sulle onde e traversando in sette gior
ni il mare. In questo divino viaggio sono i venti a portarla ed ve
ramente un prodigio miracoloso: essa non cambia mai percorso e sem
pre prende terra a Biblo; avviene ogni anno ed accaduto anche quan
do ero l e io ho visto l'evento. Nel territorio di Biblo si pu ammirare
anche un altro prodigio. C' un fiume che scendendo dal monte Liba
no19 scorre fino al mare; a tale fiume hanno dato il nome di Adonis.
Ora, ogni anno il fiume s'insanguina e perdendo la sua colorazione
originale crea tra le onde una larga chiazza rossastra e segnala agli
abitanti di Biblo il momento per il lutto rituale. E raccontano che in
quei giorni Adonis ferito sul Libano e che il suo sangue, giungendo
all'acqua, d al fiume il colore e il nome che porta. Cos almeno riferi
sce la maggior parte; ma uno di loro, sincero all'apparenza, mi ha dato
un'altra spiegazione del fenomeno, dicendo cos: "Il fiume Adonis, o
straniero, attraversa il monte Libano dove la terra molto rossa. I

103

venti violenti che si levano in questi giorni, trasportano nel fiume que
sta terra, dando ad esso il colore del sangue". Tale fu la spiegazione
che quello mi dette; e sebbene parlasse con spirito di verit, a me que
sta coincidenza del vento parve non meno prodigiosa.
Due, come si vede, sono i momenti fondamentali della festa di
Adonis a Biblo: una cerimonia funebre, con lamentazioni e un sacrifi
cio come quelli che si fanno a un morto; poi (verosimilmente) una
processione, che scorta all'aria aperta un Adonis considerato vivente.
Le donne non preparano i giardinetti di Adonis, ma si dedicano
(almeno una parte di loro) a una prostituzione considerata alternativa
al rito di lutto. C' poi una certa confusione con Osiride, che fa di que
sto Adonis un grande dio, al centro della venerazione e perfino della
toponomastica, giacch tutto il territorio (monte, boschi, fiume) per
cos dire segnato dal mito di Adonis; perfino il tempo, con i suoi pro
digiosi accadimenti (arrossamento del fiume, arrivo della pignatta), ri
percorre la sua vicenda. Sembra soprattutto chiaro, nella festa di Bi
bio, che il momento gioioso non precede ma segue i riti di luttoa>: co
munque s'interpreti la frase relativa, essa infatti parla a favore di un
Adonis inteso quale personaggio glorioso, evidentemente vincitore
sulla morte, diverso dall'eroe pianto in Grecia.
Tale, del resto, Adonis si mostra negli scritti di vari autori cristiani,
che parlano di un suo periodico "ritorno" dalla morte alla vita, o an
che, pi espressamente, di "resurrezione". Girolamo ad esempio,
commentando il passo biblico in cui il profeta Ezechiele ricorda le
donne che piangevano Tammuz sulla soglia del tempio di Gerusa
lemme, scrive: Coloro che parlano l'ebraico e il siriaco chiamano
Tammuz quello che noi chiamiamo Adonis, e raccontano la storia
dell'amante di Venere, bellissimo giovane, ucciso nel mese di giugno,
che poi torn a vivere. Essi chiamano con quel nome (Tammuz) lo
stesso mese di giugno e celebrano la sua festa annuale, nella quale le
donne lo piangono come se fosse morto e poi lo cantano e celebrano
come se fosse risorto 21 Cirillo, vescovo di Alessandria nel IV sec. d.
C., attesta invece che ancora al suo tempo, nei templi di Alessandria,
si recitava la scena del pianto di Afrodite per la morte del giovane e
quella della gioia divina per l'avvenuto "ritrovamento" di Adonis
nell'Ade. La concatenazione degli avvenimenti nel suo resoconto del
mito diverge, rispetto a quelli sopra riferiti, in pi particolari che in
vece richiamano i racconti orientali su Tammuz. Per Cirillo, infatti, il
neonato Adonis fu abbandonato sui monti dalla madre perch frutto di
104

un incesto; raccolto e allevato dalle ninfe, crebbe e si esercit diligen

temente e con successo nella caccia. Era per bellissimo: da qui il de

siderio di Afrodite ma anche la gelosia di Ares, il quale, per toglier di


mezzo il concorrente, si tramut in cinghiale e in quella forma uccise

Adonis. Afrodite dapprima fece il lutto per lui, poi os scendere negli
Inferi per riavere Adonis, al quale, nel frattempo, s'era per interessata
anche Persefone, che rifiut di restituirlo: insieme, infine, le due dee
s'accordarono per dividersi Adonis a tempi alterni. La festa pertanto,
ad avviso del vescovo alessandrino, dapprima coinvolgeva i devoti nel
lutto divino per la morte di Adonis, e quindi li faceva partecipi
dell'esultanza della dea tornata dall'oltretomba con la notizia dell' av
venuto ritrovamento dell'amato72
Eccoci insomma di fronte a un Adonis orientale "risorto" o "ritro
vato", che ben poco mostra d'avere in comune con quello della Grecia
d'epoche arcaica e classica e perfino con l'Adonis di Teocrito. Un
Adonis che confonde la propria personalit con quella di altri per
sonaggi del tempo del mito o del culto pubblico: quella di Osiris e di

Tammuz, in primo luogo, ma anche, verosimilmente, con quella di va


ri personaggi locali, soprattutto ciprioti, che l'identificano con vari

nomi. Si tratta di un mutamento nella storia di un medesimo culto o


piuttosto di un diverso modo di venerare personaggi diversi, sia pure
simili e con lo stesso nome?

3. L'orientale Adonis
Nella geografia dei miti greci, la vicenda di Adonis ha varie collo
cazioni: Cipro, dapprima, che lo vede figlio di un mitico re dell'isola;
poi l'Assiria, intesa come generica indicazione del mondo vicino

orientale, e ancora la Persia, l'Arabia, la Siria e quindi, pi precisa


mente ma anche pi tardivamente, la regione di Biblo, in Fenicia, che
per Strabone e altri scrittori d'epoca bizantina era addirittura "consa
crata" ad Adonis21 Tale collocazione orientale del mito risponde evi
dentemente al ruolo dell'Oriente nei miti greci, e non di per s ele
mento sufficiente a garantire l'origine orientale del personaggio e dei
suoi miti. Immaginando la vicenda di Adonis, in altri termini, i Greci
l'hanno volutamente collocata in quel mitico mondo orientale nel
quale situavano molti degli elementi caratteristici del racconto:

l'incesto, la mirra, la discendenza regale, l'atteggiamento subordinato


105

rispetto alla dea, e cos via. In questa linea interpretativa si spiega an


che l'origine del nome dell'eroe greco, ricalcato sull'epiteto Adon,

Signore, che tipico di molte divinit dei popoli semitici e pi in

particolare di varie figure sovrumane della religione fenicia. Lo con


ferma anche una glossa di Esichio, che osserva: Adonis per i Fenici

vuoi dire Signore:. Non mancano, a dire il vero, tentativi di legare il


nome greco a una precisa divinit orientale; nonostante gli sforzi di
molti studiosi, risulta per difficile stabilire un solo "antenato" orien
tale, o pi propriamente fenicio, per l'eroe greco; o quanto meno la
documentazione epigrafica e letteraria di cui disponiamo non consente

tale identificazione, n per Biblo n per altri centri fenici o vicino

orientali. Del resto, come s' visto, nel mondo antico si conoscevano
varie "interpretazioni" di Adonis, che ci dicono della ricchezza di per

sonalit sovrumane o non umane mascherate dietro quell'epiteto/nome


proprio; ed anche ormai chiaramente stabilito che nel quadro dei
culti fenici varie divinit cittadine, eredi dei caratteri del Baal cananeo,

erano venerate quali protagoniste, nel tempo del mito, di un'avventura


di morte e di ritorno alla vita25

L' Adonis immaginato dai Greci, in definitiva, pi che rappresen

tare un dio fenicio particolare, interpretava al modo ellenico (cio co


me un eroe defunto) un modello di essere sovrumano della tradizione
siro-palestinese, concepito come un antico principe terreno, protago
nista di una passione che ne aveva altres stabilito l'accoglimento tra
gli antenati regali divinizzati. L'Adonis di Biblo, in questa prospettiva,
cos diverso dall'eroe greco e facilmente confuso con Osiride nel reso
conto dello pseudo-Luciano, altro non doveva essere che l'erede del
culto di un Baal locale, celebrato secondo la tradizione cananea come
un dio vincitore sulla morte e come tale "interpretato" nel nome e

nella vicenda di Adonis. Lo stesso testo, d'altro canto, precisa che so


no gli abitanti di Biblo ad affermare che l'incidente della caccia al
cinghiale ebbe luogo nel loro paese e che, al contempo, alcuni fra di

loro interpretavano in modo diverso tutta la celebrazione, riferendola

al dio egiziano sepolto presso di loro. Nelle vesti e nel rango di una
divinit, col proprio tempio, infine, Adonis si trova venerato, nel Il

sec. d. C., a Dura Europos, sull'Eufrate, dove il suo culto era proba

bilmente collegato a quello della dea Atargatis.

106

4. Letture antiche di Adonis


Nel vocabolario greco, Adonis aveva vari significati, che trascura
vano l'origine semitica del nome per sottolineare altri valori. Era an
zitutto sinonimo di amante e di piacere: Mio profumo, mio piacevole
Adonis,

dice

ad

esempio

una

cortigiana al

suo

compagno

nell'Antologia Patatina, Aristeneto lo vede come il desiderio delle


etre; Fulgenzio lo collega al termine dolcezza; varie altre spiega
zioni etimologiche lo accostano poi a termini come piacere o a verbi
come rallegrarsi, godere>/', oppure al cantare, specie in riferi

mento al triste rito della lamentazione"'. L'alternante presenza di Ado


nis sulla terra serviva inoltre a spiegare perch avessero lo stesso no
me un uccello29, che spariva e tornava come faceva l'eroe, oppure un
pesce, l'esoceto, capace di uscire e di vivere fuori dall'acqua:n. La
metamorfosi in anemone del sangue di Adonis morto, parimenti, giu
stificava l'uso del suo stesso nome per indicare quel fragile fiore. In
fine, i racconti che situavano la morte dell'eroe tra le piante di lattuga'1
erano chiamati in causa

ger

dare significato a un'erba, con lo stesso

nome, considerata nociva .

Giochi ed equivoci dei filologi antichi, si dir, e almeno in parte a

ragione, dal momento che la derivazione del nome dall'appellativo


semitico quella pi convincente, sul piano storico. E tuttavia tali
spiegazioni etimologiche documentano la ricchezza d'interpretazioni
che circolavano su Adonis e sulla sua sofferta vicenda. Gli analisti dei
miti e dei riti, del resto, non furono da meno, decifrando la morte e
l'alternante presenza dell'eroe, gli effimeri giardinetti preparati dalle
sue devote, il pianto e la gioia delle sue feste come simboli d'altre
realt, quando ancora quei racconti e quelle celebrazioni appartene
vano alla coscienza comune.
Origene, ad esempio, riassume cos l'interpretazione che se ne da
va nel II secolo d. C.: Il dio che i Greci chiamano Adonis, Ebrei e Si
ri lo chiamano Tammuz. Sembra che ogni anno si svolgano certe ce
rimonie sacre, in cui dapprima lo si piange come se avesse cessato di
vivere e poi ci si rallegra per lui come se fosse resuscitato. Ma coloro

che sono esperti nell'interpretazione dei miti greci e di quella che


chiamano teologia mitica, sostengono che Adonis sia il simbolo dei
frutti della terra che vengono pianti quando si seminano, ma che
spuntano e procurano gioia ai contadini quando nascono". Su questa
linea interpretativa si colloca parimenti il filosofo Porfirio, nel III sec.
107

d. C. 34: Attis e Adonis hanno un rapporto analogo con la raccolta dei

campi [a quelli che hanno con le piante sia Kore sia Dioniso]; ma Attis

simboleggia i fiori che appaiono a primavera e cadono prima di dare


frutto (da qui deriva l'evirazione che gli si attribuisce), mentre Adonis
esprime la raccolta dei frutti giunti a maturazione. Anche Girolamo
parla in tal senso, scrivendo che l'uccisione e la resurrezione di Ado
nis ricordate col pianto e col successivo gaudio, raffiguravano il ciclo
vegetativo, con le sementi che muoiono in terra e poi rinascono nelle
messi. Per lui, oltretutto, i "giardinetti" di Adonis erano il simbolo dei
piaceri e delle glorie di questo mondo, che, come la lussuria, celer
mente trascorrono35 A conferma di queste letture dei miti e dei riti di

Adonis c' anche un inno orfico36, nel quale i fedeli l'invocano in que
sti termini: Adonis talora spento talora luminoso, che favorisci la ve
getazione. ( ... )Tu che sei caduto preda dei desideri di Persefone dalle
belle trecce, tu che abiti in parte sotto ilTartaro triste e di gi ritorni in
frutti maturi verso l'Olimpo, vieni o felice e porta ai tuoi misti i frutti

della terra. Macrobio37 poi testimone nel V sec. d. C. di un processo

di "solarizzazione" del personaggio, che ebbe un certo successo nel


quadro dei sincretismi dell'antichit tardiva38; per lui

Adonis non

altro che il sole, come anche il greco Apollo, il frigio Attis e l'egiziano
Osiride: Gli Assiri o i Fenici che rappresentano Venere in lutto quan
do il sole entra nell'emisfero inferiore e i giorni sono meno lunghi,

credono che essa sia in lacrime come se avesse perduto il sole, rapito

da una morte temporanea e trattenuto da Proserpina, dea che raffigura


l'emisfero inferiore. E diversamente si crede che Adonis ridato a

Venere, quando il sole comincia a percorrere l'emisfero celeste e i


giorni si allungano. Se poi s' attribuita a un cinghiale la morte di
Adonis, perch questo animale, dalle setole rizzate e dure, simboleg

gia l'inverno e si nutre delle ghiande, frutti propri di quella stagione.

Venere che piange raffigura anche la terra durante l'inverno, coperta


di

nubi,

priva

del

sole;

quando

il sole oltrepassa i confini

dell'equinozio di primavera e prolunga la durata dei giorni, allora Ve


nere gaia e bella, le spighe crescono nei campi, l'erba nei prati, le
foglie sugli alberi.
Nessun dubbio, insomma, che nei primi secoli d. C. Adonis fosse

avvertito come un demone della vegetazione: ma, per l'appunto, cos

era nell'antichit tardiva e non lecito estendere tale interpretazione

alle epoche precedenti. Anche l'Adonis venerato dagli Ateniesi del V

sec. a. C., per vero, s'iscriveva in un contesto di tipo agrario, ricono108

scibile soprattutto nei celebri giardinetti. E tuttavia questo Adonis non

poteva essere una figura della vegetazione; era anzi esattamente il


contrario. Da Platone nel V sec. a. C. a Simplicio nel VI d. C.:, gli

antichi Greci considerarono queste colture come esempio di una anti


agricoltura, come l'opposto della buona coltivazione nella terra disso
data, dove lentamente maturano le sementi. Forzati a crescere in pochi
giorni e subito lasciati seccare, essi evocavano piuttosto la morte pre
matura del giovane adolescente, tanto da divenire un'immagine pro
verbiale dell'effimero e dello sterile!. Anche sul piano del mito, la na
scita di Adonis da Mirra e la sua morte tra i vegetali corrispondono pi
ai valori delle specifiche piante coinvolte che non al simbolismo di
uno spirito della vegetazione: nato tra la fragranza dell'albero della
mirra (aroma dei cadaveri), Adonis muore tra le piante di lattuga\
emblema proverbiale d'impotenza42, mentre il sangue si muta nel fiore
che a primavera precede la maturazione dei cereali. Non si pu del re
sto trascurare che gli episodi salienti dell'esistenza di Adonis sono le
gati piuttosto al mondo della caccia (dalla corteccia aperta da un cin
ghiale per farlo nascere alla zanna della belva che lo ferisce a morte),
bench l'importanza dell'arte venatoria nella sua vita sia strettamente
collegata alla sua incapacit di uscirne vincitore. Per la sua qualit di
cacciatore fallito, isolato in una relazione amorosa fuori dalla norma,
Adonis rappresentava cos per i Greci il mondo degli esclusi dalla so
ciet degli uomini adulti, sedentari e coltivatori, che vivevano anche di
caccia, secondo le buone regole, ma soprattutto di agricoltura e dei
valori da questa rappresentati.
Cacciatore fallito, "Signore" orientale, simbolo della primavera o
dei frutti maturi, amante o piuttosto amato, eroe o invece dio, lamen
tato perch morto oppure glorificato perch tornato alla vita; un fiore,
un pesce, un uccello, un principe mai salito sul trono: Adonis tutto
questo, ma in tempi e modi diversi. Di fatto, la sua figura e la storia
del suo culto sembrano resistere a ogni interpretazione unificante; in
ogni luogo, in ogni epoca, occorre precisare contesti storici, valori re
ligiosi e perfino motivazioni che giustifichino la menzione della sua
"scomparsa": dall'ironia dei commediografi di Atene per i pianti delle
donne sui tetti, fino al giudizio sferzante dei cristiani sul "ritrova
mento" di un amante perduto, esempio classico, ai loro occhi, della
vana morte degli di dei pagani.

109

NOTE
l Sapph., fr. 140 Lobel-Page.
2

Soprattutto Aristofane (Lis., 387-97), che ironizza sulla dissolutezza delle


donne che, ubriache, gridavano e piangevano Adonis sui tetti di Atene; ma cf.
anche Alciphr., Epist., IV 10, 14 e 17, e Plut., Aie, XVIII 4-5, 200 C.
3

Cf. Ov., Met., X 705-37. Sulla trasformazione del sangue in un anemone

concordano con Ovidio vari mitografi; cf. ad es. Schol. in Theocr., V 92 per
Nic. Col., fr. 65 Schneider. Lact. Plac., Narr. Fab., X 12; Hyg., Fab., 58 e altri
parlano invece della metamorfosi in una rosa o, pi semplicemente, della colo
ritura di un fiore che prima era bianco.
4

Per Cosm. Hier., Ad carm. S. Greg. Naz 65, Adonis vittima della propria
.

bellezza; muore a causa dell'amore di Afrodite per lo Schol. in Dion. Per.,


509.
5

Si segue qui il racconto lasciato da Paniassi (fr. 25 Kinkel), conservato da

Apoll., Bibl., III 14, 3-4; vedere inoltre Ant. Lib., 34; Ov., Met., X 503ss.;
Hyg., Fab., 58. I genitori hanno i nomi di Theias e Smyma o anche quelli di

Kinyras e Myrrha; la nascita collocata generalmente a Cipro, ma anche al


trove in Oriente. Varianti riguardano anche il momento della nascita: per Ant.
Lib., 34, 4, ad es., la madre lo genera prematuramente, quando viene scoperta
dal padre/amante, mentre per Serv., in V erg. Aen., V 72, il padre che spacca
la corteccia dell'albero nel quale si trasformata la figlia incinta e secondo
un'altra versione (Serv., in Verg. Ecl., X 18) un cinghiale a svolgere tale
compito.
6

Assai ridotta, per vero: cf. Hyg., Fab., 251, che cita gli esempi di personaggi

discesi da vivi negli Inferi cui era stata concessa la facolt di tornare sulla ter
ra. Per ps.-Clem., Recogn., X 25, il siriano Adonis venerato come un dio, pur
essendo stato uomo e pur essendo defunto, al pari dell'egiziano Osiride, degli
eroi troiani Ettore, Achille, Patroclo, e di Alessandro il Macedone.
7

Cf. Bion., Epit. Adon., I 50ss.

8 Schol. in Dion. Per., 509; Lyc., Alex., 828-33: qui Adonis ha il nome cipriota
di Gauas.
9

Cf. Aug., Civ. Dei, VI 7.

1
1

12

Cf. Hier., Ep., LVIII 3; cf. anche Paul. Noi., Ep., XXXI 3.
Cf. Amm. Mare., XIX l , Il; XXII 9, 14-15.
Cf. Ov., Met., X 737-39.
110

13 Cf. ad es. Zon., Lex., s. v. Adonian agornen; Hesych., a 1227 e vedi anche
Men., Sam., 31-37; Phot., s.v. Adonia

14 Il proverbio in questione era pi stupido dell'Adonis di Praxilla, poetessa

di Sicione che aveva narrato l'episodio di Adonis interrogato nell'oltretomba,

ed riferito da vari scrittori (cf. ad es. ps.-Plut., Cent., II 18; Apost., VIII 53;

Diog., V 12; Zen., IV 21) con il commento: E' sciocco infatti mettere insie

me sole e fichi.
15

16

Cf. Theocr., XV (Le Siracusane>> ).


I dati provengono da un'iscrizione del Pireo, IG 112 1261 = SIG2 1098.

17 Cf. Paus., IX 41, 2-3; St. Byz., s.v. Amathous.


18

Cf. ad es. Kiris (An. Ox., II, p. 228; EM, 515,14-17: nome di un pesce e di

K 2769 e 4681); Gingris l Gingras (Ath., IV


174 F; Poli., IV 76 dai flauti usati dai Fenici per la lamentazione di Adonis;

Adonis presso i Ciprioti; Hesych.,

Eust., ad Horn., 1157), Abobas (EM, 4,53; Hesych.,

o:

234), Aoios (fiume di

Cipro e nome di Adonis e dei re dell'isola per !'EM, 117,33-44), Eoie

l 1077), Pygmaion
4281), Pherekles (Hesych., 4> 303); Gauas (Schol. in Lyc. Alex.,
831: figlio del re cipriota Kinyras, padre di Priapo da Afrodite).

(Hesych., TJ 652: nome usato da Paniassi); Itaios (Hesych.,


(Hesych.,

rr

19 Dove Adonis e Afrodite si erano uniti per la prima e l'ultima volta, secondo
EM, 175, 5-9.
0
2 La notizia del messaggio che prodigiosamente arrivava per mare dall'Egitto

fino a Biblo, con l'invito a porre termine al lutto si trova (confermata o utiliz

zata) anche in Cyr. Al., in fs., XVIII 1-2.


21
Cf. Hier., in Ez . VIII 14.
22
Cf. Cyr. Al., in fs., XVIII 1-2. Afrodite scende negli Inferi per riavere Ado

nis ucciso dal cinghiale anche in Joh. Damasc., Bari. et Joas., XXVII 248. Ci

rillo seguito anche da Proc. Gaz., in fs., XVIII 1-7.

23 Cf. Str., XVI 2,18, seguito da Eust., Cornrn. in Dion. Per., 912.
2
4 Cf. Hesych., o: 1229. Cic., Nat. deor., III 23, 59 conosce una Venere/Astarte
concepita (d)a Tiro e sposa di Adonis.

25

26

Cf., in questo stesso volume, il contributo di P. Xella.


Si deve valorizzare in questo senso la glossa dell' Etyrnologicurn Magnurn

(117, 33-44) che spiega il termine Aoios a questo modo: nome di un fiume a
Cipro. Ao, infatti, il nome di Adonis e da lui lo ebbero i re di Cipro (ecc)>>.

27 Cf. Anth. Pal., V 113; Aristaen., I 8; Fulg., Myth., III 8; Schol. in Horn. Il.,

111

V 203; Mythogr., l 200; II 34 e III 11, 17.


2

29

Cf. ad es. E M , 19, 9-15 e 17; Hesych.,

a.

1227.

Cf. ad es. Clearch., fr. 101; Catuli., XXIX 6-8; E M, 19, 16; Hesych.,

a.

1226.
a.

Cf. ad es. Hesych.,

31

Qui, secondo alcune varianti (ad es. Com. Nat., Mythol., V 16; Hesych.,

1229,

3991; Opp., Hai., I 155-67; Plin., N.H, IX 70.


a.

1231 ) , Afrodite aveva adagiato Adonis morente.


32

Cf. ad es. E M , 19, 16; Hesych.,

33

Cf. Orig., Sei. in Ez., VIII 14. Cf. anche Amm. Mare., XIX l, 11: simula

a.

1226. Cf. anche Nic., fr. 120 Schneider.

crum essefrugum adultarum religiones mysticae docent.


34

Citato da Eusebio di Cesarea (P.E., III 12).

35

Cf. Hier., in Ez., VIII 14; in fs., LXV 3.

36

Cf. Orph. Hymni , 56, da Pergamo, II sec. d.C.

37

Macr., Sat., I 21.

Un'interpretazione stagionale del mito di Adonis raccolta anche da Gio

vanni Lido nel VI sec. d. C. (De mens., IV 64-65: Afrodite la primavera,


Ares il mese di marzo, Adonis con cui la dea si congiunge maggio) e nei
mitografi vaticani (#ythogr., III Il , 17). Associazioni sincretistiche con altri
personaggi sono poi testimoniate da Aus., Ep. 48; Hippol., Haer., V 9, 7-8 e
altri scrittori dell'antichit tardiva.
39

Cf. Plat., Phaedr., 276 B eschol.; Simpl., in Arist. Phys., VIII 4.

Cf. ad es. Zon., Lex. s.v. Adonideioi kepoi; Diog., l 14; Plut., De sera num.

vind., 17,560 B-0.


41

Cf. Com. Nat., Mythol., V 16; Hesych., a. 1231.

42

Cf. Cali., fr. 478 Pfeiffer; poich Afrodite vi aveva adagiato Adonis, le lat

tughe erano cibo di morti, un <<mangiar cadaveri)) per Eub., fr. 14 Kock.

112

BIBLIOGRAFIA SELETTIVA
I primi studi moderni sul personaggio risalgono al lavoro di J.G.
Frazer, Adonis, Attis, Osiris. The Golden Bough, Londra 1914 e al suo
successivo Adonis. tude de religions orienta/es compares, Paris

1921, dove l'eroe viene chiamato a svolgere una parte importante


nella costruzione della categoria del "dio che muore e risorge", in
sieme ad Attis e a Osiris. Qualche anno dopo comparve lo studio
sull'Adonis orientale di W.W.G. Baudissin, Adonis und Esmun. Eine
Untersuchung zur Geschichte des Glaubens an Auferstehungsgotter
und an Heilgotter, Leipzig 1911. Ha raccolto tutto il materiale classico

W. Atallah, Adonis dans la littrature et l'art grecs, Paris 1966. La


documentazione iconografica stata poi ripresa e ben presentata da B.
Soyez nella voce "Adonis" del Lexicon lconographicum Mythologiae

(1, pp. 222-29); la stessa studiosa l'autrice di Byblos et la


1977. Sui giardini ha scritto anche G.J. Bau
dy, Adonisgiirten. Studien zur antiken Samensymbolik, Frankfurt 1986.
Classicae

fete des Adonies, Leiden

A M. Detienne (Les jardins d'Adonis. La mythologie des aromates en


Grce,

2a ed., Paris 1989) si deve una lettura dei miti e dei riti di Ado

nis, in chiave di contrapposizione ai miti e al culto di Demetra, dea


dell'agricoltura. Da G. Piccaluga ("Adonis, i cacciatori falliti e
l'avvento dell'agricoltura", in B. Gentili - G. Paione [edd.], Il mito
greco, Roma

1977, pp. 33-48) venuta invece un'accurata analisi de

gli aspetti fallimentari della caccia di Adonis. Chi scrive ha esaminato


gli aspetti orientali del personaggio (S. Ribichini, Adonis. Aspetti
"orientali" di un mito greco, Roma

1981) e poi curato gli "Atti" di un

convegno internazionale (Adonis. Relazioni del Colloquio in Roma,

22-23 maggio 1981, Roma 1984). Su Adonis come esempio peculiare


di una tipologia storico-religiosa centrata sulla teoria degli "di in vi
cenda", si vedano gli studi di U. Bianchi, in particolare "I "precedenti"
di Adonis", Studi tardo-antichi, 2, 1986 = Hestfasis. Studi di tarda an
tichit offerti a S. Calderone, pp.

293-313; id., "Repetita mortis imago

e rituale di vita inestinguibile. Il caso di Adonis", in AA.VV., Filolo


gia e forme letterarie. Studi offerti a Francesco della Corte, V, Urbino

1989, pp. 121-36. I legami con Biblo, nel mito e nel culto, sono esa
minati dai contributi di P. Xella e S. Ribichini nel volume di AA.VV.,
Biblo. Una citt e la sua cultura (=Collezione di Studi Fenici,

113

34),

Roma 1994. La bibliografia pi recente su Adonis comprende: J.J.


Winkler, The Constraints of Desire. The Anthropology of Sex and
Gender in Ancient Greece , New York - London 1990; J.Z. Smith,
Drudgery Divine. On the Comparison of Early Christianities and the
Religions of Late Antiquity, Chicago 1990; M. Barra Bagnasco, "Il
culto di Adone a Locri Epizefiri", Ostraca, 3, 1994, pp. 231-43; E. Li
pinski, Dieux et desses de l'univers phnicien et punique, Leuven
1995; J.D. Reed, "The Sexuality of Adonis", Classical Antiquity, 14,
1995, pp. 317-4 7; E. Wili, "Adonis chez les Grecs avant Alexandre",
Transeuphratne, 12, 1996, pp. 65-72; M. Torelli, "Le Adonie di Gra
visca. Archeologia di una festa", in F. Gauthier - D. Briquel (edd.),
Les Etrusques, !es plus religieux des hommes. Actes du Colloque in
temational (Paris, 17-19 novembre 1992), Paris 1997, pp. 233-91; H.
P. Miiller, "Sterbenden und auferstehende Vegetationsgotter? Eine
Skizze", Theologische Zeitschrift, 53, 1997

Veritas Hebraica. Alt

testamentliche Studien, Fs. fiir E. Jenni zum 70. Geburtstag, pp. 7482; id., "Unterweltsfahrt und Tod des Fruchtsbarkeitsgottes", in R.
Albertz (ed.), Religion und Gesellschaft. Studien zu ihrer Wechselbe
ziehung in den Kulturen des Antiken Vorderen Orients, l , Keve
laer/NeukirchenVluyn 1997, pp. 1-13; M.S. Smith, "The Death of
"Dying and Rising Gods" in the Biblica! World. An Update, with Spe
cial Reference to Baal in the Baal Cycle", SJOT, 12, 1998, pp. 257213; T.N.D. Mettinger, "The 'Dying and Rising God'. A Survey of
Research from Frazer to the Present Day", Svensk Exegetisck Arsbok,
63, 1998, pp. 111-23.

114

ATTIS
Il caro estinto

MARIA GRAZIA LANCELLOTTI

Ma pi saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali
(G. Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto)

Nelle tradizioni mitico-rituali relative ad Attis', la morte un tema


centrale che accompagna e caratterizza il personaggio dalle primissime

attestazioni fino alle pi tarde rielaborazioni. Tale tema si presenta tut

tavia con formulazioni ed implicazioni diverse tanto sul piano mitico


che su quello rituale a seconda delle epoche e dei luoghi di culto. Ap

pare quindi necessario procedere

ad un'analisi storica della documenta

zione mirante a distinguere, per quanto possibile, le diverse fasi e le


varie motivazioni ideologiche che hanno di volta in volta influito sulle
trasformazioni del personaggio, rendendolo "funzionale" alle specifiche
esigenze delle culture in cui nato e/o stato accolto.

l.

Il

mito

L'analisi della documentazione relativa

ad Attis stata profonda

mente influenzata dalla distinzione operata da H. Hepding2 sulla base


delle testimonianze letterarie classiche, fra una versione definita "frigia"

e una versione definita "lidia" del mito per la loro ambientazione, ed


da qui che conviene prendere le mosse. Nella prima "versione" il tratto

caratterizzante sarebbe la morte del personaggio a seguito dell' autoevi


razione, nella seconda la sua uccisione ad opera di un cinghiale.

La versione "frigia" del mito di Attis ha come autori di riferimento,


in ordine cronologico, Ovidio, Pausania e Arnobio.

Nel racconto di Ovidio' Attis un giovanetto frigio di straordinaria

bellezza che, amato castamente dalla Madre degli di, si consacra a lei
115

giurandole eterna fedelt, ma la tradisce poi con la ninfa arborea Sagari


tis, con conseguenze tragiche per i due amanti. La ninfa soccombe in

fatti sotto i colpi inferti dalla dea al suo albero, mentre Attis impazzito
finisce con l'evirars{

Pausania\ da parte sva. riporta la storia definendola un racconto

indigeno (epichorikos logos) che si narrava a Pessinunte. Durante il

sonno Zeus ha un'emissione seminale che cade sulla terra fecondan

dola. Ne nasce un daimon chiamato Agdistis provvisto di organi ses

suali sia maschili che femminili. Gli di spaventati lo evirano. Dal

membro spunta un mandorlo carico di frutti: una figlia del fiume San

gario ne coglie uno e se lo pone sul grembo, il frutto scompare e la


fanciulla incinta. Il bimbo che nasce viene esposto, ma si salva gra

zie alle cure di un capro. Man mano che cresce egli si rivela di una bel

lezza senza pari e Agdistis se ne innamora. Giunto all'et delle nozze,

Attis viene inviato dai parenti a Pessinunte affinch sposi la figlia del

re. Proprio mentre s sta intonando il canto nuziale compare Agdistis


che provoca la pazzia negli astanti: in particolare Attis, in preda alla

mania, si evira6 seguito dal suocero. Agdistis si pente di ci che ha


fatto ad Attis e chiede a Zeus che il corpo del giovane non imputridisca

n deperisca.

Secondo la versione di Arnobio\ infine, in Frigia sarebbe esistita

una roccia enorme chiamata dagli abitanti del luogo Agdus. Pietre
prese da essa, secondo l'oracolo di Themis, erano state gettate da Deu

calione e Pyrrha sulla terra, allora priva di mortali; da questa roccia fu


formata anche la Grande Madre, poi animata divinamente (divinitus).

Mentre questa dormiva quietamente sulla sommit della roccia, venne


concupita incestuosamente da Giove. Avendo lottato a lungo seriza ri

uscire a possederla, il dio frustrato eiacul nella pietra. La pietra con

cep e nacque Agdistis, cos chiamato dal nome della madre (cio la

roccia). Questi era particolarmente violento e feroce, androgino e ani

mato da un'insana libidine. Con la sua forza straordinaria egli deva

stava tutto ci che incontrava non curandosi n degli di n degli uo


mini. Gli di riunitisi si domandarono come si potesse ridurre tale vio

lenza. Alla fine l'incarico venne affidato a Liber il quale, conoscendo la

fonte alla quale era solito dissetarsi Agdistis, ne miscel l'acqua con
del vino. Bevendola, Agdistis cadde in un profondo sopore. Liber gli

leg allora gli organi sessuali alle piante dei piedi cosicch al suo ri

sveglio, muovendosi, egli fin per autoevirarsi. Dalla ferita flu una
quantit immensa di sangue che imbevve la terra, da cui subito nacque
116

un melograno carico di frutti. Nana, figlia del re Sangarius (o del fiume


omonimo)8, prese un frutto e se lo pose nel grembo rimanendone in
cinta. Ritenendola disonorata, il padre la recluse condannandola a mo
rire di inedia. Ma la Madre degli di la sostent con mele e altri ali
menti e Nana partor un figlio. Sangarius ordin alllora che fosse
esposto, ma il bimbo riusc comunque a sopravvivere9, venendo nu
trito con latte caprino e gli fu dato il nome di Attis. Dotato di straordi
naria bellezza, egli divenne il prediletto della Madre degli di e di Agdi
stis. Quest'ultimo si present al giovane, ormai cresciuto, come un
compagno dai modi adulatori, conducendolo per selve e donandogli la
selvaggina da lui cacciata, che Attis faceva passare per sua preda. Ma
una volta, ubriacatosi, egli confess sia l'amore di Agdistis che i suoi
doni. Allora il re di Pessinunte, Midas, desiderando allontanare il gio
vane da una tale relazione infamante, lo destin al matrimonio con sua
figlia e, affinch nulla potesse interrompere i festeggiamenti, fece
chiudere la citt. Ma la Madre degli di, che conosceva il destino
dell'adolescente e sapeva che egli sarebbe stato salvo tra gli uomini
fintanto che non si fosse sposato, con la sua testa sollev le mura della
citt e vi penetr. Vi penetr anche Agdistis bruciante di rabbia e
infuse furore e insania in tutti i convitati. I Frigi in preda al panico

ur

larono all'apparire delle dee, la figlia della concubina di Gallus si recise


il seno e Gallus stesso si castr; Attis prese la

fistula

con la quale

Agdistis incitava alla follia e pieno di furia si evir sotto un pino. Con
il fluire del sangue se ne and anche la vita. La Grande Madre raccolse
le parti tagliate e le seppell avendole prima coperte ed avvolte nella
veste del defunto. Dal sangue versato nacque una viola che circond il
pino. La promessa sposa, la, copr il petto del giovane senza vita con
morbida lana, lo pianse con Agdistis e infine si uccise. Il suo sangue
venne trasformato in violette purpuree. Anche la Madre degli di sparse
lacrime dalle quali spunt un mandorlo, quindi port nel suo antro il
pino sacro sotto il quale Attis si era evirato e si un alle lamentazioni
funebri di Agdistis percuotendosi il petto e camminando intorno al
tronco dell'albero. Agdistis implor poi Giove affinch Attis tornasse
alla vita, ma ci non venne consentito. Il dio accord invece che il
corpo di Attis non finisse in putredine, che i suoi capelli crescessero
sempre e che il dito pi piccolo si muovesse in eterno. Soddisfatta di
questi favori Agdistis consacr il corpo del defunto a Pessinunte e lo
onor con cerimonie annue e servizi sacerdotali.
117

Fin qui i tre racconti che costituirebbero, con altri testi minori, la
"versione frigia". Come evidente, solo alcuni elementi sono comuni
ai racconti di Pausania e Arnobio che, a ben vedere, differiscono a loro
volta in alcuni tratti fondamentali da quello di Ovidio, che non pu
quindi essere considerato una semplice variante della versione "frigia".
Un dato, in particolare, richiama decisamente l'attenzione. Mentre nel
caso di Pausania e di Arnobio le vicende di Attis appaiono caratteriz
zate da una certa passivit del protagonista che accetta (o addirittura su
bisce) le attenzioni di Agdistis, o di Agdistis e della Grande Madre

(come la decisione dei parenti o del re Mida di farlo sposare), nella ver
sione di Ovidio egli autore d una vera e propria trasgressione:
l'unione, non consumata secondo le altre due versioni, qui invece si
realizza ed aggravata dal giuramento di fedelt alla Grande Madre pre
stato da Attis nel tempio della dea. Qui l'episodio dell'evirazione san
cisce il fatto che una fedelt esclusiva nei confronti della dea - giudicata
impossibile a mantenersi poich sempre e ovunque pu comparire una
ninfa tentatrice - possa realizzarsi solo attraverso il sacrificio estremo
della propria virilit.
Per quanto riguarda invece le versioni di Pausania e Arnobio, co
mune ad esse l'idea che il rapporto tra Agdistis e Attis sia rovinoso
per quest'ultimo nel momento in cui sta per sposarsi. Conseguenza ne
l'autoevirazione che causa la morte del personaggio, pur mitigata
parzialmente dall'incorruttibilit del suo corpo. Sembra mancare del
tutto qui l'idea che il rapporto tra Agdests e Attis sia stato prima san
cito da un qualsivoglia "patto" in seguito violato dal giovane10: Attis
acconsente alle nozze senza alcuna prevenzione, piuttosto Agdists a
reagire violentemente scatenando la follia che spinge il giovane al ge
sto fatalen.
L'idea di un vincolo "sacro" tra Attis e la divinit femminile non
un'esclusiva di queste versioni, ma ritorna in una serie di testi che de
scrivono Attis come il sacerdote iniziatore dei culti della Grande Madre,
che spesso paga con la morte l'assoluta dedizione alla dea. Nel Carme
CCXX del VI libro dell Anthologia Palatina (Dioscoride)12 il puro
Atys definito curatore del talamo (thalamepolos) di Cybele. Es
'

sendo riuscito a mettere in fuga un leone battendo il tamburino sacro


mentre si reca da Pessinunte a Sardi, egli promette d edificare alla <hl
una sacra "cella" sulle sponde del fiume Sangario. Nel Carme LXIII d
Catullo13 Attis un giovane eviratosi in preda all'insania infusagl w
118

Cybele, che viene presentato come "capo" dei Galli, cio dei sacerdoti
eunuchi della dea. Il li dio Attis come istitutore del culto di Rhea presso

Lidi, Frigi e Samotraci ricordato dallo pseudo-Luciano14 Anche Er

menesiatte, secondo Pausania15, conosceva una tradizione relativa al

Attis come sacerdote fondatore del culto della Grande Madre, pur con
un cammino inverso rispetto allo pseudo-Luciano, poich si tratta di
un frigio trasferitosi in Ldia.

Secondo la versione di Servio16 Attis un bellissimo fanciullo con

sacrato alla Grande Madre; in questo caso l'evirazione e la morte sono


conseguenze del tentativo di sfuggire al re della sua citt che Io concu

pisce: infatti il giovane evira il re che, morente, lo evira a sua volta. I


sacerdoti della Grande Madre lo trovano agonizzante sotto un pino, lo

portano nel tempio e qui lo seppelliscono ed in ricordo di questo


evento che essi si evirano.

Anche nel caso della c.d. versione "lidia" ci troviamo di fronte a te

stimonianze tutt'altro che omogeneee, dai tratti molto differenti. Esa

miniamole

i in dettaglio.

Erodoto1 narra di un certo Atys, figlio di Creso, ucciso nel corso di

una caccia al cinghiale per mano di un principe frigio di nome Adraste,

figlio di Midas e nipote di Gordieslll. L'antefatto della vicenda va

cercato nel crimine commesso da Gige che, uccidendo Candaule, ha

preso per s la moglie di quest'ultimo e si impossessato del regno di

Lidia. La Pythia profetizza che tale misfatto sar vendicato sul quinto
(quarto)19 discendente della stirpe mermnade21 Si tratta di Creso, so

vrano dalle immense ricchezze, il quale sembra aver attirato su di s

l'ira di un dio poich si ritiene il pi felice degli uomini21 Egli

padre

di due figli, uno eccellentissimo in tutto e molto amato, Atys, l'altro

invece sordomuto e non tenuto in alcun conto dal padre. Un sogno

rivela a Creso che perder il figlio prediletto a seguito di una ferita eh


punta di ferro. Egli cerca allora in tutti i modi di vanificare (o almeno
ritardare) l'avvenimento nefasto: per prima cosa fa sposare suo figlio,

poi elimina dagli appartamenti degli uomini tutte le armi per evitare
che il figlio possa accidentalmente ferirsi. Nel frattempo arriva alla
corte uno straniero che chiede di essere purificato poich ha commesso

un assassinio; si tratta di Adraste, un principe frigio che ha

ac

gative, stato esiliato dal padre. Compiuti i riti catartici, Creso lo

ac

cidentalmente ucciso suo fratello e pertanto, spogliato delle sue prero


coglie a corte. Una delegazione dalla Misia avverte il re che un enorme

119

cinghiale devasta i campi di quella regione e chiede un sussidio di uo

mini capitanati da Atys. Creso concede volentieri gli uomini ma rifiuta

di inviare il figlio col pretesto che impegnato dal matrimonio.


Venuto a conoscenza del fatto, Atys si reca dal padre e gli chiede perch
sia stato privato di quelle imprese che sono motivo di onore, cio la

caccia e la guerra. Il padre gli rivela allora il sogno, ma Atys fa notare


a Creso come la caccia al cinghiale non rientri nelle azioni a rischio: si
tratta di combattere un animale e non un uomo armato. Creso si
convince, ma pone Atys

sotto

la protezione di Adraste; proprio

quest'ultimo durante la caccia manca il bersaglio e colpisce con la sua

asta Atys, che cos ferito mortalmente. La notizia scatena le lamenta

zioni del re, che comunque perdona Adraste poich ri conosce in lui non
la causa ma lo strumento della morte di Atys, voluta invece da una

divinit. La narrazione si conclude con il suicidio di Adraste sulla


tomba del giovane principe.
Lo scoliaste che commenta l'Alexipharmacon di Nicandro22 fa di
Attis un giovane pastore frigio amato dalla Madre degli dei che lo ri

colma di onori al punto da suscitare l'invidia di Zeus, che ne provoca


la morte inviandogli contro un cinghiale.
Anche per Ermenesiatte Attis un sacerdote che muore ucciso dalla
bestia selvatica inviata da Zeus e la colpa la medesima: i troppi onori
che le conferisce la Meter suscitano l 'ira della divinit. Difficile infine

l'interpretazione del passo di Plutarco23 che parla di due Attis, un sirio


e un arcade, entrambi uccisi da un cinghiale.

Va infine ricordata un'altra versione, a torto definita "evemeri


stca":, che non pu essere ascritta n alla tradizione "frigia" n a
quella "lidia", il racconto di Diodoro Siculo (III 58, l - 59, 8). Cybele,

figlia di Maion, re di Frigia e Lidia, e di una donna chiamata Dyndi

mene, viene esposta alla nascita sul monte Cybelus. Tenuta in vita dal

latte delle belve feroci, la piccola in seguito allevata da alcune donne


che pascolano le greggi e che la chiamano Cybele. Crescendo, ella ri
vela doti non comuni: bellissima e virtuosa, inventa strumenti musi
cali e guarisce con riti di purificazione bambini e greggi e per questo
viene chiamata "madre della montagna". Essa amata di un amore

ca

sto da Marsia. Nel fiore della giovinezza si innamora di un giovane del


luogo, chiamato Attis e, unitasi a lui, concepisce un figlio. Contem

poraneamente viene riconosciuta dai suoi e accolta nel palazzo; ma


quando suo padre si accorge che non pi vergine, mette a morte il

120

giovane e le nutrici e lascia i corpi insepolti. In preda al dolore Cybele

vaga per il paese accompagnata da Marsia25, mentre pestilenza e carestia


attanagliano la Frigia. Interrogato un dio (imprecisato) sul modo di

superare le disgrazie, questi risponde che il corpo di Attis deve essere


sepolto e Cybele deve essere venerata come una divinit. Poich non
pi possibile recuperare la salma del giovane, i Frigi erigono una sta

tua davanti alla quale, nel tempo opportuno, intonano lamenti funebri

espiando cos l'ira di colui che era stato ingiustamente punito. Tali
riti, riferisce ancora Diodoro, continuano ad essere praticati anche al

suo tempo. Per quanto riguarda Cybele, nei tempi pi antichi i Frigi le
elevarono altari sui quali celebravano sacrifici annuali; successivamente
essi eressero un tempio sontuoso

Pessinunte e furono introdotti riti

magnifici di cui fu promotore il re Midas.

Le diverse tradizioni mitiche su Attis qui presentate appaiono poi

ricordate o alluse in passi di altri autori e in alcuni casi reinterpretate


alla luce di istanze filosofiche e religiose che, pur accordando loro si
gnificati "nascosti" e rileggendole in chiave allegorica o naturistica,
non ne modificano sostanzialmente le sequenze narrative.
*

*
*

Come si evince da questa rapida rassegna, la morte di Attis una

costante delle tradizioni mitiche su di lui incentrate anche se con delle

significative varianti: proprio queste ultime devono essere attentamente

vagliate allo scopo di ricavare informazioni sui diversi momenti della


"storia" del personaggio.

Una fonte forse troppo trascurata pu costituire il bandolo di questa

complicata matassa. Si tratta del I libro delle Historiae di Erodoto nel


quale lo storico riporta la tradizione secondo cui i pi antichi regnanti

della Lidia discendevano da Lydus, a sua volta figlio di Atys. Esistono

altre varianti della lista, in cui Atys appare sempre con piena dignit
regale. La lista riportata da Dionigi di Alicamasso26 la pi completa,

presentando la successione Zeus-Masnes-Kotys-Atys-Lydus. Tali tradi

zioni genealogiche, e quella di Dionigi in particolare, sottolineano

come la regalit lidia, quella dei Mermnadi, discenda direttamente m


quella frigia. Si potrebbe anzi dire che, dal punto di vista dei Lidi che

elaborarono tale lista21, Atys rappresenti l'anello di congiunzione tra la


121

regalit "frigia" e quella "lidia", in un continuum genealogico deter

minato dal fatto che il potere passa da padre in figlio senza interru

zioni.

Se la versione "frigia" del mito fosse la pi antica, bisognerebbe

pensare che i Lidi avessero scelto quale "padre" del loro eponimo

(Lydus) un dio castrato che muore prima di sposarsi. Ma, per quanto

paradossale possa apparire, il nome stesso di Attis, con le sue varianti


pi o meno grecizzate, significa in frigio proprio

padre2S.

Esso ap

pare dunque un tratto arcaico e originale di questo personaggio che


permane anche in epoche successive, quando gli vengono attribuite
funzioni addirittura opposte.

Se, come emerge dalla fonte erodotea, le prerogative regali attri

buite ad Attis caratterizzano questo personaggio in una delle attesta

zioni pi antiche21, occorre allora volgere il nostro sguardo alla regalit


nel mondo vicino-orientale in generale e anatolico in particolare, allo

scopo di rintracciare suoi eventuali "precedenti". A questo proposito,


va sottolineato il olo del r 7
io quale sommo rdote a ervizio

. .
della grande diVlntt femmmile" , tratto che la Fngia condivide con

altre culture del Vicino Oriente, dalla Fenicia alla Mesopotamia. Ma

particolarmente interessante notare che un importante ruolo cultuale del


re e della famiglia reale gi bene attestato proprio nel mondo ittita3\

alcuni reperti archeologici anatolici, pur di non agevole lettura,


farebbero addirittura pensare all'esistenza di quello speciale legame
rituale tra dinasta e divinit femminile che va sotto

32
hierogamia

il

nome di

In ambito mitologico ittita il fondamento di una regalit prototi

pica basata sul conferimento del regno al monarca da parte di una divi

nit femminile si ritrova chiaramente nell'episodio di Hupaiya, che


mostra d'altra parte interessanti analogie con alcune delle tradizioni mi

tiche relative ad Attis:n. Il rapporto famiglia reale/divinit femminile


appare cosi come una sorta di filo rosso che lega l'antico mondo ittta
a quello frigio. D'altra parte le testimonianze epigrafiche e archeologi

che non offrono alcuna indicazione sulla presenza di un culto, o co

munque sulla natura divina di Attis in terra frigia in epoche antecedenti


alla sua comparsa in Grecia (IV sec. a. C.). Attis appare invece come

un antroponimo piuttosto diffuso, anche se ripetute attestazioni in

contesti religiosi suggeriscono che si abbia a che fare con un per


sonaggio di spicco della classe al potere, se non addirittura con il re

stesso a cui, in continuit con le tradizioni ittite, erano affidate le mas-

122

sirne incombenze religiose. In seguito tale nome dovette passare a:l


indicare una carica sacerdotale o comunque un "agente del sacro", anche
se la natura dei culti in cui il nome di Attis (nella variante paleofrigia
Ates) coinvolto sono di difficile valutazione14 Il nome appare inciso
sul vasellame ritrovato nel tumulo D presso Bandyir, in un contesto
inequivocabilrnente funerario". Con le strutture funerarie appare in

rapporto anche la divinit femminile anatolica {tipo "Grande Madre")31


Una conferma del legame tra grande dea e dinastia regale frigia
attestato dal monumento rupestre di Yazilikaya, altrimenti noto come
"tomba di Midas": la struttura, nella cui nicchia verosimilmente si
collocava una statua della Grande Madre, dedicata da Ates a Midas31
Come emerge dai diversi racconti rnitici, non solo importante la
collocazione di Attis in Frigia, ma anche il suo stretto legame con un

luogo preciso di questa regione in cui, secondo il mito, egli muore e


viene pianto, cio Pessinunte. La tradizione pi antica relativa al culto

di Attis in questo luogo sembra quella testimoniata dal racconto di


Diodoro Siculo, che stabilisce un legame tra Cybele ed Attis che di
verge sia dalla versione "Iidia" che da quella "frigia"; essa si ricollega
piuttosto alla tradizione di cui testimone Erodoto, che fa di Atys un
re e, in quanto tale, oggetto di un culto particolare alla sua morte. Nel
racconto di Diodoro infatti possibile riconoscere le diverse fasi di una
lotta dinastica tra il re M aion, padre di Cybele, e Attis, giovane "del
luogo" amato dalla fanciulla, che viene ucciso. Tale evento priva la
principessa del proprio marito che , come tale, un possibile aspirante

al trono "di Frigia e Lidia" ma, soprattutto, priva il figlio nascituro del
riconoscimento da parte del proprio padre rendendolo cos irrirnediabil
rnente "illegittimo". La morte di Attis provoca un sovvertirnento

dell'ordine cosmico che si riassester solo dopo che, attraverso una

consultazione oracolare, sar fondato un culto tornbale di tipo regale

per Attis e un culto per Cybele; l'esistenza di una tomba di Attis a


Pessinunte attestata del resto anche da Pausania38 Negli eventi suc

cessivi alla morte di Attis sono presenti due terni che appaiono in con
tinuit con l'ideologia e le pratiche rituali ittite: da una parte, il sovver
tirnento delle leggi naturali (peste, carestia) determinato da un assassi
nio, dall'altra la necessit di pacificare l"'ira del morto".!>. Infatti, pro

prio come nel racconto di Diodoro, le conseguenze che scatena un as


sassinio nella cultura ittita possono provocare veri e propri stravolgi
menti della realt per l'impurit che ne consegue e l'ordine pu essere
ripristinato solo dali' intervento della divinit41; in altri casi l'azione ri123

tuale deve essere rivolta direttamente alla pacificazione dell' assassi


nato41. Anche l'indagine oracolare, utilizzata nel rituale ittita per sco
prire le cause di particolari eventi negativi, si ritrova nel racconto

ce

lata nella non meglio specificata interrogazione del dio e nella sua ri
sposta"'. Ancora, interessante la constatazione che, secondo i reso

conti oracolari ittiti, i morti chiamati in causa sono spesso di alta con
dizione sociale, indizio del loro coinvolgimento in lotte per il potere,
proprio come avviene nel conflitto tra Maion e Attis, che traspare chia
ramente nel resoconto erodoteo sotto la vernice "ro-mantica" dell'amore
ostacolato; infine, degna di nota l'attestazione, sempre in ambito it

tita, della consacrazione di localit come tentativo di pacificazione

dell'ucciso di alto lignaggio. L'alterazione dell'ordine cosmico nel rac


conto di Diodoro pu inoltre essere messa in connessione non solo con
l 'ira di Attis, ma anche con quella della stessa Cybele: l'offesa a una
dea e le sue conseguenze, il rapporto tra uccisione/peste/sterilit sono
motivi che si ritrovano tanto nel Vicino Oriente che nel mondo
greco43
La versione del mito riportata da Diodoro Siculo inserisce dunque

Attis all'interno di una lotta dinastica che si conclude con l'istituzione


di un culto tombale. Ma tanto il legame tra divinit femminile e rega

lit, quanto l'istituzione permanente di un culto funerario legato al


monarca, appartengono gi al modello regale anatolico. Del primo si

gi detto; per quanto riguarda il secondo, il rituale relativo ai funerali


reali ittiti pervenutoci da Boghazkoy44 attesta che la morte del re, in
quanto garante dell'unit del paese, sommo

sacerdote e guardiano

dell'assetto cosmico, provoca uno sconvolgimento dell'ordine attuale


che deve essere ripristinato attraverso una corretta esecuzione dei riti
funerari. Il "grande peccato" (cio lo sconvolgimento) che colpisce il
paese avviene proprio nel momento in cui il re "diventa dio", cio
muore: la morte segna il passaggio a una dimensione diversa, quella
divina"', che per non esclude che i regnanti defunti siano considerati e
continuino ad essere trattati come dei morti. Il culto dei re defunti si

modella su quello riservato alle divinit anche se, a differenza di quanto


avviene per i templi, i loro mausolei, le "Case di Pietra", sono delle

strutture "chiuse", gestite autonomamente e in

_
proprio" a tutte le necessit di un culto continuo .

rado di assolvere "in

La notizia di Diodoro sembra proprio fare riferimento ad un' istitu


zione di questo tipo localizzata presso Pessinunte47 Si pu quindi ipo
tizzare con ragionevole fondatezza che il pi antico culto tributato a:l
124

Attis fosse relativo ad un personaggio .di stirpe regale, sul tipo di


quello prestato in epoca ittita, e probabilmente ancora in epoca frigia,
ai re e principi defunti"".
Agli inizi del VII secolo la perdita di indipendenza da parte della

Frigia comport la destituzione della monarchia regnante4}, anche se il


centro di Pessinunte continu a mantenere un certo grado di autonomia
che port, con certezza a partire dal III sec. a. C., all'istituzione di un
"tempio-stato" governato da una casta sacerdotale al cui vertice si tro

vava un sacerdote che portava il titolo sacro di "Attis". Se, come ri


tengo di avere dimostrato, a Pessinunte si tributava un culto presso
una tomba nella quale, verosimilmente, era sepolto un principe della
casa regale frigia, le vicende politiche successive incisero probabil
mente sull'ideologia soggiacente a tale culto, trasformando anche la
struttura del luogo sacro, con cambiamenti rilevanti nel sacerdozio e
nelle sue funzioni. Per quanto autonome, le antiche "Case di Pietra" it
tite mantenevano stretti rapporti con l'apparato centrale dello stato, del
quale erano esse stesse emanazioni. Il tempio-stato di Pessinunte, in
vece, pur nella continuazione delle pratiche cultuali relative alla
"tomba di Atti s", non avr pi come punto di riferimento la ormai
scomparsa monarchia frigia; fondamento della sua teocrazia sacerdotale
sar piuttosto un "nuovo" e paradossale modello dinastico, quello di un

"anti-re", basato sulla

sterilit

e quindi sulla non-ereditariet. E'

precisamente la c.d. versione "frigia" del mito a fondare questo nuovo


modello: Attis, proprio come nel racconto di Diodoro, continua a ri
manere un personaggio "che muore", anche se qui ci avviene in con
trapposizione al modello regale tradizionale, cio senza discendenza. Il
culto tombale originariamente riservato al re defunto si trasforma cos

in un culto tombale riservato ad un non-re defunto51 A partire da una

concezione del personaggio come re (si riproduce ed padre), si verifica


dunque una trasformazione che fa di questi il "tipico" sacerdote di Pes

sinunte (il quale non pu e non deve riprodursi n pu, quindi, essere
S2
padre) .
In questo processo storico di riadattamento, il seppellimento di At

tis e il culto funerario a lui prestato non sono i soli elementi di conti
nuit con la precedente tradizione mitico-rituale: si conserva anche il
tema arcaico dell'amore esclusivo della dea per il giovane che, negativo
per quanto riguarda l'esistenza dell'uomo e la sua normale vita biolo
gica, permette che la morte sia la porta d'accesso alla "divinizzazione".
125

Muore il pastore Attis, sia esso re, sacerdote o entrambi, ma nasce il


dio/eroe Attis53
L'interpretazione qui proposta sembra quella che, meglio di altre pur nell'ipoteticit cui costringe la documentazione - rende conto abba

stanza organicamente di una serie di temi e di elementi che altrimenti

resterebbero senza adeguata spiegazione. Incerta rimarrebbe, in partico


lare, la funzione del culto di Attis nel periodo della teocrazia a Pessi
nunte se non lo si immaginasse come un culto eroico-regale, pur sui
generis, fondato appunto dalla versione "frigia" del mito.
La versione "lidia" del mito di Attis, in cui il giovane muore uc
ciso da un cinghiale e che appare una complessa rielaborazione di un
pi antico "mito di caccia", sembra invece ricollegabile all'ideologia

"regale", come indicano i numerosi paralleli in area vicino-orientale. I

miti di caccia, nati all'interno di societ di cacciatori-raccoglitori, mi


rano a fondare le regole che presiedono all'attivit venatoria: la parte
della preda che compete al/alla "Signore/a degli animali", il modo cor

retto di consumare la cacciagione, i divieti o le regole che si devono


osservare per avere successo in un'attivit dalle forti connotazioni sa
crali. Nelle culture dei coltivatori sedentari tali miti possono conti

nuare ad esistere, ma appaiono rifunzionalizzati per esprimere attra

verso l'antico linguaggio, nuovi contenuti50. In questo ambito, la cac


cia - cos come avviene nella realt storica - ormai prerogativa preva

lente dei nobili, soprattutto principi e

re55

Un mito di caccia, certo

profondamente rielaborato, dunque ancora rintracciabile nelle sue li

nee essenziali nell'episodio di Adraste ed Atys riportato da Erodoto, e


appare nelle altre testimonianze sottoposto

ad ulteriori reinterpreta

zioni. Nel racconto di Erodoto esso ravvisabile sia nell'episodio della


caccia al cinghiale, sia nella contrapposizione che si delinea tra attivit
venatoria e istituto matrimoniale, che impedisce di svolgere con suc
cesso i propri doveri di cacciatore. Ali'interno del testo erodoteo il rac

conto tende piuttosto a dimostrare che occorre comportarsi con umilt


per non incorrere nella vendetta divina, accettando in ogni caso il pro
prio destinoso.

Secondo la tradizione riportata dallo scoliaste di Nicandro, la predi

lezione della Grande Madre per Attis e la devozione di quest'ultimo per

la dea scatenano la gelosia di Zeus, che invia il cinghiale mortifero.

Qui l'episodio della caccia sembra restare in secondo piano, rimandando


piuttosto la vicenda al noto tema delle conseguenze nefaste che implica
126

il rapporto d'amore tra una divinit e un essere umano57 L'intervento


di Zeus costituisce la "normalizzazione" poich sancisce la separazione
tra i due livelli, un tema anch'esso largamente presente in vari miti di
caccia. Il collegamento con un arcaico mito di caccia trapela piuttosto
chiaramente anche nella tradizione riportata da Pausania (Ermenesiatte),
in cui si racconta di una partecipazione di Attis ad una battuta di caccia
dalle conseguenze tragiche. In tale tradizione troviamo connessi il tema
dell'attivit venatoria e quello del sacerdozio. Che si tratti di una so
vrapposizione di due motivi diversi sembra deducibile dal particolare
che Zeus, volendo sopprimere Attis, un sacerdote sterile e quindi pre
sumibilmente poco "virile", crei la circostanza della caccia al cinghiale,
certo non terreno ideale di prova per lui, ma adatto piuttosto ai veri
uomini di stirpe regale. Si ha qui probabilmente il risultato di una con
taminazione tra il tema del principe sfortunato e quello del sacerdote
che dalla Frigia muove verso la Lidia, entrambi presenti nel dossier di
Atti s.
Se nella versione di Diodoro e in quella "lidia" la morte di Attis
origina esclusivamenteun--cUito funerario, senza che si abbiano in
formazionticosaavvengad.T lui dopo,-nella ver_!>igne _'.:__fijgia''esiste
-<
invece un seg_!lj_t_Q_gel!__ ua sfortunata vicenda. Attis, dopo la morte,

iilailtleile_!'j_!!!egrit del corpo-(PimsanTa)-aciil st_aggt-][_!l1_2v


l
mento dLditomigriofo e- fii cresCti-ctelcapeifr(Arnobio ). Tutto ci
non de lltta,v( 'l1ieipis(ilii!-..Elu=uj>fsii'!iJ!t
"jQn:_j!l,_Qnserv(lzione del corp_() conepit!.lll()_ prop<:! ...<
c_l!ntittia_ad \l_nll _resurrezione. !'tJLYinejny_ece. c;::-;plici!l!nt.
11egata g_l! :fe!:' b_a m()rte di _1\tti cos!i_tis<:;_i.l. n()_<!_o_ c!!Q:(ll_ gl_c1:1lt
stesso: egli deve morire e il suo trapasso gli garantisce il passaggio
,
nell altra dimensione'dafla (juale;-pur"frasfOrn1iii'O:e'ai!iiQ'foJ2iorch
-----,r
trasformato, non pu pi tomart:: ...:. 1!!ferill1'!ti aJ!!iS..QJ!!LU1.9E!.o__Iui -<
generis, dal corpo imputrescibile dotato di minimi movimenti, test1ll1miano _sua pell!l'!.:l:fce}l-!I'.[o,t!iqut _eg1[
come avviene per gli altri defunti, ridotto ad uno stato !arvale, ma si
trova in una condiZione_ p_&i)J!!t!l3t_tii!_--_ ii_-oi:.e_p_osTtiva:
mente a favoie.deiVIventi, alla stregua di certi antenati o degli stessi
eroi greaalciifs!l-2<)-t_m_p!.U}!itervri!LCiioll sempre e-soJo bne:
fii) nel@.re;:!lt.JIJtuale. In u_n c:erto_sng_,_anc:b.e PU.!ti_Ja_mQrtJ!il
ezzo .11!\W:r accedere. ali' eroiz?:gi2!l.i_vni.z:l:i<:)!J.": .J?'.
parte, coJ!_ito_E_---ci_<l_lc- sp() -(!nt(li -i"-..
-----

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- -

.....

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-- ---------------

127

"rtomo", cos sembra esclusa anche una convivenza di Attis con la

dri1de Madre in una dimensione oltremondana. Al contrario, proprio

l drimdeMadre, ameno nella versione di Amobio, ad introdurre pro


totlpicamente una serie di prassi rituali funerarie che servono ad assicu
rare adAts una corretta sepoltura e una permanenza stabile nell'aldia.
--

-----

. ------

2. Il culto

Anche sul piano del culto appare confermata la dimensione funebre


di Attis: innumerevoli sono le testimonianze greche e latine relative ai
un rituale funerario caratterizzato da pianti e lamentazioni, il quale ri
calca il modello della lamentazione mediterranea pre-cristianaro. Quest'
ultima, come noto, ha come fine il recupero della morte che da dato
naturale inaccettabile viene inserita nella sfera culturale e trasformata in
valore. Secondo le parole di De Martino, se il lamento non reso, il
morto non entra nel regno dei morti e resta nella rischiosa condizione
di cadavere vivente, che tormenta i vivi tornando in modo irrelativo;
d'altra parte nel corso della lamentazione le valenze di allontanamento
si legano dialetticamente a quelle di riappropriazione, di interiozzazione
e di rapporto sul piano dei valori morali, sociali, politici, poetici e
conoscitivi61
Un dato pressoch costante nella tradizione rituale relativa ad Attis
poi il riferimento delle fonti alla Frigia come luogo in cui furono
istituite le celebrazioni di lamentazione. Lo scoliaste deli'Alexi
pharmacon riferisce la versione "lidia" del mito di Attis<! a fondazione
delle cerimonie primaverili dei Frii nelle quali il giovane viene
pianto. Il racconto di Diodoro Siculo , come s' visto, si conclude con
l'istituzione a Pessinunte di un culto tombale in onore di Attis.
Arri ano attesta che le celebrazioni romane relative a tale personaggio si
rifanno ad una tradizione frigia61, sottolineando anche l'attenzione r
tuale verso il momento doloroso della vicenda. Anche Luciano testi
monia in Frigia una lamentazione primaverile per Attis"'. Il permanere
di tale tradizione viene documentata per il suo tempo anche da Euse
bio"'. Per quanto riguarda gli autori latini, Stazio riferisce dei pianti ri
tuali delle donne frigie67; Arnobio collega all'ambiente frigio, e a Pes
sinunte in particolare, tanto le vicende mitiche quanto l'istituzione
delle lamentazioni rtuali, che per egli conosce nella versione

128

"romana"; Finnico Materno riferisce infine dell'esistenza a Pessinunte


di lamentazioni annuali legate alla morte di Attis68
Per quanto concerne la Grecia, non vi sono prove certe che il culto

di Attis fosse legato ad una cerimonia funebre. AI Pireo esisteva un

metroon che, a partire dal III secolo a. C., era gestito dall'associazione
(j)
cultuale degli orgeones . Dei diversi decreti che ci sono pervenuti, due

sono particolarmente interessanti. Nel primo questione dell' allesti

mento di una kline, cio un giaciglio, in entrambi gli Attieia""; nel


secondo si menzionano invece due troni71 Si pensato che i due de

creti alludessero alle medesime cerimonie di cui gli Attideia costitui


72
vano due feste distinte oppure due fasi diverse della stessa festa Quale
fosse il contesto in cui venivano utilizzati i giacigli e i troni non
dato saperlo, anche se i due aspetti fondamentali del culto frigio
tributato ad Attis quello regale e quello funebre - non possono certo

essere esclusi a priori.

Sicuramente di carattere funerario era la celebrazione di marzo a

Roma della "settimana santa" che ricordava le vicende di Attis e che,

come s' visto, gli antichi collegavano alle cerimonie frigie. Tali ce

rimonie, presumibilmente praticate precedentemente in forma privata,


furono istituzionalizzate e rese pubbliche da Claudio. Il successivo in

tervento di Antonino Pio determin un'ulteriore articolazione della


prassi liturgica con l'istituzione del rito del taurobolio11 e della carica
sacerdotale dell' Arcigallo"'. In tal modo si creava la possibilit per i
cittadini

romani

di

rivestire

un'importante

funzione

all'interno

dell'istituto religioso metroaco e, al contempo, si enfatizzava l' impor


tanza che tale istituto rivestiva per il benessere dell'Imperatore e dello
stato75 L'inserimento degli Hi/aria nelle procedure rituali complet la
"settimana santa". Il calendario di queste cerimonie, che ci proviene di

un testo tardo, relativo all'anno 365", il seguente:


Id. Mart.

Canna intrat

XI K. Apr.

Arbor intrat

IX K. Apr.

Sanguem

VIII K. Apr.

Hilaria

VII K. Apr.

Requetio

VI K. Apr.

Lavatio

V K. Apr.

Initium Caiani.

129

Il giorno della Canna intrat segnava l'inizio delle cerimonie e il

collegio dei Cannophori era collegato a tale giorno festivo in cui, pro
babilmente, venivano ricordati la nascita, l'esposizione ed il salvatag
gio del piccolo Attis sulle rive del fiume Sangario77 Di pi antica isti

tuzione e legato al fulcro dei rituali di Attis il collegio dei dendro

phori, che si occupavano delle cerimonie relative all'introduzione


dell'albero di pino, presumibile figura di Attis morto, nel tempio di

Cybele. Si riscontra una puntuale corrispondenza tra le operazioni

svolte durante tali cerimonie e quelle eseguite dalla Madre degli di e eh

la sul corpo del defunto Attis (Arnobio)'". Il giorno dell A rbor intrat era
'

quindi quello delle lamentazioni per la scomparsa di Attis. Nel Dies

sanguinis invece si compiva probabilmente il cruento rito dell' autoe


virazione da parte di una speciale categoria di devoti, i Galli11, che in

questo giorno si flagellavano sanguinosamente. In un necessario sus


seguirsi di tristezza e felicit, sequenze entrambe ineludibili perch co
stituenti il senso stesso del rituale, si situano gli Hilaria, introdotti pi

tardi. Come si piange la triste sorte del giovinetto frigio (e lo piange

per prima la Madre degli di/Agdistis), cos si gioisce per la sua posi
zione particolare nel mondo dei morti (e gioisce per prima Agdistis di

questo regalo di Zeus). I giorni successivi sono dedicati al progressivo


ritorno alla normalit: dopo il riposo la statua della Grande Madre sar

immersa nel bagno purificatorio dell'Almo per essere pronta ad affron


tare da sola i MegalensiafiJ.

Nella rapida rassegna dei momenti forti del rituale di marzo si pi

volte fatto cenno, come "modello" alla versione del mito "frigio" atte

stata da Arnobio: la Madre degli di colei che per prima inaugura le

procedure funebri attraverso una serie di gesti e comportamenti che


vengono poi eseguiti precisamente nel rituale81 Il legame tra mito e

rito stato da alcuni interpretato in termini di prototicipitltipicit.


Nel mito il giovane muore miseramente, ma quella piccola parvenza di

vita costituita dalla conservazione del corpo, dalla crescita dei capelli e
dal lieve movimento del dito lo preserverebbe da un annientamento to

tale. Egli, al pari di altri personaggi, tornerebbe dal mondo dei morti
per le esigenze di un rito che si connette con la fecondit stagionale

che, anzi, proprio attraverso il suo ritorno viene riattivata112 Proprio il


nesso con la fertilit sembra essere tuttavia quello pi latitante nella
figura di Attis che anzi, in tutta la sua storia (per lo meno a partire
dalla versione "frigia" del mito) si presenta piuttosto in termini "anti

generativi"83. Gli aspetti vegetali di Attis come segno di un rapporto


130

con la sfera della fecondit/fertilit acquistano rilievo solo pi tardi e in


ambienti "dotti", dove il suo mito e il suo rito vengono riletti alla luce
di ideologie filosofiche razionalizzanti, sia pagane che cristiane. Ma si
tratta pur sempre di una fertilit immatura e quindi ancora una volta
sterile84 D'altra parte, i due riferimenti vegetali pi evidenti nel mito
di Arnobio85, il pino e la nascita delle viole, trovano una precisa corri
spondenza nel rituale romano che rimanda in entrambi i casi non gi a
una ciclicit stagionale e neppure a un pi generico legame con la ve
getazione, ma sottolineano piuttosto la natura funebre del rituale
stesso. Le conifere - il pino, il lauro, il cipresso - sono nell'antica
Roma tipici alberi funerari"' e il fusto della pianta, lamentato e portato
fin dentro il tempio della Grande Madre, rappresenta molto verosi
milmente Attis stesso nella sua condizione di morto, e di morto per
!fl
sempre . Lo stesso scorrere sul tronco del sangue dei Galli (che non a
caso si percuotono, tra l'altro, anche con pigne e rami di pino)"' sem
bra rispondere a quelle esigenze di "nutrimento" a cui aspirano gli
anemici morti"'. All'albero vengono appese le bende di lana che un
tempo la us per coprire il petto ormai esangue di Attis ed esso viene
infine adornato con viole. Nel mito queste viole nascono sia dal sangue

di Attis che da quello di la, ma l'utilizzo di fiori rossi quali simboli del
sangue appartiene ad una tradizione ben pi vasta"'. Le viole, poi, sono
fiori tradizionalmente legati ai morti,

come documenta ad esempio

Ovidio nei Fasti91, a proposito delle offerte ai defunti; il 22 marzo,

quello dell arbor i n trat, era anche il dies violae in cui i fiori in que
'

stione venivano gettati sui sepolcri92 In un'iscrizione il defunto rac


comanda ai parenti di onorario die natalis sui et rosationis et violae et
gj
pa rentalibus . Il rituale sottolinea cos, attraverso un simbolismo ine
quivocabilmente funerario a sua volta riflesso nella versione del mito
presentata da Arnobio, l'avvenuta morte di Attis e, cosa ancora pi

importante, il riconoscimento della presenza definitiva del personaggio


nell'aldil attraverso la ripetizione annuale del suo funerale.
I riti che annualmente si ripetono sulla tomba di Attis in Frigia o

presso il tempio della Madre degli di a Roma sono quindi commemo


rativi: non provocano una riattualizzazione, ma ricordano una vicenda,

non la ripetono. Certo, nell'esportazione di Attis dalla Frigia a Roma,

il personaggio e le tradizioni ad esso legate, pur riprese nelle linee


fondamentali, subiscono un processo di rilettura determinato dal di

verso contesto ideologico e socio-politico, venendo cos ad assolvere a


funzioni diverse. Nella terra d'origine e nelle fasi pi antiche la com131

memorazione riguardava un arcaico personaggio regale defunto, i riti

periodici miravano ad assicurarsi la sua benevolenza che garantiva i l


benessere del re e della nazione e, in senso pi ampio, quello cosmico,

che veniva cos periodicamente ristabilito. Tale funzione benefica del

personaggio permane a Pessinunte nonostante il trapasso dalla figura

del monarca a quella del sacerdote "anti-re". A Roma tuttavia, e non


sorprendentemente, sono negati tanto l'istituto regale quanto la teocra

zia sacerdotale. Il primo ormai relegato in un passato non pi riattua

lizzabile mentre la seconda, fondata come era su norme antisociali e


antistatali (autocastrazione, sterilit), appare concepibile solo se con

finata in un "oltre" lontano spazialmente quale pu essere, agli occhi di

un romano, la remota citt di Pessinunte94 Anche a Roma permane


comunque il legame caratteristico e caratterizzante di Attis con la
morte: la sua presenza definitiva nell'oltretomba continua ad essere,

proprio come in Frigia, connessa al benessere collettivo che, nella mu

tata situazione storica, si trova a coincidere con quello dell'Imperatore e

del cosmo che egli rappresenta nella sua interezza'll. Lo stesso processo
di cosmicizzazione di Attis, iniziatosi nei primi secoli della nostra

era

e che lo trasforma in una potenza pantocratica - al di fuori delle


speculazioni reinterpretative dei filosofi - non appare in contrasto con

l'idea della sua morte, come mostrano i ritrovamenti nel porto di

Ostia%.

Le celebrazioni degli Hilaria, che in epoca tarda seguono i giorni di

lutto e di lamentazione precedendo la Lavatio, rito conclusivo della


"settimana santa", suscitano ulteriori riflessioni sulla possibile evolu

zione delle tradizioni mtico-rituali nel senso d una "resurrezione" di

Attis e, conseguentemente, dell'apertura di eventuali prospettive sote

riologiche per i suoi devoti97 Le testimonianze relative agli Hilaria


sono tutte posteriori al IV secolo!,1!; esse ne sottolineano il carattere

gioioso, ma tacciono sulla prassi e sul contenuto, offrendo piuttosto

una reinterpretazione "dotta" della festa stessa. Tracce di una rielabora


zione personale presenta il racconto di Firmico Materno: la sua ver

sione del mito segue sostanzialmente quella "frigia", caratterizzata dalla


morte di Attis a seguito del suo rifiuto dell'amore di Cybelew e dalla

conseguente istituzione di un culto tombale per il giovane defunto. Il


successivo parallelismo istituito tra la vicenda di Attis e la vicenda del

grano, la quale rimane un unicum, appare piuttosto un'interpretazione

di Frmico stesso: il ripetersi commemorativo delle cerimonie funebri

in primavera doveva aver suscitato tale speculazione'00 Anche il rifer132

mento a una "resurrezione" di Attis sembra essere pi una interpreta


zione di Firmico che un tratto originario. del culto frigio. Proprio il
verbo revivere utilizzato per Attis- che sarebbe una sorta di "doppio"
del grano

rende

particolarmente

evidente

la

distanza

tra

la

"resurrezione" di questi e la resurrezione di Cristo10'. I rischi che com

portano le eventuali analogie tra la vicenda di Attis e quella di Ges


vengono cos superati proprio attraverso la dimostrazione che le appa
renti "somiglianze"

nascondono

invece

un'incolmabile

differenza.

D'altro canto, la stessa menzione di un culto tombale permanente a


Pessinunte implica che anche secondo la testimonianza di Firmico Ma
terno, per i Frigi Atts veramente morto.

La menzione degli H ilaria in Sallustio filosofo e in Giulano sono


solo lo spunto per collegare la parte gioiosa del rituale romano con

l'ascesa dell'anima. Esse sono di estremo interesse per la conoscenza

delle speculazioni misteriosofiche sul mitp di Attis, ma non aiutano a:l


approfondire le conoscenze sul rituale stesso'm. Infatti, come si pu cJe..
durre dalle menzioni che i due neoplatonic fanno d altri aspetti del
mito o del rito su cui siamo meglio informati, i riferimenti costitui
scono solo spunti per la riflessione che si muove all'interno di una

teologia, di una cosmologia e di un'antropologia squisitamente neopla


toniche.

Il fatto che gli Hi/aria venissero posti a simbolo del cammino

dell'anima ormai purificata verso l'iperuranio non implica necessaria


mente che a questo rito fosse legata la "resurrezione" di Attis o anche
solo un suo ritorno. In questo senso pare invece andare la testimo
nianza di Damascio'rn, che racconta un'esperienza personale vissuta du
rante un suo viaggio a Hierapolis di Frigia101 Egli scende nel barathron
dal quale esalano effluvi letali e riesce a ritornarne vivo. In seguito egli
fa un sogno che viene messo in relazione con l'esperienza avuta: nel
sogno Attis colui per il quale la Madre degli di compie la festa degli
Hilaria e ci significa che Damascio e il suo maestro Isidoro, che lo ha
accompagnato
nell'impresa,
hanno
sperimentato
la
salvezza
dall'Ad>.

Questo passo di particolare importanza poich stato addotto


come prova che, almeno in epoca tarda, gli Hi/aria facessero effettiva
mente riferimento ad una "resurrezione" di Attis. Per una sua corretta
comprensione occorre tuttavia distinguere tre momenti, successivi e
non accorpabili: la discesa dei due filosofi nel Plutonio, il sogno e
l'interpretazione che del sogno fa Damascio. Innanzi tutto, va ricordato

133

che il Plutonio di Hierapolis era noto e frequentato gi in epoca antica,

come attesta Strabone, e tale frequentazione dura fino ai tempi di Cas

sio Dione100 Il baratro era posto in relazione con Ade, come si evince

dal nome stesso di Plutonio'<t>. Tale via di comunicazione tra aldiqu e

aldil era per normalmente preclusa a tutti: gli effluvi mortiferi, che
attiravano l'attenzione di curiosi e scienziati, erano cos potenti che
non permettevano ai visitatori di avvicinarsi troppo senza finire intos

sicati. Venivano perci venduti piccoli volatili allo scopo di verificare


l'efficacia dei gas sprigionati: gli uccelli, una volta lberati sul baratro,

cadevano privi di vita. Un'eccezione costituita dai Galli'111 che, per


fettamente in linea con la loro caratteristica di mediatori tra questo
mondo e !"'alterit", scendono e riemergono tranquillamente dalla vo

ragine'"'. Questa era la prova della protezione della Grande Madre nei

confronti dei suoi devoti prediletti'"'. Damascio e Isidoro riescono per

nell'impresa, appropriandosi in un certo senso di una funzione che non

compete loro: questo Ii pone in una situazione di squilibrio perch, pur

essendo uomini, agiscono da Galli. Successivamente Damascio sogna


di essere Attis e di venire festeggiato negli Hilaria dalla Madre degli
di. Nel sogno non vi alcuna allusione ad una resurrezione che sia in

qualche modo legata alla festa stessa110,

piuttosto Damascio a

stabilire una connessione tra il sogno e l'esperienza precedentemente

vissuta: a Hierapolis, essendomi addormentato, mi parve in sogno di


essere diventato Attis e per me era celebrata dalla Madre degli di la fe

sta chiamata Hilaria: ci mostra che avvenuta la nostra salvezza dal


l'Ade>>.

L'affermazione di Damascio va presa proprio nel senso letterale:

egli ha ottenuto una salvezza dall'Ade, cio uscito vivo dal Plutonio,

evento evidentemente non comune. Il riferimento agli Hilaria, pi che


ad

una

"resurrezione"

di

Attis,

pu

connettersi

con

quella

"benevolenza" che la Madre degli dei accorda ad Attis una volta che,

morendo il giovane, si stabilisce un rapporto di amore "corretto" tra i

due personaggi. Inoltre gli Hilaria nelle feste di marzo seguivano i l

dies sanguinis, giorno in cui s i commemoravano l'evirazione e la

morte di Attis e, attraverso queste, la sua riconciliazione con la Grande

Madre, mentre al contempo si inaugurava annualmente una nuova

schiera di Galli. Evirazione e morte mitica (Attis) ed evirazione rituale

(Galli), pur nella inevitabile sofferenza, erano entrambe necessarie. Gli

Hilaria, che a tale sofferenza seguono, esprimono la consapevolezza

che il sacrificio non fine a s stesso: ora Attis, morto nel cosmo ma
134

vivo nell'oltretomba, pu veramente amare ed essere amato dalla dea,


come non avrebbe mai potuto nella sua vita mortale; ora gli uomini
prescelti sono diventati Galli e quindi, non pi uomini, essi amano la
Grande Madre e sono da lei amati venendo proiettati, attraverso
l'evirazione, in una dimensione di "alterit". A differenza di Attis, che
am e fu amato dalla dea in modo "umano" oltrepassando cos i limiti
stabiliti dalla stessa condizione mortale e avviandosi ad un destino di
morte, i Galli amano e sono amati dalla dea attraverso il rito, rapporto
speciale sancito da un'evirazione non mortifera che per li condanna,
rispetto alla societ, ad una condizione di costante marginalizzazione.

Questo non esclude che la societ stessa, proprio in virt della loro
"liminarit", se ne serva come mediatori privilegiati nella comunica
zione con l'"altro". Benevolenza e rapporto privilegiato con la Grande

Madre di cui i Galli godono permanentemente, come dimostra appunto


l'esperienza del baratro di Hierapolis. Per quanto riguarda la testimo
nianza di Damascio, si pu cos verificare che attraverso la mediazione

di Attis-Hilaria (sogno) si stabilisce un'identificazione tra Damascio e


Galli (esperienza vissuta): solo la protezione della Grande Madre, a lui

conferita come un novello Attis, poteva risparmiare al filosofo la


morte per asfissia.

3. Le credenze funerarie e l'aldil


Il mito di Attis e la sua tragica fine occupano un certo spazio nelle
raffigurazioni d'epoca romana. Alcune di esse lo rappresentano nel

momento pi drammatico, quello della sua fine, oppure gi nella fred


dezza della morte, con gli occhi sbarrati, a volte con le gambe divari

cate per evidenziare l'avvenuta castrazione. In tali raffigurazioni egli

spesso circondato da oggetti legati al simbolismo funerario quali i l


fiore d i papavero, i l cipresso, l a palma"'. Ma a l d i l della rappresen
tazione della fine di Attis sono di particolare interesse quei documenti
che collegano piuttosto il personaggio alla morte intesa come espe
rienza umana. In altri termini, occorre interrogarsi sul senso da attri
buire a quelle raffigurazioni o epigrafi funerarie in cui ci sia un riferi
mento ad Attis o al culto metroaco pi in generale.
Figurine di Attis sono state ritrovate all'interno di tombe112, cos

come esso appare raffigurato sui monumenti funerari11\ sue rappresen


tazioni si trovano anche sui sarcofagi, in alcuni dei quali immagine

135

dell'inverno'14 Come nel caso di Adonis, ci che viene enfatizzato


soprattutto la sua condizione miserrima, la tristezza della sua fine115

Anche nelle epigrafi funerarie che alludono al complesso metroaco non


sembra esservi posto, tranne rare eccezioni, per prospettive trionfalisti
che: l'accento sempre posto su ci che ormai il defunto ha irrimedia

bilmente perso116 Eppure accanto a tali testimonianze, che sembrano


sottolineare l'accesso definitivo del defunto nell'oltretomba, se ne tro
vano altre caratterizzate da una maggiore ambiguit. Si tratta delle rap
presentazioni della pigna, del ramoscello, del fiore del papavero o della
granata, interpretati dagli studiosi come simboli di immortalit117 Ma,

a ben vedere, tali simboli sono tutti assai frequenti nell'arte funeraria e

potrebbero alludere, piuttosto che all'immortalit, alla dimensione in


fera cui accede il defunto. D'altro canto l'ambiguit propria del sim

bolismo stesso che si serve di immagini per "significare", ma questo


"significare" varia a seconda del sistema ideologico che utilizza il sim
bolo stesso'".

In qualche iscrizione troviamo allusioni ad un soggiorno celeste

dell'anima dopo la morte. Ora, se vero che nessuna di tali testimo


nianze si connette in maniera esplicita con il culto metroaco e quindi

tale idea non doveva provenire necessariamente da esso, resta tuttavia il

fatto che, almeno in un certo periodo, le speculazioni sul destino


dell'anima si intrecciavano con quelle sul culto della Grande Madre e di

Attis119 D'altra parte non si pu negare che ad una certa epoca e in al


cuni ambienti si cominci a riflettere su Attis giungendo a letture della
sua vicenda in chiave soteriologica';u. Ma, e questo un dato che non
va

assolutamente

sottovalutato,

quando

si

riscontra

nelle

fonti

un'associazione pi o meno esplicita tra Attis e l'anima umana, il


tratto

enfatizzato

non

mai

quello

della

morte

bens

quello

dell'evirazione; paradossalmente, la sterilit/infecondit piuttosto che


l'incorruttibilit del suo corpo a qualificare in senso soteriologico At
tis! Tale valorizzazione della sterilit come condizione coscientemente

ricercata deve naturalmente essere inserita ali'interno di quelle specula


zioni che, in forme pi o meno accentuate, implicavano una valuta
zione negativa non tanto del cosmo quanto piuttosto dell'esistenza
umana, intesa come permanenza nel mondo dell'elemento divinom.
Tali speculazioni si nutrono comunque di suggestioni che gi proven
gono dalla tradizione mitico-rituale relativa ad Attis:

nella versione

"frigia" del mito l'evirazione mortale di Attis sancisce l'impossibilit

per un uomo di amare una dea, stabilendo i limiti della condizione


136

umana, ma al tempo stesso l'evirazione non mortale del suocero o di


Gallus fonda la categoria dei Galli. L'autocastrazione, che in relazione
ad Attis indissolubilmente legata alla morte in quanto fonda la rega

lit sui generis pessinuntina, si pone per i Galli come passaggio ne

cessario per l'acquisizione dello status di mediatori tra mondo umano e


mondo divino.

I riti taurobolici, "scavalcando" gli stessi Galli, permettono di

creare un rapporto pi intimo e diretto tra i devoti e la coppia Grande

Madre-Attis. Ma un ra porto che passa sempre attraverso l' evira


g
zione, per quanto fittizia' , e non attraverso la morte. Tanto nel mito

quanto nel rito Attis appartiene al mondo dei morti, dal quale non ri

torna, mentre piuttosto la castrazione a funzionare come elemento di

mediazione tra due realt, quella umana e quella extra-umana, altrimenti

incompatibili e "chiuse". Del resto l'eventuale presenza di "misteri"

nel culto non implica tout court delle prospettive soteriologiche, ch

anzi tale salvezza consiste proprio nell'accettazione stessa della realt

esistente123 La soteriologia escatologica appare solo in epoca tarda e


come conseguenza del disgregamento del sistema politeistico131: essa

occupa una posizione marginale nei misteri ed piuttosto al centro

della riflessione teologica di ambienti filosofici, gnostici, ermetici che

si servono delle antiche tradizioni rileggendole in una prospettiva di

innovazione piuttosto che di continuit121 Tale prospettiva risponde

d'altra parte a quelle nuove esigenze soteriologiche che emergono nel

momento in cui la preoccupazione di una salvezza nel mondo


sostituita da quella di una salvezza dal mondo. Ma, come gi sottoli

neato, tali esigenze rimangono appannaggio di cerchie ristrette che sot


topongono le antiche tradizioni e i pi recenti "misteri" a nuove inter
pretazioni. Ne risulta un gioco di proiezioni che, senza un'attenta ana

lisi delle fonti e dei contesti cui appartengono, possono indurre a cre

dere che le prospettive soteriologiche costituissero un elemento fonda

mentale nei misteri. Nel caso di Attis, in particolare, i "misteri" ap

paiono in stretta connessione con i Galli' e, in seguito, con il tauro


boliom; essi sono volti, sia attraverso la mediazione del sacerdote evi
rato sia attraverso il contatto diretto offerto dal sacrificio taurino, a ga

rantire un benessere e una salute di tipo intracosmicom. Ma le interpre

tazioni filosofiche e quelle cristiane interverranno in modo cos deter

minante sui dati da rendere quasi impossibile distinguere con precisione

tra fenomeno ed esegesi. Se tale processo di rilettura investe molti per

sonaggi divini del "paganesimo" Attis, per le sue intrinseche caratteri137

stiche, si presenta come uno dei terreni privilegiati sui quali si con
frontano pagani e cristiani. In un complesso processo di acquisizioni di
dati, riletture e reinterpretazioni delle riletture, si cercher da ambo le
parti di comparare Attis e Cristo.
Le prospettive soteriologiche attribuite al culto di Attis non costi
tuiscono solo il tardo sviluppo di pi antiche tradizioni ormai stravolte
e trasformate. Un Attis soter per i "pagani" l'ultimo baluardo da con
trapporre all'invasione cristiana, da difendere ad ogni costo, fino al
punto di farne un alter ego dello stesso Cristo; un Attis soter, i cui ri
tuali di marzo e la morte violenta richiamano in maniera inquietante
quella dello stesso Salvatore a cui Attis , oltretutto, cronologicamente
anteriore, per i Cristiani un pericolo contro il quale occorre lottare
senza esclusione di colpi 129 L'epilogo di questa lotta a tutti noto:
vincer l'unico "vero" risorto, Cristo. Paradossalmente, proprio nella
sconfitta Attis recuperer la sua dimensione pi autentica, quella di un
personaggio destinato a morire.

N01E

l Il presente contributo costituisce uno degli esiti di una mia pi vasta ri


cerca su Attis di prossima pubblicazione.
2

H. Hepding, Attis, seine Mythen und sein Kult, Giessen 1903 (ab br.:

Hepding).
3

Ov., Fast. IV, 221-244, in Hepding, pp. 18-19 .

La trasformazione di Attis in pino, che qui non menzionata, viene in

vece narrata da Ovidio in Metamorph. X, l 03-105.


5

Paus., Perieg.VII, 17, 9-12, in Hepding, pp. 30 e 37-40.

La morte del personaggio non menzionata esplicitamente.

Arnob., Adv. nat. V 5-7, in Hepding, pp. 37-41.

Tale oscillazione in Arnobio stesso.

Qui il testo corrotto e non possibile desumerne altri particolari.

138

Anche se va notato che, nella versione di Arnobio, la "confessione" di

Attis ubriaco potrebbe implicare un preesistente patto di omert tra il gio


vane e Agdestis.
11

Sul tema della gelosia che causa la morte del giovane vedi anche Firm.

Mat., De err. prof rei. III, in Hepding, pp. 47-49.


12

In Hepding, pp. 7-8. Su questo epigramma e gli altri che da esso trag

gono ispirazione contenuti nell' Anthologia Pa latina cf. A.S.F. Gow, "The

Gallus and the Lion", JHS, 80, 1960, pp. 88-93.


1

In Hepding, pp. 13-15, sul quale cf. recentemente S.A. Takacs, "Magna

Deum Mater Idaea, Cybele, and Catullus' Attis", in E.N. Lane (ed.), Cybele,

Attis and Related Cults, Leiden-New York-Ktiln 1996, pp. 367-386.


14

Luc., De Syria dea, c. 15 , in Hepding, op. cit., p. 29.

15

Cit. in n. 5.

16

Serv., Ad Aen. IX, 115, in Hepding, p. 60.

17

Herod. I 34-45.

18

Questo racconto non incluso nel repertorio documentario di Hepding,

che ne tratta nel commento considerandolo traccia di una tradizione pi an


tica.
19 Sul metodo di computazione per cui il quinto in realt il quarto cf. Ph.
E. Legrand (ed.), Hrodote. Histoires, livre l, Paris 1970, nota ad loc.

20
21

22
23
24

I 6-13.

I 34 a partire da qui e fino al paragrafo 45 si svolge la vicenda di Atys.


Schol. in v. 8, in Hepding, p. 9.
P1utarc., Sertorius, l, in Hepding, p. 26.
La vaga contestualizzazione storica della vicenda e dei personaggi n o n

inficia l a dimensione genuinamente mitica del racconto.


25

26
27

Si tralascia qui l'episodio del confronto musicale tra Marsia e Apollo.


I 27.
Sulle tradizioni genealogiche lidie e il loro significato politico cf. C.

Talamo, La Lidia arcaica, Bologna 1979.

139

Cf. C. Brixhe - T. Drew-Bear, "Trois nouvelles inscriptions

palo

phrygiennes de epni", Kadmos, 21, 1982, pp. 64-87, p. 70 e pp. 83-84.


Nella testimonianza di Diodoro Siculo si dice esplicitamente che Attis in
seguito fu chiamato Papas (58, 4), e i nomi Papas e Papias si ricollegano
ad un ipocoristico

padre (T. Drew-Bear - C.

Phrygie", ANRW II 18/3, pp. 1907-2044,

Naour, "Divinits

de

p. 2018; cf. anche Brixhe -

Drew-Bear, op. cit., p. 83 n. 45).


29

Talamo (op. cit., pp. 28-33) data l'elaborazione della lista agli anni nei

quali cui Gige saliva sul trono lidio.


3

Cf. L.E. Roller, In Search of God the Mother, Berkeley-Los Angeles

London 1999, p. 246 a proposito di Midas e pi in generale p. 252.


31

Cf. ad es. il principe (e poi re) Telipinu sacerdote a Kumanni. Su Ku

manni e Telipinu cf. A. Archi, "Citt sacre d'Asia Minore. Il problema dei
laoi e l'antefatto ittita",

PP, 30, 1975,

pp. 329-344; B. Virgilio,

Il

"tempio-stato" di Pessinunte fra Pergamo e Roma nel Il-I sec. a. C., Pisa
1980, p. 61 e n. 103, L. Boffo, I re ellenistici e i centri religiosi dell'Asia
Minore, Firenze 1985, pp. 17-27.
32

Si tratta di due vasi, uno ritrovato ad Inandiktepe, l'altro a Bitik, sui

quali sembra appunto potersi riconoscere una scena di "nozze sacre", sul cui
significato non per possibile

pronunciarsi.

Sui vasi

cf. T. Ozgii,

Inandiktepe. An Important Cult Center in the 0/d Hittite Period, Ankara


1988, pp. 84-106 e ead., "The Bitik Vase",. Anatolia, 2, 1957, p. 62.
33

Sul mito di Hupaiya vedi F. Pecchioli Daddi- A.M. Polvani, La mito

logia ittita, Brescia 1990, p. 39ss.


34

Cf. ad es. le iscrizioni di epni (Brixhe - Drew-Bear, op. cit.), quelle di

Tyana (E. Varinliolu, "Eine neue altphrygische Inschrift aus Tyana", Epi
graphica Anatolica, 5, 1985, pp. 8-11; M. Vassileva, "Notes on the 'Biack
Stones" from Tyana", ibid., 19, 1992, pp. 1-3).
35

Cf. E. Varinliolu, 'The Phrygian Inscription from Bayindir", Kadmos,

31, 1992, pp. 10-20.


36

Cf. D.M. Cosi, "La simbologia della porta nel Vicino Oriente. Per una

interpretazione dei monumenti rupestri frigi", Ann. Fac. di Lett. e Fil. di


Padova, l, 1976, pp. 113-152, S. Bulu, "The Architectural Use of the
Animai and Kybele Reliefs found in Ankara and Its Vicinity", Source, 7 ,
1988, pp. 16-23.

140

37

Gi J.G. Frazer (Adonis, Attis, Osiris, London 1906, p. 178) aveva indi

cato nella parola "padre" il probabile riferimento etimologico del nome At


tis e nel capitolo successivo lo aveva posto in correlazione con il monu
mento a Midas e con la regalit frigia (id., p. 183).
38

Paus., Per. I 4, 5. Di un culto tombale per Attis a Pessinunte d notizia

anche Finnico Materno, cit. n. 13.


39

Cf. G.F. Del Monte, "Il terrore dei morti", AION, 33, 1977, pp. 373-

385.
40

Id., pp. 374-377.

41

Id., p. 377.

42

Sui resoconti oracolari ittiti relativi all'ira dei morti cf. G.F. Del Monte,

cit., p. 377ss.; id., "Inferno e paradiso nel mondo hittita", in P. Xella


(ed.), Archeologia dell'inferno, Verona 1987, pp. 95-115, p. 103ss.
43

Cf. P. Considine, "The Theme of the Divine Wrath in Ancient East Medi

terranean Literature", SMEA, 8, 1969, pp. 85-159 e P. Xella, Problemi del


mito nel Vicino Oriente antico, Napoli 1976, pp. 80-81.
44

Tale rituale ci noto attraverso numerose tavolette in cuneiforme. La

prima edizione critica si deve a H. Otten, Hethitische Totenrituale, Berlin


1958, trad. frane. di L. Christmann-Franck, RHA, 29, 1961, pp. 61-111.
Cf. in seguito Th.J.P. van den Hout, "Death as Privilege. The Hittite Royal
Funerary Ritual", in J.M. Bremmer - Th.J.P. van den Hout - R. Peters (edd.),
Hidden Futures, Amsterdam 1994, pp. 37-75.
45

Testimonianza della divinizzazione del re defunto anche in un rituale di

sostituzione, cf. G.F. Del Monte, "La fame dei morti", AION, 35, 1975,
pp. 319-346, p. 323.
46

Sulle "Case di pietra" cf. F. Imparati, "Le istituzioni cultuali del


NA #fkur e il potere centrale ittita", SMEA, 18, 1977, pp. 19-64; Del
Monte, La fame; van den Hout, op. cit., pp. 48-52.

47

N fa problema che il corpo di Attis non sia di fatto ivi sepolto: le case

Hkur non contenevano necessariamente i corpi dei sovrani l adorati (van


den Hout, op. cit., p. 49).
48

Un processo di "eroizzazione" sembra essersi compiuto anche per Mi

das, cf. K. De Vries, "Gordion and Phrygia in the Sixth Century B.C.",
Source, 7, 1988, pp. 51-59, pp. 57-58; L.E. Roller, "Phrygian Myth and

141

Cult", Source, 7, 1988, pp. 43-50, p. 48. Si tratta di un aspetto fondamen


tale della religione nell'area siro-anatolica, sulla quale gli studiosi conti
nuano ad attirare giustamente l'attenzione.
49

A seguito dell'invasione dei Cimmeri e alla susseguente sconfitta il re

Midas si uccide. L'evento si colloca nel 696-695 o nel 695-694 a. C.; sul
problema della datazione cf. F. Cssola, "Rapporti tra Greci e Frigi al
tempo di Mida", in R. Gusmani -M. Salvini - P. Vannicelli (edd.), Frigi e
frigio, Roma 1997, pp. 131-152, p. 143.
5

Cf. Virgilio, op. cit.; Boffo, op. cit., pp. 34-41.

51

L' autoevirazione intesa come rinuncia a riprodursi segna il distacco dal

modello dinastico che si basa sul passaggio della regalit di padre in figlio.
52

L'organizzazione del clero pessinuntino fu soggetta a notevoli cambia

menti nel corso del tempo. Le prime testimonianze pongono al suo vertice
due Galli denominati "Attis" e "Battakes" (Il sec.). Successivamente una ri
forma di epoca imperiale (probabilmente sotto Claudio) suddivise il potere
tra dieci sacerdoti "Attis" a vita, cittadini romani (cinque frigi e cinque ga
lati), sotto la supervisione di un archiereus. J. Carcopino (Aspects mysti
ques de la Rome pai"enne, Paris 1941, p. 76ss.) pensa che cos si ponesse

fine all'evirazione degli alti sacerdoti. Secondo S. Mitchell (Anatolia, I,


Oxford 1993, pp. 47-50) a ci avrebbe invece concorso l'immissione di
elementi galati negli alti ruoli sacerdotali e quindi in un'epoca precedente.
Ulteriore prova dell'abbandono

dell'eunuchismo sarebbe

l'attestazione,

nell'ambito dei "dieci", di un padre e di un figlio. Tali trasformazioni im


plicano profondi cambiamenti all'interno dell'organizzazione sacerdotale
ma non comportano, a mio avviso, la negazione del modello antidinastico
precedente. Per quanto mi risulta, infatti, la carica non si trasmette mai di
padre in figlio. E' probabile infine che al clero "romanizzato" di epoca im
periale fosse affiancata una sorta di sacerdozio subalterno costituito
Galli e presieduto da un "arcigallo"

da

(cf. P. Lambrechts - R. Bogaert,

"Asclpios, archigalle pessinontien de Cyble", in Hommages Marcel


Renard, Bruxelles 1969, pp. 404-414, pp. 408-411).
53

Interessante a questo proposito la tradizione riportata da Damascio e

relativa ad Esmounos (Eshmun), nella quale stata vista una tarda versione
orientalizzante (fenicia) del mito "frigio" (Ph. Borgeaud, La Mre des
dieux, Paris 1996, p. 203 n. 101). Cf. in proposito il contributo di P. Xella

in questo volume.

142

54

I. Chirassi Colombo, Elementi di culture precereali nei miti e riti greci,

Roma 1968.
55

Cf. Xella, Problemi, pp. 90-91.

56

Sarebbe interessante indagare su tale motivo che potrebbe derivare da un

influsso egiziano su Erodoto.


57

Per l'arcaicit di tale motivo vedi G. Piccaluga, "La ventura di amare una

divinit", in ead., Minuta/. Saggi di storia delle religioni, Roma 1974, p p .


9-35; Xella, Problemi, p . 90.
58

Cf. in questo senso

l'interpretazione

di U.

Bianchi,

che

assegna

all'integrit del cadavere di Attis il valore di "permanenza della morte",


piuttosto che di resurrezione, anche se tale integrit non interpretabile
come presupposto per un ritorno rituale del dio, cf. infra.
59

Cf. in generale il classico A. Brelich, Gli eroi greci, Roma 1958 e, da ul

timo, cf. P. Merlo - P. Xella, "Da Erwin Rohde ai Rapiuma ugaritici. Ante
cedenti vicino-orientali degli eroi greci?", in S. Ribichini - M. Rocchi - P .
Xella (edd.), La questione delle influenze vicino-orientali sulla religione
greca. Stato degli studi e prospettive di ricerca (Atti del Congresso di
Roma, 19-211511999), in stampa.
60

Rassegna delle fonti in Hepding; sul tema della lamentazione rituale cf.

E. De Martino, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto


di Maria, Torino 19752 (1958).
1
6

De Martino, op. cit., p. 350.

2
6

Schol. in Alexiph. v. 8, in Hepding, p. 9.

63

Diod. Sic., Biblioth. histor. III, 58, in Hepding, p. 16.

64

Arrian., Tactic. 33,4, in Hepding, p.26.

65

Lucian., Tragodopodagra vv. 30-32, in Hepding, p. 29.

66

Eus., Praep. euang. II 2, 4 1 -45, in Hepding, pp. 46-47. Non pu essere

inserita nel dossier la testimonianza di Plutarco (De lside et Osiride 69, i n


Hepding, p. 26), il quale parla di un culto frigio prestato ad una divinit ad
dormentata d'inverno con lamentazioni e svegliata d'estate con canti di
tipo bacchico, senza alcuna menzione diretta di Attis; in un altro luogo Plu
tarco fa esplicito riferimento ad Attis chiamando in causa la tradizione
"lidia" (Sert. l p. 568, in Hepding, p. 26).

143

67

Stat., Silv. V 3, 242-245, in Hepding, p. 23.

68

Firm. Mat., De err. prof relig. III, in Hepding, p. 47ss.

69

Cf. W.S. Ferguson, "The Attic Orgeones", HTR, 37, 1944, pp. 62-144;

M.J. Vermaseren, CCCA Il, pp. 68-69; Borgeaud, op. cit., pp. 46-47.
70

Hepding, pp. 79-80, n. 9

71

Hepding, pp. 80-81, n. 10

72

Cf. Hepding, pp. 136-137.

73

Vermaseren CCCA II, n. 262.

Vermaseren CCCA Il, n. 263.

Si tratta di un sacrificio che prevede l'uccisione di un toro (a cui spesso

associato anche un criobolio o sacrificio di un ariete) e uno speciale tratta


mento dei suoi genitali che vengono infine sepolti. Se in epoca pi tarda
esso si sia o meno trasformato in una pioggia di sangue che dalla vittima s i
riversava sul "tauroboliato", discusso dagli studiosi. Esso comunque ap
pare un rito di "sostituzione" rispetto al sacrificio dei Galli che consente di
entrare in contatto con la Grande Madre e (successivamente) con Attis sia
agli uomini che alle donne. Fonti in R. Duthoy, The Taurobolium, Leiden
1969, la cui articolazione del fenomeno in tre fasi distinte per critica
bile.
74

E' il sacerdote supremo del culto e, a differenza dei Galli, pu essere un

cittadino romano, non obbligato ad evirarsi e pu perfino sposarsi. Su


tale carica cf. Carcopino, op. cit., pp. 76-109; Lambrechts - Bogaert, o p .
c it .
75

I l taurobolio era praticato dall' Arcigallo per ordine della divinit

molto spesso era finalizzato ad assicurare la salute dell'Imperatore.


76

Philoc. Fasti anno 365 p. C. conscripti, in Hepding, p. 51.

77

Jul., Or. V,165b, e Sali., De diis et mundo, IV.

78

Arn., Adv. Nat.V 7.

79

Fonti sui Galli in G.M. Sanders, s.v.

Gallos, RAC, 8, 1972, pp. 984-

1034. Sulla loro funzione cf. recentemente W. Roscoe, "Priests of the


Goddess: Gender Transgression in Ancient Religion", HR, 35, 1996, p p .
195-230.
80

Una panoramica delle principali fasi del rituale di marzo a Roma in G.

Thomas, "Magna Mater and Attis", ANRW II 17, 3, pp. 1500-1535.

144

La lamentazione della Madre degli di ricordata anche dallo scoliaste di

Nicandro, in Hepding, p. 9. Sulla gestualit rituale della lamentazione fu


nebre antica e il suo valore storico-religioso e antropologico cf. De Mar
tino, op. cit., pp. 195-235.
82

Tale interpretazione, la definizione di "dio in vicenda" per alc ne di que

ste figure e la proposta di una relativa tipologia

storica si devono a U.

Bianchi e alla sua scuola. Per ricordare solo alcuni studi: U. Bianchi,
"Initiation,

mystre, gnose", in C.J. Bleeker (ed.), lnitiation,

Leiden

1965, pp. 154-171


id., Selected Essays on Gnosticism, Dualism and
Mysteriosophy, Leiden 1978, pp. 159-176; id., La salvezza nei culti mi
sferici dell'Impero romano, Faenza 1983, pp. 1-20; id., "Lo studio delle re
=

ligioni di mistero. L'intenzione del Colloquio", in U. Bianchi - M.J. Ver


maseren (edd.), The Soteriology of the Orientai Cults in Roman Empire,
Leiden 1982, pp. 1-15; id., "Epilegomena", in ibid., pp. 917-930; G. Sfa
meni Gasparro, Soteriology and Mystic Aspects in the Cult of Cybele and
Attis, Leiden 1985; D.M. Cosi, "Salvatore e salvezza nei misteri di Attis",
Aevum, 50, 1976, pp. 42-71.
83

Neanche la sterilit/carestia provocata dalla morte di Attis in Diodoro

Siculo pu essere addotta come testimonianza in questo senso, poich un


tema che nel mondo antico non collegato alla fertilit, bens al versa
mento di sangue innocente.
84

Cf. l'inno di et adrianea citato dai Naasseni in cui Attis detto spiga

verde mietuta>> (in Hepding, p. 34) o Porfirio che fa del personaggio


l'immagine del fiore senza frutto (immagine poi ripresa e rielaborata da Eu
sebio e Agostino) (in Hepding, p. 47 e p. 69). Per l'eccezione costituita da
Firrnico Materno che collega Attis al grano mietuto cf. infra.
85

La nascita di Attis dal frutto di un melograno (Arnobio) o di

un

mandorlo

(Pausania) rimanda al tema della nascita "miracolosa", presente in molti


racconti mitologici di tipo "eroico", a cui si aggiunge qui la necessit di far
nascere Attis senza padre e senza un rapporto sessuale.
8

Cf. F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funraire des Romains,

Paris 1942, p. 219. Di particolare interesse sono il taglio e il trasporto


processionale di un abete nel funerale rumeno di Lazzaro Boia di cui ci d
notizia De Martino, op. cit., pp. 182-192, a cui viene anche dedicata una
sorta di canto funebre. Si noti, tra l'altro, che l'abete viene addobbato con
lana (p. 188) e che le donne piangono alla sua vista (p. 183).

145

87

L'immaginetta di Attis che veniva appesa probabilmente al pino (Firm.

Mat., De err. prof XXVII, l; il rilievo di Ostia [M.J. Vermaseren, The


Legend of Attis in Greek and Roman Art, Leiden 1966, p. 35 e Pl. XXI, l])
sottolineano la stretta associazione fra il personaggio e l'albero.
88

Fonti in H. Graillot, Le eu/te de Cybele Mre des dieux a Rome et dans

l'empire Romain, Paris 1912, p. 127, n. 2.


89

F. Cumont, Lux perpetua, Paris 1949, p. 45,

Cumont (Lux, p. 45 e n.l) riporta il passo di Servio (Ad Aen. V 79) i n

cui si sottolinea

come sulla tomba vadano preferibilmente deposti fiori

rossi ad sanguinis imitationem, ubi sedes animae.


91

Cf. Ovid., Fasti II: Tegula porrectis satis est velata coronis,/Et sparsae

fruges, parcaque mica salis,/ Inque mero mollita ceres, violae solutae:/Haec
habeat media testa relicta via.
92

CIL VI 10234, cf. Cumont, Lux, p. 45.

93

CIL VI 10248 e anche CIL VI 10239, entrambe citate in H. Graillot, o p .

cit., p . 145 e n . 5.
94

Come gi evidenziato sopra (n. 52), nonostante una riforma d'epoca im

periale escludesse gli eunuchi dalle alte cariche sacerdotali, non fu sop
presso l'ordine dei Galli che, sotto un Arcigallo, continuavano a far parte
dell'organico istituzionale del tempio.
95

Cf. Graillot, op. cit., p. 128.

96

Dallo stesso complesso provengono tanto la statua di Attis omnipo

tens, quanto quella in cui rappresentata la sua agonia.


97

Sugli Hilaria sono state espresse opinioni diverse, ma l'interpretazione

pi accreditata quella di Vermaseren , per cui tali feste sono da collocarsi


prima della lavatio e non sembrano note prima del IV secolo. Cf. M.J.
Vermaseren, Cybele and Attis, London 1977, pp. 119-123.
98

Il racconto di Valerio Fiacco (Arg. VIII, 239-249, in Hepding, p. 22)

non pu essere preso in considerazione poich si limita a descrivere il ca


rattere gioioso in cui si svolgeva il trasporto dell'immagine di Cybele at
traverso la citt dopo il bagno purificatorio nell'Almo.
99

Tale rifiuto senz'altro assimilabile al "tradimento" di Attis che sceglie

di sposarsi.

146

100

A proposito dell'equazione Attis-grano proposta da Firmico scrive I.


Chrassi Colombo: <<E' un tipo di interpretazione che con ogni probabilit

coglie parzialmente un aspetto di Attis, quello economico-agrario appun


tato sull'articolazione calendariale in funzione anche agricola. Ma certo
non ne esaurisce e neppure definisce in maniera accettabile la pi com
plessa ratio teologico-ideologica>> ("Modalit dell'interpretatio cristiana di
culti pagani>>, in M. Pavan [ed.], Mondo classico e Cristianesimo, Roma

1989, pp. 30-43, p. 41 ).


101

Paradossalmente, anche le vicende del Cristo furono lette in chiave di

passione vegetale, cf. E. De Martino, "La messe del dolore", SMSR, 28,

1957, pp. 1-53, che in chiusura del suo studio menziona la frase di una con
tadina neogreca in occasione della Pasqua (XX sec.): <<Sono in ansia perch
se domani Cristo non risorge, noi quest'anno non avremo grano>> (ripresa
in Morte e pianto rituale, p. 344).
102

Anche se Giuliano (V Or., in Hepding, pp. 51-58) riferisce su uno

"squillo di tromba" che segue la dendrophoria e precede gli Hilaria (l69c) e


Sallustio (de diis et mundo IV, in Hepding, pp. 58-59) allude alla consuma
zione di un pasto a base di latte, essi li presentano gi in una versione
"rivisitata" non offrendo alcuna informazione sul significato che essi rive
stivano nel rituale.
103
104

Vita Isidori excerpta a Photio, 131, in Hepding, p. 74.


Su Hierapolis e il barathron cf. T. Ritti, "Hierapolis di Frigia: santuari e

dediche votive", Scienze dell'Antichit, 3-4, 1989-90, pp. 861-874.


105

Strab., 13, 4, 14; Plin. N.H. 2, 208, Amm. Mare. 23, 6, 18, Cassius

Dio, 68, 27.


106
107

Cf. Ritti, op. cit., p. 863.


Qui non interessa attraverso quale espediente raggiungessero il risul

tato, quanto il risultato stesso ed il significato che se ne traeva.


108

Asklepiodotos, che narra a Damascio di aver compiuto una parziale di

scesa nella voragine, aggiunge che chi era enthousion, cio posseduto da
Cybele, poteva percorrere l'intero cammino (Vita Isidori, 131). Chi pi dei
Galli, che a seguito della mutilazione sono in rapporto permanente con la
divinit, aveva diritto di procedere lungo tale percorso?
1 09

Cf. Strabo, 13, 4, 14.

147

11

Che, a mio avviso, festeggia piuttosto il fatto che Attis continui a vi

vere, ma negli Inferi.


111

Cf. Vermaseren, The Legend, Leiden 1966, pp. 31-38; id., "L'icono

graphie d'Attis mourant", in R. van den Broeck -M. J. Vermaseren (edd.),


Studies in Gnosticism and Hellenistic Religions,

Presented to

Gilles

Quispel, Leiden 1981, pp. 419-431.


112

Cf. Graillot, op. cit., p. 438 e 500; Vermaseren, The Legend, p. 18;

Cosi, "Salvatore e salvezza", p. 69 n. 169; Sfameni Gasparro, Soterio


logy, pp. 90-92 (riferimenti bibliografici).
113

Cf. Sfameni Gasparro, Soteriology, pp. 92-93 e nn. 36-42 (riferimenti

bibliografici).
114

Cf. Cosi, "Salvatore e salvezza", pp. 70-71. Un'eccezione sarebbe co

stituita dal sarcofago in cui Attis personifica invece la primavera ma la per


dita dell'oggetto, di cui si possiede attualmente solo un disegno, rende in
controllabile la fonte (id., p. 71).
115

Cf. S. Ribichini, "Salvezza ed escatologia nella vicenda di Adonis?", in

Bianchi - Vermaseren (edd.), op. cit., pp. 633-648; A.D. Nock, "Cremation
and Burial in the Roman Empire", HTR, 25, 1932, pp. 321-359, p. 356 =
id., Essays on Religion and the Ancient World, I-11, Oxford 1971, l, p p .
277-307, p . 305. Secondo P . Boyanc, "Funus acerbus", REA, 54, 1 9 5 2,
pp. 275-289 =id., tudes sur la religion romaine, Roma 1972, pp. 73-89,
sui monumenti funerari Attis sarebbe da ricondurre al tema dell' aoros, cio
colui che muore prima del tempo.
116

CIL VI 10098, in Hepding, p. 91 n. 43; CIG 6206; F. Biicheler, Car

mina latina epigraphica, Leipzig 1895, I, n. 513, p. 245ss.;

discusse i n

Sfameni Gasparro, Soteriology, pp. 94-96.


117

Rassegna delle fonti e delle interpretazioni in Sfameni Gasparro, Sote

riology, pp. 97-102.


118

Sul simbolismo funerario a Roma ancora fondamentali i lavori di

Cumont, cit. nn. 88 e 91.


119

Cf. l'iscrizione romana del I sec. d. C. in cui il defunto chiede alla sanc

tissima mater (di cui non certa l'identit) di essere sollevato fino ai con
fini del Tartaro; l'iscrizione funeraria relativa ad un vates frugae mater
(forse un sacerdote della Grande Madre) in cui c' un riferimento alla no
zione dell'immortalit celeste dell'anima; un cippo funerario su cui rap-

148

presentato Attis in atteggiamento malinconico e dove si dice che l'anima


del defunto risalir il sacro cielo (fonti e rassegna delle interpretazioni i n
Sfameni Gasparro, Soteriology, pp. 97-98).
120

Mi riferisco in particolare alla posizione degli gnostici Naasseni di cui

ci d notizia Ippolito nel V libro della Refutatio omnium haeresium (V 611); alla V Orazione, Alla rruulre degli di, dell'imperatore Giuliano e al
trattato del filosofo Sallustio, De diis et mundo, c. IV. Cf. per i primi M.G.
Lancellotti, The Naassenes. A Gnostic ldentity Among Judaism, Christia

Classica[ and Ancient Near Eastern Traditions, Miinster 2000; per

nity,

Giuliano (e Sallustio) cf. D.M. Cosi, Casta Mater ldaea, Venezia 1986.
121

Naturalmente con gli opportuni distinguo tra la posizione neoplatonica

di Giuliano e Sallustio e quella gnostica dei Naasseni.


122
123

E' il toro ad essere castrato.


Cf. I. Chirassi Colombo, "Il sacrificio dell'essere divino e l'ideologia

della salvezza

nei

tre

pi

noti

sistemi

misterici

dei primi

secoli

dell'Impero", in Bianchi - Vermaseren (edd.), op. cit., pp. 308-330, p .


326.
124

Cf. A. Brelich, "Politeismo e soteriologia", in S.G.F. Brandon (ed.),

The Saviour God, Manchester 1963, pp. 37-50.


125

Cf.

Chirassi

Colombo,

"Il

sacrificio",

pp.

326-327;

Ribichirii,

"Salvezza", pp. 636-637.


126

Ai quali secondo Prudenzio (Perist. X 1061-1065) e Agostino (De C i v.

Dei VII 26) era riservato un destino beato nell'aldil.


127

Questo, al di l delle interpretazioni degli studiosi moderni, era quanto

pensavano gli antichi.


128

I Galli guariscono tanto la mente che il corpo, praticano ritruali di puri

ficazione, predicono il futuro, etc. (cf. Graillot, op. cit., pp. 306-312); i l

taurobolio legato al benessere dell'individuo e/o dell'imperatore; n o n


mancano nelle epigrafi tauroboliche riferimenti a d una salute pi "elevata",
ma anche questa rapportabile comunque all'esistenza attuale (Duthoy, o p .
cit., nn. 1 3 e 33). La necessit della ripetizione del rito sembra implicare
che si trattasse di una prassi essenzialmente purificatoria. Circa la dichiara
zione del tauroboliato che afferma di essere in eternum renatus (Duthoy, op.
cit., n. 23), va rilevato che il termine aeternus implica il concetto di pe

rennit, piuttosto che quello di eternit trascendente in senso cristiano (cf.


R. Turcan, Les cultes orientaux dans le monde romain, Paris 1989, p. 58).

149

129

Sul pericolo parallelo e contrario, secondo cui gli autori evangelici sa

rebbero stati coscienti che Cristo avrebbe potuto facilmente essere caratte
rizzato secondo un modello eroico, cf. H.-D. Betz, "Heroenverehrung und
Christglaube.

Religionsgeschichtliche

Beobachtungen

zu

Philostrats

Heroicus", in H. Cancik- H. Lichtenberger- P. Schafer (edd.), Geschichte Tradition - Reflektion. Fs fiir Martin Hengel, II, Ttibingen 1996, pp. 119-

139
id., Antike und Christentum. Gesammelte Aufsiitze IV, Ttibingen
1998, pp. 128-151.
=

150

DEMETRA E KORE-PERSEFONE A ELEUSI


Assenze divine e destini umani
GIULIA SFAMENI GASPARRO

E la bionda Demetra sedendo nel tempio, rimaneva in disparte di


tutti gli di, struggendosi nel rimpianto della figlia dalla vita sottile. E
sulla terra feconda ella rese quell'anno infausto per gli uomini, tre
mendo; n pi il suolo lasciava germogliare i semi, poich li teneva
nascosti Demetra dalla bella corona1
I versi dell' "Inno a Demetra", il secondo della raccolta di 33 canti
in onore degli di olimpici tramandata sotto il nome di Omero, offrono
la prima, vivida immagine di un penthos divino che tragicamente
sconvolge l'equilibrio dei livelli divino e umano e dello scenario co
smico in cui essi convergono ed esercitano le rispettive competenze. Il
"mito" narrato in questo documento uno dei pi noti e diffusi in tut
to l'arco temporale e geografico del mondo antico e quello su cui co
stantemente si impegnata l'esegesi degli interpreti moderni delle pi
diverse ispirazioni metodologiche, con risultati in varia misura utili a
illustrarne le molteplici valenze.
Una delle ragioni di tale popolarit e interesse, come noto,

data

dal rapporto imprescindibile della narrazione del poeta "omerico" con

l'istituzione cultuale dei Misteri di Eleusi che a sua volta rappresenta


uno dei pi antichi e vitali centri propulsori della vita religiosa della
Grecia e, a partire dall'et ellenistica, dell'intera oikoumene mediterra
nea. Tuttavia la medesima vicenda divina che costituisce l'oggetto

di

quel racconto si rifrange in innumerevoli versioni spesso legate a culti


locali e in particolare risulta connessa con il rituale panellenico

dei

Thesmophoria che, pur con numerose e importanti varianti nel tempo

e nello spazio, rappresenta anch'esso una costante essenziale dell'uni


verso religioso ellenico, sia nella Grecia sia nelle colonie orientali e
occidentali.
Nonostante la ricchezza degli interventi critici sul tema, esso conti
nua a offrire materia di riflessione allo storico delle religioni soprat
tutto in ragione della peculiarit del motivo centrale dell'intero quadro,
nella sua duplice componente mitica e cultuale, ossia quello icastica
mente evocato nei versi sopra citati: dolore divino espresso nella la151

tenza (Demetra chiusa nel tempio, lontana dall'Olimpo, invisibile a dei


e a uomini) e causa di una mortale crisi a livello cosmico e umano. In
sieme con la sofferenza e il nascondimento della dea "dalla bella co
rona", anzi premessa e causa di essi, i versi omerici menzionano un'al
tra decisiva assenza, con relativo penthos, quella della "figlia dalla vita
sottile", la Kore divina, Persefone, protagonista in prima persona del
dramma della scomparsa.
Per una corretta analisi del motivo necessario richiamare, sia pure
per sommi capi, la trama del racconto anche se esso risulta familiare a
chiunque abbia un sia pur minimo contatto con le tradizioni religiose
classiche, al punto da apparire quasi ovvio se non banale. Il confronto
diretto con le fonti, peraltro, permette di percepire tutta la complessit
e densit del "mito" quale realt mobile e dinamica, espressa in un nu
mero ampio di varianti, ciascuna importante e aperta a sempre nuove
dimensioni e significati, ancorata ad un particolare contesto storico e
culturale. Di ciascuna pertanto necessario misurare di volta in volta
il valore e il rapporto con tutte le altre parallele o discordanti.
In questa sede non certo possibile procedere ad un'analisi compa
rata delle numerose tradizioni mitiche pertinenti alla vicenda di Deme
tra e della Figlia, spesso riflesse in fonti letterarie di carattere scolia
stico e ipomnematico o contenenti soltanto brevi e cursorie allusioni a
un tema universalmente noto, di valore documentario diverso in rela
zione all'et e al grado di correttezza delle informazioni possedute ov
vero della libert nel riferirle, soprattutto nel caso di poeti che autono
mamente elaborano i dati tradizionali. Anche le fonti monumentali,
epigrafiche e figurate, offrono materiali importanti alla ricostruzione
del panorama mitico e in alcuni casi integrano efficacemente le lacune
della documentazione testuale ma in pari tempo propogono difficili
questioni interpretative, che solo una paziente analisi comparativa
permette di affrontare e in parte risolvere.
Intendiamo piuttosto concentrare l'attenzione sull'ambito eleusino,
costituente una sfera qualificata e storicamente definita del pi ampio
scenario demetriaco, al fine di individuare e circoscrivere le modalit di
espressione e di funzionamento all'interno di esso del tema proposto,
operando peraltro gli opportuni sondaggi comparativi in altre aree mi
tico-cultuali di quello scenario che si rivelino utili alla valutazione sto
rico-religiosa del tema medesimo. A tal fine l' "Inno a Demetra", per
l'antichit (ca. 600 a. C.) e l'ampia articolazione narrativa, costituisce
152

il punto di partenza obbligato del discorso e un imprescindibile para


metro di riferimento per tutto il resto della successiva tradizione rnitica
che spesso e in diverse proporzioni mostra di averne subito l'influsso.
La vicenda ha inizio nella "pianura di Nisa", luogo di una geografia
mitica ma pure inteso a situare nella terra degli uomini gli accadimenti
divini. In esso vaga la figlia di Demetra, insieme con altre fanciulle, le
Oceanine, giocosamente intenta a raccogliere fiori: un narciso di straor
dinaria bellezza attrae la fanciulla che lo strappa dal suolo. Il fiore, tut
tavia, costituisce lo strumento di un inganno: fatto germogliare dalla
"Terra, per volere di Zeus compiacendo il dio che molti uomini acco
glie", esso provoca nel terreno una scissura da cui emerge Hades, il so
vrano degli Inferi, alla guida del suo carro. Egli rapisce la fanciulla tra
scinandola via sul cocchio, incurante delle grida di lei che invoca il pa
dre Zeus, il quale peraltro non l'ascolta, chiuso in un suo tempio e in
tento a ricevere le offerte degli uomin{ Solo due presenze divine per
cepiscono il dramma : odono le grida la potenza ctonia Beate, "dal suo
antro", e il dio celeste Helios. Ma esse giungono anche a Demetra che

istantaneamente subisce uno stravolgimento radicale del proprio statu


to divino: Un acuto dolore la colse nell'animo: sulle chiome divine
lacerava con l mani il suo diadema, si gettava sulle spalle un cupo ve
lo, e si slanci sopra le terra e il mare, come un uccello alla ricerca
(vv. 40-44).

Gi in queste prime battute si delineano le direttrici essenziali del

quadro, che il resto della narrazione definir sempre pi nettamente nel


senso di una duplice e convergente "latenza" divina, la quale si risol
ver infine in un ritorno qualificato e differenziato per le due protagoni
ste del dramma. Comunque il primo e significante elemento della si
tuazione appare senz'altro proprio questa circostanza: non soltanto la
Fanciulla rapita ad essere coinvolta nel movimento di presenza-assenza

e ritorno, ma anche la Madre. Si vedr anzi come, a fronte del carattere


sostanzialmente passivo della Kore, il ruolo di Demetra quello pre

minente ed efficacemente attivo: pur nella connotazione "patetica" che

l'autore dell'Inno sottolinea con tratti vivaci e che comunque risulta


tema costante dell'intera tradizione mitica, la dea si mostra attrice con
sapevole e determinata della vicenda, scegliendo di volta in volta l'epi
fania e il nascondimento con effetti decisivi sull'Intero contesto divino,
cosmico e umano.

153

La narrazione descrive quindi il vagabondaggio di Demetra sulla ter


ra, che ella percorre per nove giorni agitando le "fiaccole ardenti", sen
za prendere n ambrosia o nettare, cibo divino, n lavacro, fino a quan
do Ecate le si fa incontro, anch'essa reggendo una torcia3, e l'informa di
aver udito le grida di Persefone, senza tuttavia aver potuto scorgere il

suo rapitore.
La Madre allora si rivolge a Helios che tutto osserva dal cielo per

conoscere finalmente la sorte della Figlia e il dio non si sottrae alla ri


chiesta. Le sue parole, mentre chiariscono l'accaduto, delineano una si

tuazione perfettamente aderente alla visione olimpica dei rapporti di


vini, fondati sulle alleanze matrimoniali e sul rispetto dei diversi am

biti di competenza delle grandi personalit del pantheon: Persefone


stata concessa come sposa dal padre Zeus al fratello Hades, sovrano de
gli Inferi, ossia di quel terzo "dipartimento" che, con il cielo e la sfera

delle acque, rappresenta la totalit dell'universo spartito fra i tre mag

giori fratelli

Zeus, Poseidone e Hades - quando, cessate le lotte teo

goniche, si stabilirono gli attuali assetti divini e cosmici".


Quest'annuncio, con la constatazione dell'avvenuta aggregazione
nuziale della Figlia a un dio detentore di un essenziale "onore", appar
tenente alla sua stessa famiglia, essendogli anzi fratello, dovrebbe met

tere fine all'angoscia della Madre. Al contrario, la reazione di Demetra

tale da contraddire in radice la logica medesima della prospettiva

olimpica e da ribaltare il principio su cui essa si fonda, ossia il rispet


to delle diverse e complementari timai delle figure che la compongono,
rifiutando di accettare la volont di Zeus e lo statuto di Persefone come
sposa di Hades e sovrana degli inferi'.
E in seguito, adirata contro il figlio di Crono, dalle nere nubi, ab

bandonando il consesso degli dei e il vasto Olimpo, andava tra le citt


degli uomini e i pingui campi, celando il suo aspetto, per molto tem
po (vv. 91-94). Ha inizio in tal modo una fase della vicenda divina

che, fuori dagli schemi delle pur varie e complesse avventure di aspet

to antropomorfico degli dei greci e certo irriducibile a parametri logici,


come vorrebbero alcuni interpreti6, instaura prospettive nuove. Essa ri
sulta modulata tipicamente sul tema dell'assenza e della presenza, del

nascondimento e dell'epifania, del lutto legato ad una latenza che as

sume i caratteri di una morte (nella sua peculiare accezione divina di

soggiorno in una dimora intransitabile come quella infera di Hades) e

154

della gioia per il ritrovamento e il ritorno alla luce del sole e al


l'Olimpo.
E' necessario dunque percorrere il filo del racconto quale si dipana
nell'Inno e poi verificare se quel tema rappresenti un' "invenzione", sia
pure sacralmente qualificata in quanto connessa in maniera funzionale
all'istituzione misterica, ovvero rifletta concezioni e strutture mitiche
pi ampiamente panelleniche anche se in varia misura rimodulate in
rapporto a quella istituzione che indubbiamente s'impone come qualifi
cato parametro di riferimento dell'intero discorso del poeta omerico.
Egli redige un'opera letteraria, priva di qualsiasi valenza "liturgica" o
pi latamente sacrale in rapporto al culto misterico. Tuttavia, secondo
i canoni della poesia greca arcaica, il suo parlare di personaggi ed even
ti divini obbedisce alle regole dell'adeguamento pi o meno forte ad un
patrimonio tradizionale di elementi mitic. Questi in particolare sono
qui connessi con una sfera rituale

quella dei Misteri di Eleusi- che ri

sulta gi solidamente costituita e che numerosi e qualificati indizi mo


strano costantemente presente all'attenzione dell'autore nel dispie
gamento del suo canto rivolto a celebrare Demetra dalle belle chiome,
dea veneranda... e con lei la figlia dalle belle caviglie {v. l s.), se
condo i pi accreditati formulari della poesia epica.
Demetra adirata si allontana dali'Olimpo e percorre le strade degli
uomini. Ella pertanto in una tipica situazione di "latenza" rispetto al
suo statuto divino ma risulta tale, paradossalmente, anche rispetto alla
sfera umana nella quale penetra, confondendosi con i suoi abitanti. In
fatti cela il suo aspetto e non viene riconosciuta da alcuno: per una dea
infatti, assumere una figura e un comportamento umani significa un'
"assenza", un "non esserci", in quanto la sua identit e rimane quella
divina. Tale identit, pur nel travestimento e nel simpatetico coinvol
gimento, nelle forme del lutto, nelle condizioni d esistenza umane,
non pu mai assimilarsi a queste ultime. Si vedr presto, infatti, come
la partecipazione di Demetra alle attivit degli uomini in funzione di
nutrice di un piccolo fanciullo sar motivo di crisi, minacciando di
sconvolgere i rapporti fra uomini e di. L'equilibrio si stabilisce quan
do la dea si fa presente e riprende intera e senza infingimenti la propria
dimensione divina, esercitando sia la propria funzione cosmica di di
spensatrice dei beni cerealicoli sia la peculiare funzione sacrale di isti
tutrice di un culto. Fra questi termini estremi s'inserisce un'altra al-

155

ternanza di assenza-presenza, quella di Kore-Persefone che, a differenza


della Madre, verr a stabilizzarsi proprio in quel movimento alterno.
La peregrinazione di Demetra si arresta ad Eleusi, rendendo scoperte
le peculiari valnze di questa versione mitica, ossia le sue connotazioni
"locali" di tradizione "eleusina", peraltro in perfetta conformit ad uno
schema mitico panellenico che conosce numerose xenie demetriache,

spesso anch'esse collegate a impianti sacri e a culti locali. Si pu af

fermare infatti che un aspetto tipico della vicenda delle due dee consiste
proprio nella sua disponibilit ad aprirsi ad incontri sempre nuovi e a
localizzazioni sempre diverse, configurando una "cartografia" senza
confini, capace di abbracciare molteplici sedi di comunit umane, sa
cralizzandole come luoghi di sosta della dea peregrina e in lutto ovvero
7
come scenari del ratto e del ritorno di Persefone
I momenti forti della sosta della dea ad Eleusi sono innanzi tutto il

suo sedere presso il pozzo Partenio in figura di anziana donna e l'in

contro con le figlie del re Celeo che la invitano nella loro casa, presso
la madre Metanira, affinch possa divenire nutrice dell'ultimo nato,
Demoofonte. La dea, dopo aver presentato se stessa come proveniente
da Creta, essendo stata rapita da pirati ai quali sfuggita una volta ap

prodata al porto attico di Torico, acconsente di recarsi alla reggia. Qui


l'accoglie Metanira che, pur ignorando l'identit della donna, ne intui
sce il carattere eccezionale allorch, varcando la soglia, riemp il ve
stibolo di una luce sovrumana (v. 189).
Si ha quindi una scena in cui gli interpreti, pressoch concordi, ri
conoscono una serie di allusioni ad atti rituali pertinenti al culto eleu
sino, anche se non legati a quella componente esoterica che ne costi
tuisce il nucleo essenziale rimasto sostanzialmente inviolato nono
stante l'ampio arco, pi che millenario, della sua storia e le migliaia di
iniziati che vi hanno preso parte. Demetra rifiuta di prendere posto sul
trono regale offertole da Metanira e siede invece su uno sgabello rico
perto da una pelle di animale" in atteggiamento di lutto e con il capo e
il volto velati, immobile, senza

cibo e bevanda. L'intervento di una

donna, l'operosa lambe, riesce a infrangere il doloroso silenzio della


dea inducendola al riso con i suoi motteggi9: respinta una coppa di vi
no, che dichiara esserle vietato, Demetra ordina una bevanda composta
di acqua, con farina d'orzo, mescolandovi la menta delicata. Si tratta
- come esplicitamente affermato - del ciceone che le fonti ci mostra
no essere sorbito dagli iniziati eleusini in una fase imprecisata del rito.

156

La connessione con quest'ultimo, del resto, scoperta nelle parole del


poeta che, con espressione per alcuni versi enigmatica, comunque evo
ca la sfera del "sacro": con il suo gesto la dea inaugur il rito (vv.

190-221).
Segue il noto episodio della tentata immortalizzazione di Demoo
fonte che ha attratto in maniera speciale l'attenzione degli studiosi e da
to luogo a diverse e spesso contraddittorie interpretazioni: fra tutte, e
senza pregiudizio della validit di analisi rivolte a indagare le possibili
ascendenze storiche dell'uno e dell'altro elemento della prassi attuata
dalla dea (riti di aggregazione alla famiglia, antiche procedure iniziati
che etc.), riteniamo pi pertinente quella, formalizzata con adeguate ar
gomentazioni da U. Bianchi, che lo collega funzionalmente alla speci

fica "ideologia" dei misteri 10 Secondo tale interpretazione, infatti, la


procedura immortalizzante rientra a pieno titolo nella prospettiva reli
giosa "olimpica" che contempla una netta separazione fra gli di e gli
uomini sotto il profilo del rispettivo statuto di immortalit beata degli
uni e di dolorosa mortalit degli altri. Solo. per un eccezionale favore
divino, riservato a qualche individuo privilegiato, possibile travali
care il confine fra le due condizioni e accedere, da parte dell'uomo, alla
prerogativa degli di. La riuscita del processo di immortalizzazione nei
confronti del proprio "alunno" da parte della divina nutrice avrebbe san
zionato tale prospettiva a beneficio di un singolo individuo.
A fronte di questa situazione, invece, si instaura la prospettiva
"mistica"" propria della nuova istituzione misterica: essa -

come sar

affermato a conclusione della vicenda - aperta a tutti gli uomini che,


mantenendo la propria identit di esseri patibili e mortali, potranno
tuttavia godere di prospettive felici per la vita presente e per quella che
li attende al di l della soglia della morte. La partecipazione ai riti se
greti di Eleusi procura infatti a tutti coloro che piamente vi accedano il
favore delle due dee, a cui prestato il culto dovuto.
L'episodio in questione, in pari tempo, assolve la funzione di rive
lare la vera natura della nutrice e quindi porre le premesse per la solu
zione definitiva della crisi: di fatto, l'assenza di Demetra dali'Olimpo e
la sua

presenza, latente e "mascherata", fra gli uomini configurano

una situazione anomala, gravida di rischi e quindi destinata ad essere


superata.
Accade che il bambino affidato alle cure dell'anziana straniera cresce
in maniera eccezionale, simile a un essere divino, senza prendere ci-

157

bo, senza succhiare il bianco latte: Demetra lo ungeva d'ambrosia co


me il figlio di un dio, dolcemente soffiando su di lui e stringendolo al
seno. Di notte, lo celava nella vampa del fuoco, come un tizzone (vv.

235-239). E' appunto quest'ultima azione che, spiata nottetempo m


Metanira sospettosa, suscita lo spavento della madre che, lanciando un
grido, interrompe la procedura immortalizzante. Demetra infatti, adi
rata, allontana bruscamente da s il fanciullo deponendolo a terra, ossia
restituendolo alla sua natura mortale, e in pari tempo rivela la propria
identit. Mentre al bambino promesso un privilegio imperituro
consistente in una pratica rituale in suo onore, per s la dea chiede
l'erezione di una sacra sede e promette l'istituzione di nuovi riti: lo
sono l'augusta Demetra, colei che pi d'ogni altro agl'immortali e ai
mortali offre gioia e conforto. Orbene: per me un grande tempio, e in
esso un'ara, tutto il popolo innalzi ai piedi della rocca e del suo muro
sublime, pi in alto del Callicoro, sopra un contrafforte del colle; io
stessa v'insegner il rito, affinch in futuro celebrandolo piamente pos
siate placare il mio animo (vv. 268-274).
L'epifania della dea implica una chiara assunzione dei propri poteri
nei confronti degli uomini ai quali richiede i dovuti omaggi, tradizio
nalmente espressi nella prospettiva religiosa greca come offerta di una
12
sacra dimora e di un culto atto a propiziare il favore divino. Tuttavia,
nel momento stesso in cui si configura una volont di presenza effica
ce a livello umano, si realizza una pi radicale e tragica "assenza": do
po il compimento dell'ordine divino da parte del re Celeo e dell'intero
popolo eleusino, Demetra- secondo quanto affermato nei versi citati ad
apertura del nostro discorso - si segrega nel tempio in preda al dolore e
all'ira, lontana da di e uomini, e procura la scomparsa di ogni forma
di fecondit vegetale.
Questo evento si integra compiutamente nella logica tipica di una
struttura religiosa di tipo politeistico, in cui le grandi personalit di
vine risultano connesse ai grandi dipartimenti cosmici di cui garanti
scono l'ordinato funzionamento. La dea in lutto ribalta questa logica,
sospendendo- con la sua latenza- la funzionalit della sua sfera di atti
vit, ossia la fecondit vegetale nella forma culturalmente definita di
prodotto dell'attivit agraria umana. Quest'ultima, di fatto, si fonda sul
potere divino di Demetra senza il cui supporto perde qualsiasi efficacia:
Molti ricurvi aratri i buoi trascinavano invano sui campi, molto can
dido orzo cadde a vuoto nei solchi (vv. 308-309).

158

Ne risulta uno stravolgimento dell'intero ordine divino, cosmico e


umano, una sorta di insorgenza del caos primordiale, anteriore allo sta
bilimento delle rispettive sfere di competenze di di e uomini. Infatti,
l'estinzione di questi ultimi minacciata dalla carestia avrebbe procurato
la cessazione dello splendido privilegio (time') degli di, consistente
nelle offerte sacrificali, ossia la perdita stessa dell'identit divina che si
realizza attraverso il suo riconoscimento sacrale da parte degli uomini.
Soltanto tenendo presente questa prospettiva, esplicitamente enunciata
nel nostro testo", si pu misurare tutto il significato storico-religioso
del tema in esame e, attraverso l'analisi del complesso documentario,
valutarne i rapporti con l'istituzione misterica da una parte e con il re
stante quadro rnitico-cultuale demetriaco dall'altra.
In conformit con la struttura dinastico-dipartimentale del pantheon
greco, l'onere e il potere di intervenire per risolvere la crisi spetta

al

sovrano di quel pantheon medesimo, Zeus, il quale peraltro deve rispet


tarne le regole strutturali: egli infatti non pu imporre a Demetra il ri
torno e il ripristino delle sue funzioni ma solo "persuaderla", con l'in
vio di messaggeri che le offrano doni e "privilegi". In obbedienza al ti
pico motivo dello "scambio" che regola i rapporti individuali all'in
terno della societ arcaica greca, esprimendo gli equilibri di potere in
relazione agli onori ricevuti dalle parti in causa, consistenti in adeguati
donativi tra di esse, il sovrano degli di, attraverso una serie di mes
saggeri, propone a Demetra una composizione del conflitto garan
tendole molti magnifici doni e i privilegi che desiderasse ottenere tra
gli immortali (vv. 325-328). Tutti questi tentativi, peraltro, risultano
inutili, poich la dea non vuole altro dono che la figlia perduta: solo a
questa condizione ella potr riprendere il suo posto fra gli di olimpici
e la sua funzione di dispensatrice dei beni agrari, ossia "ritornare" ai
essere presente nello scenario divino, cosmico e umano.
Zeus cede alla richiesta e invia Hermes nel regno infero di Hades,
per convincerlo a lasciar riemergere Persefone fuori dalla tenebra den
sa ... alla luce del giorno, fra gli dei.
Al di l dalle convenzioni del linguaggio mitico, l'iniziativa del so
vrano olimpico implicante una sorta di resa totale alle richieste di De
metra, anche a prezzo di smentire il proprio disegno originario che
contemplava le nozze della figlia con Hades, ribadisce la nozione fon
damentale del quadro in esame: l'assenza di Demetra, contestuale alla
latenza infera di Persefone, configura un rischio mortale per l'intera

159

realt. Ci dipende non solo dalla qualit genericamente divina di lei


che, secondo il principio enunciato degli equilibri fra le competenze ri
spettive degli di di un pantheon politeistico deve concorrere a garanti
re l'ordine cosmico, ma dalla sua specifica qualit di promotrice della
fecondit agraria, fondamento della vita di uomini e dei, questi ultimi
"alimentati" dalle offerte sacrificali che ne sanzionano lo statuto esi
stenzale, espresso dalle rispettive tima{4 La radicale anomalia della si

tuazione rappresentata dall' "ira" della cb15 e dal suo rifiuto di

"unirsi" agli di, rimanendo nascosta entro il tempio odoroso d'incen

SO sull' aspra rocca di Eleusi. Di fatto, come gi notato, l'apparente

presenza demetriaca nel mondo umano piuttosto un'assenza gravida di


pericoli: il tempio non in questo caso il sacro luogo della manifesta
zione divina, tramite di contatto fra divinit che elargisce favori e uo
mini che le prestano i dovuti omaggi, bens chiuso cerchio di nascon
dimento di un personaggio indispensabile ai ritmi vitali del cosmo, ora

fatto estraneo e nemico a uomini e di.

Raggiunto il diapason della crisi, la vicenda si avvia a soluzione


secondo modalit che costituiscono l'originalit peculiare della visione
greca a confronto con altre prospettive mitiche delle culture vicino
orientali con le quali - come vedremo - pure presenta strutturali analo
gie e verisimilmente contatti storici.
Nelle parole rivolte a Persefone da Hades, al di l dell'abile costu
zione letteraria del discorso, traspaiano nette le coordinate della nuova
situazione che si stabilizzer in maniera definitiva con la ricostituzione
delle prerogative e delle funzioni delle divinit coinvolte nel dramma

Venuta una volta nella dimora infera, la Kore demetriaca ormai legata
ad essa e al suo sovrano: nel motivo mitico del cibo, un chicco di me
lograno, preso dalla dea prima di allontanarsi sul carro di Hermes che
la ricondurr alla madre, si esprime chiara la nozione della pertinenza

non pi modificabile di lei a quel livello. Persefone la regina degli


lnferi16 e come tale essa percepita dalla coscienza religiosa dei Greci
fin dai poemi omerici, che la presentano esclusivamente in questa ve
ste. Tuttavia questo ruolo della dea viene a comporsi con la sua qualit
di Figlia di Demetra, partecipe quindi delle prerogative di quest'ultima
come dispensatrice dei beni agrari. A questo fine, di fatto, finalizzata
la narrazione mitica in esame che senza dubbio si collega specifica

mente alla prospettiva misterica eleusina ma che risulta conforme, nel


le sue linee generali, all'intero corpus documentario demetriaco, nella

160

sua duplice dimensione mitica appunto ma anche cultuale, con poche


eccezioni di cui bisogna valutare peso e significato religiosi.
La scena dell'incontro fra le due dee descritta con abile perizia let

teraria e vivacit di notazioni psicologiche dall'anonimo autore: il nodo


religiosamente qualificante peraltro costituito dalle parole di Demetra
che, nel chiedere alla Figlia se mai abbia gustato cibo nel regno infero,
di fatto rende esplicito e sanziona il nuovo destino di Persefone, la sua
prerogativa onorifica (tim) consistente nella contestuale funzione di
sposa di Hades, e con lui sovrana del mondo dei morti, e di Kore di
Demetra, legata con lei e per suo tramite alla vicenda stagionale e agra
ria: Se invece hai mangiato- dichiara la Madre- scendendo di nuovo
nelle profondit della terra l abiterai ogni anno per una delle tre sta
gioni: le altre due, con me e con gli altri immortali. Ogni volta che la
terra si coprir dei fiori odorosi, multicolori, della primavera, allora
dalla tenebra densa tu sorgerai di nuovo, meraviglioso prodigio per gli
dei e gli uomini mortali (vv. 398-403).
Lunghe e non risolte dispute hanno impegnato autorevoli studiosi
al fine di determinare i tempi e le modalit del "ritorno" di Persefone,
non coincidente con il ciclo stagionale dei cereali se rapportato al
lendario ufficiale dei Misteri eleusini, nel mese autunnale di

ca

Boedro

mione (settembre-ottobre), n cui esso era ritualmente celebrato, men


tre l'Inno gli attribuisce un chiaro contesto primaverile. Tuttavia
l'istanza

eccessivamente razionalistica cui obbediscono i tentativi di

una sistemazione "logica" del quadro mitico e dei suoi riflessi nelle
numerose e diversificate prassi rituali che ad esso intendono collegarsi,

17

tra cui in primo luogo, oltre i Misteri, i panellenici Thesmophoria ,


deve recedere a fronte del dato pi essenziale e religiosamente qualifi
cato che a nostro avviso costituisce il fulcro di quel quadro medesimo.
Esso ci pare consistere nell'intreccio vitale delle prerogative e delle
funzioni delle due personalit divine, caratterizzato dal ritmo alterno di
presenza-assenza-presenza e posto sotto il prevalente segno demetriaco.
Infatti, nonostante l'apparente centralit del tema mitico del ratto di
Persefone con la conseguente "dipartita" della fanciulla divina che
scompare nel regno infero, nella narrazione dell'Inno, come nelle in
numerevoli versioni mitiche, spesso ancorate a culti locali, relative al
le peregrinazioni e alle xenie di Demetra, proprio costei ad essere la
principale protagonista del dramma e comunque colei che ne determina

161

la soluzione definitiva, sia pure nelle forme di un inevitabile compro


messo.
Quest'ultimo, del resto, al di l dei tratti antropomorfici tipici del
l'affabulazione mitica, riflette una condizione obiettiva e funzional
mente necessaria della sfera di competenza propria

nella prospettiva

politeistica in cui la vicenda si dispiega - della grande dea che presiede


ai ritmi agrari. La ciclicit ordinata di questi ritmi garantita dalla po
tenza divina di Demetra che dunque stabile nella sua funzione, pena
lo sconvolgimento radicale di essi, quale si verificato nell'illo tem
pore del mito, allorch quella potenza stata coinvolta in una crisi
drammatica, espressa nel nascondimento infero della Figlia e nel suo
proprio nascondimento, contestuale e parallelo a quello. Ritorno della
Kore e ritorno della Madre coincidono. Tuttavia il movimento alterno
della presenza-assenza della prima, ormai sanzionato dalla volont d
Demetra e da un patto divino non pi modificabile, fonda e assicura,
con la presenza stabile della grande dea, anche la benefica alternanza dei
ritmi agrari con tutta una serie di garanzie per l'umanit, interlocutore
indispensabile dello stesso mondo divino.
La vicenda divina senza dubbio si collega ad uno scenario naturi
stico ma non si esaurisce in esso n rappresenta la trascrizione delle
sue leggi fisiche; al contrario, quello scenario ad arricchirsi di una
dimensione sacrale in quanto percepito come luogo d manifestazione
d personalit divine potenti ed efficaci. Ci confermato dai molte
plici e differenziati contesti cultuali che intendono collegarsi funzio
nalmente a quella vicenda, per rendere omaggio alle potenze divine in
essa operanti e goderne i benefici favori.
L'originalit specifica del contesto misteri co, di cui l'Inno omerico
si fa portavoce, si riflette nella peculiare qualit sia della pratica ritua
le, che si vuole istituita dalla stessa Demetra, sia delle prospettive che
essa apre agli uomini, definendone il destino. Infatti, mentre la prima
si connota nella forma del culto iniziatico ed esoterico dei Mysteria, le
seconde contemplano una duplice direzione, terrena e infera.
La narrazione, dopo aver evocato nelle parole rivolte da Persefone
alla madre ancora l'esperienza del ratto, si avvia rapidamente a descri
vere la conclusione della vicenda con l'invio di Rhea da parte di Zeus,
che sanziona con la sua autorit lo statuto ormai stabile della fanciulla
nella sua alterna presenza presso lo sposo e presso la Madre. Il con
senso di Demetra a questa soluzione immediatamente seguito dal ri162

tomo di quella fecondit agraria che la dea aveva sospeso: ... obbed
Demetra e subito fece sorgere le messi dai campi ricchi di zolle. Tutta
l'ampia terra di foglie e di fiori era onusta (vv. 470-474). S con
ferma, ove fosse necessario, la piena consapevolezza da parte del poeta
epico e del suo pubblico del legame dialettico fra il piano del dramma
divino, felicemente risolto, e quello cosmico dell'attivit agraria che
impegna in sinergia armonica gli uomini e Demetra dalla bella co
rona.
Ma la narrazione procede introducendo l'elemento specificamente
sacrale dell'istituzione del culto misterico: la dea non ha dimenticato la
promessa fatta al popolo di Eleusi quando, in lutto, ha chiesto l'ere
zione di un tempio in suo onore. Ella rimane ancora sulla terra degli
uomini per insegnare loro, nella persona degli autorevoli re che ren
dono giustizia - a Trittolemo, a Diocle agitatore di cavalli, al forte
Eumolpo, a Cleo signore di eserciti - la norma del sacro rito; e rivel
i misteri solenni, venerandi, che in nessun modo lecto profanare, in
dagare, o palesare, poich la profonda reverenza per le dee frena la vo
ce (vv. 473-479).
Definita la struttura esoterica del culto misterico, attingibile sol
tanto da chi sia stato preparato adeguatamente ad esso e che rimane le
gato all'obbligo del silenzio nei confronti di quanti non vi abbiano par
tecipato, il poeta omerico continua dischiudendo, con un entusiastico
macarismo, le buone prospettive che si aprono, per la vita presente e
quella futura, a tutti coloro che celebrano bei riti di Demetra e Perse
fone ad Eleusi: Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui che
ha veduto queste cose. Ma colui che non ha compiuto i riti, colui che
non ne ha avuto parte, mai avr un simile destino, quando se ne andr
laggi nella squallida tenebra (vv. 480-482)'" .
E' cos annunziata quella che fonti posteriori definiranno la "buona
speranza" degli iniziati, caratterizzandola talora come una pienezza di
vita negli Inferi, in un contesto di luminosit, in contrasto con la so
19
pravvivenza umbratile nelle tenebre che attende l'uomo comune Que
sta prospettiva ultraterrena positiva, che ha rappresentato nei secoli
uno dei fattori di attrazione del culto misterico, si compone con quella
terrena, legata alla dimensione agraria e pi ampiamente espressa in
un'abbondanza di beni quale rappresentata nella figura di Ploutos che,
si afferma, le due dee inviano come nume tutelare presso la dimora di
coloro che godono della loro benevolenza (vv. 485-489).

163

Il destino umano risulta dunque favorevolmente determinato dal suo


ancorarsi ritualmente alla coppia divina di Demetra e Kore, in quanto
divinit che hanno sperimentato un pathos consistente nel movimento
di assenzallatenza e di ritorno/epifania. Questo movimento, che nel
tempo del mito ha avuto un carattere drammatico, nell'attualit per un
verso definisce lo statuto ormai stabile e definitivo del secondo mem
bro della coppia, che assolve armonicamente il duplice ruolo di sovra
na degli inferi e di figla di Demetra. Per l'altro verso esso rievocato
dall'attivit cultuale che, nel renderlo presente, ne esorcizza la carica di
rischio e permette di controllarlo all'interno dell'istituzione rituale.
Come ben noto, il carattere esoterico dei Mysteria eleusini impe
disce di conoscerne Io svolgimento, per la parte soggetta appunto al
segreto iniziatico, che solo rare e problematiche fonti tarde di parte cri
stiana hanno cercato di squarciare in parte. Tuttavia, da queste ultime e
dalle numerose e allusive evocazioni dello scenario misterico da parte
degli autori pagani risulta con sufficiente certezza che all'interno del
santuario eleusino, durante la "sacra notte" del 21 Boedromione in cui
culminava l'intero arco festivo, era rievocato l'evento divino del ratto e
della ricerca della Kore divina. Le modalit di tale rievocazione riman
gono ignote e, come da pi parti si giustamente notato, la struttura
architettorica del Telesterion, la sala del santuario destinata ai riti se
greti, non avrebbe permesso una "sacra rappresentazione" visibile <h
tutti i partecipanti. Comunque, la notissima definizione aristotelica
che attribuisce ai misti un'esperienza partecipativa, "patetica", piutto
sto che razionalmente cognitiva]] e una vivida evocazione dello scena
rio eleusino quale offerta in un brano delle Metamoifosi di Apuleio,
permettono di cogliere il tratto distintivo dell'ethos misterico nella di
sponibilit del fedele a porsi in sympatheia con le due dee protagoniste
del culto, ripercorrendo - in forme e con modalit a noi ignote nei par
ticolari - i due fondamentali movimenti della scomparsa e del ritrova
mento-ritorno, in un'alternanza di lutto-gioia, tenebre-luce.
Nella preghiera di Psiche a Cerere si pu attingere una delle pi ef
ficaci immagini del rituale misterico quale era sperimentato dall'ini
ziato e in maniera indelebile fisso nella sua memoria: Per ego te frngi
feram tuam dexteram istam deprecor, per laetifcas messium caerimo
nias, per tacita secreta cistarum, et per famulorum tuorum draconum
pinnata curricu/a, et glebae siculae sulcamina et currum rapacem et ter
ram tenacem, et inluminarum Proserpinae nuptiarum demeacula, et

164

luminosarum filiae inventionum remeacula, et cetera quae silentio te


21
git Eleusinis atticae sacrarium Elemento centrale del mito e a tutti
nota, la vicenda del ratto e del ritrovamento di Persefone costituiva pa
rimenti il cuore dell'esperienza misterica e, ritualmente evocata, offriva
fondamento alle "buone speranze" degli iniziati.
Per valutare pienamente il significato religioso di questa nozione
nel pi ampio contesto dell'esperienza storica greca necessario verifi
care se il tema analizzato sia esclusivamente legato al culto misterico
eleusino, nel senso che esso stato "inventato" in rapporto e in conse
guenza all'istituzione di quest'ultimo22, ovvero rifletta una concezione
panellenica tale da connotare l'identit di Demetra e di Persefone in

quanto coppia Madre-Figlia, connessa con la sfera della fecondit cto

nia, in alcuni casi addirittura concentrandosi sulla figura di Demetra


medesima. Di fatto, una sezione della tradizione mitica, non molto
ampia ma di rilevante significato storico-religioso, conosce anche il
tema di una katabasis infera di Demetra alla ricerca della Figlia.

E' difficile definire le valenze del motivo senza un'adeguata analisi

delle fonti relative, non proponibile in questa sede. Comunque a pre

scindere dalle motivazioni e dai risultati dell'evento quali sono presen


tati dai nostri testimoni, spesso tardi e poco espressivi, ne risulta ac

centuata con forza la centralit della latenza demetriaca come nota do


minante della visione religiosa in questione, e si pone il problema sto

rico dell'antichit e autenticit mitica del motivo medesimo. Ci si pu


chiedere infatti se esso non esprima, in conformit con i miti arcadi di

Demetra Erinys e Melaina, uno strato arcaico della vicenda, in cui

era

la stessa dea, invece della Kore, a essere la protagonista della discesa


nel mondo sotterraneo. In questo caso, pi qualificata e stringente ri

sulterebbe la comparazione tipologica e l'eventuale connessione storica

con un complesso mitico-cultuale come quello sumero-accadico di

Inanna-Ishtar, protagonista appunto di una "discesa agli Inferi", seguita


dal ritorno ma a prezzo della consegna di un "sostituto", Dumuzi

Tammuz, che, oggetto di annuali lamentazioni funebri, sembra deter

minato ad un destino di alterna presenza nel mondo dei morti23

Pur riconoscendo le difficolt non interamente risolte nell'esegesi


del vasto patrimonio documentario, letterario, monumentale e icono

grafico pertinente alla sfera demetriaca, ci sembra legittimo concludere


che il tema del ritorno, nella dialettica organica del ritrovamento di

Persefone e del ristabilimento di una presenza efficace di Demetra nel

165

quadro cosmico e umano, lungi dall'essere un' "invenzione" recente in


funzione dei Mysteria di Eleusi, costituisce un elemento centrale e anzi

lo stesso nodo vitale dell'intera struttura mitico-rituale. La cessazione


della crisi, costituita dal lutto della Madre e dal suo peregrinare sulla

terra alla ricerca della Figlia, espressa solitamente nel motivo del do
no largito agli ospiti umani, in ricompensa della notizia relativa ap

punto alla sorte della fanciulla rapita e alla sua catabasi infera, spesso

localizzata proprio nel territorio in cui l'episodio mitico ambientato.


Sebbene le fonti, di natura scoliastica o mitografica, ovvero - come nel
caso della Periegesis di Pausania - interessate a registrare tradizioni mi
tico-cultuali locali, non siano sempre esplicite nell'enunciare il motivo
del ritrovamento di Persefone, il tema della ricompensa costituita di

solito dal dono del cereale )l ovvero di altri vegetali rende evidente il ca
rattere positivo e produttivo della notizia ricevuta, che si configura
come necessario e utile precedente per il ritrovamento della divina fan
ciulla. Ma soprattutto la presenza di rituali di "richiamo" funzional
mente connessi con la vicenda mitica nell'uno o nell'altro centro di
culto demetriaco, permette di riconoscere con buona probabilit che il

vasto scenario panellenico, pur in

varia misura influenzato dalla

"vulgata" eleusina, fosse partecipe di un'antica e comune struttura reli


giosa che aggregava alla figura di una grande dea legata al livello cto

nio e specificamente alla fecondit vegetale l'esperienza dell'assenza e


della presenza, verificatasi nel tempo mitico e rievocata nel rito.
Tra i numerosi esempi di tale situazione, baster ora addurre i casi

delle citt di Me gara e di Feneo in Arcadia, ricordate da Pausania come

"stazioni" del doloroso peregrinare di Demetra sulla terra alla ricerca


della figlia scomparsa25 Nella prima citt, importante centro di culto

demetriaco, dalla quale deriverebbe il nome attribuito agli stessi luoghi

di culto della dea detti megara

:r..

il Periegeta ricorda un singolare ri

tuale che si collega chiaramente con la festivit esoterica femminile dei

Tesmophoria. Questa circostanza rafforza le nostre conclusioni, una

volta che il culto delle Tesmoforie, praticato dalle donne cittadine e le


galmente sposate in forme diverse secondo i luoghi ma sostanzial
mente riconducibili a un quadro omogeneo, un culto panellenico, tra
i pi antichi e documentati in tutto l'ampio arco geografico e storico
della grecit, nella madrepadria e nelle colonie microasiatiche, magno
greche e siceliote. Il collegamento di tale complesso rituale con il mi

to del vagabondaggio di Demetra sulla terra alla ricerca di Persefone


166

scomparsa e soprattutto con il motivo del "richiamo" della figlia, pre


messa del ritorno, conferma infatti le valenze antiche e panelleniche del
tema in esame.
Pausania di fatto dichiara: Vicino al Pritaneo c' una rupe: la
chiamano Anaklethris perch Demetra, se il racconto credibile, quan
do vagava in cerca della figlia, ne invoc il nome anche qui, affinch
tornasse. Ancor oggi le donne di Megara fanno una rappresentazione
conforme a questo racconto (I 43, 2).
Un altro singolare rituale di "richiamo" in un contesto cultuale
demetriaco quello attestato ancora da Pausania nella localit arcade di
Pheneos, in cui intervengono elementi di carattere arcaico come l'as
sunzione di una "persona" divina da parte del sacerdote attraverso l'uso
della maschera e la battitura del suolo mediante delle verghe, finalizzata
certo all'evocazione delle potenze ctonie. Sebbene non si menzioni
esplicitamente il personaggio di Persefone come oggetto dell'evoca
zione, il confronto con alcune scene raffigurate sui vasi attici, analiz

zate con perizia da C. Brard17, nelle quali una figura divina, talora la
stessa Persefone, emerge dal suolo percosso dai "satiri martellatori",
permette di concludere con buona verisimiglianza che un rituale siffat
to fosse funzionalmente connesso ad un "passaggio ctonio" di una di
vinit emergente dal regno infero.
Nel caso di Feneo, la circostanza che l'operatore del rito che si cele
bra presso il cosiddetto Petroma: due grandi pietre che si appoggiano
l'una all'altra, assuma la maschera di Demetra Kidaris nel corso della
festa misterica, nell'atto di colpire con le verghe quelli del sottoterra,
rende probabile che tale rito fosse inteso come un richiamo rivolto a
favorire il ritorno della Figlia. In ogni modo il luogo si configura co
me sede di una delle tante tappe del vagabondaggio di Demetra e delle

relative xenie da parte di ospiti umani. Pausania infatti riferisce che


vi un racconto (logos) dei Feneati secondo cui prima di Naon giun
se qui presso di loro Demetra nel suo vagabondare, e a quanti la rice
vettero in casa e con doni la dea distribu tutti i legumi, ad eccezione
delle fave28
Un ulteriore, importante elemento fornito dal mitografo Conone,
la cui opera perduta, costituita da cinquanta Narrazioni, sopravvive sol
tanto nell'ampio resoconto del patriaca Fozio. Vi leggiamo dunque che
il quindicesimo racconto parla delle genti di Feneo, di Demetra e di
Kore, che Plutone rap e condusse via all'insaputa della madre nel suo

167

regno sotterraneo. Le genti di Feneo indicarono a Demetra il luogo at


traverso il quale si discendeva agli Inferi (c'era infatti una voragine a
Cillene). Fra gli altri favori ella concesse loro quello per cui mai il
l9
numero dei Feneati caduti in guerra avrebbe superato il centinaio .
Questa fonte localizza infatti nel territorio di Feneo l'evento stesso del
la katabasis infera di Kore e conosce il motivo della notizia dell'evento
fornita alla madre dagli abitanti del luogo. Il dono offerto dalla dea in
ricompensa dell' informazione, in pari tempo, implica l 'utilit di que
st'ultima ai fini della ricomposizione della crisi.
Il motivo di una personalit divina segnata nel profondo dal modu
larsi della sua attivit e della sua funzione, nel mito e nel culto, nel
l'alternanza di presenza-assenza con decisivi riflessi sulla vita cosmica
e umana interviene in due contesti arcadi, ossia pertinenti ad una re
gione greca che risulta a vario titolo caratterizzata da una notevole ar
caicit culturale. Tale personalit divina reca nella nostra fonte, Pausa
nia, il nome di Demetra ma risulta connotata da tratti singolari, quanto
alle sue prerogative, alle vicende mitiche e al culto di cui protagoni
sta, s da suscitare difficili problemi nella definizione della sua consi
stenza storica e dei suoi rapporti con la panellenica signora della coltu
ra cerealicola.
Si tratta delle localit di Telpusa e di Figalia, tra cui intercorre una
complessa trama di rapporti mitico-rituali che parimenti le collegano,
soprattutto la prima, anche al centro di Licosura sede di un grandioso
santuario di una grande dea dal nome segreto, la Despoina, oggetto di
un culto misterico di cui difficile stabilire i contenuti e le modalit e
soprattutto l'antichit della sua fondazione. Nell'area di Telpusa, presso
il fiume Ladon, si levava uno hieron di Demetra Erinys, il cui appella
tivo, a dire di Pausania, era interpretato dalla tradizione locale in rap
porto ad una vicenda mitica di violenza subita dalla dea. Con riferi
mento certo avventizio al mito panellenico del ratto di Persefone, si
presenta la dea vagante alla ricerca della figlia che, giunta nella regio
ne, seguita da Poseidone desideroso di unirsi a lei. Demetra si tra
sforma allora in una cavalla, mescolandosi alle mandrie di animali pa
scolanti nel luogo, ma ugualmente

raggiunta dal dio, anch'egli in

forma equina. Adirata per l'unione indesiderata, da cui sarebbe derivata


la denominazione di Erinys, perch - nota Pausania - "nutrirsi di col
lera" detto erinyein dagli Arcadi, la dea successivamente si placa e si

168

immerge nelle acque del fiume Ladon. Dalla cessazione dello stato d'ira
le deriva poi l'appellativo di Lysia.
Il Periegeta descrive le due immagini sacre, di legno e marmo, cu
stodite nel naos, le quali raffiguravan la dea nelle successive manife
stazioni: la prima, con cista e fiaccola, avrebbe rappresentato Demetra
Erinys. L'unione dei due dei aveva dato luogo a una figlia, dal nome

sconosciuto ai non iniziati, ossia evidentemente la Despoina venerata


nei misteri di Licosura, e il cavallo Arion:D.
Senza poter entrare ora nel merito della complessa questione del
l'identit della Erinys di Telpusa e dei suoi rapporti con il personaggio
omonimo venerato a Tilfossa in Beozia, basti notare il dato essenziale
ai nostri fini della contestuale presenza nel personaggio delle due com
ponenti dell'ira e della pacatezza, in rapporto ad un'esperienza di fuga,
violenza e ritorno alla normalit.

Non possibile misurare l'antichit e la maggiore o minore auten


ticit della saldatura del personaggio e della sua vicenda allo schema
demetriaco, quale si presentava gi consolidata al tempo di Pausania.
La consistenza mitico-cultuale della Demeter Erinys arcade, comunque,
permette di constatare la pertinenza allo scenario greco di una o pi fi
gure di divinit femminili in varia misura omologhe alla Demetra
eleusina sotto il profilo del coinvolgimento in avventure del tipo in
esame.
Ancora pi significativo in questa direzione lo scenario delineato
da Pausania a proposito del centro di Figalia3' che in una caverna sul

monte Elaion aveva un'antica e singolare sede cultuale dedicata a De


metra Melaina. Il Periegeta nota che anche alla dea Nera si riferisce il
mito noto a Telpusa relativo all'unione teriomorfa con Poseidone, con
la differenza che secondo gli abitanti di Figalia da essa non sarebbe na
to il cavallo Arione ma la sola Despoina. Ci che costituisce la sin
golarit del complesso mitico-cultuale di Figalia e la pregnanza del suo
significato religioso emerge dalla successiva narrazione del Periegeta
relativa agli eventi legati a quell'unione e alla storia della sacra sede
quali erano custoditi dalla memoria degli abitanti del luogo. Si raccon

ta infatti che per rancore contro Poseidone e a causa del dolore procu
rato dal ratto di Persefone, (la dea) indoss una veste nera, si rec in
quella caverna e vi rimase nascosta a lungo.
Al di l dell'evidente commistione dei due motivi, quello locale del
la mixis in forma equina con Poseidone e quello panellenico del ra169

pimento della Figlia, la Demetra Nera di Figalia risulta implicata in


un dramma di penthos e ira, con relativo nascondimento. La specificit
del contesto arcade data dalla dimensione di selvatichezza del quadro,
espressa nel ricovero montano della dea e presto ulteriormente precisata
dai successivi particolari del racconto e soprattutto dalle modalit del
culto ancora praticato al tempo di Pausania. Alla latenza della dea in
lutto segue una rovinosa carestia: tutto ci che la terra nutre deperiva,
e la fame infliggeva alla stirpe umana perdite ancora pi gravi. Tutti
gli dei ignoravano il luogo in cui Demetra era nascosta. Solo il selva
tico Pan, vagando a caccia per le montagne scopre il suo rifugio e lo
comunica a Zeus che invia presso la dea le Moire. Persuasa da costo
ro Demetra lasci cadere la collera e si liber anche dal suo dolore.
Senza alcuna controparte, dunque, l'ira e la sofferenza vengono meno e
la dea placata "ritorna", ristabilendo gli equilibri naturali.
A fronte della complessit del mito eleusino, anche in rapporto alla
natura letterariamente assai elaborata del documento che

ce

l'ha conse

gnato, la tradizione di Figalia nella sua scarna semplicit mantiene tut


tavia intera l'intensit espressiva di un autentico quadro religioso e ri
sulta nelle sue linee portanti strutturalmente omologa alla pi artico
lata e "colta" tradizione eleusina. Anche qui, inoltre, presente la di
mensione cultuale indispensabile all' integrit di quel quadro: la ricono
scenza degli uomini per la cessazione del lutto, riflessa nel ripristino
della presenza divina, si manifesta nella dedica della caverna, luogo del
nascondimento della dea, quale sede di culto, ossia spazio sacro della
sua benefica epifania. Non si mancher di notare il parallelismo della
situazione rispetto a quella del naos eleusino, quale delineata nel
l'Inno omerico.
La distanza rispetto al modello demetriaco si rivela tuttavia netta in
relazione all'aspetto teriomorifico della dea di Figalia e alle speciali
modalit del suo culto. Il Periegeta descrive la statua di legno dedicata
alla Melana ma non pi esistente al suo tempo, essendo stata distrutta
da un incendio: essa raffigurava una donna seduta su una roccia, recante
tuttavia una testa equina sormontata da serpenti e altre bestie selvati
che. Rivestita da una tunica, ella recava un delfino in una mano e una
colomba nell'altra. Aspetto teriomorfo e attributi animali pertinenti ai
tre regni, terrestre, acquatico e aereo, configurano l'immagine di una
"signora degli animali", una personalit dall'ampia dimensione co-

170

smica, connessa alla fertilit ctonia ma in tennini diversi rispetto alla


cerealicola Demetra panellenica.
Con quest'ultima peraltro la dea Nera di Figalia continua a mante

nere legami di affinit che sembrano essere stati rafforzati nel corso

della sua storia. Ancora Pausania narra di un periodo di decadimento del


culto, conseguente alla distruzione dell'antico idolo !igneo. In puni
zione della trascuratezza degli uomini la dea manifesta per la seconda

volta la sua ira, ritraendosi dalle proprie funzioni e provocando la steri

lit del suolo. L'oracolo delfico cui il popolo si rivolge Io sollecita a

ripristinare i dovuti omaggi cultuali alla dea, evocata con il nome d

Deo e configurata secondo il modello panellenico di istitutrice della vi


ta culta attraverso la dispensazione del grano che ha pennesso al

l'umanit l'abbandono di una condizione di vita ferina. Gli abitanti d

Figalia rischiano dunque di ricadere nella ferinit, con la pratica dell'an


tropofagia, se non placheranno l'ira divina con le opportune offerte sa
criticali adornando l'antro con i dovuti onori divini.

Il Periegeta conclude la narrazione illustrando le peculiari modalit


del culto, per osservare le qual anzi dichiara d essersi recato a Figalia.
Nessuna vittima animale offerta alla dea: soltanto i prodotti degli al
beri coltivati, e in particolare l'uva, sono recati nella sacra grotta in
sieme con favi di miele e lana allo stata naturale, ancora impregnata
del grasso animale, e sono deposti sull'altare per essere cosparsi d

olio. Una sacerdotessa aiutata da un giovinetto celebra i riti in uno

scenario di tipica selvatichezza montana: un sacro bosco di querce cir

conda la grotta e una sorgente di acqua fredda scaturisce dal suolo (VIII

11-12).

Il complesso mitico-cultuale della Melaina di Figalia, con la sua


arcaica fisionomia teriomorfica, confenna l'antichit e l'autenticit reli
giosa- nel mondo greco

del tema mitico della latenza divina, varia

mente motivata ma sempre espressa in tennini di corruccio e di lutto,

seguita da una manifestazione/ritorno e funzionalmente connessa ai

ritmi della fecondit naturale, sotto il profilo vegetale, con riflessi de

cisivi sulla vita umana e sull'intero scenario divino e cosmico. Questo


tema mitico, come noto, interviene in numerosi contesti culturali vi

cino-orientali almeno a partire dal n millennio a. C., da quello sume


:n
ro-accadico di Inanna-IStar a quello ittita di Telepinu33 Non entriamo

in questa problematica, oggetto di specifici contributi nel presente vo

lume. Ricordiamo soltanto il tentativo originale operato da Walter

171

Burkert, sul fondamento delle profonde analogie strutturali percepibili


tra il mito arcadico di Demetra Erinys e Melaina da una parte e quei
contesti religiosi dall'altra, per tracciare una linea di continuit storica
che muove "da Telepinu a Telpusa":u. Lungo tale linea, a parere dello
studioso, sarebbe possibile ricostruire anche il processo di formazione
della figura di Demetra.
Le argomentazioni a base linguistica elaborate dallo studioso per
dimostrare il suo assunto non ci sembrano convincenti e comunque
rimangono sempre parziali e inadeguate a "spiegare" la complessit e
vastit delle trame e dei significati peculiari dei processi storici in que
stione. Pi legittima riteniamo piuttosto l'istanza comparativa tra il
contesto greco da una parte e quelli vicino-orientali dall'altra, per inda
gare affinit, eventuali rapporti storici ma anche ineliminabili diffe
renze. Riprendendo le conclusioni a cui era pervenuta la nostra prece
dente analisi del tema, rafforzate dalle argomentazioni fin qui svolte, ci
sembra legittimo riconoscere che la figura di Demetra, sia nella sua
dimensione eleusina che nelle numerose e varie "versioni" locali, di
cui quelle arcadiche di Telpusa e di Figalia rappresentano per un verso
le pi differenziate ma per l'altro verso anche quelle pi affini struttu
ralmente, si definisca nella specifica dimensione di divinit legata ai
un ritmo alterno di presenza - assenza- ritorno. In rapporto ai contesti
mitico-rituali del Vicino Oriente antico la dea greca mostra specifiche
analogie ma anche qualificate differenze soprattutto in relazione alla
sua dimensione eleusina, in cui legata in un rapporto di stretta sim
biosi con Persefone. In questa dimensione, di cui partecipano numero
se tradizioni affini, infatti la Figlia ad essere infine

fissata in un

ritmo di alterna presenza-assenza, come sovrana degli Inferi e Kore di


Demetra, mentre la Madre risulta ormai stabile nelle sue prerogative di
dispensatrice del cereale, secondo ritmi non pi modificabili. La sfera
eleusina si connota in forme del tutto peculiari per l'istituzione dei
Mysteria, "invenzione" originale che rimodella figure divine ed eventi

mitici e, senza snaturarne le antiche fisionomie, le pone in un rapporto


di pi intima familiarit con l'uomo e il suo destino, proiettando anche
oltre la morte i benefici largiti dalla presenza divina durante l'esistenza
terrena.

172

N01E

lfnno a Demetra, vv. 302-307, trad. di F. Cssola, Milano 19812, pp.


63, da cui citeremo anche in seguito, segnalando eventuali modifiche.
N.J. Richardson, The Homeric Hymn to Demeter, Oxford 1974 e H.P.
ley, The Homeric Hymn to Demeter, Translation, Commentary and
terpretative Essay, Princeton 1993.

60Cf.
Fo

ln

2 Non forse superfluo notare la singolarit di questa notazione (vv. 2729): si sottolinea la prima "latenza" divina, quella del sommo degli di che

pure, con il suo consenso, permette il rapimento della Figlia. Zeus non ode
il richiamo d'aiuto della fanciulla perch ha momentaneamente lasciato la
propria sede olimpica per occupare, nel tempio a lui dedicato, uno spazio
terreno circoscritto, che in qualche misura limita anche il suo potere di
v i n o.
3

L'attributo della fiaccola uno dei pi frequenti e distintivi elementi del

l'iconografia demetriaca: esso accompagna la dea e le varie figure del suo


seguito, essendo pertinente in particolare proprio alla Figlia e alla stessa
Ecate. Le fiaccole caratterizzano anche la sfera cultuale eleusina, in cui la
funzione sacerdotale del daduco una delle pi antiche e importanti, ri
flessa sul piano sovrumano nella figura di Iakchos dadoforo. In pari tempo
la simbologia evoca il contesto notturno di una larga parte delle cerimonie
misteriche. L'insistenza dell'A. omerico su questo attributo lungo tutto il
corso della narrazione una chiara spia del suo interesse a collegare allusi
vamente il piano mitico a quello rituale.
4
5

Cf. Il. XV 187-193.


Un'analisi

del tema in funzione del confronto

e dello

scontro

fra

"saggezza olimpica e mistica eleusina" nel nostro documento stata for


mulata con acute osservazioni da U. Bianchi, "Saggezza olimpica e mistica
eleusina nell'inno omerico a Demetra", SMSR, 28, 1964, pp. 161-193.
6

Non si infatti mancato di sottolineare, a vario titolo, le "incongruenze"

del comportamento della dea che, divenendo nutrice del bimbo Demoo
fonte, sembra "dimenticare" il lutto per la figlia ovvero, dopo aver annun
ziato la fondazione del culto misterico (v. 273), solo a conclusione dell'in
tera vicenda fornisce le istruzioni relative. In proposito ci sembra icasti
camente felice l'osservazione di Parker, secondo cui Demeter would cease

173

to be Demeter if she had to explain herself to Wilamowitz>> (R. Parker,


'The Hymn to Demeter and the Homeric Hymns", Greece and Rome, 38,
1991, pp. 1-17, p. Il). La "logica" del mito notoriamente obbediente a
sue regole peculiari.
7

Un'indagine su questa tematica in G. Sfameni Gasparro, "Anodos e katho

dos: movimento nello spazio e ritorno al tempo mitico. Sedi sacre e atti

vit rituale nel culti di Demetra a carattere tesmoforico", in D. Pezzoli-01giati - F. Stolz (edd.), Cartografia religiosa. Organizzazione, codificazione
e simbologia dello spazio nei sistemi religiosi, Bern et al. 2000, pp. 83106.
8 La scena trova un riscontro iconografico in due famosi monumenti figu
rati, il Sarcofago di Torrenova e l'Urna Lovatelli, che ne mostrano il ri
flesso sul piano cultuale. Cf. U. Bianchi, The Greek Mysteries, Leiden
1976, pp. 27-29, nn. 47-48 e 50.
9

Se per un verso questo evento richiama lo scambio di ingiurie e motteggi


che avveniva nel corso della processione sacra da Atene ad Eleusi presso i l
ponte del Cefiso e pi ampiamente l'uso della aischrologia in numerosi cul
ti demetriaci (soprattutto nelle Tesmoforie), parallele versioni mitiche
configurano l'episodio in senso chiaramente scurrile, introducendo il per
sonaggio di Baubo che compie un gesto osceno.
10

Bianchi, "Saggezza olimpica e mistica eleusina".

11

Usiamo questo termine nella sua accezione propria e culturalmente de


terminata dall'essere aggettivo (mystiks) pertinente appunto ai mysteria,
e quindi atto a qualificare l'intera gamma delle nozioni e delle azioni cul
tuali attinenti a questa sfera. In particolare, esso pu essere utilizzato per
caratterizzare la qualit del rapporto, di familiarit e di sympatheia, che s i
instaura tra l'uomo e l a divinit protagonista della vicenda e del culto mi
sterici.

12 Le indicazioni relative alla localizzazione del naos sono troppo detta


gliate per non tradire la precisa volont dell'Autore dell'Inno di fornire le
coordinate topografiche del santuario eleusino quale doveva essergli fami
liare. Sulla peculiarit degli impianti sacri demetriaci, solitamente disposti
su alture o pendii collinari, nei pressi dell'elemento acquatico (fiumi, sor
genti, pozzi o spiagge marine), si veda S. Guettel Cole, "Demeter in the
Ancient Greek City and Its Countryside", in S.E. Alcock - R. Osborne
(edd.), Placing the Gods. Sanctuaries and Sacred Space in Ancient Greece,

174

Oxford 1994, 19962, pp. 199- 216 e Sfameni Gasparro, "Anodos e katho
dos".
13

<<E certo ella avrebbe distrutto interamente la stirpe degli uomini mortali

con la fame inesorabile, e lo splendido privilegio delle offerte e dei sacri

fici avrebbe sottratto a coloro che abitano le dimore dell'Olimpo... >> (vv.
310-312).
14

La prospettiva ribadita nelle parole rivolte da Hermes ad Hades: <<0 Ade

dalle cupe chiome, che regni sui morti, Zeus, il padre, mi ordina di condurre
fuori dall'Erebo, fra gli dei, l'augusta Persefone, affinch la madre riveden
dola con i suoi occhi ponga fine al rancore e all'ira inesorabile contro g l i
immortali; poich medita u n grave progetto:

sterminare l a debole stirpe

degli uomini nati sulla terra tenendo il seme celato sotto la zolla, e distrug
gendo le offerte che spettano agli immortali>> (vv. 347-354).
15

Il motivo intenzionalmente sottolineato nel contesto in esame e i n

tutto i l corso della narrazione ira e corruccio sono i sentimenti ispiratori


dell'azione di Demetra.
16

Tale qualit sanzionata dalle parole di Hades: <<Non sar per te uno

sposo indegno al cospetto degli immortali, io che sono il fratello del padre
Zeus; e quando sarai quaggi, regnerai su tutti gli esseri che vivono e s i
muovono e avrai fra gli immortali gli onori pi grandi; per sempre v i sar
un castigo per coloro che ti offendono, quelli che non placheranno con of
ferte il tuo animo celebrando i sacri riti e offrendoti i doni dovuti>> (v v.
363-369).
17

Alla logica di uno stretto collegamento fra contesti mitico-cultuali de

metriaci e calendario agricolo attico obbedisce l'indagine di A. Chandor


Brumfield, The Attic Festivals of Demeter and Their Relation to the Agri
cultura[ Year, Salam, New Hampshire 1981, pervenendo a un riduzionismo
naturistico dell'intera prospettiva religiosa.
18

Abbiamo proposto una traduzione di questi versi pregnanti diversa da

quella fin qui seguita del Cssola, per sottolineare la specificit dell'espe
rienza eleusina, fondata sulla "visione" degli hier, come risulta dall'intera
documentazione e come l'autore dell'Inno mostra efficacemente quando de
finisce la posizione del fedele come colui che ha veduto>> i sacri riti.
19

Cf. U. Bianchi, "O IMnA AHJN " , in Ex orbe religionum.

Studia

Geo Widengren oblata, Leiden 1972, vol. l, pp. 277-286; G. Sfameni Ga


sparro, Misteri e culti mistici di Demetra, Roma 1986, pp. 123-134.

175

20 Aristotile, in Sinesio, Dione, 48 (PG 66, coli. 1133 D- 1 136 A= N. Tur


chi, Fontes historiae mysteriorum aevi hellenistici, Roma 1930, no 87):
coloro che vengono iniziati non devono apprendere qualche cosa ma pro
vare delle emozioni, evidentemente dopo essere divenuti atti a riceverle.
Infatti, si conclude, << .. . nelle feste eleusine ... l'iniziato riceveva delle im
pressioni dagli spettacoli e non un insegnamento.
21

Apuleio, Met. 6, 2. Un'evocazione rituale della ricerca e del ritrova


mento di Kore nella sfera misterica presupposta nella notizia di Clemente
Alessandrino che dichiara: Deo e Kore sono divenute una mistica rappre
sentazione e per loro Eleusi celebra con fiaccole il vagare, il ratto e il do
lore (Turchi, Fontes historiae, n 122). In tal senso espressivo anche un
passo di Lattanzio (Div. Inst. Epit. 18 =Turchi, Fontes historiae, n 124):
his (se. ai riti di Iside) etiam Cereris simile mysterium est, in quo facibus
accensis per noctem Proserpina inquiritur et ea inventa ritus omnis gratula
tione et taedarum iactatione finitur.
22

In tal senso ha concluso, dopo una disamina delle tradizioni mitiche, A.


Brelich, "Nascita di miti (Due studi mitologici). 2. Il mito di fondazione
dei misteri eleusini e miti affini", Religioni e Civilt, 2, 1976, pp. 47-80.
23

Cf. in questo stesso volume il contributo sul personaggio di P. Pisi.

24

Come noto, in un ampio filone mitico, distinto da quello eleusino, s i


afferma la nozione d i un inizio della pratica agricola solo dopo il ritorno di
Persefone, con la consegna del cereale e delle tecniche di coltivazione a
Trittolemo, che le diffonde in tutta l'oikoumene.
25 Ad Ermione, che Strabone conosce come luogo in cui <<Si trova il cam
mino pi corto per discendere nell'Ade (Geogr. VIII 6, 12) sicch <<le gen
ti del paese si astengono dal porre nella bocca dei morti il prezzo del loro
passaggio, il Periegeta registra una complessa tradizione mitica che, nei
nomi degli ospiti umani della dea e fondatori delle sue sedi di culto nel ter
ritorio, i fratelli Climeno e Ctonia, riflette chiaramente il livello delle
stesse personalit divine. Egli descrive anche una grandiosa festa deme
triaca, denominata Ctonia, in cui si pratica un singolare sacrificio di vac
che da parte delle sacerdotesse della dea mediante una falce e ricorda una ca
vit della terra attraverso cui si compiuto il passaggio di Eracle dall'Ade
(II 35, 5-7). Per lo svolgimento della festa si veda anche Eliano, De natura
animalium XI 4. Sulla tradizione mitica secondo la quale gli Ermionesi
comunicarono la notizia del ratto a Demetra cf. Apollodoro, Bibl. I 5, l.

176

26

Pausania I 39,3.

27

C. Brard,Anodoi. Essai sur l'imagerie des passages chthoniens, Roma

1974,pp. 75-87 e,per le scene di anodos riferibili a Kore, pp. 91-102.


28

A proposito di tale divieto Pausania aggiunge che esisteva uno hiers

logos atto a spiegare le ragioni per cui le fave sono ritenute massimamente
impure (VIII 14, 15, 1-4).
29

Fozio,Biblioth. Codex 186,15 ed. R. Henry,Paris 1962,T. III,p. 14s.

30

Pausania VIII 25,4-7.

31

Pausania VIII 42, 1-7.

32

Cf. S.N. Kramer in J. B. Pritchard,Ancient Near Eastern Texts Relating

to the Old Testament, Illrd Edition with Suppl., Princeton 1969, pp. 5257.
33

Cf. A . Goetze i n Pritchard,Ancient Near Eastern Texts, pp. 126-128. Su

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34

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179

MORTE DI DIONISO
e nuova armonia delle sue membra

MARIA ROCCHI

Qui giace morto Dioniso, nato da Semele. Un autore di et bi

zantina riferisce che a Delfi si leggeva questo epitaffio presso la statua


aurea di Apollo, nella parte pi interna del suo tempio alla quale pochi
avevano accesso1 La tomba si trovava nel luogo presso il quale i Gre
ci individuavano il centro della terra; anzi coincideva addirittura con
l'ombelico

(omphalos) della Grecia, se fosse possibile dare credito a

quanto dice Taziano2

Anche a Tebe, oltre che a Delfi, un sepolcro raccoglieva il corpo di

Dioniso fatto a pezzi in quella citt3 Altra "tomba" era la palude di

Lerna nella quale Perseo, vincendolo, lo aveva fatto precipitare.

I dati relativi alla sepoltura di Dioniso rinviano a luoghi e tradi

zioni diverse e provengono da testimonianze di autori ai quali gli stu


diosi moderni riconoscono diversa attendibilit. Una parte dei riferi
menti si trova in opere di autori cristiani che rispondono a precise fina

lit: istigare gli imperatori cristani all'intolleranza verso i pagani o

convertire questi al Cristianesimo. Avviene pertanto che la notizia del


la presenza della tomba sia, con altre, inserita in un elenco al fine di
scandalizzare per fare polemica o, al contrario, rinvii

ad insostenibili

analogie richiamando l'attenzione su un Dioniso morto, risorto e asce


so al cielo.
Alcune testimonianze, le pi numerose, risultano ispirate all'uti
lizzo del mito da parte degli

Orfid. Il morto un dio dei Greci che gi

nel II millennio ha il suo nome registrato in lingua greca sulle tavolet

te rnicenee6 Le difficolt che si incontrano nell'osservare l'insieme del


materiale tradizionale che lo riguarda sono gi espresse da Diodoro Si

culo: Ma poich gli antichi mitografi e poeti che hanno scritto su

Dioniso hanno messo per iscritto narrazioni discordi le une rispetto al


le altre e molti prodigiosi racconti, difficile parlare con chiarezza del
la nascita di questo dio e delle sue imprese. Alcuni infatti hanno tra

mandato che vi fu un solo Dioniso, altri che ve ne furono tre, e ci so181

no alcuni i quali affermano che non vi stata assolutamente una sua

nascita in forma umana, ritenendo che Dioniso altro non sia che i l do
no del vinO>/ Proseguendo il discorso, Diodoro fa riferimento a Dio
niso, che nasce da Zeus e Demetra; da Zeus e Persephone; da Zeus e

Semeles. Quest'ultimo ha una vicenda di nascita ampiamente narrata,

tra gli altri, da Apollodoro9: Zeus si innamora di Semele e si unisce a


lei di nascosto da Era. Ma Semele, tratta in inganno da Era, poich
Zeus le aveva promesso di esaudire tutto quello che avesse chiesto,

domanda al dio di recarsi da lei cosl come era andato a unirsi con Era

Zeus non pu rifiutare e giunge alla stanza di Semele sopra il carro,


con i tuoni e i fulmini, e scaglia la folgore. Semele mor di terrore; al

lora Zeus sottrasse alle fiamme il figlio di sei mesi che lei aveva abor

tito e lo cuc nella sua coscia. Morta Semele, le altre figlie di Cadmo
sparsero la voce che la sorella si era unita ad un uomo mortale e aveva

mentito accusando Zeus, e per questo era stata fulminata. A tempo 00-

bito Zeus scioglie le cuciture, fa nascere Dioniso e lo affida a Hermes.

Hennes lo porta da In o [sorella di Semele] e Atamante e li persuade a


crescerlo come se fosse una fanciulla. Ma Era si adir e li fece impaz

zire ... Zeus sottrasse Dioniso alla collera di Era mutandolo in capretto:

Ermes lo prese e lo port presso delle ninfe che vivevano a Nisa i n

Asia.

Dioniso non condivide quindi il destino di tanti altri che, essendo

figli di di e mortali, nascono eroi e in quanto tali sono inseriti nell'

ampia schiera di mortali vissuti al tempo del mito10 Egli ha una sorte
diversa. Esiodo dice che la mortale Semele gener un immortalell.

Dioniso non corre solo il rischio di morire, come ad esempio Ares, ma


muore ed sepolto in una tomba a Delfi e a Tebe e la ventura della
morte lo riguarda sia che egli abbia per madre l'eroina Semele sia che
sia prole di Zeus e di una dea. Dioniso dunque un immortale che par
tecipa di una tra le prerogative fondamentali degli eroi e degli uomini:

la morte.

Le vicende relative alla sua nascita comportano che nel momento


in cui Semele lo genera nel fuoco12, egli sia liberato dalla condizione di
mortale ed esca vivo dal rogo di quel fulmine che, stando all' afferma
zione di gran parte degli autori antichi, non spaventa, come dice Apol

lodoro, ma incenerisce Semele.

182

Il dio ha un'esistenza nel corso della quale avviene che egli sia ge
nerato due o tre volte, il che vuole dire che egli torna a vivere dopo
avere superato la fine di una precedente esistenza. La morte per lui un
evento che non incide sull'immortalit. Egli in grado di condividere
temporaneamente le condizioni di un morto, ma anche di superarle in
una vicenda che vanifica i dubbi che nel mito riconoscono affliggere la
maternit di Semele, e lo qualifica "a dispetto" di tale madre come di
vinit in grado di passare dall'uno all'altro mondo.
La tradizione pi documentata e discussa quella che riguarda la
sepoltura a Delfi del dio, morto in varie circostanze e ad opera di di
versi personaggi.
C' una morte che Dioniso, figlio di Semele, affronta Il dopo esse

re stato allevato e cresciuto a Nisa, quando si aggira ancora sulla terra


ed vinto da avversari armati che si oppongono alla sua volont di es
sere sovrano a Tebe e di divulgare i riti in suo onore.
L'epitaffio di Delfi qui giace morto Dioniso, nato da Semele
viene riferito dallo storico bizantino Malala che, a sua volta, dichiara
di apprendere le notizie relative alla morte e sepoltura da altri autori,
Dinarco, Filocoro e Cefalione13 Nella sua Cronaca Malata presenta

Dioniso come un mortale che merita di essere innalzato al rango di dio


a motivo dei suoi meriti per avere scoperto il vino. Dopo essere dive
nuto esperto in misteri e capace di operare prodigi e dopo avere rag
giunto Persia e India e varie altre regioni con un esercito di armati, il
dio si reca a Tebe per ottenere il regno che Cadmo suo nonno aveva
ceduto a Penteo. Segue uno scontro nel quale Dioniso ha la peggio,
ma Agaue, sua zia e madre di Penteo, convince il figlio a Iiberarlo.
Dioniso con il suo esercito uccide in un agguato Penteo e rientra a Te
be per regnarvi. Non riesce nell'intento perch gli abitanti della citt si
rivolgono a Licurgo e questi con un esercito lo espelle dalla Beozia.
Dioniso fugge e arriva a Delfi dove muore dopo avere offerto le sue
armi nel tempio. Il suo corpo giace in una tomba e questa si trova vi
cino al simulacro aureo di Apollo.
Nella Cronaca l'epitaffio inserito in un contesto nel quale acqui
sta un valore particolare. Essa offre della persona del dio una storia alla
maniera di Evemero: Dioniso che discende da Zeus, ma non suo fi
glio, acquista per i suoi meriti il riconoscimento divino. La morte, che

183

secondo Malala viene ad opera di Licurgo, da altri attribuita a Per


seo14, l'eroe che sconfigge Dioniso presso la palude di Lerna.

La tradizione riferisce di un'altra morte che Dioniso fanciullo subi


sce ad opera dei Titani, che fanno a pezzi il suo corpo. Da un fram
mento di Callimaco apprendiamo che anche Dioniso era venerato a
Delfi insieme ad Apollo, per questa ragione: i Titani, avendo dilaniato
le membra di Dioniso, le affidarono a suo fratello Apollo gettandole in
un calderone, e lui le pose presso il tripode, come dice Callimaco15
La passione che Dioniso soffre ad opera dei Titani trova grande eco
tra gli Orfici per i quali anche modello della morte di Otfeo16 Due

frammenti orfici contenuti in un'opera di Clemente Alessandrino17 rife

riscono che: Quando Dioniso era ancora bambino, mentre i Cureti


eseguivano intorno a lui la danza armata, i Titani, insinuatisi di sop
piatto e adescato il bimbo con dei balocchi, lo fecero a pezzi, lui che
era ancora piccolino, come dice il poeta della telete, il tracio Orfeo: la

pigna e il rombo e i balocchi articolati e i bei pomi d'oro provenienti


dalle melodiose Esperidi. Ma non sar inutile farvi conoscere gli inu
tili oggetti che fanno da simboli in questa iniziazione: un gioco di
aliossi, una palla, una trottola, dei pomi, un rombo, uno specchio,
della lana (un vello?). Atena dunque, sottratto il cuore di Dioniso, fu

chiamata Pallade perch tenne tra le mani il cuore. I Titani intanto, che

avevano fatto a pezzi Dioniso, posero un paiuolo su un treppiedi, vi


gettarono le membra e poi le bollirono, poi le passarono allo spiedo e
le esposero alla fiamma di Efesto. Ma poi Zeus si manifesta [ ...], fol
gora i Titani e consegna a suo figlio Apollo le membra di Dioniso
perch le seppellisca. Apollo non disobbedisce a Zeus e portato il ca
davere smembrato sul Parnaso, l lo seppellisce.
Firmico Materno18 offre la seguente interpretazione evemeristica del
mito: Dioniso figlio di un re a Creta e i Cretesi, popolazione servile,

volendo compiacere il proprio tiranno, fanno un dio di colui che non

poteva avere sepoltura. Liber, questo il nome latino di Dioniso, il

figlio che luppiter, un re cretese, ha avuto da una madre adultera

(Proserpina). Iuno, moglie di Iuppiter, prepara insidie per uccidere

l'infante. Partendo per un viaggio, il padre affida a guardiani che ritiene


sicuri la tutela del figlio dopo avergli consegnato scettro e trono. luno,
irritata ancora di pi per questo gesto, comincia a corrompere i guar
diani, poi colloca le sue guardie del corpo nelle parti pi interne del pa
lazzo. E' lei stessa ad attirare con sonagli e specchio il fanciullo in
184

modo che abbandoni il palazzo e raggiunga il luogo dell'agguato. Il


fanciullo ucciso e, affinch il delitto rimanga nascosto, la banda delle
guardie divide le membra, le cuoce in modi diversi e si nutre di queste,
cosa mai avvenuta fino ad allora. Minerva, la sorella della vittima, par
tecipa al delitto e conserva il cuore, che la parte assegnatale, sia per
avere una prova del delitto e poterlo denunciare sia per mitigare l'ira
paterna. II padre, una volta tornato, si vendica facendo perire i Titani in
vario modo e non potendo sopportare il dolore, fa una statua di gesso e
colloca nel petto di questa il cuore. Successivamente eleva un tempio e
Sileno, il pedagogo di Liber, ne diviene il sacerdote. Stando a quanto
racconta lo stesso Firmico Materno, l Cretesi, per mitigare la crudelt
del tiranno infuriato, decretarono giornate di lutto e istituirono un cul
to annuale [accompagnato da consacrazione biennale] in cui ripetono in
regolare successione tutto ci che il fanciullo fece e sub quando fu uc
ciso. Essi lacerano con i denti un toro vivo dando luogo in queste
commemorazioni annuali a festini atroci nel fitto delle foreste, levando
un coro dissonante di lamenti simulano la pazzia di un'anima furente
per fare credere che il

delitto fu compiuto non

con la perfidia

dell'inganno ma per demenza. Viene portato in processione lo scrigno


in cui la sorella aveva nascosto il cuore; e con la musica dei flauti e il
tintinnio dei cembali imitano il rumore dei sonagli con i quali era sta
to ingannato il fanciullo 19
La passione del dio un evento che, oltre ad essere variamente 00scritto, anche messo in relazione dagli autori antichi con il tratta
mento dell'uva nel processo di viticoltura e vinificazione.
Un commento all'opera di Clemente di Alessandrian d notizia di
un mistico canto relativo allo smembramento del dio, cantato durante
la vendemmia. Diodoro Siculo riferisce che Dioniso il dio generato da
Zeus e Demetra, fu dilacerato e cotto dai figli della terra, [i Titani], ma
che le membra furono nuovamente messe insieme da Demetra e che

egli sarebbe di nuovo rinato giovane: e questi racconti li riportano al

alcune cause naturali. Egli sarebbe detto figlio di Zeus e Demetra per

ch la vite produce il vino spremuto dal grappolo prendendo il nutri


mento per la sua crescita dalla terra e dalle piogge; e il fatto di essere

smembrato, giovane, dai figli della terra indicherebbe la raccolta dei


frutti da parte dei contadini. La cottura delle membra sarebbe un mito
creato per il fatto che i pi cuociono il vino e mescolandolo ne ren185

dono la natura pi odorosa e migliore. Il fatto che le membra scem


piate dai figli della terra siano state rimesse insieme a ricostruire la
precedente natura vorrebbe mostrare che la terra ricostituisce la vite,
spogliata e tagliata al sopraggiungere annuale delle stagioni, riportan
dola al precedente stato di fioritura che essa ha al momento della pro
duzione dei frutti))21
Il significato che la tradizione mitica attribuiva alla morte di Dio
niso da cercare nella variet dei dati finora proposti e nelle conferme
che a questi altre testimonianze offrono.
Il tempo in cui si svolge l'azione quello del mito, il tempo del
le origini quando gli di nascevano, trascorrevano l'infanzia e si ag
giravano sulla terra. L'esistenza degli di caratterizzata da una crescita
che li porta a raggiungere pi o meno rapidamente la condizione di
adulti, che coincide per loro con la facolt di vivere ed esercitare il loro
dominio in Olimpo. Di Dioniso, in particolare, si diceva che avesse
raggiunto la dimora urania dopo la campagna
in armi, condotta in In.
dia.
Alcuni dicono Dioniso inseguito fino a Delfi e morto alle falde del
Parnaso e collocano questi eventi in una fase della sua vita in cui, non
pi bambino, si aggira sulla terra con l'intenzione di affermare la pro
pria identit e di ottenere un riconoscimento terrestre sia rivendicando
in Tebe la sua ascendenza regale sia mostrando a quanti abitano la terra
le sue capacit e i suoi riti.
Altri invece dicono che smembrato quando un infante. Intorno a
lui i Cureti danzano e nel tentativo di evitargli la collera di Era produ
cono con le armi che indossano un rumore tale da non fare giungere al
le orecchie di questa i vagiti del piccolo. A quell'epoca sono ancora at
tivi i Titani, i figli di Urano e Gaia, Cielo e Terra, i fratelli di Krono,
gli di della generazione precedente contro i quali Zeus deve combattere
per imporsi sul trono uranio. Il cosmo allora ancora in via di forma
zione.
Interessa notare che il luogo ove sepolto - oltre a essere annove
rato nella tradizione mitica tra quelli privilegiati per le comunicazioni
tra la terra e i mondi uranio e infero - in qualche modo messo anche
in relazione con la nascita o con l'infanzia del dio. Una "coincidenza"
non casuale se si considera il susseguirsi di morte e nascita che caratte186

rizza la vicenda del dio. E' noto infatti che Tebe- considerata Olimpo

terrestre per avere ospitato tutti gli di in occasione delle nozze dei ge

nitori di Semele

la citt dove Dioniso generato per la prima volta

da sua madre, dove, nato una seconda volta da Zeus, affidato da Her
mes alle cure delle zie, e dove smembrato e sepolto.

Il centro della terra presso Delfi particolarmente aperto a collega

menti con il mondo infero ed uranio e la tomba del dio nel santuario

situato alle falde di quel monte Parnaso. presso il quale la tradizione


ambientava momenti di vita 'infantile" comuni a Dioniso e Apollo.

Una cima del Parnaso, infatti, gi baccheggiava per Dioniso quando


Apollo vi arriva, recato sulle braccia dalla madre21 E Dioniso era pres

so l'oracolo prima che Apollo lo ereditasse in quanto figlio di Latona e


successivamente ne prendesse possesso come figlio e profeta di Zeus:l!.

Il mito riconosce in questo modo tra Dioniso e Apollo una rela


zione che era tra l'altro fondamento della locale religiosit. Questa ri
chiedeva che Dioniso avesse parte degli onori, che gli fossero dedicati

tre mesi invernali nel calendario21 e la decorazione di un timpano nel


tempio:!S. D'altronde Apollo che esercitava il suo dominio in quel luo
go risultava essersi imposto in qualche modo a chi raveva n prece
duto.
Diverse sono le azioni di violenza che portano Dioniso alla morte.
Non detto, per esempio, in quale modo Dioniso, dopo avere egli
stesso offerto ad Apollo le proprie armi, trovi la morte a Delfi durante
un conflitto nel quale i suoi avversari non gli riconoscono l'eredit del
regno che egli pretende e lo ostacolano nella diffusione dei riti.
E' noto che i Titani agiscono per invidia nei confronti di Dioniso,

figlio di Zeus e Persefone, o per collaborare ad un piano destabilizzante


di Era indicata, dai pi, come l'istigatrice dello smembramento di Dio

niso11. Il suo movente la gelosia che, da sposa di Zeus, nutre nei


confronti dei figli del marito nati al di fuori del suo matrimonio e che

secondo alcuni esplode nel momento in cui quel figlio si trova nelle
condizioni di erede del potere. Nonno dice appunto che Dioniso uc

ciso dopo che salito nella dimora paterna e si impadronito dei ful

mini, le armi del padre, e dice anche che Era istiga Gaia perch scateni
prima i Titani contro il figlio di Zeus e Persefone poi i Giganti affin
ch portino guerra contro il figlio di Semele28
Il conflitto culmina in un infanticidio:- Dioniso attirato subdola

mente dai Titani, che si tingono il viso di bianco e ricorrono a giochi


187

puerili per raggirarlo29 Essi fanno a pezzi il suo corpo e si servono an


che di un coltellolJ. All'infanticidio segue la cottura delle membra, che
secondo alcuni finalizzata a un banchetto e si trasforma in una pro

vocazione. I Titani mettono in un lebete i pezzi del corpo per bollirli e


successivamente li passano sul fuoco per arrostirli. Zeus allettato dal

buon profumo delle carni in cottura e, non invitato, irrompe durante il


pasto, scopre quanto grave ci che sta accadendo, punisce col ful

mine, fa precipitare nelle profondit del Tartaro i Titani31 che avevano


anche gustato le carni del morto32 Cos facendo egli si dimostra supe

riore, riconoscendo "cosa bolle in pentola" ed effettivamente in grado

di affermare la sua superiorit mediante la punizione.

Successivamente avviene che Zeus stesso, con la collaborazione dei

figli o di altri, assicuri nuova vita al morto grazie anche a certe parti
del suo corpo ritenute particolarmente vitali.

Il cuore del figlio di Persefone, che Atena aveva preso durante lo

smembramento, da Zeus introdotto in un simulacro di gesso33 o of

ferto come pozione a Semele che rimane cos incinta del nuovo Dio

mso .

34

I tendini del dio, che per l'intervento dei vari personaggi sono mes

si in condizione di rinsaldare le ossa ricomposte nel giusto ordine, re


stituiscono capacit di movimento e vita al corpo. Dioniso giace a ter

ra ferito mortalmente, gli hanno reciso il tendine che lega la caviglia al


malleolo. Zeus lo fa rialzare destandolo da un sonno che, simile alla

morte, sospendeva momentaneamente la sua condizione sovrumana3.'5.

Demetra ricrea l'armonia delle sue membra, lo fa nascere giovane come

la prima volta36; Rhea ricompone il corpo e il dio rivive, per la terza


volta: la prima da Semele, la seconda da Zeus, la terza dopo lo smem

bramento ad opera dei Titanf'.

Apollo riceve dai Titani o da suo padre Zeus l'ordine di seppellire

Dioniso. Egli obbedisce e si reca al Parnaso per deporlo alle falde del

monte a Delfi presso il tripode38 La sua azione produce effetti non di

versi da quelli ottenuti dagli altri artefici della nuova armonia delle

membra di Dioniso. Riunendo le parti del corpo che i Titani avevano

smembrato, Apollo lo fa risalire dal mondo inferiore, gli d nuova vita


ed il vero salvatore di Dioniso, celebrato in un inno come Diony
sodotes colui che dona Dioniso.

188

Gli stessi carnefici, dopo avere fatto a pezzi la vittima e averla se


polta ricomponendo nell'ordine le membra vedono Dioniso risuscitare
vivo ed integro'"' e raggiungere la divina celeste dimora41
La \(icenda per la quale Dioniso raggiunge una nuova vita ha, nel
mito, anche altre conseguenze. Atena da allora in poi chiamata Pal

lade per il fatto che il cuore del dio ha palpitato nelle sue mani. I Ti

tani raggiungono il Tartaro, loro definitiva collocazione nel cosmo.


Secondo alcuni solo allora Atlante trova posto in occidente ove ha i l
compito d i sostenere l a volta celeste42 L a punizione dei Titani causa la
comparsa del genere umano, che ha origine dai vapori fuligginosi
emessi dai loro corpi colpiti dalla folgore di Zeus..,. Per gli Orfici ac
cettare una tale antropogonia comportava il subirne le conseguenze. Da
un lato essi si consideravano gravati dalla colpa dei Titani e per puni
zione di Persefone, madre offesa del fanciullo divino, costretti, ad avere
pi vite44, dall'altro ritenevano che l'iniziazione ai misteri accrescesse
in loro la partecipazione alla natura del dio del quale i Titani si erano
cibati.
Quanto il mito narra ritenuto fondamento di regole per la celebra
uali i partecipanti si imbiancavano il viso come

avevano fatto i Titani e usavano gli strumenti con i quali era stato at

zione di riti durante i

tirato il dio bambino46; le donne, come avveniva nel corso della festa
Thesmophoria, si astenevano dal mangiare i frutti del melograno per i l
fatto che aveva avuto origine dalle gocce del sangue versato da Dio

niso47. Firmico Materno, come s' visto, indica in certi riti cretesi che

comportavano lacerazione e consumazione di carni crude (sparagmos e


omophagia) della vittima animale l'illustrazione della vicenda di morte
di Dioniso.
Plutarco propone un confronto tra Osiride e Dioniso: i miti sui
Titani e i riti notturni concordano con gli smembramenti di Osiride e
la sua resurrezione e rinascita. Altrettanto si dica riguardo alle sue varie
sepolture. Gli Egizi, infatti, mostrano dovunque tombe di Osiride,
come gi stato precisato; cos parallelamente i Delfi credono che le
reliquie di Dioniso siano serbate da loro presso il loro oracolo; e i
(sacerdoti denominati) "santi" offrono un sacrificio segreto nel tempio
di Apollo, quando le Tiadi svegliano il Liknites48

189

Dioniso Liknites, del liknon o che nel liknon, si fregia di

un epiteto che nella spiegazione offerta da Esichio deriva dai likna nei
quali i fanciulli dormono"-'. Liknon il nome usato per indicare un ce
sto, un canestro, una culla, un ventilabro, ovvero uno strumento usato
in agricoltura per raccogliere i chicchi di grano, agitarli al vento, sepa
rarli dalla pula, un contenitore di frutti, di oggetti, in cerimonie sa
cra! i".

La celebrazione menzionata da Plutarco aveva ricorrenza biennale5',

un intervallo temporale che caratterizzava, come dice Diodoro Siculo,


le feste per la comparsa del dio tra gli abitanti della Beozia, tra gli altri
Elleni e i Tracl e traeva origine dal tempo trascorso nell'impresa con
dotta in India e nel ritorno a Tebe52
Per quanto riguarda la morte, diversamente da Osiride, Dioniso un
fanciullo, smembrato vivo, le sue membra sono cotte, la sua pre
senza nell'Ade solo un passaggio. Il numero delle tombe e la pre
senza di una di queste a Delfi porta Plutarco a fare riferimento al rito
delle Tiadi, che si inquadra nella religiosit delfica e nel rapporto che
unisce Dioniso ad Apollo in quel luogo, ma non risulta trarre fonda
mento dal mito della morte e sepoltura di Dioniso.
Vediamo ora alcune tra le principali interpretazioni che antichi e
moderni hanno dato della tradizione mitica:
Clemente Alessandrino afferma che Dioniso meriterebbe di essere

chiamato Attis per il fatto che nello smembramento

era

stato mutilato

degli organi genitali successivamente trasportati dai Coribanti/Cabiri


in una cesta e affidati ai Tirreni come oggetto di venerazione53.
La relazione che gli antichi individuavano tra viticoltura, vinifica
zione e passione del dio per i moderni una semplice allegoria o pu
avere radici nell'esperienza agraria della passione della vite al momento

della vendemmia e trovare un fondamento in antiche credenze, essendo


riconducibile a un ruolo da dema mediterraneo attribuito a Dionisoso.

All'inizio del ventesimo secolo la vicenda era interpretata come

morte e resurrezione di un dio della vegetazione che si supponeva tra

scorresse una certa parte di ogni anno sotto terra per riemergere a una
certa stagione dal mondo sotterraneo e assicurare la rigenerazione delle
piante e la proliferazione degli animali. Per resurrezione si anche in

tesa la nascita di un neonato considerato rappresentazione antropomorfa


dei frutti della terra. Tra le diverse applicazioni del Iiknon si privile-

190

giava quella che lo vedeva come ventilabro impiegato nella sfera agra
ria e permetteva di sostenere il rapporto tra morte, mietitura e rinascita
primaverile del grano. A sostegno di tale interpretazioni si faceva an
che appello alle origini "tracie" del dio, e a una sua invenzione della
birra che avrebbe preceduto quella del vino. Per superare la difficolt
del ritmo biennale dei riti in suo onore, che risultava difficilmente
conciliabile col ciclo annuale della vegetazione, si fatto anche riferi
mento alla pratica di lasciare riposare i terreni destinati alla cerealicol
tura.
Da tempo stato osservato che il valore di un dio dalle ampie pre
rogative non circoscrivibile alla crescita stagionale. Nel risveglio del
Liknites si preferisce riconoscere l'epifania di Dioniso che ascende dal
regno dei morti; o la manifestazione, in occasione del risveglio della
natura, di un dio che nel rito non risulta morire e risorgere periodica
mente.
Diverso l'approccio al problema del significato della vicenda mi
tica da parte di chi riconosce in particolare nella giovane et del dio e
nel comportamento dei Titani elementi significativi, determinanti per
cercare argomenti che leghino la vicenda di morte e di nascita a riti di
iniziazione.
Continua ad essere oggetto di discussione il rapporto e l'eventuale
incidenza che la vicenda mitica avrebbe su alcuni comportamenti ri
tuali. Una condanna della thysia da parte degli Orfici sarebbe denuncia
ta dalla cottura delle carni di Dioniso ad opera dei Titani ovvero m
quella bollitura che

precede

l'esposizione diretta sul fuoco e contrasta

con le regole del sacrificio nel quale prevista la consumazione delle


carni della vittima. Firmico Materno propone il mito non come fon
damento ma come modello e didascalia di atti rituali in onore di Dioni
so, in realt non facilmente sovrapponibili ai dati tradizionali.

191

N01E

l Malalas, Chr. II p. 45,1-1O Bonn.


2

Tatianus, Contra Graecos 8.

Ps. Clemens Romanus, Horn. 5, 2, 3; Recognit. IO, 24.

Sch. Townl. Horn Il. 14, 319, cf. M. Pirart, "La mort de Dionysos Ar

gos", in The Role of Religion in the Early Greek Polis, Proceedings of the
Third International Seminar on Ancient Greek Cult, Athens, I6- I 8 October
I992, Stockholm 1996, pp. 141-151.
5

Cf. Orphicorum Fragmenta ed. Kern, Berlin 1922; G. Ricciardelli (ed.),

Inni orfici, Milano 2000.

6Th. G. Palaima, "Linear B and the Origins of Hellenic Religion: di-wo-nu


so" in The History of Hellenic Language a. Writing From the Second to the
First Millennium. Break or Continuity?, Ohlstadt 3-6 Oktober I996, Al
tenburg 1998.
7

Diodorus Siculus, 3, 62, 2, trad. A. Corcella in Diodoro Siculo, Biblio

teca Libri I- V, introd. L. Canfora, Palermo 1986.


8

Diodorus Siculus 3, 62, 6-64, 7.

Apollodorus, 3, 4, 3 trad. M.G. Ciani, in P. Scarpi (ed.), Apollodoro, I

miti greci (Biblioteca), Milano 1996.


10

A. Brelich, Gli eroi greci, Roma 1958, in particolare sul carattere eroico

di Dioniso, pp. 365-368.


11

Hesiodus, Theog. 940-942.

12

Cf. Euripides, Ba 1-3.

13

Sulla questione delle origini di questa tradizione e sulle fonti letterarie cf.

M. Pirart, "Le tombeau de Dionysos Delphes", in llotK{a, Hommage


O. Scholer, Luxembourg 1996, pp. 137-154.
14

Cf. Dinarchus, FHG IV 391.

15

Callimachus, F. 643 (da Callimaco vol. 2. Aitia Giambi e altri fram

menti, tad. G.B. D'Alessio, Milano 1996); Etym. Magnum. s. v. Delphoi


(255, 12).
16

Proclus in Plat. Rempubl. l , 175.

192

17

Orph. F. 34; 35 (Ciemens Alexandrinus, Protr. 2, 15P) (trad. M. Di Mar

co in id., "Dioniso e Orfeo nelle Bassaridi di Eschilo", in A. Masaracchia


[ed.], Orfeo e l'Orfismo, Roma 1993, p. 135).
18

Orph F. 214 (Firmicus Maternus, De errore profanarum religionum

6, 1-

5).
19

Trad. M. Di Marco, cit. p.l39; salvo il testo tra [ ].

"'
21

Sch. in Clemense Alexandrinus, Protr. 4, 4.


Diodorus Siculus, 3, 62, 6-7 (trad. A. Corcella); Cornutus, Theologia

graeca, p. 58 Lang.
22

Nonnos, Dion. 13, 19-24.

23

Euripides, /T 1234-1248; cf. M. Rocchi, '"I Monti grandi' e il Parnas

sos", in in S. Ribichini - M. Rocchi - P. Xella (edd.), La questione delle in

fluenze vicino-orientali sulla religione greca. Stato degli studi e prospetti


ve di ricerca (Atti del Congresso di Roma, 19-211511999), in stampa.
14

Hypoth Pi. Pyth.

25

Plutarchus, De E delph. 9 [389 C].

7ti

Pausanias, l O, 19, 4.

Orph. F. 21O (Nonnos Abbas in orat. II contra Iulian. 35); F. 220

(Oiympiodor. in Platonis Phaedonem 6lc).


28

Nonnos, Dion. 6, 155-205; 48, 23-3Q.

Orph. F. 34.

Nonnos, Dion. 6, 169-173.

31

32

Orph. F. 34 (Arnobius, Adv. nationes 5, 19).


0rph. F. 210 (Piutarchus, de esu carnium I 996c); F. 214 (Firmicus Ma

ternus, cit.) F. 220 (Oiympiodor. cit.).


33

Orph. F. 35 (Ciemens Alexandrinus, cit.); F. 214 (Firmicus Maternus,

cit.); F. 216 (Proclus in Platonis Cratylum 406c).


J4

Hyginus Fab. 167; h. Procl. VII Minerv.

35

Orph F. 214 (Himerius, Orat. 9,4); cf. per i tendini recisi a Zeus: M. Roe

chi, "I neura di Zeus", SMEA, 21, 1980, pp. 353-375.


36

Diodorus Siculus 3, 62, 6.

'57

Orph. F. 36 (Philodem. De pietate 44).

193

38

Callimachus F. 643; Orph. F. 35 (Clemens Alexandrinus).

YJ

Orph. F. 209; 211 (Oiympiodorus); cf. per il Dionysodotes: Paus. l, 3 1 ,

4.
..,

Orph F. 240 (Macrobius,

in somnium

Scipionis I 12,

11); F. 213

(Mythogr. Vat. III 12,5).


41

Origenes, Contra Celsum, 4,17; Justinus, Dialogus cum Tryphone 294D-

295A.
42

Orph. F. 215 (Simplicius).

43

Orph. F. 220; 224.

44

Pindarus F. 133 [Maehler].

45

Harpocratio, s. v. apomatton; Nonnos Dio n. 6, 169-173, 27, 205; 228;

47, 732-733.
46

Orph. F. 31 (Papiro Gurob).

41

Clemens Alexandrinus, Protr. 2, 16, P.

48

Plutarchus, de lside 35 [364F-365B]; V. Cilento (ed.), Plutarco, Diatriba

/siaca e Dialoghi Delfici, Firenze 1962; cf. Orph. H. 46, 1;52, 3.


49

Hesychius, s. v. liknites, cf. Sophocles, l chn. 275 [Radt].

"'

h. Horn. ad Mercurium 150; Callimachus. H 1,47; Scholium ad loc; AP

6,165; Suidas, Photius; Harpocratio, s . v. to liknon.


"

Pausanias, 10, 4,3

52

Diodorus Siculus, 3, 65, 7-8; 4, 3, 1-3.

53

Clemens Alexandrinus, Protr. 2, 16 P.

54

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194

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197

POSTF AZIONE
Why a god must die

ILEANA CHlRASSl COLOMBO

La stimolante raccolta di saggi qui presentata, tutti affidati a specia


listi di settore, vuole meritoriamente mettere una serie di punti fermi
nella pletora di informazioni, analisi, interpretazioni ruotanti intorno
all'apparente paradosso di una mortalit divina, un'esperienza di morte,
presente nelle biografie mitiche ma anche nelle prassi rituali di vari es
seri extra-umani dei politeismi precristiani, del Mediterraneo greco-ro
mano, delle antiche culture del Vicino Oriente e deii''"Egitto:)L'inte
resse di fondo, come facile intuire, sta nel rapportarsi implicito

crl

esplicito di questi complessi mitico-cultuali al mistero. della morte e

resurrezione del Figlio di Dio assolutamente centrale per l'euaggelion


cristiano.
Le pagine di premessa mi esimono dal tracciare un profilo lineare
della storia degli studi e delle problematiche connesse, )asciandomi
cos libera per una serie di postille di arricchimento.
Il titolo - per cos dire - scelto per questa

Postfazione non un

omaggio alla richiesta di una simultanea in inglese, ma quello effet


tivamente scelto per una mia

lecture di una decina di anni fa tenuta

presso il "Department of Near Eastern Studies" dell'Universit di Ber


keley. Completo, il titolo precisava: "The so-called death of the super
natural Being in Near Eastern and Mediterranean polytheistic pan
theons". L'argomento, sia pure strizzato nelle dimensioni di un incon
tro seminariale, ricalcava apparentemente le tematiche del nostro vo
lume. In realt, l'interesse in quel momento era sollecitato non tanto
da una riflessione comparativa sul tema dei

dying gods tradizionali

(quelli di Frazer, per intenderei), quanto da un interesse pi specifico,


legato alla rilettura in chiave storico-religiosa del

dossier relativo

all'assassinio politico di Giulio Cesare raccontato come una messa a


morte sacrificale di un "figlio di dio", nel caso lo stesso Giulio che,
come figlio di Ares e di Afrodite, compare nelle iscrizioni onorarie del
199

koinon delle citt dell'Asia Minore. La morte violenta di Cesare, ese

guita secondo un modello rituale, si prestava ad essere vista come ga


ranzia dell'acquisizione di uno statuto regale che non poteva essere di
sgiunto da quello divino, sul tipo di quella assimilazione Romulus
Quirinus del quale lo stesso Cesare si era proclamato contubemalis.
Nella Roma di fine repubblica l'efficacia nell'inconscio culturale di un
modello con radici lontane poteva essere motivo di partenza per svi
luppi di pi vasta portata (Chirassi Colombo 1993).
Non possiamo quindi fare a meno di ricordare qui quella scoperta
dell'etnologia storica alla quale sarebbe necessario rivolgersi per la
comprensione di almeno un certo numero di dying gods. Questa os
servazione di Angelo Brelich in un articolo molto denso (pubblicato
su SMSR del 1960), nel quale mette a fuoco la morfologia e il ruolo
di Quirinus, il dio romano della terza funzione nella prospettiva du
mziliana di dio strutturalmente agrario (Brelich 1960). La scoperta
alla quale ci si riferisce sta nel volume di A. E. Jensen, Das religiose
Weltbild einer friihen Kultur (Stuttgart 1948), citato da Brelich nell'

edizione tedesca anche se, su proposta di Ernesto De Martino, nel 1952


era gi comparsa la traduzione italiana con il titolo Come una cultura
primitiva ha concepito il mondo, in quella "Collana Viola" di Einaudi

che apr in modo significante la cultura italiana al confronto con le


proposte "altre", al di fuori dei campi strettamente previsti.
Brelich, a questo punto, aveva gi alle spalle il volume importante
sugli eroi greci (Brelich 1958), dove aveva affrontato lo specifico della
vasta categoria degli esseri extra-umani, non di, che nel politeismo
greco muoiono e sono onorati con rito funebre e si contrappongono
alla categoria dominante, gli di, contraddistinti da quella imprescindi
bile qualit che l'immortalit. Una qualit che la cultura greca in par
ticolare sottolinea continuamente proponendo l'insolubile contraddi
zione thnetos - athanatos, mortale vs immortale, uomo vs dio, con
traddizione comunque presente anche negli altri sistemi politeistici.
Ora, proprio la presenza nei sistemi politeistici di divinit che passano
attraverso l'esperienza della morte o addirittura la incamerano nel pro
prio essere, pone per Brelich anzitutto problemi di prospettiva storica.
Perch alcuni di nei sistemi politeistici muoiono? Gli esempi anno
tati sono in gran parte quelli di Frazer: Osiride, Dumuzi-Tammuz,
Dioniso, Persefone (ma non sua madre Demeter), Soma, Y ama, Mot
200

(e non Baal!). La categoria univoca dei dying gods, soprattutto nella


proiezione di allegoria agraria, appariva insostenibile - ne aveva gi 00.
nunciata l'inadeguatezza anche H. Frankfort, uno dei grandi patrons
delle tesi sulla "regalit sacra" - in un articolo (tra gli altri) pubblicato
nel1958 (Frankfort 1958), che Brelich puntualmente cita ma dal quale
sottilmente dissente. Anche l'etnologia storica di Jensen, l'allievo di
Leo Frobenius, era stata criticata poco prima e dallo stesso De Martino
nelle premesse di un importante studio pubblicato sulla stessa rivista
"Studi e materiali di storia delle religioni" (De Martino 1957). Ma Jen
sen offre a Brelich ci che in quel momento gli interessa, la possibilit
di spiegare perch tra le due versioni della morte di Romolo, primo re
di Roma assimilato a Quirinus, quella che racconta come il cadavere fu
fatto a pezzi portati a casa dai Senatori sotto la toga (Livio, I 16, 4)
doveva essere la pi arcaica. Non perch questo trattamento rimandasse
ad una situazione genericamente "pi selvaggia", ma perch permetteva
di inserire questa tessera di mito

in un mosaico pi

completo

nell'ambito di una comparazione a vasto raggio, alla ricerca di quella


che potremmo demartinianamente definire la ierogenesi di un nesso
mitico-rituale. La comparazione poteva avvenire con quella cultura
melanesiana dei Marind-anim della Nuova Guinea sfruttata da Jensen:
agricoltori, o meglio, orticoltori papuasi che sino agli inizi del XX
secolo coltivavano ignami, patate dolci, banane, cocco, con il bastone

da scavo e avevano una ricca mitologia imperniata sulle azioni


fondanti di esseri extra-umani, definibili con una glossa dai significati
multipli, dema. Con il loro sacrificio, messa a morte violenta seguita
spesso dallo smembramento, essi avevano dato origine a molti aspetti
dell'attualit, dalle piante alimentari agli astri, ad esempio la luna.
L'habitat nel quale si era sviluppata la ricca mitologia dei dema, cio

degli esseri extra-umani martirizzati, basato sulla pratica di un'agricol


tura semplice, un'orticoltura, poteva autorizzare su basi concrete una
comparazione con un habitat mediterraneo preistorico, prepoliteistico,
di tipo altoneolitico. Qui un sistema simbolico religioso che raccon
tava di esseri mitici destinati ad un'utile morte violenta e specializzati
spesso nel ruolo di morti importanti, antenati cianici, avrebbe potuto
precedere i pi tardi e diversi modelli politeistici. Diversi sondaggi po
tevano autorizzare una ricerca in questo senso, anche se appariva im
proponibile l'accettazione in blocco della realt esemplare di quel
201

mondo arcaico e statico ricostruito da Jensen, cos dipendente dalla si


tuazione del suo ciclo culturale. E' la critica di fondo di De Martino!
Pur consapevole dell'utilit della comparazione proprio per capire il
senso della differenza, Brelich avvertiva il rischio di dover accettare la
possibilit di utilizzare modelli categoriali comparabili sul piano di
una morfologia storico-culturale per permettere di comprendere i per
corsi storici dei modelli "religiosi" senza ricorrere agli archetipi, alle
"ierofanie".
La salutare reazione contro le generalizzazioni affrettate non deve
condurre all'eccesso opposto, cio al disconoscimento di quanto, mal
grado i caratteri specifici sia comparabile nei singoli casi, essa non
deve mirare ad abolire ma a correggere la comparazione, scriveva Bre
lich sempre in quell'articolo del 1960. Il de ma jenseniano continuava a
rimanere importante per cercare di capire in chiave comparata il perch
di quella messa a morte violenta dell'essere divino ed il perch dello
smembramento del corpo, il perch dell'effusione di sangue come mo
mento necessario per la creazione di vita, anzi di nuova vita, di una
nuova realt, o meglio di attualit. Questo anche al di l del rapporto
tra la morte dell'essere extra-umano (dio) e la messa a morte violenta,
sacrificate del re, come modello di legittimazione della permanenza
della regalit quale istituzione oltre la natura umana della persona re
gale, tesi che comunque gi frazeriana.
Il modello "regale" non poteva tuttavia esaurire l senso pi com
pleto del nesso mitico-cultuale. Nell'ottica analitica dell'ipotesi com
parativa di Brelich si sviluppava, per suo diretto suggerimento, verso
la fine degli anni '60, la mia ricerca sui dema mediterranei ristretti ri
gorosamente all'area greca e confluita nel volume Elementi di culture
precereali nei miti e riti greci (Chirassi Colombo 1968). Ricerca
tutt'altro che conclusa, che premetteva comunque gi nel titolo il suo
obiettivo: un sondaggio in quella che potremmo definire con De Mar
tino la ierogenesi, il percorso storico di formazione, non la ierofania,
di ricorrenti nessi mitico-rituali presenti nel politeismo greco e am
piamente aperti alla possibilit di comparazione con altri analoghi
presenti in altri sistemi politeistici. I nessi mitico-rituali riguardavano
proprio i temi di morte e resurrezione-ricomparsa sotto forma meta
morfica soprattutto vegetale di vari esseri delle origini fissati nello sta
tuto di eroi ed eroine ed il loro rapporto con le divinit polteistiche.
202

La ricerca avrebbe dovuto andare oltre, proseguire secondo quel per


corso indicato dallo stesso Brelich nel lontano articolo del '60, per il
quale proprio lo studio comparato delle religioni delle cc.dd. civilt
superiori avrebbe potuto condurre sino alla soglia del problema storico
delle divinit morenti, ma la comparazione delle civilt superiori tra
loro ancora in buona parte tra i compiti dell'avvenire)),
Molti anni sono passati dal momento nel quale furono scritte que
ste parole. Dal linguaggio della ricerca sono progressivamente spariti i
derna, non solo quelli di Jensen, anche per uno spostamento di inte
resse dal processo ierogenetico in s alle problematiche di funziona
mento e trasmissione dei modelli religiosi storicamente acquisiti e l'
attenzione alle tipologie. Si insomma lasciato eventualmente alle
teologie, non alla storia, il compito di riflettere sui perch e sui come,
sulla genesi storica delle immagini e dei comportamenti simbolici che
costituiscono gli orizzonti di riferimento delle religioni e delle culture.
Sono spariti i dema dunque - anche per la demolizione operata intorno
agli anni '80 da Dario Sabbatucci - sono rimasti tuttavia quei modelli
di fondo per i

quali rimane possibile

e forse

utile

riutilizzare

l'etichetta, per quegli esseri dell'immaginario mitico che devono subire


nel proprio corpo uno strazio totale per rinascere come fondatori di una
nuova realt, o rinascere loro stessi come altri. Rimangono dunque
sempre irrisolti quei miti di scempio sacrificate, di sbranamento di un
mitico corpo, sul quale si era soffermata la volont di capire di Angelo
Brelich riflettendo sull'esempio del primo re e dio, fondatore di Roma.
Non si trattava di una riflessione per capire le radici di una inevita
bilit della violenza, del mistero della necessit del sacrificio, soffe
renza ecc. ecc. che riempiono gli scaffali di letteratura di ogni tipo ali
mentando pericolose suggestioni, ma del desiderio di dare a questo mo
dello cos ripetuto, dalla Nuova Guinea al Mediterraneo, una serie di
giustificazioni storiche che ne misurino e valutino le differenti applica
zioni e ne riqualifichino la portata nell'immaginario culturale.
Una recente attenzione a riconsiderare tematiche di questo tipo in
chiave storica e antropologica ha portato alla realizzazione di questo
interessante e sotto molti aspetti nuovissimo volume, che segna un
importante passo avanti nell'ambito di quella comparazione storica
auspicata da Brelich. Collocati uno accanto all'altro in precise prospet
tive gli esseri morenti delle culture del Mediterraneo antico rivelano le
203

diversit e le analogie che si fanno rilevanti soprattutto rispetto agli


esiti della loro vicenda e definiscono di volta in volta i diversi tipi di
funzione nei quali sono coinvolti.
Si profilano cos i distinguo per i quali l'ittita Telipinu certamente
non muore ma solo si assenta a suo capriccio, determinando con la sua
latitanza quell'arresto dello svolgimento normale della vita cosmica
che si registra anche in altri casi nei quali l'essere divino non pi al
suo posto. Ad esempio, quando Demetra vagabonda sulla terra alla
ricerca della fig lia, ma anche quando Btar scende negli Inferi magari
non per cercare Dumuzi.
Muore di morte violenta e viene fatto a pezzi Osiride, definito an
che in alcuni testi lo smembrato, per esistere nello stato di morto
potente e dare cos garanzia totale alla permanenza del cosmo che com
prende e si impernia sulla infrangibilit della regalit dinastica, nel
passaggio del potere al figlio Horus, ma anche sulla certezza del
ripetersi della piena del Nilo e della produzione dei cereali proposti
come emissione dal suo corpo.
Muore smembrato Mot, l'avversario pi temibile di Baal, frantu
mato come cereale da Anat, ma solo per essere ridimensionato come
custode di una mortalit umana controllata.
Muore

ma

non

smembrato

Dumuzi,

che

ha

comunque

interessanti relazioni almeno con un prodotto derivato dal cereale, la


birra, ed altri legami con liquidi vegetali che farebbero supporre anche
per lui un trattamento di martirio. Come morto, Dumuzi ritorna
comunque correttamente in

occasione delle feste dei defunti

che

ritmano il rapporto tra vivi e morti nelle scansioni calendariali. Ma


non rivive!
Muore smembrato, bollito, arrostito e persino mangiato Dioniso,
figlio di Zeus, dio olimpico, anche se nato immortale da mortale,
come dice Euripide all'inizio delle Baccanti, ma costretto a passare at
traverso molteplici nascite, uccisioni, trasformazioni, ritorni, senza
mai perdersi totalmente, senza mai morire definitivamente, dal mo
mento che la sua tomba segnalata a Delfi prevedeva il rituale periodico
della sua egersis, letteralmente risveglio, ma anche richiamo in vita.
Legato attraverso rapporti di metonimia con il vino, il prodotto deri
vato dalla manipolazione dell'uva, ma anche all'edera, al fico, alla li
quidit, agli animali erbivori, capretto, toro, animali sacrificali per ec204

cellenza, Dioniso garante di quella met del cosmo nella quale ir


rompono quei modelli di comportamento incoscienti, non attuali, to
talmente liberatori di ogni vincolo, di ogni legge, in quello stato altro,
modificato di coscienza, determinato dalla possessione divina, metafo
rizzata anche dal vino, bevanda-droga per eccellenza e metonimia del
sangue sacrificale del dio. E' la sfera sulla quale non ha giurisdizione
quella divinit che a Dioniso complementare, simmetrica ed insieme
antitetica, non Apollo ma la cerealicola Demetra. Un rapporto tutto dl
riconsiderare.
Muore di morte violenta ma autoprocurata o almeno autovoluta
(anche nella versione della controparte dell' Atys lidio) l'Attis amato
dalla Grande Madre, la Madre degli di, e rimane imprigionato nello
statuto di non morte realizzato dalla sua metamorfosi nel sempreverde
albero di pino, ma anche dalla sua situazione di eunuco che lo preserva
dal coinvolgimento nel tempo misurato dalla generazione che offre come viene opportunamente puntualizzato - un exemplum per un mo
dello di regalit antidinastica realizzabile

livello sacerdotale. Oltre a

diventare un possibile modello per quegli orientamenti antimondani e


sottilmente anti-femminili che attraversano in modo incrociato nel
tardo antico le interpretazioni di neoplatonici, gnostici e cristiani.
Muore di morte violenta Adonis che, come Attis, non un dio ma
un eroe, quindi "deve" morire, e trova il suo paradosso nella possibile
rinascita-ritorno, non solo nella metamorfosi vegetale dell'anemone, il
fiore di vento che lo rappresenta. Almeno nel rituale di Biblo, Adonis
realmente ritorna vivente, vive, zoei. Ed ancora ritorna per immorta
lizzarsi tra le braccia della divina amante nel rituale degli "Adonia" di
Alessandria, sullo sfondo di un modello di "apoteosi" regale che si fa
strada nel mondo ellenistico. Si tratta di due casi che si staccano dalla
tipologia del ritorno parziale, costante nel dossier adonico. Accanto
alla metamorfosi floreale, c' per Adonis un ritorno ciclico che sfugge
alla banalit naturistica, legata ad un modello speciale di spartizione
equa del tempo tra vita e morte, che - come stato opportunamente
sottolineato - proprio ad Adonis Zeus offre come modo concordato per
sottrarlo ai rischi dei desideri esagerati suscitati dalla sua esagerata
avvenenza.
Analoga distribuzione del tempo tra vita e morte entra nella codifi
cazione del destino di Kore-Persefone separata dalla madre e nel suo
205

corpo oggetto di violenza, ma violenza che non lo smembramento di


Osiride, di Dioniso (e neanche della Hainuwele di Jensen, la fanciulla
dema tratta dai miti dei Wemale dell'isola di Ceram), bens quello di
una fanciulla strappata alla madre per un matrimonio forzato che la co
stringe a uno stupro nuziale con un potente, il Signore dell' Oltre
tomba. Kore non rinasce in nessun fiore, la sua assimilazione alla
spiga di grano deriva tutta dalla ricostruzione della Kornmutter e
Kornmiidchen di Mannhardt. Il ritorno temporaneo della figlia alla ma
dre variamente ritmato non interrompe quel legame infrangibile con

quel regno dei morti dal quale, in almeno una variante del mito, nella
variante romana di Proserpina, la figlia, sceglie di non ritornare mai
pi (Chirassi Colombo 1995).
Ancora soluzioni varianti, circostanziali, dipanate nella storia in
tomo a nuclei narrativi, mitici, sacri, dati ma mai immutabili.
Rimane il dossier di Baal, il Baal ugaritico e dei suoi pi tardi ana
loghi, Eshmun e Melqart. E' il Baal-Rpu, il Baal-Salvatore che scende
nel mondo dei morti, muore portandosi dietro la scomparsa dell'acqua
pluviale, fonte di vita, ma poi ovviamente, come conviene a un dio
politeistico, risale, rivive e forte dell'esperienza diventa amministra
tore, protettore del mondo dei defunti, non come dio dell'oltretomba
ma come responsabile dei rapporti importanti tra morti e vivi in un
mondo coeso,

un cosmo dove la morte

non

pu

rappresentare

un'invalicabile barriera. Nell'analisi puntuale qui proposta, proprio i l


dio siro-palestinese, possiamo dire, ben rappresenta l a categorie degli
di che muoiono e rinascono. Anzi, l'unico a veramente "rinascere"
portando con s un progetto salvifico su piani diversificati, da quello
della salvezza-salute, rappresentato dal pi tardo Eshmun assimilato al
guaritore Asclepio, al piano della salvezza data dalla difesa dell'ordine
attuale assicurato dal dio cittadino Melqart, problematicamente identi
ficato con l'eroe-dio greco Eracle, per il quale le testimonianze epigra
fiche parlano esplicitamente di un rituale di morte e di egersis, risve
glio, rialzamento, resurrezione. Il dossier siriano sicuramente il pi
importante e il pi scottante. Riconduce infatti la "tipologia" del dio
che muore ed eventualmente risorge al di fuori delle maglie delle inter
pretazioni precostituite e dalle seduzioni dei giochi sempre comunque
indicativi, creativi, delle metafore e lo ricostituisce come antefatto sto
rico importante per la ierogenesi del mistero cristiano. Un mistero che,
206

come tutto ci che appartiene al bricolage del mito e della storia, dovr
essere comunque un mistero diverso.
Questo rapido attraversamento del dossier raccolto e delle sue pro
blematiche non ne esaurisce certo i segreti, i pregi, le suggestioni. Il
volume si presenta quindi come un testo di grande interesse non solo
per una fruizione immediata dei risultati di ricerca proposti, ma anche
per una riconsiderazione critica innovativa alla luce delle nuove acqui
sizioni di tematiche classiche degli studi storico-religiosi.

Bibliografia
Brelich 1958
A. Brelich, Gli eroi greci. Un problema storico-religioso, Roma 1958.
Brelich 1960
A.
Brelich, Quirinus: una divinit romana
comparazione, SMSR, 31, 1960, pp. 63-119.

alla

luce

della

Chirassi Colombo 1968


I. Chirassi Colombo, Elementi di culture precereali nei miti e riti
greci, Roma 1968.
Chirassi Colombo 1993
I. Chirassi Colombo, "Il mestiere di dio e i suoi rischi. Riflessioni in
chiave storico-religiosa intorno a SIG 760", in La cultura in Cesare.
Atti del Convegno Internazionale di Studi, Macerata-Matelica, 30.044.05./990, Roma 1993, pp. 397-426.
Chirassi Colombo 1995
I. Chirassi Colombo, "Il paradigma patetico", in G. Buzzatti - A.
Salvo (edd.), Corpo a corpo. Madre e figlia nella Psicanalisi, Bari
1995, pp. 47-82.

207

De Martino 1957
E. De Martino, "La messe del dolore", SMSR, 28, 1957, pp. 1-53.
Frankfort 1958
H. Frankfort, "The Dying God". Inaugurai Lecture as Director of the
Warburg Institute and Professor of the History

of Pre-Classical

Antiquity in the University ofLondon, 10th November 1949, Joumal


of the Warburg and Courtauld Institutes", 11, 1958, pp. 141-151.

208

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

AION
ANRW
A nSt
ASJ
AuOr
BASOR
BM
BiOr
CCCA
CIG
CIL
Cl Q
(CR)RAI
CT
FAOS
FHG
HR
HTR
IG
JCS
JEA
JHS
JSS
KTU

Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli.


H. Temporini - W. Haase (Hg.), Aufstieg und Nieder
gang der romischen Welt, Berlin/New York 1976--.
Anatolian Studies.
Acta Sumerologica, Hiroshima.
Aula Orientalis.
Bulletin of the American Schools o/Orientai Research.
Sigla di documenti e monumenti conservati nel British
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(Compte-rendu de la) Rencontre Assyriologique lntema
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Cuneiform Texts from Babylonan Tablets in the British
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Freiburger Altorientalische Studien, Freiburg.
C. Miiller, Fragmenta Historicorum Graecorum, Paris

1841-70.
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209

LA
MH
PG
pp
RA
RAC
RB
REA
RHA
RIA
SIG
SJOT
SMEA
SMSR
TCL
TSS
UET
ZDMG
ZPE

W. Helck - E. Otto (Hg.), Lexikon der Agyptologie,


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J.P. Migne, Patrologia Graeca, Tumhout 1857-89.
La Parola del Passato.
Revue d'assyriologie et d'archologie orientale.
Reallexikon fiir Antike und Christentum.

Revue biblique.
Revue des tudes anciennes.
Revue hittite et aJanique.
Reallexikon der Assyriologie .
Sylloge Inscriptionum Graecarum (ed. W. Dittenberger).
Scandinavian Joumalfor the Old Testament.
Studi micenei ed egeo-anatolici.
Studi e materiali di storia delle religioni.
Textes Cuniformes du Louvre.
R.R. Jestin, Tablettes sumriennes de Suruppak au
Muse d'Istanbul, Paris 1937.
Ur Excavations Texts, London/Philadephia 1928--.
Zeitschrift der Deutschen Morgenliindischen Gesell
schaft.
Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik.

GLI AUTORI DI QUESTO LIBRO

Ileana

Chirassi

delle religioni

Colombo

presso il

professore ordinario di Storia

Dipartimento di Scienze dell'antichit

dell'Universit di Trieste.
Maria Grazia Lancellott i, dottore di ricerca in Storia delle
religioni presso l'Universit

di Roma

"La Sapienza", borsista

dell'Accademia Nazionale dei Lincei.


Paola Pisi ricercatore presso il Dipartimento di Studi storico
religiosi dell'Universit di Roma "La Sapienza".
Anna

Maria

Poi vani

professore associato di Storia del

Vicino Oriente antico presso il Dipartimento di Studi storici e


geografici dell'Universit di Firenze.
Sergio

Ribichini

primo

ricercatore

del

C.N.R.

presso

l' Istituto per la civilt fenicia e punica 'Sabatino Moscati' di Roma.


Maria Rocchi primo ricercatore del C.N.R. presso l' Istituto
per gli studi micenei ed egeo-anatolici di Roma.
Gabriella Scandone Matthiae primo ricercatore del C.N.R.
presso l'<stituto per la civilt fenicia e punica 'Sabatino Moscati' di
Roma.
Giulia Sfameni Gasparro professore ordinario di Storia delle
religioni presso il Dipartimento di Studi tardo-antichi, medievali e
umanistici dell'Universit di Messina.
Paolo Xella primo ricercatore del C.N.R. presso l' Istituto per
la

civilt

fenicia

punica

Auj3erplanmiissiger Professar

'Sabatino

Moscati'

di

presso l' Altorientalisches

dell'Universit di Tiibingen (Germania).

211

Roma

Seminar

Molte religioni dell'antico Mediterraneo conoscono clivinita cui e ascritta una esperienza di morte dalle diverse
conseguenze per l'umanita. Sulla passione, morte e destino
di tali figure hanno riflettuto a lungo autori antichi e studiosi moderni.
Se esistono tradizioni su personaggi divini che hanno sperimentato e variamente superato la morte, e se illoro destino ha in qualche modo influito su quello umano, c' e un
rapporto tra tali personaggi e la vicenda di Gesu?
Si tratta di un pili antico modello mitico-rituale confluito
nella tradizione cristiana, oppure tale vicenda ha rappresentato anche sui piano storico (oltre che teologico) un incomparabile salto di qualita segnando l'itinerario spirituale
dell'umanita in modo indelebile?
In questo volume si studiano gli anti chi "dei morenti": 1' egiziano Osiride, il mesopotamico Dumuzi-Tammuz, l'anatolico Telipinu, il siriano Baal, i fenici Melqart, Eshmun e
Adonis, il frigio Attis e i greci Demetra e Kore e Dioniso.
Essi sono al centro di un'indagine che ci obbliga a misurarci con quel destino mortale in cui l'uomo ha voluto
coinvolgere anche gli dei.
Contributi di Ileana Chirassi Colombo, Maria Grazia Lancellotti,
Paola Pisi, Anna Maria Polvani, Sergio Ribichini, Maria Rocchi,
Gabriella Scandone Matthiae, Giulia Sfameni Gasparro, Paolo
X ella.

ISBN
88-85697-53-4

essedue edizioni

L. 26.000 13,42 (i.i.)

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