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INDICE

Introduzione
1. Diversity management
1.1 Che cos il d.m.
1.2 Le strategie del d.m.
1.3 Le strategie del d.m. in Italia
2. Donne e stranieri: la formula del managing diversity
2.1 Donne e lavoro in Italia tra famiglia e prospettive di carriera
2.2 I lavoratori stranieri in Italia: necessari ma non integrati
2.3 Problemi di integrazione occupazionale: lapproccio teorico di Hofstede e
Bollinger.
3. Ikea in Italia: il progetto plurality
3.1 La realt Ikea in Italia
3.2 Le politiche organizzative di Ikea: il progetto plurality
3.3 Essere donna in Ikea
3.4. Essere stranieri in Ikea
Conclusioni
Bibliografia

INTRODUZIONE

In questo lavoro ho voluto analizzare lorganizzazione aziendale di Ikea in


Italia a partire da come tale azienda applica le strategie di diversity
management in quel Paese. Si tratta di una filosofia organizzativa che in
primo luogo appunta la sua attenzione sulle diversit (di gruppo, di cultura, di
genere, ecc.) che possono sussistere in una societ (e quindi in una azienda
collocata dentro quella societ); in secondo luogo, tale filosofia evidenzia come
caratteristica positiva lintegrazione delle diversit sia sotto il profilo di un
potenziale (quello delle differenze) che pu produrre risultati a livello di
business, sia sotto il profilo della ricerca indispensabile di una buona qualit
della vita lavorativa.
Si quindi proceduto ad una analisi dellapproccio di diversity management in
Italia e ad illustrare alcune dimensioni elaborate da Hofstede e Bollinger in
proposito alle dinamiche tipiche del mondo del lavoro, desunte dalla loro ampia
ricerca condotta negli anni Sessanta e Settanta. Tali dimensioni sono: la
gerarchia di potere, lincertezza e la mascolinit.
Infine, si analizzato il funzionamento di Ikea in Italia, lapplicazione delle
strategie di diversity management riferendole specificatamente a due aspetti,
quello delle donne e dei lavoratori stranieri, verificando anche se e come le
dimensioni di Hofstede e Bollinger venivano soddisfatte quali punti critici
per lapplicazione delle strategie di diversity management.

1. DIVERSITY MANAGEMENT
1.1 Che cos il diversity management?
Il diversity management un approccio specifico attuato nel mondo delle
imprese private, ma pi in generale nel mondo del lavoro, attraverso il quale
possibile mettere in campo delle strategie che mirano a promuovere le pari
opportunit per alcune categorie considerate pi deboli nel mercato del
lavoro.
Principalmente, il diversity management nato per favorire laccesso al
lavoro di due categorie principali, le donne e i portatori di handicap, ma con il
tempo tale approccio si allargato ad altre categorie poich anche le societ si
sono trasformate e sono cambiati i bisogni allinterno del contesto
occupazionale.

Infatti,

la

terza

grande

categoria

che

viene

investita

dallinteresse del diversity management quella dei lavoratori stranieri.


Nel tempo, inoltre, le logiche di diversity management si sono aperte a nuove
frontiere prendendo in esame anche altre tipologie della diversit quali:
lorientamento sessuale, let, lappartenenza religiosa, quella etnica 1 .
In altri termini si potrebbe dire che il diversity management una strategia
che si rivolge essenzialmente a garantire nel miglior modo possibile il diritto
alle pari opportunit professionali per qualsiasi tipo di minoranza.
Vi per un aspetto importante da sottolineare e cio che cosa si intende per
minoranza. Di solito, con questo termine si indicano i gruppi etnici o
culturali specifici che storicamente vivono in contesti nel quale vi una
maggioranza culturale che detiene il potere decisionale a tutti i livelli: le
minoranza sono quindi principalmente di tipo etnico e linguistico e la loro
tutela si orienta quasi sempre sugli aspetti della conservazione del patrimonio
culturale, delle usanze, della lingua, ecc.
Nel caso del diversity management, invece, il termine minoranza si riferisce
ad un individuo che ha un tratto saliente, una credenza o una connotazione

L.M.Visconti, Diversity management e lavoro straniero: vantaggio competitivo o cerimonia?, in


L. Mauri, L. M.Visconti (a cura di), Diversity management e societ multiculturale: teorie e prassi,
Milano, F. Angeli, 2004, p. 18.

sociale, quale caratteristica demografica, che posseduta da meno del 50% del
gruppo 2 .
Data questa definizione teorica, si pu comprendere come il termine
minoranza possa essere allargato a differenti gruppi umani che non rispondono
al requisito di avere una percentuale che vada oltre la met del totale. In tal
senso ci si pu domandare perch anche le donne rientrino come categoria di
minoranza visto che, sul piano demografico, esse rappresentano pi della
met della popolazione mondiale 3 . La risposta sta per nel fatto che, almeno in
paesi come lItalia (che prendiamo in esame in questo lavoro), la situazione
lavorativa delle donne appare fortemente penalizzata, soprattutto per quanto
riguarda le posizioni occupazionali dirigenti, ossia elevate 4 .
La stessa cosa pu essere detta riguardo ai lavoratori stranieri, i quali seppur
differenziati in numerosi contesti di appartenenza culturale e nazionale,
formano un gruppo o una categoria che di fatto appare come minoritaria
soprattutto sul piano dei diritti e delle opportunit professionali.
Dunque, le minoranze, cos come sono intese nelle strategie di diversity
management sono tutti quei gruppi con una connotazione sociale (e non solo
demografica, cio che sono un gruppo di minore consistenza) specifica che li
rende a rischio di discriminazione nei luoghi di lavoro.
molto importante, infine, sottolineare che di per s il diversity
management semplicemente una strategia di gestione della diversit, in
senso neutrale, cio non necessariamente mirata, ad esempio, a creare una
situazione positiva di integrazione fra i gruppi: ad esempio, una strategia di
apartheid lavorativo pu essere definita paradossalmente come un approccio al
problema della convivenza fra gruppi diversi (fra lavoratori locali e stranieri
come fra lavoratori uomini e lavoratrici donne) e, dunque, pu essere indicato
come una strategie di diversity management (ovviamente in senso negativo).
Tuttavia, vi da dire per che il concetto di diversity management nato

Ivi, pp. 18-19. Lautore qui si riferisce alla definizione di minoranza data da Moscovici: S.
Moscovici, C.Fauchux, Social influence, conformity bias and the study of active minorities, in L.
Berkowitz (a cura di), Advances in experimental psychology, New York, Academic Press, 1972, pp.
149-202.
3
Cfr. ONU, Dipartimento di Economia e Affari Sociali, Demografia, World Population 1950-2050,
2002, consultabile su internet al sito dellONU.
4
Cfr. G. Fornengo, M. Guadagnino, Un soffitto di cristallo? Le donne nelle posizioni decisionali in
Europa, Ivrea, Ed. Olivetti, 1999, p. 182 e segg,

quando si sentita lesigenza di studiare situazioni positive di integrazione


fra i gruppi e di sostegno agli individui pi deboli nel mondo aziendale.

1.2 Le strategie del diversity management


Il diversity management, come modello di approccio, si sviluppa
prevalentemente nel tessuto sociale nordamericano anche in relazione ad
individuare una strategia che funzionasse efficacemente nel contesto di impresa
multinazionale. Esso non ha come base di partenza uno specifico modello
elaborato da studiosi bens un insieme di approcci che delineano una filosofia
dellorganizzazione lavorativa la quale pu aderire a diversi tipi di tessuti
economici.
Il modello di diversity management che comunque si affermato
maggiormente tanto da essere composto in un sistema 5 distingue due
dimensioni principali attraverso le quali si pu classificare e adottare le
strategie di diversity management:
a) la dimensione relativa al tipo di risposta strategica da adottare in
presenza di minoranza e gruppi particolarmente deboli allinterno
dellazienda.
b) La dimensione relativa al tasso di implementazione, ossia alla stabilit
con la quale le imprese attuano strategie di diversity management in
raccordo con i processi generali di pianificazione aziendale.
Nella prima dimensione le strategie di diversity management si distinguono a
seconda di quale strategia lazienda mette in atto nella gestione delle risorse
umane minoritarie. Vi sono diverse strategie in questo senso: di espulsione, di
assimilazione, di pluralismo/separazione, di integrazione.
Nel caso delle strategie di espulsione, la cultura aziendale dominante
quella che vede nel diverso una minaccia ed un costo per limpresa; qualora,
quindi, non vi siano dei vincoli giuridici e economici particolari, la linea che si
adotter sar quella di allontanare questo tipo di lavoratore. In questo caso,

Cfr. P. Dass, B. Parker, Strategies for Managing Human Diversity: from Resistance to Learning,
in Academy of Management Executive, 13, 1999, pp. 68-80; T. Cox, Creating the Multicultural
Organization: A Strategy for Capturing the Power of Diversity, San Francisco, Jossey-Bass Publ.,
2001.

dunque le strategie di diversity management si tradurranno nellallontanamento


del diverso e nel mantenimento dello status quo aziendale.
Al contrario, nella strategia di assimilazione, esistendo spesso dei vincoli
giuridici (ossia delle leggi che richiedono la presenza di un certo numero di
lavoratrici, di disabili, di stranieri, ecc.), viene favorito laccesso di lavoratori
particolari adottando per una strategia che mira ad assimilarli nella cultura
predominante in azienda (e, nel caso di lavoratori stranieri, del paese che li ha
accolti).
Nella strategia di pluralismo/separazione vi abbiamo una sostanziale
mescolanza fra un atteggiamento di accoglienza della diversit e un
atteggiamento mirato al mantenimento di barriere di separazione fra i gruppi
(specie nel caso di stranieri ma anche handicappati); le strategie di diversity
management in questo senso sono orientate a mantenere la separazione e a non
cercare lassimilazione di un gruppo allaltro.
Le strategie di integrazione, invece, sono quelle che mirano a sfruttare la
diversit individuale e di gruppo confidando nel fatto che la diversit dei propri
lavoratori pu divenire una potenziale ricchezza per la stessa azienda. Questo
vero anche se le differenze culturali, individuali se lasciate libere di esprimersi
possono significare un aumento dei costi di gestione per via della maggiore
complessit organizzativa, come pure un incremento dei potenziali conflitti
interni al personale lavoratore. Lobiettivo delle strategie di integrazione
quello di creare continue occasioni di confronto e reciproco apprendimento
che portano a ricostruire creativamente le culture originarie e distinte in una
nuova cultura negoziale e condivisa 6 .
Le strategie di diversity management, oltre che essere classificate in base alle
scelte gestionali, possono essere suddivise in base al tasso di implementazione
e quindi in tre forme specifiche:
1) strategie episodiche
2) strategie freestandig
3) strategie sistemiche
Nel primo caso avremo una strategia isolata e occasionale, adottata
soprattutto in situazioni di emergenza (conflitti, vertenze sindacali, ecc.); non
6

L.M.Visconti, Diversity management e lavoro straniero: vantaggio competitivo o cerimonia?, cit.,


p. 20.

vi in questo caso una pressione interna ed esterna tale da far scegliere


ladozione di strategie di diversity management di maggior peso. Nel secondo
caso, invece, non vi una decisione generale circa la strategia adottata ma essa
lasciata alla libera iniziativa dei manager intermedi. Nel terzo caso, infine, so
tratta delle vere e proprie politiche di diversity management adottate da
unazienda nel suo complesso, per decisione dei vertici, e, qualora si tratti di
una azienda multinazionale, adottate in tutte le filiali presenti nei diversi paesi.
In questo caso si ha non solo una pressione esterna affinch queste strategie
siano adottate ma anche una pressione da parte del management interno al
quale, evidentemente, si presta molto ascolto.
Oltre alle due classificazioni del diversity management, vi sono poi una serie
di determinanti che possono orientare una azienda a scegliere tale strategia.
Anzitutto vi pu essere una pressione interna allazienda (ad esempio, da parte
dei gruppi appartenenti a minoranze etniche ma anche da parte delle
rappresentanti delle lavoratrici femminili o di altre categorie specifiche). In
questo caso la pressione di pu misurare in base sia alla profondit (quanta
distanza vi fra uno specifico gruppo minoritario e la maggioranza dei
lavoratori in fatto di aspettative, desideri, valori condivisi, ecc.) che alla
ampiezza (quanto pi o meno consistente il numero di lavoratori minoritari
in una azienda).
Nel caso della profondit, si ha una misura verticale poich essa si
riferisce al conflitto legato alluso e alla presenza di forti stereotipi, pregiudizi,
categorizzazioni superficiali, credenze, valori e cos via 7 . In tal senso,
maggiore laltezza della profondit, maggiore il bisogno di strategie di
diversity management orientate al pluralismo e allintegrazione.
Unaltra determinante rappresentata dalle caratteristiche del

top

management poich, le strategie di diversity management sono proporzionali


rispetto ala percentuale di presenza di esponenti minoritari nel gruppo dirigente
(ad esempio, a quante donne sono presenti nel consiglio di amministrazione di
una azienda).
Bisogna considerare infine come tali classificazioni non devono essere intese
come rigide e relative a situazioni aziendali del tutto autonome poich oggi
assai frequente linterazione continua fra realt aziendali nazionali e
7

Ivi, p. 21.

internazionali e questo comporta un intreccio di modelli di strategie di gestione


(ad esempio, unazienda locale che viene inglobata in una multinazionale che
persegue gi strategie di diversity management).
1.3 Le strategie di Diversity management in Italia
Per quanto riguarda la specifica situazione italiana (che analizzeremo nel
prossimo capitolo in riferimento alle due categorie principali, ossia le donne
e i lavoratori stranieri) in generale si pu dire che lapplicazione delle strategie
di diversity management un fatto molto recente e dettato soprattutto
dallaumento dei lavoratori stranieri in quel paese 8 .
Vi sono poi alcune caratteristiche peculiari riferibili al contesto sociale ed
economico italiano che aiutano a comprendere come fino ad ora tali strategie
non sono state applicate.
Anzitutto la dimensione media delle aziende assai ridotta e questo comporta
che (se consideriamo come si detto che il diversity management viene
applicato soprattutto laddove vi una presenza di minoranze di tipo etnico prima
ancora che di altro tipo), i lavoratori stranieri in tali aziende risultano essere
ancora in numero basso ossia che non determina il raggiungimento di una
massa critica che giustifichi lapplicazione di queste strategie.
Vi poi la presenza di minori risorse disponibili (poich la struttura aziendale
italiana si basa sulla piccola e media impresa) e quindi una bassa possibilit che
una parte di queste risorse possano essere spese per adottare strategie di questo
tipo (si parla di risorse sia di tipo finanziario che a livello di human resource).
Altro aspetto importante che lItalia ha conosciuto limmigrazione pi tardi
rispetto ad altri paesi. Vi , infine, un diverso livello di preparazione sociale
rispetto

ad

altri

contesti

che

provoca

una

alta

differenziazione

di

Ivi, p. 23. La bibliografia riguardante il diversity management in Italia ancora scarsa. Contributi
su tale tema, oltre che nel gi citato L. Mauri, L. M.Visconti (a cura di), Diversity management e
societ multiculturale: teorie e prassi, cit., si possono trovare in: A. Grecchi (a cura di), Diversity
management: valorizzare le differenze: nuovi modelli di pari opportunita Milano, F. Angeli, 2002;
M. Boldizzoni, Manzolini, La diversit nella gestione delle risorse umane, in AA.VV., Creare
valore con le risorse umane, Guerini, Milano, 2000; G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo,
Franco Angeli, Milano, 2001; M. Chiesi, E. Lorini, A. Petetti, C. Storti, La maternit come sfida di
Diversity management in Sviluppo & Organizzazione, N.194 Novembre/ Dicembre 2002; M.
Crozier, Limpresa in ascolto, Il Sole 24ore, Milano, 1990; E., Reyneri Sociologia del mercato del
lavoro, Il Mulino Bologna, 2002. Vi sono poi una serie di articoli specifici sullapplicazione del
diversity management per lintegrazione del lavoro femminile che citeremo nei prossimi capitoli.

comportamenti e di gestioni che si diversificano anche in base alla


localizzazione delle imprese (Nord, Centro, Mezzogiorno).
Se questi sono gli aspetti peculiari che determinano il ritardo delladozione in
Italia di strategie di diversity management, qualora riferiamo tali strategie in
modo pi allargato e non solo alla presenza di lavoratori stranieri, vediamo che
il divario ancora maggiore. Infatti, non vi una politica aziendale vera e
propria nei confronti di altre categorie deboli (come gli handicappati), piuttosto
si tratta unicamente di applicare le leggi in materia e lo stesso, attualmente, si
pu dire delle politiche aziendali rivolte al sesso femminile.

2. DONNE E STRANIERI: LA FORMULA DEL MANAGING DIVERSITY


2.1 Donne e lavoro in Italia tra famiglia e prospettive di carriera
Si pu notare il persistere, oggi, di status differenti fra uomini e donne nel
mondo del lavoro. A parit, quantomeno formale, di chance a cominciare da
quelle relative allistruzione (contesto questo in cui le donne ormai superano
gli uomini in tutte le discipline), troviamo ancora molte donne che preferiscono
alcune attivit e non altre, e che, sotto il profilo professionale, si ac contentano
di occupare posizioni subordinate, con la conseguente diversificazione
retributiva e la limitazione delle possibilit di avanzamento.

A questo

fenomeno si cerca di dare una spiega zione che, in un ampio dibattito, tocca di
volta in volta gli aspetti economici, quelli culturali o di genere, quelli sociali.
Si sottolineato che la segregazione occupazionale delle donne nasce
anzitutto dal fatto che il mercato orienta lofferta di lavoro femminile verso
occupazioni meno retribuite perch pi vincolate alle esigenze di vita
femminili. Il lavoro femminile costa di pi perch potenzialmente discontinuo
(interrotto dallattivit riproduttiva), ci spinge il datore di lavoro a tamponare
la perdita in fatto di produttivit con una pi bassa retribuzione. Questo vero
solo nel mercato privato, visto che nel pubblico impiego, anche se tra le donne
si presentano tassi di assenteismo pi elevati, laccesso regolato da con corsi e
la retribuzione uguale per tutti.
Si pu indicare nel fattore di genere o cul turale il persistere della
segregazione occupazionale. La subalternit occupazionale si lega strettamen te
a quella sociale, la donna opera nel mondo del la voro in funzione integrativa
delluomo. Conseguentemente, nella famiglia, il lavoro femminile indicato
come

meno

determinante

per

landamento

economico

del

nucleo

e,

analogamente, tale minore responsabilit si proietta nel tipo di attivit


occupazionale.
Oltre a questo, il mercato del lavoro ha con tratto sempre pi la domanda di
lavoro femminile in alcuni comparti, dove pi forte la necessit di una
continuit produttiva, espandendo invece il settore dei servizi, maggiormente
compatibile con la doppia presenza femminile nel lavoro e governato da orari
e modalit diversi dalla classica struttura del lavoro.
10

Persino laddove le donne hanno dato inizio alla scalata delle professioni
deccellenza, anche in situazioni in cui, a prima vista, potrebbe sembrare che
le regole del mercato siano neutrali (come nellimprenditoria), si tratta, in realt,
di territori del lavoro dove si ripropongono vecchi schemi segregazionistici,
dove le donne sono obbligate a determinate scelte di settori e a limitare
l'espansione della propria attivit.
Infine, si pu sottolineare come la segregazione occupazionale femminile
non possa essere analizzata fuori dalla complessit del tessuto sociale e che
essa legata anche allesistenza di classi sociali diverse. Resta comunque il
fatto che loccupazione femminile conserva alcune caratteristiche peculiari, sia
per quanto concerne la collocazione nelle attivit produttive sia per il peso
generale che il lavoro delle donne ha nella societ 9 .

Reddito medio mensile netto dei laureati del 2001 che svolgono nel 2004 un lavoro
continuativo a tempo pieno iniziato dopo la laurea per posizione nella professione, sesso,
gruppo di corsi di laurea e ripartizione geografica (valori in euro) (Fonte Istat, 2004).
Posizione professionale
Autonomi Co.co.co.
Dipendenti

Sesso
Maschi Femmine

Totale

GRUPPO DI CORSI
Chimico-scient.
Chimico-farmac.
Geobiologico
Medico
Ingegneria
Archiettura
Agrario
Economico-statis.
Politico-sociale
Giuridico
Letterario
Linguistico
Insegnamento
Psicologico
Educaz. Fisica

1447
1689
1222
2060
1542
1260
1271
1531
1313
1216
1064
1666
1254
1561
1036

1233
1212
1075
1525
1279
1102
1053
1228
1107
1020
1033
1099
1060
1238
1093

1247
1335
1263
1547
1394
1216
1160
1259
1205
1190
1066
1100
1033
1044
1175

1305
1464
1302
1996
1426
1341
1256
1345
1324
1276
1133
1236
1133
1216
1270

1177
1262
1143
1643
1319
1116
1056
1201
1110
1057
1053
1109
1041
1199
1065

1251
1346
1209
1853
1409
1232
1182
1277
1195
1172
1071
1122
1049
1203
1156

RIPARTIZIONE
GEOGRAFICA
Nord
Centro
Mezzogiorno
Totale

1466
1362
1048
1390

1155
1136
1196
1130

1255
1235
1594
1252

1372
1369
1292
1362

1173
1117
1074
1140

1271
1236
1194
1257

Esiste unampia bibliografia su questo tema, rimando quindi ad uno dei lavori pi recenti
sullargomento: R. Fontana, Il lavoro di genere. La donna tra vecchia e nuova economia, Roma,
Carocci, 2002, p. 83 e segg.

11

2.4 I lavoratori stranieri in Italia: necessari ma non integrati


Il fenomeno migratorio rappresenta una dimensione importante delle
trasformazioni sociali avvenute nellultimo secolo sia per limpatto sulla societ di
accoglienza sia per la popolazione che emigra. Tale fenomeno costituisce una
realt dai numerosi risvolti sul piano umano, sociale, giuridico e politico.
Nel breve volgere di qualche anno, lItalia si trasformata completamente
sotto il profilo dei flussi di popolazione, da paese di emigrazione a paese di
immigrazione senza rendersene conto e senza essersi preparata a governare la
nuova situazione, n dal punto di vista istituzionale n a livello sociale e
culturale.
Attualmente, la cifra stimata relativa alla presenza di stranieri in Italia supera
i 2 milioni e 500mila unit con uno scarto considerevole (circa 400mila unit)
fra quella registrata dal Ministero dellInterno e quella complessiva valutata da
altri osservatori della presenza straniera 10 .
In tale contesto di cambiamenti lItalia appare fortemente impreparata ad
affrontare il problema: complessivamente le politiche di integrazione vanno a
rilento, si registrano discriminazioni, soprattutto in ambito lavorativo e in tema
di alloggi; non sempre i diritti fondamentali vengono rispettati e spesso si
manifestano atteggiamenti di chiusura da parte della popolazione 11. Ci accade
perch necessario promuovere non solo il governo dell immigrazione, ma
anche una cultura dellimmigrazione che del primo costituisce un ingrediente
essenziale.

2.3 Problemi di integrazione occupazionale: lapproccio teorico di Hofstede e


Bollinger.
Abbiamo presentato brevemente quali sono i problemi di fondo che investono
le donne e i lavoratori stranieri in Italia. Ora ci occuperemo di presentare
lapproccio teorico con il quale Hofstede e Bollinger hanno tentato di
analizzare alcune caratteristiche tipiche della societ contemporanea inserite
per nel contesto lavorativo 12 . Si tratta di una analisi che approfondisce alcuni
10

Cfr. Caritas Italiana, Immigrazione. Dossier Statistico 2005, Roma, Idos, 2005, p. 88
Cfr. il testo: C. Giustiniani, Fratellastri dItalia, Bari, Laterza, 2003.
12
D. Bollinger, G. Hofstede, Inter nazionalita: le differenze culturali nel management ,
Milano, Guerini, 1989. Anche se non citata se non i forma anonima, la multinazionale in
11

12

importanti aspetti che, a seconda dellappartenenza culturale, possono


profondamente variare e che sono necessari da comprendere qualora si voglia
percorre una strada di integrazione delle diversit.
La tesi che proponiamo , dunque, che una strategia di diversity
management pu applicarsi efficacemente solo se si conosce le diversit
culturali, psicologiche che caratterizzano i differenti gruppi da integrare in
una azienda. Tale diversit pu essere evidenziata attraverso le differenti
maniere di percepire il proprio ambiente di lavoro, le relazioni al suo
interno con i colleghi e i superiori, in relazione al proprio gruppo culturale
o etnico, al sesso di appartenenza o in relazione al sesso opposto.
Per questo riteniamo che lanalisi di Hofstede e Bollinger pu essere
considerata un buon punto di partenza per verificare quali sono i principali
problemi di integrazione occupazionale per determinate categorie deboli
soprattutto in un contesto pluralista, ossia in cui ormai determinati problemi
di convivenza e integrazione sono divenuti delle urgenti necessit da affrontare.
Hofstede e Bollinger, sulla scia di un imponente e importante lavoro di
ricerca (questionario Hermes) condotto tra i lavoratori di una nota
multinazionale tra il 1967 e il 1973, hanno potuto teorizzare alcune dimensioni
culturali specifiche attraverso le quali si potuto capire dove e come poter
intervenire a livello manageriale nelle organizzazioni aziendali. Di queste
dimensioni prenderemo in considerazione solo quelle che abbiamo ritenuto utili
per la nostra analisi.
La prima dimensione quella della cosiddetta distanza gerarchica 13 . Essa
pu essere definita come la distanza che separa gli individui sulla base della
distribuzione del potere che essi hanno in modo diseguale. Nelle aziende,
affermano gli studiosi, si riflette sempre e comunque il sistema e il regime
politico della societ generale e dunque, ogni volta che si constata in un dato
paese una grande disparit sul piano politico della ripartizione delle attitudini,
dei posti, dei ruoli e del potere in generale, lo stesso sistema si ritrover nella
vita delle imprese e tra gli uomini che vi sono impiegati. () C una specie di
osmosi tra il politico, leconomico e il sociale 14 . Se necessaria una gerarchia
oggetto era lamericana IBM, tra le poche, in quegli anni a poter essere considerata una vera e
propria multinazionale.
13
Ivi, pp. 69-85.
14
Ivi, p. 70.

13

di comando e di potere allinterno di una impresa, per, vi sono modi diversi in


cui gli attori svolgono il loro ruolo, sia quando essi sono subordinati che
superiori.
Inoltre Hofstede e Bollinger ricordano che non vi leadership senza che vi
siano sottomessi; in altri termini, si capi solo se vi un bisogno di
dipendenza da parte di altri individui. La distanza gerarchica si misura in
relazione alla percezione che chi subordinato ha del potere del suo superiore
in quanto la rappresentazione mentale dellautorit di cui gode il superiore
determiner il suo comportamento. In sintesi la distanza gerarchica la
percezione del grado di disparit di potere tra chi detiene questo potere e chi vi
sottomesso 15 .
La seconda dimensione presa in esame quella relativa al controllo
dellincertezza 16

(bisogno di regole, evitamento dello stress, sicurezza del

posto di lavoro). Si tratta di una dimensione importante perch la certezza


assicura un buon rendimento, lorganizzazione chiara e precisa assicura la
diversificazione produttiva e la garanzia di far fronte alla complessit di una
azienda.
Quali sono i motivi che portano ad aver bisogno di regole? Indubbiamente il
fatto di avere un quadro di certezze assolute non determina un buon livello
lavorativo per forza; anzi, una buona tolleranza dellincertezza consigliata
poich consente un certo grado di autonomia. Laspetto pi importante di
questa dimensione quello relativo al desiderio di stabilit nel lavoro 17 . Si
tratta di un bisogno fondamentale per gli individui poich dalla sicurezza di
avere un lavoro dipendono tutti gli altri aspetti progettuali dellesistenza e,
come vedremo, lo ancora di pi per le donne.
La terza dimensione , infine quella della mascolinit. Gli studiosi partono
dallassunto che la divisione sessuale non uguale in tutte le societ 18 e che alla
base della divisione sessuale dei ruoli vi sono elementi biologici, culturali,
religiosi. Vi tuttavia un fatto curioso: pi i ruoli sono differenziati pi la

15
16
17
18

Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,

p. 71.
pp. 87-99.
p. 90.
p. 117.

14

societ mostrer tratti che si possono definire maschili. Pi i ruoli sono


interscambiabili, pi la societ mostrer tratti femminili 19 .
Si tratta di un punto essenziale perch, come vedremo, Ikea propone una
filosofia del lavoro femminile (ossia basata su valori tipicamente
femminili e non maschili) ponendo tale filosofia come momento di rottura
con lorganizzazione tradizionale del lavoro. Resta da vedere (e lo faremo
nellultimo capitolo, se a questa filosofia femminile si associa una
interscambiabilit dei ruoli.
QUI RIPRENDE IL PEZZO CHE GIA AVEVI
A questo punto possiamo sintetizzare alcuni aspetti che emergono dalla teoria
di Hofstede e Bollinger e che consideriamo interessanti per il nostro discorso
sulla necessit di applicare o meno una strategia di diversity management.
Il primo aspetto, che riguarda i lavoratori stranieri che, se consideriamo i
risultati emersi dalla ricerca di Hofstede e Bollinger possiamo comprendere
come una politica che affronti il problema della diversit nelle aziende deve
tener conto di numerosi fattori socioculturali, relativi alla provenienza
geografica, religiosa, al contesto mentale con il quale si percepiscono le
relazioni interne allorganizzazione. Dunque almeno tre sono i punti da
considerare come nevralgici: 1) il grado di distanza gerarchica che nelle
differenti culture si presenta come diverso; 2) la diversa percezione del
controllo dellincertezza; 3) la relazione uomini/donne nelle organizzazioni.
In altri termini, una strategia di diversity management, sulla scorta delle
indicazioni che emergono dallo studio di

Hofstede e Bollinger, non pu

prescindere dal calare la diversit da affrontare in queste dimensioni specifiche.


Il secondo aspetto, che invece riguarda il lavoro femminile, si concentra
essenzialmente sulla dimensione della mascolinit ed in essa che il
diversity

manager

deve

porre

la

sua

attenzione

poich

una

alta

mascolinizzazione di una azienda non consente strategie diverse da quelle di


tipo segregativo o, peggio ancora, di espulsione o di deleteria assimilazione
(ossia di assimilazione delle donne a modelli di lavoro e relazionali maschili).

19

Ivi, p. 119.

15

3. IKEA IN ITALIA: IL PROGETTO PLURALITY


3.1 La realt Ikea in Italia
Noi siamo diversi: abbiamo il nostro modo di vivere il business, diversi sono
i nostri clienti, ci interessano le persone diverse. C una diversit nellumanit
e quindi ci rivolgiamo alla maggioranza in quanto somma della diversit 20 . In
queste parole si possono riassumere i tratti che caratterizzano la filosofia di
vendita di Ikea nel mondo.
Ikea una multinazionale che ha una storia sessantennale ormai consolidata
in tutto il mondo. Si calcola che i dipendenti sparsi negli oltre 200 negozi in
pi di trenta paesi ammontino a circa 100.000 unit 21 . Come noto, Ikea un
gruppo multinazionale con sede in Svezia, presente da ormai pi di mezzo
secolo nel mondo e che ha fatto del cosiddetto design democratico la sua
caratteristica principale. In altre parole, Ikea produce e propone un vasto
assortimento

di

articoli

per

larredamento

della

casa

degli

uffici

contrassegnati da funzionalit e bellezza ma a costi estremamente contenuti.


La rivoluzione effettuata da Ikea stata quindi quella di aver sottratto

un

mercato (quello dellarredamento) solitamente ristretto ad una lite, dato i costi


elevati: fin dallinizio della sua storia, Ikea ha percorso una strada diversa. Ha
deciso di stare dalla parte della maggioranza delle persone 22 .
Dunque le sue strategie di mercato e organizzative sono state considerate
allavanguardia

rappresentando

una

novit

in

molti

paesi:

unidea

commerciale per certi versi rivoluzionaria, una struttura societaria ed


unorganizzazione lungimiranti, un clima di fiducia e di collaborazione diffusa
tra i dipendenti, una cultura aziendale che crede fortemente nel valore della
diversit e della eterogeneit 23 . Queste, insomma, sono le caratteristiche di
fondo che connotano lazienda Ikea.

20

F. De Biase, Diversity management: case history Ikea, in A. Grecchi (a cura di), Diversity
management: valorizzare le differenze: nuovi modelli di pari opportunit, cit., p. 41.
21
Notizie rilevate dal sito internet di Ikea.
22
A. Mapelli, S.Scarpaleggia, Il progetto Plurality di Ikea, in L. Mauri, L. M.Visconti (a cura di),
Diversity management e societ multiculturale: teorie e prassi, cit., p. 161. Si veda anche: C.A.
Bartlett, S. Ghoshal, Transnational Management
23
Ivi, p.161.

16

In Italia Ikea si affaccia nella prima met degli anni Novanta, con lapertura
di alcuni punti vendita nelle principali citt come Milano, Torino e Roma
arrivando negli anni ad essere presente in molta parte della penisola 24 .
Laccoglienza riservata ad Ikea in Italia stata inizialmente di grande curiosit
poich in effetti il prodotto si presentava innovativo e soprattutto vantaggioso a
livello di costo. Si consideri che in Italia sussiste una tradizione nella
fabbricazione di mobili per arredamento i quali per hanno prezzi molto
elevati; sono, appunto, riservasti ad una minoranza della popolazione. La
stragrande maggioranza degli italiani acquistano mobili per la casa solitamente
nei grandi magazzini dove la produzione di tipo seriale, spesso scadente e
comunque per nulla originale. Dunque le linee proposte da Ikea hanno
rappresentato una novit sia sul piano del design (tipicamente nordico, in Italia
sconosciuto) sia specialmente su quello della convenienza economica.

3.2 Le politiche organizzative di Ikea: il Progetto Plurality


La seconda tesi che si vuole sostenere relativa a come Ikea applica la
strategia di diversity management nel caso specifico delle lavoratrici e dei
lavoratori stranieri.
Brevemente la politica organizzativa di Ikea si fonda su tre aree di fondo:
clienti fornitori dipendenti. In particolar modo i clienti e i fornitori sono i
due fondamentali driver dellazione di Ikea. Cuore della politica aziendale il
binomio collaborazione (fornitori) / soddisfazione (clienti) nel processo di
produzione/distribuzione/vendita. Il sistema Ikea in Italia ricalca quello
adottato da tutta la multinazionale e pu essere riassunto nel seguente schema:

24

Attualmente sono 12 i punti vendita aperti in Italia con circa 6000 dipendenti (Corsico, Carugate,
Grugliasco, Brescia, Casalecchio, Genova, Roma Anagnina, Sesto Fiorentino, Afragola, Bari,
Padova, Roma Bufalotta. di qualche mese scorso lapertura del secondo centro Ikea a Roma, al
momento il pi grande del mondo.

17

ATTENZIONE AL CLIENTE

Marketing esterno
Negozio
Incontro con il cliente
Assortimento a prezzi bassi
Sviluppo dei prodotti con i fornitori

Acquisiti e distribuzione
Sviluppo delle capacit produttive
Relazioni a lungo termine con il partner
Vantaggio Ikea

ATTENZIONE AL FORNITORE

La mission di Ikea quella di voler contribuire al miglioramento della vita


quotidiana per la maggioranza della popolazione 25 . La collaborazione del
cliente in questo caso essenziale: il cliente sfoglia il catalogo periodico, si
reca al negozio, sceglie il prodotto, ritira il prodotto imballato secondo la
formula dei pacchi piatti al self service e li porta a casa dove monta i mobili
da s: in questo modo il cliente non si trova a dover spendere per qualche cosa
che pu fare da solo, ma anzi contribuisce a realizzare la mission di Ikea nel
creare una vita quotidiana migliore soddisfacendo le esigenze, le necessit, i
gusti, i sogni, le aspirazioni e le possibilit economiche della gente di tutto il
mondo 26 .
La mission si caratterizza anche per una serie di indicazioni programmatiche
relative allorganizzazione del lavoro. La cultura aziendale di Ikea, infatti, si
basa su alcuni valori considerati fondamentali quali: semplicit, rispetto,
25
26

A. Mapelli, S.Scarpaleggia, Il progetto Plurality di Ikea, cit., p. 166.


Ivi, p. 166.

18

sviluppo, responsabilit, eterogeneit, umilt, innovazione. Sono linee generali


che in qualche modo rappresentano una novit in Italia dove le culture aziendali
sono spesso contraddistinte da altri valori: massimizzazione dei profitti,
strutturazione piramidale dellorganizzazione, omogeneit dei gruppi interni
allorganizzazione, responsabilit non condivisa ma settoriale a seconda dei
gruppi (dirigenti, quadri intermedi, dipendenti, ecc..), politica di preponderanza
del brand.

Solitamente, anche le politiche di marketing in Italia si

caratterizzano dalladozione di strategie aggressive, mirate a bombardare il


potenziale cliente tramite campagne pubblicitarie massicce, con una politica di
proposte commerciali orientata spesso a convincere che il proprio prodotto il
migliore in assoluto. Ikea propone invece politiche fondamentalmente
impostate allumilt e semplicit del prodotto che conquista il cliente in modo
soft, senza ricorrere a martellanti campagne pubblicitarie.
La condivisione dei valori esposti prima dunque essenziale a tutti i livelli;
si tratta, in altri termini, di accogliere una vera e propria filosofia della
vendita che vuole correlarsi ad una filosofia di vita, mirando a far si che gli
stessi valori che determinano la cultura aziendale siano percepiti dal cliente
come valori importanti in assoluto.
Tali valori vengono quindi ricercati da Ikea nel proprio personale, a
cominciare dalla fase di selezione per proseguire poi nella gestione quotidiana e
nella realizzazione del modello imprenditoriale. Tra questi valori spicca quello
delleterogeneit che deve essere intesa in senso generale; la valorizzazione
della pluralit di culture, di atteggiamenti in chi lavora dentro lazienda deve
corrispondere al pluralismo delle offerte commerciali, deve saper rispondere
anche e soprattutto al pluralismo dei gusti dei clienti. In altri termini, la
filosofia di Ikea quella di una societ plurale, complessa, non monolitica,
secondo i vecchi standar produttivi di tipo fordista (la classica catena di
montaggio che crea alienazione in chi produce e in chi acquista il prodotto). Si
tratta di una vera e propria sfida alla massificazione del lavoro e della
produzione di merci, strada questa che rischiava di sembrare obbligata, in
regime di capitalismo diffuso 27 .
27

Sullargomento, assai complesso, esiste in Italia una vasta bibliografia; si veda in particolare: M.
Revelli, Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Torino, Einaudi, 2001,
pp. 91-196.

19

molto importante non tenere distinte le filosofie di organizzazione del


personale con quelle pi generali del modello Ikea, poich (ed anche questo
un fatto rivoluzionario) non vi deve essere distinzione dazione e dintenti fra
ci che lorganizzazione interna al lavoro e quella esterna di marketing.
Dunque, chiaro che se uno dei valori aziendali quello del pluralismo, ci
non pu non ripercuotersi sulle politiche del personale: tra i valori dichiarati
dallazienda spicca quello legato alla valorizzazione della pluralit intesa come
eterogeneit dei propri dipendenti in termini di genere, di cultura, di etnia, di
religione 28 .
Lazienda, quindi, ha come obiettivo primario quello di creare opportunit di
crescita ai diversi gruppi di dipendenti sia sul piano del livello di responsabilit
(livello verticale) sia a su quello del livello di crescita individuale (livello
orizzontale). In altri termini, si pone unattenzione particolare allindividuo che
lavora, il quale ritenuto unico, irripetibile nella sua individualit e si mira
ad una sua crescita sia professionale che personale.
Parola dordine di Ikea valorizzare e promuovere la pluralit tra i
collaboratori quale obiettivo di lungo periodo da raggiungere a piccoli passi 29 .
In effetti, la politica dei piccoli passi esenziale per poter ottenere una
maggiore adesione da parte dei dipendenti. Lo schema che riguarda le priorit
dellarea Risorse Umane di Ikea International pu essere riassunto nel seguente
modo:

28
29

A. Mapelli, S.Scarpaleggia, Il progetto Plurality di Ikea, cit., p. 166.


Ivi, p. 166.

20

Lo schema si presenta in modo assai comprensibile: da un lato abbiamo le


operazioni di reclutamento che si basano sulla pianificazione e lo sviluppo
dellazienda e che prevedono una sua presenza a livello ramificato sul
territorio. A lato opposto abbiamo la formazione in senso generale che investe
la formazione e lo sviluppo individuale e la costruzione di leadership e di una
cultura aziendale.
Al centro vi il cuore della filosofia aziendale di Ikea, il concetto di
work/life balance ossia lidea di trovare un punto di contatto fra un segmento
dellesistenza umana (il lavoro) ed il tutto (la vita). Questo concetto molto
importante poich uno degli aspetti problematici del lavoro umano, nel
capitalismo proprio la separazione fra la vita e il lavoro, questultimo
sempre considerato come una parte separata, spesso opposta alle altre attivit
umane (la riproduzione, la crescita interiore, la realizzazione dei progetti
personali di vita, luso del leisure, ecc.). La strada percorsa da Ikea quella, al
contrario, di trovare I punti di contatto fra il lavoro e il non lavoro non pi
intesi come due momenti opposti.
Il progetto Plurality nasce in Ikea Italia fra il 2002 e il 2003 come il frutto
di motivazioni di tipo organizzativo relative ai cambiamenti avvenuti nel
mercato: di fronte a questi cambiamenti sempre pi evidenti, le organizzazioni
possono chiudere gli occhi, negando a priori lesistenza di un problema, oppure
possono impegnarsi ad affrontare il tema della gestione della diversit,
cercando di massimizzare i benefici che ne possono trarre in performance
aziendale 30 .
Il problema di fondo la diversificazione, concetto tipico delle societ
pluraliste. Tre sono gli aspetti che Ikea ha preso in esame e sui quali ha cercato
di trovare una risposta:
1) la diversificazione a livello di clientela
2) la diversificazione del mercato del lavoro
3) la diversificazione a livello del personale.
In altri termini, sta cambiando rapidamente, anche in Italia, la societ e questi
mutamenti si avvertono anche nella composizione della clientela che si rivolge
ai produttori e venditori: da una parte si sono diversificati i gusti, vi una
maggiore esigenza di novit nei prodotti; dallaltra, la stessa composizione
30

A. Mapelli, S.Scarpaleggia, Il progetto Plurality di Ikea, cit., p. 167.

21

sociale andata mutando con lavvento graduale di una societ multiculturale


poich gli stranieri regolari sono sempre di pi e la loro posizione economica
migliora di anno in anno trasformando la loro forza di consumatori e
compratori di prodotti. Tutto questo ha determinato lesigenza di una
flessibilit nellofferta dei prodotti e la necessit di una forza lavoro
diversificata che vada incontro al desiderio e alle aspettative di una clientela
diversificata anche a livello etnico.
Allo stesso tempo, cambia anche la strutturazione del mercato del lavoro in
Italia. Vi sono nuove risorse che creano un mercato del lavoro sempre pi
diversificato e tale diversificazione pu divenire unoccasione per lazienda di
allargare lo spettro della popolazione entro la quale effettuare la selezione del
personale.
Infine, vi un desiderio di innovazione creativa che nasce dal fatto che si sta
andando verso una societ multiculturale che moltiplica i gusti e i desideri
portando a conoscenza delle persone molte variet di prodotti fino a qualche
anno prima sconosciuti. Anche in questo caso, ad un aumento di variet della
richiesta si pu solo rispondere con una diversificazione dellofferta, ma questo
possibile se si accolgono allinterno dellazienda i nuovi potenziali input
provenienti dalle diverse culture dei lavoratori.
In proposito Ikea ha quindi ritenuto opportuno attivare un progetto fondato
sulla valorizzazione della diversit che possiamo suddividere in due parti.
Una prima parte riguardante il potenziale di diversit etnica rappresentato dai
lavoratori stranieri; una seconda parte riguardante le iniziative che mirano a
creare, secondo la filosofia del works/life, delle opportunit per conciliare
lavoro e incombenze famigliari soprattutto per le donne.
Prima di descrivere in dettaglio le due parti bene sottolineare a questo punto
come la filosofia aziendale di Ikea e la cultura sottostante, abbiano parecchi
punti di contatto con la filosofia del diversity management soprattutto per quel
che riguarda linvestimento nel potenziale rappresentato dalla diversit.
3.3 Essere donna in Ikea
In un contesto come quello messo in atto dalla filosofia di Ikea la
valorizzazione del lavoro femminile uno dei nodi centrali. Per comprendere
come Ikea si posta il problema del lavoro femminile si deve compiere una
22

breve analisi di quelle che sono le politiche in Italia contro le discriminazioni


delle donne nel lavoro.
In realt, la politica che offre delle pari opportunit alle donne assai
recente, non pi giovane di una decina di anni. vero che la stessa
Costituzione della Repubblica, promulgata pi mezzo secolo fa sanciva la
parit sostanziale e giuridica delle donne e degli uomini conservando per le
prima un trattamento privilegiato sul lavoro in virt della loro funzione naturale
di riproduzione.

Tuttavia, questo importante elemento non mai stato

applicato del tutto nelle leggi successive e soprattutto ha faticato ad essere


considerato

nella

cultura

aziendale,

specialmente

privata

(infatti

nellamministrazione pubblica la parit sancita per legge). Cosa significa


parit di opportunit? Laspetto critico che emerge con pi forza quello
relativo alla possibilit per le donne (ma anche per gli uomini) di conciliare gli
impegni professionali ed il desiderio di crescita nelle professioni scelte con i
bisogni della famiglia, leducazione e laccudimento dei figli, il sostegno
affettivo al nucleo famigliare. Si parla per le donne di doppia occupazione
per indicare che esse devono svolgere due mestieri ben distinti: il primo nel
luogo di lavoro ed il secondo in famiglia 31 . Questo impegno doppio finisce
per con creare notevoli problemi a livello di carriera, poich gli impegni
famigliari della donna hanno un costo economico rilevante per le aziende.
Da qualche anno le amministrazioni pubbliche hanno cominciato a
preoccuparsi di trovare dei modi per venire incontro alle esigenze di questo
tipo, incentivando politiche di regolazione degli orari per gli uffici, le scuole,
gli esercizi commerciali, in modo tale da facilitare la conciliazione tra lavoro in
casa e fuori casa. Vi sono poi il potenziamento degli asili nidi pubblici e
lincentivazione di quelli aziendali, la regolamentazione dei permessi e congedi
parentali anche per i lavoratori maschi, la possibilit di avere il congedo per
paternit oltre che per maternit alla nascita di un figlio 32 .
Si tratta di iniziative che hanno dato una risposta ai cambiamenti avvenuti
nella societ e nella famiglia in questi decenni e che hanno comportato
lurgenza di rivisitare e rielaborare le politiche familiari, di adeguarle ai nuovi
bisogni. Si tratta di accompagnare la naturale evoluzione della societ tenendo
31

R. Fontana, Il lavoro di genere. La donna tra vecchia e nuova economia, cit, p. 83 e segg.
Molto importante la legge 53/2000 denominata Disposizioni per il sostegno della maternit e
della paternit, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della citt.
32

23

conto dei compiti che lo Stato detiene in materia di diritti fondamentali quali lo
sviluppo pieno della personalit, il diritto al lavoro, alla salute, al benessere
sociale. Per le donne, e pi in generale per le famiglie, significa poter disporre
di strumenti legislativi e organizzativi che sostengano la loro integrazione nella
vita socioeconomica 33 .
Tuttavia, le aziende hanno molte difficolt di tipo strutturale ed economico
nellapplicare le politiche di pari opportunit. Il caso di Ikea si mostra come un
alternativa alle politiche seguite dalle aziende fino ad oggi. La situazione in
Ikea per quanto riguarda alcuni aspetti problematici del lavoro femminile
stata risolta attraverso una specifica strategia ed alcuni progetti. Anzitutto la
stessa gestione aziendale stata definita come una gestione al femminile: in
quanto si declina nel credo di alcuni valori che devono essere condivisi e
interiorizzati da tutti i collaboratori e che sono caratteristici dellindole
femminile: forza di volont, senso del sociale e della collettivit, disponibilit a
collaborare, umilt nel riconoscersi capaci di sbagliare, capacit di relazionarsi
senza far leva sullautorit formale ma sul riconoscimento della competenza,
informalit e concretezza 34 .
Inoltre non vi alcuna discriminazione nella gestione delle risorse umane per
quanto attiene la questione della dirigenza femminile. Le politiche di selezione
vengono condotte attraverso interviste ad hoc per individuare i tratti personali e
di carattere di ciascuno candidato soprattutto in base ai valori della diversit
culturale, di genere. Nel caso delle donne si cerca di cogliere tutte le eventuali
resistenze nei confronti dellacquisizione di ruoli di comando e si cerca di
capire se queste resistenze abbiano unorigine culturale, allinterno della
famiglia in modo da capire se vi sia o meno nelle donne una tendenza ad evitare
i ruoli di comando oppure sia un semplice problema culturale, di abitudine a
non possedere tali ruoli.
Individuata la non sussistenza di un ostacolo biologico ai ruoli dirigenziali
si cercato di capire quali fossero i problemi che le donne incontravano
nellacquisizione di ruoli dirigenziali e li si individuati sul versante
individuale attraverso la presenza di tutti i vincoli di cui le donne sono
purtroppo portatrici, sia a livello di identit personale sia a livello di ciclo di
P. Donati, Sociologia delle politiche familiari, Roma, Carocci, 2003, p. 113 e segg. Si veda anche: P.
DiNicola(acuradi),Prendersicuradellefamiglie,Roma,Carocci,2002.
34
F. De Biase, Diversity management: case history Ikea, cit., p. 42.
33

24

vita (maternit e allevamento dei figli): la maternit e quindi il doppio ruolo


rappresentano un momento fondamentale e di scelta: nelle mansioni e nei ruoli
pi operativi si verifica una retrocessione del valore lavoro nella scala di
priorit individuali con abbandono del posto di lavoro o con la richiesta del part
time 35 .
In determinate posizioni dirigenziali (supervisor e manager) la maternit si
presenta come un grande ostacolo e per questo spesso viene rimandata poich
pu rischiare di interrompere il percorso di carriera in ruoli che richiedono
molto tempo da dedicare al lavoro.
Dunque, a livello progettuale Ikea ha messo a punto alcune iniziative che
promuovono la presenza femminile al lavoro e la possibilit di far carriere.
Queste sono:
Progetto call center per professionalit pi operative . Si affrontata la
questione del call center dove vengono assunte di solito studentesse giovani,
diplomate e lavoratori poco qualificati ed in cui il turn over assai elevato.
Ikea ha cercato di risolvere il problema dirottando tale attivit verso dei target
precisi quali:
-

portatrici di handicap

giovani mamme con disponibilit di tempo limitata

donne di 35-40 anni con difficolt a rientrare nel circuito del lavoro
dopo una o pi gravidanze.

Allo stesso tempo si studiato il modo in cui poter sfruttare le possibilit


offerte dal telelavoro per venire incontro alle esigenze delle giovani madri che
non possono separarsi dai figli piccoli e per le portatrici di handicap: in questo
modo si lavora da casa propria seguendo le indicazioni dellazienda.
Asili/ludoteche per le famiglie. In alcuni negozi Ikea allo studio la
possibilit di allestire realt di accoglienza per i figli dei dipendenti, in
prossimit della struttura commerciale, affidando la gestione dei servizi a
cooperative esterne e limitando di molto i costi per le famiglie.
Gestione maternit per professionalit elevate. Progetto di carriere
differenziate per le neomamme al momento del rientro al lavoro in modo tale

35

Ivi, p. 43.

25

che non vi siano le condizioni per una demotivazione.

In tal senso

interessante il progetto Work life 36 .


Il progetto nato dallazienda con la collaborazione dei lavoratori e dei
sindacati, attraverso incontri e progettazione con verifica a livello locale. Esso
mira a conciliare le esigenze dei lavoratori ma anche le posizioni spesso
conflittuali fra azienda e sindacati in materia di maternit e diritti delle
lavoratrici. Le persone che si congedano dal lavoro, solitamente, rimangono
tagliate fuori dallevoluzione delle dinamiche dellazienda e questo, in Ikea,
significa un grande handicap poich si tratta di una azienda che in realt
normalmente coinvolge molto i lavoratori nei propri processi di sviluppo. Da
qui il problema per i lavoratori che rimanevano tagliati fuori da tali
dinamiche.
Il progetto si divide in due fasi: una prima fase e quella informativa e prevede
una attivit informativa a scadenza periodica nei confronti di chi fuori per
congedo parentale su quanto lazienda sta facendo e su quanto sta facendo in
particolare il

reparto di appartenenza. Nella seconda fase si attua una

formazione di rientro: al rientro dal congedo parentale queste persone


frequentano dei corsi di formazione organizzati ad hoc con il sindacato non
solo per una informazione sulle novit avvenute in quel periodo di assenza ma
anche per una riqualificazione della propria posizione allinterno dellazienda
in relazione allesigenza di soddisfare le esigenze di carattere personale e
relative, ad esempio, agli orari di lavoro in modo tale da soddisfare queste
esigenze andando incontro anche a quelle produttive. In altri termini si
riorganizza continuamente il lavoro per facilitare il rientro di quelle persone
che altrimenti rischierebbero di restare indietro rispetto alle proprie opportunit
di carriere.
Queste sono in linea di massima le linee di intervento di Ikea nei confronti
delle donne lavoratrici. Se prendiamo in esame le tre categorie di Hofstede e
Bollinger (gerarchie di potere, incertezza e mascolinit) possiamo vedere come
siano soddisfatte tutte gi a partire dallapplicazione della filosofia generale
dellazienda. Infatti:
36

Cfr. lintervista a S. Scarpaleggia, Store Manager ed ex responsabile per le Human Resource


di Ikea Italia andata in onda su Radio 24 il 16 marzo 2005 a cura della redazione del Sole
24ore, noto giornale economico e finanziario italiano.

26

a) la distanza di potere si misura come nettamente limitata attraverso il


clima informale che si crea in azienda fin dallingresso del lavoratore;
nello specifico, le donne in Ikea non avvertono nel modo pi assoluto
alcuna distanza di potere da parte dei capi per motivi di appartenenza di
genere; altres viene combattuta positivamente la tendenza delle donne
ad allontanarsi dalle occasioni di ruoli di potere;
b) lincertezza (bisogno di regole, desiderio di stabilit lavorativa), che per
le donne solitamente elevata poich sono molti gli impedimenti che si
frappongono ai ruoli dirigenziali e non ultimi lostacolo materiale della
maternit e dei ruoli famigliari, in Ikea si trasformano da elementi
negativi a elementi positivi: le donne possono dichiarare tranquillamente
di voler avere figli senza correre il rischio di essere emarginate a livello
di carriera;
c) la mascolinit non rientra per nulla nella filosofia aziendale che invece
si connota come tipicamente femminile; dunque non vi sono
impedimenti culturali ed i modelli proposti nascono dallesigenze di vita
delle donne. A questo punto, lassenza di impedimenti ad una parit
sessuale soddisfa di fatto anche il problema dellinterscambiabilit dei
ruoli fra maschi e femmine (cosa che, secondo Hofstede e Bollinger
caratterizza una realt sociale come pi femminile che maschile).
3.4 Essere stranieri in Ikea
La questione degli stranieri un altro importante settore di sviluppo
dellorganizzazione lavorativa in Ikea. su questo settore, in fondo, che si
misura la capacit di applicazione del diversity management puro, cio quello
relativo alla presenza di stranieri sul posto di lavoro. Con la politica di
plurality Ikea ha portato avanti tre linee guida di fondo:
a) valorizzazione delle forze lavoro plurali le quali, attraverso il rispetto
del valore delleterogeneit sono in grado di garantire una fonte di
ispirazione, di creativit, ma anche di gestione del cambiamento, in un
contesto di mercato globale in continua evoluzione 37 ;
b) creazione di un organico aziendale che sia rappresentativo della struttura
di popolazione dove sorge il negozio attraverso lo slogan cerchiamo di
37

A. Mapelli, S.Scarpaleggia, Il progetto Plurality di Ikea, cit., p. 168.

27

rispecchiare la societ 38 con il quale Ikea cerca di riprodurre allinterno


della sua struttura la realt sociale esterna circostante;
c) sostegno

allintegrazione

culturale

dei

dipendenti

italiani

ed

extracomunitari mediante attivit e seminari.


Lattivit di ricerca del personale viene pianificata, non solo lasciando aperte
le porte a chiunque (italiano o straniero) volesse presentare il proprio
curriculum allazienda, ma anche concentrando lattivit informativa verso
specifici gruppi etnici (cinesi, sudamericani, maghrebini, indopakistani, ecc.).
il caso di quanto avvenuto presso il negozio Ikea di Sesto Fiorentino in cui
lazienda locale ha interessato direttamente prima la comunit cinese e poi
quella peruviana (ma senza successo) e poi si indirizzata ad analizzare prima
la composizione demografica degli stranieri presenti sul territorio e poi a
contattare individualmente le comunit straniere attraverso colloqui e incontri
con le principali associazioni ed enti intermediari (sportelli informativi, centri
di ascolto, centri per limpiego, uffici immigrati, centri di formazione
professionale, ecc..) (quelli gialli lasciali in italiano). Attraverso questi contatti
si arrivati a raccogliere ben pi di 300 curricula e, alla fine, a giudicare idonei
125 candidati.
Successivamente sono stati organizzati gli assesment groups attraverso cui
sono stati inseriti 25 dipendenti provenienti da paesi extraeuropei e 12 da paesi
dellUnione Europea per un totale di circa l8% della popolazione totale dello
stabilimento fiorentino.

I lavoratori stranieri risultano ripartiti in ciascuna

funzione del punto vendita: nella vendita (assistenza ai clienti, scelta di


prodotti, informazione e guida); nel servizio clienti (attivit ricreativa per i
bambini, strumenti di supporto alla vendita; consegna merce); nel deposito
(ricevimento e scarico delle merci, rifornimento dei banchi); alle casse; al
ristorante e nella mensa del personale.
Accanto allinserimento dei lavoratori stranieri si proceduto ad organizzare
unaccoglienza mediante un percorso formativo rivolto a tutti i Group Leader e
Department Headper poter consentire un ingresso armonizzato dei nuovi
dipendenti e in modo tale che vi fosse a tutti i livelli una preparazione adeguata
per facilitare lincontro fra culture diverse (italiana e straniere). Ci si
38

Ivi, p. 168.

28

preoccupati in particolar modo di addestrare culturalmente i manager perch


comprendessero le differenze di relazione che le diverse culture hanno nei
confronti dei ruoli di potere, delle donne, alla percezione delle regole, ecc..
Il punto di forza che muove la filosofia del diversity management di Ikea
quello di conciliare motivazioni culturali e motivazioni organizzative, senza
nascondere che la finalit del business essenziale: limportanza del tema
cross cultural un tratto culturale distintivo corroborato anche da necessit e
convinzioni legati la mercato e quindi al business 39 .
Per quanto riguarda le dimensioni esplorate da Hofstede e Bollinger anche in
questo caso si prospetta una rilevante attenzione ai tre aspetti della distanza di
potere, dellincertezza e alla mascolinit. Nello specifico:
a) per quanto riguarda la distanza gerarchica si accompagnati i lavoratori
stranieri

allinterno

dellorganizzazione

Ikea

evitando

situazioni

traumatiche e presentando nel dettaglio la filosofia che muove lazienda;


b) anche per quello che concerne lincertezza, si provveduto a descrivere
dettagliatamente le regole e a far chiarezza sui diritti inalienabili del
lavoratore Ikea che nella maniera pi assoluta non deve restar vittima di
alcuna discriminazione;
c) allo stesso modo, donne e uomini stranieri sono stati informati e formati
su quello che riguarda la parit di trattamento nellazienda facendo
attenzione a chiarire i valori di fondo della filosofia aziendale.

39

Ivi, p. 171.

29

CONCLUSIONI
In conclusione si pu affermare che in Italia Ikea rappresenta pi di altre
realt aziendali lapplicazione delle strategie di diversity management alla luce
della potenziale ricchezza che il pluralismo etnico, religioso, culturale e di
genere pu offrire per la crescita non solo aziendale ma culturale.
In effetti, nella stessa filosofia di Ikea trovano posto quei valori che sono
tipici della filosofia del diversity management, nella loro applicazione concreta
e nel rispetto della necessit di gradualit che la societ circostante richiede.
Sarebbe infatti controproducente proporre un immissione di lavoratori stranieri
massiccia senza prima aver creato un tessuto di accoglienza, sarebbe anche
irrealistico e senza senso proporre percorsi obbligati di carriera femminile
laddove quello che conta sempre la scelta consapevole individuale.
Colpisce positivamente che lurgenza di applicare strategie di diversity
management sia molto presente anche in Italia: rilevante infatti come in un
paese che presenta ancora forti distorsioni nel mercato del lavoro, con gravi
squilibri territoriali fra Nord e Sud, con non pochi problemi di convivenza fra
gruppi culturali diversi e con parecchi ostacoli per la professionalizzazione
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delle donne, Ikea non rinunci affatto alla proposizione della propria filosofia e
dei propri valori. Filosofia e valori aziendali che si ritrovano nella risoluzione
dei problemi che le tre dimensioni di Hofstede e Bollinger hanno evidenziato.
Mi sembra si possano puntualizzare alcuni aspetti. Anzitutto il modello Ikea
presentato senza aggiustamenti sia nelle realt del Nord, del Centro e del
Mezzogiorno (Afragola vicino Napoli e Bari); piuttosto sta ai manager locali
cogliere le modalit graduali con le quali applicare il proprio modello. In certi
casi, infatti, si tratta di realt sociali che conservano problemi strutturali (alta
disoccupazione connesso ad un alto tasso di criminalit, atteggiamenti culturali
arretrati verso le donne) anche se vi da dire che ormai, almeno a livello
culturale generale e per quanto riguarda le grandi realt metropolitane si fa
sempre pi fatica a distinguere un area dallaltra.
In secondo luogo, molto importante considerare un altro elemento che si
desume dalla combinazione di filosofie di diversity management e di Ikea, ossia
la possibilit di intervenire sullo scontro sociale che caratterizza spesso le
relazioni nel mondo del lavoro in Italia in senso conflittuale. Senza pretendere
miracoli, Ikea pu proporsi come un modello alternativo al tradizionale schema
conflittuale fra maestranze e dirigenza dal momento che tale modello non
pretende di risolvere i problemi generali macroeconomici (costo del lavoro,
inflazione, previdenza),

piuttosto

pu offrire soluzioni di concertazione in

tutti quei settori relativi alla qualit della vita dei lavoratori.

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