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23 Mag 2016

STUDENTI E RICERCATORI
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Internet first: un consiglio che le universit italiane faticano ad


applicare
di Lorenza F. Pellegrini

Internet first, universit come brand, internazionalizzazione: il mondo accademico sta cambiando anche sul web. E parla
inglese.
I social network sono utilizzati da oltre il 70% degli italiani (Censis 2015), soprattutto dagli under 30, ma le universit ancora
faticano a trasformarsi in atenei 2.0. Negli Stati Uniti questo avviene da anni, e non a caso sono diventate delle istituzioni
anche in rete. La pagina Facebook (principale) di Harvard , universit privata che ospita 21.000 studenti, ha oltre 4 milioni e
mezzo di like; quella (principale) della Sapienza di Roma , che con circa 115.000 iscritti nel 2016 lateneo pi grande
dItalia e dEuropa, ne ha poco meno di 70.000. Un divario che merita una riflessione.
Il centro Nexa su Internet & Societ del Politecnico di Torino stato il primo a realizzare una mappatura dettagliata delle
cosiddette #SocialUniversity, un censimento (2014) degli account Facebook e Twitter principali di tutti gli atenei italiani. A
questa ricerca se ne aggiungono altre, tra cui quelle del Censis , da cui emerge una spinta allinnovazione dei servizi online e
una maggiore attenzione allinterazione con gli utenti. Ma il processo di trasformazione ancora lungo.
Limportanza dellinternazionalizzazione
La capacit di richiamare studenti stranieri e di essere competitivi a livello internazionale, anche sui social, ha un grande
peso. Nella classifica di Times Higher Education sulle 200 universit migliori sotto il profilo dellinternazionalizzazione, non
figurano gli atenei italiani. Un dato in linea con quelli di Education at a Glance 2015. Dal rapporto annuale dell'Ocse risulta
che le universit italiane attirano pochi studenti stranieri: nel 2013 erano 16.000, mentre in Francia erano 46.000 e in
Germania 68.000.
Per reggere meglio il confronto con l'estero, gli atenei stanno cambiando le loro strategie. Anche quelle relative alla
comunicazione. Una strada che la Luiss ha intrapreso da tempo, infatti tra i poli formativi italiani che si difendono meglio
sui social network(oltre 35.000 likesulla pagina Facebook principale, circa 8.000 iscritti ai corsi). Nei post viene
raccontata luniversit, attraverso i successi dei suoi laureati, le esperienze internazionali degli studenti, i risultati di docenti e
ricercatori. A questo si aggiungono le notizie su personalit importanti, di rilievo nazionale e internazionale, in visita
didattica o presenti in occasioni ufficiali organizzate dall'ateneo. Paolo Sordi, responsabile dellufficio Digital Communication
e Nuovi Media della Luiss, consapevole che il caro vecchio sito web non basta pi, anche se viene seguito
quotidianamente con risorse dedicate alla cura editoriale dei contenuti. E poi ci sono i social. Facebook, Twitter, Instagram e
Linkedin ci servono da punti di distribuzione dei contenuti che produciamo sul sito istituzionale. Poi ce ne sono degli altri
pensati ad hoc per ogni singola piattaforma. Su alcune vengono anche proposti in lingua inglese.
Come usare meglio i social media
I social non sono solo uno strumento di comunicazione, ma anche di gestione. Lo sostiene Giovanni Boccia Artieri, ordinario
di Sociologia all'Universit di Urbino Carlo Bo, dove si occupa di media digitali e Internet Studies. Gli atenei dovrebbero
diventare internet first, cio dovrebbero partire dalla progettazione della comunicazione online, e pensare prima di tutto ai
contenuti adatti per quel tipo di formato. Lidea quella di non considerare semplicemente internet e i social media come dei
mezzi in pi con cui comunicare, ma farli diventare il motore interno della comunicazione dell'ateneo.
Le nuove tecnologie sembrano soddisfare i bisogni della cosiddetta Generation Now. Per gli internauti, che vogliono tutto e
subito, la tempestivit rischia di diventare importante quanto il contenuto. Un effetto collaterale a cui si pu porre rimedio
adottando alcune regole sui tempi e i luoghi di risposta. Nella policy di utilizzo dei social media degli atenei deve essere
chiaro quali sono i canali di notizie e quelli di conversazione, chiarisce il sociologo. Ad esempio, la Carlo Bo usa Twitter
per gestire il flusso informativo e Facebook per interagire con gli studenti.
Per rafforzare la propria presenza virtuale, le universit dovrebbero posizionarsi non solo sui social network pi conosciuti,
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ma anche su quelli pi professionali, come Linkedin, o addirittura su social specifici, ad esempio quelli dedicati al sapere
scientifico, come academia.edu .
Il brand universit e lo studente consumatore
Aumentare la popolarit e diffondere il brand universit attraverso la rete. Questo lobiettivo del social media marketing, che
offre diverse opportunit agli atenei, anche in termini di ritorno economico. Il problema, segnala la professoressa Gaia
Rubera, docente di marketing alla Bocconi, la difficolt di calcolarlo da un punto di vista tecnico. Se unazienda pubblicizza
un determinato prodotto in un post, difficile stabilire quanto questo incida nella scelta degli utenti di comprare quel bene. In
futuro le cose potrebbero cambiare. Proprio in questi mesi, gli esperti di Facebook stanno sviluppando un algoritmo in
grado di quantificare il valore monetario dei post degli utenti. Cos sar pi facile identificare i profili pi influenti
all'interno del network. Ad oggi, quello che certo che fare pubblicit sui social costa meno e che il ritorno in termini di
brand engagement enorme.
Socializzare il sapere
Il digitale un acceleratore in grado di produrre un valore aggiunto e invisibile, che poi si traduce in qualcosa di concreto,
come le iscrizioni ai corsi. Anche secondo Boccia Artieri i risultati migliori si ottengono quando luniversit riesce a creare
una sorta di cordone ombelicale dei canali privilegiati con il pubblico di riferimento. Sono quelli con cui instauriamo dei
rapporti nel tempo, attraverso le cose che scriviamo, le informazioni che diamo. Questo pu avvenire anche attraverso
lofferta di corsi di studi gratuiti online, o creando in rete dei campus virtuali. Il primo in Italia stato Italica, progetto di elearning dedicato alla lingua e alla cultura italiana, ideato negli anni Novanta e mai sviluppato compiutamente.
Con la rivoluzione tecnologica il mercato cambiato radicalmente. Oggi, da una parte si cerca di monopolizzare e acquisire
online i dati prodotti gratuitamente dallinterazione tra gli utenti per trarne profitto. Dall'altra, c' chi ritiene che
l'informazione sia un bene comune (e che non possa essere monetizzata). Ci si interroga se a prevalere sar questa scuola di
pensiero oppure no. Per il sociologo della Carlo Bo la strada gi tracciata, almeno per quanto riguarda il sapere
scientifico: Un sapere condiviso, costruito in modo sempre pi collaborativo, orientato verso una dimensione pubblica.
Wikipedia ne un esempio.
In parte questo sta avvenendo anche negli atenei come conseguenza del decreto sulla trasparenza. Tutta la normativa che
passa internamente nelluniversit deve finire su un repository online (archivio web, ndr) per poter essere ricercabile. E
condivisibile.
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