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Giorgio Agamben
Che cos' la filosofia?
summa
ISBN
16,oo
euro
978-88-7462-791-2
Il Ili Il l Il l
9 788874 627912
Giorgio Agamben
Q!odlibet
Indice
p.
Avvertenza
Experimentum vocis
47
57
I23
I33
Appendice
La musica suprema. Musica e politica
I 47
Riferimenti bibliografici
I 53
Avvertenza
Experimentum vocis
I.
I4
EXPERIMENTUM VO CIS
2.
Partiamo dall'idea dell'incomprensibile, di un essere in
teramente senza rapporto col linguaggio e con la ragione,
assolutamente indiscernibile e irrelato. Come potuta na
scere una simile idea ? In che modo possiamo pensarla ? Un
lupo, un istrice, un grillo avrebbero forse potuto concepir
la ? Diremmo noi che l'animale si muove in un mondo che
per lui incomprensibile ? Come non riflette sull'indicibile,
cos nemmeno il suo ambiente pu apparirgli tale: tutto in
esso gli fa segno e gli parla, tutto si lascia selezionare e inte
grare e ci che non lo riguarda in alcun modo per lui sem
plicemente inesistente. D'altra parte, la mente divina per
definizione non conosce l'impenetrabile, la sua conoscenza
non incontra limiti, tutto - anche l'umano, anche la materia
inerte - per essa intellegibile e trasparente.
Dobbiamo dunque guardare all'incomprensibile come
a un'acquisizione esclusiva dell 'homo sapiens, all'indicibile
come a una categoria che appartiene unicamente al linguag
gio umano. Il carattere proprio di questo linguaggio che
esso stabilisce una particolare relazione con l'essere di cui
parla, comunque lo abbia nominato e qualificato. Qualsiasi
cosa nominiamo e concepiamo, per il solo fatto di essere
stata nominata gi in qualche modo pre-supposta al lin
guaggio e alla conoscenza. questa l'intenzionalit fonda
mentale della parola umana, che gi sempre in relazione
con qualcosa che presuppone come irrelato.
Ogni posizione di un principio assoluto o di un al di l del
pensiero e del linguaggio deve fare i conti con questo caratte
re presupponente del linguaggio: essendo sempre relazione,
esso rimanda a un principio irrelato che esso stesso a presup
porre come tale (ovvero, nelle parole di Mallarm: il Verbo
16
EXPERIMENTUM VO CIS
17
4
L'intreccio di essere e linguaggio assume la forma costi
tutiva della presupposizione nelle Categorie di Aristotele.
Come i commentatori antichi avevano perfettamente com
preso al momento di definire l'oggetto del libro (se esso
EXPERIMENTUM VO CIS
5
Nel doppio statuto dell'ocria 1tp<'tr\ come esistenza sin
golare e come sostanza si riflette la duplice articolazione
del linguaggio, che sempre gi scisso in nome e discorso,
langue e parole, semiotico e semantico, senso e denotazio
ne. L'identificazione di queste differenze non una scoper
ta della linguistica moderna, ma l'esperienza costitutiva
della riflessione greca sull'essere. Se gi Platone oppone
con chiarezza il piano del nome (ovof.ta) e quello del di
scorso (..oyo), il fondamento su cui riposa l'elencazione
aristotelica delle categorie la distinzione dei EYOflEVa i
veu crUfl1t.OKft, di ci che si dice senza una connessione
(uomo, bue, corre, vince))) e i EYOflEVa Kat cr'Ufl1t.oKflv, il discorso come connessione di termini (l'uomo
cammina))' l'uomo vince))' Cat. I a 16- 1 9). Il primo piano
corrisponde alla lingua (la langue di Saussure, il semiotico
di Benveniste) in quanto distinta dal discorso in atto (la pa
role di Saussure, il semantico di Benveniste).
Noi siamo cos abituati all'esistenza di un ente chiamato
lingua))' l'isolamento di un piano della significazione di
stinto dal discorso in atto ci ormai cos familiare, che non
ci rendiamo conto che in questa distinzione viene alla luce
per la prima volta una struttura fondamentale del linguag
gio umano che lo distingue da ogni altro linguaggio e a par-
20
6.
L'antropogenesi non si compiuta una volta per tutte
istantaneamente con l'evento di linguaggio, col diventar
parlante del primate del genere homo. stato necessario,
piuttosto, un paziente, secolare e ostinato processo di ana-
EXPERIMENTUM VO CIS
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22
CHE
cos' LA FILOSOFIA ?
7
Si rifletta sulla natura paradossale dell'ente di ragione
chiamato lingua (diciamo ente di ragione, perch non
chiaro se esso esista nella mente, nei discorsi in atto o solo
nei libri di grammatica e nei dizionari). Esso stato co
struito attraverso una paziente, minuziosa analisi dell'atto
di parola, supponendo che parlare si possa solo sulla pre
supposizione di una lingua e che le cose siano sempre gi
nominate (anche se impossibile spiegare - se non in modo
mitologico - come e da chi) in un sistema di segni che si ri
ferisce potenzialmente e non solo attualmente alle cose. La
parola albero pu denotare l'albero in un atto discorsivo,
in quanto si presuppone che il vocabolo albero, preso in
s prima e al di l di ogni denotazione attuale, significhi al
bero . Il linguaggio avrebbe, cio, la capacit di sospendere
il proprio potere denotativo nel discorso, per significare le
cose in modo puramente virtuale nella forma di un lessi
co. questa la differenza fra langue e parole, semiotico e
semantico, senso e denotazione che abbiamo gi evocato e
che scinde irrevocabilmente il linguaggio in due piani di
stinti e, tuttavia, misteriosamente comunicanti.
Il nesso di questa scissione linguistica con la cesura an
tologica potenza/atto, OUVa)..lt/vpyEta attraverso cui
Aristotele divide e articola il piano dell'essere tanto pi
evidente se si ricorda che, gi in Platone, uno dei significati
fondamentali del termine ouva)..lt valore semantico di
una parola . All'articolazione della significazione linguisti
ca in due piani distinti corrisponde il movimento antologico
della presupposizione: il senso una presupposizione della
denotazione e la langue una presupposizione della parole,
cos come l'essenza una presupposizione dell'esistenza e
EXPERIMENTUM VO CIS
23
8.
A questa struttura presupponente del linguaggio corri
sponde la particolarit del suo modo di essere, che consi
ste nel fatto che esso deve togliersi per far essere la, cosa
nominata. questa natura del linguaggio che ha in mente
Scoto quando definisce la relazione come ens debilissimum
e aggiunge che per questo essa cos difficile da conosce
re. Il linguaggio antologicamente debolissimo, nel senso
che non pu che sparire nella cosa che nomina, altrimen
ti, invece di designarla e svelarla, farebbe ostacolo alla sua
24
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IO.
EXPERIMENTUM VO CIS
I I.
Si comprende, allora, perch il linguaggio umano sia tra
versato fin dall'origine da una serie di scissioni, che non
hanno riscontro in alcun linguaggio animale. Intendiamo
riferirei alla frattura nomi/ discorso, gi chiara per i Greci
( ovoJ.la/... oyo in Platone, .e"fOJ.lEVa avEu <J'UJ.l7toKf/M:
'YOJ.lEVa Ka't (J'UJ.l1tOKi)v in Aristotele, Ca t., I a I 6- I 8 ) e
per i Romani (nominum impositio/declinatio in Varrone,
De ling. lat., VIII, 5 -6) fino a quelle, che ad essa in qual
che modo corrispondono, fra langue e parole in Saussure e
fra semiotico e semantico in Benveniste. L'uomo parlante
EXPERIMENTUM VOCIS
30
I2.
Un'analisi della particolare situazione del J.6yo nella
<j>rovi) - e, quindi, del rapporto tra la voce e il linguaggio condizione preliminare per comprendere il modo in cui
l'Occidente ha pensato il linguaggio, l'essere parlante del
vivente uomo. Ci significa che lo scopo del trattato ari
stotelico Sull'interpretazione non era soltanto quello di as
sicurare il nesso fra le parole, i concetti e le cose, ma, prima
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IJ.
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cos' LA FILOSOFIA ?
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! 6.
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44
1 8.
Se chiamiamo factum loquendi il fatto della pura e sem
plice esistenza del linguaggio, indipendentemente dal suo at
testarsi in questa o quella lingua, in questa o quella gramma
tica, in questa o quella proposizione significante, possiamo
allora dire che la linguistica e la logica moderne hanno potu
to costituirsi come scienze solo lasciando da parte come un
presupposto impensato il factum loquendi, il puro fatto che
si parli, per occuparsi unicamente del linguaggio in quanto
descrivibile in termini di propriet reali - in quanto, cio,
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55
I.
6o
2.
61
3
Considerazioni analoghe valgono per il dicibile degli
stoici. Negli studi moderni, l'appartenenza del EK'tOV alla
sfera della logica sembra scontata, ma essa riposa su as
sunzioni (come l'identit fra crT))latVO)lEVOV e EK'tOV, si
gnificato e dicibile) che sono tutt'altro che sicure. Sia la
testimonanza di Ammonio, che definisce criticamente il
EK'tOV da un punto di vista aristotelico: Aristotele inse
gna che cosa siano le cose innanzitutto e immediatamente
significate (crTJ)latVO)lEVa, sci!. dai nomi e dai verbi) e i con
cetti (voi))la'ta) e, attraverso questi, le cose (7tpay)la'ta) e af
ferma che non si deve pensare oltre a questi (cio il VOll)la e
il 7tpay)la) un altro medio, come quello che gli stoici sup
pongono col nome di dicibile (EK'tov) (Ammonio I 897,
p. 5 ). Ammonio ci informa, cio, che gli stoici inserivano,
secondo lui inutilmente, fra il concetto e la cosa un terzo,
che chiamavano dicibile.
Il passo in questione proviene dal commento di Am
monio al IlEp P)lllVEia. Qui Aristotele definiva il pro
cesso dell' interpretazione attraverso tre elementi: le
parole ( 't v 'ti] <j>rovij), i concetti (pi precisamente le af
fezioni nell'anima, 't 7ta8i))la'ta v 'ti] 'JIUXiJ), di cui le p a
role sono segni, e le cose ( 't 1tpay)la'ta ), di cui i concetti
sono le similitudini. Il dicibile stoico, suggerisce Ammo
nio, non soltanto non qualcosa di linguistico, ma non
nemmeno un concetto e neppure una cosa. Esso non
ha luogo nella mente n semplicemente nella realt, non
appartiene n alla logica n alla fisica, ma sta in qualche
modo fra di essi. di questa situazione particolare fra la
mente e le cose che si tratter di tracciare una cartografia.
possibile, infatti, che questa sitazione fra la mente e le
4
La fonte pi ampia e, insieme, pi problematica, da cui
deve partire ogni interpretazione della dottrina del dicibile
un passo dell'Adversus mathematicos di Sesto Empirico
( I 842, VIII, 1 1 sg, p. 29 I ): Alcuni ponevano il vero e il
falso nella cosa significata (1tEp 'tep crT))latVO)lVql), altri nella
parola (1tEp 'ti] <j>rovij) e altri ancora nel movimento del pen
siero (1tEp 'ti] Ktvi)on 'tft tavoia). Nella prima opinione
primeggiano gli stoici, che dicevano che tre si congiungono
fra loro, il significato ( crT))latVO)lEvov), il significante ( crTJ
)latvov) e l'oggetto ('tuyxavov, " ci che capita essere", la
cosa esistente che ogni volta in questione). Il significante
la parola (<)>rovi)) - ad esempio, " Dione"; il significato la
cosa stessa in quanto manifestata da essa (a't 't 7tpay)la
't 1t' a'tft TJOU)lEvov), che noi afferriamo come ci che
sussiste accanto (1tapu<j>ta'ta)lvou) al nostro pensiero e che
i barbari non comprendono anche se odono la parola; l' og
getto la sostanza che esiste al di fuori ('t K't 1tOKEi
)lEvov) (ad esempio Dione stesso). Di questi, due sono cor
pi, e cio la parola e l'oggetto, uno invece incorporeo, cio
la cosa significata e dicibile ('t crT))latVO)lEVov 1tpay)la Ka
EK'tov), che diventa vera o falsa.
Il significante (la parola significante) e l'oggetto (la cosa
che vi corrisponde nella realt, nei termini moderni il de
notato) sono evidenti. Pi problematico lo statuto del
crT))latVO)lEvov incorporeo, che gli studiosi moderni hanno
identificato col concetto presente nella mente di un sogget-
66
5
L'espressione la cosa stessa appare in un passo decisivo
della Settima lettera di Platone, un testo della cui influenza nella
storia della filosofia siamo ancora lontani dal prendere coscien
za. Una comparazione della fonte stoica citata da Sesto con la
digressione filosofica della lettera mostra, infatti, delle singolari
affinit. Diamo qui per comodit il testo della digressione:
Per ciascuno degli enti vi sono tre, attraverso i quali necessario
che si generi la scienza, quarta la scienza stessa, quinto si deve porre
quello stesso attraverso cui (ciascun ente) conoscibile (yv(I)O"tov) ed
veramente. Il primo il nome, secondo il discorso definitorio (A.Oyo),
terza l'immagine (dm..o v), quarta la scienza. Se vuoi intendere quel
che ora ho detto, prendi un esempio e pensa cos intorno a ogni cosa. Vi
un che detto cerchio (Kudo crti tt tyO!ffiv ov), il cui nome quello
stesso che abbiamo appena proferito; secondo il suo A.Oyo, composto
di nomi e di verbi: ci che in ogni punto dista ugualmente dagli estre
mi al centro>> : ecco il A.Oyo di ci che ha nome tondo, circonferen
za>> o cerchio>> . Terzo ci che si disegna e si cancella e si forma col
tornio e si distrugge, ma di tutto questo nulla patisce il cerchio stesso
(at KUKo), intorno al quale sono tutte queste cose, perch altro
da esse. Quarta la scienza e l'intelletto e l'opinione vera intorno a
queste cose; e tutto ci si deve pensare come una unica cosa, che non ha
sede nelle parole (Y cj>mva) n nelle figure corporee, ma nelle anime
(v 'JIUXa), per cui chiaro che altro dalla natura del cerchio stesso e
dai tre di cui si parlato ( 3 42 a 8 - d r ) .
C H E C O S ' L A FILOSOFIA ?
68
6.
Che il dicibile possa avere a che fare con l'idea platonica
un'ipotesi che gli studiosi moderni evocano solo negativa
mente, scrivendo, ad esempio, che i EK't0, pur non essendo
entit platoniche, tuttavia possono valere come contenuti og
gettivi del pensiero e del linguaggio (Schubert I 994, p. I 5 ).
La denegazione , come sempre, significativa, perch proprio
una lettura della dottrina del dicibile in puntuale relazione cri
tica alla teoria delle idee permette di chiarirne lo statuto (e, nel
contempo, getta anche una nuova luce su questa cos spesso
7
Prima degli stoici, gi Aristotele si era misurato con la
teoria della conoscenza contenuta nella Settima lettera.
Nel IlEp P)lllVEia, un'opera che ha influenzato per secoli
ogni riflessione sul linguaggio in Occidente, egli definisce
il processo della significazione linguistica in un modo che,
bench sembri senza rapporto con esso, va letto in puntua
le contrappunto al testo della digressione.
Ci che nella parola ('t v 'tfl qxovfl) segno delle impressioni nell'a
nima (v 'tfl 'JIUXW e ci che scritto segno di ci che nella parola. E
come le lettere non sono le stesse per tutti gli uomini, cos neppure le
parole; ci di cui esse sono innanzitutto segni, cio le impressioni nell'a-
nima, questi sono gli stessi per tutti; e anche le cose (1tpOyf.10'tO), di cui
queste sono le sirnilitudini, sono per tutti le stesse (De int. 1 6 a 3 -7).
Elenchiamo gli uni accanto agli altri gli elementi della conoscenza
in Platone, in Aristotele e negli stoici:
l't
PLATONE
ARISTOTELE
STO ICI
nome
parole
significante
discorso definitorio
impressione nell'anima
significato
corpi e figure
cose
oggetto ('t'U)'XOVOV)
scienza, concetto
lettere
73
8.
Abbiamo cercato finora, per chiarire il concetto stoico
di EK'tov, di mostrarne le analogie e le possibili relazioni
con l'idea platonica. Ma, se la nostra ipotesi corretta, dob
biamo chiederci perch gli stoici hanno deciso di chiamare
dicibile qualcosa che intendevano collocare in luogo - o,
quanto meno, nel luogo - dell'idea. Non contraddice que
sta denominazione il testo della digressione, dove, affer
mando che ci di cui egli si occupa seriamente non in
alcun modo dicibile (PTt'tOV) come le altre nozioni (.ta8iU.ta'ta) , Platone sembra conferire alla cosa stessa uno
statuto di indicibilit ?
sufficiente situare l'affermazione nel suo contesto nella
digressione per comprendere che in questione non qui tanto
una assoluta indicibilit, quanto uno speciale statuto di dicibi
lit, diverso da quello che compete agli altri J.Laa'ta. Poco
dopo Platone afferma, infatti, che se non si sono colti i primi
quattro (fra i quali figurano il nome e il ')..iyyo), non si po
tr nemmeno conoscere compiutamente il quinto; e, aggiun
ge successivamente, la conoscenza della cosa stessa avviene
sfregando gli uni sugli altri nomi, ')..iyyot, visioni e sensazioni
e mettendoli alla prova in confutazioni benevole e in discus
sioni condotte senza invidia (344 b 4-7). Ci concorda, del
resto, con l'inequivoca affermazione del Parmenide ( I 3 5 e 3 ),
9
Un'esposizione del rapporto fra idea e linguaggio deve
esordire dalla costatazione, apparentemente ovvia, che l'i
dea e i sensibili sono omonimi, cio che, pur essendo diver
si, essi hanno lo stesso nome. proprio su questa singolare
omonimia che Aristotele incentra il suo compendio della
filosofia platonica in Metaph. 9 8 7 b: Egli (Platone) chiam
allora questi enti idee e (afferm) che tutte le cose sensibili
sono dette accanto ad esse e secondo esse ( 't o' aicr8Tt't
1tap 'tat>'ta Ka't 'ta''ta Aiyecr8at 1tav'ta); infatti secondo
la partecipazione la molteplicit dei sinonimi omonima
alle idee ( Ka't J.L8etv yp dvat 't 1to.... J.LCVUJ.La 'tot
EtEcrtv) (ivi, 8 - I o). (Sinonimi sono, secondo Aristotele,
Cat. I a I - I I , gli enti che hanno lo stesso nome e la stessa
definizione, omonimi gli enti che hanno lo stesso nome, ma
diversa definizione).
Che le cose sensibili e l'idea siano omonime, che le cose
ricevano anzi i loro nomi dalla partecipazione alle idee
ribadito pi volte da Platone, Phaed. 7 8 e: Che dire
mo delle molteplici cose, come uomini, cavalli, vesti [ . . . ]
e di tutte quelle omonime alle idee; Phaed. 1 02 b I : Le
altre cose, partecipando alle idee, ne ricevono le denomi
nazioni (1troVUJ.Liav, nome tratto da qualcos'altro; quasi
74
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I O.
L'idea , dunque, il principio unitario da cui le cose sen
sibili traggono il loro nome o, pi precisamente, ci che fa
s che una molteplicit di sensibili costituisca un insieme e
abbia lo stesso nome. La prima conseguenza che le cose rice
vono dalla partecipazione all'idea la denominazione. Se vi
, in questo senso, un rapporto essenziale fra il nome e l'idea,
questa non s'identifica per col nome, ma sembra essere,
piuttosto, il principio della nominabilit, ci partecipando
al quale, le cose sensibili trovano la loro denominazione. Ma
come concepire un tale principio ? Ed possibile pensare la
sua consistenza, indipendentemente dalla relazione ai sensi
bili che traggono da esso la loro omonimia ?
Poich proprio su questo punto vertono le critiche di
Aristotele alla teoria delle idee, sar opportuno esaminare in
nanzitutto tali critiche. Aristotele interpreta la relazione fra
l'idea e i sensibili a partire dalla relazione fra ci che si dice
secondo il tutto ('t Ka86ou = -r Ka9' oou Eyova; Ari
stotele si serve anche dell'espressione -r EV 1t 1toM&v, l'uno
sui molti) e ci che si dice secondo i singoli (Ka8' EKacr-ra). Ci
siamo astenuti dal tradurre Ka86ou come l'universale,
perch proprio questa identificazione del problema delle
idee con la quaestio de universalibus ha segnato la storia
della ricezione della teoria delle idee e il suo fraintendimen
to a partire da Aristotele fino ai commentatori tardo-anti
chi e, poi, alla Scolastica.
Socrate, scrive infatti Aristotele (Metaph. I 078 b I 8 sgg.),
cerc per primo di trovare definizioni secondo il tutto, ma
mentre egli non pose ci che si dice secondo il tutto ( -r
Ka86ou) come separato (xroptcr-ra), i platonici lo hanno se
parato e chiamarono siffatti enti idee; da questo trassero la
77
I I.
79
C H E C O S ' L A FILOSOFIA ?
So
81
I 2.
essere-detto-cerchio.
Nel sintagma con cui Platone designa l'idea - at
KUK.o, il cerchio stesso - in questione non pertanto,
come credeva Aristotele, semplicemente un universale (
KUK.o, il cerchio): l' ato, in quanto si riferisce a un ter
mine gi anaforizzato dall'articolo, riprende il cerchio nel
e dal suo esser-detto, nel e dal suo essere nel linguaggio e
il termine cerchio nel e dal suo designare il cerchio. Per
questo, il cerchio stesso, l'idea o il nascimento del cer
chio non n pu essere nessuno dei quattro. Non , tutta
via, nemmeno semplicemente altro da essi. ci che ogni
CHE
cos' LA FILOSOFIA ?
I3
CHE
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cos' L A FILOSOFIA ?
1 4
Nel suo libro su I nomi divini, Usener ha mostrato la
stretta implicazione fra la formazione dei concetti religiosi
e quella dei nomi degli di. Il nome non , per Usener, un
segno convenzionale di un concetto (voJlc.p) n una deno
minazione che coglie la cosa in s e la sua essenza (qruaEt):
esso il precipitato di un'impressione di fronte all'urto im
provviso con qualcosa che non l'io (U sener 1 896, p. 46).
La formazione del nome degli di riflette la formazione di
questi concetti linguistici, che procede dall'assoluta singo
larit fino al particolare e alla sua fissazione in un concetto
di genere. L'evento del nome - il conio delle parole, se
condo l'immagine che Usener preferisce usare - pertanto,
soprattutto per le epoche pi lontane, lo strumento essen
ziale per indagare la formazione dei concetti e delle rappre
sentazioni religiose di un popolo. Egli mostra cos come
per ogni cosa e per ogni azione importante venga creato
nel linguaggio un dio momentaneo (Augenblicksgott),
il cui nome coincide con quello dell'atto e che, attraverso
la ripetizione regolare, si trasforma in un dio particolare
(Sondergott) e pi tardi in un dio personale. Gli indigita
menta romani ci hanno conservato i nomi di divinit che
corrispondono a singoli atti o momenti dell'agricoltura
Vervactor, che nomina la prima aratura del maggese (ver
vactum), Insitor, che nomina l'atto della semina, Occator,
che corrisponde alla lavorazione del campo con l'erpice,
Sterculinus, che si riferisce alla concimazione della terra . . .
Usener era influenzato dalle teorie psicologiche del suo
tempo, che concepivano la conoscenza come un processo
che, attraverso la ripetizione e l'astrazione, conduce dal
particolare al concetto generale. Egli ricorda pi volte, tut-
88
CHE
cos' LA FILOSOFIA ?
1 6.
La strategia di Platone diventa a questo punto pi com
prensibile. Egli non ha sostanzializzato e separato, come
riteneva Aristotele, una generalit, ma ha cercato di pen
sare una pura dicibilit, senza alcuna determinazione con
cettuale. Il passo successivo della digressione lo precisa con
chiarezza: l primi quattro manifestano non meno la qua
lit ('t 7tot6v n ) che l'essere (t ov) di ciascuna cosa, per
via della debolezza del linguaggio . . . delle due cose, l'essere
e la qualit, non la qualit ('t 7tOt6v n), ma il che ('t
'tt) l'anima vuole conoscere, mentre ciascuno dei quattro
le mette davanti ci che essa non cerca (Epist. VII, 3 4 2
e - 3 4 3 a; 3 4 3 b-e). Per questo Platone, cercndo di espri
mere il puro essere, il nascimento di qualcosa, ha dovuto
ricorrere a un pronome; il pronome infatti, definito gi
dei grammatici antichi come quella parte del discorso che
esprime la sostanza senza la qualit (Prisciano: il pronome
substantiam significat sin e aliqua certa qualitate ). Ma egli, a
differenza di Aristotele, non ha scelto un pronome deittico
(ogni sostanza significa un questo, 7t<1aa ouaia oKci 'tO
E n OTll.taivEtv, Cat. 3 b 1 0), ma l'anaforico a''to.
Nel passo citato delle Categorie, Aristotele distingue la
sostanza prima, che significa un questo, perch manifesta
93
1 7.
La trasposizione - che si compie nel pensiero tardo-an
tico, da Porfirio a Boezio, e poi nei logici medievali - della
dottrina delle idee nella quaestio de universalibus, , in que
sto senso, il peggior fraintendimento dell'intenzione pla-
94
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97
nuto che il limite dei Greci era che essi non conoscevano le lingue stra
niere - il che, almeno fino a un certo momento, vero; Platone e Ari
stotele sapevano, tuttavia, perfettamente che una stessa cosa nominata
in modo diverso secondo le varie lingue (questo implicito nel passo
della Settima lettera in cui si dice che i nomi non hanno alcuna stabilit
e nella tesi del De interpretatione secondo cui le parole non sono le
stesse per tutti gli uomini). Il nome KtncM> nomina la stessa cosa che
intesa dal latino circulus e dall'italiano cerchio: ma il cerchio stesso
resta in ciascuna lingua soltanto omonimamente nominato. Potremmo
allora dire che, in ultima istanza, l'elemento linguistico proprio dell'i
dea - il dicibile - non semplicemente il nome, ma la traduzione, o
ci che traducibile in esso. B enveniste ha visto nella traduzione il
punto in cui si tocca la differenza fra il semiotico e il semantico. Si
pu trasporre, infatti, il semantismo di una lingua in quello di un'altra
( la possibilit della traduzione), ma non il semiotismo di una lingua
in quello di un'altra ( l'impossibilit della traduzione). All'incrocio
di una possibilit e di una impossibilit, la traducibilit si situa, cio,
sulla soglia che unisce e divide i due piani del linguaggio. Di qui la sua
rilevanza filosofica, che Benj amin ha messo in luce. L'arduo passaggio
dal semiotico al semantico qui cercato non all'interno di una lingua,
ma, attraverso la pluralit delle lingue, nella totalit compiuta delle loro
intenzioni. Per questo, come aveva intuito Mallarm, rispetto all'idea
la lingua perfetta non pu che mancare (/es langues imparfaites en cela
que plusieures, manque la supreme). In suo luogo sta, secondo Plato
ne, il logos della filosofia, che riporta ogni lingua verso il suo principio
nel Musaico (la filosofia , per questo, la musica suprema>>: Q>tM>croQ>ia
[ . . . ] o'Xnl J.JEyicr'tT] !J.OumJci, Phaed. 6r a; ancora pi esplicitamente in
Resp. 499 d: la filosofia la musa stessa>>, an 1 Moucra).
! 8.
Il problema dell'idea non separabile dal problema del
suo luogo. Che le idee abbiano luogo (EXEt tv t61tov) al di
l del cielo (\mepoupavwv t61tov, Phaedr. 247 c) pu solo
significare - come Aristotele e Simplicio puntualmente os-
99
IOO
IO I
I 02
IOJ
I04
CHE
cos' LA FILOSOFIA ?
20.
Come il fraintendimento dell'idea come un universa
le ha compromesso la possibilit di una sua corretta inter
pretazione, cosi l'identificazione aristotelica e neoplatoni
ca della xropa con la materia ha durevolmente influenzato
la storia della sua ricezione. Ed significativo che come il
fraintendimento dell'idea coincide con la sua confusione
con l'astrazione (<j>aipccrt), allo stesso modo la xropa vie
ne intesa come ci che resta di un corpo se si fa astrazio
ne delle sue affezioni. In quanto il luogo sembra essere
l'estensione (t<lO'tlla) della grandezza scrive Aristotele
nella Fisica esso materia ( UTJ), che altro dalla grandez
za. ci che avvolto e definito dalla forma, come da un
piano o da un limite. E questa appunto la materia e l'in
definito ('t 6ptcrtov). Se togli infatti ( <j>atpTJ9'fl) il limite e
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2!.
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22.
23.
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26.
La teoria della xcpa riappare nel XVII secolo in un singo
lare incrocio di teologia e scienza nei platonici di Cambridge.
Nel carteggio fra il pi visionario di essi, Henry More, e
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130
CHE
cos' LA FILOSOFIA ?
131
Appendice
La musica suprema. Musica e politica
I.
APPENDICE
Esse (le Muse) una volta (no-n:) insegnarono a Esiodo un bel canto
mentre pasceva gli armenti sotto il divino Elicona:
questo discorso innanzitutto (7tpcimcrta) a me (f..IE) rivolsero le dee [ . . . ]
Si tratta, secondo ogni evidenza, di inserire l'io del poeta come sog
getto dell'enunciazione in un contesto in cui l'inizio del canto appar
tiene incontestabilmente alle Muse ed , tuttavia, proferito dal poeta:
Mouoarov apxffiJ.u:ea, <<Cominciamo dalle Muse>> - o, meglio, se si tiene
conto della forma media e non attiva del verbo: Dalle Muse l'inizio,
dalle Muse iniziamo e siamo iniziati>>; le Muse, infatti, dicono con voce
concorde <<ci che stato, ci che sar e ci che fu>> e il canto <<scorre
soave e instancabile dalle loro bocche>> (vv. 3 8 -40).
Il contrasto fra l'origine musaica della parola e l'istanza soggettiva
dell'enunciazione tanto pi forte, in quanto tutto il resto dell'inno (e
dell'intero poema, salvo la ripresa enunciativa da parte del poeta nei
vv. 963-96 5 : <<A voi ora salve . . . >>) riferisce in forma narrativa la nascita
delle Muse da Mnemosine, che si unisce per nove notti a Zeus, elenca
i loro nomi - che, a questo stadio, non corrispondevano ancora a un
genere letterario determinato (<< Clio e Euterpe e Talia e Melpomene
l Tersicore e Erato e Polimnia e Urania l e Calliope, la pi illustre di
137
tutte>>) - e descrive i l loro rapporto con gli aedi (vv. 94-97: <<Dalle Muse
infatti e da Apollo lungisaettante l sono gli aedi e i citaristi . . . l beato
colui che le Muse amano l dolce dalla sua bocca scorre il canto>> .
L'origine della parola musaicamente - cio musicalmente - de
terminata e il soggetto parlante - il poeta - deve ogni volta fare i conti
con la problematicit del proprio inizio. Anche se la Musa ha perduto
il significato cultuale che aveva nel mondo antico, il rango della poesia
dipende ancora oggi dal modo in cui il poeta riesce a dare forma mu
sicale alla difficolt della sua presa di parola - da come, cio, perviene
a far propria una parola che non gli appartiene e alla quale si limita a
prestare la voce.
2.
APPENDICE
1 39
3
Se l'accesso alla parola , in questo senso, musaicamente
determinato, si comprende che per i Greci il nesso fra musica
e politica fosse cos evidente che Platone e Aristotele trattano
delle questioni musicali solo nelle opere che consacrano alla
politica. La relazione di quella che essi chiamavano JlO'UcrtKT)
(che comprendeva la poesia, la musica in senso proprio e la
APPENDICE
APPENDICE
4
Con Platone, la filosofia si afferma come critica e supera
mento dell'ordinamento musicale della polis ateniese. Que
sto, impersonato dal rapsodo Jone, che pende invasato dalla
Musa come un anello di metallo da una calamita, implica
l'impossibilit di dar ragione dei propri saperi e delle proprie
azioni, di pensarli. Questa pietra (la calamita) non solo
attrae gli anelli di ferro, ma infonde loro anche la capacit di
fare quello che fa la pietra, cio attrarre altri anelli, in modo
che si produrr una grande catena di anelli appesi l'uno
all'altro, per ciascuno dei quali questa capacit dipende dalla
pietra. Nel medesimo modo anche la Musa riempie alcuni
uomini di ispirazione divina e attraverso questi si salda una
catena di altri uomini parimenti entusiasti [ . . . ] lo spettatore
non che l'ultimo degli anelli [ . . . ] l'anello di mezzo sei tu,
il rapsodo, mentre il primo il poeta stesso [ . . . ] e un poeta
si aggancia a una certa M usa, un altro a un'altra e in tal caso
diciamo che posseduto [ . . . ] infatti tu non dici ci che dici
di Omero per arte e scienza, ma per una sorte divina (Sdt
f.!Otpt) [ . . . ] (Plat. fon. 5 3 3 d - 5 34 c).
Di contro alla nateia musaica, la rivendicazione della
filosofia come la vera Musa (Resp. 5 48 b 8) e la musica
suprema (Phaid. 61 a) significa il tentativo di risalire al di
l dell'ispirazione verso quell'evento di parola, la cui soglia
custodita e sbarrata dalla Musa. Mentre i poeti, i rapsodi
e, pi in generale, ogni uomo virtuoso agisce per una Seta
J.l.Otpa, un destino divino di cui non in grado di dar conto,
si tratta di fondare i discorsi e le azioni in un luogo pi ori
ginario dell'ispirazione musaica e della sua 11avia.
Per questo, nella Repubblica (499 d), Platone pu definire
la filosofia come a''tl i] Moucra, la Musa stessa (o l'idea della
1 43
Decisivo , per, che, nel Fedro, il compito filosofico non sia affi
dato semplicemente a un sapere, ma a una forma speciale di mania, affine
e insieme diversa dalle altre. Questa quarta specie di mania, infatti - la
mania erotica - non omogenea alle altre tre (la profetica, la telestica e la
poetica), ma se ne distingue essenzialmente per due caratteri. Essa , in
nanzitutto, congiunta all'automovimento dell'anima (amoKtVT]tov, 24 5
c), al suo non essere mossa da altro e al suo essere, per questo, immorta
le; , inoltre, un'operazione della memoria, che ricorda ci che l'anima
ha visto nel suo volo divino (questa una reminiscenza (vaJlVT]m) di
quanto la nostra anima ha visto una volta . , 249 c) ed questa anam
nesi che ne definisce la natura (questo il punto di arrivo di tutto
il discorso sulla quarta mania, quando qualcuno vedendo qualcosa di
bello e ricordandosi del bello vero [ . . ] , 249 d). Questi due caratteri
la oppongono puntualmente alle altre forme di mania, in cui il princi
pio del movimento esteriore (nel caso della follia poetica, la Musa) e
l'ispirazione non in grado di risalire con la memoria verso ci che la
N
. .
1 44
APPENDICE
145
5
Se la musica costitutivamente legata all'esperienza dei
limiti del linguaggio e se, viceversa, l'esperienza dei limiti
del linguaggio - e, con questa, la politica - musicalmente
condizionata, allora un'analisi della situazione della musi-
APPENDICE
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I I7
94-96
97
4I
74
86-87
65
44, 8 3
Zenone d i Cizio,
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