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Enrico Berti
La materia come soggetto in Aristotele
e nei suoi epigoni moderni

Premessa
Aristotele attribuisce la scoperta della materia (hul) addirittura a Talete, cio a
colui che egli stesso indica come liniziatore del tipo di filosofia esposto nella
Metafisica, la ricerca delle cause prime, perch lacqua posta da Talete allorigine di tutte le cose, alla luce della distinzione aristotelica tra i quattro generi di
cause, non pu essere considerata se non come causa materiale1. Ma chiaro
che Talete, non conoscendo la dottrina aristotelica delle quattro cause, non ebbe propriamente la nozione di materia. Lo stesso Aristotele attribuisce tale nozione anche a Platone, sostenendo che questi la intende in due sensi diversi, perch nel Timeo la identifica con la khra, mentre nelle cosiddette dottrine non
scritte la intende in altro modo2, cio come risulta da altri passi la identifica con il grande e piccolo, ovvero con la Diade indefinita3. Ora, non del
tutto chiaro se quello che Platone nel Timeo chiama il ricettacolo (hupodokh)
di ci che diviene, nel quale le cose sensibili entrano e dal quale escono,
sia la materia nel senso aristotelico del termine, perch il termine khra, con cui
esso viene a volte indicato, ha il significato di regione, o spazio, in cui si
collocano le cose sensibili, vale a dire le immagini delle Idee (come potrebbe essere la superficie di un lago in cui si specchiano gli alberi ed i monti circostanti), mentre il termine ekmageion, con cui pure il ricettacolo viene una volta indicato, ha il significato di materiale di cui le cose sono costituite, come suggerisce anche lesempio delloro di cui alcune figure sono plasmate4. Semmai la maARIST., Metaph., A, 3, 984a20-27.
ARIST., Phys., IV, 2, 209a11-15.
3 ARIST., Metaph., A, 6, 988a11-14.
4 PLATO, Tim., 49A, 50B-C. A rigore lekmageion, come si pu vedere nel museo dellAcropoli di Atene, era lo stampo di creta con cui si rivestiva la statua di cera, nel quale, una volta fatta sciogliere la cera, si versava il bronzo fuso. Esso dunque era sia il luogo in cui la statua prendeva forma, sia il luogo da
cui essa veniva tratta, ma a sua volta era anche un materiale che prendeva forma dalla cera.
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Quaestio, 7 (2007), 25-52 10.1484/J.QUAESTIO.1.100148

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teria nel Timeo sono i quattro elementi, acqua, aria, terra e fuoco, i quali prima della generazione del mondo si trovavano ad essere scossi ed agitati dentro
al ricettacolo5.
Quanto alla Diade indefinita, vedremo che Aristotele stesso la criticher, negandole la funzione di vero e proprio sostrato del divenire. Perci si pu dire che
lo scopritore del concetto di materia, cio di quel concetto che rimarr poi nella storia della filosofia per indicare ci di cui sono costituiti i corpi e ci che funge da sostrato al divenire, proprio Aristotele, anche se non c dubbio che nei
filosofi precedenti, soprattutto in Platone, si trovano parecchi indizi che ne anticipano e ne preparano la scoperta. Del resto anche i termini greci con cui tale
concetto viene indicato, cio hul e hupokeimenon, compaiono col significato rispettivamente di materia e sostrato per la prima volta in Aristotele6.
Aristotele, come noto, elabora una dottrina della materia complessa e sofisticata, distinguendo molteplici significati di essa, che vanno appunto da quello di elemento di cui sono costituiti i corpi, a quello di sostrato del divenire, a
quello di estensione (materia intelligibile, di cui sono costituite le figure geometriche), a quello di genere, a quello di potenza. Tale dottrina ha suscitato tutta una serie di problemi, di cui quello riguardante lesistenza o meno di una materia prima stato il pi dibattuto7. Nella presente occasione non intendo occuparmi di tutti questi significati, ma solo della nozione di sostrato, o soggetto anche cos si pu infatti tradurre il greco hupokeimenon del divenire, per
mostrare quale fortuna essa ha avuto anche nella filosofia moderna, in particolare tra i primi critici di Hegel, cio Feuerbach, Marx e Kierkegaard.
Anche a questo proposito si possono trovare dei precedenti in Platone. Bench infatti questi non impieghi mai il termine hupokeimenon col significato di
sostrato del divenire, non c dubbio che ha perfettamente presente la situazione descritta da Aristotele mediante limpiego di tale termine. Nel Gorgia, ad
esempio, Platone afferma che luomo pu contrarre una malattia e perdere la salute, o viceversa, restando sempre il medesimo, e ci vale anche per la forza e la
debolezza, la velocit e la lentezza, i beni e i mali8. Nel Fedone afferma che i
contrari non nascono luno dallaltro nel senso che luno diventi laltro, per esempio la piccolezza diventi grandezza, ma c una terza cosa, diversa dai contrari,
la quale accoglie prima luno e poi laltro dei contrari, restando sempre la stes-

PLATO, Tim., 53A.


Cfr. G. LIDDELL / R. SCOTT / H.S. JONES / R. MCKENZIE, A Greek-English Lexicon, Clarendon Press,
Oxford 1958, alle relative voci.
7 La trattazione pi completa dellargomento ancora il libro mostruoso (953 pagine) di H. HAPP,
Hyle. Studien zum aristotelischen Materie-Begriff, W. de Gruyter, Berlin 1971.
8 PLATO, Gorg., 495D-496A.
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sa; perci Socrate pu dire: io, pur avendo accolto e ricevuto la piccolezza, resto sempre quello che sono, lo stesso Socrate di prima9. Infine nel Parmenide
Platone dichiara che lUno pu, in momenti diversi, nascere e perire, diventare
simile e dissimile, grande e piccolo, in quiete e in moto10. Ma non possiamo dire di trovarci di fronte ad una dottrina esplicita e tematizzata, cio ufficiale,
del sostrato.

1. Aristotele
1.1. Il soggetto nelle Categorie
Nelle Categorie, lopera con cui si apre il corpus aristotelicum tramandato dai
manoscritti, la quale probabilmente anche la pi antica di tutto il corpus11 e
che per prima ha influenzato la filosofia tardo-antica, medievale e moderna, Aristotele descrive la realt attraverso unanalisi delle cose dette (ta legomena),
cio delle parole, le quali sono segni attraverso i pensieri delle cose esistenti (ta onta)12, anticipando in tal modo lintera filosofia analitica odierna,
nata dalla cosiddetta svolta linguistica. Le cose dette senza connessione,
cio parole come uomo, bue, corre, vince, significano cose esistenti, che
Aristotele distingue in quattro tipi in base al duplice criterio del dirsi di un soggetto (kathhupokeimenou legesthai) e dellessere in un soggetto (en hupokeimeni einai). Se si combinano queste due relazioni in tutti i modi possibili della loro presenza e della loro assenza, si ottengono i quattro seguenti tipi di cose:
1) cose dette di un soggetto, ma non esistenti in un soggetto, come uomo, che
detto di un certo uomo; 2) cose esistenti in un soggetto, ma non dette di un
soggetto, ad esempio un certo bianco, che esiste in un corpo; 3) cose dette di
un soggetto ed esistenti in un soggetto, ad esempio bianco, che detto di un
certo bianco ed esiste in un corpo; 4) cose che non sono n dette di un soggetto n esistenti in un soggetto, ad esempio un certo uomo (anthrpos tis) o un
certo cavallo13.
Da questa analisi risulta che ci sono cose, le quali non sono n dette di un

PLATO, Phaedo, 102E-103B.


PLATO, Parm., 156A-D. Ha richiamato la mia attenzione su questi passi, peraltro molto noti, il dott.
Federico Perelda.
11 Per la collocazione dei diversi scritti di Aristotele nellevoluzione complessiva del suo pensiero rinvio al mio libro Aristotele dalla dialettica alla filosofia prima (Cedam, Padova 1977), ripubblicato con revisioni e saggi integrativi, Bompiani, Milano 2004.
12 Cfr. ARIST., De int., 1, 16a3-8.
13 ARIST., Cat., 2, 1a16-b6.
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soggetto n esistenti in un soggetto, perch sono esse stesse un soggetto (hupokeimenon), e che queste sono individui concreti esistenti in se stessi, come appunto un certo uomo, per esempio Socrate, o un certo cavallo, per esempio
Bucefalo. Rispetto a questi, tutte le altre cose o sono dette di essi, come uomo
o cavallo, cio come loro specie o generi universali, oppure esistono in essi, come un certo bianco o bianco, cio come loro accidenti, individuali o universali. In tal modo Aristotele ha scoperto, cio teorizzato esplicitamente per
la prima volta, il concetto di soggetto. Esso non ancora la materia, termine che nelle Categorie non compare, come non vi compare quello ad esso correlativo di forma, ma tuttavia uno dei componenti, come vedremo, del concetto di materia. La peculiarit del soggetto che esso condizione dellesistenza
di tutte le altre cose, cio di quelle che non sono soggetto, perch impossibile che queste esistano separatamente da ci in cui sono14.
Subito dopo avere scoperto il concetto di soggetto, Aristotele scopre
quello di predicato, affermando:
Quando una cosa predicata [katgortai] di unaltra come di un soggetto, tutte le
cose che si dicono del predicato [katgoroumenon] saranno dette anche del soggetto,
ad esempio se uomo predicato di un certo uomo e lanimale predicato delluomo,
allora anche lanimale sar predicato del certo uomo15.

Quale che sia il significato autentico del rapporto di predicazione, tema sul
quale oggi in corso un ampio dibattito nellambito della filosofia analitica, non
c dubbio che esso un rapporto anzitutto di tipo logico-linguistico, il quale tuttavia rivela una relazione reale tra cose, quali sono appunto il soggetto, individuale, e il predicato, universale, che nellesempio citato indica la specie e il genere in cui rientra il soggetto. I predicati pi generali, come noto, sono le categorie, di cui il trattato omonimo contiene una delle due liste pi complete esistenti in tutto il corpus aristotelicum:
Delle cose che sono dette secondo nessuna connessione ciascuna significa o una sostanza (ousia) o quanto o quale, o in relazione a qualcosa o dove o quando o stare o
avere o fare o patire16.

Come esempio di sostanza Aristotele cita di nuovo uomo e cavallo, ma


subito dopo aggiunge:

ARIST., Cat., 2, 1a25.


ARIST., Cat., 3, 1b10-15.
16 ARIST., Cat., 4, 1b25-27.
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La sostanza detta nel senso pi proprio, primario e principale, quella che n si dice di un soggetto n in un soggetto,

cio il soggetto stesso, per esempio, di nuovo, un certo uomo e un certo cavallo17. Uomo e animale, in quanto rispettivamente specie e genere della
sostanza prima, sono sostanze seconde. Invece un certo uomo e un certo
cavallo sono sostanze prime. Queste, secondo Aristotele, sono la condizione
dellesistenza di tutte le altre cose; infatti,
se non esistessero le sostanze prime, sarebbe impossibile che esistesse qualcuna delle altre cose, poich tutte le altre cose o si dicono di queste come di soggetti o sono in
queste come in soggetti18.

Dunque il soggetto risulta svolgere un ruolo fondamentale nella concezione


aristotelica della realt, perch la condizione di qualsiasi altra cosa.
Aristotele determina ulteriormente il soggetto, o sostanza prima, dicendo che
esso indica un certo questo (tode ti), cio una cosa individuale (atomon) e
una di numero, mentre le sostanze seconde indicano un certo quale (poion
ti), cio una realt qualificata nella specie, come uomo, o nel genere, come animale19. A tutte le sostanze, sia prime che seconde, appartiene la propriet di
non avere nessun contrario, perch nulla contrario, ad esempio, a uomo o ad
animale. Ad esse inoltre appartiene la propriet di non accogliere il pi e il
meno, cio differenze di grado, perch nessun uomo, ad esempio, pu essere
pi o meno uomo, n rispetto a s stesso n rispetto ad un altro uomo, mentre
possibile che un uomo sia pi bianco di un altro o pi alto di un altro20. Ma, proprio perch non ha contrari, la sostanza, precisamente la sostanza prima, cio il
soggetto, capace di accogliere (dektikon) i contrari, restando identica a se
stessa e una di numero, ovviamente in momenti diversi, ad esempio un certo
uomo, essendo uno e il medesimo, talora diviene bianco e talora nero, e caldo e
freddo, e cattivo e buono21.
Con queste parole Aristotele, dopo avere mostrato che la sostanza prima
condizione dellesistenza di ogni altra realt, mostra che essa anche la condizione del divenire, cio del mutamento, perch funge da sostrato di questo, os-

ARIST., Cat., 5, 2a11-14.


ARIST., Cat., 5, 2b5-6.
19 ARIST., Cat., 5, 3b10-18.
20 ARIST., Cat., 5, 3b19-4a1. Questa dottrina mette chiaramente in crisi tutte le discriminazioni tra esseri umani comunemente ammesse nel mondo antico, quali quelle tra uomo e donna, libero e schiavo, greco e barbaro.
21 ARIST., Cat., 5, 3b24-4a21.
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sia costituisce ci in cui si susseguono, in tempi diversi, qualit contrarie. Le


Categorie non contengono ancora la concezione aristotelica del divenire, tuttavia col concetto di soggetto forniscono ad essa un elemento fondamentale. Linsistenza di Aristotele sul fatto che la sostanza prima, pur accogliendo in momenti
successivi qualit contrarie, rimane sempre identica a se stessa e una di numero, significa che essa costituisce lelemento costante del divenire, ci che muta
restando se stesso, ci dunque che muta e insieme permane, muta in quanto permane. Non si pu dire infatti che le qualit contrarie propriamente mutino, perch o sono presenti, o non lo sono, mentre la sostanza prima, cio il soggetto, o
sostrato, assume ora luna ora laltra di tali qualit, e dunque esso ci che muta. Il significato generale di questa dottrina che non vi pu essere mutamento,
o processo, senza un soggetto che muti.

1.2. Il soggetto e la materia nella Fisica e nella Metafisica


I luoghi in cui Aristotele completa la sua concezione della materia, muovendo
dal concetto di soggetto o sostrato, sono tutti quelli in cui espone la dottrina dei
princpi-elementi del divenire, cio il I libro della Fisica, lultimo della Metafisica (XIV, o N) e il XII di questultima, il famoso libro Lambda: tutti scritti risalenti, a mio avviso, alla fase pi antica del suo pensiero, quella in cui era ancora attuale il confronto critico col suo maestro Platone22. Nel I libro della Fisica
Aristotele intraprende la ricerca dei princpi (arkhai) della natura, cio delle
realt mobili, e, dopo avere esposto e criticato coloro che riducono tutto ad uno,
cio gli Eleati, distingue da un lato la posizione di coloro che egli chiama fisici e dallaltro quella di Platone: i primi pongono come uno un corpo che fa da
sostrato (to sma to hupokeimenon), da loro concepito anche come materia (hul),
ed in questo collocano i contrari, come ad esempio raro e denso, mentre Platone fa dei contrari, che per lui sono grande e piccolo, la materia (hul) e dellUno la forma (eidos)23. chiaro che con queste presentazioni Aristotele attribuisce ai pensatori precedenti i suoi propri concetti di materia e di forma, ma
ugualmente interessante seguire la sua esposizione, per comprendere meglio il
significato che tali concetti hanno per lui.
Egli poi prosegue osservando che tutti i filosofi precedenti pongono come
princpi i contrari, il che gli sta bene. Ma i contrari da soli non possono essere
princpi, perch essi, non essendo sostanze abbiamo visto infatti nelle Cate-

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Anche a questo proposito rinvio al mio libro Aristotele dalla dialettica alla filosofia prima, cit.
ARIST., Phys., I, 4, 187a12-20.

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gorie che la sostanza non ha contrari , saranno necessariamente predicati di un


sostrato (hupokeimenon), il quale sempre in base alle Categorie anteriore
a ci che di esso si predica, e dunque risulta essere il vero principio24. Per spiegare il divenire, insomma, va bene porre come princpi i contrari, ma questi da
soli non bastano, bens necessario porre anche un terzo principio, il quale
appunto il sostrato. I princpi, ovvero gli elementi (stoikheia) cio i princpi
interni, immanenti25 del divenire sono dunque tre26. Fino a questo punto, come si pu vedere, Aristotele ha ripreso la concezione del sostrato, o soggetto, elaborata nelle Categorie, adoperandola per spiegare il divenire, e ha gi proceduto a identificare tale soggetto con la materia.
Per spiegare la sua concezione del divenire, Aristotele riparte nuovamente,
come nelle Categorie, dallanalisi del linguaggio, e analizza il caso in cui noi
diciamo (phamen) che una cosa si genera da unaltra, per esempio quando diciamo un uomo diviene musico [cio colto]. Questa affermazione, analizzata
in tutto il suo significato, equivale a dire un uomo non-musico [cio ignorante]
diviene uomo musico. Ebbene, come risulta chiaro da questa formulazione, nel
processo cos descritto abbiamo a che fare con tre elementi: anzitutto uomo, poi
non-musico, infine musico. Il primo il sostrato, ossia ci che diviene, ci
che muta, restando per sempre lo stesso, mentre gli altri due sono i contrari.
Perci Aristotele pu concludere:
Fatte queste distinzioni, da tutte le cose che divengono si pu ricavare questo, qualora uno osservi il modo in cui parliamo [ean tis epiblepsei hsper legomen], cio che
deve sempre esserci un sostrato, ci che diviene27.

Anche lanalisi del linguaggio, dunque, conferma la necessit di tre elementi per spiegare il divenire.
interessante ci che, a proposito del sostrato, Aristotele aggiunge subito dopo:
e questo, se anche uno di numero, non lo invece per specie; infatti per specie
[eidei] intendo qualcosa di identico a per concetto [logi], poich non la stessa cosa essere uomo ed essere non-musico, e luno permane, mentre laltro non permane;
ci che non opposto permane (luomo infatti permane), mentre il non-musico non permane, n il composto di entrambi, ad esempio luomo non musico28.

ARIST., Phys., I, 6, 189a28-33.


Cfr. la definizione di elemento in Metaph., D, 3.
26 ARIST., Phys., I, 6, 189b17.
27 ARIST., Phys., I, 7, 190a13-16.
28 ARIST., Phys., I, 7, 190a16-22.
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Da ci risulta che, in questo tipo di mutamento, che poi lalterazione, cio


il mutamento di qualit, il sostrato, o soggetto, uno di numero, nel senso che
un unico individuo, ma non per la specie, nel senso che una sostanza dotata di
una certa qualit, la quale appunto muta di qualit. Pi avanti egli precisa che
la qualit a partire da cui ha inizio il mutamento lopposto (antikeimenon) di
quella a cui il mutamento approda. Ebbene: la prima qualit, ad esempio lessere non-musico, si chiama anche privazione (stersis), mentre la seconda, ad
esempio lessere musico, si chiama forma (morph), sicch si pu dire che gli
elementi del divenire sono: sostrato, privazione e forma, dove chiaro che la privazione detta cos perch appunto la privazione, cio la mancanza, della forma29.
Il tipo di divenire sinora considerato era il mutamento di qualit, o alterazione, ma lo stesso discorso vale per qualsiasi altro tipo di mutamento, cio per
il mutamento di quantit, o aumento e diminuzione, per il mutamento di luogo,
o traslazione, e pi interessante di tutti per il mutamento di sostanza, o generazione e corruzione. Mentre nei primi tre tipi di mutamento il sostrato infatti una sostanza, la quale muta rispettivamente di qualit, di quantit o di luogo, nella generazione e nella corruzione si produce un mutamento da una sostanza ad unaltra. Aristotele illustra questultimo caso mediante lesempio del
bronzo informe che si tramuta in statua. Qui il sostrato il bronzo, la privazione
linforme, la forma la statua. Ma il bronzo non altro che la materia
(hul) di cui fatta la statua, perci si pu dire che nel caso del mutamento sostanziale il sostrato la materia. Aristotele afferma infatti:
La natura che fa da sostrato conoscibile per analogia. Come infatti il bronzo sta alla statua, il legno sta al letto e la materia informe, prima di assumere la forma, sta a
qualcuna delle altre cose aventi forma, cos questa [cio la materia] sta alla sostanza,
al certo questo e allente. Dunque la materia principio, ma senza essere una e senza essere ente allo stesso modo del certo questo, bens essendo una come quella di
cui il concetto [logos] ed inoltre essendo il contrario di questo, cio la privazione30.

Questultima espressione un po contorta vuole indicare la complessa realt


della materia del divenire sostanziale, la quale, rispetto alla forma che sta per
assumere, da un lato il sostrato di essa e dallaltro la sua privazione, cio il suo
contrario. Il sostrato viene cos a costituire uno degli aspetti della nozione di materia, la quale in pi possiede il carattere della privazione, cio della mancanza
di forma, dellinformit, dellindeterminatezza. Pi avanti Aristotele chiarisce

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ARIST., Phys., I, 7, 190b13-28.


ARIST., Phys., I, 7, 191a8-14.

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questa natura della materia, affermando che essa non-essere per accidente (kata sumbebkos), cio in quanto si accompagna (sumbainei) alla privazione, la
quale non-essere per s (kathhauto), ed inoltre affermando che la materia
potenza (dunamis), rispetto alla quale la forma atto (energeia). A proposito di
questultima affermazione egli aggiunge: ci viene definito altrove con maggior
precisione, senza indicare a quale opera si riferisce31.
La dottrina dei tre princpi-elementi del divenire consente ad Aristotele di
criticare le dottrine dei princpi dei filosofi precedenti, i quali, secondo lui,
avrebbero compreso la natura della materia, ma in modo insufficiente. Tra costoro egli critica anzitutto, senza nominarli, coloro che affermano la generazione delle cose dal non-essere, dando in tal modo ragione a Parmenide. Lerrore di
questi di non distinguere il non-essere per accidente, che la materia, dal nonessere per s, che la privazione32. Altri invece, tra i quali riconoscibile il Platone delle dottrine non scritte, pongono come princpi delle Idee e attraverso
le Idee di tutte le cose i princpi dei numeri, cio lUno e la Diade indefinita,
o grande e piccolo. In questultima dottrina, secondo Aristotele, lUno funge
da forma, mentre la Diade funge da materia. Ma la vera duplicit del secondo
principio sostiene Aristotele non quella di grande e piccolo, bens quella
di materia e privazione, che Platone invece trascura. La conseguenza paradossale in cui incorre Platone, trascurando questa distinzione, di sostenere che il
secondo principio, il quale in base alla sua dottrina desidera il primo e tende
verso di esso, aspira al proprio contrario, cio alla propria distruzione. Se Platone avesse distinto osserva Aristotele la materia dalla privazione, avrebbe potuto dire che lelemento che desidera, come la femmina desidera il maschio,
la materia33.
Questa critica non significa che anche per Aristotele la materia desideri la
forma come la femmina desidera il maschio, secondo quanto hanno creduto diversi interpreti, perch la materia di per s amorfa, indeterminata e priva di
qualsiasi tendenza, come ad esempio il bronzo o il legno. Si tratta invece di una
critica che vuole essere, per cos dire, interna alla dottrina di Platone, cio rilevare che Platone avrebbe potuto sostenere con migliori argomenti la tesi secondo cui la Diade desidera lUno, se avesse distinto, allinterno della Diade, la materia dalla privazione, perch pu avere un senso dire che la materia desidera la
forma solo in quanto la materia non il contrario della forma, mentre non ha senso dire che la privazione desidera la forma, perch ci equivarrebbe a dire che
la privazione desidera la propria distruzione, il che un non-senso.

ARIST., Phys., I, 8, 191b13-29.


ARIST., Phys., I, 9, 191b35-192a6.
33 ARIST., Phys., I, 9, 192a6-25.
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Lultima osservazione che Aristotele fa a proposito della materia nel I libro


della Fisica che essa, in quanto ci in cui si trova la privazione, si corrompe
e si genera, perch effettivamente la privazione si distrugge, mentre in quanto
potenza, la materia non si corrompe, ma necessariamente incorruttibile e ingenerabile. Se infatti si generasse e si corrompesse, dovrebbe presupporre un sostrato da cui generarsi e in cui corrompersi, ma essa appunto tale sostrato, per
cui dovrebbe esistere prima di generarsi e distruggersi prima di essersi distrutta. Questa osservazione fornisce ad Aristotele loccasione per enunciare la definizione, per cos dire, ufficiale di materia:
chiamo materia il sostrato primo di ciascuna cosa, dal quale immanente qualcosa si
genera non per accidente34.

La materia, dunque, fondamentalmente sostrato, cio soggetto, del divenire, e in quanto tale condizione essenziale di questo, insieme ovviamente col
suo correlativo, che la forma.
La stessa dottrina era stata probabilmente anticipata da Aristotele nel libro
XIV della Metafisica, che costituisce forse la pi antica critica alla dottrina dei
princpi di Platone. Qui infatti egli aveva affermato che
tutte le cose si generano da contrari in quanto esiste un sostrato, perch assolutamente necessario che questo sottostia ai contrari, e dunque tutti i contrari sono sempre detti di un sostrato e non sono nulla di separato35.

I platonici, in particolare, considerano uno dei contrari afferma Aristotele


come materia (hul), alcuni opponendo allUno, che funge da forma, la Diade
del grande e piccolo (Platone), altri opponendogli invece il molteplice (Speusippo). Ma anche chi parla del grande e piccolo, cio Platone, li considera come
se fossero ununica cosa e non precisa se siano due secondo la nozione o secondo il numero36. Anche se questo passo contiene un problema testuale di difficile soluzione, perch Alessandro sembrava leggerlo in modo diverso dai manoscritti a noi pervenuti, non c dubbio che Aristotele non considera la nozione
platonica di grande e piccolo come una chiara anticipazione della propria nozione di materia.
La stessa dottrina, infine, si ritrova nel libro Lambda della Metafisica, dove
Aristotele ricorda che il mutamento avviene tra contrari, ma richiede un qual-

ARIST., Phys., I, 9, 192a25-34.


ARIST., Metaph., N, 1, 1087a36-b2.
36 ARIST., Metaph., N, 1, 1087b4-12.
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cosa che muta da un contrario allaltro, perch i contrari non mutano, e questo
la materia (hul). Egli poi distingue i quattro tipi di mutamento, cio secondo
la qualit (alterazione), secondo la quantit (aumento e diminuzione), secondo il
luogo (traslazione) e secondo la sostanza (generazione e corruzione), e subito dopo afferma: necessario che muti la materia, la quale capace di essere entrambi. A questo punto Aristotele introduce in modo quasi solenne la dottrina
della potenza e dellatto, s da indurre a pensare che sia questo il luogo a cui egli
rinviava nel I libro della Fisica come a quello in cui tale dottrina veniva esposta
con maggiore precisione.
Poich lessere duplice, ogni cosa muta da ci che in potenza verso ci che in
atto (per esempio dal bianco in potenza al bianco in atto, e allo stesso modo nellaumento e diminuzione), sicch non solo possibile che tutte le cose per accidente si
generino dal non-essere, ma si generano anche dallessere, cio da ci che in potenza
tuttavia essere, mentre in atto non-essere37.

Indi Aristotele cita Anassagora, Empedocle, Anassimandro e Democrito come filosofi che avrebbero in qualche modo intravisto la nozione di materia, e aggiunge:
Tutte le cose che mutano hanno materia, ma diversa; ed anche tutte le cose eterne
che non sono generabili, ma sono mobili secondo traslazione, [hanno materia], ma non
generabile, bens [capace di passare] da un luogo ad un altro38.

Dunque anche gli astri, in quanto mobili, hanno materia, una materia non generabile n alterabile, cio letere. E subito dopo aggiunge:
Uno potrebbe chiedersi da quale non-essere sia la generazione, poich il non-essere
si dice in tre sensi. [La risposta ] se c qualcosa in potenza, [da questo le cose si generano], ma tuttavia non da qualsiasi cosa, bens cose diverse da cose diverse.

E conclude:
Tre dunque sono le cause e tre i princpi, due i contrari, di cui luno concetto e forma e laltro privazione, mentre il terzo la materia39.

Qui lidentificazione della materia con la potenza ufficiale, ma importante anche la precisazione che non esiste ununica materia, n ununica poten-

ARIST., Metaph., L, 2, 1069b15-20.


ARIST., Metaph., L 2, 1069b23-26.
39 ARIST. Metaph., L, 2, 1069b15-34.
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za, perch ogni cosa ha la sua materia, e quindi la sua potenza. Nei capitoli seguenti dello stesso libro Aristotele preciser che la materia, la forma e la privazione sono princpi identici non per numero, ma per analogia, nel senso che ogni
cosa ha la sua materia, la sua forma e la sua privazione, ciascuna delle quali sta,
nei confronti della cosa di cui principio, nello stesso rapporto in cui esse stanno nei confronti di tutte le altre cose di cui sono princpi.

2. I moderni critici di Hegel40


2.1. Feuerbach
La dottrina aristotelica della materia come soggetto, o sostrato, ha esercitato una
notevole influenza sui primi critici di Hegel, cio Feuerbach, Marx e Kierkegaard, i quali se ne servirono tutti, come vedremo subito, in un arco di tempo
compreso tra il 1839 e il 1850, vale a dire prima che il pi noto critico di Hegel
di orientamento aristotelico, cio Friedrich Adolph Trendelenburg, sviluppasse
la sua polemica contro il metodo dialettico, pubblicata nelle Logische Untersuchungen del 1840, e in parte anche prima che lo stesso Trendelenburg esponesse la dottrina aristotelica delle categorie nel primo volume della sua Geschichte
der Kategorienlehre del 184641.
Nel 1839 Ludwig Feuerbach pubblic negli Hallische Jahrbcher un lungo articolo intitolato Zur Kritik der Hegelschen Philosophie, che segn il suo allontanamento dalla filosofia di Hegel, alla quale egli aveva aderito nei suoi scritti precedenti, e linizio della sua nuova filosofia42. In questo scritto si pu notare il ricorso frequente di Feuerbach alla distinzione tra soggetto e predicato, dove il primo termine deve essere concepito come anteriore rispetto al secondo, come argomento per criticare Hegel. Dispensandomi dallesporre il contenuto dellintera opera, mi limiter a richiamare lattenzione sui passi in cui tale distinzione viene impiegata.
Allinizio del suo articolo Feuerbach illustra la differenza tra la filosofia di
Hegel e quella di Schelling, osservando che per questultimo i momenti dello
sviluppo della natura non possiedono alcun significato storico, mentre per He-

40 In questa parte riprendo, con alcuni sviluppi, il mio saggio Aristote dans les premires critiques adresses Hegel par Feuerbach, Marx et Kierkegaard, in D. THOUARD (d), Aristote au XIXe sicle, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve dAscq 2004, pp. 23-35.
41 Mi sono occupato di Trendelenburg in due saggi pubblicati in appendice ai miei Studi aristotelici,
Japadre, LAquila 1975.
42 Questo scritto compreso nel IX volume, Kleinere Schriften, II (1839-1846), di L. FEUERBACH, Gesammelte Werke, Hrsg. W. Schuffenhauer / W. Harich, Akademia Verlag, Berlin 1970.

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gel i momenti dello sviluppo dellAssoluto sono fenomeni o esistenze particolari, cio storiche. Hegel secondo Feuerbach pretende che
la totalit, lassolutezza di un fenomeno o di una esistenza storica particolare sia un
predicato, e il risultato che le fasi dello svolgimento, che sono esistenze autonome,
hanno soltanto un significato storico, mentre la loro vita soltanto di ombre, di momenti, di gocce omeopatiche che sopravvivono nella fase assoluta43.

chiaro che per Feuerbach il fenomeno particolare, cio lesistente particolare, il vero soggetto dello sviluppo storico, il quale ha il primato su questo
stesso sviluppo, e che la sua riduzione allo stato di predicato equivale alla riduzione allo stato di ombra, di goccia omeopatica, cio ad un livello di realt
inferiore a quello del soggetto. Ma ci che rende inaccettabile questa riduzione
la dottrina aristotelica delle categorie, secondo la quale il soggetto anteriore
al predicato, mentre questultimo pu essere detto esistere solo in quanto detto di un soggetto o inerente ad un soggetto.
In seguito, criticando il famoso cominciamento della logica di Hegel,
Feuerbach impiega lo stesso argomento, anche se non menziona pi la distinzione tra soggetto e predicato. Egli scrive infatti:
Hegel incomincia con lessere, cio col concetto di essere, o con lessere astratto; perch io non devo poter cominciare con lessere stesso, cio con lessere reale?44.

Non c dubbio che con le espressioni concetto di essere ed essere astratto Feuerbach intende il predicato, mentre con essere stesso ed essere reale intende il soggetto, e che a suo avviso lessere reale dovrebbe precedere lessere astratto come il soggetto precede il predicato. Ma ci vero solo dal punto
di vista della filosofia di Aristotele.
La menzione esplicita della distinzione tra soggetto e predicato si trova pi
avanti, dove Feuerbach oppone di nuovo la filosofia della natura, professata
dal primo Schelling, allidealismo professato da Hegel.
Per la filosofia della natura egli scrive esiste solo natura, per lidealismo soltanto spirito. Per lidealismo la natura soltanto oggetto, soltanto accidente; per la filosofia della natura essa invece sostanza, soggetto-oggetto, ci che, nellambito dellidealismo, lintelligenza afferma essere soltanto proprio. Ma due verit, due assoluti sono una contraddizione. Come possiamo allora uscire da questo dissidio tra lidealismo,
che nega la filosofia della natura, e la filosofia della natura, che nega lidealismo? So-

43 L.A. FEUERBACH, Per la critica della filosofia hegeliana, in ID., Opere, a cura di C. Cesa, Laterza,
Bari 1965, p. 111.
44 FEUERBACH, Per la critica della filosofia hegeliana cit., p. 116.

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lo se noi facciamo del predicato (su cui le due posizioni coincidono) il soggetto ed
abbiamo cos lassoluto, lautonomo senza altri aggettivi e del soggetto il predicato:
lassoluto spirito e natura. Spirito e natura sono soltanto predicati, determinazioni,
forme di ci che uno e identico, dellassoluto45.

Qui, come si pu vedere, troviamo non solo la distinzione tra soggetto e predicato, ma anche lequivalenza tra il soggetto e la sostanza, da un lato, e il predicato e laccidente, dallaltro. Siamo dunque in pieno aristotelismo.
Il rimprovero che Feuerbach rivolge a Hegel dunque di avere rovesciato il
rapporto tra il soggetto e il predicato ammesso da Aristotele, cio di avere attribuito il ruolo del soggetto, che per Aristotele il primo, la condizione, il fondamento, a un predicato quale lassoluto, e il ruolo del predicato, che per Aristotele il secondo, il condizionato, il derivato, a dei soggetti quali la natura e
lo spirito. Vedremo in seguito che questo rimprovero, formulato qui probabilmente per la prima volta, sar ripreso da Feuerbach stesso nei suoi scritti posteriori al 1839 e anche da Marx e da Kierkegaard. Ma un rimprovero che ha
senso solo dal punto di vista di Aristotele, e dunque che attesta linfluenza di
Aristotele su questo scritto di Feuerbach.
Del resto la conoscenza di Aristotele da parte di Feuerbach e la sua presenza nellarticolo Per la critica della filosofia hegeliana sono attestate da un altro
passo della stessa opera, dove Feuerbach scrive:
noi vediamo che gi allinizio della logica ha una funzione il nulla una rappresentazione assai vicina allidea dellassoluto. Ma che cosa mai questo nulla? Per lombra di Aristotele! Il nulla ci che assolutamente privo di pensiero e di ragione. Il
nulla non pu affatto essere pensato, perch pensare determinare [...]. Non entis
si detto giustamente nulla sunt praedicata. Non entis nulla est scientia.

A questo punto Feuerbach aggiunge una nota a pie di pagina, la quale dice:
V. anche Aristotele, Analyt. Post. lib. II, c. 7, 2 e lib. I, 1046. Il primo rinvio si riferisce a An. post., II, 7, 92b5-8, dove Aristotele dice:
nessuno sa che cos il non-essere [to m on], ma si sa solo ci che lespressione o il
nome significano, per esempio se io dico ircocervo, impossibile sapere che cos ircocervo.

Il secondo rinvio alquanto vago, ma si riferisce probabilmente ad un passo


analogo a quello che abbiamo appena citato. In ogni caso i due passi attestano

45
46

FEUERBACH, Per la critica della filosofia hegeliana cit., pp. 140-141.


FEUERBACH, Per la critica della filosofia hegeliana cit., p. 146.

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che Feuerbach conosceva direttamente le opere di Aristotele, anche se non le


cita secondo ledizione di I. Bekker, che risaliva ad alcuni anni prima (1831).
Nello stesso contesto Feuerbach prosegue:
Si rimproverato ai filosofi pagani di non aver superato leternit del mondo, della
materia. La materia ha per loro soltanto il significato dellessere, era soltanto lespressione sensibile per essere; lunica cosa che si rimprovera loro quindi di averla fatta oggetto di pensiero. Ma forse che i cristiani hanno davvero fatto sparire leternit, cio la realt dellessere? Non hanno fatto altro invece che trasferirla in un essere particolare, nellessere divino, che essi pensavano come fondamento di se stesso,
come essere privo di inizio47.

Ora lessere, che in precedenza Feuerbach aveva identificato col soggetto,


viene da lui identificato con la materia, e il riferimento alla dottrina delleternit del mondo rivela chiaramente che egli sta pensando ad Aristotele. Di
questa concezione della materia Feuerbach prende chiaramente le difese contro
le critiche rivolte ad essa dai cristiani, mentre nel rimprovero ai cristiani di avere trasferito la realt dellessere in Dio gi anticipata la critica alla religione che egli svilupper nelle opere successive. Ci che a noi interessa rilevare
ladesione di Feuerbach alla concezione aristotelica dellessere sensibile come
soggetto e quindi come materia.
Lultimo segno che Aristotele era ben presente a Feuerbach nellarticolo Per
la critica della filosofia hegeliana la conclusione dello scritto, dove lautore sostiene che non c opposizione tra la natura e la ragione, e che la natura non contraddice la libert razionale.
Ogni bicchiere di vino di troppo che noi beviamo una prova patetica, e persino peripatetica, che il cedere a un desiderio smodato eccita il sangue, una prova che la
sphrosune greca in perfetto accordo con la natura48.

Non c dubbio che il termine peripatetico indica qualcosa di molto legato al concreto, alla percezione, ma anche alla vera realt, dunque qualcosa che
merita ogni approvazione e che invocato da Feuerbach a sostegno della sua teoria del primato della natura.
Il rimprovero a Hegel di avere invertito il rapporto di predicazione ritorna in
unaltra opera di Feuerbach, di qualche anno posteriore a quella gi considerata, cio le Tesi provvisorie per una riforma della filosofia. Queste ultime furono
redatte nel 1842 e pubblicate negli Anekdota zur neuesten Philosophie und Pu-

47
48

FEUERBACH, Per la critica della filosofia hegeliana cit., pp. 146-147.


FEUERBACH, Per la critica della filosofia hegeliana cit., p. 154.

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blizistik a cura di A. Ruge nel 1843, sono dunque posteriori allopera che rese
Feuerbach famoso per la sua critica della religione, cio Lessenza del cristianesimo, del 1841. In esse egli scrive:
Il metodo proprio della critica riformatrice della filosofia speculativa in generale non
si distingue da quello gi applicato nella filosofia religiosa. Noi siamo sempre in grado di ridurre il predicato a soggetto, e in quanto soggetto di farne un oggetto o principio; basta dunque che noi capovolgiamo la filosofia speculativa, e allora avremo finalmente la verit messa a nudo, la pura, la schietta verit49.

La critica riformatrice della filosofia speculativa la critica che Feuerbach rivolge alla filosofia di Hegel, cio la stessa critica che egli ha rivolto alla
filosofia della religione in Lessenza del cristianesimo, e consiste nel rimprovero
di avere scambiato il soggetto col predicato. Bisogna dunque rovesciare il rovesciamento operato da Hegel e si otterr la verit pura e nuda. Ma questa operazione, nella sua terminologia se non nel suo contenuto, evoca precisamente la
dottrina aristotelica delle categorie, gi menzionata nellarticolo Per la critica
della filosofia hegeliana.
Nella sua critica alla filosofia della religione Feuerbach aveva sostenuto la
sua celebre tesi, qui ripresa, secondo la quale:
luomo linveramento, la realt di Dio: infatti tutti i predicati che attuano Dio in
quanto Dio, che fanno di Dio un ente reale, quali la forza, la saggezza, la bont, lamore, e persino linfinit e la personalit, e che, in quanto tali, hanno per condizione
la differenziazione del finito, sono posti in primo luogo con luomo e nelluomo50.

Qui vediamo di nuovo che il predicato viene opposto allessere reale, cio al
soggetto, il che la dottrina di Aristotele, indipendentemente ovvio dal
contenuto al quale essa applicata.
La filosofia speculativa, cio la logica e lintero sistema di Hegel, riassunta da Feuerbach in questo modo:
In Hegel il pensiero lessere, o meglio, il pensiero il soggetto, lessere il predicato. La logica il pensiero nel proprio elemento, ovvero il pensiero che pensa se stesso, il pensiero come soggetto senza predicato ovvero il pensiero che nello stesso tempo soggetto e predicato di se stesso [...]. Hegel ha pensato gli oggetti unicamente come predicati del pensiero che pensa se stesso. La contraddizione, gi ammessa nella
filosofia della religione di Hegel, tra una religione reale e una pensata, deriva soltan-

49 L.A. FEUERBACH, Tesi provvisorie per la riforma della filosofia, in ID., Princip della filosofia dellavvenire, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1971, p. 50.
50 FEUERBACH, Tesi provvisorie per la riforma della filosofia cit., pp. 54-55.

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to dal fatto che anche qui, come altrove, il pensiero diventato il soggetto, e loggetto, cio la religione, diventata il semplice predicato del pensiero51.

E la critica di questa filosofia consiste nel dire:


Il vero rapporto tra pensiero ed essere non pu essere che questo: lessere il soggetto, il pensiero il predicato. Il pensiero dunque deriva dallessere, ma non lessere dal pensiero. Lessere da se stesso e per opera di se stesso52.

Come si pu vedere, il soggetto per Feuerbach il principio, il fondamento, ci


che esiste di per s, mentre il predicato un essere derivato, condizionato, secondario. esattamente la dottrina di Aristotele, evocata non solo dai termini soggetto e predicato, ma anche dallespressione per se stesso (kathhauto).
Infine, nella conclusione delle Tesi provvisorie per una riforma della filosofia,
Feuerbach riprende la sua critica del cristianesimo, impiegando di nuovo la distinzione tra soggetto e predicato ed assimilandola a quella tra sostanza e attributo:
La religione cristiana ha riunito il nome delluomo e il nome di Dio in un unico nome, in quello delluomo-Dio; ha quindi elevato il nome delluomo sino a farlo diventare un attributo dellente supremo. La nuova filosofia, conformemente alla verit, ha
trasformato lattributo in sostantivo, il predicato in soggetto: la nuova filosofia dunque lidea realizzata, linveramento del cristianesimo53.

La nuova filosofia la filosofia dello stesso Feuerbach, che dunque deve


ristabilire, rovesciando il rovesciamento compiuto dal cristianesimo, il vero rapporto tra il soggetto e il predicato, ovvero tra la sostanza e lattributo, cio ristabilire la priorit del soggetto sul predicato, della sostanza sullattributo, affermata da Aristotele. Ovviamente la nuova filosofia proposta da Feuerbach non ha
nulla di aristotelico, ma si serve di unimportante dottrina di Aristotele, considerando il suo valore come al di sopra di ogni dubbio.

2.2. Marx
La conoscenza di Aristotele da parte del giovane Marx ben documentata. attestato che Marx, negli anni in cui preparava la sua dissertazione sulla Differenza

FEUERBACH, Tesi provvisorie per la riforma della filosofia cit., pp. 62-63.
FEUERBACH, Tesi provvisorie per la riforma della filosofia cit., p. 63.
53 FEUERBACH, Tesi provvisorie per la riforma della filosofia cit., pp. 67-68.
51
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della filosofia della natura di Democrito e di Epicuro, con la quale ottenne il dottorato allUniversit di Iena nel 1841, aveva letto il De anima nelledizione pubblicata da Trendelenburg nel 1833, il De caelo, il De partibus animalium, la Metafisica, il De generatione et corruptione, la Fisica (queste due ultime opere nelledizione con testo greco e commento pubblicata dal Collegium Conimbricense
Societatis Jesus) e gli Scholia in Aristotelem pubblicati da Brandis nel 1836 come IV volume delledizione dellAccademia delle Scienze di Berlino54. Anche
lammirazione che Marx aveva per Aristotele ben attestata. Egli parla infatti di
Aristotele come dellAlessandro Magno della filosofia greca55, di uno dei filosofi pi intensi56, dotato di una scienza enciclopedica57, degno di essere stimato in modo particolare fra tutti i filosofi antichi58, gigante del pensiero e il
pi grande filosofo dellantichit59.
Ora, nei Quaderni preparatorii alla sua dissertazione, che risalgono al 1839,
Marx, ancora hegeliano, illustra lopposizione tra Platone e Aristotele schierandosi interamente dalla parte di questultimo. Platone infatti, ammettendo le Idee
trascendenti al di sopra della realt sensibile, avrebbe idealizzato il mondo sostanziale della realt. In tal modo la riconciliazione tra il mondo e lo spirito, tentata da Platone, si risolve secondo Marx in una nuova scissione, come osserva Aristotele in Metaph., A, 9, dove accusa Platone di avere raddoppiato il
mondo anzich spiegarlo (passo citato da Marx alla lettera)60. Inoltre con la sua
teoria delle Idee trascendenti Platone non avrebbe spiegato il movimento, come
ugualmente osserva Aristotele, di nuovo citato da Marx61. Altrove, sempre nei
Quaderni preparatorii, Marx afferma che Aristotele considera il processo della
realt nella sua particolarit, bench ancora astratta62; egli paragona Aristotele
a Hegel63 e riconduce la filosofia di Platone a una sorta di religione e quella di
Aristotele a una vera scienza64.
Ma laffermazione pi interessante che si pu trovare nei Quaderni del 1839,

54 K. MARX / F. ENGELS, Werke, Dietz, Berlin 1968 (= MEW), Ergnzungsband I, pp. 679 e 685. Si veda anche K. MARX / F. ENGELS, Historisch-kritische Gesamtausgabe, Hrsg. D. Rjazanov, Marx-Engels Verlag, Frankfurt a. M.-Berlin 1927-1929 (MEGA), I, 1/2, pp. 107-113, e C. NATALI, Aristotele in Marx (18371846), Rivista critica di storia della filosofia, 31 (1976), pp. 164-192.
55 K. MARX, Differenz der demokritischen und epikureischen Naturphilosophie, in MEW, EB I, p. 266.
56 K. MARX, Hefte zur epikureischen, stoischen und skeptischen Philosophie, in MEW, EB I, p. 225.
57 K. MARX, Die deutsche Ideologie, in MEW, III, p. 121.
58 K. MARX, Lettera a Lassalle del 21 dicembre 1857, in MEW, XXIX, p. 547.
59 K. MARX, Das Kapital, in MEW, XXIII, pp. 96 e 113.
60 MARX, Hefte cit., p. 88.
61 MARX, Hefte cit., pp. 89-90.
62 MARX, Hefte cit., p. 215.
63 MARX, Hefte cit., p. 224.
64 MARX, Hefte cit., p. 225.

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anche se non riguarda direttamente Aristotele, una critica della critica fatta da
Plutarco a Epicuro. Plutarco aveva detto, nel suo Adversus Coloten, che le qualit ammesse da Epicuro, in quanto soggettive, erano quasi un non-essere. A ci
Marx risponde che Plutarco parlava di un essere e di un non-essere immobili come se fossero dei predicati, mentre lessere sensibile non assolutamente un tale predicato.
Il pensiero comune egli conclude ha sempre pronti i predicati astratti, che esso
separa dal soggetto. Tutti i filosofi hanno fatto, di questi stessi predicati, i soggetti [Alle Philosophen haben die Prdikate selbst zu Subjekten gemacht]65.

Si ritrova qui la critica che Feuerbach nello stesso anno rivolgeva a Hegel.
Se questa contemporaneit impedisce di pensare a una dipendenza di Marx da
Feuerbach, non resta che supporre una comune dipendenza dei due filosofi tedeschi da Aristotele. Infatti limmagine che Marx si forma di Aristotele in questo periodo , come nel caso di Feuerbach, quella del filosofo che ha ricondotto
il luogo di origine delluniversale alla particolarit singolare66.
Linfluenza di Feuerbach, invece, molto chiara nella prima opera in cui
Marx prende esplicitamente posizione contro Hegel, cio la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, che risale al 1843 e che suppone la conoscenza diretta, da parte di Marx, delle Tesi provvisorie per una riforma della filosofia.
Queste infatti erano state pubblicate negli stessi Anecdota philosophica editi da
Ruge, dove Marx stesso aveva pubblicato due dei suoi primi articoli. Nella sua
Critica della filosofia hegeliana Marx riproduce i paragrafi dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel che riguardano la famiglia, la societ civile e lo Stato, aggiungendovi le proprie osservazioni.
Al 262, dove Hegel afferma che Lidea reale, lo spirito [...] scinde se stesso nelle due sfere reali del suo concetto, la famiglia e la societ civile, Marx osserva:
La cosiddetta idea reale (lo spirito come spirito infinito, reale) rappresentata come se agisse secondo un principio determinato e per unintenzione determinata [...].
a questo punto che si manifesta molto chiaramente il misticismo logico, panteistico67.

MARX, Hefte cit., p. 126.


Vedasi R. SANNWALD, Marx und die Antike, Benzinger, Einsiedeln 1956, p. 36; M. ROSSI, Da Hegel
a Marx, III: La scuola hegeliana. Il giovane Marx, Feltrinelli, Milano 1974 (I ed. 1963), pp. 154-270, e
NATALI, Aristotele in Marx (1837-1846) cit. Mentre Rossi pensa a uninfluenza di Trendelenburg su Marx,
Natali pensa, a mio avviso pi giustamente, a uninfluenza diretta di Aristotele.
67 K. MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in ID., Opere filosofiche giovanili, a
cura di G. Della Volpe, Editori Riuniti, Roma 1969, pp. 17-18.
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Evidentemente il misticismo logico, secondo Marx, il peggiore aspetto della filosofia di Hegel e consiste nella rappresentazione dellidea come un soggetto reale che agisce. Ci confermato dalle righe seguenti:
Lidea ridotta a soggetto [...]. Famiglia e societ civile sono i presupposti dello Stato, sono essi propriamente gli attivi. Ma nella speculazione diventa il contrario: mentre lidea trasformata in soggetto, quivi i soggetti reali, la societ civile, la famiglia
[...], diventano dei momenti obiettivi dellidea, irreali, allegorici68.

Questa una prima allusione allinversione di soggetto e predicato anche


se essa non ancora menzionata compiuta da Hegel, la quale secondo Marx
contraddice il primato del soggetto (reale) rispetto al predicato (irreale),
primato che era stato affermato per la prima volta da Aristotele.
I termini della distinzione aristotelica tuttavia compaiono subito. Al 267 di
Hegel, che parla del rapporto tra lidea e il sentimento politico, Marx osserva:
Ci ch rilevante che Hegel dappertutto fa dellidea il soggetto e del soggetto propriamente detto, reale, quale il sentimento politico, fa il predicato. Ma lo sviluppo
procede sempre dalla parte del predicato69.

La critica che Feuerbach aveva rivolto alla filosofia della religione e alla logica di Hegel qui rivolta da Marx alla sua filosofia del diritto. Al 269, dove
Hegel parla dellorganismo dello Stato come dello sviluppo dellidea, Marx osserva:
Ma qui si parla dellidea come di un soggetto, dellidea che si sviluppa nelle sue distinzioni. Oltre a questa inversione [Umkehrung] di soggetto e predicato, si produce
qui lapparenza che si tratti di unaltra idea che dellorganismo70.

Ecco linversione che abbiamo trovata in Feuerbach, la quale esige a sua


volta di essere rovesciata per ristabilire il giusto primato aristotelico del soggetto sul predicato.
Al 270, dove Hegel afferma che il fine dello Stato sia linteresse generale come tale e che in ci, come loro sostanza, sia la conservazione degli interessi particolari, Marx commenta:

MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico cit., p. 18 (corsivo nel testo).
MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico cit., p. 21.
70 MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico cit., p. 22 (corsivi nel testo).
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Ma poich si partiti dallidea o sostanza in quanto soggetto o ente reale, il soggetto reale appare soltanto come lultimo predicato dellastratto [suo] predicato. Il fine statale e i poteri statali sono mistificati, poich, rappresentati come modi di
esistenza della sostanza, e cos separati dalla loro reale esistenza, appaiono allo spirito che si sa e si vuole, lo spirito coltivato71.

Qui il soggetto , aristotelicamente, assimilato alla sostanza e la mistificazione di Hegel indicata nella presentazione dei modi di esistenza della sostanza come separati, cio come sostanze essi stessi, dove il carattere della
sostanza indicato, sempre con Aristotele, nella sua separazione.
Ma il riferimento ad Aristotele diviene esplicito, anche se il suo nome non
appare mai, nel celebre passo che segue. A proposito del 279, dove Hegel parla della sovranit dello Stato, Marx afferma:
Hegel d unesistenza indipendente ai predicati, agli obietti, ma astraendoli dal loro
soggetto, ch realmente indipendente. Dopo, il reale soggetto appare come risultato
loro, mentre, invece, bisogna partire dal reale soggetto e considerare il suo obiettivarsi. La mistica sostanza diventa, dunque, il reale soggetto, e il reale soggetto appare come qualcosa daltro, come un momento della mistica sostanza. Proprio in quanto Hegel prende le mosse dai predicati della determinazione generale, invece che dallente
reale (uJpokeivmenon, soggetto), e ci ha da essere tuttavia un supporto di queste determinazioni, la mistica idea diventa questo supporto72.

Il termine hupokeimenon, trascritto nel testo in caratteri greci, che Marx aveva trovato sia nella Fisica che nella Metafisica di Aristotele, si rivela qui il pi
adatto a esprimere lidea del soggetto usata da Marx, cio il soggetto come sostrato, come supporto, nel senso aristotelico.

2.3. Kierkegaard
La prima citazione di Aristotele in Kierkegaard si trova nel suo Diario, in una
pagina scritta tra il gennaio 1841 e il 20 novembre 1842, dunque al tempo del
suo primo viaggio a Berlino, dove aveva ascoltato Schelling, dapprima con entusiasmo, poi con noia:
un punto di partenza positivo per la filosofia, quando Aristotele dice che la filosofia comincia con la meraviglia, e non come ai nostri tempi con il dubbio. In generale

71
72

MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico cit., p. 27 (corsivi nel testo).
MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico cit., pp. 34-35.

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il mondo deve ancora imparare che non giova cominciare con il negativo, e la ragione
per cui fino ad ora il metodo riuscito, perch non ci si mai dati del tutto al negativo, e cos non si mai fatto sul serio ci che si detto di fare. Il loro dubbio una
civetteria73.

In margine a queste parole, come riferiscono gli editori, Kierkegaard cita in


greco il testo di Aristotele, Metaph., A, 2, 982b13, e quello di Platone, Teeteto,
155D. La sua preferenza per la filosofia greca rispetto alla filosofia moderna
evidente.
Nelle sue opere del 1843, epoca del suo secondo viaggio a Berlino, cio AutAut e Timore e tremore, Kierkegaard cita spesso Aristotele, ma quasi sempre la
Poetica, a proposito del concetto di tragico, della definizione aristotelica della
tragedia e delle parti di questa (mito, peripezia e riconoscimento), e talvolta lo
cita in greco. Ma nel suo Diario c una pagina, scritta nel periodo tra il 20 novembre 1842 e il marzo 1844, probabilmente al tempo del suo soggiorno a Berlino, quando sta scrivendo La Ripresa, in cui leggiamo:
Il concetto di ripresa ricorre dappertutto. 1) Quando io devo agire, la mia azione
gi esistita nella mia coscienza sotto forma di rappresentazione o idea; altrimenti agisco senza riflessione, ci che non affatto agire. 2) Dal momento che devo agire, io mi
presuppongo in uno stato originario integro. Ora viene il problema del peccato; qui si
tratta di unaltra ripresa, poich ora devo ritornare a me stesso unaltra volta. 3) Alla fine il vero paradosso, per cui io divengo il Singolo, poich, se rimango nel peccato considerato come la condizione generale, vi soltanto la ripresa numero 2. Ci si
pu paragonare con la categoria di Aristotele: Das-was-war-seyn. (Cfr. Marbach, Geschichte der Philos. des Mittelalters, p. 128, p. 4 e 5, e il 102 della sua Gesch. der
griechischen Philos.)74.

Il Singolo, cio lindividuo unico, realizzato nella sua autenticit, che attinto nel terzo stadio della ripresa e che rappresenta il vero me stesso, dunque paragonato a il che cosera essere (una certa cosa), cio a to ti n einai di
Aristotele, che lessenza originaria di un essere, ritrovata nella sua piena realizzazione. Uno dei concetti pi importanti e sicuramente il pi originale della
filosofia di Kierkegaard, il concetto di Singolo, qui ricondotto da lui stesso
ad uno dei concetti pi caratteristici e originali formulati da Aristotele. Lo storico della filosofia G.O. Marbach, citato da Kierkegaard, traduce alla lettera lespressione di Aristotele (das-was-war-seyn, to ti n einai), normalmente interpretata come lessenza, ma spiega che si tratta dellessenza di ci che indi-

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S. KIERKEGAARD, Diario 1840-1847 (III), a cura di C. Fabro, Morcelliana, Brescia 1980, p. 28.
KIERKEGAARD, Diario 1840-1847 (III) cit., p. 93.

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pendente (das Selbstndige), cio non luniversale astratto o il genere, ma lindividuo75. In questo senso lo interpreta anche Kierkegaard, per il quale dunque,
come per Aristotele, la vera realt la sostanza individuale, cio il soggetto.
Ovviamente in Kierkegaard centrale laspetto religioso, costituito dalla vicenda del peccato e della redenzione, mentre esso completamente assente in
Aristotele. Di conseguenza la dipendenza da Aristotele limitata al concetto di
singolo, come Kierkegaard non manca di notare nella pagina del Diario che
segue immediatamente quella citata:
Il rapporto della divinit alluomo, come lo pu concepire ogni filosofia, lha gi
espresso Aristotele in modo eccellente, quando dice: Egli muove tutto, stando egli
stesso akintos (Per quanto mi ricordo, Schelling lo faceva osservare a Berlino). in
fondo il concetto astratto di immobilit, e il suo influsso ha perci un effetto di sirena
ammaliatrice. Cos ogni razionalismo finisce in superstizione76.

Qui Kierkegaard condizionato, come daltronde lintera storiografia del secolo XIX (salvo Hegel), dallinterpretazione platonizzante secondo la quale il
Dio di Aristotele muoverebbe tutte le cose in quanto causa finale. Ma egli non
si rivolge ad Aristotele per conoscere il vero rapporto tra la divinit e luomo.
Ci non esclude che a proposito di altri concetti importanti della sua filosofia Kierkegaard si rivolga ancora ad Aristotele, come risulta da questi altri passi del suo Diario, risalenti tutti al 1844:
Se Hegel, una volta scritta la sua Logica, lavesse definita nella prefazione come
un semplice esperimento di pensiero e avesse anche confessato daver in molti punti
eluso i problemi, sarebbe stato senza dubbio il pi grande pensatore di tutti i tempi.
Cos com ora, semplicemente comico77.

Vediamo qui ripresa la ben nota critica che Trendelenburg aveva rivolto a Hegel nelle sue Logische Untersuchungen del 1840, cio di avere interpolato (per
mezzo di una Unterschiebung o surrezione) nella logica lintuizione sensibile, per

75 Cfr. G.O. MARBACH, Lehrbuch der Geschichte der Philosophie, 1. Abtheilung: Einleitung und Geschichte der griechischen Philosophie, Verlag von Otto Wigand, Leipzig 1838, p. 248: So ist alle Seiende
in der Bewegung von sich zu sich, ist das Was-war-sein [...]. In ihrem Begriffe ist die Wesenheit der Selbstndige, daher nicht das abstract Allgemeine und nicht das Geschlecht (die Gattung), sondern das Individuelle, welches als das Was-war-sein alles Seienden bezeichnet ist; 2. Abtheilung: Geschichte der Philosophie des Mittelalters, ivi 1841, p. 5: So kam Aristoteles zu dem Satze, dass der Begriff (als das Waswar-sein) von Allem die Wahrheit sei und damit die Aufgabe der nous als Prinzip vom Allem nachzuweisen gelst (devo queste citazioni a D. Thouard).
76 KIERKEGAARD, Diario 1840-1847 (III) cit., pp. 93-94.
77 KIERKEGAARD, Diario 1840-1847 (III) cit., pp. 133-134.

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potervi introdurre il movimento78. La dipendenza di Kierkegaard da Trendelenburg confermata dal passo che segue immediatamente, il quale daltronde contiene un altro importante concetto della filosofia kierkegaardiana:
I princpi supremi scrive Kierkegaard non si possono provare che indirettamente (negativamente). Questo pensiero, che si trova spesso sviluppato in Trendelenburg
(Logische Untersuchungen), per me importante per il salto e per provare che la cosa pi alta non pu essere raggiunta che come limite (cfr. Trendel., Elem. Logic. Arist.
9, 15 in basso e 16 in alto, e molti testi in Logische Untersuchungen)79.

E poi aggiunge:
Nelle figure del sillogismo, la possibilit di concludere negativamente ha il sopravvento sullaffermazione (Trendelenburg, Erluterungen der Arist. Logik, p. 58). Dallanalogia e per induzione, si pu concludere soltanto con un salto. Ogni altra conclusione essenzialmente identit. Trendelenburg non sembra essersi affatto accorto del
salto.

Qui tutto il contesto chiaramente aristotelico. La dottrina riferita da Trendelenburg, secondo la quale i princpi supremi si lasciano provare solo indirettamente, la ben nota dottrina del libro Gamma della Metafisica di Aristotele,
secondo la quale il principio di non contraddizione pu essere dimostrato solo
per via di confutazione. Kierkegaard infatti cita non solo le Logische Untersuchungen, ma anche tutte le altre opere di Trendelenburg dedicate ad Aristotele.
Ma ci che non deriva da Trendelenburg, e che tuttavia Kierkegaard ricava
da Aristotele, la nozione di salto. Questa da lui messa in relazione con le
forme di ragionamento che Aristotele ha descritte come alternative al sillogismo
diretto, cio la confutazione, il ragionamento per analogia e linduzione. Mentre
il sillogismo diretto, o deduzione, secondo Kierkegaard, giunge solamente ad affermare unidentit (identit tra soggetto e predicato, o tra premesse e conclusione), i ragionamenti alternativi qui menzionati riescono a concludere soltanto
per mezzo di un salto. Si tratta chiaramente di una valutazione positiva che
Kierkegaard d di questi ultimi e del salto in generale, probabilmente in
quanto esso aggiunge qualcosa di nuovo alla semplice identit. Ebbene, tutto ci
da lui considerato come derivante da Aristotele.
La tendenza ad opporre Aristotele, recuperato via Trendelenburg, a Hegel

78 Il capitolo delle Logische Untersuchungen contenente questa critica stato tradotto in italiano: F.A.
TRENDELENBURG, Il metodo dialettico, a cura di M. Morselli, Il Mulino, Bologna 1990.
79 KIERKEGAARD, Diario 1840-1847 (III) cit., p. 134.

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presente anche nel passo del Diario che segue il precedente, dove Kierkegaard
scrive:
Il doppio significato di immediato in Aristotele (Trendelenburg, Erluterungen, p.
109). Nella filosofia di Hegel il ricorso allimmediato alle volte arbitrario alle volte
surrettizio (nel senso del sensibile)80.

Qui Kierkegaard si riferisce alla distinzione, fatta da Aristotele, tra ci che


primo per noi, cio la sensazione, e ci che primo per s, o per natura, cio i
princpi delle dimostrazioni, distinzione che, secondo lui, assente in Hegel ed
sostituita dallinterpolazione surrettizia dellintuizione sensibile nella logica,
come aveva sostenuto Trendelenburg.
Nella stessa direzione va anche questaltro passo del Diario, scritto nel dicembre 1844:
Mi fa unimpressione molto strana leggere il c. 3 del libro III del De anima di Aristotele. Io ho cominciato un anno e mezzo fa un trattatello: De omnibus est dubitandum, che il mio primo tentativo di una breve storia speculativa. Il concetto di cui mi
servivo era lerrore. ci che fa anche Aristotele. Finora io non avevo letto niente di
lui, ma solo un po di Platone. I Greci restano tutta la mia consolazione. Al diavolo codesta maledetta abitudine di mentire, che entrata nella filosofia con Hegel, codesto
infinito accettare e tradire, codesto fanfaronare e stiracchiare qualche testo dei Greci.
Sia gloria a Trendelenburg, uno dei pi sobri pensatori che io conosca!81.

Il capitolo 3 di De anima, III tratta, come noto, degli errori prodotti dallinfluenza dellimmaginazione sul pensiero. Kierkegaard si trova daccordo a
questo proposito con Aristotele e lo oppone ancora una volta a Hegel. Il suo elogio di Trendelenburg probabilmente dovuto al fatto che egli ha letto il De anima nelledizione curata da questultimo nel 1833, la stessa che aveva letto Marx.
Questo passo inoltre ci conferma che la scoperta di Aristotele da parte di Kierkegaard avvenuta tra il 1843 e il 1844.
Infatti nelle opere di Kierkegaard pubblicate nel 1844, cio Il concetto dellangoscia e Briciole di filosofia, le citazioni di Aristotele si moltiplicano. Nella
prima Kierkegaard ricorda la dottrina aristotelica della felicit, esposta nellEtica Nicomachea, la nozione di prte philosophia esposta nella Metafisica e ancora una volta laffermazione che la filosofia comincia dalla meraviglia. Nella seconda egli ricorda la dottrina aristotelica della kinsis e dellalliosis esposta nella Fisica e la teoria delle modalit logiche (possibile, reale e necessario) espo-

80
81

KIERKEGAARD, Diario 1840-1847 (III) cit., p. 134.


KIERKEGAARD, Diario 1840-1847 (III) cit., p. 136.

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sta nel De interpretatione, citando per la terza volta il passo sulla meraviglia.
Sempre nelle Briciole di filosofia egli cita la dottrina aristotelica secondo la quale anche la negazione del principio di non contraddizione suppone questo principio.
Pi tardi, nel Post-scriptum alle Briciole di filosofia, che del 1846, Kierkegaard cita sette volte Aristotele, dichiarandosi sempre daccordo con lui: a proposito della felicit, della metabasis eis allo genos, del carattere finale del nous
thertikos (che egli paragona allesistente) esposto in De anima, III, 10, della
superiorit della poesia sulla storia, del movimento come passaggio dalla potenza allatto, della definizione di ridicolo data nella Poetica e della nozione di
ironia esposta nella Retorica. Infine, in La malattia mortale, egli attribuisce ad
Aristotele lidentificazione della massa con la determinazione dellanimalit
(probabile allusione a Politica, III, 11, 1281a39 sqq.). Dunque egli ha presente
lintero corpus aristotelicum.
Ma i passi pi interessanti relativi alluso di Aristotele nella critica di Hegel
si trovano ancora una volta nel Diario, anche se risalgono a un periodo pi tardo. Per esempio tra il 7 settembre 1849 e i primi mesi del 1850 Kierkegaard
scrive:
Si fraintende la caratteristica della filosofia moderna (quando Trendelenburg giustamente osserva che bisogna cominciare con la kinsis), come se la questione si riducesse al cominciare con lessere o con il divenire. No, la questione del divenire e del
movimento ritorna sempre: appena si trascura di presupporre ad ogni punto la kinsis,
non ci si muove dal posto con il Seyn; e se uno tuttavia si appropria falsamente il movimento, lo si pu di nuovo fermare ad ogni istante, perch gi per muoversi ed uscire dal primo posto ci voleva la kinsis82.

Qui il riferimento alla celebre critica della logica di Hegel fatta da Trendelenburg nelle sue Logische Untersuchungen, critica che tutti considerano di origine aristotelica. Anche Kierkegaard sembra pensarla cos, poich scrive kinsis in caratteri greci, alludendo evidentemente alla dottrina di Aristotele.
Nello stesso periodo troviamo questaltro passo:
Ci che confonde tutta la dottrina sulla essenza nella logica il non badare che si
opera sempre con il concetto di esistenza. Ma il concetto di esistenza unidealit,
e la difficolt sta appunto nel vedere se lesistenza si risolva in concetti [...]. Ma lesistenza corrisponde alla realt singolare, al singolo (ci che gi insegn Aristotele) [qui
Kierkegaard rinvia ad una nota a pie di pagina, che dice, in greco: la ousia prte
(Cat., 5, 2a11 sqq.)]: essa resta fuori, ed in ogni modo non coincide con il concetto.

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S. KIERKEGAARD, Diario 1850 (VII), a cura di C. Fabro, Brescia 1980, p. 40 (corsivo nel testo).

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Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo uomo lesistenza (essere o non
essere) qualcosa di molto decisivo; un uomo Singolo non ha certo unesistenza concettuale. Il modo col quale la filosofia moderna parla dellesistenza, mostra chessa non
crede allimmortalit personale; la filosofia in generale non crede, essa comprende solo leternit dei concetti83.

Qui lesistenza, che indica per Kierkegaard la realt fondamentale, quella che resta fuori (ex) dal concetto, identificata con lindividuo e questa identificazione viene attribuita allo stesso Aristotele, a proposito del quale Kierkegaard precisa che lindividuo la sostanza prima, cio la realt fondamentale. Anche le espressioni un singolo uomo, un singolo animale ricordano gli
esempi fatti da Aristotele nelle Categorie: un certo uomo (ho tis anthrpos),
un certo cavallo (ho tis hippos). Inoltre questa volta lindividuo viene opposto
al concetto, cio alluniversale. Ritroviamo cos il tema feuerbachiano del soggetto contrapposto al predicato e il tema marxiano dello hupokeimenon inteso
come la vera realt e contrapposto anchesso al concetto, cio alluniversale,
di Hegel.
Lo stesso discorso, bench senza alcuna menzione di Aristotele, ritorna pi
avanti, ancora tra il 1849 e il 1850, dove Kierkegaard, commentando unaffermazione di J. Mller sul peccato, scrive:
No, no: non tanto in questo modo Hegel ha torto: fin quando Hegel definisce il male
come la soggettivit astratta, larbitrio, il predominio del singolo sul generale, dunque
anche come egoismo, J. Mller potrebbe essere daccordo con lui; e lo sarebbe anche
se non fosse chiaro che Hegel riferisce questesistenza del male ad una necessit superiore. No, lerrore sta principalmente in questo: che luniversale, in cui lhegelismo
fa consistere la verit (e il Singolo diviene la verit, se sussunto in esso), un astratto, lo Stato, ecc. Egli non arriva a Dio che la soggettivit in senso assoluto, e non arriva alla verit: al principio che realmente, in ultima istanza, il Singolo pi alto del
generale, cio il Singolo considerato nel suo rapporto a Dio. Quante volte non ho scritto che Hegel fa in fondo degli uomini, come il paganesimo, un genere animale dotato
di ragione. Perch in un genere animale vale sempre il principio: il Singolo inferiore al genere. Il genere umano ha la caratteristica, appunto perch ogni Singolo creato a immagine di Dio, che il singolo pi alto del genere. Che tutto questo si possa
prendere invano e abusarne in un modo orrendo: concedo. Ma il cristianesimo consiste in questo, ed in fondo qui che si deve dare battaglia84.

Il principio secondo il quale lindividuo superiore al generale, bench ricondotto da Kierkegaard al rapporto tra luomo e Dio, o alla creazione delluomo

83
84

KIERKEGAARD, Diario 1850 (VII) cit., p. 46 (corsivo nel testo).


KIERKEGAARD, Diario 1850 (VII) cit., p. 82.

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a immagine di Dio, corrisponde alla dottrina aristotelica secondo la quale la sostanza individuale (un certo uomo) la sostanza prima, mentre la specie (uomo) o il genere (animale) sono delle sostanze seconde (Categorie, 5). Qui
Kierkegaard non cita Aristotele, ma non fa che ripetere, contro la tesi di Hegel
secondo la quale luniversale superiore al particolare, la tesi aristotelica del
primato della sostanza individuale, cio del soggetto reale, dello hupokeimenon.
Insomma le critiche rivolte a Hegel da Feuerbach, Marx e Kierkegaard a met
del XIX secolo convergono tra di loro e hanno tutte in comune unorigine aristotelica.

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