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Introduzione
Da circa un secolo le materie plastiche vengono impiegate per la fabbricazione di
manufatti con le caratteristiche pi diverse. A seconda delle propriet e del
comportamento dei materiali polimerici sono state sviluppate tecnologie di processo molto
diversificate. Esse, tuttavia, almeno nel caso della trasformazione dei polimeri
termoplastici, prevedono sempre una fase in cui il materiale viene fuso (o rammollito) in
modo da poter subire il necessario processo di formatura. E in questa fase che il polimero,
di fatto un liquido molto viscoso, mostra tutte le sue peculiarit di comportamento rispetto
ai liquidi tradizionali. Ed questo il campo di azione della reologia.
La reologia (dal greco =scorrere) la scienza che studia il flusso e la
deformazione dei materiali sotto lazione di forze esterne. Storicamente la reologia ha
cominciato a muovere i suoi primi passi proprio in concomitanza con lo sviluppo delle
tecnologie di processo per le materie plastiche, ed ha continuato a svilupparsi
parallelamente al progredire di tali tecnologie. Anche se oggi la reologia si interessa del
comportamento di fluidi complessi di ogni tipo (dai cosmetici alle sostanze alimentari, dai
fanghi ai fluidi biologici), quella dei fusi polimerici unarea sempre molto attiva sia dal
punto di vista scientifico che tecnologico. Scopo di questo libro quello di fornire un
quadro di assieme aggiornato delle conoscenze in questo settore.
Per chiarire il ruolo e il campo di azione della reologia dei polimeri bene riferirsi
alle sue due principali applicazioni. La prima, tipicamente ingegneristica e tecnologica e
gi sottesa alle considerazioni precedenti, ruota intorno al concetto di processabilit. Con
questa parola si intende linsieme delle caratteristiche di un materiale polimerico che lo
rendono adatto ad un particolare processo di trasformazione. Uno degli obiettivi
fondamentali della reologia dei polimeri quello di misurare, modellare e prevedere la
processabilit del materiale.
Una seconda, pi avanzata e recente applicazione della reologia legata alla
possibilit di utilizzarla, spesso in sinergia con altre metodologie sperimentali, per lo
studio e la determinazione della microstruttura del materiale polimerico. Tale approccio
basato sul concetto, applicabile ovviamente non solo ai materiali polimerici, che la
microstruttura del materiale si rispecchia nel suo comportamento meccanico, e in
particolare nella risposta del polimero a particolari condizioni di flusso o di deformazione.
In questottica la reologia pu essere utilizzata come strumento indiretto per la
determinazione dellevoluzione microstrutturale dei materiali. In pratica ci si affida spesso
alla misura delle cosiddette propriet viscoelastiche lineari. In questo modo, ad esempio,
possibile stimare le dimensioni delle inclusioni di un blend polimerico, o la bont della
miscelazione di un polimero nano composito, o ancora la cinetica di cristallizzazione
durante il raffreddamento di un polimero semi-cristallino.
Gi in questa breve introduzione sono stati inseriti termini e concetti tipici della
reologia, che possono risultare estranei e poco comprensibili. E ovvio, quindi, che il
primo capitolo di questo libro sia dedicato alla presentazione degli aspetti fondamentali
della scienza reologica, con particolare riferimento a quelli che pi riguardano i materiali
polimerici. Nel secondo capitolo si cercher di chiarire lorigine del comportamento
reologico dei fluidi polmerici, legando la loro peculiare struttura macromolecolare alla
1
risposta che essi esibiscono quando sottoposti a flusso o a deformazione. Il terzo capitolo
sar dedicato in maniera pi sistematica alla descrizione del comportamento reologico dei
fusi polimerici evidenziandone, anche in termini quantitativi, la dipendenza dai parametri
del materiale e dalle variabili di processo. Infine, il quarto capitolo sar dedicato
allapprofondimento di alcuni temi ritenuti particolarmente utili ed interessanti per il
reologo che si confronta con il comportamento dei materiali polimerici.
Questo piccolo libro ha il solo scopo di introdurre il lettore agli aspetti
fondamentali del comportamento reologico dei polimeri allo stato fuso. E quindi limitato
e circoscritto per almeno due motivi fondamentali. Il primo che la reologia si basa in
maniera consistente su di un apparato fisico-matematico che in questa sede viene
volutamente mantenuto ad un livello basso. Il secondo motivo che, come gi sottolineato
in precedenza, la reologia ha subito una forte evoluzione negli ultimi decenni, ampliando il
suo campo di azione sia per lo sviluppo di nuove e sempre pi sofisticate tecniche
sperimentali, sia per la possibilit di applicazione ai pi svariati campi della scienza e
dellingegneria. In questa sede, al contrario, ci si concentra volutamente sulla specifica
classe dei materiali a base di polimeri termoplastici. Il lettore che voglia approfondire gli
aspetti pi sofisticati e complessi della reologia, o che voglia ampliare le sue prospettive
reologiche verso sistemi e materiali che esulano dal presente ambito, pu farlo attraverso
la lettura di testi ben pi completi ed esaustivi di questo. Alcuni titoli verranno suggeriti
alla fine di ogni capitolo.
2
CAPITOLO I
FONDAMENTI DI REOLOGIA
I.1 Grandezze cinematiche e dinamiche
I.1.1 Flusso, deformazione, forze
Il moto di un fluido, e pi in generale la deformazione di un materiale, sono azioni
che richiedono lapplicazione di forze (o di coppie). Scopo della reologia proprio quello
di individuare e studiare il legame, determinato dalla microstruttura del materiale, tra le
forze applicate e il moto (o la deformazione) che esse determinano.
Uno dei concetti fondamentali della reologia quello di deformazione. Al contrario
dei corpi rigidi, che costituiscono una idealizzazione del comportamento reale, il materiale
polimerico, sottoposto allazione di forze esterne, viene deformato. Il tipo di deformazione
e la sua entit dipendono (oltre che dalle forze applicate) dalla geometria, dalle dimensioni
e dai confini dello spazio occupato dal materiale.
Si consideri il semplice esempio di Figura 1: uno strato di polimero fuso (ad
esempio un film di polietilene) applicato ad una parete verticale. Sul polimero agisce
sicuramente la forza dovuta al peso stesso del materiale, che lo spinge a muoversi verso il
basso. Allo stesso tempo il fluido si trova confinato in una ben precisa geometria. A
sinistra, la presenza della parete fissa impedisce il movimento dello strato di polimero ad
essa immediatamente attaccato (condizione di aderenza). Alla destra, invece, il fluido non
confinato, ed quindi libero di muoversi verso il basso. Il risultato che il moto avviene
per scorrimento di strati successivi, via via pi veloci a mano a mano che ci si sposta dalla
parete al pelo libero del fluido. La conseguenza di questa variazione, o gradiente, di
velocit in direzione perpendicolare al flusso che un volumetto di fluido (A) inizialmente
a forma di parallelepipedo viene progressivamente deformato (B, C). La deformazione
continua del volumetto genera il flusso di polimero che scorre lungo la parete. Una
deformazione come quella di Figura 1viene detta appunto di scorrimento (o di shear). Il
gradiente di velocit in questo caso prende il nome di gradiente di scorrimento o shear
rate.
3
scorrimento relativo di strati di liquido. Lelementino di fluido (A) questa volta si deforma
allungandosi progressivamente lungo la direzione del flusso e restringendosi lungo quella
perpendicolare (B e C), in modo da conservare il volume. In questo caso la deformazione
continua determina un flusso elongazionale, e il gradiente di velocit, che in questo caso
prende il nome di gradiente di allungamento o stretching rate, si sviluppa lungo la
direzione del flusso.
4
dallaltro la dinamica del moto, cio lo studio delle forze che agiscono sul fluido. Questi
due aspetti saranno trattati, separatamente, nei due paragrafi successivi.
s
(1)
h
Si noti che tutti i punti del materiale sono sottoposti alla stessa deformazione.
Infatti per uno strato pi vicino al piatto fermo lo spostamento pi piccolo: distanza dal
piatto fermo e spazio percorso variano in maniera proporzionale di modo che il loro
rapporto, dato dalla (1), sempre costante.
Nella definizione di deformazione non contenuta nessuna informazione sul tempo
necessario ad applicarla. Nel moto dei fluidi, tuttavia, la rapidit con cui avviene la
5
deformazione un parametro fondamentale. Si definisce appunto velocit di
deformazione, o gradiente di scorrimento (in inglese shear rate), la variazione della
deformazione con il tempo. Se lo spostamento avviene con velocit v la velocit di
deformazione sar data da:
1 ds v
(2)
h dt h
Per comprendere la simbologia si ricordi che il punto su una variabile indica loperazione
di derivata rispetto al tempo. La (2) segue allora dalla (1) considerando che la derivata
dello spostamento proprio la velocit.
Nel caso particolare in cui al flusso sia imposta una velocit di deformazione
costante per un tempo t, tempo, deformazione e velocit di deformazione sono legati tra
loro in maniera semplice:
t (3)
Le (1) e (2) definiscono la cinematica del moto di scorrimento tra due piatti
paralleli in moto traslatorio luno rispetto allaltro. I flussi di scorrimento pi utilizzati
sono quelli nei quali le superfici di scorrimento sono costituite da piani paralleli (Figura 5)
o da cilindri concentrici (Figura 6). Nel caso dei piani paralleli lo scorrimento pu essere
ottenuto per traslazione (Figura 5a), situazione corrispondente ai piatti paralleli appena
descritti. Questo tipo di flusso si incontra in molti processi industriali, ed per esempio
alla base del funzionamento di una delle principali apparecchiature di processo,
lestrusore. Nel secondo caso (Figura 5b), lo scorrimento pu avvenire per rotazione dei
piani, una situazione spesso sfruttata nei reometri rotazionali, che verranno descritti
successivamente.
a) b)
Figura 5: Flusso di scorrimento di: a) piani paralleli traslanti; b) piani paralleli rotanti
Anche nel caso dei cilindri concentrici si pu ottenere scorrimento sia per
traslazione che per rotazione relativa delle superfici. Il primo caso (Figura 6a) quello
caratteristico del moto in condotti, in cui la presenza della parete del condotto frena gli
strati di materiale pi esterni, producendo la caratteristica deformazione a cannocchiale.
Il secondo caso (Figura 6b) rappresenta anchesso una situazione tipica dei reometri
rotazionali, ma si incontra anche (con alcune complessit aggiuntive) nei recipienti di
agitazione e di mescolamento.
6
a) b)
S1 S2 S1 S2
a) b)
Figura 7: la deformazione estensionale monoassiale
Considerazioni analoghe a quelle del moto di scorrimento si applicano nel caso dei
moti estensionali. In questo caso, tuttavia, la definizione di deformazione non univoca.
Infatti, se L0 la lunghezza iniziale dellelemento di materiale, e L quella dopo la
deformazione, si definisce la deformazione di Cauchy (o ingegneristica) come:
L L0
e 1 (4)
L0
Nella (4) compare il rapporto di stiro (stretching ratio), , e cio il rapporto tra le
lunghezze prima e dopo la deformazione. In realt, la definizione pi rigorosa di
deformazione elongazionale la seguente:
7
L
ln ln ln 1 e (5)
L0
viene detta deformazione di Hencky (Hencky strain). Si noti subito che la deformazione
di Cauchy rappresenta il limite della deformazione di Henky nel caso di piccole
deformazioni.
La velocit di deformazione estensionale, o gradiente di allungamento, (in inglese
stretching rate) rappresenta la variazione di deformazione relativa rispetto al tempo. In
analogia con il flusso di scorrimento, se le due superfici a distanza dx si allontanano con
velocit relativa dv, si ha:
dv
(6)
dx
Siccome un estremo dellelemento di fluido si muove con velocit vL=dL/dt mentre laltro
estremo fermo (v0=0), il gradiente di allungamento assume la forma:
vL v0 1 dL 1 d d d
ln (7)
L L dt dt dt dt
La (7) mostra il legame tra tutte le grandezze cinematiche estensionali fin qui
introdotte e chiarisce anche il motivo per cui la (5) rappresenta la corretta espressione per
la deformazione estensionale. Come per il moto di scorrimento, in condizioni di stretching
rate costante applicata in un tempo t sussiste la seguente relazione:
t (8)
Avendo definito alcune grandezze cinematiche, bene subito discutere delle loro
dimensioni, e delle relative unit di misura. Si noti che le deformazioni rappresentano
sempre il rapporto tra uno spostamento ed una distanza. Trattandosi di due lunghezze, tale
rapporto appunto dimensionale. Di conseguenza non esiste ununit di misura della
deformazione, che un numero puro. Le velocit di deformazione, sia di scorrimento che
estensionale, hanno invece le dimensioni dellinverso di un tempo e sono misurate
generalmente in [s-1].
A conclusione di questo paragrafo va ribadito ancora una volta che sia la
deformazione che la velocit di deformazione rappresentano una misura della variazione
di distanza relativa tra due punti del materiale, e non uno spostamento o una velocit
assoluti. Nel moto di un corpo rigido, ad esempio, non vi sono n gradienti di scorrimento
n gradienti di allungamento. Durante il moto, il corpo mantiene inalterata la sua forma.
Sono invece proprio le deformazioni, e cio i cambiamenti di forma, a caratterizzare il
moto dei fluidi o, pi in generale, dei materiali detti appunto deformabili. Ed proprio per
indurre una deformazione che si rende necessaria lapplicazione di forze di deformazione,
come verr chiarito nel successivo paragrafo.
8
importante definire le corrispondenti grandezze dinamiche, cio le forze che entrano in
gioco nei processi di deformazione e flusso dei materiali.
Nel caso del flusso di scorrimento (Figura 8), il moto del piatto superiore avviene
se e solo se ad esso viene applicata una forza.
F
F
(9)
A
Le dimensioni dello sforzo sono quelle di una forza divisa per il quadrato di una
lunghezza. Se si utilizza il sistema di unit di misura internazionale (SI), lunit di misura
degli sforzi il Pascal (Pa), definito come:
N
1 Pa 1 (10)
m2
9
Le stesse considerazioni utilizzate per il moto di scorrimento valgono anche per
quello estensionale. In questo caso ad un estremo del materiale viene applicata (Figura 9)
una forza di trazione T, questa volta normale alla superficie di applicazione. Ancora una
volta, se A larea di questa superficie, lo sforzo normale viene ottenuto come:
T
(11)
A
In questo caso lallungamento del materiale avviene a causa dellapplicazione di una forza
di trazione.
T
I (12)
A0
N L (13)
10
Nella (13) N e L sono appunto gli sforzi normali applicati sulle superfici trasversali e
laterali, rispettivamente, mentre il segno meno si rende necessario in quanto gli sforzi di
trazione sono considerati per convenzione positivi mentre quelli di compressione sono
negativi.
La (13) pu essere anche letta nel seguente modo: per ottenere una deformazione
estensionale c bisogno di uno sbilanciamento di sforzi normali lungo due superfici
perpendicolari del materiale. A questo riguardo va ricordato che esiste sempre una forza
normale che agisce su tutte le superfici di un qualunque sistema: si tratta infatti della forza
di pressione idrostatica. Questa pu essere definita come la componente di sforzo normale
che agisce uniformemente su tutte le superfici di un corpo. Siccome la pressione
idrostatica uguale su tutte le superfici del sistema, essa non pu indurre deformazioni nel
materiale.
Prima di terminare questo paragrafo importante aggiungere che, anche nel caso di
moto e deformazione in condizioni cinematiche di scorrimento, in molti materiali
(certamente i polimeri fusi) sono presenti componenti normali aggiuntive dello sforzo. In
termini pratici, con riferimento alla semplice cinematica di scorrimento di Figura 4, oltre
allo sforzo tangenziale che determina il movimento del piatto, anche necessario applicare
una forza normale di compressione per evitare la separazione tra i piatti stessi. Questo
fenomeno, che come verr precisato pi avanti dipende dalla presenza di una componente
elastica nel materiale, ha ben note conseguenze: presente ad esempio in un solido
elastico quando questo venga sottoposto ad una deformazione di taglio o di torsione; nel
caso dei polimeri fusi, la presenza di tali sforzi normali aggiuntivi responsabile, tra gli
altri, del ben noto fenomeno del die swell nel processo di estrusione.
La necessit di applicare una forza di chiusura per mantenere i piatti in posizione
implica che allinterno del materiale si sviluppa una forza normale verso lesterno, cio di
trazione. Si pu dimostrare che in realt sono presenti due diverse componenti di forza
normale: una, di trazione, perpendicolare al piatto (quindi perpendicolare alla direzione del
flusso), laltra, di compressione, perpendicolare alla direzione del flusso (vedi Figura 10).
Come nel caso del moto estensionale, quel che conta ai fini pratici la differenza tra i
valori di tali forze. Questo porta alla definizione della cosiddetta prima differenza degli
sforzi normali:
N1 n ,1 n ,2 (14)
Questa importante propriet reologica dei fusi polimerici, e le sue implicazioni dal punto
di vista tecnologico, verranno discusse nel seguito.
Fn,1
Fn,2
11
Sommario Sezione I.1
La reologia studia il comportamento dei fluidi in termini di flusso e deformazione sotto
lazione di forze ad esso applicate.
La reologia si concentra sullo studio di condizioni cinematicamente e dinamicamente
semplici: lo shear (moto o deformazione di taglio) e lestensione. Condizioni di
deformazione pi complesse sono sempre riconducibili a quelle elementari.
Nel caso del moto di scorrimento (o di taglio, o di shear) il parametro cinematico
rilevante la deformazione, pari al rapporto tra lo spostamento nella direzione dello
scorrimento e la dimensione trasversale del materiale. Da esso deriva latro parametro
rilevante, la velocit di deformazione (o shear rate) pari alla velocit di spostamento
divisa per la stessa dimensione trasversale. In termini dinamici, nel materiale
sottoposto a moto di scorrimento insorgono due tipologie di sforzo: sforzo tangenziale,
che agisce in direzione e verso del moto sulle superfici di scorrimento; prima
differenza degli sforzi normali, cio la differenza tra lo sforzo normale perpendicolare
al piano di scorrimento e lo sforzo normale perpendicolare alla direzione del moto.
Tali sforzi normali insorgono solamente quando nel materiale presente una
componente elastica.
Nel caso del moto estensionale (di compressione) il parametro cinematico rilevante
la deformazione di Hencky (Hencky strain) pari al logaritmo naturale del rapporto di
allungamento. La velocit di allungamento (o stretching rate) pari alla deformazione
temporale dellHencky strain. In termini dinamici il parametro rilevante la differenza
tra lo sforzo normale nella direzione del moto e quello nella direzione perpendicolare.
12
I.2 La viscosit
I.2.1. Definizione di viscosit
Da un punto di vista intuitivo la viscosit rappresenta la resistenza al moto di un
fluido. La nostra esperienza quotidiana ci insegna ad esempio che il miele pi viscoso
dellacqua: basta rovesciarne un bicchiere per rendersene conto. Da un punto di vista pi
quantitativo si pu dire che la viscosit misura la capacit di scorrimento di un fluido sotto
lazione di forze di taglio. Maggiore la viscosit, a parit di forza applicata, minore il
gradiente di scorrimento che si sviluppa nel fluido. O viceversa, a parit di gradiente, un
fluido di viscosit maggiore richiede una forza di scorrimento maggiore.
Sulla base dei concetti di sforzo e di gradiente introdotti nel paragrafo I.1 la
definizione di viscosit segue di conseguenza. Con riferimento alla geometria a piatti
paralleli descritta in Figura 4, si supponga di mettere in movimento il piatto superiore con
velocit v. In condizioni stazionarie, il moto del materiale richiede lapplicazione di un
certo valore dello sforzo di taglio. Abbiamo quindi (vedi Equazioni (2) e (9)):
v
(15)
h
F
(16)
A
La viscosit del fluido allora definita come il rapporto tra lo sforzo tangenziale e il
gradiente di scorrimento:
(17)
Kgm / s 2 N
2
s 2 s Pa s (18)
m m
essendo il Pascal (Pa) l'unit di misura dello sforzo. In queste unit, per esempio, la
viscosit dell'acqua ha il valore di 0.001 Pa s (1 milliPascal secondo). Nel sistema cgs,
invece, la viscosit ha unit di misura:
gcm / s 2 g
2
s poise (19)
cm cm s
Il poise stato per lungo tempo l'unit di misura pi utilizzata per la viscosit. La
viscosit dell'acqua risulta essere pari in questo caso a 0.01 Poise (1 centipoise). Ci
significa che il Pa s numericamente dieci volte pi piccolo del poise. La Tabella 1 riporta
i valori di viscosit tipici di alcuni fluidi. Si noti come la viscosit di un gas sia cento volte
13
inferiore di quella dell'acqua, che a sua volta pu risultare anche alcuni milioni di volte pi
bassa di quella di un fuso polimerico
600
Stress (Pa)
400
200
0
0.0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5
shear rate (1/s)
14
molto complesse. Il fluido Newtoniano costituisce anche il punto di riferimento a cui
paragonare tutti i comportamenti reologicamente pi complessi, e proprio per questo detti
non-Newtoniani.
f (20)
Spesso tuttavia, per mantenere la (20) formalmente analoga alla (17), essa viene scritta
nella forma:
(21)
Newtoniano
Dilatante
Pseudoplastico
Stress (Pa)
15
scorrimento. L'andamento tipico di un fluido pseudoplastico, ma il grafico risulta poco
"leggibile". Infatti la viscosit parte da un valore elevato per gradienti prossimi allo zero,
per poi crollare a valori molto inferiori a shear rate pi elevate.
8x103
6x103
[Pa s]
4x103
2x103
0
0 103 2x103 3x103 4x103 5x103 6x103
shear rate [1/s]
Figura 13: Viscosit in funzione della shear rate per un polistirene fuso a 200
Il fatto che la viscosit possa variare di molti ordini di grandezza in corrispondenza
di variazioni altrettanto ampie di gradiente impone una diversa rappresentazione della
curva di viscosit. Questa data in Figura 14, dove gli stessi dati della Figura 13 sono
diagrammati in doppia scala logaritmica. Ci permette di apprezzare molto meglio i
dettagli del comportamento pseudoplastico: per bassi gradienti la viscosit presenta un
andamento costante e per questo motivo generalmente indicato come plateau Newtoniano.
Al crescere del gradiente la viscosit comincia a decrescere, spesso raggiungendo un
andamento lineare nella rappresentazione logaritmica. Si noti come in questo caso la
viscosit del polistirene possa variare di pi di due ordini di grandezza al crescere del
gradiente di velocit.
104
103
[Pa s]
102
101
10-3 10-2 10-1 100 101 102 103 104 105
shear rate s ]
-1
16
gradiente di velocit. Nel seguito verranno elencati e discussi alcuni dei modelli pi
popolari, in particolare molto utilizzati per polimeri fusi.
Fluido Newtoniano
E ovviamente il riferimento per tutti i comportamenti viscosi non-Newtoniani. La
viscosit data semplicemente da:
costante (22)
K n (23)
Nella (23) K detta consistenza ed n indice di flusso. La viscosit del fluido a legge di
potenza ottenuta dividendo la (23) per :
K n 1 (24)
la cui rappresentazione in scala logaritmica per lappunto una retta di pendenza n1. La
(24) descrive i comportamenti pseudoplastici quando 0<n<1.
La rappresentazione a legge di potenza (24) molto utilizzata nelle tecnologie dei
polimeri in svariati settori applicativi, in quanto rappresenta il legame costitutivo pi
semplice possibile per un fuso polimerico. Ci dovuto anche al fatto che, in molte
situazioni di interesse tecnologico, il fluido si muove a gradienti di velocit corrispondenti
appunto alla zona di comportamento a legge di potenza.
0
(25)
1
1 n
0
0 1 n 1 n (26)
1 n
17
cio il fluido esibisce un comportamento a legge di potenza con K 0 1 n e indice di
flusso pari a n. Si noti come i tre parametri siano riconducibili ognuno ad un ben preciso
aspetto della curva di viscosit.
Talvolta pu accadere che il tratto a legge di potenza sia seguito da un secondo
plateau di viscosit agli alti gradienti di scorrimento. Tale comportamento (che si incontra
ad esempio in soluzioni polimeriche o in sospensioni), pu essere descritto dalla legge di
Cross:
0 (27)
1
1 n
0 (28)
1 n
1
a a
che, nella versione senza plateau terminale (=0) prende il nome di modello di Yasuda.
In questi modelli compare un quinto parametro costitutivo, a, che ha appunto il ruolo di
gestire in maniera pi precisa la transizione tra i due regimi di comportamento.
Un esempio di applicazione di questi modelli proposto in Figura 15, dove i dati
sperimentali del polistirene sono confrontati con le regressioni del modello di Ellis e di
quello di Yasuda.
104
103
[Pa s]
Esperimenti
Ellis
Yasuda
102
101
10-3 10-2 10-1 100 101 102 103 104 105
shear rate s ]
-1
18
di parametri aggiustabili del modello viene pagato da una corrispondente crescita della
complicazione matematica dellequazione, e da una sua conseguente pesantezza duso.
0 per 0
(29)
0 b per 0
0 b
(30)
19
La (30) rappresentata in Figura 16 nel caso di b costante. E facile verificare che
per alti gradienti, cio per 0 / b , la viscosit tende ad un valore di plateau dato
proprio da b. Al diminuire del gradiente la viscosit aumenta, e per 0 / b tende ad
un comportamento asintotico secondo la relazione:
0
(31)
Figura 17: La viscosit di un polistirene caricato con nerofumo in funzione dello sforzo di
taglio alla temperatura di 200C. Dal basso verso lalto le curve si riferiscono a percentuali
di carica crescenti da 0 a 25%
Per bassi contenuti di nerofumo si osserva il classico comportamento pseudo
plastico del polistirene fuso con il plateau Newtoniano a bassi valori di sforzo.
Allaumentare della percentuale di carica, oltre ad un aumento complessivo della viscosit,
20
si osserva la graduale scomparsa del plateau, fino a quando la curva presenta un asintoto
verticale in corrispondenza di un ben preciso valore di sforzo. Questa proprio la firma
del comportamento alla Bingham.
Figura 18: Prima differenza di sforzi normali (simboli pieni) e sforzo di taglio (simboli
aperti) per due soluzioni di polimetilmetacrilato in toluene
Per fusi polimerici a bassi gradienti di deformazione viene spesso verificato un
andamento degli sforzi normali quadratico con la shear rate. Per questo motivo, in
analogia con la viscosit, viene definito un primo coefficiente di sforzi normali, 1 ,
come:
N1
1 (32)
2
1 dL
(33)
L dt
21
T
el (34)
A
el
el (35)
el 3 (36)
cio la viscosit elongazionale costante e pari a tre volte quella misurata in condizioni di
flusso di scorrimento. Il rapporto tra viscosit elongazionale e viscosit in shear viene
anche detto rapporto di Trouton.
Per fluidi non-Newtoniani, il comportamento viscoso estensionale pu risultare
decisamente complesso, e mostrare uno scostamento anche notevole dalla relazione di
Trouton. Si consideri ad esempio la Figura 19, che si riferisce ad un fuso polimerico: nel
limite di bassi gradienti di allungamento la viscosit estensionale mostra il comportamento
asintotico Newtoniano. Al crescere del gradiente, mentre la viscosit di scorrimento
diminuisce con la shear rate, quella estensionale passa per un massimo per poi decrescere
solo a gradienti elevati. In ogni caso la (36) non rispettata. Va detto che comportamenti
viscosi anomali in flusso estensionale sono spesso associati ad effetti viscoelastici, come
verr meglio specificato in seguito. In ogni caso, in analogia al flusso di scorrimento, si
parler di comportamenti elongazionali pseudoplastici. In tal caso potranno essere
utilizzate relazioni costitutive simili a quelle presentate nelle sezioni I.2.4 e I.2.5.
22
Sommario Sezione I.2
La viscosit in flusso di scorrimento definita come il rapporto tra sforzo tangenziale
e gradiente di scorrimento in condizioni di flusso stazionario
Per un fluido Newtoniano la viscosit una costante (a temperatura costante). I fluidi
non-Newtoniani sono tutti quelli che non rispettano questa regola.
A seconda dei casi si pu distinguere tra comportamento viscoso pseudoplastico (la
viscosit decrescente con la shear rate) e dilatante (la viscosit crescente con la
shear rate). La quasi totalit dei fusi polimerici ha comportamento pseudo plastico.
Il legame quantitativo tra sforzo e gradiente di velocit rappresenta il caso pi
semplice (e spesso pi utilizzato) di equazione costitutiva. Equazioni costitutive usate
nella pratica, in ordine di crescente complessit, sono: legge di potenza, equazione di
Ellis, Cross, Carreau, Yasuda.
Un caso pi particolare di comportamento non-Newtoniano quello dei fluidi
viscoplastici o alla Bingham. Per essi il flusso ha luogo solo al superamento di uno
sforzo di soglia. Al disotto di tale valore il comportamento esibito di tipo solido.
Molti sistemi polimerici caricati esibiscono tale tipo di comportamento.
In condizioni di flusso di shear stazionario i fusi polimerici presentano anche degli
sforzi normali, derivanti dalla presenza di una componente elastica.
In flusso estensionale la viscosit elongazionale di un fluido Newtoniano pari a tre
volte quella in shear (rapporto di Trouton). A parte le difficolt della sua
determinazione, nel caso non-Newtoniano tale regola non rispettata e ci pu dare
origine a comportamenti in flusso estensionale completamente diversi da quelli in
flusso di shear
23
I.3 Reometria
I comportamenti reologici finora discussi sono stati presentati facendo riferimento
allesperimento ideale di flusso tra piatti paralleli rappresentato in Figura 4. Nella pratica,
la misura della viscosit e delle altre propriet reologiche avviene mediante
apparecchiature pi o meno complesse, i reometri. Un esperimento reometrico consiste
generalmente nella misurazione simultanea di due grandezze: una grandezza dinamica
(una forza, una coppia, una pressione) e una grandezza cinematica (ad esempio una
velocit, o uno spostamento, o un tempo). L'equazione del reometro una relazione
matematica che lega queste due grandezze tra loro. In essa, oltre a parametri geometrici
del reometro ed eventualmente altri parametri fisici del fluido, comparir anche la
grandezza reologica che deve essere misurata, e il cui valore viene quindi determinato dai
risultati della misura.
A titolo di esempio si considerino ancora una volta i due piatti paralleli di Figura 4.
Le grandezze misurate sono la forza tangenziale applicata sul piatto, F, e la velocit del
piatto superiore, v. Siccome lo sforzo dato da F/A e il gradiente di scorrimento da v/h,
lequazione di questo semplice reometro :
Fh
(37)
Av
24
nel campo dei motori servocontrollati e nei sistemi di encoding ottico per la
determinazione dello spostamento angolare ne hanno tuttavia abbattuto progressivamente i
costi, rendendoli di fatto lo standard attuale nel campo dei reometri rotazionali.
25
tra la velocit del piatto in movimento e la distanza tra i piatti. Nel caso di angoli piccoli si
pu scrivere:
r r
(38)
h r
dove appunto langolo del cono. La (38) informa che in questa geometria il gradiente
di scorrimento uniforme in tutto il campione. Ci rende possibile la determinazione della
viscosit non-Newtoniana. E infatti possibile mostrare che lo sforzo tangenziale,
anchesso uniforme dato da:
3M
(39)
2 R 3
3M
(40)
2 R 3
r
(41)
h
26
che risulta quindi variabile con il raggio. Ci significa che possibile determinare la
viscosit solo nel caso di fluido Newtoniano. Lanalisi Newtoniana infatti fornisce per lo
sforzo la stessa espressione ricavata nel caso cono-piatto, fornendo la seguente equazione
del reometro:
2Mh
(42)
R 4
Nel caso di fluidi non-Newtoniani la (42) viene ancora usata, anche se fornisce un
risultato approssimato. In questo caso la viscosit apparente cos ricavata viene
diagrammata in funzione del gradiente di scorrimento massimo, ottenibile dalla (41) per
r=R:
R
max (43)
h
27
La sezione del condotto capillare generalmente circolare (la geometria pi
utilizzata) o a feritoia rettangolare (detta anche slit die). In questa sede si illustrer
l'equazione del reometro nel caso pi classico di capillare a sezione circolare.
piston
barrel
Capillary die
P R
p (44)
L 2
4Q
p , N (45)
R3
R 4 P
N (46)
8L Q
Nel caso di fluidi non-Newtoniani, in cui la viscosit non costante con la shear
rate, il reometro a capillare pu ancora essere utilizzato, ma i dati sperimentali richiedono
una successiva manipolazione, nota come correzione di Mooney-Rabinowitsch. La logica
di tale correzione facilmente spiegabile. Per un fluido a viscosit non costante la (44) per
lo sforzo alla parete continua ad essere valida; non cos per il gradiente di scorrimento
alla parete, che non pi pari a quello Newtoniano ma va corretto per tenere conto degli
28
effetti non-Newtoniani. La correzione di Mooney-Rabinowitsch, i cui dettagli matematici
non vengono qui riportati, risulta essere pari a:
3n 1
p p , N (47)
4n
dove n pari a:
d log p
n (48)
d log p , N
n cio la pendenza del grafico (in doppia scala logaritmica) in cui si riporta lo sforzo alla
parete in funzione del gradiente di scorrimento Newtoniano, detto anche gradiente
apparente. Per meglio comprendere la (48) si consideri che n rappresenta, nel caso di un
fluido a legge di potenza, proprio lindice di flusso del liquido (vedi Equazione (23)). La
procedura di determinazione della viscosit allora la seguente:
si effettuano misure di perdita di carico a diverse portate. Ci permette di ricavare lo
sforzo alla parete (Equazione (44)) e il corrispondente gradiente di scorrimento
apparente (Equazione (45));
si riportano su grafico in scala logaritmica i valori cos calcolati di p in funzione di
p , N . In questo modo, per un certo valore di gradiente apparente si pu determinare
(con metodi grafici o numerici) il valore della pendenza di tale grafico, corrispondente
alla variabile n definita dalla (48);
dal valore di n e del gradiente apparente si pu calcolare il corrispondente gradiente
effettivo alla parete attraverso la (48). Il rapporto p / p fornisce infine il valore della
viscosit:
R 4 P 4n 4n
N (49)
8 L Q 3n 1 3n 1
Ripetendo gli ultimi due passi per diversi valori di p , N possibile ricavare la curva di
viscosit in funzione della velocit di scorrimento.
Nei reometri a capillare in commercio la pressione di sbocco quella atmosferica,
per cui la perdita di carico determinata da una singola misura di pressione a monte del
capillare. Questo fa s che la misura di pressione sia influenzata dal flusso complesso che
ha luogo nella zona di imbocco del capillare, dove sono presenti almeno due fonti di
dissipazione di energia: da un lato quella dovuta alla formazione di vortici in
corrispondenza della sezione di contrazione, dallaltro quella legata alla componente di
flusso estensionale dovuta al brusco restringimento di sezione. Le linee di flusso nella
sezione di imbocco del capillare sono schematizzate in Figura 24a. Come conseguenza, la
pressione misurata prima della contrazione data dalla somma delle perdite di carico
distribuite lungo il capillare e di quelle concentrate nella zona di imbocco. Queste ultime
possono essere molto importanti, e superare addirittura le prime, soprattutto nel caso di
capillari di piccola lunghezza. Un tipico profilo di pressione lungo lasse del reometro a
capillare mostrato in Figura 24b, dove risulta evidente la linearit della caduta di
pressione allinterno del capillare, e la sua brusca caduta in corrispondenza dellimbocco.
Per quanto detto, al fine di determinare il corretto valore di viscosit allora necessario
29
valutare le perdite di imbocco. Ci pu essere effettuato mediante una procedura, detta
correzione di Bagley, che viene illustrata nel seguito.
P
Ptot Pimb L (50)
L cap
dove (P/L)cap rappresenta la perdita di carico per unit di lunghezza nel capillare. La (50)
esprime il fatto noto che le perdite di carico aumentano linearmente con la lunghezza del
capillare, ma anche che, al tendere a zero della lunghezza del capillare, sempre
necessario spendere una certa quantit di energia, pari appunto alle perdite di imbocco.
Il metodo di Bagley consiste nell'effettuare, ad ogni assegnata portata, diverse
misure di perdita di carico con capillari di lunghezza diversa. Diagrammando la perdita di
carico in funzione della lunghezza del capillare, i dati dovrebbero essere ben interpolati da
una retta, corrispondente alla (50). Estrapolando a lunghezza zero del capillare, l'ordinata
all'origine fornisce il valore di Pimb. La pendenza della retta fornisce invece direttamente
il valore di (P/L)cap per ogni portata, che va utilizzato per la corretta determinazione della
viscosit.
Riepilogando, l'uso corretto del reometro a capillare per determinare la viscosit di
fusi polimerici richiede i seguenti passi:
effettuazione di misure della portata Q e della corrispondente perdita di carico P con
capillari di diversa lunghezza (possibilmente almeno 3 lunghezze);
elaborazione dei diagrammi di Bagley allo scopo di determinare le perdite di imbocco
e isolare le sole perdite di carico nel capillare;
utilizzo del metodo di Mooney-Rabinowitsch, precedentemente illustrato, per
l'ottenimento della viscosit effettiva in funzione della velocit di scorrimento.
Le Figure 25-27 costituiscono la sintesi grafica del metodo di elaborazione dei dati
sperimentali in capillare. In particolare, la Figura 25 il diagramma di Bagley di un
polistirene alla temperatura di 200C a diversi valori del gradiente di scorrimento
apparente. Per ogni gradiente i punti si allineano su di una retta. La linea continua
appunto una regressione lineare dei dati la cui intercetta per L=0 fornisce la perdita di
30
imbocco, mentre la pendenza permette di ricavare immediatamente la perdita di carico nel
capillare e di conseguenza lo sforzo alla parete utilizzando la (44).
350
300
250
P, bar
200
150
100
50
0
2 4 6 8 10 12
L, mm
Figura 25: Il diagramma di Bagley per un polistirene a 200C. I dati si riferiscono, dal
basso verso lalto, a valori di shear rate apparente compresi tra 100 e 10000 s-1
w, Pa
105
103
102
[Pa s]
101
100
102 103 104 105
-1
shear rate [s ]
31
gradiente effettivo alla parete mediante la (47) quindi possibile ricavare la viscosit
effettiva, riportata in Figura 27.
MFI
app 1.834 [ s 1 ] (51)
m
49.4 [ poise] (52)
MFI
dove la densit del polimero (in g/cm3) e m la massa in grammi del peso applicato. In
genere, la viscosit ottenuta dalla (52) sempre sovrastimata rispetto al valore effettivo.
32
I.3.4 Reometria estensionale
La viscosit elongazionale sicuramente pi difficile da misurare di quella di
scorrimento. Il motivo principale consiste nel fatto che molto difficile (quasi
impossibile) realizzare un flusso elongazionale stazionario. Non esiste, nel caso
elongazionale, l'equivalente del reometro rotazionale in shear, e quindi la possibilit di
applicare allo stesso liquido un flusso elongazionale per un tempo indefinito. In un flusso
estensionale, infatti, il fluido viene generalmente allungato in una direzione, e quindi la
sua sezione viene progressivamente ristretta. Si noti, di passaggio, che dalla definizione di
viscosit elongazionale (Equazione (35)), lo sforzo va misurato rispetto ad una sezione del
fluido che cambia continuamente nel tempo. In ogni caso, il progressivo aumento di
lunghezza e restringimento di sezione provocano ovvi problemi pratici: in particolare la
sezione di fluido non pu restringersi allinfinito, e in generale si pu assistere alla rottura
del materiale prima che vengano raggiunte le condizioni stazionarie di misura. Per questo
motivo molto spesso ci si deve accontentare di una misura transitoria della viscosit
elongazionale. Unaltra difficolt tecnica legata alla possibilit effettiva di realizzare un
flusso a gradiente di elongazione costante. Con riferimento alla estensione del fluido
schematizzata in Figura 7, facile mostrare che, per ottenere un gradiente costante,
necessario muovere il fluido con una velocit data da:
In altri termini, il flusso deve essere realizzato incrementando la velocit nel tempo in
maniera esponenziale, il che comporta seri problemi tecnici di realizzazione. Siccome il
raggiungimento di condizioni stazionarie elongazionali molto difficile, si preferisce
misurare una funzione di viscosit in transitorio, el , data da:
el t
el (54)
t
Viscosimetro a filamento
Si tratta del viscosimetro che riproduce proprio la geometria di flusso utilizzata per
la definizione della viscosit elongazionale. Il suo schema di funzionamento illustrato in
Figura 29: un cilindro di polimero fuso viene ancorato a due piatti affacciati, uno dei quali
viene posto in movimento con un profilo di velocit noto, possibilmente del tipo indicato
nella (53). Levoluzione del diametro D del filamento che si produce durante lestensione
viene osservata o misurata (con tecniche foto- o cinematografiche). Il gradiente di
allungamento pu essere cos determinato mediante lespressione:
2 dD
(55)
D dt
33
gradiente di allungamento. Durante lesperimento viene anche misurata la forza di trazione
T necessaria per tirare il filamento. Per ottenere lo sforzo di trazione si applica la (34):
T (t )
EL t (56)
D2 t
4
2v
(57)
L
dove v=Rc (con velocit angolare e Rc raggio delle ruote) la velocit lineare di
trazione, ed L la lunghezza costante del campione.
34
A parte le difficolt di controllo di temperatura (comuni a tutti i viscosimetri
estensionali), lapparecchiatura presenta comunque alcuni aspetti problematici. Ad
esempio, il funzionamento delle pinze dentate certamente molto delicato. Il materiale
che fuoriesce dai lati deve essere continuamente rimosso, per evitare che il suo accumulo
in prossimit delle pinze possa causare il blocco dellapparecchiatura. Il sistema di
trazione e taglio particolarmente complicato dal punto di vista meccanico, ed soggetto
a stararsi facilmente.
2Q dR
x (58)
R 3 dx
dove Q la portata volumetrica ed R il raggio variabile della fibra. Anche in questo caso,
quindi, una misura visiva del profilo di R lungo z permette di ricavare il gradiente di
35
allungamento. Siccome lo sforzo di trazione anchesso legato al raggio del filamento
dalla relazione:
T
EL x (59)
R2 x
la misura della forza di trazione (fatta in corrispondenza delle pulegge di traino) permette
di calcolare una viscosit estensionale lungo la linea di filatura:
EL TR
EL (60)
2Q
dR
dx
Q ln
L (61)
R02
dove:
vL R02
(62)
v0 RL2
36
il rapporto di stiro, e RL il raggio della fibra al rullo di raccolta. Siccome lo sforzo al
rullo di raccolta dato dalla (59) per R=RL, si ottiene per la viscosit estensionale la
seguente espressione:
TL
EL (63)
Q ln
vL v0 Q 1 1 Q
2 2 (64)
L L RL R0 LRL2
TL
EL (65)
Q
37
muove in controrotazione rispetto al primo. Ne risulta che una strisciolina di polimero i
cui estremi sono attaccati ai due polimeri viene allungata in maniera molto simile a quello
che accade nel viscosimetro a pinze rotanti. La deformazione viene misurata nota la
velocit angolare dei cilindri secondo unespressione simile alla (57). La forza di trazione,
invece, viene ottenuta elaborando la misura di coppia effettuata dal trasduttore del
reometro rotazionale.
Il sistema permette di ricavare levoluzione temporale della viscosit estensionale.
Numerose esperienze condotte nei pochi anni trascorsi dalla sua commercializzazione
hanno permesso di dimostrare la validit dellapparecchiatura, che si associa anche alle
dimensioni estremamente contenute rispetto ad altri reometri estensionali. Rimane la
limitazione, come anche in molte delle altre apparecchiature descritte, di non poter
applicare valori di velocit di deformazione e di Hencky strain troppo elevati.
4 p p , N
(66)
3 n 1 Pimb
3 n 1 Pimb 9 n 1 Pimb
2 2
EL (67)
8 32 p p , N
Nella (67) sono stati utilizzati gli stessi simboli gi introdotti nella descrizione del
reometro capillare.
Dalle (66) e (67) si ricava che la misura della viscosit estensionale richiede in
ogni caso la misura delle propriet di shear allinterno del capillare (e quindi lo sforzo di
shear alla parete p , la shear rate apparente p , N e lindice di flusso n) oltre alla
determinazione della perdita di imbocco, ricavabile dalla procedura di Bagley descritta
nello stesso paragrafo I.3.2.
Va comunque sottolineato che la viscosit elongazionale ricavabile dalla procedura
di Cogswell soffre di notevoli approssimazioni. A parte la crudezza della semplificazioni
che portano alle (66) (67) si deve considerare che il flusso nella sezione di imbocco per
definizione transitorio. Per tutto quanto detto in precedenza ci pu portare e errori anche
molto notevoli quando si voglia utilizzare questa tecnica per la determinazione della
viscosit elongazionale in condizioni stazionarie.
38
Sommario Sezione I.3
La reometria si occupa della apparecchiature e delle metodologie per la misura
sperimentale delle propriet reologiche
Per quel che riguarda le propriet in flusso di shear, queste possono essere determinate
utilizzando reometri rotazionali o reometri a capillare.
Nei reometri rotazionali le traiettorie percorse dal fluido sono chiuse e permettono la
determinazione delle propriet reologiche sia in condizioni stazionarie che transitorie.
In questultimo caso spesso possibile determinare con lo stesso reometro sia le
propriet viscose che quelle viscoelastiche. I reometri rotazionali sono tuttavia limitati
a valori relativamente bassi del gradiente di scorrimento.
Nei reometri a capillare le traiettorie sono rettilinee e sono misurabili solo le propriet
viscose in condizioni stazionarie. La non uniformit del campo di moto (shear rate
variabile) e la presenza delle perdite di imbocco rendono la procedura della
determinazione quantitativa della viscosit piuttosto laboriosa, e affetta da errori di
approssimazione. Il reometro a capillare tuttavia lunica apparecchiatura in grado di
misurare la viscosit di polimeri fusi ad alti gradienti di velocit.
La reometria estensionale molto pi complessa di quella in shear, per problemi legati
alla natura strutturalmente diversa del flusso e quindi al reale raggiungimento di
condizioni di flusso estensionale stazionarie. I reometri in commercio posseggono forti
limitazioni e spesso non sono in grado di portare alla determinazione della curva di
viscosit stazionaria. In alcuni casi la reometria estensionale viene implementata in
apparecchiature reali di processo, come nel caso della filatura.
39
I.4 Viscoelasticit e sua misura
Si consideri il seguente semplice esperimento su di un polimero fuso confinato tra
due piati paralleli (Figura 33). Si applichi una forza tangenziale ad uno dei piatti, in modo
da metterlo in movimento. Ad esempio questo pu essere realizzato applicando un peso in
modo tale che la forza verticale (costante) venga trasferita al piatto (Figura 33a). Il
polimero tra i piatti viene quindi sottoposto ad un flusso di scorrimento e si determina una
progressiva deformazione (Figura 33b). Ad un certo istante, si elimini istantaneamente la
forza, determinando cos una situazione di sforzo nullo sul piatto (Figura 33c). Si
osserver, in misura maggiore o minore a seconda del tipo di materiale e delle condizioni
sperimentali, un parziale recupero della deformazione imposta, che si manifesta con il
fatto che il piatto precedentemente in movimento ritorna parzialmente indietro (Figura
33d). Questo recupero elastico della deformazione del tutto assente in un materiale
puramente viscoso, e costituisce un esempio del comportamento viscoelastico del fuso
polimerico.
a) b)
c) d)
40
I.4.1 Elasticit delle gomme
Prima di analizzare in maggior dettaglio il comportamento viscoelastico dei liquidi
utile introdurre gli aspetti fondamentali dellelasticit riferendosi ad una particolare
categoria di solidi elastici, molto affine ai fusi polimerici, e cio quella delle gomme.
Supponiamo di inserire tra i piatti paralleli di Figura 33 un pezzo di gomma (ad esempio
un polibutadiene vulcanizzato). Al contrario dei liquidi, per i quali lapplicazione di una
forza determina un flusso che, a regime, si traduce in un movimento del piatto a velocit
costante, in questo caso la gomma viene istantaneamente deformata, nel senso che si
produce un rapido spostamento del piatto seguito dal suo arresto. La deformazione della
gomma una funzione crescente dello sforzo applicato. Per deformazioni non troppo
elevate, ovvero per sforzi inferiori ad una soglia critica, viene verificata una dipendenza di
proporzionalit diretta tra sforzo e deformazione:
G (68)
N1 G 2 (69)
La (69) conferma che gli sforzi normali diventano significativi solo a deformazioni
sufficientemente elevate, a causa della dipendenza quadratica dalla deformazione.
Il comportamento meccanico delle gomme completato dallanalisi della
deformazione estensionale. Anche in questo caso, in analogia con quanto introdotto nei
paragrafi precedenti, si suppone di fissare un pezzo di gomma ad un estremo e di tirarlo
dallaltro. Il solido risponde alla deformazione con una forza di trazione crescente con la
deformazione stessa. In particolare, la risposta della gomma ben descritta dalla
espressione:
3e 3e2 e3 3 1
el N L G G (70)
1 e
el 3Ge He (71)
41
cio lo sforzo estensionale direttamente proporzionale alla deformazione. La costante
H=3G il ben noto modulo di Young, che risulta quindi pari a tre volte il modulo di taglio
(almeno nellipotesi, generalmente ben rispettata, che la deformazione non produca
variazioni di volume della gomma).
Le (68)-(70) definiscono il cosiddetto comportamento neo-Hookiano delle gomme.
Esso descrive in maniera soddisfacente le misure sperimentali, come dimostrato ad
esempio in Figura 34 che riporta la risposta a trazione di una gomma siliconica. In Figura
34 T11 lo sforzo di trazione e =1+e il rapporto di stiro (vedi Equazione (4)). Si noti
che <1 corrisponde a esperimenti di compressione, mentre >1 si riferisce a prove di
trazione. Si noti anche che, per deformazioni sempre pi elevate, anche il modello neo-
Hookiano si dimostra inadeguato e altri modelli pi sofisticati devono essere utilizzati.
Questo tema va ben al di l delle finalit di questo libro.
42
viscoelastiche lineari, quelle cio ottenute quando il materiale sia sollecitato con piccole
deformazioni.
43
Da un punto di vista quantitativo lesperimento di creep permette di definire alcune
quantit rilevanti del comportamento viscoelastico. In primo luogo, invece di diagrammare
la risposta in termini di deformazione, si preferisce utilizzare la cedevolezza:
t
J t (72)
t t t
J staz t J eo J eo J eo (73)
0
44
rappresenta una misura dellenergia elastica immagazzinata nel fluido e restituita quando
lo sforzo viene rimosso. Va notato che la deformazione non viene recuperata
istantaneamente, come avverrebbe nel caso di una molla perfettamente elastica, ma che
richiesto un certo tempo per tale recupero. Questo anchesso diretta conseguenza della
natura viscoelastica del sistema: si ricordi che in un fluido puramente viscoso il recupero
sarebbe nullo (cio non avverrebbe nemmeno in tempi infiniti), mentre nel solido elastico
il recupero sarebbe totale e istantaneo. Ci significa che il tempo caratteristico necessario
al recupero della deformazione dipende dal carattere viscoleastico del fluido.
Riassumendo, lesperimento di creep effettuato per piccoli valori dello sforzo
restituisce la funzione cedevolezza J t . Da essa possibile ricavare la viscosit a shear
rate tendente a zero (plateau Newtoniano) e informazioni sul comportamento viscoelastico
date dalla cedevolezza stazionaria, dalla cedevolezza recuperata e dal corrispondente
tempo caratteristico.
t
G t (74)
Analogamente alla compliance la divisione della funzione sforzo (variabile nel tempo) per
la deformazione (costante) rappresenta una normalizzazione, e nel caso di piccoli valori
45
della deformazione applicata (regime lineare) il modulo di rilassamento risulta essere
indipendente dallo sforzo stesso.
46
natura di fluido viscoso. In prima approssimazione, il modulo di rilassamento ben
descritto da un decadimento di tipo esponenziale:
t
G t G0 exp (75)
0 sin t (76)
d
t 0 cos t (77)
dt
Sotto l'azione della deformazione periodica (76) il fluido risponder con uno sforzo
tangenziale che, se sono raggiunte condizioni stazionarie e nell'ipotesi di risposta lineare
del sistema (quindi per piccole deformazioni), sar del tipo:
(t ) 0 sin t (78)
In generale, cio, lo sforzo osciller alla stessa frequenza della deformazione forzante, ma
sfasato di un certo angolo . In maniera analoga a quanto riportato per gli esperimenti di
creep e di step-strain, le possibili risposte di vari materiali a questo tipo di flusso sono
schematizzate in Figura 39.
47
a) b) c)
G sin t G cos t (80)
0
dove G' e G'' hanno le dimensioni di un modulo e sono detti modulo elastico (o
conservativo) e modulo dissipativo (o viscoso) rispettivamente:
0
G cos
0
(81)
G 0 sin
0
Il nome dato a G' e G'' dipende dal fatto che il primo rappresenta il contributo in
fase con la deformazione elastica o conservativa, il secondo quello relativo alla
48
componente viscosa, cio dissipativa. Si noti anche che, siccome i fenomeni oscillatori
lineari possono essere facilmente espressi da una matematica di numeri complessi (si
ricordi loscillatore armonico dei corsi elementari di fisica), i moduli viscoelastici possono
essere espressi attraverso un unico modulo complesso, G*, definito come:
G* G iG (82)
G*
* i (83)
i
In base allalgebra dei numeri complessi facile mostrare i seguenti legami tra le varie
grandezze viscoelastiche oscillatorie:
G G
,
(84)
1
G G G ,
* 2 2
* 2 2
G G
2 2
Fin quando la risposta del materiale lineare, nel senso che l'ampiezza dello sforzo
generato varia in maniera direttamente proporzionale allampiezza della deformazione, G'
e G'' non dipendono dall'ampiezza stessa ma sono solo funzione della frequenza. Il caso da
manuale proprio quello relativo alla risposta viscoelastica lineare di un polimero fuso, un
cui esempio riportato in Figura 40.
106
105
104
103
G', G" [Pa]
102
G'
101 G"
100
10-1
10-2
10-3 10-2 10-1 100 101 102 103 104
T [rad/s]
49
con il quadrato di . Ci significa che, in scala log-log, il modulo dissipativo
rappresentato da una retta di pendenza 1, quello elastico da una retta di pendenza 2.
Al crescere della frequenza G' tende a diventare relativamente costante,
raggiungendo un valore pari allincirca proprio al valore assunto dal modulo di
rilassamento negli istanti iniziali successivi allo step di deformazione (modulo di plateau).
G'', al contrario passa per un massimo pi o meno marcato per poi posizionarsi al di sotto
del modulo elastico. In questa zona la risposta del materiale, dominata da G', molto pi
simile a quella di un solido elastico. Si noti anche che la frequenza alla quale i moduli si
intersecano, detta frequenza di crossover, co, determina un altro parametro quantitativo.
Il suo inverso, infatti, che ha le dimensioni del tempo, risulta essere sostanzialmente pari
(almeno in ordine di grandezza) sia al tempo di rilassamento dellesperimento di step
strain che al tempo caratteristico del recupero della deformazione dellesperimento di
creep.
La risposta in frequenza rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria carta di
identit del fluido viscoelastico. Come gli altri test descritti in precedenza, permette di
ricavare informazioni quantitative sulle due componenti (elastica e viscosa) che
caratterizzano il materiale. In un successivo paragrafo verr mostrato che esiste un legame
quantitativo tra le grandezze viscoelastiche lineari ottenibili con i vari tipi di esperimenti.
E G E (85)
dove G un modulo elastico di taglio. Per lo smorzatore lo sforzo viscoso V sar legato
alla velocit di scorrimento dall'equazione (ipotesi di viscosit Newtoniana):
50
d V
V (86)
dt
E V (87)
d d E d V
(88)
dt dt dt
d E d
G E (89)
dt dt
Sostituendo la (86) e la (89) nella (88), e ricordando che lo sforzo lo stesso sia nella
molla che nello smorzatore, si ottiene infine:
d 1 d 1
(90)
dt G dt
d
(91)
dt
dove =/G ha le dimensioni di un tempo e viene detto tempo di rilassamento del modello
di Maxwell. Il suo legame con il tempo di rilassamento che scaturisce dalla fenomenologia
sperimentale descritta nei paragrafi precedenti diverr chiaro tra breve.
La capacit del modello di Maxwell di descrivere i comportamenti viscoelastici
sperimentali pu essere messa alla prova nel caso della cinematica di scorrimento. Si
tenga presente in ogni caso che la (91) rappresenta una equazione scalare per il solo sforzo
tangenziale. Ad esempio, niente si pu dire sugli sforzi normali in shear.
Nel caso di flusso di scorrimento stazionario, cio quando lo sforzo imposto non
varia nel tempo, dalla (91) si ottiene:
(92)
51
per t 0
G
(93)
t per t 0
G
In altri termini, sotto lapplicazione dello sforzo costante si assiste prima alla
deformazione istantanea della molla, seguita poi dal moto a velocit (e quindi shear rate)
costante dello smorzatore, che produce landamento lineare della deformazione.
Il confronto tra la previsione del modello di Maxwell in creep e il tipico
comportamento esibito nella realt dai fluidi viscoelaestici qualitativamente
rappresentato in Figura 42. La risposta del modello di Maxwell pi spigolosa rispetto
al comportamento reale. In particolare non viene ben prevista la transizione tra il
comportamento a tempi brevi, controllato dalla componente elastica, e quello a tempi
lunghi dominato dalla risposta viscosa. In generale, si pu dire che il modello di Maxwell
pi limitato nel descrivere le situazioni in cui viene imposto uno sforzo.
time
G per t 0
t (94)
t G exp per t 0
d
0 cos t (95)
dt
52
La soluzione della (95), gi messa in termini di modulo, fornisce:
G sin t G cos t (96)
0
con
G G
1
2
(97)
G =G
1
2
53
frequenza questo tipo di approccio porta alle seguenti espressioni per i moduli
viscoelastici:
i
2
N
G Gi
1 i
2
i 1
(98)
N
i
G Gi
1 i
2
i 1
N
t
G t Gi exp (99)
i 1 i
54
0 G t dt tG t d ln t (100)
0
G
0 lim (101)
0
Unaltra espressione per la viscosit di plateau, ricavabile dalla misura di creep,
gi stata proposta in precedenza (vedi Equazione (73)). Si ha:
t
0 (102)
J staz t J eo
dove J(t)staz un qualunque valore della cedevolezza nel tratto lineare della risposta di
creep e t il corrispondente tempo di misura. Le relazioni precedenti confermano che la
viscosit di plateau pu essere ricavata, in linea di principio, da qualunque test
viscoelastico lineare.
La (103), oltre a individuare un legame tra creep e step strain, indica anche una ulteriore
strada per la determinazione della viscosit di plateau, accoppiando i risultati dei due
diversi test.
I risultati degli esperimenti di creep e di step strain possono essere utilizzati anche
(e soprattutto) per la determinazione del tempo di rilassamento del fluido viscoelastico.
Infatti, se la deformazione applicata nel creep e la shear rate raggiunta nella parte
stazionaria del test, il tempo di rilassamento ricavabile come:
55
(104)
tG t dt
0
(105)
G t dt
0
0 (106)
J eo
Va detto che tutte le relazioni che coinvolgono vanno sempre intese come riferite
al pi lungo tempo di rilassamento del fluido viscoelastico. La presenza di una
molteplicit di tempi di rilassamento, gi introdotta nel paragrafo I.4.6, verr ulteriormente
approfondita nel seguito.
G
lim (107)
0 G
E importante sottolineare che, come nel caso della viscosit di plateau, la (107)
valida solo se la frequenza delloscillazione sufficientemente bassa da poter considerare
il materiale nella cosiddetta zona terminale. Ci significa che G e G presentano
rispettivamente dipendenza quadratica e lineare con la frequenza, assicurando quindi che il
rapporto nella (107) sia effettivamente costante.
Una importante relazione alternativa alla (101) tra viscosit di plateau e modulo
dissipativo data da:
2
G d
0 (108)
0
2 G
G0 d (109)
0
56
La (109), accoppiata alla (100) e alla (108) mostra immediatamente uno dei legami tra la
risposta in frequenza e quella di step strain:
2
G d G t dt
(110)
0 0
N
t
G t Gi exp (111)
i 1 i
H t
dG , t exp d (112)
H t t
G t exp d H exp d ln (113)
0 0
H G1 1 1 (114)
57
dove (x) la funzione impulso di Dirac. La funzione impulso, come dice la parola stessa,
descrive unimpennata (in teoria di altezza infinita e durata nulla) di una grandezza. Per
rendere questo concetto si utilizza la rappresentazione grafica di Figura 44.
cio lintegrale su tutto il dominio del prodotto della funzione impulso per una qualunque
altra funzione pari al valore che questultima assume in corrispondenza dellargomento
della funzione di Dirac pari a zero.
Inserendo la (114) nella (113) e utilizzando la (115) si ottiene:
G0 0 0 t t
G t exp d G0 exp (116)
0 0
58
H
G d (118)
1
0 2
105
104
103
102
H() [Pa]
101
100
10-1
10-2
10-3
10-4
10-3 10-2 10-1 100 101 102 103
[s]
dG 1 d 2G
H 2
(119)
d ln 2 d ln 1 2
59
Le propriet viscoelastiche lineari ottenibili dai vari test sono tutte collegate tra loro.
Le corrispondenti relazioni quantitative permettono di ottenere le varie propriet
reologiche (componente elastica, componente viscosa, tempo di rilassamento) in
maniera intercambiabile.
Alla rappresentazione discreta del comportamento viscoelastico possibile sostituire
una rappresentazione continua basata sul cosiddetto spettro di rilassamento. Anche in
questo caso possibile definire le relazioni quantitative che legano lo spettro di
rilassamento ai vari parametri macroscopici che caratterizzano il comportamento
viscoelastico.
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