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NovaHistorica Frontespizio + Indice:- 08/01/15 16:41 Pagina 1

Comitato di Direzione
Francesco Bonini, Simona Colarizi,
Giuseppe Parlato (coordinatore),
Gaetano Sabatini

Comitato Scientifico
Ester Capuzzo (La Sapienza.
Universit di Roma)
Massimo de Leonardis
(Universit Cattolica - Milano)
Fernando Garcia Sanz (CSIC - Escuela
Espanola de Arte e Historia)
Paolo Nello (Universit di Pisa)
Roberto Pertici (Universit di Bergamo)
Carmen Gonzlez Martnez
(Universit di Murcia)
Valery Mikhailenko (Universit degli Urali)
Metin Venxha (Universit di Kora)

Comitato di Redazione
Coordinatori:
Silvio Berardi, Vittorio Bonacci

Componenti:
Danilo Breschi, Matthew DAuria,
Emilio Gin, Simone Misiani,
Rodolfo Sideri, Marco Zaganella

Direttore responsabile
Luciano Lucarini

In copertina: Umberto Boccioni,


Carica di lancieri - Carica di cavalleria, 1915

Via G. Serafino, 8
Rivista trimestrale 00136 Roma
Anno XIII n. 51 - 2014
Registrata presso il Tribunale di Roma Tel. 06 45468600
con il n. 51/2003 del 5 febbraio 2003 Fax 06 39738771
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INDICE

EDITORIALE p. 5

SAGGI

Giuseppe PARLATO La seconda segreteria Almirante e il successo


del Msi nel 1972 p. 9
Gregorio SORGON Politica economica e questione operaia
nel dibattito del gruppo dirigente del Pci
tra il 1957 e il 1965 p. 51

NOTE E DISCUSSIONI

Silvio BERARDI Il mito e il pensiero di Giuseppe Mazzini nei nuovi


Stati africani tra Ottocento e Novecento p. 87

OSSERVATORIO

Valerio TORREGGIANI Nuove prospettive di ricerca sul corporativismo


in Europa p. 111
Simonetta BARTOLINI Il romanzo storico nel III millennio:
se il revisionismo diventa epica dellequivicinanza p. 125

DOCUMENTI

Mila MIHAJLOVIC Il salvataggio dellesercito serbo nel 1915,


con un documento inedito dello Stato Maggiore
dellEsercito p. 139
Guglielmo DUCCOLI Il testimone bugiardo.
Il crollo del campanile di Venezia e i falsi fotografici p. 169

RECENSIONI p. 181

Rodolfo SIDERI A. Cavaterra, La rivoluzione culturale di Giovanni


Gentile. La nascita dellEnciclopedia Italiana
Danilo BRESCHI E. Garin, U. Spirito, Carteggio 1942-1978,
a cura di M. Lodone
Emilio GIN A. Martini, Prigionieri del nostro mare.
Il Mediterraneo, gli Inglesi e la non belligeranza
del Duce (1939-1940)
Valerio DI ZENZO L. Spinelli, Il Sionismo in Italia e nella politica
estera fascista

NOTE BIOGRAFICHE DEGLI AUTORI p. 199


5

ova Historica intende presentarsi come un luogo di


discussione libero e privo di pregiudizi ideologici o
storiografici, nella pi ampia indipendenza di analisi
e di ricerca, sia in ordine ai temi, sia in ordine alle interpretazioni.
Nova Historica intende essere scientifica anche in un senso
tecnico e formale, e cio adeguandosi, fin dallinizio della nuova
direzione, alle indicazioni ministeriali relative allassicurazione dei
parametri di qualit oggi richiesti. La direzione intende procedere
verso un rinnovamento, sia in termini metodologici, accogliendo
cio gli apporti che provengono dagli studi interdisciplinari, come
si dir meglio appresso, sia in termini di contenuti, sia infine nelle
aperture di carattere scientifico alle nuove declinazioni della disci-
plina storica.
Per questo, passando dalle considerazioni generali a quelle un
po pi specifiche, occorre sottolineare che il comitato di direzio-
ne lespressione di una confluenza di profili diversi: la storia
politica dellOttocento e del Novecento, la storia economica e la
storia delle istituzioni. La finalit rendere pi ampia e pi espli-
cita, rispetto ad altre riviste, la compresenza di discipline affini e
complementari attraverso le quali sia possibile precisare una li-
nea di ricerca non svincolata dal reale. La forte presenza di un
tema centrale per la cultura e la societ contemporanea come
quello dellEuropa, ad esempio, pu essere utilmente affrontato a
livello di ricerca anche attraverso questa prospettiva con esiti
scientifici di particolare attualit, unendo la storia politica, quella
economica e sociale con quella delle istituzioni politiche ed eco-
nomiche.
Questa confluenza vuole anche sottolineare la necessit di ri-
vendicare come centrale il metodo storico nel momento in cui
6
diversi segnali confermano come siano in crisi, dal punto di vista
interpretativo oltre che da quello della ricostruzione, quelle me-
todologie che prevedono la sostituzione del metodo storico, fatto
di analisi documentaria e di rigore interpretativo conseguente,
con altri modelli estranei alla storiografia.
Infine, si vuole anche ribadire che la complessit della storia
costituisce un valore, contro non soltanto le ideologizzazioni, ma
anche contro le varie banalizzazioni e semplificazioni oggi fre-
quenti sui media, con cui si cercher comunque un dialogo co-
struttivo.
La denominazione della rivista, Nova Historica allude alla
compresenza di elementi di novit in una struttura classica, sot-
tolineata dalluso della lingua latina. Si cercato di proseguire
tale indicazione di origine nella struttura e nella tipologia dei
contenuti.
La rivista manterr la sua periodicit trimestrale ma, a diffe-
renza del passato, un numero, quello di settembre, sar monogra-
fico. I tre numeri non monografici avranno, come si evince gi dal
presente fascicolo, una struttura classica e innovativa insieme.
Il numero si apre con la sezione Saggi, che prevede normal-
mente due contributi di ampie dimensioni; a differenza di molte
altre riviste, non riteniamo che la stringatezza dei saggi scientifi-
ci sia necessariamente un valore; in tal senso si deciso di lascia-
re ampia disponibilit allo studioso, che potr avvalersi di uno
spazio assai consistente nella redazione dei saggi.
La seconda sezione quella delle Note e discussioni,
anchessa piuttosto tradizionale, che prevede elaborati meno am-
pi di quelli presenti nella sezione precedente e soprattutto temi
pi specifici o discussioni su argomenti anche di ampio respiro
ma pensati con taglio essenzialmente interpretativo.
La terza sezione quella dei Documenti: ci pare opportuno
presentare, in ogni numero, un documento inedito particolar-
mente significativo, ovvero una memoria redatta per loccasione,
ovvero ancora un documento edito ma scomparso alla disponibi-
lit degli studiosi, come per lappunto quello che si presenta in
questo numero, e cio la relazione ministeriale sul salvataggio
dellesercito serbo da parte della Marina militare italiana tra il
7
1915 e il 1916. La sezione documenti presenter, in ogni numero,
anche una sottosezione fotografica dedicata a un evento partico-
lare: lo scopo quello di utilizzare anche la fotografia come mo-
mento interpretativo e documentario. In questo numero vi una
interessante rappresentazione fotografica relativa al crollo del
campanile di San Marco a Venezia, con una curiosa presenza di
falsi fotografici.
La quarta sezione dedicata agli Osservatori. Si tratta di
contributi, in genere due, che intendono aggiornare il lettore, da
un lato, sulle nuove tendenze in termini di ricerca storiografica
relativamente alle tre discipline sulle quali si articola la rivista e,
dallaltro, sulle varie applicazioni della storia: dalla didattica al
rapporto con cinema, teatro o romanzo, dalle relazioni tra storia
e arti figurative alla presenza sempre pi massiccia e non sempre
di alto livello della storia su web e in tv.
Lultima sezione infine dedicata alle recensioni e alle schede.
Il numero monografico invece non seguir la struttura a se-
zioni test illustrata ma sar composto di soli saggi; pu essere
prevista una sezione documentaria, ma non sono previsti n gli
Osservatori, n le recensioni e le schede.
Il numero monografico diventer un volume di una collana
che lEditore ha gi previsto, Collana Nova Historica, nella
quale ovviamente confluiranno anche monografie specifiche.
Tutti i contributi saranno corredati di note a pi di pagina ed,
escluse le recensioni e le schede, di abstract in inglese.
LEditore infine ha previsto la possibilit di accedere alla rivi-
sta on line, consultando anche solo il singolo articolo, oltre
allintero numero.
La struttura della rivista, oltre che dal Comitato direttivo,
composta dal Comitato di Redazione, nel quale sono presenti al-
cuni giovani studiosi con incarichi specifici nellambito tecnico-
redazionale della rivista e da un Comitato Scientifico internazio-
nale.
In buona misura, la realizzazione di una rivista storica, in un
periodo di crisi come il presente, costituisce una sorta di scom-
messa sulle nostre capacit di interessare il lettore e la comunit
scientifica, ma soprattutto di coinvolgere i giovani nel percorso
8
di una ricerca libera e indipendente fornendo loro una palestra
nella quale la diversit delle opinioni e delle interpretazioni sar
lelemento distintivo e il vero valore aggiunto della rivista.

Francesco Bonini
Simona Colarizi
Giuseppe Parlato
Gaetano Sabatini
9

La seconda segreteria Almirante


e il successo del Msi nel 1972

di GIUSEPPE PARLATO

La successione

La morte del segretario del Msi Arturo Michelini, avvenuta il 15


giugno 1969, chiudeva una quindicennale fase nella storia della
Fiamma, nella quale il partito era passato da una lucida strategia
politica spesso identificata per semplificazione con la politica
dellinserimento a una progressiva perdita di voti e di consensi
soprattutto nellambito giovanile. I due momenti di crisi di que-
sta segreteria erano stati il mancato appuntamento di Genova nel
luglio 1960 e il Sessantotto. A Genova il Msi non soltanto non era
riuscito a celebrare il proprio congresso a causa della violenza
popolare, ma soprattutto non era riuscito a portare a termine
quelle trasformazioni di immagine e di sostanza che, nelle inten-
zioni di Michelini e nonostante le forti opposizioni della mino-
ranza intransigente guidata da Almirante, avrebbero trasformato
1
il Msi in un partito di destra moderata e postfascista .

1
Su Genova 1960, il mancato congresso missino e la rivolta della piazza si
vedano in generale P.G. MURGIA, Il luglio 1960, Sugarco, Milano, 1968; P.
COOKE, Tambroni e la repressione fallita, Teti ed., Milano, 2000; A. BENNA,
L. COMPAGNINO, 30 giugno 1960. La rivolta di Genova nelle parole di chi
Il Sessantotto invece non fu sostanzialmente compreso dalla
classe dirigente missina, la quale si trov riunita in una valuta-
zione del tutto negativa della rivolta, in nome di un anticomuni-
smo che allora sembr evidente dovere sostenere ma che succes-
10
sivamente determin una vera e propria diaspora nel mondo gio-
vanile neofascista, senza, per altro, produrre vantaggi elettorali al
Msi2.
La rivolta del 68 rischiava di compromettere la strategia mi-
cheliniana, quella strategia che, iniziata nella prima met degli
anni Cinquanta, ancor prima che Michelini diventasse segretario
del Msi, puntava a trasformare culturalmente e politicamente la
Fiamma in un partito di destra presentabile e spendibile, in grado
di lasciarsi alle spalle il fascismo, da consegnare agli storici. Il che
non significava rinnegare Mussolini e il suo regime, ma cercare di
essere fascisti in democrazia, con tutto quello che ci avrebbe
comportato: in primo luogo la difficile impresa di rendere compa-
tibile il fascismo con la democrazia. Difficile, ma non impossibile,
come avevano dimostrato le posizioni culturali e politiche di Erne-
sto De Marzio e Nino Tripodi, i quali rispettivamente con il Centro
di vita italiano e con lInspe (Istituto Nazionale di Studi Politici ed
Economici) avevano creato una percorso di formazione politica

cera, Frilli editore, Genova, 2002; A. BALDONI, Due volte Genova. Luglio
1960 luglio 2001: fatti, misfatti, verit nascoste, Vallecchi, Firenze, 2004;
J. CELLAI, Genova cinquantanni dopo. Linserimento mancato: il Msi dalle
origini al congresso del 1960, Sassoscritto, Firenze, 2010.
2
Sul 68 di parte missina o neofascista si vedano, tra gli altri, A. GASPARET-
TI, La destra e il 68, Settimo Sigillo, Roma, 2006; G. TAGLIENTE, S. MEN-
SURATI, Il Fuan. Trentanni di presenza politica nelluniversit, Atheneum,
Roma, 1982; A. BALDONI, Noi rivoluzionari. La Destra e il caso italiano.
Appunti per una storia 1960-1986, Settimo Sigillo, Roma, 1986; ID., La De-
stra in Italia (1945-1969), Pantheon, Roma, 1999, pp. 587 615; N. RAO,
Trilogia della celtica, Sperling & Kupfer, Milano, 2014, pp. 100-111; molto
interessante lintervista a Cesare Mantovani, presidente del Fuan nel 68, in
La crisi del sistema politico italiano e il Sessantotto, a c. di G. ORSINA e G.
QUAGLIARIELLO, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, pp. 249-264; per un
inquadramento complessivo, G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto. Il Msi
dalla contestazione alla destra nazionale (1968-1973), Istituto di Studi Cor-
porativi, Roma, 1992, pp. 15-89.
che usciva dal nostalgismo e si poneva in stretto dialogo con la
dottrina sociale cristiana prefigurando un accordo a livello cultu-
rale fra il fascismo moderato (antitotalitario, antirazzista e lontano
dai miti nazionalsocialisti) e il pensiero sociale cristiano quale si
11
era strutturato attraverso le encicliche pontificie.
Il 68 poneva invece altri interrogativi e faceva risultare im-
mediatamente obsoleta questa strategia: i giovani stavano supe-
rando sia lantifascismo, sia lanticomunismo, in nome di sintesi
confuse e politicamente non produttive, ma sicuramente pi affa-
scinanti della logica dellinserimento nel sistema. Molti dei gio-
vani che erano stati formati negli anni Cinquanta dai De Marzio
e dai Tripodi (da Accame a Gianfranceschi, da Legitimo a Vassal-
lo, solo per citarne qualcuno) si trovarono in difficolt: Accame,
per avere individuato elementi positivi nella contestazione, nel
68 dovette lasciare il Borghese3.
Inoltre, limmagine di Almirante e Caradonna alla Sapienza,
alla guida delle squadre che avrebbero dovuto contrastare
loccupazione rossa dellUniversit, aveva segnato un punto di
non ritorno per molti neofascisti presenti nellAteneo in termini
di contestazione al sistema. Ed ancor pi grave che insieme con il
cattolico, anticomunista e filo atlantico Giulio Caradonna (il cui
culto della violenza non era mai stato al servizio delleversione
ma semmai della preoccupazione di rimettere ordine laddove si
presumeva non ci fosse) ci fosse Giorgio Almirante, che aveva
dalla sua molti giovani e che si presentava s come il fascista, ma
il fascista intelligente e critico, il movimentista, erede semmai di
un fascismo eretico e rivoluzionario. La presenza di Almirante
convinse molti giovani dirigenti missini a dubitare della sua in-
transigenza, per altro pi volte sconfessata in occasione dei con-
gressi, allorquando il brillante e intelligente oppositore si metteva
daccordo con lapparato di maggioranza, come era accaduto a
Milano e a Pescara.
Che poi il Msi fosse il paladino del sistema che si sarebbe do-
vuto abbattere, questo per molti giovani e mano giovani (pen-

3
Si veda, a tale proposito, il racconto della vicenda in G. ACCAME, Fascismo
immenso e rosso, Settimo Sigillo, Roma, 1990, pp. 25-29.
siamo a Luciano Lucci Chiarissi e al gruppo de LOrologio, ma
pensiamo anche alla evoluzione di Ordine Nuovo e di Avanguar-
dia nazionale) risultava intollerabile.
Alla luce di questo complesso scenario, risult ancora pi dif-
12
ficile la scelta del nuovo segretario del Msi. A leggere la storia a
distanza di anni, la nomina di Almirante potrebbe apparire asso-
lutamente scontata4. Allora cos non fu. Almirante era sicura-
mente un punto di riferimento allinterno del Msi, ma soprattutto
della minoranza che a lui faceva capo. Uscito male dalla segrete-
ria nel gennaio 1950, la sua azione per 19 anni fu sostanzialmente
ambigua: da un lato lopposizione dura nelle parole e negli scritti,
dallaltro la flessibilit nel mettersi daccordo con Michelini, sal-
vando lunit del partito; da un lato lappoggio ai giovani e alle
frange pi radicali del partito, dallaltro la partecipazione
allazione alla Sapienza. Almirante controllava non pi di un terzo
del partito: una forte minoranza, esigente e poco incline al com-
promesso tanto che al congresso di Pescara era stato contestato dai
suoi dopo laccordo realizzato con Romualdi e Michelini.
La scelta di Almirante fu, come si disse unitaria e laccordo fu
raggiunto nel breve volgere di due settimane: il 29 giugno Almi-
rante veniva eletto allunanimit segretario. Comprendere come
si sia raggiunto rapidamente quellaccordo, porter a cogliere
meglio i motivi e le dinamiche della scissione di Democrazia na-
zionale del 1976.
Pino Romualdi, nella Intervista sul mio partito, nella quale
raccont il proprio ruolo e diede i propri giudizi in merito a qua-
rantanni di storia missina, sostenne che la scelta di Almirante
fu voluta da tutti, anche da ambienti esterni; una scelta di cui
5
non rest che prendere atto . La frase allude a una scelta in
qualche modo obbligata, sia dallunanimit dei consensi, sia da
agenti esterni che la suggerirono. La frase, in ogni caso, risulta
ancora oggi piuttosto criptica: Tarchi tra i pochi che si sia se-
4
Si veda ad esempio il recentissimo volume di A. GRANDI, Giorgio Almirante.
Biografia di un fascista, Sperling&Kupfer, Milano, 2014, pp. 272 che alla que-
stione dedica pochissime righe.
5
P. ROMUALDI, Intervista sul mio partito, in Proposta Nazionale, n. 3-4,
maggio-agosto 1987.
riamente interrogato su questa battuta di Romualdi, senza per al-
tro venirne a capo: lipotesi che la Confindustria avesse deciso di
appoggiare la candidatura di Almirante effettivamente poco
probabile6. Tuttavia, Romualdi non era persona che si dilettasse
13
in provocazioni gratuite: piuttosto era stato un elemento che a-
veva svolto un fine e sotterraneo lavoro tra le quinte nella fase
clandestina del neofascismo. lo stesso Tarchi che, analizzando
la questione, a fare riferimento alle tesi del governo invisibile
di Giorgio Galli7, a proposito del quale occorre dire che non vi
mai una unica linea direttiva, ma ve ne sono diverse, secondo i
momenti storici. Nel caso specifico, pi che ipotizzare, come mo-
stra di fare Tarchi, un consenso degli ambienti democristiani a
un Almirante tenuto sotto tutela dai micheliniani, si potrebbe
pensare allesatto contrario. Anche nel 1950, la Dc, uscito di sce-
na Almirante, dovette modificare la sua strategia: finch si trat-
tava di avere alla propria destra un partito di reduci e fortemente
legato al ricordo e allesempio di Sal, rappresentato, appunto,
dalla prima segreteria Almirante, la Dc non poteva temere alcun-
ch; quando invece ad Almirante successe De Marsanich con la
sua politica di apertura ai monarchici e con disegni moderati da
grande destra poi proseguiti e incrementati da Michelini la
Dc dovette impostare una politica diversa esercitando un pi at-
tento controllo del Msi (repressione giovanile, revoca del III con-
gresso di Bari, contenimento delloperazione Sturzo, legge Scel-
ba); soltanto dopo il 1953, in una situazione obiettivamente diffi-
cile per la coalizione centrista, ci furono le note aperture dei go-
verni monocolori alle destre.
Almirante quindi, se vogliamo dare credito alla battuta di Ro-
mualdi, rappresentava per gli ambienti del governo invisibile un
elemento di maggiore sicurezza, almeno nel giugno 1969, rispetto
ai moderati della corrente di Michelini. Poi evidentemente le cose
cambiarono, non appena giunsero i primi risultati positivi al nuo-

6
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo,
intervista a cura di A. CARIOTI, Rizzoli, Milano, 1995, pp. 74-75.
7
G. GALLI, La crisi italiana e la destra internazionale, Mondadori, Milano,
1974.
vo corso missino e non appena ci si avvide che Almirante, almeno
per certi aspetti, stava continuando la politica di Michelini.
Vi comunque unaltra interpretazione della successione a
Michelini che per altro non affatto alternativa alla precedente
14
e proviene dallinterno del gruppo micheliniano. Il candidato
destinato naturalmente a succedere a Michelini era Giovanni Ro-
berti, segretario generale della Cisnal, il sindacato missino fonda-
to nel 1950 da Giuseppe Landi. Roberti ha raccontato che ritene-
va Almirante luomo pi adatto a galvanizzare il partito e che si
diede da fare a convincere i micheliniani ad appoggiare Almiran-
te8. In realt, come ha rivelato De Marzio, Roberti non aveva af-
fatto voglia di fare il segretario nel timore di non riuscire ad es-
sere cos abile come era stato Michelini nellimbrigliare
lopposizione di Almirante. Per cui si addivenne a un accordo:
Almirante avrebbe fatto il segretario a condizione di proseguire
la politica del suo predecessore, e cio realizzare quellapertura al
residuo movimento monarchico, che Michelini negli ultimi mesi
della sua segreteria aveva gi iniziato a perseguire9, allo scopo di
unire ambienti non fascisti e cattolici alla prospettiva di una de-
stra nazionale10.

8
G. ROBERTI, Lopposizione di destra in Italia 1946-1979, Gallina, Napoli, 1988,
pp. 237-239.
9
Ivi, pp. 236-7.
10
Io sapevo che Roberti non aveva voglia di fare il segretario del partito. Gli
proposi un incontro a tre con Almirante, per ottenere da lui assicurazioni che
avrebbe fatto la politica di destra nazionale (il nome fu suggerito da me e fu
tratto da un discorso di Salandra del 1921, che con quella denominazione volle
indicare lo schieramento comprendente i suoi deputati, i deputati nazionalisti
e quelli fascisti) (). Io sapevo che ad Almirante non interessava la politica ma
il potere. E accett una precisazione di Roberti secondo la quale la destra na-
zionale doveva essere lavvio per la trasformazione del partito in un partito di
destra democratica (cio democrazia nazionale). Almirante, non solo dette a-
dempimento allimpegno, ma acceler la marcia verso la trasformazione fina-
le (E. DE MARZIO, La mia destra e quella di Fini, in Meridiano Sud, 30 set-
tembre, 1995); si veda anche la memoria di De Marzio rilasciata a Raffaele
Delfino, sostanzialmente analoga con qualche dettaglio in pi (ci sono le paro-
le virgolettate con le quali Almirante accett di svolgere una politica di destra
e non di alternativa al sistema), in R. DELFINO, Prima di Fini, intervista a cura
di M. Bertoncini, prefazione di F. Perfetti, Bastogi, Foggia, 2004, pp. 90-91. In-
Pi precisa stata la testimonianza di Massimo Anderson, re-
sponsabile giovanile del Msi e fondatore nel 1971 del Fronte della
Giovent: la base giovanile scalpitava per limmobilismo cui era
stata costretta dalla malattia di Michelini:
15

Ecco perch lo stesso Gianni Roberti, che in un primo momento era


stato indicato dagli uomini di vertice come il naturale successore di
Michelini, propose un compromesso che, tutto sommato, poteva rive-
larsi fruttuoso: dare la segreteria ad Almirante a condizione che si im-
pegnasse ufficialmente a non discostarsi dalla linea politica della de-
stra. Non solo: una volta ottenuta la segreteria, Almirante avrebbe do-
vuto garantire la continuit accettando una sorta di direzione colle-
giale del partito, senza scompaginare i quadri dirigenti. Tale soluzione
fu concordata nel corso di una riunione informale alla quale partecipa-
rono, oltre a Roberti, Romualdi, De Marzio, Nencioni, Franz Turchi,
Tripodi. Furono consultati altri moderati, fra cui Mario Tedeschi e
Gianna Preda e nessuno, in verit, si dichiar contrario11.

Secondo Raffaele Valensise, invece, esponente della sinistra nazio-


nale e responsabile dellorganizzazione del partito nella gestione
Michelini e confermato a quellincarico da Almirante, la scelta del
successore era stata gi fatta dallo stesso segretario agli inizi di
maggio del 1969, attraverso la consultazione dei principali espo-
nenti del partito (Tripodi, Bacchi, Romualdi, Roberti, De Marzio e
lo stesso Valensise); secondo questultimo, alla soluzione Almiran-
te, caldeggiata da Michelini ad appena un mese e mezzo dalla fine,
si sarebbero opposti soltanto Roberti e De Marzio, non a caso colo-
ro i quali sarebbero stati, qualche anno pi tardi, i protagonisti
della scissione di Democrazia Nazionale12.

fine, nellintervista rilasciata a Rao, De Marzio si assume la responsabilit di


avere convinto Roberti a puntare su Almirante (N. RAO, Trilogia della celtica,
cit., p. 125).
11
M. ANDERSON, I percorsi della Destra, intervista di A. Ruggiero e prefazione
di M. Veneziani, Controcorrente, Napoli, 2003, pp. 73-74.
12
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto. Il Msi dalla contestazione alla destra
nazionale 1968-1973, Istituto di Studi Corporativi, Roma, 1992, pp. 93-94. Tale
testimonianza contrasta nella sostanza, se non nei tempi, con quella rilasciata
da Stefano Delle Chiaie, secondo la quale, nellambito di una dettagliata rico-
struzione, Michelini gli avrebbe confidato nei primi mesi del 1969 di non vole-
re assolutamente lasciare la segreteria ad Almirante; anzi, proprio per evitare
Il ritorno di Almirante alla segreteria del Msi sarebbe stato con-
cordato anche con Gastone Nencioni, presidente dei senatori
missini (il quale, per altro, non sarebbe stato particolarmente
premiato nella successione, visto che fu semplicemente con-
16
fermato al posto che gi occupava) soprattutto in merito alla que-
stione dei finanziamenti al partito, una parte dei quali sarebbe
passata per le mani di Nencioni13.
Lunica cosa certa, in questa vicenda, laspetto politico del pro-
blema: Almirante si rese disponibile a condurre unitariamente il
partito alla condizione di non abbandonare la politica di destra
che aveva caratterizzato la precedente gestione. Di fatto, fra
lAlmirante oppositore strenuo (con qualche compromesso) di
Michelini e della sua politica della grande destra e lAlmirante
di nuovo segretario, le differenze non sono poche e di poco mo-
mento.

ci aveva chiesto a delle Chiaie un accordo per il rientro di Avanguardia na-


zionale nel partito e il ritorno di Borghese al vertice della Fiamma (Cfr. S.
DELLE CHIAIE, Laquila e il condor. Memorie di un militante politico, Sperling
& Kupfer, Milano, 2012, pp. 57-59).
13
Secondo un sito anarchico, inverificabile dal punto di vista scientifico, un
collaboratore di Giorgio Pisan avrebbe assistito, nel gennaio 1969, pochi mesi
quindi dalla morte di Michelini, a un colloquio tra lo stesso Pisan (allora a-
mico di Almirante ma solo giornalista, non ancora entrato in politica) e Almi-
rante, a Roma, nella sede nazionale del Msi. In quella occasione Almirante,
davanti allo sconosciuto, avrebbe parlato di due linee di finanziamento per-
manenti delle quali fruiva in quel momento il partito: la prima, proveniente da
Assolombarda-Montedison, veniva gestita direttamente da Michelini; la se-
conda, di provenienza Cefis-Eni, passava per le mani di Nencioni. La prima si
era interrotta da poco tempo, probabilmente per la scalata Eni alla Montedi-
son; restava la seconda e questo rendeva strategico il ruolo di Nencioni anche
per la futura segreteria del partito. A parte la ricostruzione piuttosto surreale
dellincontro, risulta difficilmente credibile che Almirante abbia avuto la leg-
gerezza e lingenuit di raccontare cose riservate e delicate di fronte a estranei.
Tuttavia, nel merito, le notizie relative alle due linee di finanziamento risulta-
no verosimili. (Dal Forum 12 settembre 1969. Strage di Stato; si tratta di un
forum anarchico creato da ex appartenenti al Circolo 22 marzo da Rivista
Anarchica online).
La strategia di Almirante

Con la nuova segreteria Almirante ebbe quindi inizio un progetto


destinato a chiudersi quasi sette anni pi tardi, e cio con la scis-
17
sione di Democrazia Nazionale. Almirante impresse subito un no-
tevole impulso al partito impostando una strategia su tre direttrici:
da un lato, volle porre mano a una ampia ristrutturazione interna
del partito; dallaltro, volle tentare il recupero di coloro i quali si
erano allontanati dalla Fiamma; infine, volle dare visibilit al Msi
portandolo nelle piazze usando un linguaggio diverso da quello
che aveva caratterizzato il partito in precedenza.
Per quanto riguarda la ristrutturazione del partito, Almirante
fu costretto a moltiplicare i settori in cui si articolava la direzio-
ne, creando anche doppioni rispetto al passato, e ci sia per con-
trobilanciare i settori controllati dalla vecchia maggioranza, sia
per dare spazio ai propri uomini; si contarono pertanto 15 settori
nazionali, 7 uffici direttamente dipendenti dal segretario, 6 comi-
tati o consulte alle dipendenze dei responsabili di settore, 4 comi-
tati autonomi, 4 centri di cultura o di formazione, 9 commissioni
parallele a quelle parlamentari, 4 organizzazioni parallele (quelle
giovanili) e un Comitato finanziario14. Contemporaneamente, Al-
mirante provvedeva a rivitalizzare il partito attraverso incontri e
rapporti con i quadri (il 13 settembre per i quadri meridionali, il 21
per quelli del Nord); sempre in settembre, dal 10 al 15, si era tenuto
al Terminillo un corso di aggiornamento politico per i dirigenti gio-
vanili; analogo corso venne svolto i primi di novembre per le diri-
genti femminili, mentre a met dello stesso mese era stata la volta di
un incontro a Roma con tutti i consiglieri provinciali15.
Il nuovo corso era importante ma sostanzialmente serviva,
da un lato a rafforzare la leadership almirantiana rispetto allex
gruppo dirigente micheliniano, e dallaltro a rendere accettabile
presso i fedelissimi del nuovo segretario il fatto che la strategia di
Almirante fosse la stessa di Michelini, e cio fare forza
sullelettorato moderato e conservatore, atlantico e anticomunista

14
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 97 ss. e 112.
15
Ivi, p. 100.
per potere condizionare la Dc ed eventualmente aiutarla nel caso
in cui avesse intrapreso una linea affettivamente anticomunista;
se invece ci non fosse riuscito se cio la Dc avesse continuato
la sua politica considerata ambigua e di cedimento rispetto al Pci
18
il Msi si sarebbe qualificato come il partito pi deciso a contra-
stare la presa del potere del Pci e avrebbe raccolto intorno a s
pi ampi consensi.
La seconda fase della strategia fu il ritorno al Msi di coloro
che nei due decenni precedenti se nerano allontanati: una parte
della sinistra (non Pini e Pettinato, che nei confronti di Almirante
avevano una diffusa sfiducia personale e politica, tra laltro data-
ta non da qualche anno ma dalla Rsi16 e neppure di Massi, per il
quale non si tratt di un ritorno ma di un riavvicinamento) e
soprattutto Rauti e una parte cospicua di Ordine Nuovo, uscito
dal Msi nel 1956, dopo la sconfitta degli spiritualisti al congres-
so di Milano.
Tra i due gruppi vi era una differenza non da poco: se la sini-
stra negli ultimi anni era stata sempre pi isolata, Rauti aveva
dietro di s un gruppo non trascurabile, sia in termini numerici,
sia in termini di capacit organizzativa e politica.
La sinistra, dopo luscita di Pini e di Pettinato, nel 1952, dopo
che Francesco Palamenghi Crispi, che della sinistra nazionale era
considerato uno dei maggiori esponenti, aveva assunto importan-
ti ruoli istituzionali in Banca dItalia ed era uscito dalla scena po-
litica, dopo la diaspora dei gruppuscoli che si richiamavano al
terzaforzismo e allequidistanza fra Urss e Usa, si era divisa: una
parte era passata con il segretario Michelini, accettando la sua
politica dellinserimento; unaltra parte, quella intellettualmente
pi dotata culturalmente e con una non trascurabile componente

16
Sia Pini che Pettinato avevano rappresentato in Repubblica Sociale lala
moderata e aperturista che aveva trovato in Almirante e nel suo ministro,
Mezzasoma, una durissima opposizione. Pettinato attribu anche ad Almirante
sia la sospensione dalla direzione de La Stampa, avvenuta dopo il celebre
articolo Se ci sei batti un colpo, il 21 giugno 1944, sia la defenestrazione defini-
tiva dalla direzione del quotidiano torinese, lanno successivo (Cfr. G. PARLA-
TO, Introduzione a C. PETTINATO, Se ci sei, batti un colpo Cento articoli de
La Stampa per la storia della RSI, Lo Scarabeo, Bologna, 2008, pp. 35 e 41).
giovanile (Mario Bernardi Guardi, Francesco Pezzuto, Gaetano
Rasi, Giorgio Vitangeli, Franco Tamassia, Massimo Brutti, poi
approdato al Pci, solo per citarne alcuni), si era riconosciuta ne
LOrologio, la rivista di Luciano Lucci Chiarissi, una delle men-
19
ti pi aperte e lucide del neofascismo, che usc per un decennio,
dal 1963 al 197317.
Parte di questo gruppo (Rasi, Tamassia, Vitangeli), con Diano
Brocchi, sindacalista e collaboratore de LUniversale durante il
fascismo, e con esponenti della Cisnal, il sindacato vicino al Msi,
come Giovanni e Massimo Magliaro, Giuseppe Ciammaruconi e
altri, diedero vita alla Rivista di Studi Corporativi poi diretta da
Gaetano Rasi che si situ nella linea almirantiana, professandosi
il nuovo segretario nettamente corporativo e seguace
dellumanesimo del lavoro di Giovanni Gentile.
Tuttavia, nonostante lappoggio del vertice del partito, questo
gruppo Brocchi mor quasi subito, Massi era sempre impegnato
nellattivit accademica (ordinario a Roma di geografia economi-
ca, fu presidente per diversi anni della Societ Geografica Italia-
na18) non riusc a costituirsi come gruppo autonomo, n pot
incidere nella struttura politica della Fiamma, preferendo
unattivit prettamente culturale.
Ben diverso invece il discorso su Rauti e sul suo gruppo19.
Come disse Almirante a Gianpaolo Pansa in unintervista rila-
sciata i primi di dicembre del 1970 qualche giorno prima del
golpe Borghese lunico gruppo esterno al Msi che gli interessa-
va veramente era quello di Ordine Nuovo:

17
Su LOrologio si veda G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un pro-
getto mancato, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 372 ss.; si veda anche M. BOZZI
SENTIERI, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Nuove Idee,
Roma, 2007, pp. 107 ss.
18
Su Massi, oltre a Nazione Sociale. Scritti politici 1948-1976, a cura di G.S.
Rossi, Istituto di Studi Corporativi, Roma, 1990, si vedano gli atti del convegno
organizzato nel 2013 dalla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice e dalla
Societ Geografica Italiana su Ernesto Massi geografo e politico, a cura di A.
Perrone, attualmente in corso di stampa.
19
Una puntuale ricostruzione del rientro di Rauti e della sinistra si veda in
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 105 ss.
Mi chiese di prendere nota di un successo al quale teneva molto. Era
riuscito a riportare quasi per intero nellalveo del Msi lunico gruppo
esterno che gli interessava: lOrdine Nuovo guidato da Pino Rauti, il
pi consistente e il pi nobile. E aggiunse che la sua politica di con-
20
durre il partito in piazza gli aveva permesso di tenere con s i militanti
giovani, onesti, preparati e aggressivi20.

In effetti, il ruolo di Rauti allinterno del Msi non fu di mera fac-


ciata21. Anzi, proprio negli anni 1970-1973, lex capo di Ordine
Nuovo fu molto vicino al segretario, svolgendo il ruolo di consi-
gliere di Almirante. Probabilmente non lunico, ma senza dubbio
tra i pi ascoltati22.
poi da tenere presente che Rauti non si limit ad avere un
peso, ancorch significativo, dal punto di vista meramente perso-
nale: egli volle conferire al proprio ritorno nel Msi un valore di
rilievo, anche per smentire quanti non avevano affatto gradito
tale ritorno, interpretandolo come una sorta di tradimento del
progetto rivoluzionario; in effetti, coloro che non aderirono al
Msi ma continuarono lazione nel Movimento Politico Ordine
Nuovo ebbero nei confronti del loro ex leader polemiche che non
si limitarono allinvettiva. Secondo Rauti, il gruppo di Ordine
Nuovo non era abbastanza forte allesterno del Msi; per questo
motivo, il rientro avrebbe potuto rafforzare tale componente fino
al punto di condizionare Almirante23.
Anche per questi motivi, Rauti diede corpo e sostanza cultura-
li al proprio rientro nel partito, cosa, questa, che avrebbe dovuto
allarmare i micheliniani, i quali invece se se ne preoccuparono,

20
G. PANSA, Il revisionista, Rizzoli, Milano, 2009, pp. 405-406.
21
Il gruppo di Rauti ebbe anche importanti spazi istituzionali: 13 dirigenti di
Ordine Nuovo furono chiamati a fare parte del Comitato centrale del Msi,
quattro di costoro entrarono nella Direzione Nazionale (Rauti, Andriani, Ser-
monti e Maceratini).
22
Lo si evince dalle poche ma significative lettere di Almirante a Rauti rinve-
nute nellarchivio di questultimo, ora donato dalla famiglia alla Fondazione
Ugo Spirito e Renzo De Felice (AFUS, Archivio Fondazione Ugo Spirito, Fondo
Rauti, in corso di acquisizione).
23
G. GALLI, La crisi italiana e la destra internazionale, cit., p. 206.
non lo diedero a vedere24. Intanto usc Ordine Nuovo, una
nuova serie della rivista, meno rivoluzionaria che non nel pas-
sato e soprattutto priva di quegli accenni antisistemici e razzisti
che ne avevano connotato le precedenti serie. Su questo Almiran-
21
te era stato categorico, come spieg a Pansa in occasione della gi
citata intervista:

Il nostro un partito cattolico, compatto intorno a me e senza il lusso


delle correnti. Un partito che non pi rissoso e non ha nostalgie fasci-
ste. E soprattutto che ha messo da parte tutto lantisemitismo del vec-
chio regime fascista25.

Se la ripresa di Ordine Nuovo serv a Rauti per dimostrare agli


increduli che la politica da lui perseguita non era mutata rispetto
al passato, una vera novit fu invece rappresentata da Presenza,
una rivista presentata un po modestamente come agenzia, ma
che ebbe invece un ruolo essenziale nella definizione del nuovo
corso rautiano. Infatti lex leader di Ordine Nuovo non volle ri-
proporre le vecchie parole dordine del passato (tradizionalismo
aristocratico evoliano, razzismo in difesa dellOccidente minac-
ciato da ebrei, zingari e comunisti26), bens passare alla individu-
azione di nuovi metodi di lotta politica: dallanalisi della sanit
agli enti locali, dal problema della povert a quello della crisi e-
nergetica, dallurbanistica alla storia, dalla ecologia alla demo-
grafia. Presenza, diretta prima da Giulio Maceratini, quindi, dal
1971, dallo stesso Rauti, ebbe una importante funzione tecnica e

24
Sui dubbi nellambiente moderato circa il ritorno di Rauti nel partito, si ve-
da M. ANDERSON, Op. cit., p.76.
25
G. PANSA, Op. cit., p. 406. Peraltro, in una biografia giornalistica di Giorgio
Almirante, fondata pi su testimonianze orali che su documenti, si legge che
Almirante nel 1969 sapeva bene cosa pensano di Hitler e degli ebrei quelli di
Ordine Nuovo, conosce quelli che per anni saranno i loro testi fondamentali,
la loro simpatia per il filosofo Julius Evola (V. LA RUSSA, Giorgio Almirante.
Da Mussolini a Fini, Mursia, Milano, 2009, p. 137).
26
Si veda, per tutti, come esempio, larticolo non firmato (e quindi redaziona-
le), Razzismo speranza dEuropa, in Ordine Nuovo, n. 4-5, luglio-agosto
1955, ora nella ristampa anastatica Ordine Nuovo mensile di politica rivoluzio-
naria 1955, a c. di S. Pessot, Novantico editrice, Pinerolo, 2012, pp. 79 ss.
pedagogica in un ambiente piuttosto chiuso alla professionalit e
alla ricerca di nuove dimensioni della politica, uscendo con fasci-
coli monografici sui nuovi temi sui quali lattualit politica si co-
niugava.
22
Un ruolo particolare ebbe, dal punto di vista culturale, in que-
sto periodo la figura di Adriano Romualdi. Figlio di Pino, fonda-
tore del Msi e teorico di una linea aperturista e occidentale, A-
driano fu uno degli intellettuali pi completi e interessanti
dellambiente. Attivista della Giovane Italia al liceo Giulio Cesa-
re di Roma, si laure con De Felice e con Romeo alla Sapienza,
un po clandestinamente, visto che, per la sua fama di intellettua-
le e soprattutto di attivista, nessun professore lo voleva laurea-
re27. Quello che di Romualdi qui ci interessa, e che Rauti assunse
come linea programmatica della sua componente, fu luscita dal
nostalgismo neofascista, in termini ben diversi da quelli che ca-
ratterizzarono i micheliniani, cattolici e moderati.
Adriano Romualdi condusse per primo, in quellambiente, un
duro attacco al nazionalismo, compreso a quello fiancheggiatore
del fascismo, proprio mentre il Msi si accingeva a fare laccordo
con i monarchici e ad assumere quella linea di destra nazionale
che lavrebbe dovuto qualificare nellambiente moderato, cattoli-
co, nazionale e anticomunista. Lattacco al nazionalismo non era
ovviamente condotto in nome dei principi illuministici dell89,
bens in nome di valori tradizionali per i quali lo stesso concetto
di nazione appariva rivoluzionario e contrario allordine natu-
rale gerarchico. In questo contesto veniva posto sotto accusa lo
stesso fascismo, nella misura in cui si discostava dai miti euro-
peistici tipici del nazionalsocialismo nonch da quei movimenti
che, nellEuropa degli anni Trenta e Quaranta, avevano sostenuto
tesi razziste e totalitarie. Lattacco di Romualdi era chiarissimo e
senza equivoci:

Diciamolo francamente: accenti, slogans, simboli e motivi di questa de-


stra sono ormai qualcosa di superato, spesso di patetico, talvolta di ri-
dicolo. Allorigine di tutto ci sta il rapido deterioramento della tema-

27
Cfr. R. SIDERI, Adriano Romualdi. Luomo, lopera e il suo tempo, Settimo
Sigillo, Roma, 2012, pp. 9-10.
tica del nazionalismo dopo il 1945, dovuto al venir meno della ragione
storica delle piccole patrie europee di fronte alla Russia e
allAmerica.() Lidea di nazione, qual stata elaborata dalla cultura
romantica come sintesi dei valori di un popolo in antitesi ai valori degli
altri popoli europei, anchessa insufficiente a contrastare i miti inter- 23
nazionalistici della democrazia e del comunismo, di cui si fan scudo gli
imperialismi russo e americano: solo unideologia del nazionalismo eu-
ropeo lo potrebbe. () Il vocabolario della Destra (come il suo guarda-
roba, del resto: certe sezioni di partito stanno tra il negozio di rigattiere
e il sepolcro) ormai terribilmente demod e non ci si pu meravigliare
se i giovani voltano le spalle a tutto questo ciarpame. La Destra vec-
chia e non ha pi unidea. Rispondere: fascismo presuppone almeno
la coscienza che il fascismo di domani non pu pi essere quello di ieri,
quello dellItalia sola e autosufficiente, la quale sia chiaro non esi-
ster pi28.

Pertanto, dopo il 1968, allinterno della destra italiana si operaro-


no almeno tre interessanti esperimenti culturali, ben lontani fra
loro, in merito alluscita dal fascismo: o in senso moderato e isti-
tuzionale con qualche richiamo alla dottrina cattolica (come De
Marzio, Roberti e gli altri micheliniani avrebbero voluto), o in
senso totalmente alternativo al quadro di riferimento politico,
quindi rivoluzionario, secondo quello che Rauti e Romualdi pro-
ponevano, in una dimensione che privilegiasse le ideologie
dellordine nuovo europeo negli anni fra le due guerre mondiali;
ovvero ancora la linea della sinistra nazionale rappresentata
dalla rivista LOrologio, per una iniziativa europea in termini
di lotta contro i due blocchi e a favore dei movimenti anticolo-
nialisti in Africa e in Asia. Questultima posizione fu quella che
fatic maggiormente ad accettare linserimento organico nel Msi,
preferendo porsi su posizioni critiche rispetto alla Fiamma.
In mezzo, fra i due poli che accettano di operare allinterno
del partito, cera Almirante, che di entrambi aveva bisogno per
rafforzarsi ed eventualmente per poterli superare. Se i due poli
erano intenzionati, ciascuno in termini diversi e alternativi fra
loro, a superare, storicizzandolo, il fascismo e a cercare vie nuove

28
A. ROMUALDI, La destra europea e la crisi del nazionalismo, in Id., Una cul-
tura per lEuropa, a cura di G. Malgieri, Settimo Sigillo, Roma, 1986, pp. 32 ss;
ora nella terza ed. 2012.
per la destra italiana, Almirante cerc invece di applicare una
strategia essenzialmente desunta dal fascismo nella sua scalata al
potere e in questo senso si pu parlare di nostalgismo almiran-
tiano.
24
Se fino ad allora Almirante aveva rappresentato lelemento di
punta della componente pi intransigente ed identitaria, assolu-
tamente contrario alla politica della destra nazionale operata da
Michelini, ora egli compiva un interessante rvirement: per arri-
vare alla segreteria accett di realizzare quella politica che prima
contestava anche duramente, ma a una condizione, che non era
tanto quella della propria segreteria, quanto quella di fare accet-
tare a tutti il metodo fascista, certo che in quellambiente sarebbe
stato accolto positivamente.
Tale metodologia si articolava in tre momenti: in primo luogo
si trattava di riconoscere la necessit di ricompattare il neofasci-
smo. Con Michelini vi era stato un progressivo affinamento della
proposta moderata con la progressiva fuoriuscita delle ali non
compatibili, allo scopo di giungere alla presentabilit esterna del
Msi: erano uscite la sinistra di Pini e Pettinato, poi quella di Mas-
si, infine la destra di Ordine Nuovo. Almirante, in questo senso
annullava di fatto lopera di Michelini: cos rientravano prima la
componente rautiana, quindi la sinistra.
Almirante cos poteva prepararsi per la seconda fase, quella
della nuova destra nazionale, giovane, dinamica, vivace e se ne-
cessario aggressiva nelle piazze, ben diversa da quella micheli-
niana29; come il fascismo era stato un fascio di forze diverse, cos
la destra nazionale poteva presentare tre componenti diverse: il
centro rappresentato da Almirante, in continua mediazione, ma
sostenuto dai risultati; la sinistra nazionale e corporativa, debole

29
La nuova aggressivit missina, in luogo del compassato stile del ragio-
nier Michelini, suscit limmediata reazione di Pietro Nenni e alla data del 26
maggio 1970, in seguito a una trasmissione di Tribuna Politica, lanziano
leader socialista annot nel suo diario: Siamo al punto che ieri Almirante ha
potuto alla TV auspicare una soluzione greca della nostra crisi politica e socia-
le, aggiungendo che il Msi non in grado di fare da solo questa operazione,
ma si offre come pattuglia dassalto (P. NENNI, I conti con la storia. Diari
1967-1971, Sugarco editore, Milano, 1983, p. 472).
numericamente, ma che per Almirante appoggiava, assorbendo-
la, pi che rafforzandola; e la destra che predicava lalternativa al
sistema.
Il Msi, esattamente come il fascismo, poteva presentarsi di si-
25
nistra, se necessario, in campo sociale, con la socializzazione e la
rappresentanza corporativa; conservatore e istituzionale per ras-
sicurare i moderati e per portare avanti la destra nazionale con
monarchici, cattolici ed eventualmente frange liberali; rivoluzio-
nario per galvanizzare i giovani, agitando unalternativa al si-
stema che prefigurava confusi nuovi scenari di societ; in ogni
caso il Msi poteva dichiarare di avere superato il dilemma fasci-
smo-antifascismo e nello stesso tempo presentarsi come il conti-
nuatore di uneredit complessa e pesante come quella fascista30.
Almirante non era nuovo a tale strategia: aveva tentato una
metodologia analoga nella prima segreteria (1947-1950), con risul-
tati disastrosi e scontentando tutti: pensare cio che, senza essere
al governo e senza la crisi dello stato liberale come nel 1919-21,
fosse possibile presentarsi come partito di sintesi, destinato a
diventare un modello di societ nella quale tutte le componenti
potessero riconoscersi ed essere rappresentate, determin la crisi
del partito e la necessit di sostituire Almirante alla segreteria
prima con Augusto De Marsanich, quindi con Michelini: costoro,
pur essendo fascisti a tutti gli effetti, avevano accuratamente scar-

30
Nellarticolo comparso sul Secolo dItalia il 1 gennaio 1970, Almirante espo-
se i termini della sua azione presente e futura. Per passare dallalternativa mo-
rale al centrosinistra e al comunismo a quella politica, bisognava andare oltre
gli angusti limiti e schemi dei reducismi e dellideologia per prendere atto che si
chiusa una fase storica () Il nostro passato si chiama Msi () Essere missini
oggi significa aver superato la polemica fascismo-antifascismo () avere co-
raggiosamente affermato la necessit () di non mandare dispersa una eredit
e una continuit di idee e principi, di costante politica e nazionale ed europea
che il movimento fascista ha tramandato a tutti gli italiani; e avere con altret-
tanto coraggio vissuto una diversa esperienza, accettandone nel bene e nel
male gli insegnamenti, respingendo ogni tentazione eversiva, filtrando il pas-
sato nel presente, sottoponendoci, giorno per giorno a un riesame critico e,
non temiamo di aggiungerlo, autocritico che ci consenta di presentarci alla
pubblica opinione come un movimento moderno, attuale, aggiornatissimo e al
tempo stesso ricco di tradizione.
tato lipotesi di ricalcare la strategia vincente di Mussolini, pen-
sando che in una societ pluralistica si dovesse avere una propo-
sta politica la pi omogenea possibile senza quella doppiezza che
era stata la caratteristica di Togliatti (e che port al fallimento del
26
progetto rivoluzionario del Pci) e che era stata ancora prima la
carta vincente di Mussolini: il fascismo era rivoluzionario o con-
servatore, democratico o dittatoriale secondo le opportunit della
situazione e secondo le necessit31.
Tra laltro, proprio questo problema sarebbe stato evidenziato
dalla domanda di autorizzazione a procedere presentata dal Pro-
curatore Generale della Repubblica al ministro di grazia e giusti-
zia Oronzo Reale il 7 luglio 1975 con limputazione di ricostitu-
zione del partito fascista, a proposito della singolare rassomi-
glianza della linea politica di Almirante con le metodologie che
portarono Mussolini alla conquista del potere32.

31
Come ha scritto Marco Tarchi, Almirante era abilissimo nellusare parole
dordine moderate e anticomuniste e slogan rivoluzionari e antisistemici (M.
TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 86).
32
Lunit di posizioni cos differenti (lappello ai moderati, da un lato, e
lalternativa al sistema, dallaltro) fu il principale motivo di contestazione da
parte della Procura della Repubblica: Vi sono sufficienti elementi per potere
affermare che questa unit venne basata sulla conciliazione fra due linee di-
vergenti, e cio quella dellazione politica nellambito del sistema democrati-
co-parlamentare che, consentendo di sfruttarne i vantaggi, poteva proiettare il
partito sul piano del consenso, attraverso lattrazione delle forze di destra, e
laltra dellazione rivoluzionaria dei giovani, premessa necessaria per il rag-
giungimento della meta finale che quella dellabbattimento del sistema. Nel-
lo stesso tempo in cui si dichiara di volere agire nel sistema si lascia aperta la
via ad altre soluzioni di carattere rivoluzionario, e comunque non democrati-
che, mediante un artificio dialettico che rappresenta, da un lato levento rivo-
luzionario in termini assolutamente ipotetici in presenza di determinati pre-
supposti (linserimento dei comunisti nellarea del potere) e dallaltro conside-
ra inevitabile il verificarsi dei presupposti come conseguenza del regime de-
mocratico () Il discorso di cui sopra, a ben vedere, riprende la formula fasci-
sta del consenso e della forza e ripropone, tra laltro, lalternativa di Musso-
lini che, durante limperversare delle squadre fasciste, non mancava di blandi-
re e di minacciare dichiarandosi incerto tra legalit e illegalit (Atti parla-
mentari, Camera dei Deputati, VI legislatura, Doc. IV, n. 244, Domanda di au-
torizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Tripodi Antonino (...) per
il reato di cui gli articoli 1 e 2 della legge 20 giugno 1952 n. 645 (Riorganizza-
Questo fu il vero nostalgismo almirantiano, non i saluti romani
o le teste del duce nelle sedi. Non si tratt di un nostalgismo e-
motivo, ovviamente, bens di una scelta ragionata e consapevole
da parte del segretario del Msi, il quale sapeva anche e lo si ve-
27
dr pi avanti che questa strategia sarebbe stata lunica a tenere
unito il partito, finch naturalmente sarebbe stato possibile conci-
liare linconciliabile. Unultima osservazione: la vera differenza fra
la strategia di Mussolini e quella di Almirante fu che la prima era
uno strumento che avrebbe dovuto portarlo, come lo port, rapi-
damente al potere; la seconda era una strategia di opposizione, in
una condizione in cui la doppiezza e lambiguit del messaggio sa-
rebbero stati stigmatizzati (come lo furono) con notevole rapidit
e, alla fine, scontentando tutti, ma tenendo unito il partito.
In tutto questo, lerrore dei micheliniani fu notevole: in primo
luogo non avere avuto il coraggio di assumere la segreteria del Msi
e di avere lasciato che la prendesse Almirante; in secondo luogo di
non essersi accorti che larrivo di Rauti avrebbe modificato non solo
limmagine del partito ma anche il suo assetto e soprattutto la sua
sostanza, come poi fu. Rauti non fu unappendice posta al solo scopo
di attirare i giovani. Il ruolo di Rauti, come si detto, fu notevole e
non solo culturalmente ma anche nellambito di un condiziona-
mento di Almirante che lo stesso us per avere un altro polo sul
quale mediare: poteva dire a Rauti che non riusciva a portare a-
vanti una politica sinceramente rivoluzionaria perch cerano i
moderati della vecchia linea di Michelini; e poteva dire a questi ul-
timi che non poteva allargarsi a una riconsiderazione del partito
esclusivamente moderata perch lo impediva la cospicua presenza
culturale rappresentata da Rauti e dai giovani militanti, ai quali
evidentemente poco interessava la politica realista dei moderati.

Dalle elezioni regionali alle amministrative siciliane

Come si gi detto, il IX congresso del Msi, celebrato a Roma nel

zione del disciolto partito fascista) trasmessa dal Ministro di Grazia e Giusti-
zia Oronzo Reale alla Camera dei Deputati, estratto, pp. 14-15).
novembre 1970, fu il congresso dellunit, dopo tanti pratica-
mente tutti, salvo il primo nei quali il partito risult spaccato e
conflittuale. Al di l delle questioni interne, Almirante lanciava il
fronte articolato anticomunista, allo scopo di fare del Msi il
28
punto di riferimento per tutti gli uomini che intendono battersi
moralmente e fisicamente per la libert contro il comunismo.
Non era evidentemente un nuovo partito ma una prospettiva
nuova che non piacque molto a Rauti, che invoc un esito nazio-
nalrivoluzionario allanticomunismo della Fiamma33, ma che tro-
v favorevole tutte le componenti interne. Sicuramente influ,
nella scelta strategica di Almirante, anche il particolare momento
storico: lautunno caldo del 1969, visto sia come coda eversiva
del complesso fenomeno del 68, sia come strumento per un
maggiore spazio politico del Pci. Non era cos, evidentemente, e
fu proprio dal 68 e dallautunno caldo che inizi la lenta discesa
del Pci non tanto dal punto di vista elettorale, quanto al proprio
interno, nelle iscrizioni alle organizzazioni giovanili. In realt
questi fenomeni, in prospettiva, misero in difficolt il Pci di Ber-
linguer che fu costretto, qualche anno pi tardi, a formulare la
proposta del compromesso storico. A questo quadro, si aggiunga
la bomba di Piazza Fontana, per la quale le prime indagini indi-
viduavano come responsabili gli anarchici; il quadro era comple-
to per un richiamo dei moderati e dei benpensanti a una forte
politica anticomunista che la Dc non sembrava pi volere con-
durre e i partiti laici di centro (i liberali, in particolare) mostra-
vano di non potere fare.
Agli aspetti, per cos dire, pi eversivi, altri segnali davano
limpressione che lItalia scivolasse lentamente ma inesorabil-
mente verso un governo controllato dal Pci: lapprovazione della
legge che istituiva le regioni a statuto ordinario, lo Statuto dei la-
voratori e infine la legge sul divorzio. Si trattava di tre provve-
dimenti molto diversi fra loro, che per la stampa missina pose
allinterno di un unico disegno. Lopposizione della destra fu du-
rissima sulle regioni e sul divorzio, mentre sullo Statuto dei lavo-

33
P. NELLO, Il partito della Fiamma. La destra in Italia dal Msi ad An, Istituti
editoriali e poligrafici internazionali, Pisa, 1998, p. 36.
ratori il Msi si astenne. A questo si aggiungeva linstabilit poli-
tica: la fine del governo Rumor, un monocolore Dc, allinizio del
1970, apriva una crisi che si concludeva soltanto due mesi pi
tardi con un nuovo governo di centrosinistra, sempre guidato dal
29
democristiano Rumor, con socialisti, socialdemocratici e repub-
blicani. Il Msi ne approfitt per chiedere le elezioni anticipate. Le
elezioni politiche non si fecero, ma in giugno erano previste le
regionali, le prime della storia italiana: si votava soltanto nelle
regioni a statuto ordinario, quindi ovunque salvo in Sicilia, Sar-
degna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. La battaglia
elettorale fu essenzialmente politica, per il Msi, di fronte al primo
banco di prova per la nuova segreteria. Il partito aument, non di
molto, in voti e in percentuali, ma per la prima volta dopo sette
anni il Msi risaliva la china.
Rispetto alle precedenti politiche, passava dal 4,3 al 5,2 a livel-
lo nazionale: le regioni che diedero maggiori soddisfazioni furono
il Lazio (10,2% con un incremento di due punti), la Campania
(8,8, con un incremento di 3,4 punti percentuali) e la Puglia (8,7,
con un aumento del 2%); laumento nel difficile Piemonte (+1,1%)
non modific landamento generale che fu di forte meridionaliz-
zazione dei consensi al partito. Non vi fu soprattutto alcun spo-
stamento a destra del quadro politico: lo 0,9 in pi ottenuto in
percentuale dal Msi venne ampiamente compensato dalla flessio-
ne dell1,3 dei liberali e da quella dei monarchici (-0,5)34.
Anche se il successo non fu ampio, Almirante trasse la logica
conseguenza che lunit e la dinamicit del partito pagavano a
livello elettorale e rafforz cos la sua leadership. Ma il problema
del rapporto tra destra moderata e destra aggressiva si ripropose
poco dopo, un mese dopo le elezioni regionali, con la rivolta di
Reggio Calabria. Non questa la sede per tracciare una nuova
interpretazione del fenomeno eversivo calabrese35, quanto piutto-

34
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 132-133.
35
Il lavoro scientificamente pi completo sicuramente quello di L. AMBROSI,
La rivolta di Reggio. Storia di territori, violenza e populismo nel 1970, Rubbet-
tino, Soveria Mannelli, 2009. Sulla rivolta di Reggio si veda anche La rivolta.
Reggio Calabria: le ragioni di ieri e la realt di oggi, a cura di G. Rossi, Istituto
di studi corporativi, Roma, 1991. Un ampio capitolo del volume di G.S. ROSSI,
sto per valutare il ruolo del Msi nella questione.
Scoppiata nel luglio 1970, la rivolta calabrese incubava da
quasi un anno a causa del trasferimento del capoluogo regionale
a Catanzaro. Immediatamente il Msi, reduce da una dura campa-
30
gna contro le regioni a statuto ordinario e contro ogni logica re-
gionalista interpretata come un danno per lo Stato, si dichiar
contrario a ogni appoggio ai rivoltosi. Nino Tripodi, deputato
reggino, condann le barricate e la protesta, pur riconoscendo lo
stato di degrado in cui versava la citt. Soltanto dopo larrivo a
Reggio del Fronte Nazionale del principe Borghese e di Avan-
guardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, il Msi cominci a pre-
occuparsi; gli stessi giovani missini, al campo scuola dei dirigenti
giovanili, nel settembre 1970, si dichiararono favorevoli a un im-
pegno diretto del partito a favore dei rivoltosi36.
In quei giorni inizi a modificarsi latteggiamento del Msi e si
modific anche quello dei giornali di area. il Borghese nel lu-
glio aveva pesantemente attaccato i rivoltosi definendoli:

[] un migliaio o poco pi di giovani e giovanissime canaglie, teppisti


e cialtroni, come mi hanno detto allufficio politico della questura,
pronti a scendere in piazza comunque, sia per il cantagiro, sia per la
coppa Rimet, purch ci sia da urlare, da creare disordini, da sfasciare
vetrine e da svaligiare negozi. Ramazzaglia, dove abbondano i pregiu-
dicati messi in libert dallamnistia, i barboni, i disoccupati cronici37.

Allo stesso modo Il Secolo dItalia, lorgano ufficiale del Msi,


aveva preso le distanze dai rivoltosi sostenendo che i disordini
erano causa del regionalismo mentre occorreva tornare alla na-
zione38. Il partito aveva comunque fatto pervenire, negli stessi

Alternativa e doppiopetto cit., pp. 139-170 dedicato al rapporto tra Msi e la


rivolta reggina.
36
Cfr. M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., pp. 80-81.
37
P. CAPELLO, La rivolta di Reggio, in il Borghese, 12 luglio 1970.
38
Passata londata dei disordini i cittadini di Reggio questo debbono capire:
non c soluzione di problemi per fondati che siano, quando il campanile fa
perdere la testa, quando la parte intende prevalere sul tutto, quando la regione
prende la mano alla Nazione (Condannato il regionalismo, causa primaria
dei gravi avvenimenti, in Il Secolo dItalia, 24 luglio 1970)
giorni, una raccomandazione destinata ai dirigenti locali del par-
tito e alla Cisnal affinch si astenessero dal partecipare ai disor-
dini in quanto il Msi deve restare estraneo, a tutti i livelli, da at-
teggiamenti che siano in aperto contrasto con lortodossia del
partito39.
31

Si venne cos a creare un vero e proprio braccio di ferro tra il


partito e i dirigenti locali (Aloi e Franco, in particolare), i quali
corsero seri rischi di espulsione dalla Fiamma40.
A settembre Reggio diventava la citt che combatteva contro
la camorra, un mese dopo Mario Tedeschi affermava che sulle
barricate cerano tutti e in dicembre si sottolineava che Reggio
Calabria, colpevole di essersi ribellata al sistema, assediata dal-
la truppa. Anche Candido, da un iniziale posizione contraria e
dopo un lungo, prudente silenzio, prendeva posizione soltanto il
30 settembre con un accenno finale di un fondo di Pisan, nel
quale si diceva che la popolazione di Reggio aveva voltato le
spalle ai partiti per seguire Ciccio Franco e solo dal 1 ottobre ini-
ziava una forte campagna di stampa a favore dei boia chi mol-
la41; inoltre lex foglio di Guareschi inviava a Reggio un corri-
spondente che inform i lettori sulla evoluzione della rivolta, di-
ventata ormai tricolore42.
Anche la Cisnal, il sindacato di cui Ciccio Franco, allepoca
della rivolta, era responsabile per la Calabria, aveva assunto una
posizione ambigua: Roberti era stato categorico nel prendere le
distanze dai rivoltosi e in pi aveva di fatto escluso Franco
dallincarico nella Cisnal43.

39
Cfr. F. ALOI, Reggio 70. Rivolta di un popolo, Il Coscile, Castrovillari, 2005,
p. 188.
40
Si veda lanalisi del rapporto tra Msi, Cisnal e rivolta reggina in M. TOUS-
SAN, La Cisnal e la rivolta di Reggio Calabria, Tesi di laurea, Universit degli
studi Guglielmo Marconi, A.A. 2011-2012, pp. 60 ss.
41
La copertina di Candido del 1 ottobre 1970 mostrava un disegno di Carlo
Manzoni che raffigurava, davanti alla folla ammutolita di Reggio, una bara
che la didascalia indicava come la cassa del mezzogiorno.
42
Dal numero del 1 ottobre, Roberto Capone segu settimanalmente con ser-
vizi molto accurati la rivolta reggina (Cfr. Reggio insorge e chiede giustizia,
Candido, 1 ottobre 1970).
43
M. TOUSSAN, La Cisnal e la rivolta di Reggio, cit., pp. 71 ss.
Il Secolo si allineava definitivamente con la nuova imposta-
zione missina solo i primi giorni del 1971, sette mesi dopo lo
scoppio della rivolta.
Almirante tuttavia, nellautunno del 1970, quando non aveva
32
ancora preso una posizione definitiva e ufficiale, aveva inviato
clandestinamente un gruppo di alcune decine di giovani che en-
trarono in Reggio per controllare la situazione e sostenere i ri-
voltosi44.
In questo modo, Almirante riusciva a realizzare una difficile
sintesi: il Msi non restava escluso dalla rivolta reggina e poteva
quindi rivendicare un ruolo attivo nella difesa del Meridione; il
Msi non era stato per un protagonista della rivolta, continuava a
difendere lo Stato di diritto, non essendo a favore delle sole esi-
genze di Reggio ma di tutta lItalia colpita dalla partitocrazia e
dal centrosinistra, questultimo costretto a mandare lesercito a
Reggio. Inoltre, ladesione alla rivolta port a un avvicinamento
di Rauti alla segreteria cogliendo nella rivolta il primo passo ver-
so lalternativa al sistema. In realt, si pu sostenere che il Msi e
la Cisnal, giunti in ritardo a sostenere la rivolta, operarono in
termini tali da imbrigliarla sottraendola alle forze extraparla-
mentari e consentendo allo Stato di venirne in qualche modo a
capo. Lo stesso Ciccio Franco, diventato senatore nel 1972, in una
memoria rilasciata ad Adalberto Baldoni sostenne di non essere
45
mai stato aiutato veramente dal partito . Il Msi, a Reggio, diven-

44
La notizia stata riferita da un testimone, che vi partecip direttamente, e
che ha preferito mantenere lanonimato perch allora gli era stato imposto da
Almirante il riserbo assoluto su tale episodio.
45
A tanti anni di distanza, Ciccio Franco ribadisce che la sua azione fu contra-
stata con ogni mezzo dai vertici di via Quattro Fontane, sede storica del Msi.
Ricorda cos: Nonostante chiedessi aiuto a Roma, nessun dirigente nazionale
del MSI e delle organizzazioni giovanili mi dette una mano. Non ho mai rice-
vuto un cenno di solidariet. Lunica persona che mi ha aiutato stato Giorgio
Pisan con il suo battagliero giornale Candido. Pisan scese diverse volte a
Reggio e si rese conto qual era la realt locale, dominata dalle cosche mafiose
dei partiti di regime. Incominci ad indagare su Giacomo Mancini, allora se-
gretario nazionale del Psi. Da qui la sua forte popolare e documentata campa-
gna di stampa contro il leader socialista (AFUS, Fondo Baldoni, Storia, VIII,
tava cos rivoluzionario e moderato contemporaneamente, rap-
presentando quindi molto fedelmente la linea del nuovo segreta-
rio. Forse eccessivo oltre che errato cronologicamente so-
stenere, come ha fatto Giorgio Galli, che la segreteria Almirante
non nacque nel settembre 1969 ma nel luglio 197046, ma certa-
33

mente la rivolta di Reggio diede ad Almirante a possibilit di


mostrarsi effettivamente movimentista e in grado di interpreta-
re concretamente quella alternativa al sistema di cui parlava.
Una linea double face, come lha definita Marco Tarchi: in certi
contesti, come al Nord, la societ va difesa da qualsiasi pulsione
ribellistica, mentre al Sud la ribellione legittima perch il potere
47
corrotto .
Lo slogan che campeggiava al IX congresso del Msi, nel 1970,
(Noi siamo la destra nazionale; noi siamo lidea corporativa; noi
siamo lalternativa al sistema) era frutto di una fusione abba-
stanza contraddittoria, tenuta assieme dallabilit almirantiana.
Se il richiamo alla destra nazionale costituiva lelemento di ga-
ranzia in merito alla continuit con il passato micheliniano no-
nostante le novit di stile portate dal nuovo segretario , la di-
chiarazione relativa allidea corporativa serviva a soddisfare
lansia sociale della sinistra, mentre il riferimento allalternativa
al sistema rappresentava il riconoscimento del ruolo dei rautiani
nel nuovo corso del partito.
Lo slogan rappresentava bene questa nuova unit, presentata
come forza, ma che gi in quel momento segnava nettamente
lallontanamento nei fatti, non solo nelle parole, di Almirante
dalla linea di Michelini.
Il dibattito interno che precedette il congresso fu animato dai
tre maggiori leader del movimento: oltre ad Almirante, Romualdi
e Rauti. La figura di Romualdi stata ben poco presente nella fa-

Soggetti politici, 1). Si veda pi in dettaglio sui rapporti fra Cisnal e rivolta di
Reggio M. TOUSSAN, La Cisnal e la rivolta di Reggio, cit., pp. 79-81.
46
G. GALLI, La crisi italiana e la destra internazionale, cit., p. 17. La datazione
proposta da Galli errata perch la segreteria Almirante era nata nel luglio
1969, mentre la posizione favorevole del segretario missino alla rivolta cala-
brese si manifest soltanto nellautunno dellanno successivo.
47
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 81.
se della successione. Il leader romagnolo aveva rappresentato una
linea molto particolare nel Msi: il suo vecchio progetto, quello di
una destra atlantica e anticomunista, poteva assomigliare alla li-
nea affermatasi con la segreteria De Marsanich Michelini e
34
cio la linea cosiddetta dellinserimento. Daccordo con Michelini
sulla necessit di svecchiare il partito togliendo i miti del passato
e sostituendoli con unanalisi politica lucida e sensibile alle tema-
tiche internazionali (Romualdi era stato il primo leader missino
ad andare negli Usa, mentre il suo giornale, limportante mensile
LItaliano, era il pi attento alle dinamiche di politica interna-
zionale48), Romualdi era invece perplesso circa i tempi e i modi
del raggiungimento degli obiettivi della destra nazionale: in real-
t, questo lato della sua attivit politica rimasto sempre un
punto non risolto. Poco incline alle sensibilit sociali del partito,
sostanzialmente indisponibile alla trasformazione del Msi in un
partito cattolico, Romualdi cerc il ruolo di padre nobile del par-
tito, sentendosi in qualche modo responsabile della sua unit. Ci
gli consent di essere sempre al di sopra delle parti, in un ruolo di
stimolo piuttosto che correntizio.
In sede di dibattito precongressuale, Romualdi aveva manife-
stato la volont di portare avanti senza indugi il rinnovamento
del partito, uscendo finalmente dal nostalgismo, dal populismo e
dalle concessioni alla sinistra per fare del Msi un partito vera-
mente di destra. Rauti, invece, nello stesso periodo precongressu-
ale, aveva chiarito quali fossero i punti qualificanti del suo pro-
getto politico: Europa nazione alternativa ai due blocchi occiden-
tale ed orientale, interesse per il Mediterraneo e per i paesi arabi,
contro la linea tradizionalmente filoisraeliana del partito, alterna-
tiva al sistema, dotando il partito di strumenti culturali diversi
dal passato.
Il congresso risent solo marginalmente di queste differenze:
non a caso furono Romualdi e Rauti a distinguersi leggermente

48
Sul rapporto tra Msi e cultura politica internazionale mi permetto di rimanda-
re a G. PARLATO, La cultura internazionale della destra tra isolamento e atlanti-
smo (1946-1954), in Uomini e nazioni. Cultura e politica estera nellItalia del No-
vecento, a cura di G. Petracchi, Gaspari, Udine, 2005, pp. 134-154.
dalla posizione di Almirante, mentre il gruppo che si richiamava
a Michelini volle confermare, anche negli interventi, la sua linea
totalmente favorevole ad Almirante. Fu invece la base dei delega-
ti che mostr di non sopportare pi di tanto i continui richiami
35
alla collocazione a destra, rivendicando non solo la tradizionale
anima sociale, ma soprattutto temendo la liquidazione del pas-
sato fascista in nome di diverse e innaturali collocazioni liberal-
democratiche. Il Congresso celebr il ruolo e labilit di Almiran-
te che pot presentare un bilancio positivo sulla base del risulta-
to, non eccezionale, delle elezioni regionali. Per quanto riguarda
la linea politica emersa dal congresso, il segretario sembr accon-
tentare tutte le componenti; con la consueta abilit oratoria, parl
di socialit, ma ancorando il partito saldamente a destra; tuttavia
le molte concessioni alla nostalgia, i richiami alla Rsi, seppure per
dire che il messaggio del fascismo non andava riproposto acriti-
camente e nostalgicamente ma attualizzato, dimostravano che
Almirante non poteva fare a meno di assecondare gli umori e le
sensibilit del partito. In questo si confermava quello che lo stes-
so segretario spesso ricordava, e che cio lattore Luigi Almiran-
te, lo zio Gigetto, raccomandava al nipote che non si poteva reci-
tare con la platea contro. In altri termini, come ha bene riassunto
Rossi, il Msi almirantiano un grande caleidoscopio, nel quale
ciascuno sceglie la sfaccettatura che pi gli piace49, esattamente
come lo era il fascismo nel quale, a fronte della variet, a volte
inconciliabile, delle posizioni, era Mussolini a sintetizzarle tutte e
contemporaneamente a veicolare, verso ciascuno, quello che cia-
scuno sentiva come il proprio fascismo.
Come si gi detto, uno dei punti cardine della nuova segre-
teria fu il potenziamento dellambiente giovanile, che pi di ogni
altro aveva sofferto degli ultimi anni della gestione Michelini. In
sede di congresso si decise la creazione del Fronte della Giovent,
organismo in grado di raggruppare, centralizzandole, le due or-
ganizzazioni giovanili, il Raggruppamento giovanile studenti e
lavoratori e lAssociazione studentesca di Avanguardia Naziona-

49
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 175-176; la citazione a p.
185.
le Giovane Italia. Massimo Anderson ne divenne il segretario e
Pietro Cerullo vicesegretario. Restava autonomo il Fuan,
lorganizzazione degli universitari, sia per la tradizione di succes-
si ottenuti nelle universit, sia per il particolare momento politi-
36
co, nel quale la contestazione giovanile si era espressa soprattutto
negli atenei; il Fuan, pur aderendo al Fronte della Giovent,
mantenne uno statuto autonomo che si caratterizzava per
lelezione delle cariche, che invece in tutti gli altri organismi del
partito erano rigorosamente di nomina del vertice.
Il processo che port alla costituzione di un centro unificato
dellambiente giovanile non fu semplice. Le resistenze che diversi
ambienti del partito manifestarono in merito a questa soluzione
furono forti e non facilmente superabili. Come ha ricordato An-
derson, non ci fu un solo personaggio autorevole, sia tra i mi-
cheliniani, sia tra gli amici di Almirante, che valut positivamen-
te la nostra proposta e tutti si diedero da fare, anzi, per creare tra
i giovani ulteriori divisioni e lacerazioni. Almirante a un certo
punto cedette alle pressioni di Anderson e dei vertici giovanili e
approv la creazione di un unico organismo, nella convinzione
che il Fronte della Giovent fosse pi controllabile delle due sigle
precedenti. Inoltre, in questo modo Almirante confinava il mon-
do giovanile in uno spazio autonomo ma difficilmente comuni-
cante con il resto del partito e soprattutto impossibilitato a porta-
re allinterno del Msi le istanze di rinnovamento di cui i giovani
si stavano facendo portatori50.
La scelta di costituire il Fronte della Giovent risult imme-
diatamente positiva, se si pensa che un anno dopo gli iscritti era-
no gi 85 mila, in un momento in cui la Fgci, lorganizzazione
giovanile comunista, ne contava appena 70 mila. Esso non fu solo
strumento di scontro politico e fisico: le proposte elaborate dal
vertice del Fronte erano per certi versi molto avanzate; si andava
dal voto ai diciottenni allabolizione della leva militare e alla cre-
azione di un esercito di volontari; dalla difesa dei beni artistici e
culturali allimpegno verso il mondo giovanile meridionale. In
questo modo ebbe subito buon riscontro tra i giovani per

50
M. ANDERSON, I percorsi della Destra, cit., pp. 83 ss.
lattivismo nelle piazze: e poco importava ai giovani missini se la
denominazione di Fronte della Giovent fosse in realt di deriva-
zione comunista, perch cos si chiamava lorganizzazione giova-
nile del Pci durante la Resistenza, tra il 1944 e il 1947, prima di
37
diventare Federazione giovanile comunista italiana (Fgci).
Pochi mesi prima delle elezioni amministrative del 1971, esat-
tamente il 17 marzo, Paese Sera pubblicava in grande evidenza,
la notizia del fallito tentativo di golpe da parte del principe Bor-
ghese. Una vicenda sulla quale vi sempre stata una sostanziale
incertezza e molta confusione. Il procedimento giudiziario, ini-
ziato nel 1971, si concluse nel novembre 1984 con lassoluzione,
perch il fatto non sussiste, di Borghese e dei suoi seguaci
dallaccusa di cospirazione politica. Il principe Borghese era gi
morto da dieci anni, in Spagna, dovera fuggito alle prime notizie
trapelate del tentativo di golpe. Non questa la sede per affron-
tare un tema simile; quello che ci interessa il rapporto tra Almi-
rante e Borghese, prima e dopo le notizie di golpe: se il 20 dicem-
bre 1969, alla prima uscita pubblica in comizio di Almirante, a
Roma, al Palazzo dello Sport allEur, davanti a diecimila missini
venuti da tutta Italia, il segretario aveva salutato la delegazione
del Fronte Nazionale, pregandola di portare il suo deferente sa-
luto al principe Borghese, un anno pi tardi, nella gi citata in-
tervista di Pansa, pochi giorni prima del golpe, sostenne invece
che il Fronte nazionale di Borghese non aveva peso politico; gli
appelli erano nobilmente utili, ma il suo fronte soltanto una
forza sentimentale. Niente di pi51.
Pi tardi si dir che proprio Almirante avrebbe informato il
Ministero dellInterno circa la prossima esecuzione di un tentati-
52
vo di golpe . La testimonianza va presa, come si diceva, con il

51
G. PANSA, Il revisionista, cit., p. 405.
52
T.a.a. di Adriano Monti del 22 febbraio 2012. Anche Giulio Andreotti era di
questo parere. In unintervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Corriere della
Sera del 29 aprile 2005 afferm: Contro i colpi di stato per vigilavano non
solo Dc e Pci, ma anche il Msi, non a caso considerato da questi elementi come
un gruppo di traditori. Sono convinto che la notte dell8 dicembre 1970 fu Al-
mirante ad informare la polizia delle mosse di Borghese per evitare che il par-
condizionale, ma quello che ci interessa sottolineare che Almi-
rante, in questa come in altre occasioni, assunse un profilo istitu-
zionale, lontano da suggestioni eversive, conducendo e mante-
nendo il neofascismo nei binari della legalit. Diverso fu
38
latteggiamento di Rauti, il quale, onestamente, in unintervista a
Rao, riconobbe che in quel contesto storico e politico era per noi
inevitabile cedere a tentazioni golpiste53.
Tuttavia, la consacrazione della leadership almirantiana giun-
se con le elezioni amministrative del 1971; il 13 giugno si vot in
Sicilia (la giunta regionale era andata in crisi), in alcuni capoluo-
ghi importanti (Roma, Foggia, Bari) e in molti comuni minori;
complessivamente erano pi di otto milioni i chiamati alle urne,
un test amministrativo che Almirante trasform immediatamen-
te in test politico. La solita massacrante campagna elettorale di
Almirante riusc a coinvolgere un numero sempre maggiore di
persone e a interessare i giornali: il Msi divenne un fenomeno da
seguire, mentre al Msi cominciavano ad aderire personaggi di e-
strazione liberale (come Giovanni Artieri) o personaggi discussi
che erano gi stati nelle istituzioni, come il gen. De Lorenzo, fa-
moso per il Piano Solo del 1963.
Tutto questo mentre il quadro politico nazionale continuava a
dare segni di crisi con un centro-sinistra sempre pi debole e sot-
toposto a condizionamenti che lo rendevano sempre pi fragile.
Almirante sembr convincersi definitivamente delle possibilit
che una politica di destra cos condotta, con aggressivit e con
linguaggio aggiornato, poteva avere nella situazione italiana: il
Msi aveva condotto, in Parlamento e nelle piazze, battaglie per la
difesa della propriet della casa, contro la riforma delledilizia
voluta dal governo e per la difesa del fondi rustici sui quali pesa-
va la nuova disciplina dei contratti daffitto (la De Marzi-
Cipolla), viste entrambe dal Msi come lanticamera della collet-
tivizzazione. La Fiamma si mobilit, soprattutto al Sud, per con-
trastare i due provvedimenti e raccolse consensi anche fuori

tito ne venisse coinvolto. Sul golpe si veda A. MONTI, Il Golpe Borghese. Un


golpe virtuale allitaliana, Lo Scarabeo, Bologna, 2006.
53
N. RAO, Trilogia della celtica, cit., p. 136.
dellambiente tradizionale missino in nome della difesa della
propriet privata minacciata dal governo.
I risultati delle elezioni amministrative furono sorprendenti:
in Sicilia la Fiamma and oltre il raddoppio, dal 7 al 16%, a Cata-
39
nia citt tocc il 27,2%, a Trapani addirittura il 31%; a Roma arri-
v a superare il 15%, a Genova raddoppi i voti e gli eletti in con-
siglio comunale. I monarchici scomparvero, i liberali ebbero una
flessione drammatica a Roma (dal 10%% a meno del 4). Un risul-
tato che aveva ben poco di locale e che confermava lottimo mo-
mento del partito di Almirante. Nel comizio romano, organizzato
per ringraziare gli elettori e caratterizzato da una folla impres-
sionante, il segretario afferm che il giugno italiano si colloca-
va su una linea ideale che, pur con le evidenti differenze, lo col-
legava allaprile greco (1967) e al giugno francese (1968).
Unaffermazione forte, perch se da un lato la rievocazione del
giugno 1968 a Parigi significava rammentare la linea anticomuni-
sta ma legalitaria del gen. De Gaulle, il riferimento allaprile 1967
in Grecia, quando ci fu il colpo di stato militare che sospese per
anni la democrazia, era indicativo dellambiguit della posizione
di Almirante che, anche nel momento del maggiore successo e-
lettorale non chiudeva la porta a una eventuale e sicuramente
estrema soluzione extraistituzionale. Ci non tanto per intimo
convincimento, quanto per non perdere il consenso degli ambien-
ti della destra radicale.

Lelezione di Leone e le politiche del 1972

La soddisfazione missina fu turbata, e non poco, da una notizia


diffusa dallUnit54, circa la firma apposta da Almirante a un
manifesto affisso a Paganico, in provincia di Grosseto, il 17 mag-
gio 1944 per la chiamata alle armi dei renitenti alla leva della Re-
pubblica Sociale. Il bando mostrava in calce la firma di Giorgio

54
Un servo dei nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi,
in LUnit 27 giugno 1971. Sulla questione si veda A. GRANDI, Op. cit., pp.
298 ss.
Almirante, nella sua qualit di capo gabinetto del Ministero della
Cultura popolare di Sal. Il bando (datato, allinizio del docu-
mento, 10 aprile e nel testo invece 18 aprile) minacciava, per chi
non si fosse presentato alla chiamata di leva, la fucilazione55.
40
Almirante diventava immediatamente il fucilatore. Non fu faci-
le (anzi, di fatto non si riusc) da parte missina spiegare la que-
stione: il bando era stato emesso dal Ministero delle Forze Arma-
te, e pi esattamente si trattava di uno dei tanti Bandi Graziani,
e la responsabilit della questione era del ministero competente.
Tuttavia, tra gli incarichi del nuovo Ministero della Cultura po-
polare di Sal, vi era anche la cura dellinvio della comunicazio-
ne dei decreti alle Prefetture e ai comuni. Ministro della Cultura
popolare era Fernando Mezzasoma e capogabinetto Almirante,
dal 30 aprile 1944, in sostituzione di Gilberto Bernabei56. Per cui
il documento doveva avere anche la firma della struttura trasmit-

55
A partire dal 18 febbraio 1944, il ministro delle Forze Armate, Rodolfo Grazia-
ni, aveva fatto approvare al Consiglio dei Ministri della Rsi alcuni decreti per
recuperare i renitenti alla leva o coloro che, presentatisi, erano riusciti a fuggire
di fronte alla prospettiva di essere trasferiti in Germania per laddestramento. Il
Decreto Graziani emanato il 18 (non il 10, come erroneamente indica il bando
nelle prime righe) aprile 1944, prevedeva un ulteriore spostamento nella data di
presentazione alle armi per i soldati di leva, ponendo il termine al 25 maggio
1944. Oltre a prevedere la cancellazione di ogni addebito a quei soldati che si
fossero presentati entro quella data, preannunciava a chi non si fosse presentato,
la pena di morte mediante fucilazione alla schiena: venne per questo motivo de-
finito il bando del perdono (A. COVA, Graziani. Un generale per il regime,
Newton Compton, Roma, 1987, pp. 238-239; v. anche Archivio Centrale dello
Stato, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana, set-
tembre 1943 aprile 1945, a cura di R. Scardaccione, Ministero per i Beni e le
Attivit Culturali, Roma, 2002, vol. I, pp. 506-507) Adalberto Baldoni, riferendosi
ai bandi Graziani, li defin un errore grossolano (A. BALDONI, Fascisti 1943-
1945, Settimo Sigillo, Roma, 1993, p. 168).
56
Almirante non faceva parte della amministrazione statale e pertanto fu ne-
cessario, da parte del ministro Mezzasoma, proporre un decreto secondo il
quale, per la durata del conflitto, il capogabinetto del Ministero della Cultura
Popolare poteva essere scelto al di fuori della struttura statale; cfr. il d.m. del
30 aprile 1944, ratificato dal Consiglio dei Ministri il 18 settembre 1944, in
Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana, cit., p. 722.
Si veda anche E.G. LAURA, Limmagine bugiarda. Mass media e spettacolo nel-
la Repubblica di Sal, ANCCI, Roma, 1986, p. 150.
tente. Il che non significava evidentemente che Almirante aveva
emesso lincriminato bando, ma altrettanto evidentemente voleva
significare che Almirante non poteva essere considerato politi-
camente estraneo allo stesso bando in quanto capo gabinetto di
41
uno dei Ministeri di quella Repubblica sociale che aveva emesso
il decreto. Inoltre, quel bando si apriva con lennesima proroga e
con lennesimo condono. Almirante invece replic e con lui
tutta la stampa missina che quel documento era un grossolano
falso: il che non era vero. Era semmai falsa lattribuzione di re-
sponsabilit diretta ad Almirante per loggetto in questione, ma
si trattava di una sottigliezza che il giornalista Almirante com-
prese subito che non sarebbe mai stata colta dalla opinione pub-
blica. E prefer sostenere che il bando fosse falso, complicando e
compromettendo ulteriormente la sua posizione57.
Poich il Pci aveva fatto affiggere in tutta Italia la copia del
manifesto con la firma del leader missino, Almirante present
diverse querele: la questione fin in tribunale dove fu prodotta
documentazione dagli archivi di Stato comprovante che il docu-
mento era vero; non solo, ma ve nerano altri in giro per lItalia.
Almirante si vide cos rigettare dal tribunale di Roma tutte le ri-
chieste.
Questa vicenda apr lattacco delle sinistre contro il Msi, met-
tendo subito in evidenza come il segretario della Fiamma fosse
ricattabile a causa del proprio passato nel momento in cui cerca-
va di trasformare il suo partito da neofascista in partito moderato

57
Ancora due anni dopo, nella dichiarazione alla Camera, Almirante ebbe a
dichiarare, riferendosi alla questione del bando, che essa aveva avuto origine
il 21 giugno 1971, otto giorni dopo le elezioni del 13 giugno (in realt, come si
detto, la notizia su LUnit usc il 27), quando su taluni giornali di estrema
sinistra apparve un manifesto falso a me attribuito () Non interrompete per-
ch ho i documenti (cfr. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, VI Legisla-
tura, Discussioni, seduta del 23 marzo 1973, p. 6787). Nella sua autobiografia,
Almirante, dopo avere ribadita la falsit del bando, sostenne che la trasmis-
sione del medesimo sarebbe stata competenza del Ministero delle Forze Ar-
mate e se mai quello dellInterno (G. ALMIRANTE, Autobiografia di un fucila-
tore, Edizioni del Borghese, Milano, 1974, p. 218).
di destra58. Gli attacchi della sinistra per un po gli giovarono, ma
alla lunga quellelettorato afascista che si era avvicinato al par-
tito se ne distacc vedendo che sotto il doppiopetto era rimasta la
camicia nera.
42
A questa vicenda, segu lapertura dellinchiesta del giudice
Raimondo Sinagra, sostituto procuratore di Milano, contro il Msi
accusato di ricostituzione del partito fascista. Linchiesta, avocata
dal procuratore generale della Corte dAppello di Milano, Luigi
Bianchi dEspinosa allinizio di dicembre del 1971, riguardava
lapplicazione al Msi di questi anni della Legge Scelba del 1952,
quella appunto che puniva la ricostituzione del Pnf.
Intanto lattivismo antifascista cresceva dintensit e i gruppi
extraparlamentari, da Potere Operaio a Servire il Popolo, per ar-
rivare a Lotta Continua cercavano di impedire ai giovani missini
lagibilit sul territorio. Le Brigate Rosse, in un loro documento,
nel settembre 1971, parlarono del blocco dordine reazionario sot-
to le bandiere della destra nazionale59. Gli stessi concetti furono
ribaditi in un altro documento dellaprile 1972. Il fenomeno sar
ancora pi evidente dopo le elezioni politiche del 1972.
Il 1971, per il Msi, si chiudeva con due eventi: il rinvio delle
amministrative dellottobre (la giustificazione ufficiale era che
avrebbero potuto interferire con il censimento, ma a tutti appar-
ve una giustificazione pretestuosa) e le elezioni del presidente
della Repubblica.
Il Msi contava di sfruttare appieno il momento favorevole: le
amministrative di ottobre o, meglio, le elezioni politiche anticipa-
te. Ma il rischio per il governo rappresentato dalle seconde fu va-
nificato dallinizio del semestre bianco e quindi dalla impossi-
bilit di sciogliere anticipatamente le Camere in vista della ele-

58
Non un caso che anche a livello storico sia stata accolta la semplificazione
del segretario missino fucilatore tout court, cos come emerge in un manuale
di storia dove si parla di Almirante come reduce anchegli dallesperienza
della repubblica sociale e firmatario di un bando del 1944 che comminava la
pena di morte ai renitenti alla leva (A. DE BERNARDI, L. GANAPINI, Storia
dellItalia unita, Garzanti, Milano, 2010, p. 370).
59
A. BALDONI, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo della libert,
Vallecchi, Firenze, 2009, p. 161.
zione del nuovo Capo dello Stato. Restavano le amministrative,
ma il loro rinvio rendeva impossibile un nuovo successo missino,
tale da risultare condizionante cos almeno sperava Almirante
per lelezione del Quirinale.
43
Difficoltosa e complessa, lelezione del nuovo capo dello Stato
scont i veti, i franchi tiratori, le indecisioni della Dc; e scont
soprattutto la debolezza della compagine governativa. Dopo 22
votazioni, la situazione era piuttosto grave: la Dc non era riuscita
ad imporre il proprio candidato, Amintore Fanfani, cui le sinistre
contrapposero lanziano leader socialista Francesco De Martino.
Il Msi, che nel frattempo aveva stretto un patto di unit di azio-
ne con i monarchici, vot per diversi giorni il candidato di ban-
diera, Augusto De Marsanich; dal 13 dicembre monarchici e mis-
sini decisero di votare scheda bianca per indicare chiaramente
una disponibilit verso altri candidati. Come ha ricordato Rober-
ti, allora capogruppo parlamentare del Msi, il 21 dicembre si pro-
fil una candidatura Moro, che avrebbe avuto i voti di tutto il
centrosinistra e forse anche del Pci. Tuttavia, un po per le resi-
stenze dei moderati Dc, dei laici di centro e soprattutto per il de-
ludente esito della prima votazione sul suo nome, i gruppi par-
lamentari dello Scudo Crociato decisero di ripiegare su Leone, vi-
sto come candidatura di assemblea. Per il Pci il 22 dicembre fece
uscire un duro comunicato in cui si parlava di un accordo sotto-
banco tra Dc e Msi sul nome di Leone. Laccordo cera davvero e
il gioco del Pci era chiaro: fare fallire la candidatura di Leone
presentandolo come uomo di destra. A questo punto, ricorda
sempre Roberti, sarebbe stato opportuno fare il gran gioco, ap-
poggiare cio subito Leone, come si era fatto dieci anni prima
con Segni. Ma Almirante non volle, sment laccordo e prefer
trattare sottobanco con alcuni esponenti Dc, segnatamente con
Galloni, come rivel il segretario missino a elezione avvenuta.
Linteressato ovviamente sment seccamente. Il 23 fu votato Leo-
ne con 518 voti e la destra fu cos determinante. Il Secolo tito-
lava a nove colonne: Il 13 giugno ha vinto. Almirante scrisse:
Siamo lieti di avere contribuito in maniera determinante alla
elezione del presidente. Non era la prima volta che il Msi votava
per il candidato che poi sarebbe risultato eletto capo dello Stato.
Ma nei casi precedenti (Einaudi, Gronchi e Segni) il Msi non era
stato mai determinante. In questo caso invece lo fu e questo fu
giudicato dal Msi e dalla stampa fiancheggiatrice un autentico
successo. Le smentite democristiane furono fiacche e poco con-
44
vincenti. Nenni annotava nel suo diario alla data del 23 dicem-
bre: Si realizzata anche unaltra previsione e cio che i missini
hanno votato Leone, annullando cos una parte delle schede
bianche democristiane. E al giorno successivo, annotava:
Leone stato eletto con i voti fascisti e io sono stato battuto dai
socialdemocratici e dai repubblicani. () I fascisti sono raggianti.
() un altro, lon. Delfino, ha confessato: Anche nella preceden-
te votazione (quella di ieri) tutti i parlamentari missini e monar-
chici hanno votato per il senatore Leone60.
Fu un successo per la Destra? Certamente, con lottica di allo-
ra sembr una grande vittoria. Rossi sostiene che lelezione di
Leone fu il punto pi alto e il successo pi pieno della strategia di
Almirante. Da quel momento in poi le cose cominciarono a non
andare pi cos bene61. Secondo Tarchi, invece, lelezione di Leo-
ne fu un falso successo: dopo limpallinamento di Fanfani da par-
te dei franchi tiratori, la Dc era in grave crisi e il Msi sarebbe sta-
to invece nella condizione ideale per dipingere la Dc come inaf-
fidabile agli occhi dei moderati, tanto pi che si parla insistente-
mente di una candidatura Moro appoggiata dallintera sinistra.
Se quellipotesi fosse andata in porto, grazie alla scheda bianca
missina e monarchica, Moro sarebbe diventato presidente della
Repubblica e lasse politico si sarebbe spostato a sinistra, qualifi-
cando il Msi come unico rappresentante della destra italiana, con
inimmaginabili spazi nuovi da coprire. Invece Almirante, secon-
do Tarchi, temette che una presidenza Moro avrebbe aperto al
Pci le porte del governo, con seri rischi per la sopravvivenza della
Fiamma, della quale la sinistra, parlamentare e non, chiedeva la
62
messa fuori legge .

60
P. NENNI, I conti con la storia. Diari 1967-1971, Sugarco, Milano, 1983, pp.
681-682.
61
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., p. 212.
62
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 85.
Almirante sfrutt il successo in vista delle successive elezioni
politiche. Un mese dopo lelezione di Leone, il governo di centro-
sinistra presieduto da Colombo and in crisi, con il ritiro
dellappoggio esterno repubblicano per dissensi sulla politica e-
45
conomica. In realt, il governo Colombo era stato logorato dalle
rivolte di Reggio Calabria e di Pescara, dalle notizie sul golpe
Borghese, che avevano coinvolto persone dei servizi. Inoltre, fu
messo in seria difficolt dalla questione del divorzio, che segn
una frattura tra laici e cattolici, soprattutto dal momento in cui i
cattolici proposero il referendum abrogativo della legge Fortuna-
Baslini, trovandosi daccordo con un Msi che, pur diviso al pro-
prio interno su questo tema, cerc di sfruttare politicamente
loccasione. Dopo un tentativo di riproporre un esecutivo di centro-
sinistra, non riuscito, Leone affidava ad Andreotti lincarico di for-
mare un governo monocolore, che per fu subito bocciato in Senato.
A questo punto, per la prima volta nella storia repubblicana, si an-
dava a elezioni anticipate.
Almirante ebbe modo in pi di unoccasione di insistere sul
fatto che il voto del 13 giugno era stato utile, smentendo quello
che aveva detto Andreotti, secondo il quale il voto a destra era
stato inutile. In questo modo il leader missino legittimava
lelezione di Leone come conseguenza del successo missino alle
amministrative del 1971. In ogni caso, la soluzione Andreotti per
guidare un governo elettorale, si rivel positiva per la Dc, soprat-
tutto perch Andreotti era visto come uomo sostanzialmente vi-
cino alla destra democristiana. Questo, in qualche modo, riusc a
bloccare chi aveva pensato di lasciare la Dc per andare nel Msi e,
in sede elettorale, riusc a contenere quella che fu chiamata, con
una metafora un po petrolifera, londa nera.
Lattenzione per il Msi, comunque, varcava loceano e anche
gli americani erano interessati a questo partito di destra che sta-
va crescendo. Servivano fondi per la campagna elettorale; secondo
una testimonianza riportata da Baldoni, Giulio Caradonna, il mis-
sino da sempre pi vicino al mondo atlantico, present ad Almi-
rante un italo-americano, Pierfrancesco Talenti, imprenditore e
uomo di destra, impegnato nel fare confluire i voti degli italiani in
Usa sul nome di Richard Nixon. Loperazione and in porto e fu
Vito Miceli, il discusso generale del Sid, entrato in lista con il Msi,
a portare materialmente il finanziamento a Roma63.
La campagna elettorale trov il suo primo elemento di novit
nel simbolo: il 4 marzo, Il Secolo dItalia presentava il vecchio
46
simbolo, la fiamma tricolore, con laggiunta della scritta destra
nazionale: in un primo momento era solo il simbolo per gli indi-
pendenti che sarebbero entrati in lista per le elezioni del 7 mag-
gio, poi divenne il simbolo ufficiale del partito. Nel frattempo, tra
molte polemiche, il Partito democratico di unit monarchica, or-
mai ai minimi storici, aveva deciso lo scioglimento e la fusione
nella Destra nazionale: molti esponenti fedeli al Re e lo stesso
Sovrano in esilio si dichiararono contrari a questa scelta, che
cancellava almeno formalmente le annose polemiche tra fascisti e
monarchici in merito a quello che successe in Italia dopo l8 set-
tembre 1943. Chi si spese molto per la fusione tra missini e mo-
narchici fu uno dei principali esponenti del Pdium sardo, Efisio
Lippi Serra. Questi tuttavia riscontr dissensi tra i monarchici ma
anche malumori tra i missini64.
Il giorno prima della presentazione del nuovo simbolo, veniva
arrestato Pino Rauti, su mandato del giudice Giancarlo Stitz, per
concorso negli attentati dellaprile e dellagosto 1969. Almirante
espresse subito piena solidariet allex leader di Ordine Nuovo,
ora candidato alla Camera nella circoscrizione laziale. Due mesi
dopo, Rauti fu scarcerato, pochi giorni prima delle elezioni, il che
gli permise di essere eletto con oltre centomila preferenze65.
Non erano molti e neppure molto qualificanti i nuovi arrivi
tra le schiere missine nel 1971 (salvo Artieri e De Lorenzo); ma
gi queste presenze etichettate subito come afasciste ave-
vano irritato Rauti e i suoi seguaci, che avevano messo in eviden-
za il rischio di qualunquistizzazione del partito, farlo diventare
cio una formazione di destra tout court, assai pi simile al mo-
vimento qualunquista di Giannini che non al vecchio Msi. Perfe-

63
A. BALDONI, Storia della Destra, cit., pp. 150-151.
64
E. LIPPI SERRA, Il prezzo della coerenza, La Nuova Rosa ed., Forte dei Marmi,
2010, pp. 235-237.
65
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 213-214.
zionato, tra la seconda met del 1971 e i primi mesi del 1972, il
processo di confluenza dei monarchici nel Msi-dn, conclusosi con
lultimo congresso del Pdium, alla fine di febbraio 197266, Almi-
rante poteva presentare in lista un numero maggiore e pi quali-
47
ficato di personalit della politica e del giornalismo: innanzi tutto
Gino Birindelli, medaglia doro, comandante delle truppe navali
della Nato nel Mediterraneo. In un primo momento Almirante fu
restio al suo ingresso nel partito ma il gruppo micheliniano, e in
particolare Roberti, lo convinsero. Fu lo stesso Roberti a contatta-
re il comandante, il quale il 14 marzo si dimetteva dal comando
67
Nato e accettava linserimento in lista del Msi . Entrarono in li-
sta poi Giovanni Artieri, giornalista e storico napoletano, Mario
Tedeschi, direttore de il Borghese, Gianna Preda, corrosiva
giornalista della medesima testata, Giorgio Pisan, vecchio espo-
nente della sinistra filo Sal, giornalista e direttore del Candi-
do, Ciccio Franco, il capo dei boia chi molla reggini, Armando
Plebe, filosofo ex marxista, che entr nel Msi per occupare un po-
sto di rilievo in ambito culturale; inoltre entrarono i due capi sto-
rici del mondo monarchico, Alfredo Covelli e Achille Lauro, ex
acerrimi nemici e ora uniti agli ex fascisti.
In realt non erano nomi straordinariamente innovativi.
Lunico democristiano che approd alla destra nazionale fu Ago-
stino Greggi, un isolato nella Dc, cattolico integralista e tradizio-
nalista. Gli altri erano vecchi missini (o comunque militanti
darea) come Pisan, Tedeschi, Gianna Preda e Ciccio Franco. Al-
tri erano gli esponenti monarchici, come Covelli e Lauro. Alla fi-
ne solo Birindelli, Plebe e Artieri rappresentavano delle vere no-
vit. Almirante sfrutt ugualmente i nuovi arrivi, dicendo che
questo sarebbe stato solo linizio. Quando arrivarono Birindelli,
Covelli e Lauro, Almirante li ricevette, insieme con De Marzio,
dicendo che loro sarebbero stati i garanti della trasformazione del
68
Msi in un partito di destra democratica .

66
Ivi, pp. 225-229.
67
G. ROBERTI, Lopposizione di Destra in Italia, cit., p. 259.
68
E. DE MARZIO, La mia Destra e quella di Fini, in Meridiano Sud, 30 no-
vembre 1995, pp.3-4.
La campagna elettorale fu condotta sempre in termini molto
accesi; ma la Dc ne fece una indirizzata quasi esclusivamente a
destra, nel tentativo di bloccare leffetto delle amministrative
dellanno precedente.
48
I risultati furono considerati dal Msi e da Almirante un suc-
cesso travolgente. In effetti il Msi aumentava all8,7% alla Ca-
mera e al 9,2% al Senato: un incremento importante, il massimo
storico mai raggiunto dalla Fiamma, che portava i voti missini da
un milione e cinquecento mila a quasi 2 milioni e novecento mi-
la. Si trattava di un quasi raddoppio, e considerando la viscosit
del sistema politico, questo poteva essere effettivamente conside-
rato un successo. In pi, furono eletti 56 deputati e 26 senatori, 22
deputati e 15 senatori in pi rispetto al 1968.
Detto questo, per, il successo fu fortemente ridimensionato
da una serie di considerazioni. In primo luogo il fatto che se il
raffronto tecnico era da farsi sulle precedenti politiche, il raffron-
to politico andava fatto sulle elezioni amministrative del 1971: in
questo caso, il potenziale di votanti a livello nazionale sarebbe
stato tra i 4 e i 5 milioni di voti, con un centinaio di deputati. A
queste dimensioni aveva alluso lo stesso Almirante il 23 gennaio
1972, nel comizio al Teatro Adriano di Roma, per celebrare il
venticinquennale della fondazione del Msi: Nel giro di un anno
aveva affermato il segretario missino abbiamo almeno rad-
doppiato, forse triplicato il nostro potenziale consenso in tutta I-
talia69. Il dato pi grave fu che il partito non riusc a ripetere, in
Sicilia e in diverse zone del Sud, lexploit dellanno precedente,
anzi in alcuni casi si notava una perdita secca.
Significativamente la Dc riusc a conservare le precedenti po-
sizioni: la temuta emorragia verso destra non ci fu e la cura
Andreotti fu evidentemente efficace. Ugualmente conferm i ri-

69
AFUS, 25 anni per lItalia, in Movimento Sociale Italiano. Direttive e orien-
tamenti di propaganda. Agenzia di informazione del Msi, IV, n. 2 13 febbraio
1972. Questa frase di Almirante venne poi espunta dal testo ufficiale della
commemorazione dei 25 anni del partito: si veda Dal IX congresso novembre
1970 al X congresso gennaio 1973. 2 anni di lavoro per il MSI Destra Naziona-
le, a c. dellUfficio Stampa e Relazioni pubbliche del Msi, Roma s.d. (ma 1973),
pp. 71-76.
sultati precedenti il Pci, cos come li confermarono i due partiti
socialisti che riportarono sostanzialmente quello che avevano ot-
tenuto, divisi, nelle precedenti consultazioni70.
Il Msi ebbe il 4,22% in pi alla Camera e il 4,63 in pi al Sena-
49
to: in parte li prese ai liberali, che ebbero una perdita superiore al
2%; un piccolo incremento lo aveva dato il Pdium, confluito nel
Msi. Tuttavia, allappello mancava ancora quasi il 2%, che proba-
bilmente venne per trasferimento dai partiti di sinistra: la scon-
fitta secca del Psiup and a favore del Pci; probabilmente voti del
Pci confluirono nel Psi; forse voti socialisti (o socialdemocratici)
andarono alla Dc e una piccola parte di democristiani fin col vo-
tare per Almirante.
Ma il dato pi significativo non era numerico, bens politico.
Anche nel 1953, il Msi si aspettava un successo ben pi conside-
revole, dopo le elezioni-plebiscito del 1948, anche in quel caso
considerando gli ottimi risultati delle amministrative del 1951 e
del 1952; quel successo non si trasform in opportunit politica.
Pi o meno si verific una situazione analoga nel 1972: il succes-
so missino realizzatosi mentre la Dc sostanzialmente teneva
non si trasform in successo politico. La Dc si salvava, il tracollo
non cera stato e il Msi si ritrovava di fronte ai medesimi problemi
di prima, con laggiunta che la doppiezza di Almirante a un certo
punto avrebbe mostrato i suoi lati meno vantaggiosi.
Rossi ha parlato di urne amiche-nemiche e di spiacevole sor-
71
presa al momento dei risultati finali ; Marco Tarchi ha parlato di
una vittoria largamente al di sotto delle attese72.
Quello che pi conta il fatto che, come sintetizz Servello
pi tardi, i voti missini erano troppi e contemporaneamente
troppo pochi. Troppi perch spaventavano lantifascismo militan-
te che infatti si scaten contro la Fiamma e i suoi militanti; trop-
po pochi perch non furono sufficienti a convincere la Dc a con-
siderare determinante il partito di Almirante; le fu possibile aggi-
70
Su una interpretazione dei risultati del 72 si veda S. COLARIZI, Storia dei
partiti nellItalia repubblicana, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 410-413.
71
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., p. 217.
72
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 87 e ID., Dal Msi ad An, Il
Mulino, Bologna, 1997, pp. 44-45.
rare lostacolo, continuare nella politica di delegittimazione del
Msi e soprattutto avallare quello che anni dopo sarebbe stato de-
finito arco costituzionale, per mettere in condizioni di inagibilit
politica la Fiamma.
50

Abstract

This article traces the history of the Movimento Sociale Italiano at a


particularly favorable time for the party of the Italian right, namely,
the return of Almirante to the Secretariat and the victory in the 1972
general elections, when the party of the Fiamma reached its all-time
high. Specifically, it analyzes the complex dynamics that led Almirante
to the top of the party after the death of Michelini and the attempt to
transform the Msi in a moderate right-wing party, ready to enter the
national political game. More than at any other time in its history, the
Msi found itself torn between two options, a situation that finally led to
in the division of Democrazia Nazionale: the movimentista, subver-
sive and revolutionary, summarized in the formula of an alternative to
the system, and the moderate national and anti-communist, summa-
rized in the formula of the national right.
51

Politica economica e questione


operaia nel dibattito del gruppo
dirigente del Pci tra il 1957 e il 1965

di GREGORIO SORGON

Il saggio propone una descrizione del dibattito che impegna il


Pci, tra la met degli anni 50 e la met degli anni 60, riguardo i
caratteri dello sviluppo economico italiano.
La ragione, di carattere storiografico, che sottende questo con-
tributo determinata dalla opportunit di ritornare sui caratteri
specifici del comunismo italiano, oggi che sia la distanza storica
dalloggetto di studio sia i progressi effettuati nella definizione di
una specificit globale del comunismo1 consentono di definire me-
2
glio le particolarit di questo fenomeno transnazionale .
La storia del Pci ormai comunemente inquadrata nel nesso
1
Cfr. S. PONS, La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale
(1917-1991), Einaudi, Torino, 2012.
2
Un approccio metodologico molto utile quello che prefigura il passaggio
dalla storia comparata alla storia incrociata. Cfr. M. DI MAGGIO, Histoires croi-
ses du communisme franais et italien; S. WOLIKOW, Problmes mthodolo-
giques et perspectives historiographiques de lhistoire compare du commu-
nisme; M. DI MAGGIO, PCI, PCF et la notion de centre. Enjeux stratgiques et
questions identitaires des PC de lEurope occidentale, in Cahiers dHistoire,
n. 112-113, 2010, pp. 17-44.
tra appartenenza nazionale e riferimento internazionale. Il rap-
porto tra nazionale e internazionale stato interpretato sia sotto-
lineando la dipendenza coatta del primo termine dal secondo sia
attraverso il modello della interdipendenza tra i due livelli che si
52
intrecciano ed entrano anche in conflitto tra di loro, a partire pe-
r dalla consapevolezza della priorit del globale, o
dellinternazionale, sul nazionale.
Il primo approccio configura, in Italia, una evoluzione delle
posizioni assunte, in ambito storiografico da parte di quellarea
intellettuale vicina alla sinistra laico-socialista che, alla fine degli
anni 70, introduce nel dibattito pubblico il tema della crisi del
paradigma antifascista e dei suoi soggetti costitutivi, primo tra
tutti il Pci.3. Questa tendenza accelera in seguito al crollo del si-
stema sovietico. Essa propone, soprattutto nella prima met degli
anni 904, una visione del comunismo in cui la sussunzione verso
il centro sovietico fortemente accentuata. In questa chiave in-
terpretativa il movimento comunista incide sulla costruzione a-
nomala della democrazia italiana egemonizzando un antifasci-
smo viziato da una genetica n liberale n democratica5.

3
Per un prospetto di studi, che esprimono una diversa se non opposta valuta-
zione del dibattito storico sul nesso tra crisi del paradigma antifascista e inter-
pretazione del ruolo delle organizzazioni di partito, in specie del Pci, nella sto-
ria dellItalia repubblicana, cfr. L. PAGGI, La strategia liberale della seconda
repubblica. Dalla crisi del PCI alla formazione di una destra di governo, in ID.,
F. MALGERI (a cura di), LItalia repubblicana nella crisi degli anni settanta.
Partiti e organizzazioni di massa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp. 72-
86; M. GERVASONI, Le insidie della modernizzazione. Mondo operaio, la
cultura socialista e la tentazione della seconda repubblica (1973-1982), in G.
DE ROSA e G. MONINA (a cura di), LItalia repubblicana nella crisi degli anni
settanta. Sistema politico e istituzioni, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp.
203-223; S. COLARIZI, M. GERVASONI, La cruna dellago. Craxi, il partito sociali-
sta e la crisi della Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 32-56.
4
Cfr. E. AGA ROSSI, V. ZASLAVSKY, Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica este-
ra staliniana negli archivi di Mosca, il Mulino, Bologna, 1997; S. BERTELLI, F.
BIGAZZI (a cura di), PCI. La storia dimenticata, Mondadori, Milano, 2002.
5
Cfr. E. GALLI DELLA LOGGIA, La morte della patria. La crisi dellidea di nazio-
ne dopo la seconda guerra mondiale, in G. SPADOLINI (a cura di), Nazione e
nazionalit in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1994; ID., La morte della patria, La-
terza, Roma-Bari, 1996.
Il Pci svolge, in questa lettura, una funzione doppiamente anti-
nazionale, sia per la sua dipendenza dallUrss sia perch fonda la
sua azione sul principio divisivo della lotta di classe che impedisce
la legittimazione definitiva della propria controparte politica6.
53
La corrente storiografica che si contrappone a questo modello
interpretativo trova il suo punto di riferimento pi interessante
nella riflessione storica proposta da Franco De Felice. Essa si fon-
da su una riconcettualizzazione dellantifascismo che ne contesta
la visione per cui esso vittima del comunismo7, leggendo il rap-
porto tra i due termini, almeno nel caso italiano, come una forma
di relazione dialettica dai risvolti anche tragici8.
Il principio di interdipendenza inserisce il Pci nellincrocio
dialettico tra pi fattori: esso influenzato dalla propria specifici-
t nazionale, dalla relazione a un antifascismo spazialmente non
circoscritto alla sola Italia, dal rapporto di dipendenza con lURSS
e, particolare spesso sottovalutato, dallinfluenza egemonica che
il modello sociale statunitense esercita sulle societ europee. In
questo caso riassumono importanza la storia del modello orga-
nizzativo comunista9 e temi non necessariamente legati al rap-
porto di lealt e subordinazione degli italiani ai sovietici quali,
appunto, la risposta comunista allo sviluppo capitalistico10, che
comunque incide sul rapporto tra il comunismo italiano e quello
sovietico11.
Dentro questa cornice storiografica, lobiettivo di contribuire
a una migliore specificit della composizione della cultura politi-
ca del comunismo italiano in relazione alla rappresentazione del

6
Cfr. ID., La morte della patria, cit., p. 50.
7
Cfr. F. FURET, Il passato di unillusione, Mondadori, Milano, 1995.
8
Cfr. F. DE FELICE, Introduzione, in ID. (a cura di) Antifascismi e Resistenze,
Annale VI Fondazione Istituto Gramsci, La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1997, pp. 11-39.
9
Cfr. R. GUALTIERI (a cura di), Il Pci nellItalia repubblicana (1943-1991), An-
nale XI, Carocci, Roma, 2001; ID., C. SPAGNOLO, E. TAVIANI (a cura di), Togliat-
ti nel suo tempo, Annale XV, Carocci, Roma, 2007.
10
Cfr. F. DE FELICE, LItalia repubblicana. Nazione e sviluppo, Nazione e crisi,
a cura di Luigi Masella, Einaudi, Torino, 2003.
11
Cfr. C. SPAGNOLO, Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del movimento
comunista internazionale (1956-1964), Carocci, Roma, 2007.
modello di sviluppo capitalistico nella fase del miracolo econo-
mico.

54
Il miracolo debole. Il Pci e il capitalismo italiano tra sviluppo e
povert

Dallistituzione del Cominform almeno fino alla morte di Stalin il


Pci adotta una rigida visione sottoconsumistica delleconomia
capitalistica. Qualche timido segnale di un cambio di tendenza si
pu cogliere sulle pagine delle principali pubblicazioni del Pci a
partire dal 1956, quando Rinascita ospita un articolo di Franz
Marek che tematizza esplicitamente la necessit di rivedere le ca-
tegorie adottate dal movimento comunista internazionale perch
incapaci di comprendere le potenzialit integrative del modello
di sviluppo occidentale12.
Il ricorso a una visione malthusiana delleconomia si lega solo
in parte alla contemporaneit con il momento pi teso della
guerra fredda. Essa radicata in uninterpretazione autoctona
della realt italiana e del capitalismo dal carattere stagnazionista
alimentata in quella che Vittorio Foa ha definito la cultura della
crisi13.
Questa cultura della crisi fa riferimento a una forma di antifa-
scismo che, legando tautologicamente fascismo e capitalismo, col-
loca lazione del Pci nella prospettiva di una riforma democratica
della Nazione da ottenere, ed questo il passo pi controverso, at-
traverso lazione illuminata di elite consapevoli dellarretratezza del
materiale umano con cui si trovano a interagire.
Con questo bagaglio ideologico il Pci affronta la grande tra-
sformazione che interessa le democrazie occidentali tra la fine
della guerra e i primi anni Sessanta, comportando un processo di
reciproca integrazione delle economie continentali che riduce le

12
Cfr. F. MAREK, La teoria dellimpoverimento relativo e assoluto, in Rinasci-
ta, a. XI, gennaio 1956, p. 49-52.
13
Cfr. V. FOA, Il cavallo e la torre, Il cavallo e la torre, Einaudi, Torino, 1991, p.
252.
sperequazioni territoriali e garantisce maggiori spazi per
lintegrazione democratica delle masse nella vita pubblica.
Lallargamento degli spazi di integrazione delle masse agevola il
rinforzarsi di una domanda democratica di allargamento delle
55
cerchie decisionali dal centro alla periferia.
Il Pci subisce questa dinamica almeno a partire dalla sconfitta
subita dalla Cgil alla Fiat nel 195514 e dalla repressione violenta
della rivolta nazionale ungherese da parte dei sovietici. Il modo
in cui inizialmente il Pci prova a fronteggiare questo biennio cri-
tico si condensa nel rilancio della via italiana al socialismo pro-
mossa dallVIII Congresso del partito15.
La sconfitta alla Fiat apre una questione operaia dentro il par-
tito soprattutto in merito al modello di contrattazione e
alladeguatezza della linea adottata nella promozione degli inte-
ressi della classe operaia16. La repressione della rivolta nazionale
ungherese, pur riguardando esplicitamente i vincoli posti
allazione del Pci dalla appartenenza di campo, rimette in causa
una esigenza di democratizzazione del socialismo che cozza col
modello sovietico e rimette in discussione limpostazione del par-

14
Cfr. L. LANZARDO, Classe operaia e partito comunista alla Fiat. La strategia
della collaborazione, Einaudi, Torino, 1971; AA.VV., I comunisti a Torino 1919-
1972, Editori Riuniti, Roma, 1972, R. GIANNOTTI, Trentanni di lotte alla Fiat,
1948-1978. Dalla ricostruzione al nuovo modo di fare lauto, De Donato, Bari
1979; G. CRAINZ, Storia del miracolo italiano. Culture, identit, trasformazioni
fra anni cinquanta e sessanta, Donzelli, Roma, 1996, pp. 33-40.
15
Cfr. M. L. RIGHI (a cura di), Quel terribile 1956: i verbali della direzione co-
munista tra il 20 Congresso del Pcus e l8 Congresso del Pci, Editori Riuniti,
Roma, 1996; A. GUERRA, B. TRENTIN, Di Vittorio e lombra di Stalin.
LUngheria, il PCI e lautonomia del sindacato, Ediesse, Roma, 1997; J. HA-
SLAM, I dilemmi della destalinizzazione, in R. GUALTIERI, E. TAVIANI, C. SPA-
GNOLO (a cura di), Togliatti nel suo tempo, cit., pp. 235-238; S. F EDELE, Il PCI
tra crisi polacca e rivoluzione dUngheria, in S. F EDELE, P. FORNARO (a cura di),
Lautunno del comunismo. Riflessioni sulla rivoluzione ungherese del 1956,
Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini, 2007, pp. 208-220.
16
Cfr. V. FOA, Op. cit., pp. 256-258; A. GUERRA, B. TRENTIN, Di Vittorio e
lombra di Stalin, cit., pp. 178-201; C. GHEZZI, (a cura di), Giuseppe Di Vittorio
e i fatti dUngheria del 1956, Ediesse, Roma, 2007, pp. 31-33; S. CRUCIANI,
LEuropa delle sinistre. La nascita del Mercato comune europeo attraverso i
casi francese e italiano (1955-1957), Carocci, Roma, 2007, pp. 29-37.
tito-pedagogo rispetto alle istanze extra-partitiche.
Il fenomeno con cui il Pci deve adesso confrontarsi ricondu-
cibile nella categoria di policentrismo. Questa categoria, spesso
circoscritta al solo ambito dei rapporti tra Stati, probabilmente
56
pi utile se applicata anche alla descrizione interna delle societ
nazionali. La risposta al policentrismo comporta in un Paese de-
mocratico come lItalia un confronto sulla capacit di creare con-
senso.
Su questo terreno si collocano le obiezioni mosse al Pci da
Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil. Nella riu-
nione di Direzione del 30 ottobre 1956, rispondendo alle aperte
critiche che Togliatti gli muove, il leader sindacale chiede di
modificare radicalmente i metodi di direzione nei paesi di de-
mocrazia popolare e cambiare anche la politica economica e di
concertare i piani di sviluppo con la classe operaia chiudendo il
suo intervento con la significativa constatazione che democra-
tizzare profondamente una condizione di salvezza del sistema
socialista17.
Le obiezioni segnalano un malessere pi vasto di cui, sempre
Di Vittorio, si fa latore in sede di Direzione, il 30 gennaio del
1957. Di Vittorio riporta limpressione largamente diffusa tra
gli operai per cui con le sole forze della C.G.I.L. non si possono
impegnare lotte, in una fase in cui le condizioni oggettive sono
invece favorevoli a causa dellaumento dei profitti. Di Vittorio
registra la stasi della conflittualit operaia e ne individua la causa
nella verticalit del rapporto tra partito e classe. La mancata mo-
bilitazione delle forze operaie attribuita allassenza di unazione
parlamentare pi decisa e continuativa in difesa della classe ope-
raia attraverso provvedimenti quali la legge per il collocamento,
validit obbligatoria dei contratti di lavoro, giusta causa perma-
nente per fabbriche, provvedimenti di cui Di Vittorio auspica la
realizzazione anche al fine di realizzare lunit operaia

17
FIG (Fondazione Istituto Gramsci), APC (Archivio del Partito comunista ita-
liano), Fondo Mosca, Mf. 127, verbale del 30 ottobre 1956, pp. 2-5. La citazione
a p. 5. Tutti i verbali di direzione del 1956 sono ora in M.L. RIGHI, Quel terri-
bile 1956, cit.
nellazione [] superando la tensione dei rapporti creatasi dopo i
fatti dUngheria. Di contro a questa impasse, il leader del sinda-
cato propone di invertire il senso del rapporto tra ragioni operaie e
partito, ad esempio ripartendo dalle lotte aziendali18.
57
Lipotesi sottoconsumistica in questo caso palesemente in-
debolita. La stasi operaia, in una fase di oggettiva crescita dei sa-
lari19, attribuita a difetti di fondo nella strategia del partito. Ri-
guardo lesigenza di rivedere le categorie analitiche di lettura del
capitalismo si esprime in modo ancora pi diretto uno degli e-
sponenti emergenti della sinistra comunista, Sergio Garavini,
che, su lUnit del 2 febbraio 1957, richiamando le nuove riven-
dicazioni espresse dai lavoratori quali la riduzione della setti-
mana lavorativa a parit di retribuzione, afferma che il grande
capitale non esaurisce pi la sua politica soltanto nella rappresa-
glia e nella discriminazione contro la classe operaia [] perch
esso, per poter vivere, deve cercare una soluzione ai problemi
nuovi e complessi posti dalla realt dei suoi rapporti con i lavora-
tori e con il mercato, soluzione che non pu pi essere soltanto
quella del fascismo20.
Posizioni come quella di Garavini sono per minoritarie21. La
possibilit che il capitalismo integri per consenso un argomento
che incorre, ancora alla fine degli anni 50, nel duro giudizio del

18
FIG, APC, Fondo Mosca, Serie Direzione, Mf. 127, verbale del 30 gennaio
1957, intervento di Giuseppe Di Vittorio pp. 12.
19
Cfr. F. BARCA, Compromesso senza riforme, in Id. (a cura di), Storia del capi-
talismo italiano, Donzelli, Roma, 1997 pp. 38-43.
20
S. GARAVINI, Nelle grandi fabbriche, in LUnit, 2 febbraio 1957, p. 1.
21
Cos, quando si tratta di destinare Garavini alla segreteria della Camera del
Lavoro di Torino, questa scelta effettuata con molte riserve e il consiglio di
correggerne loperato: Longo: Torino. Pecchioli segretario e DAmico vice.
Alla C.d.L. Garavini, con qualche riserva politica. Scheda: Incontreremo delle
resistenze per mettere Garavini segretario della C.d.L. a Torino bench si rico-
nosca che il migliore. Novella: Non nominare Garavini avrebbe un chiaro
significato politico di diffidenza, e squalificazione. Amendola: Caso di Garavi-
ni, malgrado le sue tendenze economistiche che debbono essere combattute e
corrette. Cfr. FIG, APC, Fondo Mosca, serie Direzione, Mf. 127, verbale dell1
luglio 1958, interventi di Longo, Scheda, Novella, Amendola, pp. 3-6.
partito22. I fermenti notati in Direzione e sulla stampa comunista,
trovano, tuttavia, uno spazio relativo di espressione pubblica.
Nellottobre del 1957 Luciano Barca, pur in una chiave di conti-
nuit storica, insiste, ad esempio, sullopportunit di modificare i
58
canoni della rappresentazione del modello capitalistico tenendo
presente come le contraddizioni del sistema avverso si presentino
ora in forme originali che vanno approfondite23.
Il dibattito incartato dentro un ritualismo linguistico che lo
rende poco intellegibile, a tratti sterile. Esso scosso dalle elezio-
ni politiche del 1958 che prefigurano un possibile isolamento dei
comunisti a causa del tentativo fanfaniano di rilancio a sinistra
della Dc24.
Se nel numero di maggio-giugno del 1958 di Politica ed eco-
nomia, Luciano Barca, rappresenta il capitalismo occidentale
come un sistema omogeneo passibile di essere affrontato secondo
una scelta netta pro o contro il fascismo, verso il quale
limperialismo si volge sempre nei momenti di crisi25, non pi di
tre mesi dopo, proprio Barca introduce una riflessione sui carat-
teri integrativi di quello che, ormai pi assiduamente, definito
neocapitalismo. Barca segnala il rischio di unintegrazione ope-
raia nel sistema capitalistico ottenuta attraverso il superamento
del blocco dei salari e lintroduzione dello strumento della parte-
22
Cfr. Giudizi divergenti sul capitalismo contemporaneo, corsivo non firmato,
in Politica ed Economia, a. I, luglio 1957, p. 35.
23
L. BARCA, Capitalismo non pi nuovo, in Politica ed Economia, a. I, otto-
bre 1957, p. 3.
24
Cfr. G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano e lapertura a sinistra. La Dc di
Fanfani e di Moro 1954-1962, Vallecchi, Firenze, 1977, pp. 15-17; F. MALGERI (a
cura di), Storia della Democrazia Cristiana, 1954-1962. Verso il centro-sinistra,
Edizioni Cinque Lune, Roma, 1989, pp. 7-11; P. CRAVERI, La Repubblica dal
1958 al 1992, UTET, Torino 1995, vol. 24, Storia dItalia diretta da G. GALASSO,
pp. 6-7; A. GIOVAGNOLI, Il partito italiano. La Democrazia Cristiana dal 1942
al 1994, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp. 70 ss.; M. GREGORIO, Costituzione, forma
di governo e partiti politici, in P. L. BALLINI, S. GUERRIERI, A. VARSORI (a cura
di), Le istituzioni repubblicane dal centrismo al centro-sinistra (1953-1968),
Carocci, Roma, 2006, pp. 116-118; L. RADI, La DC da De Gasperi a Fanfani,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, pp. 141-143.
25
L. BARCA, Contro le radici del fascismo, in Politica ed Economia, a. II,
maggio-giugno 1958, p. 1
cipazione agli utili di azienda che induce loperaio [] a ritene-
re che il suo maggior salario non sia legato al fatto che egli d al
monopolio una pi qualificata quantit di forza-lavoro [] ma
sia invece legato ai superprofitti originati dal privilegio e per
questo spinto a farsi carabiniere di tale privilegio26.
59

Un contributo al processo integrativo lo fornisce la congiuntu-


ra salariale al rialzo, nella seconda met degli anni 50. Anche la
trasformazione dei rapporti tra i principali sindacati del paese, i
quali assumono un profilo maggiormente autonomo e recipro-
camente concorrenziale nella ricerca del consenso del lavoratore,
27
agevola il processo di redistribuzione del reddito .
I fondamenti dellazione politica comunista nella prima met
degli anni 50 sono allora sottoposti, per la prima volta, a una re-
visione critica interna. La revisione causa un conflitto evidente
tra la sinistra del partito, che cerca di andare oltre lantifascismo
reattivo per rilanciare una prospettiva rivoluzionaria per
loccidente, e la destra che restia ad abbandonare il paradigma
reattivo dellantifascismo, giudicando la societ italiana ben lun-
gi dal conseguimento di unadeguata democratizzazione.

Capitalismo di Stato o socialismo? Il Pci e lintervento pubblico in


economia

Il confronto appena menzionato si svolge allinterno della


nuova generazione di quadri e intellettuali emersa con lottavo
Congresso. Esso trova nel segretario e nel centro del partito non
solo un custode ma anche un elemento decisivo di indirizzo.
Linput del centro al confronto in prima battuta metodologico.
Esso imposta il dibattito secondo un processo di transizione nella
continuit che per non neutro rispetto agli interpreti. Il peso
specifico, lorganizzazione e la maggiore consapevolezza di s
26
ID., Realt e false apparenze della partecipazione agli utili, Politica ed Eco-
nomia, a. II, settembre 1958, p. 17.
27
Sullevoluzione collaborativa dei rapporti tra Cgil e Cisl a partire dal 1958,
in relazione alla contrattazione alle OM di Brescia, cfr. S. TURONE, Storia del
sindacato in Italia. Dal 1943 a oggi, Laterza, Roma-Bari, 1984, p. 243-244.
dellarea del partito ancora legata a una visione sottoconsumista
della societ italiana contribuisce a difendere, nellequilibrio tra
transizione e continuit, il secondo dei fattori sul primo.
Lintegrazione del lavoratore nel tessuto pi vivo
60
delleconomia, da un lato, e lintervento di Stato nelleconomia,
che con Fanfani si profila come obiettivo strategico della Dc, sono
due fattori che influiscono su questo confronto. Il tema del capita-
lismo di Stato impegna gli economisti di punta del partito fin dal
novembre del 1958 sulle pagine di Politica ed Economia.
Largomento introdotto sempre da Luciano Barca che insiste
sul carattere ibrido del nostro sistema, per cui il conflitto tra ca-
pitale e lavoro non esaurisce i termini della lotta rivoluzionaria,
poich la mancata modernit del Paese impone qualcosa di simile
a uno sforzo comune per la sua normalizzazione.
Il motivo per discutere del capitalismo di Stato, infatti, le-
gato al modo particolare in cui taluni problemi generali si pon-
gono nel nostro Paese per cui la mediazione degli interessi dei
monopoli in Italia avviene attraverso un partito che si richiama
in modo diretto alla dottrina sociale cattolica, interpretata, da
Fanfani, come apripista per una indubbia svolta verso un pi
deciso integralismo clericale di tipo corporativo28.
Il rischio che lintervento statale in economia comporti una
nuova forma di autoritarismo rimane in piedi ma senza che si
faccia riferimento al fascismo, contemporaneamente il capitali-
smo di Stato in s non considerato un modello da rigettare
quanto una formula apparentemente neutra che il Pci pu con-
tribuire a orientare, in Parlamento, verso la sua potenziale decli-
nazione progressista. La personificazione dello Stato investitore e
29
linterpretazione del rapporto tra mercato e capitale sono i due

28
L. BARCA, Un dibattito sul capitalismo di Stato in Italia, in Politica ed Eco-
nomia, a. II, novembre 1958, pp. 13-14.
29
Nei suoi diari Barca, proprio negli appunti relativi allottobre e novembre del
1958, definisce, ad esempio, Eugenio Peggio, redattore capo di Politica ed Eco-
nomia, molto solerte e capace [] anche se [] il pi legato a vecchi schemi
poich, come per molti altri per lui capitalismo e mercato sono la stessa cosa.
Cfr. L. BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci. Con Togliatti e con Lon-
go, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, pp. 198-199.
argomenti su cui si concentrano le differenti analisi del capitali-
smo di Stato introdotte nel dibattito.
Lintervento che apre realmente il dibattito quello di Franco
Rodano che contesta lidea che il capitalismo di Stato sia uno
61
strumento neutro orientabile in base al personale politico che lo
dirige. Egli paventa il rischio che ogni forma di capitalismo di
Stato, proprio perch guidata da unelite politica in parte allarga-
ta, possa tradursi in un gigantismo clientelare. Il capitalismo di
Stato non letto in funzione del manovratore, ma rispetto agli
scopi. Larticolo, infatti, distingue un intervento pubblico in eco-
nomia interessato a fornire beni e servizi in potenziale competi-
zione anche con i privati, dal tentativo di sopperire, in modo va-
go, a carenze sociali non direttamente dipendenti dalla produzio-
ne di beni e servizi gestita dalle imprese nazionalizzate30.
Il rischio di una deriva assistenziale e la percezione
dellinefficienza del pubblico implica, per Rodano, la possibilit
di un doppio effetto negativo sulla politica della sinistra italiana.
Il primo effetto negativo che la riforma del sistema economico
nazionale sia estemporanea perch calibrata per intervenire ai
margini e sugli scarti del cuore del sistema economico. Il secondo
che un capitalismo di Stato cos pensato getti un riflesso nega-
tivo sulleconomia di pubblica propriet. Il capitalismo di Stato a
guida politica, agli occhi di Rodano, gi in nuce prefigura una ge-
stione dellintervento pubblico in cui la costruzione di reti di
patronage e la preservazione del potere dirigente, prima che
lelaborazione programmatica, contano pi dellefficienza.
Questa rappresentazione del capitalismo di Stato comporta
una distinzione rispetto a chi, evidentemente anche dentro il Pci,
si propone di condizionare, e non di combattere a oltranza, la
sciagurata politica dellon. Fanfani vera e proprio camicia di
Nesso che corrode e soffoca [] ogni energia intraprenditrice
delle aziende sotto controllo pubblico. Lobiettivo del Partito

30
Sulla presenza di osservazioni analoghe in contesti esterni a quello comuni-
sta, cfr. F. BARCA, Op. cit., p. 88; I. FAVRETTO, Alle radici della svolta autonomi-
sta. PSI e Labour Party, due vicende parallele (1956-1970), Carocci, Roma, 2003,
pp. 178-179.
cattolico circoscritto a quello di chi intende accamparsi
allinterno della compagine statuale come in un proprio particolare
dominio ritagliandosi al suo interno, il luogo e lo spazio per una
arbitraria e indiscriminata libert dazione che sfidi e violi il diritto
62
comune. Il capitalismo di Stato configura allora un tassello nella
costruzione di uno Stato assistenziale per questo applicato alle
parti dello Stato che pi direttamente interessano la vita econo-
mica del paese e il processo dellattivit produttiva, e che quindi
promettono e assicurano pi tangibili e concrete prerogative, privi-
legi pi appetitosi, incontrollati e sonanti31.
Linterpretazione del capitalismo di Stato pi in voga dentro il
partito si mostra visibilmente pi possibilista nei confronti di un
controllo politico-parlamentare dellintervento di Stato in eco-
nomia. Nel dibattito seguente a ribadire questa posizione , tra i
primi, Angelo Di Gioia32, mentre sulla scia di Rodano si pone il
complesso intervento di Lucio Magri.
Magri, esponente della sinistra del partito e da poco iscritto al-
lo stesso dopo un tormentato percorso politico33, sostiene la revi-
sione della tesi dellarretratezza sistemica del capitalismo nazio-
nale. Egli rappresenta Fanfani come un innovatore autoritario
che risponde allesigenza del capitalismo italiano di disporre di
un governo forte, autonomo dal parlamento, capace di com-
piere operazioni decise ai danni della piccola e media borghesia
premoderna [] un governo efficiente, capace di agire con deci-
sione e secondo un certo disegno organico.
La trasformazione dellapproccio interpretativo mutua il piano
dellopposizione di classe che necessita adesso di un salto qualita-
tivo. Il mero produttivismo non basta pi a costituire una politica
spendibile per un partito di ispirazione marxista. In questo inter-
vento, come in quello di Rodano, emerge la preoccupazione che il
legame con il vincolo di congiuntura, una volta divenuto priori-

31
F. RODANO, La manomorta del regime fanfaniano, in Politica ed Economi-
a, a. II, novembre 1958, pp. 21-22.
32
Cfr. A. DI GIOIA, senza titolo, in Politica ed Economia, a. II, Gennaio 1959,
p. 28.
33
Cfr. G. CHIARANTE, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cin-
quanta, Carocci, Roma, 2006, pp. 29-180.
tario rispetto allaspetto prettamente economico dellerogazione
del servizio, indebolisca in linea di principio e in linea di fatto, il
settore dellimpresa pubblica34.
La risposta allarticolo di Magri occupa i numeri successivi
63
della rivista economica. Il punto che appare meno digeribile
quello relativo allapplicazione di un criterio di efficienza eco-
35
nomica alle imprese a partecipazione statale . Vincenzo Vitiello,
ad esempio, definisce il feticcio pi appariscente [] quello del
criterio di economicit fondato sul calcolo della redditivit che
concepito nel senso ristretto del conseguimento del profitto,
porta necessariamente [] ad espellere dalla fabbrica la mano-
dopera in eccesso. In un sistema definito ancora come monopo-
listico per Vitiello si sarebbe naturalmente acuito il contrasto tra
le funzioni di progresso economico e sociale che potrebbero avere
le imprese pubbliche e le scelte orientate essenzialmente in base
al criterio della redditivit36, ragione per cui il principio della
non profittabilit dellintervento considerato un momento posi-
tivo dellazione capitalistica di Stato che lo differenzia dal capita-
lismo privato, fondato unicamente sul principio del profitto.
Una posizione mediana la assume Bruno Trentin che sottoli-
nea la trasformazione modernizzatrice della Dc che ora mira a
sostituirsi permanentemente alle forme tradizionali di mediazio-
ne tra Stato e Confindustria, che di volta in volta erano rappre-
sentate dalla destra dc e dal Partito Liberale, implicando quindi
la costruzione di un partito di regime, effettivamente padrone
della macchina statale e che corrispondentemente fa propria
una concezione della pubblica amministrazione come elemen-
to attivo [] della riorganizzazione della economia italiana in
funzione degli interessi monopolistici e un centro di potere []
per la negoziazione, con gli stessi gruppi monopolistici di una

34
L. MAGRI, Egemonia proletaria e utilizzazione del capitalismo di Stato, in
Politica ed Economia, a. II, gennaio 1959, p. 34.
35
Cfr. B. MANZOCCHI, Gestione economica delle aziende di Stato su scala na-
zionale, in Politica ed Economia, a. II, Febbraio 1959, p. 36. Si veda anche L.
BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci, cit., p. 200.
36
V. VITELLO, Impresa pubblica, redditivit aziendale e sviluppo economica, in
Politica ed Economia, a. II, Maggio 1959, pp. 20-21.
politica sociale, capace di assorbire e di influenzare larghi strati
di popolazione lavoratrice.
Trentin evidentemente vicino alle posizioni descrittive della
sinistra del partito pur manifestando una attenzione pi robusta
64
verso la redditivit immediata del conflitto sindacale. Egli indivi-
dua almeno tre ambiti in cui esercitare lazione di stimolo dei
comunisti: la difesa e il potenziamento dellindustria meccanica
controllata dallo Stato, la riorganizzazione delle imprese pro-
duttrici di energia controllate dallo Stato sotto un unico ente e il
riassetto istituzionale dellintero settore delle partecipazioni sta-
tali, attraverso la loro organizzazione in enti di gestione, posti
sotto la diretta responsabilit del Governo e il controllo del Par-
lamento37. Trentin dimostra, rispetto alla sinistra comunista,
una maggiore vicinanza alla linea del partito, soprattutto riguar-
do al tema del controllo, qui ancora attribuita ad enti di gestione
rispondenti principalmente al Parlamento. Tuttavia la richiesta di
un impegno pubblico selettivamente rivolto verso lindustria
meccanica prefigura un indirizzo dello sviluppo che non coincide
con le posizioni prevalenti nella destra del partito a sostegno di
un modello di spesa al cui interno lagricoltura e la piccola e me-
dia impresa occupano ancora un posto principale. Trentin assu-
me un ruolo a se stante che lo porta ad essere, in questo settore,
una delle voci pi ascoltate e rilevanti dellintero Pci.
Il dibattito sul capitalismo di Stato differenzia schematicamente
una componente maggioritaria del partito interessata a promuove-
re le forme di nazionalizzazione anche passiva delle masse lavora-
trici e unarea pi eterogenea che, esulando dalla centralit imme-
diata della rivendicazione salariale, punta la propria attenzione sul
ruolo attivo del lavoratore nella nuova societ spostando la sfida al
neocapitalismo sul versante dellorganizzazione produttiva e sul
lato qualitativo della contesa38.
Il V congresso della Cgil costituisce una tappa tra le pi im-

37
B. TRENTIN, Una strada lunga dieci anni, in Politica ed Economia, a. II,
Giugno 1959, pp. 24-29.
38
Cfr. S. GARAVINI, Le industrie automobilistiche europee in concorrenza sul
mercato italiano, in Politica ed Economia, a. IV, Novembre 1960, p. 5.
portanti in questo processo. Il congresso, per descriverlo attraver-
so le parole di un suo protagonista, rilancia lidea che la [] di-
stribuzione del prodotto e quindi la stessa organizzazione del la-
voro nella produzione non potevano essere monopolio esclusivo
dei possessori di capitale39 e accelera lindebolimento della di-
65
40
pendenza stretta del sindacato dal partito . Il principio
dellautonomia sindacale aggiunge un ulteriore tassello a uno
scontro interno basato essenzialmente su due fattori: il giudizio
sul grado di maturit del Paese e la conseguente metodologia po-
litica che lorganizzazione avrebbe dovuto adottare nei confronti
di ci che nel Paese si organizza esprimendo ragioni politiche pur
senza essere partito.
Il confronto interno allorganizzazione comunista si concentra
adesso sulle forme della contrattazione sindacale e in termini che
rendono evidente come la sua tematizzazione sia inscindibile da
una riflessione sul ruolo dellorganizzazione sindacale e sulla
funzione del lavoro dipendente. Il tema del salario e le ragioni di
merito nella sua distribuzione marcano, in questo caso, la differen-
za tra i sostenitori della contrattazione in base al rendimento da
coloro i quali propongono una priorit del tema delle qualifiche.
Nel maggio del 1960 il tema della contrattazione dibattuta
nella commissione di massa del Pci. La relazione iniziale di Enri-
co Bonazzi, responsabile della commissione a breve sostituito da
Giorgio Napolitano41, individua la novit del V Congresso
nellaver segnalato un livello dello scontro che nelle grandi fab-
briche interessa ragioni dordine pi complesse che in passato.
Un doppio livello per cui se la lotta per gli aumenti salariali e
39
V. FOA, Op. cit., p. 265. Sul V congresso si veda anche A. PEPE, Il sindacato
nel compromesso nazionale: repubblica, costituzione, sviluppo, in ID., P. IUSO,
S. MISIANI (a cura di), Storia del sindacato in Italia nel Novecento. La CGIL e la
costruzione della democrazia, Ediesse, Roma, 2001, pp. 118-122, S. TURONE, Op.
cit., pp. 269-271, M.L. RIGHI, Gli anni dellazione diretta, (1963-1972), in A. PE-
PE (a cura di), Storia del sindacato in Italia nel 900. Il sindacato nella societ
industriale, Ediesse, Roma, 2008, p. 22, A. GRAZIANI (a cura di), Leconomia
italiana dal 1945 a oggi, il Mulino, Bologna, p. 77.
40
Cfr. S. T URONE, Op. cit., p. 254.
41
Cfr. G. NAPOLITANO, Dal Pci al socialismo europeo. Unautobiografia politi-
ca, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 53.
nuove conquiste normative deve svilupparsi ovunque vi sono la-
voratori sfruttati, bassi salari, per imporre ovunque non lo sono il
rispetto dei minimi (erga omnes) contrattuali [] anzitutto do-
ve la classe operaia maggiormente concentrata nelle grandi
66
fabbriche e nelle industrie dei complessi monopolistici, che deve
essere posto con estremo vigore il problema di una politica ri-
vendicativa salariale e normativa molto avanzata, e sapere con-
durre con vigore grandi lotte articolate [] che mirino a mobili-
tare interi settori omogenei42. La relazione giustappone posizio-
ni non conciliate dentro il partito.
I fautori dellindirizzo al reddito della redistribuzione, come
Eugenio Peggio, difendono i successi ottenuti nelle fabbriche to-
rinesi con rivendicazioni di legame del salario e del rendimen-
to. Si stabilisce, in questo caso, un livello dello scontro basato
prima di tutto sul salario e solo marginalmente sulla appropria-
zione del processo produttivo.
La contrattazione per qualifiche di settore, invece, lega
lindirizzo della distribuzione al raggiungimento di una maggiore
maturit da parte dei lavoratori. La determinazione del merito e
del salario secondo aumenti dettati dalla conoscenza del processo
produttivo mira inoltre a garantire una contrattazione meno spe-
requata da zona a zona, dal momento che non lega laumento al-
la produttivit della singola impresa, ma a una qualifica settoria-
le indifferente alla produttivit conseguita. Sulla priorit delle
qualifiche Luciano Barca si sofferma per sottolineare quella che
reputa larretratezza del partito nel connettere le punte di com-
battivit avutesi nellagosto 60 [] pi che nellagosto 59
con temi quali struttura del salario, qualifiche, ecc. Una arre-
tratezza riflessa nel fatto che si discute ancora sulla lotta azien-
dale, mentre la CGIL pone la questione delle lotte di settore.
Questultimo passaggio aiuta a capire meglio i termini del
confronto. La lotta di settore pone il conflitto sul terreno di una
contrapposizione tra organizzazioni unitarie: da una parte i sin-
dacati di categoria e dallaltra le imprese. Lobiettivo che ci si

42
FIG, APC, mf. 0468, serie sezioni di lavoro, commissione lavoro di massa 1960,
Riunione del 18-19 maggio 1960, Relazione di Enrico Bonazzi, pp. 15-17.
pone quello di riflettere lintegrazione per settore sui sindacati
corrispondenti e di conquistare un salario unico per qualifica
[] cio una serie di minimi per qualifiche. La scelta del terreno
aziendale, al contrario, comporta un indirizzo pi interessato alla
67
rimunerativit immediata come afferma Angelo Di Gioia quando
sostiene che il sindacato deve contrattare, nella azienda supe-
rando le riserve su sindacato aziendale, aziendalismo perch
il vero pericolo la assenza del sindacato dalle aziende: quello
43
il vero aziendalismo .
Il confronto rimette in causa il tema del controllo operaio e
dellunit sindacale ma coinvolge la linea nazionale del partito
emersa con il Congresso del 1956 e adesso messa alla prova
dallavvicinamento tra democristiani e socialisti dopo il fallimen-
to del Governo Tambroni44.
In questo quadro il Convegno sulle tendenze del capitalismo
italiano, organizzato dallIstituto Gramsci nel marzo del 1962,
rappresenta il tentativo di dare alla linea economica del movi-
mento comunista italiano una unitariet evidentemente non con-
seguita. La prima delle tre relazioni introduttive, affidata ad An-
tonio Pesenti e Vincenzo Vitiello, effettua un riconoscimento ri-
levante del processo espansivo di integrazione economica.
Lintegrazione economica europea, infatti, definita un feno-
meno di lunga durata, che corrisponde alle esigenze generali del-
lo sviluppo capitalistico, al progredire della tecnica e alla conse-
guente produzione di massa, che esige mercati sempre pi vasti e
stabili, la eliminazione delle strutture pi arretrate, una maggiore
mobilit delle forze produttive. Lo sviluppo capitalistico rela-
zionato a un movimento generale verso una maggiore liberaliz-
zazione degli scambi e dei pagamenti, di crescenti legami e inter-
connessioni tra i paesi capitalistici.
I due relatori sottolineano come nel settore della produzione

43
APC, FIG, mf. 0468, serie sezioni di lavoro, commissione lavoro di massa
1960, riunione del 24 agosto 1960, p. 10-14.
44
Sul caso Tambroni tra le tante ricostruzioni fornite si fa qui riferimento a
quelle di P. CRAVERI, Op. cit., pp. 57-73, P. DI LORETO, La difficile transizione.
Dalla fine del centrismo al centro-sinistra. 1953-1960, il Mulino, Bologna, 1993,
pp. 240-246.
industriale sia intervenuta una maggiore coordinazione rispetto
al passato importante nel determinare nuove localizzazioni in-
dustriali, riconoscendo, cos, alcuni dei risultati conseguiti dalla
programmazione economica, come la costituzione nel 1956 del
68
Ministero delle Partecipazioni statali e lobbligo per il Ministero
di presentare una relazione programmatica sottoposta al control-
lo e alla approvazione, nelle sue linee generali, del Parlamento.
La ragione di questi cambiamenti ricondotta alla mobilitazione
di massa, consentendo di recuperare la rappresentazione del capi-
talismo italiano in termini di arretratezza sistemica indotta alla
trasformazione dallesterno e che ancora pu svolgere il ruolo di
imporre orientamenti dellintervento pubblico che siano pi con-
formi alle esigenze di progresso economico e civile del paese45.
Le riflessioni proposte nel dibattito dalla seconda relazione,
quella di Bruno Trentin, mostrano un carattere pi complesso e
si basano su una descrizione del neo-capitalismo inteso come
movimento storico autonomo che, contenendo una contraddizio-
ne tra ragioni del profitto e razionalit della produzione, pu
consentire di porre il conflitto di classe su un terreno qualitati-
vamente pi maturo e allargato nei suoi soggetti costitutivi. Il
successo del modello neocapitalista, osserva Trentin, non elimina
il conflitto per aver ridistribuito pi reddito e incrinato
lequilibrio dei bassi salari. Esso, infatti, smentisce la tesi, riaf-
fiorata negli anni 1955-56, di una tendenziale attenuazione dei
conflitti di classe nella grande impresa moderna, in ragione del-
la progressiva sostituzione dei proprietari-azionisti da parte dei
managers, nella gestione diretta dellimpresa stessa. Trentin
rifiuta la schematica equiparazione tra il cosiddetto neocapitali-
smo e lintegrazione della classe operaia, adesso impegnata nel-
la lotta per la conquista di una autonomia [] del lavoratore
dalla singola azienda e dalla sua politica di gestione, che si ri-
flette in rivendicazioni quali quelle per il salario garantito o per
le nuove qualifiche rispondenti alle capacit professionali della
persona del lavoratore e il diritto a negoziare i ritmi di pro-

45
A. PESENTI e V. VITIELLO, Tendenze attuali del capitalismo italiano, in Poli-
tica ed Economia, a. V, marzo-aprile 1962, pp. 15-26.
duzione.
Il nuovo piano del conflitto investe il tema del controllo della
produzione allinterno di un sistema di fabbrica composto da tre
elementi (capitale, direzione, produzione) due dei quali dire-
69
zione e produzione possono essere congiunti contro gli interessi
del capitale.
Questa differenziazione tra direzione o gestione del processo
lavorativo e possesso del capitale non comporta un automatismo
del conflitto e per allarga il campo delle possibilit dellazione
comunista potendo esprimere il tentativo di larghi strati di in-
tellettuali della produzione, di tecnici, di acquisire una autono-
mia culturale e ideologica e una autonomia politica dal sistema.
Per il Pci, nella prospettiva tracciata da Trentin, si apre
lobiettivo di sensibilizzare al socialismo nuove categorie profes-
sionali, quali la grande massa dei lavoratori convogliati nei ser-
vizi e in genere nel settore cos detto terziario, la grande massa
degli impiegati dellindustria e, particolarmente, la categoria dei
tecnici dellindustria e dellagricoltura, la cui conquista agli ideali
del socialismo diventa nelle condizioni odierne uno degli obietti-
vi fondamentali del movimento operaio.
Sulla base di questa descrizione, Trentin affronta il tema delle
nazionalizzazioni, stabilendo un discrimine di merito che rela-
zionato al ruolo svolto da questo processo di acquisizione pubbli-
ca di settori delleconomia privata in funzione di una trasforma-
zione generale della societ italiana.
Secondo Trentin liniziativa comunista, infatti, manca di chia-
rezza nel ribadire il valore di strumento delle nazionalizzazioni
rispetto alla affermazione di un certo tipo di politica di sviluppo
e rispetto ad una nuova articolazione democratica della societ
nazionale. Temi quali i problemi del controllo operaio, della
nuova funzione e dei poteri autonomi dei sindacati, delle forme
di gestione associata, del controllo democratico, della nuova fun-
zione degli enti locali, delle nuove forme e dei nuovi istituti di
democrazia di base, diventano parte integrante e inscindibile di
una politica di riforme strutturali. La difesa e lestensione degli
istituti della democrazia rappresentativa complementare al
sorgere di nuovi strumenti di controllo popolare, di nuovi istituti
di democrazia, capaci di rappresentare nei loro rapporti di neces-
sit con laffermazione di una determinata politica di sviluppo,
unalternativa reale alle soluzioni tecnocratiche o a quelle molte-
plici dellistituzionalismo e della economia concertata46.
70
La relazione di Amendola, che segue quella di Trentin, in-
trodotta anchessa dal riconoscimento della creazione di nuove
condizioni alla lotta di classe, adesso svolta su linee pi avan-
zate, non pi in un paese economicamente arretrato47. Il rinno-
vamento delle categorie di lettura del capitalismo italiano attra-
versa anche larea pi legata a una sua rappresentazione stagna-
zionista48 sebbene la relazione fornisca sotto molti aspetti un
saggio di continuit storica. Particolarmente pertinente
linterpretazione fornita da Franco De Felice in merito quando
osserva che il riferimento allantifascismo presente in Amen-
dola e secondario negli altri interventi evidenziando la diva-
ricazione che poteva registrarsi in un organismo compatto come
il Pci su un punto delicato e denso di significato perch in A-
mendola il richiamo allantifascismo operava secondo lo schema
su cui era costruita la sua analisi del dopoguerra: rimaneva fuori
la questione di cosa dovesse o potesse diventare lantifascismo in
rapporto allintensit delle trasformazioni, in quale misura potes-
se rafforzare la capacit di comprensione delle forme di modifi-
cazione dello Stato49.
Riguardo la connessione tra riforme economiche e trasforma-
zione degli istituti di rappresentanza in senso progressivamente
democratico, sollevato da Trentin, Amendola si esprime indican-
do nella partecipazione popolare lelemento che pu dare agli
istituti repubblicani un reale contenuto democratico ed assicurare
il mantenimento nel paese di un alto grado di permanente ten-
sione sociale e politica. La partecipazione popolare ha quindi il

46
B. TRENTIN, Le dottrine neocapitalistiche nella politica economica, ivi, p. 28-
45.
47
G. AMENDOLA, Lotta di classe e sviluppo economico dopo la liberazione, ivi,
p. 47.
48
L. MAGRI, Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, Il Saggiatore, Milano,
2009, p. 188.
49
F. DE FELICE, LItalia repubblicana, cit., p. 42-43.
compito di sollecitare, non di indirizzare, gli istituti della demo-
crazia repubblicana.
Le riforme cui il Pci pu dare il suo sostegno sono quelle ri-
spondenti a esigenze nazionali e che assicurano uno sviluppo
71
democratico delleconomia italiana [] per giungere alla elimi-
nazione delle basi sociali del fascismo. Il senso nazionale del
movimento operaio genera, in questa interpretazione, un circuito
felice tale da rimettere in carreggiata lo stesso capitalismo obbli-
gandone la modernizzazione dopo il ciclo di lotte del 49 e del
50, qui definite meritorie perch funzionali alla difesa
dellindustria italiana. Di innovativo si registra la presa datto
del ruolo del Mec nel processo di sviluppo rispetto a quelle posi-
zioni del Pci che a esso hanno attribuito difficolt economiche
che erano [] conseguenze della fase del ciclo economico inter-
nazionale50.
Gli spunti critici nel dibattito sono accomunati dalla messa in di-
scussione del ruolo istituzionale e responsabile della classe operaia
nei confronti della nazione. Vittorio Foa, tra questi, mette in dubbio
la possibilit di far convergere, diversamente dalla fase degli ultimi
quindici anni51, linteresse operaio con quello generale.
Lintervento pi complesso e pi significativo delle obiezioni
poste ad Amendola quello di Lucio Magri. Magri relaziona
linsufficienza di una linea di lotta sindacale di classe a un er-
rato giudizio di fondo dello sviluppo capitalistico schiacciato
sulla contrapposizione capitale-lavoro da cui si deduce che
lunica forza progressiva il proletariato e lunico terreno di lotta
quello che sta al livello dellazienda. Il capitalismo interpretato
quindi come un fattore di riorganizzazione della societ, relati-
vamente indipendente dal conflitto di classe, che tutta la riduce
sotto le sue leggi contraddittorie.
Magri non chiede di contrapporsi a questa riorganizzazione
del capitalismo mediante una chiusura antimoderna ma di intro-
50
G. AMENDOLA, Lotta di classe e sviluppo economico dopo la liberazione, cit.,
pp. 48-68.
51
Cfr. Tendenze del Capitalismo italiano, Atti del convegno economico
dellIstituto Gramsci 23-25 marzo 1962, Editori Riuniti, Roma, 1962, intervento
di Vittorio Foa, p. 235.
durre, nel dibattito comunista, dei momenti di riflessione legati a
una revisione della societ dei consumi anticipata, ad esempio,
dai principali esponenti del marxismo critico francofortese. I suoi
riferimenti rimandano a Schumpeter, tra gli economisti borghe-
72
si; o ad Adorno fra i sociologhi paramarxisti; o al giovane Lukacs
nel campo del marxismo eterodosso o al Marx giovanile, dei
manoscritti del 44, che tanti spunti preziosi contengono [] per
rimanere adeguati al momento, alla fase in cui storicamente do-
veva svilupparsi ai suoi tempi la lotta di classe.
La riorganizzazione capitalista della societ va allora contra-
stata sul terreno della libert da forme di dipendenza che ora si
profila come dipendenza dal bisogno indotto. Lobiettivo di lungo
periodo del comunismo, infatti, circoscritto allo sviluppo di bi-
sogni umani [] come fine della produzione dei beni e non mo-
mento subalterno di essa, aspetto speculare di una riconversione
del lavoro per cui esso sarebbe dovuto essere libera e creativa
espressione della personalit e perci a sua volta inesauribile ori-
gine di bisogni umani.
La riflessione di Magri presuppone una nuova razionalit del-
la ricchezza. Su questo terreno egli pone il punto di contatto tra
marxisti e cattolici, giacch entrambi interessati a contrastare un
modello di societ, come quella capitalista, cui si attribuisce il fi-
ne di sottoporre la dimensione qualitativa-pluriforme della per-
sonalit umana a una riduzione quantitativa che trova nel denaro
e nei consumi indotti i suoi vettori. Lintervento sottolinea come
nella ineliminabile carica anticapitalistica del movimento catto-
lico in quanto cattolico, in quanto movimento religioso, i comu-
nisti trovano un forte elemento di alleanza proprio nel momen-
to in cui la societ capitalistica si dimostra soprattutto non pi
una societ che comprime la quantit dei bisogni, quanto e so-
prattutto come una societ che comprime luomo nelle sue di-
52
mensioni qualitative .
Questa interpretazione del capitalismo presuppone la rimo-
zione del problema della sussistenza nei paesi occidentali e fa
emergere un eccesso prospettico, riconosciuto a posteriori anche

52
Ivi, intervento di Lucio Magri, pp. 328-334.
da alcuni tra gli interpreti principali di quel modello interpretati-
vo, come Rossana Rossanda, che riconosce una tendenza alla esa-
gerazione nel descrivere la dinamica dello sviluppo come se a
forza di innovazioni gi fossimo in Germania53, o lo stesso Ma-
73
gri, che nel rileggere le posizioni assunte nel corso del convegno
afferma di aver attribuito importanza, nellanalisi, al fenomeno
del consumismo individualistico come tratto del neocapitalismo,
il che si prestava particolarmente allaccusa di astrattezza e di i-
deologismo, di fronte a un paese nel quale il benessere era ben
lontano e tanti bisogni vitali erano ancora insoddisfatti54. Esse
propongono per una rappresentazione pi complessa delle ten-
denze dello sviluppo capitalista e della sua capacit di esercitare
una egemonia globale fra laltro niente affatto distante dalla let-
tura della crisi del movimento comunista nel confronto globale
prefigurata in quegli anni da Palmiro Togliatti.
Togliatti matura la consapevolezza di questa crisi soprattutto
dopo il XXII congresso del Pcus e il non troppo implicito richia-
mo alla frontiera della rincorsa alla civilt dei consumi come o-
biettivo del movimento ivi avanzato da Kruscev che propone,
come ha osservato Carlo Spagnolo, uninterpretazione assai ri-
duttiva del socialismo, basata sulla teoria degli stadi di sviluppo
di Walt Rostow assai pi che sulle idee di Marx sui bisogni e le
capacit55. Il segretario del Pci sviluppa un profondo disincanto
verso le prospettive rivoluzionarie del comunismo a guida sovie-
tica, che terminer nella stesura del Memoriale di Yalta, e fa pro-
prio uno sguardo pi scettico riguardo le possibilit di una frattu-
ra rivoluzionaria in Occidente rispetto a una sinistra pi ottimi-
sta che avrebbe ricercato da allora queste fratture nella contesta-
zione studentesca e nello scenario del cosiddetto Terzo Mondo.
La sinistra interna, per, svolge una funzione di stimolo senza la
quale il Pci probabilmente sarebbe rimasto ancorato a una visio-
ne del capitalismo italiano fondata sulla contrapposizione tra
monopoli autoritari e masse operaie frustrate e capaci di orien-

53
R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino, 2005, p. 242.
54
L. MAGRI, Il sarto di Ulm, cit., p. 189.
55
C. SPAGNOLO, Sul memoriale di Yalta, cit., p. 199.
tarsi solo in presenza di una testa esterna quale quella rappresen-
tata dalla classe politica comunista.
La sopravvivenza di sacche profonde di povert nellItalia
dellepoca56 non esclude che la riflessione avanzata da sinistra
74
metta in causa il problema della qualit dello sviluppo, antici-
pando argomenti, categorie e termini che avrebbero influito a
fondo sulla vicenda storica della sinistra italiana. Lintervento di
Magri utile per comprendere nello specifico le differenze tra la
destra e la sinistra del partito. Su queste differenze influisce sia
larea di provenienza dei due dirigenti comunisti sempre la
Rossanda nelle sue memorie parla esplicitamente di un evidente
57
disaccordo fra i settentrionali e la direzione del partito sia
il fatto che Magri, e i dissenzienti, abbiano una relazione con
lorganizzazione del partito meno intensa dellarea concentrata
intorno ad Amendola58.
Un ulteriore contributo alla definizione di queste differenze lo
propone Rodolfo Banfi che introduce una revisione della questio-
ne meridionale tendente al suo rapido superamento59. Il rapporto
fra sud e nord definito da Banfi un modo di essere, una del-
le forme specifiche dellanzidetta contraddizione complessiva, e
non una contraddizione a s stante per cui concepire il contra-
sto fra settentrione e meridione come fenomeno a origine stori-
ca piuttosto che socio-economica comporta [] una visione
dellItalia [] in cui si perde di vista [] il processo di unifica-
zione capitalistica del paese che rende intrinsecamente dina-

56
Cfr. I. FAVRETTO, Op. cit., pp. 187-188, A. PEPE, Il sindacato nel compromesso
nazionale: repubblica, costituzione, sviluppo, in ID., P. IUSO, S. MISIANI (a cura
di), Storia del sindacato in Italia nel Novecento. La CGIL e la costruzione della
democrazia, cit., p. 103, F. BARCA, Op. cit., pp. 64-70.
57
R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, cit., p. 241.
58
Per una interpretazione simile cfr. L. BARCA, Cronache dallinterno del verti-
ce del Pci, cit., p. 293.
59
Secondo linterpretazione di Rossana Rossanda fu proprio questo uno degli
argomenti che pi pesarono nel determinare uno scontro tra la direzione del
partito e gli esponenti della sinistra interna, colpiti, ricorda la fondatrice de Il
Manifesto, perch pensammo che la crescita avrebbe unificato il paese in
una modernizzazione che poteva chiudere, per esempio, con la questione me-
ridionale. R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, cit., p. 242.
mico60 il contrasto tra Nord e Sud del Paese.
Questi esponenti del Pci vivono diversamente, pensano di-
versamente e, particolare fondante in un partito a forte carat-
tere ideologico e quindi legato a un proprio nucleo di testi di
75
riferimento, leggono diversamente. Una rappresentazione stori-
camente onesta di questa diversit la fornisce, in sintesi, Rossana
Rossanda, nella sua autobiografia, quando descrive il suo lavoro
come responsabile della commissione cultura del Pci, incarico as-
sunto nel 1962 in sostituzione di Mario Alicata, tracciando un
quadro della propria formazione intellettuale che spazia da Joyce
ad Althusser, da Adorno a Sartre. La sinistra interna, soprattutto,
legge Marx con una costanza e una dedizione nuova e difficilmen-
te riscontrabile nella formazione intellettuale del gruppo dirigente
comunista che, tranne alcune eccezioni, si forma nel riferimento a
intellettuali nazionali e, prevalentemente, meridionalisti61.
La sinistra recupera dal patrimonio comunista la ricerca di
una politica e di un pensiero globali, maggiormente attenta verso
tutto ci che universale e potenzialmente rivoluzionario al
tempo stesso, dal dissenso nella Chiesa alla emersione del Terzo
Mondo come soggetto non inquadrabile dentro la cornice della
coesistenza pacifica. La destra si muove in una prospettiva in
primo luogo nazionale e che si sarebbe estesa allEuropa s ma
per intenderla come nuovo contesto in cui pensare il destino sto-
rico della nazione italiana ricercando una linea politica pi con-
creta e spendibile nellimmediato attraverso la politica delle alle-
anze e il sostegno al principio della coesistenza pacifica.
Labbandono della prospettiva rivoluzionaria , in questo caso,
implicita e il settore della societ cui ci si rivolge essenzialmen-
te quello dellarea politico-intellettuale filo-socialista, laburista e
laica.
Le differenze tra le parti sono nette al punto da non essere sin-
tetizzabili. Le conclusioni di Amendola al convegno, non a caso,

60
Tendenze del Capitalismo italiano, cit., intervento di Rodolfo Banfi p. 349.
61
Cfr. R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, cit., pp. 268-278. Riguardo la
familiarit con questa cultura pi europea che italiana si veda anche L. MAGRI,
Il sarto di Ulm, cit., p. 147, 183, 189.
tentano di consolidare i propri punti di partenza, secondo una
descrizione del capitalismo nazionale per cui esso continua a dif-
ferenziarsi dal resto del sistema occidentale per ragioni relative
alla sua arretratezza e tali da consigliare un profilo pi basso e
76
responsabile nellazione del movimento operaio. Per Amendola
pacifico che, nella lotta per il compimento della rivoluzione de-
mocratica borghese, la classe operaia abbia una sua funzione na-
zionale configurabile in un aumento del reddito, e un impiego
del reddito che assicuri una elevazione delle condizioni materiali
e culturali delle masse lavoratrici, ed un crescente soddisfacimen-
to dei bisogni collettivi della societ.
Il conflitto di classe, in questa ottica, garantisce alla soggetti-
vit operaia maggior benessere e rappresentanza istituzionale
prevalentemente dentro gli istituti di rappresentanza politica pre-
figurati dalla Costituzione. La democrazia di tipo nuovo, sotto
laspetto delle forme della politica, esige anzitutto un efficace
funzionamento del parlamento presupponendo un allargamen-
to dei confini della democrazia inteso come integrazione fe-
conda e originale del sistema parlamentare e degli istituti previsti
dalla Costituzione (regione, provincia, comuni) e non come loro
negazione. Soprattutto, conclude Amendola, bisogna non
cercare astrattamente di fissare, precostituire, prefigurare, mitiz-
zare le forme del controllo operaio in fabbrica, quando non riu-
sciamo ancora a costituirvi nemmeno il sindacato.
La denuncia del rischio perenne di una deriva fascista, dimo-
strato dal risultato conseguito a Roma dalla destra neofascista al-
le elezioni amministrative del novembre 1961, ritorna come con-
dizione di ragionevolezza per indurre a riunire, ancora una volta,
tutte le opposizioni sotto le bandiere dellantifascismo. A partire
da queste premesse, il partito confermato nella sua funzione
pedagogica per cui esso deve portare nella fabbrica una coscien-
za rivoluzionaria [] che matura [] sulla base di una conoscen-
za generale del mondo, della situazione internazionale, dellItalia,
della sua storia, dei suoi rapporti di classe, della sua cultura, della
sua filosofia, secondo la concezione leninista del partito62.
Lorganizzazione, quindi, uno strumento chiamato a indirizzare
secondo stadi progressivi la trasformazione delle coscienze e del-
la societ innanzitutto supplendo al ruolo svolto in altri contesti
nazionali dalle borghesie63.
77

La contrapposizione emersa nel dibattito si innesta su un mo-


do di organizzare il confronto interno che irrigidito dai vincoli
del centralismo democratico. Tuttavia ci non impedisce che al-
cuni degli argomenti proposti dalla minoranza di sinistra diven-
gano patrimonio comune del partito64. Il convegno dimostra che
dentro il Pci convivono posizioni non riducibili a unit, su cui a-
gisce uno sforzo di sintesi continua del centro soprattutto duran-
te lultima fase della segreteria Togliatti65.

La Conferenza operaia di Genova

Il processo di impetuoso sviluppo vissuto dal Paese tra il 1958 e il


1963 rallenta a partire dal 1964, lasciando in eredit un deficit di
regolamentazione politica dello sviluppo. Questa dinamica si ri-
flette dentro il Pci. Le posizioni della sinistra interna sono inde-
bolite dalla crisi di soluzioni politiche, come il centro-sinistra, cui

62
Tendenze del Capitalismo italiano, Op. cit., conclusioni di Amendola, p. 428-
439.
63
Questa visione del ruolo delle avanguardie era anchessa riconducibile alla
strategia politica di Lenin seguente la fallita rivoluzione del 1905, cfr. S. PONS,
Op. cit., p. 4.
64
Esemplare larticolo a firma comune di Franco Rodano e Claudio Napole-
oni, pubblicato nel giugno del 1964 su La Rivista Trimestrale, in cui i prin-
cipali apprezzamenti circa la politica economica del Pci, allinterno di un
contesto prevalentemente critico, venivano rivolti alla mozione di minoran-
za al disegno di legge relativo al bilancio di previsione dello Stato per il pe-
riodo 1 luglio 31 dicembre, il cui estensore Luciano Barca, dirigente tra i
pi rilevanti nel novero di quelli che influenzano le posizioni di Pietro In-
grao. Cfr. C. NAPOLEONI, F. RODANO, Significato e prospettive di una tregua
salariale, in La Rivista Trimestrale, a. III, n. 10, giugno 1964, p. 244.
65
Cfr. E. TAVIANI, Di fronte al centro sinistra, in R. GUALTIERI, C. SPAGNOLO,
ID., Togliatti nel suo tempo, cit., pp. 394-422.
era stata attribuita la capacit di realizzare una normalizzazione
modernizzatrice della democrazia italiana smentita da vicende
quali il fallimento della legge urbanistica pensata da Fiorentino
Sullo66. Le posizioni della destra, attestate sul principio
78
dellanomalia italiana, sono rinforzate dalla crisi del progetto ri-
formatore di centro-sinistra, ma indebolite dal fatto che il sogget-
to politico cui guardano con pi attenzione, il Psi, parte in cau-
sa di quella crisi.
Il quadrante internazionale registra una decisiva frattura in
seno al movimento comunista che occupa gli ultimi anni di vita e
di riflessione di Palmiro Togliatti e investe anche la crisi del co-
munismo come forma di sviluppo economico alternativo al capi-
talismo67. Le prospettive delle componenti interne al Pci si diva-
ricano ulteriormente dopo la morte di Togliatti, tra una sinistra
poco interessata a una politica delle alleanze rivolta ai partiti o-
rientati a sinistra e una destra che invece vuole rendere pi soli-
de quelle alleanze, tentativo che Amendola spinge infruttuosa-
mente fino alla proposta di unificazione con i socialisti
nellautunno del 196468.
La nuova segreteria Longo si caratterizza fin da subito per
lincentivo a una maggiore libert del dibattito interno.
Lapertura comporta anche che il partito non sia del tutto garan-
tito dalla manifestazione pubblica delle tendenze conflittuali69. Il
contrasto si esplicita nel corso del 1965 su tutti gli argomenti af-
frontati in sede di definizione delle tesi congressuali. La confe-
renza operaia di Genova una delle scansioni decisive in questo
confronto, giustamente definito da una sua protagonista, non
ancora irrigidito, ma ormai aspro70.

66
Cfr. P. CRAVERI, Op. cit., pp. 116-118, P. GINSBORG, Storia dItalia dal dopo-
guerra a oggi, Einaudi, Torino, 1988, pp. 366-369; G. CRAINZ, Storia del miraco-
lo italiano, cit., pp. 127-132; S. LANARO, Storia dellItalia repubblicana, Marsi-
lio, Venezia, 1992, pp. 322-324.
67
Cfr. C. SPAGNOLO, Sul memoriale di Yalta, cit., p.57-65 .
68
Cfr. A. HBEL, Il Pci di Luigi Longo (1964-1969), ESI, Napoli, 2010, pp. 82-89.
69
Cfr. FIG, APC, mf. 28, serie Direzione, verbale di Direzione del 17 settembre
1964, pp. 21-22. Si veda anche A. HBEL, Op. cit., pp. 57-58.
70
L. MAGRI, Il sarto di Ulm, cit., p. 185.
Il 21 maggio del 1965 Luciano Barca presenta alla direzione
comunista il rapporto introduttivo alla conferenza, facendo sinte-
si delle diverse posizioni presenti in direzione. Se la ragione che
conduce alla conferenza, o una delle ragioni, la condizione di
debolezza del Pci nelle fabbriche71, Barca afferma anche la ne-
79

cessit di saper portare in fabbrica tutta la ricchezza della ela-


borazione nazionale del Pci.
La preparazione della conferenza esplicita lo scontro tra la si-
nistra ingraiana, che ormai immagina il partito come soggetto
collettore che cerca le sue avanguardie nelle soggettivit poten-
zialmente anticapitaliste anticipando latteggiamento che avreb-
be tenuto verso il movimento studentesco nel 68, e la destra a-
mendoliana che intende sensibilizzare la componente operaia alla
linea del partito secondo una concezione verticale
dellorganizzazione che presuppone un giudizio negativo sulla
maturit della societ civile italiana.
Nel dibattito in direzione, Giancarlo Pajetta e Napolitano sono
concordi nel lamentare il pericolo di una sindacalizzazione della
linea e dellattivit del partito e il conseguente rischio di arre-
starsi ad un piano para-sindacale. Amendola ritornando su
quanto detto da Pajetta e Napolitano, descrive il partito troppo
spesso immiserito nella sua azione di fabbrica.
La linea di Amendola registra un sostegno ampio, seppure con
differenti accenti, negli interventi di Berlinguer, Cossutta, Lama e
Macaluso. Berlinguer contesta allunico ingraiano di peso presente
in direzione, Alfredo Reichlin, il fatto che non si pu fare uscire
dalla fabbrica tutta la nostra azione per le riforme chiedendo, di
converso, di mettere al centro quel che diceva Napolitano: unit
politica della classe operaia come sua funzione e risposta alla crisi

71
La componente operaia del partito pi forte nelle fabbriche inferiori alle
500 unit lavorative. La percentuale di iscritti nelle fabbriche con pi di 500
dipendenti arrivava al 6,3%, nel triangolo industriale questa percentuale scen-
de al 5,5%, mentre la percentuale pi alta registrata in Calabria con il 25,1%,
nelle fabbriche con meno di 500 dipendenti la percentuale nazionale raddoppia
(12,4%), raggiungendo la sua punta massima in Emilia Romagna con il 27,9%
di iscritti sul totale dei lavoratori. FIG, APC, serie Sezioni di lavoro, commis-
sione lavoro di massa 1965, Mf. 0522, dati statistici, pp. 2854-2859.
del centro-sinistra; Cossutta definisce lattivit generale che in-
veste tutti i problemi politici [] troppo sottovalutata dalle orga-
nizzazioni di fabbrica; per Lama il problema vero quello [] di
impegnare di pi il partito in fabbrica sulle questioni generali.
80
Lintervento pi indulgente verso le posizioni degli ingraiani lo e-
sprime Macaluso che chiede di sottolineare che la crescita del po-
tere contrattuale in fabbrica essenziale per uno sviluppo demo-
cratico e per una politica di riforme a patto di chiarire il nesso
tra sviluppo del potere contrattuale e creazione di una certa situa-
zione politica. Di fronte a una sintesi del segretario orientata ver-
so la maggioranza emersa in direzione, per cui le federazioni de-
vono impegnarsi per una giusta realizzazione in fabbrica della li-
nea del partito, lintervento conclusivo di Barca esprime chiara-
mente la propria posizione in merito al tema del rapporto tra parti-
to, fabbrica e sindacato.
Barca rileva come il partito debba relazionarsi al sindacato
aiutandolo a fare meglio il suo mestiere, interrogandosi anche
sul perch quella linea che si voleva introdurre in fabbrica faccia
fatica ad entrarvi. La difesa dellautonomia sindacale serve i-
noltre a contestare la fiducia nellesternalit del processo di for-
mazione della coscienza di classe che il partito pu influenzare
solo partendo dalla realt di fabbrica, e dalla conoscenza delle
condizioni dei nuovi strati72.
La conferenza di Genova evidenzia lo scontro. Barca ricorda
nelle sue memorie, come lintervento ivi tenuto da Amendola e-
vochi in modo marcato il tema pi semplice, e contestato dalla
sinistra, della rivendicazione salariale anche per mostrare che la
richiesta per obiettivi pi complessi, come le qualifiche, sia in re-
alt fondata su unutopica maturit rivoluzionaria della classe
operaia caratterizzata semmai da desideri ben pi spiccioli. La
relazione di Barca, invece, insiste su alcuni argomenti condivisi
dalla sinistra interna quando indica come obiettivo del partito e
della sua componente operaia quello di orientare selettivamente
gli investimenti per settori strategici e non per distribuzione in-

72
FIG, APC, riservati Mf. 29, serie Direzione, verbale di Direzione del 21 mag-
gio 1965, pp. 2-11.
dividuale73.
Lattenzione alla distribuzione selettiva dellaccumulazione
per beni di investimento palesa il debito della composita sinistra
interna74 verso le teorizzazioni sulla societ opulenta, introdotte
81
da Franco Rodano e Claudio Napoleoni sulla Rivista trimestra-
75
le . Limpostazione adottata da Amendola volutamente con-
trapposta a questo indirizzo. Egli cerca lo scontro, oltre che il
consenso del pubblico partecipante alla conferenza, con il suo
richiamo al bisogno di rimpinguare la busta paga degli operai in
soldoni. La provocazione di Amendola, anima la seduta di di-
rezione dell8 giugno del 1965, convocata per discutere i risultati
della Conferenza di Genova.

73
Cfr. L. BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci, cit. 358-361.
74
Sulla consistenza come corrente degli ingraiani le interpretazioni dei prota-
gonisti sono divergenti. Ingrao, nellintervista rilasciata nel 1995 per il sup-
plemento de LUnit a titolo Gli anni della prima repubblica definisce quel-
la degli ingraiani una corrente vera e propria. Per Magri un ingraismo vero e
proprio non mai esistito, Cfr. L. MAGRI, Il sarto di Ulm, cit., p. 190. Analogo
il giudizio di Luciano Barca, che ritiene quello degli ingraiani un eterogeneo
gruppo intellettuale, distinto per assenza di vincoli gerarchici e per maggiori
differenze interne rispetto agli amendoliani. Cfr. L. BARCA, Cronache
dallinterno del vertice del Pci, cit., pp. 359-369; pp. 443-445. Linterpretazione
qui proposta che, almeno fino allXI Congresso, questo rapporto di corrente
ci sia nonostante le altrettanto evidenti differenze. fuori di dubbio che gli
amendoliani siano pi coesi e che Amendola sia pi deciso di Ingrao nella di-
fesa dei membri della propria corrente. Tuttavia, possiamo considerare gli in-
graiani una vera e propria corrente con un capo definito capace di introdurre
in direzione gli argomenti promossi nel dibattito dagli uomini a lui vicini, e
della cui elaborazione partecipa.
75
Nel gennaio del 1964 Barca a proporre una politica di sostegno ai settori di
avanguardia delleconomia nazionale che, a frontiere ormai aperte, avrebbero
corso il rischio di una concorrenza pesante Cfr. FIG, APC, Mf. 28, serie
Direzione, verbale di Direzione del 23 gennaio 1964, intervento di L. Barca, p.
5. Nel luglio del 1964 Ingrao avanza la possibilit di accettare un contenimento
di salari e consumi a patto che ci si traduca in una maggiore spesa
dellaccumulazione verso i cosiddetti beni di investimento e i consumi sociali.
Cfr. F IG, APC, mf. 28, serie Direzione, verbale di Direzione del 21 luglio 1964,
intervento di Ingrao, p. 2-3. Si veda anche C. NAPOLEONI, Nota sulla
congiuntura economica italiana, in La Rivista trimestrale, 1964, pp. 117-123,
ora in A. GRAZIANI (a cura di), Op. cit., pp. 398-405.
Amendola, come osserva Barca nelle sue memorie, e come te-
stimonia la lettura dei documenti interni del Pci, avendo naso
politico ed essendo cosciente delle molte critiche [] che da tutto
il partito sono state mosse alle sue conclusioni, esordisce in tono
minore76 e, in effetti, definisce ampia la concordanza tra il
82

rapporto di Barca e le proprie conclusioni, pur rimarcando


lassenza in esso di un discorso sui temi pi semplici della con-
dizione operaia quali occupazione, difesa del posto di lavoro,
salari e loro livello, pensioni.
L'intento pacificatore si inserisce su una conflittualit endemi-
ca. La sinistra ingraiana entra in collisione con la linea del partito
sia riguardo la collocazione internazionale, contestata nella scelta
della coesistenza pacifica giudicata tiepida verso lemersione di
nuove soggettivit rivoluzionarie nel Terzo Mondo e debole nel de-
nunciare labdicazione dei sovietici al conseguimento di un obietti-
vo rivoluzionario, sia riguardo la concezione del ruolo del centrali-
smo democratico nella organizzazione della vita del partito.
Ingrao, in direzione, ritorna sulla relazione genovese di A-
mendola, obiettandone la mancata tematizzazione delle questioni
relative allorganizzazione del lavoro e laffidamento eccessivo
verso i temi prettamente salariali. Il dissenso sulla frase che le
rivendicazioni debbono esprimersi innanzitutto in buste paga e
salari concluso ribaltando sulla destra una accusa che essa a-
veva mosso prima della preparazione della conferenza alla sini-
stra ossia che liniziativa del partito, definendosi sui contenuti
della lotta non pu essere concorrenziale al sindacato.
Lintervento di Ingrao agevolato dalleffettiva caratterizza-
zione della lotta in termini essenzialmente redistributivi fornita
da Amendola durante la Conferenza che rilevata anche da diri-
genti a lui vicini come Macaluso. Il tono della discussione appare
disteso, tanto che Reichlin pu utilizzare dei toni comprensivi
verso le ragioni delle conclusioni e lesigenza di una polemica
che per ha portato a buttar via il bambino con lacqua sporca,
obiettando ad Amendola, in questo contesto, l'assenza di una
analisi pi approfondita.

76
L. BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci, cit., p. 362.
La calma, per, solo apparente. La destra del partito tiene
fermo un punto che per quella corrente resta decisivo, quale
laffermazione che il sindacato e la classe operaia che esso rap-
presenta nel conflitto sindacale sono soggetti subordinati al parti-
83
to secondo una linea gerarchica verticale per cui le ragioni di
fondo, e il bagaglio ideologico, del movimento sono gi dati e su
quelli ci si deve attestare. Il rifiuto della autonomia sindacale e la
subordinazione del conflitto di fabbrica a istanze esterne, e-
spresso dall'intervento di Mario Alicata che indica nel cinema e
nella scuola i problemi che interessano profondamente la classe
operaia, saltando a pi pari un dibattito tutto centrato sul ruolo
del lavoratore nel conflitto per il reddito e la condizione di fab-
brica e introducendo un argomento che non inquadrabile in
un'ottica di difesa dell'indipendenza dell'organizzazione sindacale
dalla linea del partito.
Alicata pone in questione anche il nodo della libert interna
del dibattito trovando subito un solerte censore del dissenso in
Armando Cossutta, che invita a concentrare una azione chia-
rificatrice delle posizioni estremistiche come nel caso di Ber-
gamo, dove esiste un orientamento sbagliato del gruppo dirigente
nel suo complesso, segretario della Federazione compreso e al-
tre situazioni che preoccupano ancor di pi, ad esempio quella
nella FGCI di Milano. Agevolato da questo schieramento a suo
favore, Amendola ritorna sui suoi passi per difendere tutto
limpianto del suo intervento. Definisce corretta la sua intro-
duzione e, di contro a chi come Ugo Pecchioli ha parlato di un
appiattimento dell'analisi, replica affermando come non si vo-
glia, da parte sua, respingere o scoraggiare la ricerca ma solo
evitare il rischio di analisi unilaterali. Il fatto che Amendola
coinvolga nelle sue obiezioni non solo gli ingraiani ma anche una
figura vicina al segretario del partito come Pecchioli, indica che
Longo, come gi prima di lui Togliatti, non sia estraneo alle ar-
gomentazioni introdotte da sinistra, soprattutto riguardo la con-
vinzione che un partito comunista, in assenza di un riferimento
rivoluzionario per la propria azione, sia destinato a diventare al-
tro da s.
La presa di posizione di Amendola fa serrare le fila alla destra
al punto che Alicata esplicitamente chiede un chiarimento circa
la subordinazione della minoranza alla maggioranza e
limpegno dellapparato di lavorare per realizzare la linea del
partito. Questo invito allallineamento dei dissenzienti sottoli-
neato anche da Amendola77. Dopo la conferenza di Genova si ve-
84

rifica una convergenza, in direzione, tra centro e destra, che non


per il frutto di una omogeneit netta tra queste due compo-
nenti del partito78.

Conclusioni

Tra la fine degli anni 50 e la prima met degli anni 60 il Pci vive
un duro scontro interno che vede agire tre opzioni politiche. Le
posizioni delle due ali si caratterizzano per la comune proposta di
un superamento della forma storica del partito, mentre la posi-
zione mediana, quella del centro, utilizza gli equilibri interni al
fine di rafforzare la propria strategia interessata a inquadrare il
partito dentro le istituzioni repubblicane. Lequilibrio raggiunto a
met degli anni 60 fa registrare un avvicinamento tra il centro e
la destra, ma non rappresenta una forma stabile di alleanza den-
tro il partito. Latteggiamento di Longo durante il 6879 e la pro-
gressiva, anche se contrastata, apertura del Pci alla societ civile
dopo gli anni 60 non sono comprensibili senza assumere
lautonomia flessibile del centro come un dato caratterizzante la
politica del Pci.
Nel corso della prima met degli anni 60, soprattutto in pros-
simit dellXI Congresso, influisce nel peso degli equilibri interni
77
Commentando quanto detto da Alicata, Amendola afferma: Questo docu-
mento [sulla Conferenza, N.d.A.] deve contenere una chiara fissazione di al-
cune questioni, sulle quali ci sono state critiche molto pesanti di Ingrao []
Ha ragione Alicata: ci deve essere un punto fermo. FIG, APC, Mf. 29, serie Di-
rezione, verbale di Direzione dell8 giugno 1965, intervento di Amendola.
78
Sulla preparazione dellXI congresso e sullo scontro palesatosi al suo inter-
no, cfr. A. HBEL, Op. cit., pp. 193-229.
79
Sul Pci e il 68 cfr. E. TAVIANI, PCI, estremismo di sinistra e terrorismo, G. DE
ROSA e G. MONINA (a cura di), LItalia repubblicana nella crisi degli anni set-
tanta. Sistema politico e istituzioni, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 239.
la scelta della sinistra ingraiana a favore di una chiara opposizio-
ne alla politica della coesistenza pacifica80, una cornice interna-
zionale al cui interno il centro del partito vede, invece, la possibi-
lit di rafforzare il proprio ruolo come elemento fondante nel
85
processo di costruzione della democrazia repubblicana. La man-
cata saldatura delle tre correnti attorno a un indirizzo realmente
comune comporta che la soluzione dei contrasti interni si basi
pi sulla contingenza dei rapporti di forza o sulle giustapposizio-
ni che su una linearit strategica probabilmente incrinatasi irre-
versibilmente negli anni 50 e non pi recuperata fino alla fine
dellesperienza comunista novecentesca.

Abstract

This essay reconstructs the debate within the Italian Communist Party
(Pci) on Italys economic development. The time-span considered ranges
from the mid-fifties to the mid-sixties. During this period, within the
Communist Party emerge some specific trends in the interpretation of
the national capitalist model that focus, primarily, on the place of the
Italian case within the wider Western context. The interpretations of
the Pci elites will contribute to the shaping of the complex political cul-
ture of Italian Communism. The reconstruction, finally, considers the
Workers Conference of Genoa. The event, which took place between
28thand 30th May 1965, was a pivotal moment in the tense confrontation
between the right and the left of the party during the XI Congress of
the Pci.

80
Cfr. FIG, APC, mf. 29, serie Direzione, verbale di Direzione del 29 novembre
1965, intervento di Longo, pp. 8-9.
87

Il mito e il pensiero di
Giuseppe Mazzini
nei nuovi Stati africani
tra Ottocento e Novecento

di SILVIO BERARDI

Nel 1828, la rivista Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Ar-


ti, riportava un giudizio comparso sulla Revue Britannique,
nel quale veniva apertamente sconsigliato alle nazioni europee di
interagire con le popolazioni africane e di cercare di stabilire con
queste, qualsiasi forma di cooperazione:
Fia mestieri adunque rassegnarsi al destino; lintera esplorazione delle
africane provincie interiori esiger altre vittime; e lEuropa vi immole-
r altri uomini preziosi, de quali ella potrebbe fare un assai pi utile
impiego. Infatti qual bene ne venne finora da viaggi fatti in
questinfelice parte del globo? LAfrica la tomba degli Europei, la ter-
ra della schiavit, lalbergo di tutti i delitti e le miserie che mai possono
affliggere lumanit. Le interminabili guerre fra tanti regoli barbari e
feroci che signoreggiano quelle contrade, non hanno altro scopo che
quello di far mutuamente prigionieri, ossia dacquistar schiavi. Le mer-
canzie che vi ricerca il commercio son rare nelle provincie prossime al-
le coste, e rarissime nelle mediterranee. Questultime, per lo pi aridi
deserti, son ribelli a qualunque coltura a qualunque produzione, e non
possono albergare che i soli scorridori1.

1
Cfr. Notizie de viaggiatori, che esplorano lAffrica interiore, estratte dal
In una lettera scritta alla madre, Maria Drago, nellestate del
1845, Giuseppe Mazzini sosteneva, invece, la tesi opposta.
LEuropa aveva lonere di intervenire in Africa e di stimolare la
crescita, in primo luogo spirituale, delle sue genti:
88

Io credo che lEuropa sia provvidenzialmente chiamata a conquistare il


resto del mondo allincivilimento progressivo: quindi, comech politi-
camente ingiusti, vedo con soddisfazione alcuni passi degli Europei
nelle contrade dominate da credenze retrograde e straniere: i Francesi
in Algeria, gli Inglesi nella China, i Russi in Asia se mai vandranno,
mi paiono missioni necessarie allumanit []2.

Con queste affermazioni, Mazzini non voleva certo legittimare


violenze e brutalit commesse dagli Europei in terra africana, ma
considerare necessaria una missione di civilizzazione per il be-
nessere delle popolazioni locali. Del resto, nella stessa lettera, il
patriota genovese condannava, ad esempio, il comportamento dei
Francesi in Algeria: Ma la guerra di conquista frenetica, brutale,
che i Francesi seguono oggi in Algeria, accompagnata da orrori
[] non solamente uningiustizia, ma un tradimento della mis-
sione Europea e della legge provvidenziale3. Come ha sottolinea-
to Marco Mozzati, lidea di Mazzini di apportare un progresso civi-
le e materiale ai popoli sottosviluppati cos ferma da superare
levidenza dei fatti, che lui stesso evoca, e che mostrano la vera na-
tura del colonialismo4. La prospettiva mazziniana era, dunque,
proiettata allaffermazione del principio di solidariet e coopera-
zione nelle relazioni tra Europa ed Africa: anche lItalia doveva

Quarterly Review, giornale inglese, e dalla Revue Britannique giornale france-


se, in Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti, t. XXXI, Tip. Pezzati,
Firenze, 1828, p. 51. Per la Rivista, dunque, tanti esempi di tristo esito han
quasi dimostrato che intraprendere un viaggio per lAfrica interna, ed esporsi
a una morte sicura, son tuttuna cosa. Ivi, p. 50.
2
G. MAZZINI, Lettera a M. Drago, 7 agosto 1845, in ID., Opere, a cura di L. Sal-
vatorelli, vol. I, Lettere, Rizzoli, Milano, 1967, p. 346.
3
Ivi, p. 347.
4
M. MOZZATI, Le fonti del Museo del Risorgimento di Roma relative allAfrica
del Nord, in G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e
il Risorgimento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, FrancoAngeli, Milano,
1984, p. 135.
partecipare a tale missione di liberazione.
Cos i vecchi oppressi, gli Italiani, avevano lonere di contribuire
allaffrancamento dei nuovi oppressi, gli Arabi del Nord Africa5.
Anche negli anni successivi, Mazzini avrebbe confermato il
89
suo orientamento: gli Europei dovevano interessarsi al continente
africano al fine di offrire il loro contributo alla prosperit delle
sue genti. In uno scritto del 1871, Politica internazionale, il patrio-
ta genovese avrebbe sostenuto:

Nel moto inevitabile che chiama lEuropa a incivilire le regioni Africa-


ne, come Marocco spetta alla Penisola Iberica e lAlgeria alla Francia,
Tunisi, chiave del Mediterraneo centrale, connessa al sistema sardo-
siculo e lontana un venticinque leghe dalla Sicilia, spetta visibilmente
allItalia. Tunisi, Tripoli e la Cirenaica formano parte, importantissima
per la contiguit collEgitto e per esso e la Siria collAsia, di quella zona
Africana che appartiene veramente fino allAtlante al sistema Europeo.
E sulle cime dellAtlante sventol la bandiera di Roma quando, rove-
sciata Cartagine, il Mediterraneo si chiam Mare nostro. Fummo pa-
droni, fino al V secolo, di tutta quella regione. Oggi i Francesi
ladocchiano e lavranno tra non molto se noi non labbiamo6.

Rileggendo questo brano, Eugenio Passamonti ha considerato e-


videnti gli auspici mazziniani per una espansione italiana nel
Mediterraneo e, in particolare, nella realt di Tunisi7. E, ancora,
Ferruccio Quintavalle, interpretando le stesse parole mazziniane

5
Come ha sottolineato Al Kubessi, anche il nazionalismo arabo si sarebbe a-
limentato della lettura di Giuseppe Mazzini: Comprendendo lesperienza del
movimento Giovane Italia [i giovani estremisti] avevano concluso che le vie
da prendere per la realizzazione dei loro fini nazionali erano quelle della cul-
tura politica e della lotta armata. Linsistenza di Mazzini sui vantaggi
dellunit nazionale e il suo rifiuto di riconoscere il fondamento della tesi della
lotta di classe hanno avuto grossa influenza sui giovani estremisti. Dunque,
era fuori dubbio che la causa dellunit che dominava il pensiero politico dei
capi fondatori delle falangi dei fedayn arabi subiva, in ampia misura,
linfluenza dellunit tedesca e dellunit italiana. B. AL KUBESSI, Storia del
movimento dei nazionalisti arabi, Jaca Book, Milano, 1977, pp. 43 ss.
6
Cfr. G. MAZZINI, Politica internazionale, in ID., Scritti editi ed inediti, vol.
XCII, (Politica 29), Galeati, Imola,1941, pp. 167-168.
7
Cfr. E. PASSAMONTI, Lidea coloniale nel Risorgimento italiano, Arti poligrafi-
che editrici, Torino, 1934, pp. 15 ss.
ha affermato: Nel momento in cui scompariva il dogma
dellintegrit dellimpero ottomano, facilmente lItalia avrebbe
potuto ottenere Tunisi8. La missione italiana in terra africana
doveva, per, contribuire al miglioramento delle condizioni di vi-
90
ta delle popolazioni locali e alla loro progressiva emancipazione
politica. Per il patriota genovese, daltronde, il carattere fonda-
mentale della legge Progresso: progresso indefinito, continuo
depoca in epoca: progresso in ogni ramo dattivit umana, in
ogni manifestazione del pensiero, dalla religione fino
allindustria, fino alla distribuzione della ricchezza9.
Gi, in realt, nel 1832, quando ancora il processo di unifica-
zione italiano era lontano dal compiersi, proprio Mazzini aveva
riconosciuto allEuropa un compito preciso: quello di diffondere
negli altri continenti, a cominciare dallAfrica, i suoi saperi, la
sua cultura, la sua civilt, al fine di favorire il progresso, prima
spirituale e poi sociale dei popoli africani: E questa civilt euro-
pea, che con una mano sinnalza un trono in Europa, collaltra
incomincia a tentar lAfrica, e lAsia, cacciando in Algieri il prin-
cipio europeo, e ponendo a fronte due simboli dellOriente, due
grandi del Maomettismo, tormentati tutti e due senza intenderlo
da un pensiero di incivilimento, e combattendosi lun laltro per
10
avere liniziativa dello sviluppo, non poesia? .
Carlo Zaghi ha puntualizzato, al riguardo, come lidea di
missione, che sar una delle componenti del pensiero e della cul-
tura europea dellOttocento, [] a met del secolo sar ripresa ed
esaltata dal Mazzini in un pi ampio contesto democratico e so-
11
ciale . Pertanto, Mazzini affermava che lEuropa era lumanit,
ovvero uno strumento di redenzione umana e civile, articola-

8
F. QUINTAVALLE, La politica internazionale nel pensiero e nellazione di
Giuseppe Mazzini, La Prora, Milano, 1938, pp. 279 ss.
9
G. MAZZINI, Doveri delluomo, Vallecchi, Firenze, 1860, p. 108.
10
G. MAZZINI, La giovine Italia. Serie di scritti intorno alla condizione politica,
morale e letteraria della Italia, tendenti alla sua rigenerazione, Barile, Marsi-
glia, 1832, p. 233.
11
C. ZAGHI, LAfrica nella coscienza europea e limperialismo italiano, Guida,
Napoli, 1973, p. 119.
zione essenziale e preminente di progresso12 e, dunque, a questa
spettava la missione di guidare e condurre lincivilimento dei po-
poli africani. Cos, like several other prominent liberals and radi-
cals of his time, Mazzini thought that Europe ought to colonize
91
Asia and Africa to civilize local populations and make them
ready for genuine self-determination13. Come ha, inoltre, precisa-
to Massimo Scioscioli, allEuropa, per Mazzini, spettava la mis-
sione di aiutare i popoli del mondo a compiere lo stesso cammino
gi fatto dai suoi figli, a condizione, tuttavia, che questa missione
non [] [venisse] utilizzata per giustificare una politica di rapina
brutale a danno dei popoli da civilizzare14.
Il fine ultimo di ogni popolo risiedeva, per Mazzini, nel mi-
glioramento universale, nella fratellanza [] dellUmanit15.
Lassociazionismo mazziniano, dunque, non si limitava alla di-
mensione europea, ma si proiettava anche al di fuori del conti-
nente, al fine di stabilire forme di collaborazione e di intese tra
genti solo apparentemente distanti:

La parola e lopera vostra siano per tutti, si come per tutti Dio, nel suo
amore e nella sua legge. In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo
combatte pel diritto, pel giusto, pel vero, ivi un vostro fratello: dovun-
que un uomo soffre, tormentato dallerrore, dallingiustizia, dalla tiran-
nide, ivi un vostro fratello. Liberi e schiavi, SIETE TUTTI FRATELLI.
Una la vostra origine, una la legge, uno il fine per tutti voi. Una sia la
credenza, una lazione, una la bandiera, sotto cui militate16.

Dovere delle genti dEuropa diveniva quello di aiutare, in ogni


contesto, i popoli oppressi in nome del principio di fratellanza e
della consapevolezza di condividere un destino comune:

12
Ivi, p. 130.
13
S. RECCHIA, N. URBINATI (eds.), A Cosmopolitanism of a Nations. Giuseppe
Mazzinis writings on democracy, nation building, and international relations,
Princeton University Press, Princeton, 2009, p. 224.
14
M. SCIOSCIOLI, Giuseppe Mazzini: i principi e la politica, Giunta, Napoli,
1995, pp. 232-233.
15
G. MAZZINI, Doveri delluomo, cit., p. 52.
16
Ibidem.
Non dite: il linguaggio che noi parliamo diverso: le lagrime, lazione,
il martirio formano linguaggio comune per gli uomini quanti sono, e
che voi tutti intendete. Non dite: lUmanit troppo vasta, e noi troppo
deboli. Dio non misura le forze, ma le intenzioni. Amate lUmanit.
92
[] Siate apostoli di questa fede, apostoli della fratellanza delle Nazio-
ni e dellunit, oggi ammessa in principio, ma nel fatto negata, del ge-
nere umano. Siatelo dove potete e come potete17.

Rivolgendosi ai giovani, Mazzini riteneva necessario stimolare


nelle nuove generazioni un sentimento di sincera amicizia, capa-
ce di superare ogni barriera ideologica e ogni tipo di pregiudizio:

Amate lumanit! Voi non potete desumere la vostra missione che


dallintento proposto da Dio allumanit. Dio vha dato la patria per
culla, lumanit per madre; e voi non potete amare i vostri fratelli di
culla se non amate la patria comune18.

E ancora:

Oggi, bisognano uomini che predichino lamore e lamino, la virt e la


pratichino, leguaglianza e non si velino nellorgoglio dello scrittore,
lazione e sieno presti a congiungersi in essa col popolo, il regno
dellassociazione e si associno, la necessit di combattere la tirannide e
lingiustizia e combattano, la religione del martirio e si mostrino capaci
daffrontarla intrepidamente, siccome completamento della loro dottri-
na. Uomini siffatti saranno onnipotenti sul popolo19.

Non esisteva, per il patriota genovese, nessun popolo al quale tale


insegnamento non potesse arrecare benessere e prosperit. Le
stesse genti africane, cos apparentemente distanti per usi, tradi-
zioni, pratiche religiose, da quelle europee dovevano, invece,
svolgere lo stesso cammino. Anche le comunit dellAfrica lega-
te, ad esempio, al culto animista sarebbero per Mazzini state in
grado di interiorizzare la sua dottrina. Come ha sottolineato, in

17
Ivi, pp. 52-53.
18
G. MAZZINI, Ricordi di Giuseppe Mazzini agli Italiani, a cura di F. Dobelli,
Croci, Milano, 1870, p. 48.
19
Ivi, p. 51.
tale prospettiva, il repubblicano e mazziniano Ugo Della Seta20
nella sua opera Giuseppe Mazzini pensatore:

Mazzini [] spiritualizza queste prime religioni, in quanto vuole da es-


se iniziata levoluzione religiosa dellumanit; di qui, come applicazio- 93
ne della legge devoluzione, il primo principio della sua dottrina, il
concetto storico della Divinit, la relativit storica della sua rivelazio-
ne. Dio s affermato; le altre religioni dovranno quindi trasformare e
non creare, questo principio, come primo termine etico ormai conqui-
stato []21.

Il messaggio mazziniano, volto allaffermazione dellauto-


determinazione di ogni popolo, avrebbe finito per ispirare
lazione del Partito Repubblicano Italiano, pronto a condannare
le imprese coloniali africane, considerandole una evidente viola-
22
zione del principio di sovranit nazionale . Un mazziniano come
23
Arcangelo Ghisleri , nella sua opera Le razze umane e il diritto
nella questione coloniale, sintetizzava perfettamente la posizione
del suo Partito, fedele agli insegnamenti del fondatore, e condan-

20
Cfr. U. DELLA SETA, Giuseppe Mazzini pensatore. I valori morali, morale,
diritto e politica internazionale: valori eterni, a cura di G. Limiti e M. Di Na-
poli, Domus Mazziniana, Pisa, 2011.
21
U. DELLA SETA, Giuseppe Mazzini pensatore. Le idee madri, Forzani e c., tipo-
grafi del Senato, Roma, 1910, p. 82. In tale prospettiva, continuava Della Seta, non
esisteva per Mazzini nessun popolo contrario al messaggio di indipendenza e li-
bert: Il popolo non indifferente, sconfortato, impotente a conquistare da
per s, senza scosse violenti, listruzione che nessuno gli offre fraternamente.
Ivi, p. 508. Cfr. anche ID., Antimazzinianesimo di Giuseppe Mazzini, con introdu-
zione di C. Carbonara, Tipografia editrice Glaux, Napoli, 1965.
22
Per un approfondimento, cfr. S. BERARDI, Il Partito repubblicano e le colonie
italiane: la questione somala (1948-1950), in Mondo Contemporaneo, n. 1, 2012,
pp. 91-118; M. TESORO, Il progetto repubblicano: da Ghisleri a Zuccarini, Franco-
Angeli, Milano, 1996; ID., I repubblicani nellet giolittiana, con prefazione di A.
Colombo e una lettera di G. Spadolini, Le Monnier, Firenze, 1978.
23
Cfr. S. BERARDI, LItalia risorgimentale di Arcangelo Ghisleri, con presenta-
zione di G. Pecora, FrancoAngeli, Milano, 2011; R. MAFFEI, La formazione di
un geografo: Arcangelo Ghisleri e il rinnovamento degli studi geografici in Ita-
lia 1878-1898, ETS, Pisa, 2007; A. BENINI, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri
1855-1938: con appendice bibliografica, Lacaita, Manduria, 1975.
nava la posizione di Giovanni Bovio24, anchegli repubblicano,
ma assertore della superiorit della razza bianca su quelle africa-
ne25. Senza mezzi termini, Ghisleri, rivolgendosi proprio a Bovio,
evidenziava:
94

Ora, se dite, di non negare leducabilit e la progressivit della razza


nera, come e con quale criterio positivo possiamo noi pensare e asserire
che essa non raggiunger mai la razza bianca? Una volta ammessa la
progressivit chi pu dire dove e perch dovr arrestarsi? Sar, come fu
per la razza bianca questione di tempo e di circostanze propizie; non
questione di incapacit assoluta26.

Quando Mazzini affermava che lItalia aveva dalla natura il


primato del Mediterraneo, del mare intorno al quale si decisero
27
fin quasi ai nostri giorni i fati dei popoli , intendeva auspicare e
stimolare una significativa cooperazione, su di un piano di piena
parit, tra le genti di tale area geografica. Non si pu ovviamente
affermare che lazione italiana in Africa, come del resto quella

24
Cfr. S. BLASUCCI, Giovanni Bovio: ambiente, personalit, pensiero filosofico,
etico, giuridico, politico, Laterza, Roma-Bari, 1990; G. ANGELINI, Giovanni Bovio
e lalternativa repubblicana. Con unantologia degli scritti giornalistici dal 1872
al 1901, presentazione di A. Colombo, Giuffr, Milano, 1981.
25
Giovanni Bovio, il 17 marzo 1885, nel suo discorso alla Camera dei Deputati,
riguardo lopportunit di una spedizione italiana a Massaua, aveva infatti pe-
rentoriamente affermato: [] per noi un diritto alla barbarie non esiste, come
non esiste la libert dignoranza, non la libert di delinquenza. Esiste un dirit-
to fondamentale: quello che ha la civilt di diffondere dovunque la sua poten-
za innovatrice come si diffondono la luce e il calore. [] Lavoriamo e poich
siamo seme latino, sulla scorza degli alberi scriviamo il Diritto. Cfr. R. RAI-
NERO, Lanticolonialismo italiano da Assab ad Adua (1869-1896), Edizioni di
Comunit, Milano, 1971, pp. 96-97. Cfr. anche G. BOVIO, Il diritto pubblico e le
razze umane, A. Morano, Napoli, 1887.
26
A. GHISLERI, Le razze umane e il diritto nella questione coloniale, Istituto
Italiano di Arti Grafiche, Bergamo, 1896, p. 58. Come ha affermato Renato
Monteleone, la posizione ghisleriana trov il pieno appoggio dei socialisti ita-
liani e, in particolare, quello del suo amico Filippo Turati: Ghisleri ebbe per-
ci tutte le ragioni di reagire con estrema durezza alla sortita di Bovio e di
contestargli il fondamento scientifico e giuridico delle sue asserzioni. Cfr. R.
MONTELEONE, Filippo Turati, UTET, Torino, 1987, pp. 103 ss.
27
G. MAZZINI, Ricordi di Giuseppe Mazzini agli Italiani, cit., p. 17.
delle altre potenze europee, si ispir a tali auspici28, ma pur senza
volerlo, contribu alla diffusione di quei principi e di quelle idee,
che finirono per alimentare il nazionalismo locale nella lotta per
lindipendenza29. E, nel 1958, lillustre arabista Francesco Gabrieli
95
aveva gi evidenziato che, lo stesso Occidente, finiva per essere
espulso dallAfrica allindomani dellassunzione, da parte dei po-
poli africani, di quegli ideali di democrazia, libert ed indipen-
denza che si erano diffusi proprio grazie allopera europea30.
Sarebbe, del resto, azzardato parlare di una diretta influenza
del Risorgimento italiano nei processi di rivendicazione anticolo-
nialista e nazionale del Maghreb: tuttavia, come ha ravvisato
Salvatore Bono, si pu affermare lesistenza di una influenza
indiretta del Risorgimento, esercitata cio attraverso la presenza
nei Paesi maghrebini di gruppi di patrioti italiani che vi trovano
rifugio dopo gli insuccessi dei tentativi rivoluzionari e le sconfitte
31
nelle guerre di indipendenza . Nel 1843, ad esempio, ad opera
anche di patrioti risorgimentali, si costitu ad Algeri una societ
segreta, con lo scopo di cacciare i Francesi da tutta lAfrica me-
diterannea32: tale societ vedeva la partecipazione di militari

28
Per un approfondimento, cfr. A. DEL BOCA, Italiani, brava gente? Un mito
duro a morire, Neri Pozza, Vicenza, 2010. Cfr. anche G. ROSSI, LAfrica italiana
verso lindipendenza (1941-1949), Giuffr, Milano, 1980.
29
Per un approfondimento, cfr. B. STANLEY (ed.), Missions, Nationalism, and
the End of Empire, W.B. Eerdmans, Grand Rapids, 2003; J.D. HARGREAVES, De-
colonization in Africa, Longman, London-New York, 1996; G. CALCHI NOVATI,
La decolonizzazione, Loescher, Torino, 1983.
30
Per un approfondimento, cfr. F. GABRIELI, Il Risorgimento arabo, Einaudi,
Torino, 1958. Cfr. anche F. GABRIELI, U. SCERRATO, Gli arabi in Italia. Cultura,
contatti e tradizioni, Garzanti-Scheiwiller, Milano, 1997.
31
S. BONO, Uomini ed echi del Risorgimento nel Magrheb, in G. BORSA, P. BEO-
NIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgimento nel risveglio
dellAsia e dellAfrica, cit., p. 27. Cfr. anche ID., Il Risorgimento italiano e il
Mediterraneo, in Proceedings of History Week 2005, The Malta Historical
Society, Malta, 2005, pp. 13-26; ID., Storiografia e fonti occidentali sul Maghreb
dal XVI al XIX secolo, in Africa, n. 2, 1973, pp. 237-254.
32
E. MICHEL, Esuli italiani in Algeria, 1815-1861, Cappelli, Bologna, 1935, p.
111.
della Legione Straniera e di popolazione araba33. Anche uno sto-
rico tunisino come Bechir Tlili, ha confermato linfluenza occi-
dentale e, nello specifico, italiana nella formazione stessa della
cultura tunisina: Franc-maons et mazziniens animaient en effet
96
des associations culturelles et politiques dnommes cercles ita-
liens, et organisaient leurs compatriotes [] Ainsi, les rfugis
italiens jouaient un rle considrable dans le dveloppement du
pays34. E ancora, riguardo le attivit politiche svolte dagli emi-
grati italiani in Tunisia:

Le patriotisme italien, lexigence dunit italienne, la revendication


dun rgime rpublicain ne laissaient sans doute pas indiffrents les r-
formateurs tunisiens. Les manifestations politiques (clbrations, ftes)
et culturelles italiennes dans les diffrentes villes de Tunisie ntaient
pas aussi sans influence sur la naissance de la pense tunisienne mo-
derne35.

In tale prospettiva, dunque, sia pur indirettamente, il pensiero


mazziniano era riuscito a penetrare nel contesto tunisino e a sti-
molare il nazionalismo locale, assieme a quella cultura europea
destinata a diffondersi anche negli altri paesi del Maghreb:
Partout linfluence culturelle et idologique de lEurope, de ses valeurs, de
ses institutions, de ses rpresentations, de ses modles, de ses structures, de
ses modes, de ses arts se faisait, en effet, de plus en plus accentue, pn-
trant dabord lintelligentsia, puis peu peu les populations. La prponde-
rance tecnique, militaire, conomique de lOccident apparaissait ainsi
de plus en plus clatante aux dirigeants et aux populations de lOriente
et dfiait, avant dhumilier et de monier, lUmma arabo-islamique36.

Se, sia pur indirettamente, come detto, stato possibile parlare di


influenza risorgimentale e, in particolare, mazziniana nei proces-
si di indipendenza e affrancamento dei popoli del Maghreb, pi

33
Cfr. S. BONO, Uomini ed echi del Risorgimento nel Magrheb, in G. BORSA, P.
BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgimento nel risve-
glio dellAsia e dellAfrica, cit., p. 21.
34
B. TLILI, Les rapports culturels et idologiques entre lOrient et lOccident, en
Tunisi au XIXme sicle, (1830-1880), Universit de Tunis, Tunis, 1974, p. 83.
35
Ivi, p. 453.
36
Ivi, p. 463.
complesso ravvisare tale influenza nei territori dellAfrica sub
sahariana. Infatti, come ha affermato Vittorio Antonio Salvado-
rini, se gi nel corso del XIX secolo nel Nord Africa gli echi degli
avvenimenti italiani trovarono voce attraverso viaggiatori, esuli e
97
grazie anche a mezzi di informazione come i giornali, rari furono
i legami con le regioni subsahariane, pi note come luoghi di
deportazione che di speculazione economica, anche per la man-
canza di frequenti, regolari e diretti collegamenti fra le marine
dei vari stati italiani e i porti sub e periequatoriali37. Lo studio di
Salvadorini, al riguardo, si soffermava sulla realt dellAngola38,
ma presentava delle peculiarit valide per tutti i territori sub sa-
hariani:

Se si dovesse affacciare qualche dubbio sulla impermeabilit alle idee


risorgimentali italiane della popolazione dellAngola, esso sarebbe fa-
cilmente rintuzzato da rapide considerazioni statistiche [] dalle quali
si evince lapalissianamente come lambiente umano non fosse suffi-
cientemente ampio e colto per la bisogna. Non sembri fuori luogo ri-
cordare che il principio della nazionalit non era radicato nella provin-
cia, n fra la popolazione bianca, n fra quella negra, non riconducibile
ad una sola etnia: le lites, almeno da un punto di vista culturale, non
esistevano; le masse non erano in grado di manifestare la loro volont.
Quanto agli ideali, essi non potevano allignare in uomini abbrutiti dal
commercio di altri uomini, n trovare spazio sulla stampa che [] tar-
d alquanto nellaffrontare [] temi squisitamente politici39.

Dunque, se una pur indiretta ricezione degli ideali risorgimentali


e mazziniani nellAfrica vi fu, almeno nel XIX secolo, questa si
limit alle regioni del Nord dove, anche per questioni di vicinan-
za geografica, tali ideali poterono trovare una loro diffusione.
Come ha precisato Giorgio Borsa:

37
V.A. SALVADORINI, Un Manifesto del 1874 per lindipendenza dellAngola, in
G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgi-
mento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, cit., p. 454.
38
Cfr. V.A. SALVADORINI, LAngola dalla fine del Settecento al 1836, Opera U-
niversitaria, Centro Stampa, Pisa, 1979, pp. 232-242.
39
V.A. SALVADORINI, Un Manifesto del 1874 per lindipendenza dellAngola, in
G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgi-
mento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, cit., p. 458.
Non si deve pensare che il Risorgimento italiano sia stato un fattore de-
terminante nella nascita e nello sviluppo dei nazionalismi [] africani.
E tuttavia, se si considerano insieme, in una visione unitaria, (cosa che
98 non stata fatta finora) gli echi, gli spunti, i riferimenti al Risorgimen-
to che si trovano negli scrittori e negli uomini politici africani [] del
secolo scorso e di questo secolo, ci si rende conto di una attenzione ai
fatti e alle idee del Risorgimento in aree che apparivano finora ad esso
estranee40.

A distanza di circa un secolo, come ha anche sottolineato Guido


Montani, gli ideali gi professati da Giuseppe Mazzini e Carlo
Cattaneo41, finalizzati non solo allaffermazione del principio di
autodeterminazione di tutti i popoli ma anche allunit sovrana-
zionale dellEuropa, sarebbero stati interiorizzati da alcuni degli
42
stessi movimenti africani di liberazione . A nulla valse, ad e-

40
G. BORSA, Presentazione, in G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Gari-
baldi, Mazzini e il Risorgimento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, cit., p. III.
41
Per un approfondimento, cfr. Z. CIUFFOLETTI, Federalismo e regionalismo: da
Cattaneo alla Lega, Laterza, Roma-Bari, 1994; C. CATTANEO, Stati Uniti
dItalia, a cura di N. Bobbio, Chiantore, Torino, 1945; F. MOMIGLIANO, Carlo
Cattaneo e gli Stati Uniti dEuropa, Treves, Milano, 1919. Non bisogna dimen-
ticare che lo stesso Cattaneo, nel suo saggio Il regno di Tunisi e lItalia (in Po-
litecnico, vol. XII, fasc. LXVIII, Editori del Politecnico, Milano, 1862, pp. 113-
135), auspicava una stretta cooperazione tra lItalia e la Tunisia. Tale coopera-
zione avrebbe dovuto estendersi e riguardare tutti i popoli del Nord Africa, su
di un piano di rigorosa parit. Come ha sottolineato, al riguardo, Gianluigi
Rossi: Il pensatore lombardo era infatti convinto dellesistenza di un progres-
so indefinito dellumanit, di un incivilimento costante per tutti i popoli della
terra, senza alcuna distinzione. Il cammino di ogni popolo verso la civilizza-
zione diveniva cos lo strumento necessario per spezzare le catene
dellignoranza e della superstizione, per rendere luomo, ogni uomo, protago-
nista della storia. La sua attenzione si posava cos su popoli tradizionalmente
ritenuti dai pi, ancora lontani da forme di progresso e che invece al suo
sguardo attento apparivano portatori di grande civilt. Ogni popolo era, per
Cattaneo, degno di rispetto. G. ROSSI, La cooperazione tra Italia e Nord Africa
nelle pagine di Carlo Cattaneo, in S. BERARDI, G. VALE, (a cura di), Ripensare il
federalismo. Prospettive storico-filosofiche, Edizioni Nuova Cultura, Roma,
2013, pp. 170-171.
42
Cfr. G. MONTANI, Il Terzo Mondo e lunit europea, Guida, Napoli, 1979, pp.
36 ss.
sempio, in tale prospettiva, il tentativo compiuto nel secondo do-
poguerra, da parte degli stessi direttori scolastici italiani di elimi-
nare, dopo aver ottenuto il trusteeship su Mogadiscio43, dai libri
di testo in Somalia, ogni riferimento a Mazzini, al fine di evitare,
tra gli studenti, la diffusione delle sue dottrine44.
99

E proprio restando sempre coerente con il suo magistero, gi


nellestate del 1850, Mazzini, sul primo numero de Le Proscrit.
Journal de la Rpublique Universelle, aveva condannato la Santa
Alleanza dei Principi, sorta al termine del Congresso di Vienna
nel 1815, contrapponendovi la Santa Alleanza dei Popoli, capace
di garantire il trionfo del principio della solidariet tra nazioni
europee:
Noi facciamo appello a tutti coloro che, come noi, credono alla libert,
alleguaglianza, allumanit e provano il bisogno di dedicarsi corpo e
anima, pensiero e azione, al fine delle loro convinzioni. [] Occorre
che alle cappelle si sostituisca la Chiesa, alle sette la religione
dellavvenire. Occorre che la democrazia europea si costituisca e si af-
fermi la Santa Alleanza dei Popoli. [] Dio Dio e lumanit il suo
profeta45.

Ancora allindomani del 1871, Mazzini, fermo nellidea che un


giorno lEuropa sarebbe [divenuta] una Confederazione di liberi
Stati, riconosceva tuttavia che, sebbene lItalia e la Germania a-
vessero raggiunto lunit, nulla, nelle condizioni presenti
46
dellEuropa , lasciava presagire un rapido raggiungimento
dellobiettivo47. Ma, nel suo scritto Nazionalismo e Nazionalit,

43
Cfr. A.M. MORONE, Lultima colonia: come lItalia tornata in Africa 1950-
1960, Laterza, Roma-Bari, 2011.
44
Per un approfondimento, cfr. W. RODNEY, How Europe Underdeveloped
Africa, Pambazuka Press, Oxford, 2012, pp. 275 ss.
45
G. MAZZINI, Le peuple des proscrits, in Le Proscrit. Journal de la Rpu-
blique Universelle, 1 luglio 1850. Cfr. anche F. BERTINI, La democrazia euro-
pea e il laboratorio risorgimentale italiano 1848-1860, Firenze University Press,
Firenze, 2007, pp. 27 ss.
46
F. QUINTAVALLE, La politica internazionale nel pensiero e nellazione di
Giuseppe Mazzini, cit., p. 265.
47
Per un approfondimento, tra i tanti riferimenti, cfr. G. MASTELLONE (a cura
di), Pensieri sulla democrazia in Europa, Feltrinelli, Milano, 2007; ID., Il pro-
Mazzini si spingeva oltre:

S, finalmente [] noi vogliamo gli Stati Uniti dEuropa48, lalleanza


repubblicana dei popoli []. E questi popoli devono stringerla leale e
100 durevole, essere liberi ed eguali, avere coscienza di s, affermare la
propria individualit e il proprio principio: essere insomma nazioni.
LUmanit il fine, la nazione il mezzo: senza essa potrete adorare,
contemplare oziosi, lUmanit, non costituirla o tentarlo49.

Come ha precisato Giuseppe Santonastaso, limpulso impresso da


Mazzini al diritto nazionale aveva quale finalit il superamento
del vecchio concetto di Stato sovrano e la realizzazione della fe-
derazione dei popoli50. Pertanto, ogni nazione, compiendo il suo
autonomo percorso storico, avrebbe contribuito a realizzare il fi-
51
ne dellUmanit . La prospettiva mazziniana, ha rimarcato Lucio
Levi, conteneva in s lidea dellunit europea e, in seconda bat-

getto politico di Mazzini: Italia-Europa, Olschki, Firenze, 1994. Cfr. anche C.


CECCUTI (a cura di), Giuseppe Mazzini dalla Giovine Europa alla Lega inter-
nazionale dei popoli. Atti del Convegno di studi Fondazione Spadolini, Nuova
Antologia, Firenze, 20 maggio 2005, Polistampa, Firenze, 2008.
48
Cfr. L. SALVATORELLI, Mazzini e gli Stati Uniti dEuropa, La Libreria dello
Stato, Roma, 1950.
49
G. MAZZINI, Nazionalismo e Nazionalit, in ID., Scritti editi ed inediti, vol.
XCIII, (Politica 30), Galeati, Imola, 1941, p. 85. Non bisogna, tuttavia, dimenti-
care che, ancora nel 1853, Mazzini aveva espresso una perentoria condanna
delle dottrine federaliste che lo spingeva a biasimare sia il progetto politico di
Vincenzo Gioberti, sia quello di Carlo Cattaneo: Io considero [] il federali-
smo come la peste maggiore che possa, dopo il dominio straniero, piombar
sullItalia: il dominio straniero ci contende per poco la vita; il federalismo la
colpirebbe dimpotenza e di condanna a lenta ingloriosa morte in sul nascere.
Rampollo dun vecchio materialismo che incapace daffermare la collettiva
unit della vita, non pu collanalisi scoprirne se non le manifestazioni locali e
ignora la Nazione e i suoi fati, il federalismo sostituisce al concetto della mis-
sione dItalia nellUmanit un problema di semplice libert e dun pi soddi-
sfatto egoismo. G. MAZZINI, Agli Italiani. Alcune pagine, Tipografia Moretti,
Genova, 1853, p. 54.
50
Cfr. G. SANTONASTASO, Giuseppe Mazzini, Centro napoletano di studi maz-
ziniani, Napoli, 1971, pp. 138 ss.
51
Cfr. L. LA PUMA, Giuseppe Mazzini: democratico e riformista europeo, Ol-
schki, Firenze, 1994, pp. 28 ss.
tuta, dellaffratellamento di tutto il genere umano52. Mazzini era
consapevole della difficolt di raggiungere questi fini: se assai
complesso appariva il tentativo di conseguire lunit europea, an-
cora pi arduo si presentava lo sforzo di pervenire al superamento
101
della dimensione statale negli altri continenti come lAfrica, dove,
prima ancora di discutere di panafricanismo53, era indispensabile il
raggiungimento delle singole indipendenze nazionali.
Tuttavia, gi alla conclusione del secondo conflitto mondiale,
alcuni movimenti di liberazione africani, come accennato, inter-
pretarono gli insegnamenti mazziniani sia in riferimento alla lot-
ta per lindipendenza, sia a quella finalizzata alla costituzione di
forme di integrazione politica. Ad esempio, gli stessi militanti
pi impegnati, [] in una lotta tanto cruenta ed esacerbata come
quella per la liberazione dellAlgeria, non dimenticarono nei loro
scritti di fare appello alla solidariet degli altri popoli africani, e
di offrire la propria, nella prospettiva seppur remota degli Stati
Uniti dAfrica54. Come ha notato Gianluigi Rossi, proprio
allindomani della seconda guerra mondiale, nella maggior parte
dei paesi africani si costituirono delle lite, formatesi nelle uni-
versit europee ed americane: in tal modo alcune delle idee e dei
principi propri alla cultura europea poterono, con pi facilit, es-
sere interiorizzati dalle nuove classi dirigenti: cos lidea di na-
zione, di democrazia, di uguaglianza, di libert55, che gi si era-
no affermate in Occidente, trovarono una significativa diffusione
tra i popoli africani. Tale contatto fin cos per produrre un dupli-
ce effetto:

52
Cfr. L. LEVI, Il pensiero federalista, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 54 ss.
53
Per un approfondimento, cfr. G. CALCHI NOVATI, Dal panafricanismo idea-
le al panafricanismo reale e lopera di Kwame Nkrumah, in Africa: rivista
trimestrale di studi e documentazione dellIstituto italo-africano, nn. 1-4,
2010, pp. 58-80. Cfr. anche A. ARUFFO, Patrice Lumumba e il panafricanismo,
Erre Emme, Roma, 1992; V.B. THOMPSON, Africa and Unity: the Evolution of
Pan-Africanism, Longman, London, 1977.
54
G. MONTANI, Op. cit., p. 36. In merito agli Stati Uniti dAfrica si veda L. AR-
DESI, Il federalismo: le esperienze continentali. Stati disuniti dAfrica, in Ni-
grizia, nn. 125-126, 2007, pp. 30-32.
55
G. ROSSI, LAfrica verso lunit (1945-2000). Dagli Stati indipendenti allAtto
Unico di Lom, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2010, p. 5.
[] da un lato questi intellettuali formatisi alla scuola dellEuropa
chiesero che i principi basilari della democrazia europea venissero ap-
plicati anche ai loro paesi, dallaltro essi hanno sottoposto a revisione
critica pur senza rinnegarli i propri valori originari56.
102

E, dunque, se come detto i valori tipici della cultura europea trova-


rono in tale contesto un loro, sia pur parziale, accoglimento, anche
alcune delle idee del nostro Risorgimento democratico, come quel-
le di Giuseppe Mazzini, furono fatte proprie dalle lite africane.
Daltra parte, gi nel 1947, Anton Lembede57, attivista sudafricano
e primo presidente dellAfrican National Congress Youth League,
ricorreva agli insegnamenti mazziniani per spronare i popoli del
suo continente a condurre una lotta per la loro piena emancipa-
zione. In tale prospettiva, secondo Lembede, il nazionalismo, lungi
dal confondersi con il fanatismo ed evitando qualsiasi legame con
il bigottismo religioso, avrebbe condotto alla piena indipendenza
politica gli Stati dellAfrica58. I suoi insegnamenti per gli Africani
erano cos mutuati dalle parole di Mazzini:
Love your countryIt is the home which God has given you, that by
striving to perfect yourselves therein, you may prepare to ascend Him.
It is your name, your glory, your sign among the people. Give to it
your thoughts, your counsels, your blood. Raise it up great and beauti-
ful and see that you leave it uncontaminated by any trace of falsehood
or servitude; unprofaned by dismemberment59.

Il nazionalismo al quale si richiamava Lembede non era fine a se


stesso, ma anelava a forme pi alte di cooperazione tra gli Stati
dellAfrica. Oh! continuava il leader sudafricano, rivolgendo-
si sempre ai popoli africani, se le parole di Mazzini potessero
solo sink and soak into our minds and hearts!60, si potrebbe

56
Ibidem.
57
Per un approfondimento, tra i tanti riferimenti, cfr. R. EDGAR, L. KA MSUM-
ZA (eds.), Freedom in Our Lifetime. Collected Writings of Anton Muziwakhe
Lembede, Ohio University Press, Athens, 1996.
58
Cfr. A.M. LEMBEDE, In Defence of Nationalism!, in Inkundla ya Bantu, 27
Febbraio 1947.
59
Ibidem.
60
Ibidem.
compiere una missione di liberazione:

We must therefore verily believe that we are inferior to no other race


on earth; that Africa and ourselves are one; that we have a divine mis-
sion of unifying and liberating Africa, thus enabling her to occupy her 103
rightful and honorable place amongst the nations of the world. We
must develop race pride61.

Lo spirito di queste affermazioni pareva perfettamente coincidere


con le parole del patriota genovese che, nel 1853, aveva precisato
compiti e funzioni della Giovine Italia:

La Giovine Italia riconosce [] lAssociazione universale dei Popoli


come lultimo fine dei lavori degli uomini liberi. Essa riconosce e incul-
ca con ogni mezzo la fratellanza dei popoli. Bens, perch i popoli pos-
sano procedere uniti sulla via del perfezionamento comune, necessa-
rio chessi camminino sulle basi delleguaglianza. Per essere membri
della grande Associazione conviene esistere, avere nome, e potenza
propria62.

Per associarsi e superare la dimensione statale era, per, indi-


spensabile lindipendenza, considerata condicio sine qua non per
laffermazione del principio di solidariet tra i popoli:

61
Ibidem. Come ha, tuttavia, sottolineato Ryan M. Inwin: A voracious reader
well versed in European philosophy, Lembede drew not only on the work of
Western thinkers, such as Jean Jacques Rousseau and Giuseppe Mazzini, but
also South Asian intellectuals like Jawaharlal Nehru and Mahatmas Gandhi.
R.M. INWIN, Gordian Knot. Apartheid and the Unmaking of the Liberal World
Order, Oxford University Press, Oxford, 2012, p. 32.
62
G. MAZZINI, Delucidazioni sullo Statuto della Giovine Italia (1853), in L. STE-
FANONI, Giuseppe Mazzini, Barbini, Milano, 1863, pp. 144-145.
Ogni popolo [] deve, prima di occuparsi dellUmanit costituirsi in
Nazione63. Non esiste veramente Nazione senza Unit. Non esiste Unit
stabile senza Indipendenza [] Non esiste Indipendenza possibile senza
Libert. Per provvedere alla propria indipendenza duopo che i popoli
104
siano liberi, perchessi solo possono conoscere i mezzi per serbarsi indi-
pendenti, essi soli hanno a sagrificarsi per esserlo, e senza libert non esi-
stono interessi che spingano i popoli al sagrifizio64.

Queste affermazioni rivivevano profondamente anche nelle con-


vinzioni di un altro leader africano, il presidente ghanese Kwame
Nkrumah, certo della necessit di assicurare lemancipazione di
ogni popolo africano prima di procedere allintegrazione politica
tra gli Stati del continente. Infatti, per Nkrumah, come ha
sottolineato in un recente studio Kwame Botwe-Asamoah:
without political indipendence, there was no channel the Afri-
65
can could go through to trasform the society .
Quando il 22 maggio 1963, si apr ad Addis Abeba la Confe-
renza panafricana che avrebbe dato vita allOrganizzazione per
lUnit Africana (OUA), proprio Nkrumah sostenne la tesi inte-
gralista finalizzata alla formazione di un governo e di un par-
lamento sovranazionali []66. Nkrumah, dunque, riteneva ne-
cessaria la creazione di un governo continentale e la completa
unificazione politica africana. Tale tesi non sarebbe stata accolta,
ma avrebbe comunque testimoniato il desiderio, di parte della
classe politica africana, di tendere al superamento della dimen-
63
Come ha precisato Giangiacomo Vale, per Mazzini la nazione si difende e
costruisce attraverso ledificazione di uno Stato unitario che sia lespressione
della volont di tutto il popolo [], e in cui la nazione coincida con il territo-
rio. Nel popolo si incarna cos una volont ideale comune e culturalmente
omogenea [] che ne fa unentit monolitica. G. VALE, Filosofia e prassi del
federalismo nella polemica di P. J. Proudhon contro lunit dItalia, in S. BE-
RARDI (a cura di), Patriottismo, Risorgimento e Unit Nazionale, Edizioni Nuo-
va Cultura, Roma, 2012, pp. 123 ss.
64
G. MAZZINI, Delucidazioni sullo Statuto della Giovine Italia (1853), in L. STE-
FANONI, Giuseppe Mazzini, cit., p. 145.
65
K. BOTWE-ASAMOAH, Kwame Nkrumahs Politico-Cultural Thought and Poli-
cies. An African-Centered Paradigm for the Second Phase of the African Revolu-
tion, Routledge, London, 2013, p. 10.
66
G. ROSSI, LAfrica verso lunit (1945-2000). Dagli Stati indipendenti allAtto
di Unione di Lom, cit., p. 49.
sione dello Stato nazionale67. Del resto, sempre Nkrumah, nella
sua Autobiography, sottolineava di conoscere il pensiero di Giu-
seppe Mazzini e di aver tratto da questo utili e preziosi insegna-
menti nella lotta allimperialismo e allaffermazione del principio
di solidariet tra i popoli68. Il progetto di integrazione politica
105

dellAfrica, da lui proposto, risentiva cos anche del magistero del


patriota genovese. Nkrumah riteneva legittimo il nesso mazzi-
niano tra rivoluzione e ideologia: per il leader ghanese, infatti,
ogni progetto rivoluzionario doveva basarsi su principi condivisi
e interiorizzati dalla collettivit degli insorti, capaci cos di com-
69
piere la loro missione . In tale prospettiva, la decolonizzazione e
lindipendenza degli Stati africani erano soltanto i primi passi
verso lunione del continente africano. Nella sua opera Towards
Colonial Freedom70, i riferimenti al pensiero mazziniano, erano
espliciti: Every true revolution is a programme; and derived
from a new, general, positive and organic principle. The first
necessary is to accept that principle. Its development must then
be confined to men who are believers in it, and emancipated
from every tie or connection with any principle of an opposite
71
nature . Per il presidente del Ghana, come gi per Mazzini, il
successo della rivoluzione avrebbe permesso il trionfo
dellideologia a questa legata:

67
Cfr. ivi, pp. 50 ss.
68
Cfr. K. NKRUMAH, Autobiography, T. Nelson, London, 1957, pp. 45 ss. Cfr.
anche ID., Africa Must Unite, Routledge, London, 1963. Come ha precisato
Frans Viljoen: In his view, the gains of freedom could only be secured if Africa
formed a bulwark against the pressures of neo-colonialism. F. VILJOEN, Inter-
national Human Rights Law in Africa, Oxford Universityy Press, Oxford,
2012, p. 153.
69
Cfr. K. NKRUMAH, Consciencism: Philosophy and Ideology for Decolonization
and Development, with Particular Reference to the African Revolution, Month-
ly Review Press, New York, 1965, pp. 56 ss.
70
Cfr. K. NKRUMAH, Towards Colonial Freedom: Africa in the struggle against
world imperialism, Heinemann, London, 1962.
71
Cfr. K. NKUMAH, in E. OBIRI ADDO, Kwame Nkrumah. A Case Study of Reli-
gion and Politics, University Press of American, Lanham, 1997, p. 169.
When the revolution has been successful, the ideology continue to
characterize the society. It is the ideology which gives a countenance
to the ensuing social milieu. Mazzini further states the principle to be
general, positive and organic. The statement, elucidation and theoreti-
106
cal defence of such a principle will collectively form a philosophy.
Hence philosophy admits of being an instrument of ideology72.

Per il leader ghanese, lunica via possibile per assicurare il com-


pleto affrancamento dei nuovi Stati dallo sfruttamento economi-
co da parte degli ex colonizzatori, risiedeva nella costituzione di
un governo comune per tutte le nazioni del continente73. Solo co-
s si sarebbe potuta sconfiggere linstabilit politica e avrebbero
trovato accoglimento le istanze di rinnovamento dei popoli afri-
cani, liberi dallo sfruttamento europeo:

The intention is to use the newly independent African states, so cir-


cumscribed, as puppets through which influence can be extended []
The creation of several weak and unstable states of this kind of Africa,
it is hoped, will ensure the continued dependence on the former colo-
nial powers for economic aid, and impede African unity. This policy of
balkanisation is the new imperialism, the new danger to Africa74.

Gi nel 1961, Nkrumah tent di realizzare lintegrazione politica


tra gli Stati di Guinea, Ghana e Mali con il nome di Unione degli
75
Stati Africani . Tale progetto, che doveva rappresentare il primo
72
Cfr. K. NKRUMAH, in P.J. HOUNTONDJI, African Philosophy: Mith and Reali-
ty, Indiana University Press, Indiana, 1996, p. 148. Come ha precisato Ama
Biney: Nkrumah did not clearly differentiate between philosophy and ideolo-
gy, nor did he enunciate the relationship between the two terms. [] Nkrumah
referred to the Italian patriot Mazzini, who linked the necessity for a revolution
with an ideology to imbue and guide society. A. BINEY, The Political and So-
cial Thought of Kwame Nkrumah, Palgrave Macmillan, London-New York,
2011, pp. 126 ss.
73
Cfr. K. NKRUMAH, Neo-Colonialism: the Last Stage of Imperialism, T. Nel-
son, London, 1965. Cfr. anche D.J. FRANCIS, Uniting Africa: Building Regional
Peace and Security Systems, Ashgate Publishing Company, Hampshire, 2006,
pp. 16 ss.
74
K. NKRUMAH, Africa Must Unite, cit., p. 179.
75
Per un approfondimento cfr. B. DROZ, Storia della decolonizzazione nel XX
secolo, Mondadori, Milano, 2007, pp. 282 ss. Come ha sottolineato Teobaldo
Filesi, il progetto di Nkrumah prevedeva liniziale costituzione di una Confe-
passo verso la completa integrazione politica del continente, non
trov attuazione. Larticolo 3 della Carta di Unione, nel quale pa-
reva rivivere lo spirito mazziniano, evidenziava gli scopi della
stessa:
107

To strengthen and develop ties of friendship and fraternal co-operation


between the member states politically, diplomatically, economically
and culturally; to pool their resources in order to consolidate their in-
dependence and safeguard their territorial integrity; to work jointly to
achieve the complete liquidation of imperialism, colonialism and neo-
colonialism in Africa and the building up of African unity76.

La tesi di Nkrumah, che come detto non risult maggioritaria nel


1963 al momento della nascita dellOUA, avrebbe trovato un ac-
coglimento, sia pur parziale, nel corso del trentaseiesimo Vertice
dellOrganizzazione, riunitosi a Lom, che adott lAtto Costitu-
tivo dellUnione Africana77. Come ha sottolineato Gianluigi Ros-
si, in tale circostanza, soprattutto grazie al ruolo ricoperto dalla
Libia, il progetto di Nkrumah, ispirato ad una impostazione per
cos dire massimalista del panafricanismo78, ritornava di stretta
attualit nel tentativo di stimolare il consolidamento degli Stati
africani e di sostenere il processo di integrazione politica conti-

derazione degli Stati africani, che considerava indispensabile passaggio la ri-


costruzione economica e sociale dellAfrica, priva da vincoli con i paesi
dellEuropa occidentale. Cfr. T. FILESI, Levoluzione politica dellAfrica, Istituto
Italiano per lAfrica, Roma, 1965, pp. 77 ss.
76
K. NKRUMAH, Africa Must Unite, cit., p. 142. La stessa Costituzione della
Repubblica del Ghana, risalente al 1960, allarticolo 2 esprimeva i
convincimenti del suo presidente di accelerare il processo per lunit africana:
In the confident expectation of an early surrender of sovereignty to a union
of African states and territories, the people now confer on Parliament the
power to provide for the surrender of the whole or any part of the sovereignty
of Ghana. Cfr. D.E. APTER, Ghana in Transition, Atheneum, New York,
1968, p. 374. Cfr. anche L. TOSONE, Aiuti allo sviluppo e guerra fredda:
lamministrazione Kennedy e lAfrica sub-sahariana, Wolters Kluwer Italia,
Padova, 2008, pp. 72 ss.
77
Cfr. R. CADIN, Unione Africana (UA), estratto da Enciclopedia Giuridica,
Aggiornamento, vol. XIV, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2006.
78
G. ROSSI, LAfrica verso lunita (1945-2000). Dagli Stati indipendenti allAtto
di Unione di Lom, cit., p. 139.
nentale79.
Ancora oggi, tale processo appare lungo e complesso:
[] occorrer [] rafforzare tra i popoli africani lo spirito di solidarie-
108 t e collaborazione, nonch il gusto per la democrazia e il buon gover-
no. Il che implica, da parte delle classi dirigenti, la volont che sem-
bra sia finalmente emersa di procedere coinvolgendo nei processi po-
litici ed economici la societ civile e i popoli del continente80.

In tale prospettiva, possono essere richiamate le riflessioni di un


mazziniano come Giovanni Spadolini, che senza mezzi termini,
gi nel 1982, in qualit di presidente del Consiglio, aveva affer-
mato: leredit mazziniana e garibaldina non solo conserva la
pi genuina vitalit anche oggi, ma pu offrire suggestive e rive-
latrici componenti di richiamo, di stimolo, e di impegno civile,
[] nel risveglio [] dei popoli africani, [] [e] nella loro volon-
t di sviluppo, pacifico e democratico81.
79
Daltra parte, se lintegrazione politica risultava essere il fine ultimo da conse-
guire, sempre Gianluigi Rossi ha evidenziato che tale obiettivo potr essere rag-
giunto solo rafforzando la cooperazione in campo economico e favorendo, a pieno
titolo, i paesi africani allinterno del processo di globalizzazione, non soltanto rico-
prendo un ruolo meramente passivo: Per agevolare lintegrazione nel processo di
globalizzazione e spezzare il circolo vizioso del sottosviluppo africano, occorre in
primo luogo ridurre il gap con i paesi industrializzati in una serie di settori consi-
derati prioritari. In questo modo leconomia africana potr diventare competitiva e
dare dunque il suo contributo alla globalizzazione, ricevendo nel contempo da
questa un impulso positivo per il suo ulteriore decollo. necessario quindi po-
tenziare le infrastrutture (strade, porti, aeroporti), cui attualmente i paesi afri-
cani destinano buona parte dei loro risparmi, con la conseguenza che impor-
tanti risorse vengano distolte da settori economici immediatamente produttivi.
Altri settori cruciali nei quali assai forte il divario con il mondo industrializ-
zato sono quelli delle telecomunicazioni, dellenergia e della sanit. Ivi, pp.
185-186.
80
Ivi, p. 148.
81
G. SPADOLINI, Messaggio del presidente del Consiglio on. sen. Giovanni Spa-
dolini, in G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il
Risorgimento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, cit., p. II. Del resto, Spadolini
considerava Mazzini non soltanto il padre della democrazia repubblicana ita-
liana, ma anche colui che seppe parlare di fratellanza tra i popoli e di integra-
zione europea, quando ancora lunit dItalia non era stata realizzata. Cfr. S.
BERARDI, Giovanni Spadolini e il villaggio globale dellumanit, in ID. (a cu-
ra di), LItalia e i processi di globalizzazione. Atti del Convegno, Roma, 10
109

Abstract

This paper analyses the reception of the works of Giuseppe Mazzini in


the process of independence and political cooperation of African states.
The anti-colonial perspective of Giuseppe Mazzini, in fact, required the
collaboration between European nations and African people in order to
stimulate the latters moral and then political emancipation. For Mazzini,
all African people were entitled to assert the principle of self-
determination. His doctrines therefore found, especially in the aftermath
of World War II, an indirect spread in Africa. Some leaders, such as Gha-
naian Kwame Nkrumah and South African Anton Lembede, transposed
his teaching in their battles which were not only aimed at the independ-
ence of African states, but were also meant to provide the basis for a full
political integration of the continent.

maggio 2013 Aula Magna Unicusano, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2014,
pp. 73-91. Cfr. anche B. ROSSI, Leuropeismo mazziniano nel pensiero storico di
Giovanni Spadolini, Bologna University Press, Imola, 1990.
111

Nuove prospettive di ricerca


sul corporativismo in Europa

di VALERIO TORREGGIANI

Corporativismo un termine intriso profondamente di ambiguit


e vaghezza. I suoi significati si sono stratificati nel tempo, so-
vrapponendosi e mescolandosi luno allaltro fino a comporre un
mosaico polisemico a tratti inestricabile. Residuo depoca medie-
vale che collima e invade la sfera della contemporaneit, il cor-
porativismo si ridefinisce continuamente a seconda dei tempi, dei
luoghi e delle culture, formando quello che Lucien Febvre gi nel
1
1939 chiamava un fatras , un guazzabuglio di idee, di difficile de-
cifrazione storiografica. Tre anni pi tardi anche Louis Baudin,
economista francese attento studioso del corporativismo, rilevava
con una felice similitudine che la stessa parola corporazione
sembrava come una medesima etichetta applicata a bottiglie
riempite con bevande differenti2.

1
L. FEBVRE, Encore le Corporatisme, cit. in S. CASSESE, Lo Stato fascista, il Mu-
lino, Bologna, 2010, p. 89.
2
Cfr. L. BAUDIN, Le corporatisme: Italie, Portugal, Allemagne, Espagne, France,
Librairie Gnrale de Droit et de Jurisprudence, Paris, 1942, pp. 4-5.
dobbligo citare, al fianco di Baudin, un altro autore francese, Louis Rosen-
stock-Frack che si distinse per attente riflessioni sul corporativismo durante il
periodo fascista: L. FRANCK, Lconomie corporative fasciste en doctrine et en
Nel corso della seconda met del XX secolo, tali ambiguit
crebbero esponenzialmente: recuperato nella dialettica politica, il
termine cominci ad indicare, ed indica tuttora, la difesa di par-
ticolari interessi di categoria perseguiti senza riguardo alcuno per
112
un supposto interesse generale nazionale; contemporaneamente,
in ambito accademico il concetto venne recuperato fin dagli anni
Settanta, riformulato secondo i parametri del neo-corporativismo
per spiegare i meccanismi del funzionamento di molte societ
democratiche a capitalismo avanzato nel periodo successivo alla
Seconda guerra mondiale.
Proprio la pluralit di significati, la sua lunga sopravvivenza
nel vocabolario politico-economico e la sua ampia trasversalit
disciplinare, hanno garantito al corporativismo una grande for-
tuna, senza purtuttavia fornire soluzioni chiare per quanto ri-
guarda la sua definizione, che risulta ancora oggi poco chiara e
tuttaltro che univoca. Questa intrinseca ambiguit, per, se da
una parte rappresenta sicuramente una difficolt per chi desidera
far uso del concetto, dallaltra sembra poter costituire il suo pun-
to di forza principale: la precariet semantica del corporativismo,
infatti, lo rende uno strumento danalisi storiografica sufficien-
temente elastico, che permette di gettare uno sguardo dinsieme
su un complesso e multiforme universo di progettualit politico-
economiche costruite, tra il XIX e il XX secolo, sul confine tra di-
verse tradizioni, culture e discorsi politici, le cui connessioni re-
ciproche rimarrebbero altrimenti nellombra.
Obiettivo principale di questo contributo non quello di com-
porre una rassegna degli studi sul corporativismo del regime fa-
scista italiano tema che nellultimo decennio ha conosciuto una
3
certa fortuna storiografica , bens quello di riformulare tale os-

fait. Ses origines historiques et son volution, Gamber, Paris, 1934; ID., Les
tapes de lconomie fasciste italienne. Du corporatisme lconomie de
guerre, Editions du Centre polytechnicien dtudes conomiques, Paris, 1939.
Brani di questi due volumi e altri brevi scritti del medesimo autore si trovano
ora tradotti in italiano in L. FRANCK, Il corporativismo e leconomia dellItalia
fascista, a cura di Nicola Tranfaglia, Bollati Bolinghieri, Torino, 1990.
3
In questo senso esistono gi esaustive rassegne. La prima, che raccoglie gli
studi fino al 1970, quella di G.M. BRAVO, Sindacalismo fascista e corporativi-
servatorio storiografico partendo da alcune suggestioni sul tema
che spingono a riposizionare lo studio del corporativismo in uno
spazio geografico, cronologico e culturale pi ampio e quindi pi
complesso. In questottica, accettando di chiamare corporative an-
113
che proposte che non si autodefinivano come tali, il concetto di
corporativismo o di corporativismi, con un plurale che forse de-
finisce meglio la realt storica4 riesce a dar conto della diffusio-
ne, a livello globale, di progetti, proposte e pensieri sociali, econo-
mici e politici, che condividevano alcuni obiettivi e presupposti,
ma che venivano promossi anche da soggetti non fascisti.
Il tema diventa in questo modo esponenzialmente pi com-
plesso, variegato e sfaccettato: la vastit geografica, cronologica,
politica e culturale allinterno della quale largomento merita di
essere studiato sposta lattenzione dal solo mondo fascista verso
un universo molteplice, che include lo studio delle varianti del
capitalismo, delle diverse modalit di rappresentanza politica,
dellimportanza degli interessi socio-economici allinterno del
processo decisionale delle societ industriali, chiamando in causa
diversi campi del sapere, dal diritto alla filosofia, dalla politologia
alleconomia.
Come afferma Emmanuel Rota, infatti, lequivalenza corpo-
rativismo-fascismo pu alimentarsi solo di una prospettiva pro-
vinciale, che non consideri linsieme delle esperienze europee a

smo, in Il movimento sindacale in Italia. Rassegna di studi (1945-1969), Fonda-


zione Einaudi, Torino, 1970, pp. 63 ss. Per una sintesi pi recente si veda A.
GAGLIARDI, Lo Stato corporativo fascista: una ricognizione su studi e fonti, in
Le carte e la storia, vol. VII, n. 1, 2001, pp. 181 ss. Per i pi importanti e re-
centi studi sul corporativismo fascista italiano si rimanda ai seguenti lavori: G.
SANTOMASSIMO, La terza via fascista. Il mito del corporativismo, Carocci, Ro-
ma, 2006; I. STOLZI, Lordine corporativo. Poteri organizzati e organizzazione
del potere nella riflessione giuridica dellItalia fascista, Giuffr, Milano, 2007;
S. CASSESE, Lo Stato fascista, il Mulino, Bologna, 2010; A. GAGLIARDI, Il corpo-
rativismo fascista, Laterza, Roma-Bari, 2010.
4
Cfr. P. COSTA, Corporativismo, corporativismi, discipline: a proposito della
cultura giuridica del fascismo, in Quaderni di Storia dellEconomia Politica,
anno VIII, n. 2-3, 1990, pp. 403-413.
partire dalla fine della Prima guerra mondiale5. In questa nuova
dimensione il corporativismo fascista risulta la peculiare tradu-
zione italiana, di stampo autoritario, di quello che Sabino Cassese
ha definito come un fenomeno mondiale, che non si affermato
necessariamente in Stati fascisti6. Il corporativismo fascista,
114

quindi, si caratterizza come un esperimento italiano di progressi-


vo rimodellamento delle forme istituzionali e della gestione delle
relazioni socio-economiche per molti versi simile a coeve proget-
tualit di aggiustamento e trasformazione delle forme liberal-
parlamentari secondo modelli di rappresentanza e di mediazione
ritenuti pi consoni alle mutate condizioni sociali, economiche e
politiche della modernit industriale.
Il percorso di gestazione di questo nuovo sguardo storiografi-
co sul problema corporativo ha le sue radici in un dibattito sorto
allinizio degli anni Settanta in seno ad una corrente di studi po-
litologici. I protagonisti di tale dibattito, non soddisfatti dal con-
cetto di pluralismo, cominciarono ad applicare una screditata no-
7
zione di corporativismo per spiegare i meccanismi di funziona-
mento delle democrazie occidentali a capitalismo avanzato8. Sa-

5
E. ROTA, La tentazione corporativa: corporativismo e propaganda fascista tra
le file del socialismo europeo, in M. PASETTI (a cura di), Progetti corporativi tra
le due guerre mondiali, Carocci, Roma, 2006, p. 85.
6
S. CASSESE, Lo Stato fascista, cit., p. 95. La tesi di Cassese ha una gestazione che
risale ai suoi primi scritti sul tema, che per la loro importanza storiografica vale
la pena ricordare: ID., Corporazioni e intervento pubblico nelleconomia, in
Quaderni Storici delle Marche, n. 9, 1969; S. CASSESE, B. DENTE, Una discussio-
ne del primo ventennio del secolo: lo Stato sindacale, in Quaderni Storici, n. 18,
1971. Sul tema si veda anche L. CERASI, Corporatismo/corporativismo e storia
dItalia. Un percorso di lettura, in Contemporanea, IV, n. 2, aprile 2001, pp.
367-378.
7
Ancora nel 1990 Nicola Tranfaglia parla di un corporativismo negletto e
abbandonato. N. TRANFAGLIA, Franck e il corporativismo fascista, in L.
FRANCK, Il corporativismo e leconomia dellItalia fascista, cit., p. VII.
8
Cfr. S. BEER, British Politics in the Collectivist Age, Knopf, New York 1965;
ID., Modern British Politics: A Study of Parties and Pressure Groups, Faber
London, 1969; A. SHONFIELD, Modern Capitalism, Oxford University Press, Ox-
ford, 1965. Per una rassegna storiografica degli studi sul neo-corporativismo si
vedano: O. MOLINA, M. RHODES, Corporatism: The Past, Present, and Future of
a Concept, in Annual Review of Political Science, n. 5, 2002, pp. 305-331; J.L.
muel Beer, ad esempio, studiando la situazione politica della
Gran Bretagna post-bellica, ritrova un sistema che definisce di
quasi-corporativismo, dove nessun gruppo socio-economico
era lasciato senza un canale dinfluenza sulle decisioni del gover-
no, partecipando cos al processo decisionale9. Proprio uno dei
115

protagonisti di tale filone di studi, leconomista inglese Andrew


Shonfield, gettando le basi per le successive evoluzioni
dellanalisi, affermava: it is curious how close this kind of thin-
king was to the corporatist theories of the earlier writers of Ita-
lian Fascism10.
Tali spunti di ricerca iniziarono a germogliare a met degli
anni Settanta, quando Charles S. Maier e Philippe Schmitter, se-
guendo percorsi di ricerca differenti ma complementari ed en-
trambi decisamente influenti per la storiografia successiva, pose-
ro per la prima volta lo studio del corporativismo in una prospet-
tiva internazionale. Per Maier, com noto, il decennio successivo
alla Grande Guerra segn la nascita dellEuropa corporatista11,
caratterizzata dal passaggio del potere decisionale dai parlamenti
eletti alle maggiori forze organizzate della societ e
delleconomia. Scrivendo quasi contemporaneamente, Philippe
Schmitter, nel suo famoso saggio Still the Century of Corpora-
tism?, riprendeva e rivalutava il contributo del 1934 del teorico
rumeno Mihail Manolesco12, il quale profetizzava che il XX se-
colo sarebbe stato il secolo del corporativismo: la proposta di
Schmitter vedeva un allargamento dei confini del concetto, fa-
cendovi rientrare una vastissima moltitudine di proposte, proget-
13
ti politici e culturali elaborati tra il XIX e il XX secolo .

CARDOSO, P. MENDONA, Corporatism and Beyond: An Assessment of Recent


Literature, in ICS Working Papers, n. 1, 2012, pp. 1-32.
9
Cfr. S. BEER, Modern British Politics, cit.
10
A. SHOENFIELD, Modern Capitalism, cit., p. 233.
11
Cfr. C.S. MAIER, La rifondazione dellEuropa borghese. Francia, Germania e
Italia nel decennio successivo alla prima guerra mondiale, il Mulino, Bologna,
1999.
12
Cfr. M. MANOLESCO, Le sicle du corporatisme, Editions Payot, Paris, 1934.
13
Cfr. P. SCHMITTER, Ancora il secolo del corporativismo, in M. MARAFFI (a cura
di), La societ neo-corporativa, il Mulino, Bologna, 1981, pp. 45-85. In
Il successo degli studi corporativi dopo gli anni Settanta fu ac-
compagnato da maggiori sforzi al fine di arrivare ad una pi pre-
cisa chiarificazione dellidea stessa di corporativismo. A pochi
anni di distanza da Schmitter, il tedesco Gerhard Lehmbruch in-
traprese i suoi pioneristici studi sul corporativismo liberale14, che
116

aprivano un ulteriore percorso di ricerca analizzando le declina-


zioni del corporativismo in senso liberale. Esse risultavano essere
varianti del capitalismo realizzate per meglio affrontare i pro-
blemi della globalizzazione. Sempre pi, quindi, veniva sentito il
bisogno di una chiarificazione concettuale di un termine la cui
valenza analitica veniva messa in pericolo proprio dalla sua e-
strema e nebulosa plasticit.
A tale compito si dedicarono una serie di autori che, durante
gli anni Ottanta, riprendevano le suggestioni di Schmitter preci-
sandole e declinandole secondo sotto-categorie analitiche che do-
vevano aiutare a chiarificare e semplificare luso di un concetto
che risultava, altrimenti, troppo vago e di difficile utilizzo. A tal
proposito i lavori ancora di Schmitter, di Berger, di Williamson e,
15
un decennio dopo, di Wiarda , sistematizzarono luso del termi-
ne rendendolo uno strumento euristico di grande utilit, an ap-
proach, an intellectual framework, a way of examining and anal-
yzing corporatist political phenomena across countries and time
periods16. Il frutto di tale riflessione stato quello di concepire il
corporativismo non come unideologia esatta, precisa e con prin-

questultimo testo sono tradotti in italiano i pi importanti contributi della


corrente anglosassone di studi neo-corporativi.
14
Cfr. G. LEHMBRUCH, Liberal Corporatism and Party Government, in Com-
parative Political Studies, n. 19, aprile 1977, pp. 91-126; G. LEHMBRUCH, P.
SCHMITTER (a cura di), Patterns of Corporatist Policy-Making, Sage, Beverly
Hills-London, 1979.
15
Cfr. S.D. BERGER (a cura di), Organizing Interests in Western Europe: plural-
ism, corporatism, and the transformation of politics, Cambridge University
Press, Cambridge, 1981; P. SCHMITTER, G. LEHMBRUCH (a cura di), Trends To-
ward Corporatist Intermediation, Sage, Beverly Hills-London, 1979; P.J. WIL-
LIAMSON, Varieties of Corporatism: a Conceptual Discussion, Cambridge Uni-
versity Press, Cambridge 1985; H.J. WIARDA, Corporatism and Comparative
Politics. The Great Other Ism, Sharpe, New York-London, 1997.
16
H.J. WIARDA, Corporatism and Comparative Politics, cit., p. 23.
cipi ben definiti; bens come uno spazio molteplice, delimitato da
due estremi allinterno dei quali si realizzano le diverse declina-
zioni del concetto. Il primo estremo rappresentato dal corpora-
tivismo societario o pluralistico, nel quale il potere collocato in
117
modo diffuso e delocalizzato presso corporazioni o gruppi corpo-
rati investiti di fatto dellautorit di gestire lintero sistema poli-
tico; il secondo costituito invece dal corporativismo autoritario,
dove lautorit suprema invece incentrata nelle mani di un for-
te organo superiore che pu ma non deve per forza essere lo
Stato centrale funzionante come intermediario, arbitro, mode-
ratore, creatore e gestore ultimo di corporazioni e gruppi corpo-
rati da esso istituzionalizzati, ai quali viene devoluta una parte,
piccola o grande, di potere decisionale17.
Seppur apparentemente distanti dagli studi storiografici pi
canonici, tali tentativi di delucidazione semantica e concettuale
hanno avuto unimportanza fondamentale anche nellevoluzione
degli studi sul corporativismo nel periodo precedente alla Secon-
da guerra mondiale. Tali riflessioni, infatti, sembrano aver gene-
rato un ampliamento del raggio dazione degli studiosi che si so-
no avvicinati al tema e, contestualmente, hanno contribuito ad
una definitiva presa di coscienza dellinesistenza di un rapporto
causale tra fascismo e corporativismo: i due fenomeni, pur inter-
secandosi per un lungo periodo di tempo, rimangono infatti di-
stinti per origini e percorsi. Si quindi sentita sempre pi urgen-
te la necessit, acutamente sottolineata fin dalla fine degli anni
Settanta da Pierangelo Schiera, di ripensare parallelamente gli
estremi cronologici sia per lo studio dei corpi intermedi, tradizio-
nalmente confinato allancien rgime, sia del corporativismo
18
contemporaneo, relegato al periodo tra le due guerre .
Un allargamento dellarco cronologico, quindi, risulta fonda-
mentale per riuscire a seguire le molteplici traiettorie del pensie-

17
Questa sistemazione recepita in Italia in G. TARELLO, Corporativismo, in A.
NEGRI (a cura di), Enciclopedia Feltrinelli-Fischer. Scienze Politiche, vol. 1. Sta-
to e Politica, Feltrinelli, Milano, 1980, pp. 68-81.
18
Cfr. P. SCHIERA, Alle radici dei corporativismi moderni, in G. VARDARO (a
cura di), Diritto del lavoro e corporativismi in Europa: ieri e oggi, Franco An-
geli, Milano, 1977, pp. 51-56.
ro corporativo nel XIX e nel XX secolo. Questo non significa at-
tribuire, come suggeriscono i pur fondamentali lavori di Zeev
Sternhell, caratteristiche proto fasciste a tutte le inquietudini an-
tiparlamentari e anti individualiste che permeavano la cultura
europea per lo meno dallultimo quarto del XIX secolo19;
118

linsegnamento da cogliere, semmai, ribadire come il fascismo,


fenomeno politico late comer, come viene definito dal classico
lavoro di J.J. Linz20, rielabor, in maniera spesso confusa e dettata
dai bisogni del momento, argomenti di economia politica, di dirit-
to e di organizzazione statale gi presenti nella cultura europea21.
Dagli anni Ottanta in poi, quindi, gli studi sul corporativismo
hanno conosciuto nuovi stimoli, esplorando nuovi percorsi sia da
un punto di vista geografico che cronologico. Lidea corporativa
stata cos osservata in una prospettiva di lunga durata, che ha
contribuito ad evidenziarne la sopravvivenza allinterno del vo-
22
cabolario politico delle societ occidentali , riscontrando notevo-
li elementi di continuit23. La storia delle idee corporative appare,
alla luce di autorevoli contributi, come una ragnatela di influen-
ze, di scambi culturali, di percorsi intellettuali che crearono, fin
dal periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione france-
se24, una rete di pensieri corporativi che costituirono il bacino

19
Cfr. Z. STERNHELL, La destra rivoluzionaria, Corbaccio, Milano, 1997.
20
Cfr. J.J. LINZ, Some Notes Toward a Comparative Study of Fascism in Socio-
logical Historical Perspective, in W. Laqueur (a cura di), Fascism. A Readers
Guide, University of California Press, Berkeley-Los Angeles, 1976.
21
Fondamentali in questo senso gli studi di Z. STERNHELL, Nascita
dellideologia fascista, Baldini & Castoldi, Milano, 2002; E. GENTILE, Le origini
dellideologia fascista, Laterza, Roma-Bari, 1975.
22
Cfr. P. SCHIERA, Il corporativismo: concetti storici, in A. MAZZACANE, A.
SOMMA, M. STOLLEIS (a cura di), Korporativismus in den Sdeuropischen Di-
ktaturen, Klostermann, Frankfurt am Main, 2005.
23
Si vedano a tal proposito le seguenti voci enciclopediche: L. ORNAGHI, Cor-
porazione, in Enciclopedia delle Scienze Treccani, Roma, 1992; P. SCHMITTER,
Corporativismo/corporatismo, in Enciclopedia delle Scienze Treccani, Roma,
1992.
24
La Rivoluzione francese opera da spartiacque di capitale importanza
nellevoluzione del pensiero corporativo in quanto, com noto, proprio
lopera legislativa rivoluzionaria che abolisce, con la legge Le Chapelier del
1791 listituzione corporativa. Ma gi dagli anni successivi ad essa, nascono
principale per la formazione dei corporativismi interbellici. Que-
sta tesi stata sostenuta, con notevole forza, sia da Lorenzo Or-
naghi che da Anthony Black25 che, coprendo diversi ma comple-
mentari ambienti culturali e geografici, hanno registrato pun-
119
tualmente i percorsi di elementi corporativi riscontrabili nel pen-
26
siero di Hegel, di Proudhon, di Durkheim, di Saint-Simon e di
Otto Von Gierke. A questi, va aggiunto un accenno alla pi nota
reazione corporativa proveniente dai circoli cattolici durante la
seconda met del XIX secolo, per opera principalmente di Em-
manuel Von Ketteler, di Ren de La Tour du Pin e di Giuseppe
Toniolo, che converger infine nella Rerum Novarum di Papa Le-
one XIII del 1891, enciclica sociale con forti elementi corporativi
che sar un punto di riferimento importante per il futuro di tale
teoria27.

una serie di teorie anti-rivoluzionarie che contrastano la centralizzazione mo-


nistica del potere politico nelle mani del governo centrale, rivendicando
limportanza delle categorie professionali nella gestione della societ. Si veda,
ad esempio, il pensiero di Saint-Simon e degli economisti che si richiamavano
ai suoi insegnamenti. Cfr. M. BATTINI, Lordine della gerarchia. I contributi
reazionari e progressisti alle crisi della democrazia in Francia 1789-1914, Bol-
lati Boringhieri, Torino, 1995.
25
Cfr. L. ORNAGHI, Stato e corporazione, Giuffr, Milano, 1984; A. BLACK,
Guilds and Civil Society, Metheusen & Co., London, 1984.
26
Saint-Simon risulta molto importante in quanto sembra essere il primo di
quegli intellettuali che si pongono allincrocio di diverse tendenze egli fu un
socialista utopico, un cattolico e un ingegnere realizzando quella convergen-
za di elementi sociali, religiosi e tecnocratici che si ritroveranno nel corso del-
lo sviluppo del corporativismo in alcune sue formulazioni. Cfr. P.M. PILBEAM,
Saint-Simonians in Nineteenth-Century France. From Free Love to Algeria,
Palgrave Macmillan, London, 2014.
27
Concentrarsi sul corporativismo di marca cattolica risulta estremamente in-
teressante per cogliere come elementi di tale teoria sono ritrovabili in tutta
Europa seguendo proprio i percorsi del cattolicesimo sociale. Cfr. L. CERASI, Il
corporativismo nomade. Giuseppe Toniolo tra medievalismo, laburismo cat-
tolico e riforma dello Stato, in Humanitas, vol. LXIX, n. 1, gennaio-febbraio
2014, pp. 82-103; A. MURAT, La Tour du Pin en son temps, Via Romana, Ver-
sailles, 2008; G. DE ROSA (a cura di), I tempi della Rerum Novarum, Rubbet-
tino, Soveria Mannelli, 2003; J.P. CORRIN, Catholic Intellectuals and the Chal-
lenge of Democracy, University of Notre Dame Press, 2002; P. MISNER, Social
Catholicism in Europe: from the onset of industrialization to the First World
Elementi corporativi, quindi, sono riscontrabili in diverse ten-
denze politiche, culturali e filosofiche, che trovano il loro punto
di incontro nella critica agli elementi fondativi dello Stato libera-
le ottocentesco, del quale ne cavalcano la crisi in cui esso precipi-
120
ta alla fine del XIX secolo, e nella rivalutazione dei corpi inter-
medi della societ quali organi necessari per la buona gestione
della medesima. Come afferma Alessio Gagliardi, la questione
del corporativismo [] si raccorda direttamente al problema cen-
trale della politica moderna: il problema di come conciliare una
pluralit di interessi presenti nella societ con la costruzione
dellunit del comando dello Stato28. La crisi del monismo stata-
le portava a compimento quel dibattito che analizzava e tentava
di cercare la soluzione alla endemica contrapposizione tra Stato
centrale e interessi socio-economici organizzati presenti
allinterno di esso.
Su tali presupposti storiografici si basano gli studi sul corpora-
tivismo prodotti nellultimo ventennio, i quali hanno ampliato la
discussione dal punto di vista geografico, cronologico e tematico,
tracciando le metamorfosi del pensiero corporativo in diversi
campi del sapere e in diversi paesi, europei e non europei. La le-
zione tratta dagli studi degli anni Settanta e Ottanta, a nostro av-
viso, sembra essere quella della scoperta della molteplicit intrin-
seca al corporativismo. Persino il corporativismo dei regimi fasci-
sti, che in teoria dovrebbe risultare tendente alluniformit, si
scopre invece essere formato da impostazioni e proposte anche
molto diverse tra loro, che rispecchiano, tra laltro, la grande va-
riet delle componenti ideologiche che contribuirono a formare
lideologia fascista.
Proprio sullidea di molteplicit interna si concentrano i pi
recenti contributi sul tema del corporativismo, sottolineando,
come afferma Giampasquale Santomassimo, che si deve avere il

War, Crossroad, New York, 1991; P. PECORARI (a cura di), Ketteler e Toniolo.
Tipologie del movimento cattolico in Europa, Citt Nuova, Roma, 1977; C.
VALLAURI, Le radici del corporativismo, Bulzoni, Roma, 1971.
28
A. GAGLIARDI, Il corporativismo fascista, cit., p. IX.
coraggio di prendere il fenomeno sul serio29 al fine di disvelare
la nube propagandistica, anchessa tra laltro importante, per in-
dagarne le reali elaborazioni teoriche. Di tali impostazioni d
conto il recente e importante volume di Alessio Gagliardi, che
121
fornisce unagile sintesi di una materia complessa analizzando le
diverse dimensioni ideologiche e culturali delle varie forme di
corporativismo, da quella di Rocco a quella di Ugo Spirito, pas-
sando per Bottai e gli ex sindacalisti rivoluzionari30. Parallela-
mente agli sviluppi ideologico-politici vi stato, in Italia e
allestero, un dibattito giuridico molto vivace sollecitato proprio
dallincedere e dallo sviluppo dellesperimento corporativo, che
ha dato vita, come perfettamente descritto da Irene Stolzi, ad una
profonda riflessione tra gli scienziati del diritto che tentavano,
attraverso il corporativismo, di scardinare unimpostazione clas-
sica della scienza giuridica, ripensando il ruolo e i contenuti della
31
disciplina .
Ma la ricerca interna ai fascismi ha avuto il suo corrispettivo
in studi che hanno posto il corporativismo in una assai proficua,
e per molti aspetti ancora inesplorata, prospettiva transnazionale,
che tenta di analizzare i percorsi delle teorie corporative inse-
guendone le varie declinazioni che si andavano a realizzare in
luoghi e tempi diversi. Le aree di ricerca pi battute sono state,
fino ad ora, quelle dei regimi fascisti, con studi sullItalia, sul

29
G. SANTOMASSIMO, La terza via fascista: il mito del corporativismo, Carocci,
Roma, 2006, p. 12.
30
Cfr. A. GAGLIARDI, Il corporativismo fascista, cit. Sulla molteplicit interna
al fascismo si segnala anche il seguente importante volume su quella che sta-
ta definita la sinistra fascista: G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un
progetto mancato, il Mulino, Bologna, 2001. Un indizio del successo del corpo-
rativismo in Italia si pu riscontrare nel dato che il fondatore della Cgil, Ri-
naldo Rigola, ebbe uninfatuazione corporativa durante gli anni 30. Cfr. P.
MATTERA, Rinaldo Rigola. Una biografia intellettuale, Ediesse, Roma, 2011; G.
B. FURIOZZI, Il Partito del lavoro. Un progetto laburista nellItalia giolittiana,
Ed. Nuova Era, Ellera Umbra, 1997.
31
Cfr. I. STOLZI, Lordine corporativo, cit. Su questo tema si veda anche il vo-
lume, ricavato dagli atti di un convegno sul tema organizzato a Berlino nel
2002, A. MAZZACANE, A. SOMMA, M. STOLLEIS (a cura di), Korporativismus in
den Sdeuropischen Diktaturen, cit.
Portogallo e sulla Francia di Vichy, che rappresentano i luoghi
naturali di fioritura per progetti e idee corporative. Non impos-
sibile, per, pensare di ampliare ancor di pi il raggio dazione e,
ricollegandosi agli studi degli anni Settanta e Ottanta ricordati in
122
precedenza, aprire lanalisi distaccandola dallideologia e dai re-
gimi fascisti, come dimostrano interessanti studi sullAmerica
Latina e sullarea francofona32.
Rifiutando lidentificazione integrale del pensiero corporativo
con lideologia fascista, alcuni studi hanno tentato di riposiziona-
re il tema in uno spazio geografico pi ampio, non solo analiz-
zando le influenze del corporativismo fascista allestero che
com noto ebbe molta importanza soprattutto negli anni Tren-
ta33 ma sostenendo che tendenze e proposte corporative fiori-
scono in tutta Europa e non solo, mimetizzandosi a volte sotto
nomi ed etichette diverse, ma condividendo unidea di societ
organica, coesa, anti-individualista e inter-classista, basata sulle
associazioni di interessi privati, su dei corpi intermedi tra Stato e
societ che, come in et medievale, dovevano costituire la strut-
tura cardine dellintera gestione politica, economica e sociale.
Rientrano cos, in un discorso corporativo, le correnti del medie-
valismo e del gildismo inglese34, nonch le diverse versioni di un

32
Cfr. M. PASETTI (a cura di), Progetti corporativi, cit.; A. COSTA PINTO, F.C.
PALOMANES (a cura di), O Corporativismo em Portugus, Imprensa da Cincias
Sociais, Lisbona, 2008; D. MUSLIEDAK (a cura di), Les expriences corporatives
dans laire latine, Peter Lang, Berna, 2010; O. DARD (a cura di), Le corporati-
sme dans laire francophone au XXme sicle, Peter Lang, Berna, 2011.
33
Cfr. G. PARLATO, Il convegno italo-francese di studi corporativi, Fondazione
Ugo Spirito, Roma, 1990; M. PALLA, Fascismo e Stato corporativo. Uninchiesta
della diplomazia britannica, Franco Angeli, Milano, 1991; M. VAUDAGNA, Cor-
porativismo e New Deal: integrazione e conflitto sociale negli Stati Uniti 1933-
1941, Rosenberg & Seller, Torino, 1981.
34
I richiami ad una societ fondata sulle gilde, il corrispettivo nord-europeo
delle corporazioni medievali darea mediterranea, sono presenti nel vocabola-
rio politico inglese a partire dagli inizi del XX secolo, raggiungendo il proprio
apice con il pensiero delleconomista e politologo G. D. H. Cole negli anni a
cavallo della Prima guerra mondiale. Un richiamo, per, ad una felice e agri-
cola Inghilterra medievale costante in molti pensatori sociali inglesi, che eb-
bero larga influenze sulla teoria su menzionata, come, ad esempio, John Ru-
skin e William Morris, sicuramente i pi influenti in questo senso. Cfr. M.
rinnovamento del capitalismo proposte specialmente a partire
dallinizio degli anni Trenta per tentare di risolvere la crisi eco-
nomica in corso35, ed infine, di nuovo, un mondo di provenienza
socialista ma non marxista, come ad esempio il planismo belga36
123
o il sindacalismo rivoluzionario francese e italiano che, com no-
to, incentrando sempre pi il proprio discorso economico
sullalleanza inter-classista di tutti i produttori si allontanava da
unimpostazione di classe per avvicinarsi sempre pi a tematiche
corporative37.

STEARS, Progressives, Pluralists, and the Problem of the State, Oxford Univer-
sity Press, Oxford, 2002; F. MATTHEWS, The Ladder of Becoming: A.R Orage
and A.J. Penty and the Origins of Guild Socialism, in D. E. MARTIN, D. RUBEN-
STEIN (a cura di), Ideology and the Labour Movement, Croom Held, London,
1979, pp. 147-166; E.P. THOMPSON, William Morris. Romantic to Revolutionary,
Merlin Press, London, 1977; A.W. WRIGHT, G. D. H. Cole and Socialist Democ-
racy, Clarendon Press, Oxford, 1971; R. WILLIAMS, Cultura e rivoluzione indus-
triale. Inghilterra 1780-1950, Einaudi, Torino, 1968.
35
Cfr. S. MAIER, Alla ricerca della stabilit, il Mulino, Bologna, 2003; D. RI-
TSCHEL, The Politics of Planning. The Debate on Economic Planning in Britain
in the 1930s, Clarendon Press, Oxford, 1997; L.P. CARPENTER, Corporatism in
Britain, 1930-45, in Journal of Contemporary History, vol. 11, n. 1, gennaio
1976, pp. 3-25. Si veda, sulla complementariet tra corporativismo e taylori-
smo, sulle loro somiglianze e compenetrazioni, il giudizio di Antonio Gramsci
in A. GAGLIARDI, Il problema del corporativismo nel dibattito europeo e nei
Quaderni, in F. GIASI (a cura di), Gramsci nel suo tempo, Carocci, Roma, 2008,
pp. 631-656. Persino Keynes non fu immune ad una certa fascinazione corpo-
rativa, esplicitata nel famoso saggio del 1926 La fine del laissez-faire, nel
quale egli afferma: Io credo che in molti casi la dimensione ideale dellunit
organizzativa e di controllo stia fra lindividuo e lo Stato moderno. Avanzo
quindi lipotesi che il progresso consista nello sviluppo e nel riconoscimento di
organismi semiautonomi allinterno dello Stato: organismi il cui criterio
dazione, nel loro ambito specifico, sia esclusivamente il bene pubblico, come
da loro inteso, e dalle cui decisioni siano esclusi motivi di interesse privato,
bench possa risultare necessario lasciare un certo spazio agli interessi specifi-
ci di particolari gruppi, classi o professioni. J. M. KEYNES, La fine del laissez-
faire, in ID., Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano, 2011, p. 241.
36
Cfr. A. AGOSTI (a cura di), Esperienze e problemi del movimento socialista
fra le due guerre mondiali, Quaderni della Fondazione Feltrinelli, n. 34,
Franco Angeli, Milano, 1987.
37
Si pensi ai percorsi politici di personaggi come Sergio Panunzio, Agostino
Lanzillo e Hubert Lagardelle in Francia.
Seguendo, quindi, gli spunti forniti dalla pi recente letteratu-
ra sul tema, sembra pi proficuo raffigurare il tema dei corpora-
tivismi europei di destra e di sinistra, conservatori e progressi-
sti, fascisti e non fascisti come una policentrica e asimmetrica
124
famiglia di somiglianze corporative, unideologia-network, un
arcipelago composito fatto di scambi reciproci, declinazioni par-
ticolari, variazioni sul tema e creazioni autonome. Si potrebbe,
quindi, ripartire dalla felice intuizione di Gianfranco Miglio, il
quale, gi nel 1976, affermava che a proposito del fenomeno
corporativo sta forse capitando qualcosa di simile a quanto acca-
deva ai cartografi durante lepoca delle scoperte geografiche: pas-
sava del tempo prima che ci si accorgesse che brevi tratti di costa
esplorati, e lontanissimi fra loro, facevano parte di una sola
grande isola, o addirittura di un continente unitario38, sugge-
rendo cos la necessit di connettere e incrociare esperienze teo-
riche anche apparentemente molto distanti fra loro al fine di po-
ter ottenere una pi completa visione dinsieme del fenomeno
corporativo.

Abstract

Corporatism has had, in recent decades, altering historiographic for-


tunes. Interpreted, in the years following the Second World War, as a
mere socio-economic appendage of Fascist ideology, the concept has
been further explored especially since in the seventies, revealing a great
variety of versions and interpretations, as well as an individual, ex-
tremely rich, deep and multifaceted story. The main aim of this article
is to present a summary of the most important currents of historical
and political studies on corporatism, focusing on those works that have
tried to broaden the analysis beyond the boundaries of Fascist ideology,
placing the concept in an international perspective and studying con-
nections, cultural exchanges, similarities and differences between the
various corporate projects developed in Europe and the world between
the nineteenth and twentieth centuries.

38
G. MIGLIO, Le trasformazioni dellattuale sistema economico, in Rivista ita-
liana di scienza politica, n. 6, 1976, pp. 234-235.
125

Il romanzo storico del III millennio:


se il revisionismo diventa epica
dellequivicinanza

di SIMONETTA BARTOLINI

Orientarsi nellormai sterminato territorio del romanzo storico


del nuovo secolo, seguendo i criteri di una mappatura omnicom-
prensiva, si rivela unimpresa titanica, basti, per farsi unidea del
fenomeno, un dato empirico ricavato dal sito di vendite on line
1
della Mondadori che, alla data del 20 ottobre 2014, offriva 2703
prodotti in Narrativa di ambientazione storica riguardanti un
arco di pubblicazione fra il 2011 e il 2014.
Secondo la rilevazione dellIstat, negli anni 2011 e 2012 in Ita-
lia sono state pubblicate quasi 59mila opere, circa 5000 in meno
rispetto al biennio precedente, un indice al ribasso che fa pensare
ad un ulteriore possibile diminuzione del numero di pubblicazio-
ni nel biennio 2013-2014, complice anche la crisi economica che
ha drasticamente imposto una contrazione di consumi in tutti i
settori, per leditoria si parla di un 20% in meno di fatturato2. In

1
www.inmondadori.it/libri/italiani/Narrativa-d-ambientazione-
storica/sgnG04Z/113/sgn=G04Z.
2
http://www.istat.it/it/archivio/lettura.
questo panorama quei 2703 prodotti di narrativa storica risultano
essere un numero importante3 se si considera che ci stiamo rife-
rendo ad un genere nellambito di una categoria di prodotto edito-
riale, il romanzo, che a sua volta rappresenta una frazione
126
dellintera produzione. Si aggiunga a ci che la cifra, indicata dal
sito di vendita online della Mondadori, rappresenta a sua volta so-
lo un segmento del prodotto editoriale indicato.
Questi numeri, pur nella loro parzialit, ci dicono quanto il
romanzo di ambientazione storica goda di buona fortuna pres-
so il pubblico e di conseguenza quanti scrittori si cimentino in un
genere che assicura una discreta ricezione da parte del mercato
4
editoriale, ma anche quanto sia difficile individuare uno statuto
che aiuti ad orientarsi in questa ipertrofica produzione letteraria
che, come ben indica la definizione del sito mondadoriano, rac-
coglie indiscriminatamente tutto ci che pu essere classificato
come romanzo di ambientazione storica.
Allinterno di questa macrocategoria le distinzioni in sottoge-
neri sarebbero numerose: dal giallo alla biografia romanzata, dal-
la rievocazione di avvenimenti storici finalizzata ad una riscrittu-
ra epica del passato, alla ricostruzione romanzata di fatti che nel-
la storiografia hanno subito un trattamento contestato.
Allinterno di ciascuno di essi si dovrebbero evidenziare ulteriori
distinzioni secondo una classificazione cronologica esemplata
sulla suddivisione per grandi periodi storici: la storia egizia (il cui
modello il celeberrimo Sinuhe legiziano del finlandese Mika

3
Seppure si tratti di una produzione considerevole, vale la pena segnalare che,
nello stesso sito, la categoria Gialli Noir Avventura, alla stessa data, regi-
strava unofferta pari a 17.117 titoli, dei quali 688 alla voce Gialli storici, fra
questi ultimi vengono compresi fra i titoli pi recenti: G. DE CATALDO,
NellOmbra e nella Luce, Einaudi, Torino, 2014; A. CAMILLERI, La scomparsa di
Pat, Mondadori, Milano, 2000, 2014; C. LUCARELLI, Albergo Italia, Einaudi,
Torino, 2014; i romanzi di M. di Giovanni che al giallo storico ha dedicato
gran parte della sua produzione romanzesca.
4
Sullo statuto del romanzo storico e la sua evoluzione dall800 a oggi si veda
lo studio di M. GANERI, Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle ori-
gini al postmoderno, Pietro Manni, Lecce, 1999.
Waltari5 i cui fasti sono stati replicati ultimamente dai romanzi
di Christian Jacq dedicati in gran parte alla figura del faraone
Ramses II), la storia antica greca e romana, Valerio Massimo
Manfredi in questo ambito uno degli scrittori pi ammirati e
127
seguiti insieme a Guido Cervo. Il medioevo viene rappresentato
esemplarmente dal capolavoro di Umberto Eco, Il nome della Ro-
sa (1980), che apre una nuova stagione del romanzo storico di-
ventando rapidamente un modello di grande fortuna6, cui far
seguito la serie di romanzi ambientati nel medioevo inglese di
Ken Follet, I pilastri della terra (1989), e Mondo senza fine, (2007),
entrambi trasposti in miniserie per la televisione. Per quanto ri-
guarda il rinascimento, il dopoguerra ha visto in Maria Bellonci,
con Lucrezia Borgia (1939), e Anna Banti, con Artemisia, le ini-
ziatrici del genere biografico che Melania Mazzucco ha rinverdi-
to recentemente con La lunga attesa dellangelo (2008) dedicato
alla vita di Tintoretto e al suo rapporto con la figlia Marietta.
Avvicinandosi allet moderna vale la pena di segnalare per il
600 La chimera di Sebastiano Vassalli (1990), controcanto con-
temporaneo laico ai Promessi sposi manzoniani, e, dello stesso
autore, Marco e Mattio (1992) ambientato alla fine del 700.
Per quanto riguarda lambientazione ottocentesca il panorama
si fa pi ricco di titoli esemplari dal Gattopardo (1958) di To-
masi di Lampedusa a Una storia romantica (2007) di Antonio
7
Scurati che esplodono per numero e variet con il 900 e so-

5
Pubblicato per la prima volta nel 1945, nel 1954 ne fu fatta una trasposizione
cinematografica di grande successo che trasform il romanzo in un long seller.
6
Anche per il romanzo di Eco la grande fortuna di pubblico (oltre che di criti-
ca) viene testimoniata dalla trasposizione cinematografica (1986) del testo con
un interprete di eccezione come Sean Connery nei panni di Guglielmo da Ba-
skerville, per la regia di Jean-Jacques Annaud.
7
Fra i vari titoli abbiamo scelto di citare esemplarmente quelli di Tomasi di
Lampedusa e di Scurati non solo perch si costituiscono in qualche modo co-
me poli cronologici entro i quali si collocano romanzi di ambientazione otto-
centesca, ma anche perch, per motivi diversi, al loro apparire hanno sollecita-
to un non trascurabile dibattito proprio sul genere da essi rappresentato. Si
ricorder la celebre bocciatura che Vittorini fece del libro di Tomasi di Lam-
pedusa inviatogli dallautore, per la collana i Gettoni di Einaudi fondata
sulla inattualit del romanzo storico negli anni del secondo dopoguerra che, a
prattutto in riferimento al ventennio fascista e alla II guerra
mondiale .
In questo panorama, variegato e complesso, ci limiteremo a
cercare di fare il punto su un particolare segmento del romanzo
128
storico ambientato nella prima met del 9008, che potremo indi-

suo giudizio, ne impediva la riproposizione in quanto genere ritenuto una


laudatio temporis acti, sostanzialmente improntato al nostalgismo e ad una
visione pessimistica contrastante con lidea (teorizzata nel Politecnico) di
una letteratura neorealista, finalizzata a rappresentare una spinta ottimistica
di ricostruzione del soggetto-uomo e della societ (a proposito della sfortuna
critica del Gattopardo si vedano le pagine di F. ORLANDO, Lintimit e la sto-
ria, Einaudi, Torino, 1998). Il romanzo di Scurati invece, al suo apparire, suscit
una riflessione sulla vitalit del romanzo storico nel XXI secolo, sul concetto di po-
stmodernit, e soprattutto provoc, da parte di G. GENNA, a sua volta autore di Hitler
(Mondadori, Milano, 2008), un tentativo di risistematizzazione del genere nella
contemporaneit assai prossima allipotesi di uno statuto (si veda in particolare F.
CORDELLI, Il nuovo romanzo di Scurati. Troppo perfetto per essere bello, in Corriere
della sera, 30 settembre 2007 e G. GENNA, Considerazioni sul romanzo storico ita-
liano di oggi: Una storia romantica di Antonio Scurati, 10 ottobre 2007, in
http://www.carmillaonline.com/2007/10/10/considerazioni-sul-romanzo-sto/).
8
La produzione di romanzi storici nel 900 concentrata nella seconda met
del secolo, infatti nella prima met il genere conosce una crisi significativa,
innanzi tutto per il protagonismo delle avanguardie cui fa da controcanto reat-
tivo il rinnovato classicismo formale negli anni 20, in entrambi i casi viene
messo in discussione il romanzo considerato genere dellartificio manipolatore
dellespressione dellautenticit dellesistenza, la letteratura preferisce percor-
rere la strada della prosa darte (V. CARDARELLI, Prologo in tre parti, in La
Ronda, n1, aprile 1919, M. BIONDI, La Ronda e il rondismo, in Storia lette-
raria dItalia, Vol. XI/ 2, Il Novecento, tomo II, a cura di G. LUTI, Vallardi Pic-
cinin Nuova Libraria, Padova, 1993, pp. 657-698); in secondo luogo la straordi-
naria fioritura di memorialistica di guerra negli anni 18-40 (nelle sue varie
declinazioni diari, taccuini, ricordi compresa quella, almeno in parte, ro-
manzesca per quanto di rilevanza numerica assai lieve) conseguente al primo
conflitto mondiale, adempie de facto anche alla residua voglia di narrativa sto-
rica tradizionale saturando lofferta in tal senso (E. BRICCHETTO, La grande
guerra degli intellettuali, in Atlante della letteratura italiana, a cura di S.
LUZZATO e G. PEDULL, III volume, Einaudi, Torino, 2012, pp. 477-489. La Bric-
chetto pubblica un saggio assai discutibile quanto a credibilit scientifica per i
numerosi errori ivi contenuti: individua in Papini e Prezzolini i fondatori di La-
cerba che invece venne fondata notoriamente da Papini e Soffici, questultimo
viene continuamente confuso con Prezzolini e a malapena citato fra gli intellet-
tuali presenti al fronte, i suoi fondamentali libri di memorialistica non compaio-
care come romanzo revisionista mutuando lanaloga discussa
definizione attribuita ad una parte della storiografia contempo-
ranea. In attesa di una mappatura completa dei titoli ascrivibili a
questa porzione di produzione editoriale caratterizzata
129
dallessere in controtendenza rispetto alla magna pars delle pub-
blicazioni di narrativa di argomento storico riguardante la prima
parte del XIX secolo pi o meno fino al 48, che solo recentemen-
te ha conosciuto una diffusione e conseguente interesse da parte
della critica e dunque del grande pubblico ci limiteremo a foca-
lizzare lattenzione su alcuni dei titoli pi significativi in tal sen-
so pubblicati nellultimo decennio9. Lo statuto del romanzo stori-
co ha subito nel tempo significative modificazioni, sia nel senso di
una progressiva stabilizzazione normativa introdotta dalle Postille
al Nome della Rosa di Umberto Eco, cui corrisponde anche una si-
gnificativa fioritura di manuali di scrittura creativa specificata-
mente riguardanti il romanzo storico, sia in quello della definizio-
ne di una poetica ad esso legata nonch al valore allegorico della
materia messa in scena10.
Nelle Postille al Nome della Rosa Eco, illustrando al lettore il pro-
cesso creativo dal quale era nato il romanzo, non solo scioglieva alcu-
ne legittime curiosit come il significato del titolo, ma dichiarava la
necessit un metodo di rigore storico nellallestimento narrativo (co-

no nellelenco del libri pubblicati nel 1919, ciononostante confidiamo che i dati
riguardanti la bibliografia bellica siano esatti, secondo la tabella riportata fra il
1919 e il 1940 furono pubblicati 1488 libri dedicati alla prima guerra mondiale).
9
Una ricognizione completa di tale produzione narrativa dovr tenere conto
della consistente pubblicazione di moltissimi titoli, sicuramente la gran parte,
presso case editrici piccole, se non addirittura piccolissime, magari a diffusio-
ne locale o afferenti idealmente allarea politica di una destra ex missina spes-
so nate espressamente per dare accoglienza editoriale a chi non ne avrebbe
trovata presso i gruppi maggiori per motivi di opportunit politica. Di conse-
guenza anche la selezione dei romanzi in base loro qualit letteraria avvenu-
ta senza alcun dichiarato criterio estetico (per le esigue se non inesistenti forze
redazionali di tali case editrici spesso risultato del generoso sforzo economico
di qualche imprenditore o appassionato) con il risultato che fra questa enorme
messe di titoli semisconosciuti possono trovarsi ottimi esempi di romanzo sto-
rico a tuttoggi confusi con onesta paccottiglia di genere.
10
Cfr. M. GANERI, Il romanzo storico in Italia, cit., p.101.
struire un mondo il pi possibile ammobiliato11), nonch di coeren-
za, coesione e credibilit di azione, ambiente e Storia, per cui, per e-
sempio, avendo lautore deciso che uno degli assassinati sarebbe stato
trovato in un orcio pieno di nel sangue di maiale, la vicenda avrebbe
130
dovuto svolgersi in una stagione e in un luogo coerenti sia con la ma-
cellazione suina nel medioevo, ma anche con la presenza in Italia di
uno dei personaggi storici che appaiono nel romanzo, Michele da Ce-
sena; di conseguenza labbazia veniva posta in una localit di monta-
gna dove a novembre, essendoci gi la neve, e dunque abbastanza
freddo, era credibile la macellazione del maiale12.
Eco, stabilendo nelle Postille le leggi alle quali rispondeva il
complesso meccanismo del romanzo storico, formalizzava i punti
fondamentali del patto narrativo che deve regolare lopera mista
di storia e di invenzione, legando le origini manzoniane con la
postmodernit, e di fatto superando la interpretazione lukcsiana
caratterizzata da un determinismo storico di impronta marxista,
per giungere a impostare uno statuto di genere che, senza in-
chiodare il romanzo ad una normativa stringente, ne stabilisse i
confini necessari e le garanzie contrattuali nel rapporto con il
lettore (Occorre crearsi delle costrizioni, per potere inventare
liberamente13), e autorizzava il romanzo storico ad accogliere

11
U. ECO, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 19801, le Postille, dopo essere
state pubblicate sulla rivista Alfabeta, dal 1983 furono poste in appendice alle
successive ristampe del romanzo. Qui si cita dalledizione 1993, p. 513.
12
Vale la pena notare che quanto scrive Umberto Eco nelle Postille a proposito
della necessit e modalit di ammobiliare il mondo fantastico di un romanzo
(Si pu costruire un mondo del tutto irreale, in cui gli asini volano e le princi-
pesse vengono risuscitate da un bacio: ma occorre che quel mondo puramente
irrealistico, esista secondo strutture definite in partenza [...]; p. 514) era gi sta-
to materia di analisi e definizione circa quarantanni prima da J.R.R. TOLKIEN nel
saggio Sulle fiabe (nato come conferenza tenuta l8 marzo 1939 allUniversit di
St. Andrews in memoria di Andrew Lang, fu pubblicato nel volume Essays: Pre-
sented to Charles Williams,1947, quindi in Leaf and Niggle,1964, prima edizione
italiana in Albero e foglia, Rusconi, Milano, 1976). Si noti la somiglianza che
suggerisce un debito teorico di Eco nei confronti di Tolkien: [...] linventore di
fiabe si rivela un felice subcreatore, il quale costruisce un Mondo Secondario
in cui la mente del fruitore pu entrare. Allinterno di tale mondo, ci che egli
riferisce vero, nel senso che concorda con le leggi che vi vigono (pp. 47-48).
13
U. ECO, Postille a Il nome della rosa, cit. p. 514.
nei propri domini altri generi (per esempio il poliziesco come nel
Nome della Rosa), aprendo la strada a quella plurigenericit po-
stmoderna che non di rado ha, a sua volta, lasciato il campo a
contaminazioni di consumo14 nelle quali il romanzo storico ha
131
perso la propria perspicuit per trasformarsi in un generico rac-
conto di ambientazione storica, pi prossimo a quello che Eco de-
finisce romanzo di cappa e spada15. Circa 25 anni dopo le Po-
stille di Eco il dibattito si riaccende con la pubblicazione del ro-
manzo di Antonio Scurati Una storia romantica che tenta la stra-
da della riproposizione di una declinazione rinnovata del modello
rappresentato da Il Nome della rosa. Ovvero un romanzo am-
bientato nell800, riccamente tessuto di intertestualit, dichiara-
tamente costruito con intensi richiami colti, e una scopertissima
metafora (i moti del 1848 per la contestazione del 1968, e il ritor-
no allordine borghese che se segue) che ha fatto parlare Cordelli
di artificio virtuoso, ma non innovativo16. Viceversa Giuseppe
Genna, ha riconosciuto al romanzo di Scurati la presenza di
quellallegoria metastorica (il 48 del XVIII secolo non rappresen-
ta solo il 68 del secolo successivo, ma tutti i periodi caratterizzati
da uno scontro fra potere e cittadino17) che gli fa compiere un
passo avanti rispetto alla semplice presenza metaforica (la trasla-
zione di significato avviene parzialmente, solo in alcuni momenti
e non diffusa n intride di s tutto il testo) del romanzo di
18
Eco . La discussione teorica intorno alla vitalit del romanzo

14
Utilizziamo questo termine per comodit, ma con la consapevolezza che il
rapporto fra letteratura cosiddetta alta e letteratura di consumo non ri-
sponde pi ai canoni validi fino a qualche decennio fa, i contorni delle due ca-
tegorie sono ormai sfumati, i limiti di separazione sbiaditi e non di rado si as-
siste a contaminazioni virtuose o per contro di natura corruttiva.
15
Ibid., p. 532.
16
F. CORDELLI, Troppo perfetto per essere bello, cit.
17
G. GENNA, Una storia romantica di Antonio Scurati, cit.
18
A proposito dellinterpretazione di Genna occorre rilevare che contraddice
senza peraltro porsi il problema di una chiarificazione in tal senso, pur conti-
nuando a chiamare in causa Eco e il suo romanzo la definizione di romanzo
storico fatta dellautore del Nome della rosa, estendendola a quello che Eco defi-
nisce invece romanzo di cappa e spada caratterizzato, a differenza di quello
storico propriamente detto, dalla libert di definire la perspicuit psicologica dei
storico del XXI secolo, come si vede, non prende in considerazio-
ne quello che abbiamo definito romanzo storico revisionista; ci
non significa che alcuni dei romanzi che andremo a segnalare
non abbiamo suscitato ampie polemiche, ma, come si vedr, esse
132
sono state di natura ideologica e non teorica. Poich il focus che
ci siamo prefissi centrato su un romanzo storico caratterizzato da
una disposizione metodologica (appunto, revisionista) verso la sto-
ria, si dovr tener conto di declinazioni diverse, ovvero di quella
plurigenericit che cataloga varie forme di romanzo.
Diffusosi, per ovvi motivi, dal secondo dopoguerra in poi, il
romanzo storico di taglio autobiografico (primo ad apparire nel
panorama narrativo di questo genere) riguardava le vicende di chi
aveva partecipato alla Repubblica Sociale, ovvero militato dalla
cosiddetta parte sbagliata19, e in seguito, a qualche anno di di-
stanza, di chi aveva subito la prigionia in Africa, in India o in A-
merica nei campi di concentramento delle forze alleate, sceglien-
dosi il ruolo di non-cooperatore che aveva comportato un prolun-
garsi della detenzione e condizioni di vita pi dure rispetto a quel-
le di chi aveva scelto di cooperare (il pi delle volte si trattava di
accettare il lavoro allinterno dei campi di detenzione). Questi ro-
manzi, mescolavano finzione narrativa e memoria di fatti vissuti
in prima persona, mettevano in scena quella spiegazione delle scel-
te compiute, la loro necessit, motivazione storica ideologica e sen-
timentale, che la condizione di sconfitti nellItalia, fortemente se-
gnata dalle divisioni conseguenti alla guerra civile fra fascisti e
partigiani, non aveva permesso ai loro autori di esprimere, per ri-
stabilire una verit equivocata e proporre un riscatto della memo-
ria. Il primo era stato il famoso romanzo di Giose Rimanelli, Tiro
al piccione (Mondadori, 1953), dal quale nel 61 fu tratto
lomonimo film che vide lesordio alla regia di Giuliano Montal-
20
do , seguito negli anni successivi da A cercar la bella morte di

personaggi senza ancorarla al tempo storico nel quale essi agiscono come avviene
per esempio nei Tre moschettieri di Dumas (U. ECO, Postille, cit., p. 532).
19
La definizione da attribuire proprio a Giose Rimanelli; cfr. S. MARTELLI,
Introduzione a Tiro al piccione, Einaudi, Torino, 1991.
20
Assai discussa e discutibile la trasposizione cinematografica del romanzo di
Rimanelli fatta da Montalto; a questo proposito una voce critica quella di
Carlo Mazzantini (Mondadori, 1986) e da La memoria bruciata, di
Mario Castellacci, (Mondadori, 1998) solo per citare alcuni dei pi
noti21. Non manc per neppure il romanzo storico vero e proprio
come quello di Enrico de Boccard, Donne e mitra, pubblicato nel
133
1950, forse il primo in assoluto a trattare la guerra civile fra repub-
blichini e partigiani dal punto di vista degli sconfitti, in un roman-
zo che non avesse il taglio autobiografico, e pi tardi, nel 1947 il
romanzo di Giuseppe Berto, Il cielo rosso, (scritto nel campo di
concentramento di Hereford in Texas), seguito da Guerra in cami-
cia nera (1955) un diario romanzato che mostra unulteriore decli-
nazione di questa narrativa memoriale.
Se questi testi rappresentano le pi significative voci del 900,
gli anni 2000 si inaugurano con un genere che miscela il saggio
con il romanzo. un giornalista con la passione della storia,
Giampaolo Pansa, a proporre questo genere nel quale la finzione
affidata alla cornice che funge da pretesto per la narrazione di
quanto lautore ha ricavato da fonti storiche. Ne I figli dellaquila
(Sperling & Kupfer, 2002, il primo della serie poi definita ver-
22
ghianamente Ciclo dei vinti ) il narratore dichiara di racco-
gliere la storia da una testimone diretta: la moglie ormai vedova
di uno dei ragazzi che scelsero con determinata consapevolezza
la parte sbagliata e combatterono per la Repubblica di Sal. Da

Antonio Vitti per la Rivista di studi italiani reperibile online


www.rivistadistudiitaliani.com/filecounter2.php?id=104.
21
Sulla memorialistica della Repubblica sociale segnaliamo: S. BARTOLINI, La
memoria rimossa, voci e atmosfere della Rsi, (Macerata, 2003) poi in S. BARTO-
LINI, L. GANAPINI, A. GIANNULI, G. PARLATO, A.G. RICCI, M. TARCHI, Le fonti
per la storia della RSI, a cura di A.G. Ricci, Marsilio, Venezia, 2005, pp. 53-66;
G. IANNACCONE, Larmata degli adolescenti che pag il conto della storia. Stili
e caratteri della letteratura di Sal, in Atti del convegno Guerre et violence
dans la littrature contemporaine italienne, Univers. Stendhal-Grenoble, in
Cahiers dtudes italiennes, n. 3/ 2005, pp. 193-207; M. BERNARDI GUARDI,
Fischia il vento urla la bufera perch portiamo la camicia nera (storie della
parte sbagliata), Pagine editore, Roma, 2007.
22
Seguiranno: Il sangue dei vinti, Sperling & Kupfer, Milano, 2003; Sconosciu-
to 1945, ivi, 2005; I tre inverni della paura, Milano Rizzoli, 2008; I vinti non
dimenticano, ivi, 2010; La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti, ivi, 2012 e
il dittico Bella ciao (controstoria della Resistenza), ivi, 2014; Eia Eia Alal
(controstoria del fascismo), ivi, 2014.
una lunga serie di incontri con lormai anziana signora nasce la
narrazione nella quale lautorevolezza della fonte documentaria
viene attribuita alla voce della interlocutrice-testimone che funge
da garante della verit in quanto protagonista (solo parzialmente
134
diretta, ma appunto con funzione di testimone) di quanto viene
narrato. Pansa introduce il testo narrativo con un Prologo nel
quale spiega che lartificio della vecchia signora, che lo convoca
per raccontargli la vera storia dei figli dellaquila avendo matu-
rato fiducia in lui leggendo i suoi libri precedenti, gli era stato
suggerito dalle insistenze di una lettrice che lo aveva esortato a
raccontare come era finito il fascismo dopo averne scritto della
nascita (La notte dei fuochi, 2001), oltre a ci e ai ringraziamenti
che alludono alle lunghe ricerche documentarie, il libro privo di
note e di bibliografia, quindi di esplicitazione delle fonti, pur non
recando sotto il titolo la definizione romanzo che sancirebbe il
tipo di patto con il lettore, formalmente a tutti gli effetti un ro-
manzo, per quanto in odore di illegittimit23. E in effetti,
alluscita del libro, Pansa si guadagna la qualifica di romanziere
piuttosto che quella di storico, anche se quel che lo esclude dalla
categoria della saggistica solo la rinuncia ad ogni citazione di
fonte bibliografica e documentaria (la cornice narrativa unica-
mente un pretesto formale) che peraltro molti degli addetti ai la-
vori hanno individuato nei libri che, nei primi anni 60, Giorgio
Pisan aveva scritto raccogliendo una gran quantit di materiale,
24
ma rimanendo in una sostanziale semiclandestinit . Con il sag-
gio storico romanzato di Pansa quella parte di storia fino ad ora
considerata materia incandescente, da trattare con molte cautele,
diventa oggetto di narrazioni pi impregiudicate, libere (almeno
in parte) dal condizionamento ideologico, complice anche lormai
avvenuto cambio generazionale. Sulla strada di Pansa sicuramen-
te si pone il recente romanzo di Dario Fertilio, Lultima notte dei

23
Questo tipo di struttura si ripete pi o meno sempre uguale in tutti i libri di
Pansa del cosiddetto ciclo dei vinti.
24
Si vedano fra gli altri G. PISAN, Il vero volto della guerra civile, documenta-
rio fotografico, Rusconi, Milano, 1961; Sangue chiama sangue, Pidola, Milano,
1962; La generazione che non si arresa, ivi, 1964, Storia della guerra civile in
Italia, 1943-45, FPE, Milano, 1965-1966.
fratelli Cervi (Marsilio, 2012) che reca come sottotitolo Un giallo
nel triangolo della morte, anche in questo caso la materia, ultra
incandescente, della tragica uccisione dei sette fratelli comunisti
entrati nel mito di una ideologia che ha piano piano riscritto la
135
vera storia, pu essere trattata solo romanzescamente; il romanzo
diventa cos una sorta di maschera dietro la quale nascondere la
ricerca della verit senza scatenare lostracismo (che significa si-
lenzio e oblio) dellaccademia o comunque degli storici di profes-
sione, uno scudo di formale ambiguit che ha il pregio di rag-
giungere un pubblico di pi vasto di quanto non potrebbe fare un
saggio scientifico, e di lasciare allo scrittore libert nel muoversi
fra verit ancora contestate25.Con il raggiungimento della matu-
rit di quella generazione nata ben oltre la fine del fascismo,
sembra possibile avviare una rilettura restaurativa della verit di
eventi storici passati troppo frettolosamente in giudicato secondo
i criteri di un sentimento politico-ideologico che aveva caratteriz-
zato limmediato secondo dopoguerra, trascinandosi a lungo nel-
la storia dItalia, o riscoprire quanto trattenuto nelle pieghe della
storia ufficiale; in questa ottica si colloca la biografia romanzata
di personaggi rimasti nelloblio della damnatio memoriae, come
quella scritta da Paolo Buchignani, Il santo maledetto, (Meridiano
Zero, 2014), dedicata a Marcello Gallian. Figura fascinosa di sol-
dato postumo della prima guerra mondiale, dannunziano a Fiu-
me, mussoliniano fedele e rivoluzionario ad oltranza anche
quando tutto era finito, scrittore con lavanguardia nel sangue,

25
Va segnalato che il romanzo di Fertilio, a differenza di quelli di Pansa, ac-
compagnato da due saggi storici e da una ricca bibliografia, esso, pur avendo
avuto una buona accoglienza presso la stampa quotidiana, scaten violente
polemiche quando ricevette il Premio Acqui Storia per il romanzo storico, en-
trambi (premio e romanzo) furono considerati un oltraggio alla memoria dei
partigiani per le falsit che secondo lAnpi di Prato e poi di Alessandria sa-
rebbero contenute nel libro di Fertilio (M. CERVI, Fratelli Cervi, il mito oscura
la storia, in il Giornale, 11 settembre 2012; P. GHIGGINI, Fratelli Cervi, il libro
eretico di Dario Fertilio vince Acqui Storia. E lAnpi perde le staffe, Rep,
http://www.reggioreport.it/2013/10/fratelli-cervi-vince-il-libro-eretico/, 26 ot-
tobre 2014; C. CAVALLERI, Fratelli Cervi se la fiction dice pi della storia, Av-
venire, 3 ottobre 2012; Lultima notte dei fratelli cervi di Dario Fertilio, il
Foglio, 20 dicembre 2012).
rivive sotto mentite spoglie (si chiama Matteo Galati mantenen-
do le iniziali del personaggio ispiratore) nelle pagine del romanzo
di Buchignani, che sceglie di dare al protagonista un nome di
fantasia, avvertendo per il lettore in esergo al libro, che Questo
136
romanzo liberamente tratto dalla vita e dallopera di Marcello
Gallian.
Interessante e di grande successo presso il pubblico il romanzo
cripto biografico di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini (Mon-
dadori, 2010, premio Strega e premio Acqui) che si propone come
grande epopea epocale. La storia dei coloni veneti portati a boni-
ficare le paludi pontine dal fascismo fondatore di citt, del quale
diventano solidi sostenitori, rappresenta in assoluto e nella pro-
duzione dellautore (noto per il romanzo autobiografico Il fascio-
comunista, Mondadori, 2003) il modello narrativo dove il post-
moderno si sposa con il post-ideologico, dando vita ad un ro-
manzo storico dove il revisionismo non ha funzione di riscatto di
una verit negata, non lo strumento per sanare il torto del si-
lenzio, il risarcimento delloblio, ma piuttosto il tentativo di ritro-
vare quello spirito epico di equidistanza, o forse meglio di equi-
vicinanza, alle due parti contrapposte di cui si narra, che, come
scrive Simone Weil, fa s che Omero, nellIliade sia acheo quando
descrive Achille e i suoi compagni e troiano quando racconta di
Ettore e del suo popolo26. Simile, almeno negli intenti, lepopea
generazionale narrata da Pietro Neglie, Ma la divisa di un altro
colore, (Fazi, 2014) e da Gabriele Marconi, Fino alla tua bellezza
(Castelvecchi, 2013) nonch quella famigliare di Paolo Mastrolilli,
Adelfi, (Rizzoli, 2007); in tutti e tre i romanzi la narrazione segue
il filo di vite che, iniziate nella solidariet (fraterna nel romanzo
di Mastrolilli dove i protagonisti sono due fratelli, e cameratesca
in quelli di Marconi e Neglie che seguono le vite di vecchi com-
militoni della prima guerra mondiale), proseguono dividendosi
sui fronti contrapposti di fascismo e antifascismo che hanno se-
gnato il 900, a partire (nei romanzi di Neglie e Marconi) dalla
guerra civile spagnola, per finire a quella italiana. La vera novit
di questi romanzi sta, come in quello di Pennacchi, nel tentativo di

26
S. WEIL, La rivelazione greca, Adelphi, Milano, 2014, p. 58.
usare nel romanzo quella medietas storico-ideologica che restitui-
sca il valore autentico al revisionismo sottraendolo alle facili po-
lemiche di parte. In questo senso il romanzo storico assolve magni-
ficamente al compito, anzi forse, proprio in virt dellantica quali-
137
t epica che si va a recuperare, lunico strumento per compiere
quellopera di pedagogia storica popolare che ne caratterizz parte
delle origini romantiche27.
Per concludere occorre ricordare la contro-epopea dei romanzi
di Pietrangelo Buttafuoco, in particolare il primo romanzo Le uo-
va del drago (Mondadori, 2006) che al suo apparire scaten in
egual misura, e in parte anche con eguale partigianeria, adesione
convinta e ripudio assoluto. Buttafuoco compie unoperazione
che ha qualche somiglianza con la contro-epopea degli indiani
dAmerica dopo lepica wasp della conquista delle terre di fron-
tiera. Ma nel caso di Buttafuoco la materia, e soprattutto il sog-
getto della contro-epica, quel complesso coagulo di nazismo,
fascismo, islamismo che trov nello scontro con mafia alleata con
gli americani in una Sicilia mai diventata moderna, un terreno
dai contorni ancora fumosi, densi di misteri, leggende, dove
lantico si fonde continuamente con il moderno, provocando cor-
tocircuiti storici imprevedibili e suggestivi.
La reazione al romanzo non poteva che essere violentissima sia
in difesa che in attacco28, ma quel che veramente interessante del
sistema narrativo del romanzo storico di Buttafuoco, proseguito in
parte nel successivo Il lupo e la luna, (Bompiani, 2011), il tentativo
di richiamare i modi, seppure nella declinazione e contaminazione
della contemporaneit, del canto tradizionale, il cuntu che coralit
popolare e si richiama nei modi alla storia di antiche gesta evocanti

27
M. GANERI, Il romanzo storico in Italia, cit., p. 110.
28
Ci asteniamo dal dare conto dei vari interventi sul libro di Buttafuoco poi-
ch si tratta per lo pi di polemiche che poco hanno a che vedere con la quali-
t letteraria del romanzo; vale solo la pena di segnalare lacrimonia violenta,
reazione al limite dellisterismo, che mal si attaglia ad un critico come Andrea
Cortellessa che sul Caff illustrato del gennaio-febbraio 2006 si lancia in una
energica stroncatura che ha pi il sapore di un attacco personale piuttosto che
di una meditata lettura impregiudicata, per quanto legittimamente negativa,
di un romanzo.
le avventure del paladino Orlando iconizzate sui carretti siciliani da
tempo immemorabile, e trasferita nel teatro dei pupi. Cultura antica
sopravvissuta nelle pieghe di una storia dallevoluzione indubbia-
mente anomala rispetto al resto dItalia, che utilizza il dialetto come
138
strumento di conservazione forzosa, come gergo culturale esclusivo
e in parte escludente (come ogni gergo), per mantenere il contatto
fra letteratura alta e tradizione popolare. Buttafuoco allestisce un
romanzo difficile, che forse non pu diventare modello di genere,
che si pu amare o esserne respinti, ma che indubitabilmente rap-
presenta un esperimento intellettuale e letterario non trascurabile,
ma forse neppure ripetibile.
E in effetti lultimo romanzo storico dello scrittore catanese
cambia modello, e con I cinque funerali della signora Goering,
(Mondadori 2014) entra sul territorio della metafora i cui soggetti
non sono i personaggi o le loro vicende, ma il culto dei corpi e in
parte dei corpi defunti. Ma questa veramente unaltra Storia!

Abstract

In the varied and complex scenery of the historical novel, a particular


focus is currently being placed of a particular section, the one set in the
first half of the twentieth century which we could identify with the re-
visionist novel, borrowing the controversial definition given by part of
the current historiography. Pending a complete mapping of the titles
ascribed to these publications characterized by the fact of standing op-
posed to the greater part of the publications of historical fiction con-
cerning the first part of the nineteenth century more or less up to 1848,
which only recently has met a diffusion and subsequent interest from
critics and then the general public. We will only focus on some of the
most significant titles published in the last decade.
139

Il salvataggio dellesercito serbo


nel 1915

di MILA MIHAJLOVIC

Introduzione

Il 23 luglio 1914, alle 18.00, a Belgrado, il diplomatico austroun-


garico barone Giesl von Gieslingen, personalmente consegn la
nota dellultimatum nelle mani di Laza Pacu, ministro delle fi-
nanze serbo e incaricato dal governo a trattare con lAustria. Solo
cinque giorni dopo, la dichiarazione della guerra.
LItalia allora faceva parte della Triplice Alleanza, con
lAustria-Ungheria e la Germania. Il trattato della Triplice era
stato rinnovato per la quinta volta con la firma a Vienna del 5 di-
cembre 1912 e sarebbe scaduto nel 1920, con una opzione fino
all8 giugno 1926. La parte pi importante del Trattato era costi-
tuita dallarticolo 7. Esso imponeva il mantenimento dello statu
quo nei Balcani, nelle coste adriatiche e nel Mar Egeo; se ci per
fosse diventato impossibile se cio, anche in conseguenza
dellazione di una terza Potenza, lAustria-Ungheria o lItalia si
fossero trovati nella necessit di modificarlo con unoccupazione
temporanea o permanente questa occupazione non avrebbe avu-
to luogo che dopo un preventivo accordo fra le due Potenze, fon-
dato sul principio del compenso reciproco. Pertanto, a qualunque
vantaggio territoriale o daltra natura che ciascuna di esse otte-
nesse in pi dello statu quo, sarebbe dovuto corrispondere analo-
go compenso alla potenza alleata. LItalia non nascondeva quindi
140
una certa insofferenza per la politica espansionistica dellAustria-
Ungheria, soprattutto in seguito allannessione austroungarica
della Bosnia Erzegovina, per la quale ci fu un acceso dibattito nel
Parlamento di Roma durato per ben quattro giorni, dal 1 al 4 di-
cembre 1908.

LItalia e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale

Un solo giorno dopo lultimatum dellAustria-Ungheria alla Ser-


bia, dunque, il 24 luglio, Antonino Patern Castello, marchese di
San Giuliano e ministro degli Esteri italiano, prese visione dei
particolari dellultimatum e protest con lambasciatore tedesco a
Roma, dichiarando che se fosse scoppiata la guerra austro-serba,
sarebbe derivata da un premeditato atto aggressivo di Vienna.
Contemporaneamente, scrisse al Re, dicendo, tra laltro: Siamo
entrambi (con Salandra) convinti che sia difficilissimo, forse im-
possibile, certo pericoloso trascinare lItalia a prender parte ad una
eventuale guerra provocata dallAustria e fatta nellinteresse
dellAustria. Lo stesso 23 luglio 1914, San Giuliano, scrivendo da
Fiuggi dove si trovava per le sue non buone condizioni di salute, al
Segretario Generale agli Esteri, De Martino, faceva presente che
Salvo suo diverso avviso parmi che Avarna e Bollati dovrebbero
subito dichiarare che se lAustria far occupazione territoriale an-
che temporanea in Serbia senza il nostro previo consenso, agir in

Atti Parlamentari, Legislatura XXII, discussioni. Roma, Camera dei Deputati,
libro 32, anno 1908.

G. FERRAIOLI, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di An-
tonino di San Giuliano (1852-1914), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007, pp.
815-816.

ASMAE (Archivio Storico Ministero Affari Esteri), DDI (Documenti Diploma-
tici Italiani), Serie IV, 1908-1914, vol. XII, doc. 470, di San Giuliano al Re, 24
luglio 1914.
violazione dellarticolo settimo e noi perci facciamo tutte le no-
stre riserve.
Lo stesso 28 luglio, subito dopo la dichiarazione di guerra au-
stroungarica alla Serbia, la Russia mobilit le forze armate su tut-
141
to il confine occidentale; questo preoccup la Germania che il 1
agosto dichiar guerra alla Russia e due giorni dopo alla Francia.
Il 5 agosto la Gran Bretagna dichiarava guerra alla Germania. A
fine mese, anche il Giappone dichiarava guerra alla Germania.
Richiamandosi allarticolo 4 del Trattato, nel Consiglio dei
ministri italiano del 2 agosto fu decisa la neutralit, comunicata
ufficialmente la mattina successiva.
La posizione italiana non sorprese lAustria. Due settimane
prima, il 15 luglio, lex ambasciatore austriaco a Roma, ora Se-
gretario di Stato agli Esteri, Jagow, aveva scritto a Tschirsky,
lambasciatore tedesco a Vienna: Lopinione pubblica italiana si
mostrata sin qui tanto serbofila quanto in generale austrofo-
ba. Non v per me dubbio di sorta che in un conflitto austro-serbo
essa si schierer per la Serbia. Il 3 agosto, lambasciatore austria-
co a Roma, Merey, informava il ministro Berchtold: Nel colloquio
che ebbi ieri, il ministro degli Esteri espose nuovamente i motivi
che costringevano lItalia alla neutralit. Osserv specialmente che
gli enormi sacrifici ed i pericoli di una guerra non avevano per es-
sa alcuna proporzione con gli eventuali vantaggi.
A quellannuncio, lAustria reput molto probabile un attacco
italiano ed il Comando Supremo diede precise direttive al gene-
rale Rohr, comandante delle forze del fronte sud-est: Da molti
indizi si deduce che lItalia si prepara a realizzare le sue aspira-
zioni sulle nostre province meridionali, tanto pi che tutto il no-
stro esercito campale impegnato su altri fronti (...) Quindi, non
si pu precisare per ora, quando e come potranno avere luogo le
prime azioni di guerra; tuttavia, deve essere in noi il fermo pro-


ASMAE, DDI, Serie IV, 1908-1914, vol. XII, doc. 449, di San Giuliano a De
Martino, 24 luglio 1914.

L. ALBERTINI, Le origini della guerra del 1914, Bocca, Milano, 1942, vol. II, pp.
374-375 e 421.

Ibidem.
posito di opporsi a questa azione nel modo pi risoluto.
La neutralit in Italia ottenne inizialmente consenso unanime,
ma dietro le quinte si preparava un altro scenario. Lambasciatore
a Mosca, Andrea Carlotti, rifer a San Giuliano che Sazonoff, mini-
142
stro russo degli esteri, gli aveva confidato un accordo di massima
gi raggiunto fra Parigi, Londra e Pietrogrado, per assicurare
allItalia le condizioni necessarie per la sua supremazia
nellAdriatico nonch il Trentino. Ci dava spazio agli avversari
della neutralit, cui primo sostenitore era Sidney Sonnino, nuovo
ministro degli Esteri, insieme al premier Antonio Salandra. Son-
nino vedeva un intervento militare dellItalia ancora prima che la
situazione nei Balcani fosse compromessa.
Nel frattempo, la situazione politica era in continua evoluzio-
ne. LItalia e la Romania firmarono, il 23 settembre 1914, un ac-
cordo per abbandonare la neutralit contemporaneamente, a cui
avrebbe fatto seguito un nuovo accordo per aiuto militare reci-
proco in caso di aggressione austriaca. A fine ottobre, la Turchia
si schier con la Germania contro lIntesa, mentre, poco dopo, il
Portogallo si affianc allIntesa.

Il Patto di Londra. LItalia entra in guerra

Nonostante avesse, il 2 agosto 1914, scelto la neutralit podero-


samente armata e pronta ad ogni eventualit come dichiar
Salandra alla Camera lItalia non restava inattiva. Fin
dallautunno del 1914, il ministro degli Esteri Sonnino inizi le
trattative con entrambe le parti per cercare di ottenere i maggiori
compensi possibili e il 26 aprile 1915, concluse le trattative segre-
te con lIntesa mediante la firma del Patto di Londra, con il quale
lItalia si impegnava a entrare in guerra entro un mese. Inoltre,
laccordo prevedeva che la Gran Bretagna avrebbe agevolato


Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Lesercito italiano nella Grande
Guerra 1915-1916, Roma, 1983, vol. II, pp. 207 ss.

ASMAE, DDI, Serie V, vol. I, doc. 133, Carlotti a di San Giuliano, 1029/50,
dell8 agosto 1914.
lintervento italiano con un prestito di almeno 50 milioni di ster-
line, mentre allItalia venivano promesse la frontiera del Brenne-
ro, Gorizia e Gradisca, lIstria fino al Quarnaro, la Dalmazia cen-
trale, Valona ed il Dodecaneso, nonch Adalia in Asia Minore.
143
Il 3 maggio successivo fu dichiarato esaurito il trattato della
Triplice Alleanza, fu avviata la mobilitazione e il 23 maggio fu
dichiarata guerra allAustria-Ungheria. Nel frattempo, crollava il
fronte russo dei Carpazi, sfondato dalloffensiva del generale te-
desco von Mackensen; la Serbia si fermava, dopo aver liberato
Belgrado dagli austroungarici, lasciando al nemico tutto il tempo
per ritirarsi e riorganizzarsi, avanzando, per, con le proprie
truppe verso Durazzo, mentre i Montenegrini ne approfittavano
puntando su Scutari; il corpo franco-britannico era nettamente in
difficolt contro i Turchi nella penisola di Gallipoli.
La dichiarazione di guerra italiana aveva sorpreso gli amba-
sciatori italiani a Vienna e a Berlino:

Nella mia lunga carriera scriveva Giuseppe Avarna, ambasciatore


italiano a Vienna al suo collega ed amico Riccardo Bollati, ambasciato-
re italiano a Berlino non ho mai visto condurre la nostra politica e-
stera in modo cos bestiale e cos poco leale come stata condotta dac-
ch Sonnino alla Consulta. () Quanto allidea di denunziare il Trat-
tato allAustria-Ungheria senza denunziarlo alla Germania, essa una
di quelle finesse puerili e sciocche che possono venire solo in menti co-
s ristrette come quelle dei nostri attuali governanti.

Tuttavia non era sorpresa pi di tanto lAustria. Appena pochi


giorni prima, il 20 maggio 1915, il Comando Supremo aveva in-
viato direttive gi operative allArciduca Eugenio, comandante
delle forze nei Balcani e poi del fronte sud-ovest: In caso di con-
flitto con lItalia, Vostra Altezza, tenendo riunite le forze, avr il
compito di assestare un colpo decisivo al nemico che avanzer. A
questo scopo, Vostra Altezza riunir al pi presto nella zona ad


ASMAE, DDI, Serie V, 1914 1918, vol. III, doc. 682, Lettera di Avarna a Bolla-
ti del 13 maggio 1915. Cfr. anche C. AVARNA DI GUALTIERI (a cura di), Il car-
teggio Avarna Bollati. Luglio 1914 maggio 1915, Quaderni della Rivista
Storica Italiana, Esi, Napoli 1953, p. 92.
occidente di Agram le truppe a disposizione. Inoltre, mentre
Sonnino dava informazione alle ambasciate italiane della dichiara-
zioni di guerra allAustria-Ungheria, lo stesso giorno 24 maggio,
Francesco Giuseppe indirizz un proclama ai suoi popoli: Il Re
144
dItalia ci ha dichiarato la guerra: un tradimento quale la storia
non conosce fu compiuto dal Re dItalia contro i suoi due alleati.
Il piano strategico dellesercito italiano, sotto il comando del
Capo di Stato Maggiore generale Luigi Cadorna, prevedeva di in-
traprendere unazione offensiva/difensiva per contenere gli au-
stro-ungarici nel loro saliente incentrato sulla citt di Trento e
sullAdige, concentrando invece lo sforzo offensivo verso est, do-
ve gli italiani potevano contare a loro volta su un saliente che si
proiettava verso lAustria-Ungheria, poco a ovest del fiume Ison-
zo. Lobiettivo era la rapida conquista di Gorizia e lavanzamento
verso Vienna passando per Trieste. Sul fronte italiano furono
ammassati circa mezzo milione di uomini e in un primo tempo
gli italiani erano in posizione nettamente migliore dal nemico.

Le trattative diplomatiche e le sconfitte alleate nel 1915

LItalia nel preparare la sua offensiva contro lAustria vedeva


lurgenza e la necessit di unazione serba contro lAustria-
Ungheria che servisse sopratutto da rallentamento allo sposta-
mento in atto delle truppe austriache dal fronte serbo su quello
italiano. Sottopose alla Serbia unoffensiva da sferrarsi in direzione
di Lubiana in concomitanza dellattacco italiano sullIsonzo: piano
accettato ma mai attuato, preoccupandosi, invece, la Serbia pi del
confine e del territorio albanese, territorio al quale lItalia era strate-
gicamente interessata. Loccupazione serba dei territori albanesi
non si arrestava e a Nicola Squitti, ambasciatore italiano in Ser-
bia, che aveva chiesto spiegazioni a Belgrado, venne data la se-
guente spiegazione:


Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Lesercito italiano nella Grande Guer-
ra cit., vol. II bis, doc. 28, pp. 245 ss. Agram il nome antico di Zagabria.
Jovanovic mi ha detto stamane che truppe serbe hanno occupato Elbas-
san tanto nellinseguimento del nemico, quanto per impedire massacri
minacciati dagli albanesi musulmani sulla numerosa popolazione cri-
stiana di quella citt. Egli ha soggiunto letteralmente che il Governo
serbo non ha intenzione di occupare Durazzo, ma ha dovuto estendere 145
la sua azione militare sul territorio albanese per non lasciare il confine
aperto come stato finora alle incursioni delle bande, organizzate e di-
rette da austriaci e turchi... Pai mi ha confermato occupazione serba
di Piscopia e di Podgradez, aggiungendo che prossimamente sar occu-
pata anche Elbassan, ma senza intenzione di arrivare a Durazzo.

Elbassan non era in una posizione strategica tale da potere


giustificare unoccupazione serba e ci aliment i sospetti italia-
ni; oltre tutto, le incursioni elleniche in territorio albanese, segna-
late dal console dItalia a Monastir, creavano ulteriori preoccupa-
zioni: un avanzamento delle incursioni, sia serbe che greche, a-
vrebbe potuto sollecitare lintervento della Bulgaria, che aveva da
tempo mire espansionistiche sui territori della Macedonia serba
ed era desiderosa di vendicare le sconfitte subite ad opera della
Serbia durante la seconda guerra balcanica. In quella fase del
conflitto, la Bulgaria era ancora indecisa tra i due schieramenti e
lItalia, con gli alleati, si prodigava in trattative diplomatiche per
attirarla dalla parte dellIntesa.
Lambasciatore Imperiali, riferendosi alle dichiarazioni di Pa-
i ed ai colloqui con i Bulgari, intervenne da Londra spiegando
al ministro alcune sue perplessit e suggerendo che converrebbe
allo stato attuale informare francamente Belgrado dellentit de-
gli acquisti territoriali riservati alla Serbia in base al nostro ac-
cordo (...) subordinato allo scrupoloso rispetto da parte dei serbi
delle limitazioni da noi imposte in Albania e Dalmazia. Tale
suggerimento, per, non trov affatto daccordo Sonnino, il quale
chiar categoricamente: Non ritengo opportuno informare Go-
verno serbo dei particolari degli accordi di Londra. Non siamo
disposti a riconoscere acquisti che la Serbia faccia in Albania


ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. IV, doc. 125, Squitti a Sonnino, 690/23,
dell8 giugno 1915.

ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. IV, doc. 133, Imperiali a Sonnino,
703/230, del 7 giugno 1915.
senza il nostro consenso.
Latteggiamento italiano sulle clausole del Patto di Londra ir-
rit i serbi: il governo di Nish, avendo saputo quanto bastava per
alimentare sospetti, fece girare voci che lesercito serbo non ave-
146
va alcuna intenzione di preparare la promessa offensiva in con-
comitanza con lazione italiana sullIsonzo. La situazione sub ul-
teriori complicazioni quando lambasciatore Imperiali rifer al
ministro Sonnino anche alcune voci di origini francese o russa su
un possibile accordo per garantire alla Serbia, in cambio della
Macedonia, la Croazia. Lambasciatore Carlotti da Mosca con-
ferm lidea francese, nata per placare la rivendicazione serba sul
Banato rumeno. Alla qual cosa era fortemente contraria lItalia,
soprattutto per la nascita, in tal modo, di un forte stato serbo vi-
cino al suo futuro stato dalmata.
Dalla frenetica corrispondenza diplomatica si evince il corso
confuso delle trattative: la Serbia sarebbe stata anche disposta a
cedere la Macedonia, ma in compenso chiedeva la Croazia e il
Banato; ma, contemporaneamente, era evidente che la Romania
sarebbe entrata in guerra con lIntesa a condizione che ottenesse
il Banato. E gli alleati sapevano bene che la Serbia temeva parti-
colarmente che il Banato potesse finire ad altri.
Alcuni rappresentanti diplomatici dellIntesa a Sofia, tra cui
lambasciatore italiano, accentuavano i dubbi e le perplessit del-
la Bulgaria ad entrare in guerra; essa, unicamente interessata al
possesso effettivo della Macedonia serba cosa, peraltro, non
gradita alla Russia , continuava ad ammassare, contro gli am-
monimenti dellIntesa, numerose unit militari lungo la frontiera
con la Serbia. A questo punto, i diplomatici si misero daccordo
che alla Bulgaria non venisse pi data alcuna risposta alle sue ri-
chieste, insistendo, invece sulle condizioni alle quali si sarebbe
dovuta attenere in caso di entrata in guerra. Allaccordo fece se-
guito una sollecitazione del 15 luglio, nella quale si chiariva cate-
goricamente alla Bulgaria che gli alleati si attendevano una ces-


ASMAE, DDI, Serie V 1914 - 1918, vol. IV, doc. 269, Sonnino a Imperiali, 547,
dell8 giugno 1915.
sazione di ogni attivit militare lungo le frontiere serbe.
Il ministro Sonnino ricevette, il 29 luglio 1915, dallambasciatore
inglese a Roma una nuova comunicazione da presentare alla Serbia,
nella quale si chiedeva ogni possibile cooperazione con la Bulgaria 147
e il 31 luglio anche il testo della nuova nota da presentare alla Bul-
garia. In questa comunicazione, presentata a Sofia il 4 agosto da
Inghilterra, Francia, Russia e Italia, si formulava, da parte del
Capo del Governo inglese Edward Grey, la promessa della ces-
sione alla Bulgaria della parte incontestata della Macedonia
serba, gi indicata nella carta annessa al trattato serbo-bulgaro
del 1912, a condizione che la Bulgaria, entro il 20 settembre, di-
chiarasse guerra alla Turchia; gli alleati, pertanto, erano pronti
a garantire la cessione della Serbia alla Bulgaria di tanta parte
della Macedonia quanta era compresa entro la zona incontesta-
ta dal trattato serbo-bulgaro del 1912, non appena avranno por-
tato la guerra a una conclusione vittoriosa.
Si accelerarono i tempi. Gli alleati invitavano sia la Serbia che
la Bulgaria a rispondere al pi presto, ma la risposta che ricevet-
tero non era affatto quella desiderata: il 6 settembre 1915, a Pless,
Germania, Austria-Ungheria e Bulgaria firmarono una conven-
zione militare, alla quale ader anche la Turchia, con limpegno
ad agire contro la Serbia entro trenta giorni.


ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 430, Sonnino agli ambasciatori,
719, del 15 luglio 1915.

Idem, doc. 492

Idem, doc. 710.
La seconda invasione austro-ungarica della Serbia

Dopo gli insuccessi del 1914, le forze austroungariche sul fronte


serbo erano ora passate sotto il comando del generale tedesco
148
August von Mackensen e l11 armata tedesca fu ritirata dal fron-
te orientale per appoggiare il nuovo tentativo di invasione della
Serbia. La situazione in Serbia, gi oltremodo dissanguata dalle
due guerre balcaniche (1912-1913) e dalla prima invasione au-
stroungarica, era aggravata anche dal fatto che gli Alleati non
riuscivano a fornirle adeguati aiuti. Nel tentativo di stabilire un
collegamento diretto, il 5 ottobre 1915 truppe anglo-francesi
sbarcarono a Salonicco, in Grecia, paese formalmente neutrale
ma lacerato dai dissidi tra la fazione pro-Germania del re Co-
stantino I e quella pro-Alleati del primo ministro Eleftherios Ve-
nizelos. Il giorno successivo, generale von Mackensen diede av-
vio allinvasione e le forze austro-tedesche attraversarono fiume
Sava, attaccando la Serbia da nord e da ovest, mentre l11 otto-
bre, le truppe bulgare lattaccarono da est.
Il 19 ottobre, con linizio delle ostilit della Bulgaria contro la
Serbia, il Governo italiano, dordine di S.M. il Re, dichiara esi-
stere stato di guerra fra lItalia e Bulgaria. Lo stesso giorno,
Sonnino proponeva a Cadorna una iniziativa balcanica:
linvocato nostro concorso nella lotta balcanica, sollecitato dai
nostri alleati, pu prendere varie forme: una di queste quella
che si riferisce ad una progettata spedizione attraverso Albania
Intanto, Essad pasci Toptani, primo ministro dAlbania, aveva
consegnato al console italiano a Durazzo una relazione con lo
stato delle vie di comunicazioni nelleventualit di uno sbarco al-
leato in Albania: Strade: in tre settimane avranno finite strade
carrozzabili di Durazzo - Cavaia - Pechini - Elbassan e Durazzo -
Tirana - Elbassan... Alleati se si valessero dellAlbania come se-
conda strada di congiungimento con la Serbia, Essad, cessata la
neutralit albanese, offrirebbe il concorso di 50.000 uomini arma-
ti con fucili Mauser sotto il suo comando.


Idem, doc. 3664 del 19 ottobre1915, doc. 933.

ASMAE, DDI, Serie V, 1914-1918, vol. V, Sonnino a Cadorna, telegramma
Sonnino il 20 ottobre invi un telegramma a Salandra infor-
mandolo che c da aspettarsi che una buona parte dei serbi, non
potendo pi resistere ai nemici in Serbia, si rifugino nellAlbania.
Se si dovesse fare qualcosa, bisognerebbe fare presto.
149
Lesercito serbo, attaccato e quasi circondato da preponderanti
forze austro-tedesche e bulgare, venne progressivamente respinto
verso sud-ovest. Vennero bloccate le truppe francesi che risaliva-
no da Salonicco verso nord per congiungersi con i serbi e, scon-
fitte, furono obbligate alla ritirata. Le truppe serbe cercarono di
arrestare lavanzata degli Imperi centrali ma, nelle furiose batta-
glie tra 10 novembre e il 4 dicembre, dovettero soccombere.
Allinizio del dicembre 1915, i bulgari avevano occupato tutto il
territorio della Macedonia serba, ma non osarono varcare il con-
fine greco. Pochi giorni dopo, lesercito serbo inizi la ritirata da
Prizren, in Kossovo, e, attraverso il Montenegro, cerc di farsi
strada nel nord dellAlbania verso il mare. Il 25 novembre fu uf-
ficialmente confermata lentrata dei serbi nel territorio albanese
e con ci inizi la pi grande ritirata che la storia europea ricor-
di, la grandiosa epopea delleroismo, del sacrificio e della volont
di un intero popolo che commosse il mondo.

Lesercito serbo in Albania

In un momento di tensione, di grande confusione e di forti pres-


sioni, il premier Salandra espose a Cadorna la necessit di un e-
same congiunto da parte del Governo e del Comando Supremo
dellintera vicenda, specialmente dopo le rinnovate richieste del
ministro Sonnino per linvio di truppe italiane; il primo ministro
propose almeno linvio di un piccolo corpo militare, peraltro gi
pronto nei porti pugliesi. In quella prospettiva, gi il 30 ottobre
una compagnia da sbarco della marina italiana aveva preventi-
vamente occupato lo scoglio di Saseno, allimboccatura della rada
di Valona. Il generale Cadorna si era sempre opposto, anche o-

1260/18 del 19 ottobre 1915; idem, Relazione di Essad pasci Toptani, doc. 934.

ASMAE, DDI, Serie V, 1914-1918, vol. IV, Sonnino a Salandra, doc. 945.
stinatamente, alla spedizione a Valona, convinto che le condi-
zioni topografiche della zona non fossero affatto favorevoli per
una efficace copertura con poche forze. Ma, il 13 e il 14 novem-
bre, mentre giungevano le prime informazioni sugli insuccessi
150
del Corpo di Spedizione alleato in Macedonia contro i bulgari
lungo la valle del Vardar, si incontrarono a Roma Cadorna, Sa-
landra, Sonnino, Zuppeli e Carcano e prevalsero le ragioni di
Sonnino, come scrisse Cadorna: Dovetti a mia volta accondi-
scendere allinvio di sufficienti forze in Albania, al precipuo
scopo di proteggere la ritirata dei serbi, ma mi opposi allo in-
tendimento del ministro degli Esteri di fare occupare con 21
battaglioni il triangolo Valona-Durazzo-Elbassan. Cadorna
riteneva che dallAlbania non si poteva esercitare nessuna influ-
enza sulla guerra europea, per cui le forze col inviate sarebbero
state perdute ed isolate. Egli continuava a ripetere che il valore
dellAlbania consisteva, per lItalia, nel possesso della Baia di Va-
lona, la quale, insieme con il porto di Brindisi, permetteva di do-
minare ogni accesso allAdriatico.
Cos, il 3 dicembre 1915, con la ritirata su Salonicco
dellesercito del generale Sarrail e con i bulgari oramai a Mona-
stir, sbarc a Valona il primo scaglione del Corpo speciale italia-
no in Albania; esso avrebbe dovuto presidiare Valona e Durazzo
e quella minima parte di territorio indispensabile per la loro dife-
sa, offrire il maggiore rifornimento possibile alle truppe serbe e
procedere allo sgombero dei prigionieri austriaci di cui i serbi a-
vessero voluto disfarsi. Gi il giorno dopo, la Brigata Savona,
messa sotto il comando del generale Guerrini, inizi il trasferi-
mento da Valona a Durazzo. Per motivi di sicurezza, il coman-
dante del Corpo di Spedizione, generale Emilio Bertotti, ordin il
trasferimento per via terra e non per mare.
In quei giorni, i primi gruppi dellEsercito serbo iniziavano ad
arrivare a Scutari. La situazione nella citt era notevolmente con-
fusa e lambasciatore serbo a Roma rinnovava la richiesta per
linvio di truppe italiane. Il 18 novembre, Nikola Pai aveva di


L. CADORNA, Altre pagine sulla Grande Guerra, Mondadori, Milano, 1925,
pp. 114-115.
nuovo incaricato il ministro serbo a Roma di esprimere a Sonni-
no la necessit di un aiuto militare italiano, possibilmente effet-
tuando uno sbarco a Santi Quaranta.
Il 4 dicembre si rinnov la richiesta serba, trasmessa da Squitti
151
a Sonnino, pregando di inviare in Albania almeno un solo reg-
gimento, per fermare lagitazione sobillata dagli agenti austro-
bulgari, a cui Sonnino chiariva che:

LItalia non ha assunto alcun obbligo di assicurare trasporti e sbarchi


sulla costa albanese e montenegrina. Abbiamo fatto e faremo tutto il
possibile, dipendentemente alla nostra situazione dinferiorit strategi-
ca sullAdriatico, ed alle forze che abbiamo disponibili. La Francia ha
ritirato ultimamente 12 cacciatorpediniere che aveva assunto impegno
di aggregare alla nostra flotta e, solo in seguito a nostre energiche pres-
sioni, si appresta a restituircele.

Il 6 dicembre ebbe inizio la seconda Conferenza di Chantilly


tra gli alleati. LItalia illustr le operazioni sul fronte italo-
austriaco in Albania, dopo di che si dichiar disponibile a spedire
una divisione per conservare il possesso di Valona e Durazzo e
per aiutare lesercito serbo in ritirata.
Il 10 dicembre, la Commissione mista, costituita il 23 novem-
bre a Roma e composta dagli addetti navali di Francia, Inghilter-
ra e Russia, dalladdetto militare serbo e dai rappresentanti dei
ministeri della marina e della guerra italiani, approv la proposta
italiana di accogliere lintero esercito serbo, oltre ai prigionieri e
ai profughi, a Valona. Lambasciatore italiano, nellappoggiare la
richiesta serba di un celere invio di truppe nellAlbania setten-
trionale, inform il ministero di essersi reso conto che i serbi
contavano quasi esclusivamente sullaiuto italiano per un imme-
diato e abbondante rifornimento di viveri e di mezzi e per

ASMAE, DDI, Serie V, 1914-1918, vol. IV, doc.119, Pai a Sonnino del 18 no-
vembre 1915.

ASMAE, DDI, Serie V, 1914-1918, vol. IV, doc. 171, Squitti a Sonnino del 4 di-
cembre 1915.

ASMAE, DDI, Serie V, 1914-1918, vol. IV, doc. 186, Sonnino agli ambasciatori,
1768, del 9 dicembre 1915.
larrivo di forti contingenti militari.
Il 16 dicembre la spedizione italiana in Albania era stata com-
pletata con larrivo a Valona di circa 20.000 uomini. Una decina
di giorni dopo, laddetto navale inglese e laddetto militare serbo,
152
tornati a Roma dopo una visita in Albania, riferirono che il tra-
sporto dei viveri si svolgeva in modo soddisfacente e che 60.000
soldati serbi, in buone condizioni di salute, erano stati raccolti fra
Medua e Scutari.
Gli alleati stavano concentrando a Brindisi i vettovagliamenti
che sarebbero stati trasferiti via mare in Albania con scarico a
Durazzo ed a San Giovanni di Medua. A fine novembre, sei ve-
lieri italiani, carichi di grano ed altre derrate fornite dalla Fran-
cia, destinate a soccorrere i serbi, erano stati inseguiti dai sotto-
marini austriaci che ne avevano silurati tre. Qualche giorno do-
po, un altro trasporto italiano salt in aria per effetto di una mina
nella baia di Valona causando parecchi morti. Ecco come furono
descritte le condizioni e le operazioni portuali che si svolgevano a
San Giovanni di Medua:

Dei 20 trabaccoli di cui si dispone per lo scarico dei piroscafi, due sono
ancora carichi di merce: lo scarico di questi si effettua per mezzo di
unimbarcazione che accosta ad una specie di pontile, dove i soldati
(serbi e montenegrini) portano a terra un sacco per volta. A terra si ac-
cumulano ... merci di ogni genere esposte ad ogni intemperie ed alle of-
fese dei velivoli e delle navi. Se le navi austriache avessero colpito le
botti di petrolio che erano sulla spiaggia, a questora Medua sarebbe in
fiamme. Da terra queste merci partono con carri e buoi per Scutari. Le
attuali cattive condizioni della strada immobilizzano per ore i carri, che
normalmente impiegano tre giorni e che non possono portare pi di tre
quintali... In queste condizioni, aggravate dalla mancanza di capace di-
rezione, da continui allarmi e da altre difficolt, la merce gi a Medua
pu rimanervi delle settimane.


M. MONATANARI, Italiani e Serbi in Balcania durante la Prima Guerra Mon-
diale, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Memorie Storiche Militari, Ro-
ma, 1983, pp. 207 ss.
Lopera di soccorso dellesercito italiano

Il 19 dicembre, la colonna italiana sotto il comando del generale


Guerrini raggiunse Durazzo quasi contemporaneamente ai primi
153
reparti serbi. Nella sua marcia attraverso il fiume Semeni, aveva
risalito linterminabile colonna dei prigionieri austriaci condotti
dai serbi verso Valona. Il 7 dicembre, un primo gruppo di 1.500
prigionieri stava giungendo a Durazzo. Ma, per timore di insur-
rezioni popolari contro Essad Pasci, si decise, seguendo
lorientamento delle autorit locali, di tenere sgombera Durazzo
dai prigionieri, concentrandoli prima a Kavaja e poi avviandoli
a Valona.
I serbi accorrevano in massa a Valona, sapendo che l gi si
trovava il Re Pietro. La situazione a Valona descritta nel suo di-
ario dallufficiale italiano Giuseppe Corni:

Non vha dubbio che la presenza di Re Pietro in Valona costituisca un


certo impedimento per lesecuzione degli ordini impartiti dal nostro
comando. Difficili ad essere eseguiti, per limpossibilit di imporre
norme tassative di tempo e di luogo alle colonne che giungono dogni
lato e giungono naturalmente disorganizzate; la presenza del Re diven-
ta come un centro naturale dattrazione, ci che il comando italiano in-
tende ad ogni costo evitare.

I serbi e i loro prigionieri giungevano in uno stato terribile.


Essi offrivano uno spettacolo pauroso e sulla strada rimanevano
morti e moribondi. Di questo informava il Governo il console ita-
liano di Monastir riparato a Valona, Luigi Romano Lodi F:
Sulla via di Valona si profila una massa nera. una lunga colonna di
prigionieri austriaci. Arriva lentamente, scortata dai nostri bersaglieri.
Procedono a gruppi, sorreggendosi. Non sono pi uomini, sono spettri
vaganti, dagli occhi pieni di follia e di morte. Formano gruppi strani.
Cinque e sei di essi camminano appoggiandosi ad una pertica che due,
meno sfiniti, reggono allestremit: ma di tanto in tanto, qualcuno ab-
bandona lappoggio e si lascia cadere per non rialzarsi pi. Un altro
prende il posto del caduto, appoggiandosi a quella pertica dellagonia.


G. CORNI, Riflessi e visioni della grande guerra in Albania: diario di un uffi-
ciale, Alpes, Milano, 1928, alla data del 21 dicembre 1915.
Quelli che vengono dietro si spostano per non inciampare nel caduto e
proseguono indifferenti, tentando, ma invano, di affrettare il passo per
arrivare pi presto al mare, al luogo di sosta per limbarco, che gi ve-
dono. Ma la maggior parte di essi giunta a Valona per morirvi, perch
154
nonostante ogni miglior volont, lo zelo dei soldati, laffannarsi dei
medici, le condizioni dei prigionieri sono tali da non poter bastare a
salvarli gli approvvigionamenti di cui disponiamo. La galletta, la carne
in conserva sono cibi immangiabili e indigeribili per quegli stomaci sif-
fatti dal lungo digiuno e dalle malattie. Ma dove trovare latte e brodo
per tutta questa gente? Sono sporchi oltre ogni immaginazione. Hanno
i piedi nudi, deformati, sanguinolenti. Portano in capo avanzi di fez in-
colori, pezzi di tela da sacchi; indossano pastrani laceri e nulla pi...
Sembra ormai certo che i serbi giunti o che stanno per giungere a San
Giovanni di Medua non potranno provvedere alle operazioni di imbarco
dei loro prigionieri e perci essi dovranno ripiegare su Durazzo; ma an-
che a Durazzo esistono le stesse difficolt, per cui 40.000 di essi dovranno
continuare sino a Valona la triste Via Crucis.

Si succedettero altre colonne. Di fronte a un quadro cos or-


rendo, il provvedimento, gi preso, di allestire ad Arta un campo
di isolamento si pales insufficiente. Non rimaneva che un im-
barco immediato per prevenire le epidemie: ma ci non riusc ad
evitare linsorgere del colera su alcuni piroscafi, il che, tra laltro,
provoc una minore disponibilit di navi, dovendo ognuna di es-
se essere sottoposta a disinfezione e quarantena prima del reim-
piego. Il 16 dicembre erano partiti da Valona i primi prigionieri
diretti alla stazione sanitaria dellAsinara in Sardegna. Il 27 di-
cembre erano stati evacuati circa 19.000 prigionieri. Gli ultimi
5.000 furono trasferiti nel gennaio 1916.
Ecco ora la descrizione dellEsercito serbo fatta dal testimone
Paolo Giordani:
Erano a centinaia, a migliaia, a decine di migliaia i soldati e i profughi,
i prigionieri e le donne, tuttinsieme confusi in un fantastico mondez-
zaio di cenciame brulicante dinsetti e di scheletri viventi, irrigiditi dai
crampi dello stomaco vuoto, tuttinsieme attanagliati dal morso della
sete e del digiuno, vittime dellultima battaglia, la pi aspra, combattu-
ta per cento giorni e cento notti a denti stretti contro la propria carne


ASMAE, Serie II, Personale, M 24, Luigi Romano Lodi F a Sonnino, 16 di-
cembre 1915.
dolorante di tutti i dolori, contro il pantano e la roccia, contro il colera
e la cancrena. Avevano tutti lo stesso volto di fame e di febbre, su cui
gli occhi affondavano la loro vitrea fissit come un ultimo lume e gli
angoli della bocca schiumavano il rigurgito verdastro dellerba maciul-
lata, e i pi, appena riuscivano a toccar la riva, a vedere il mare, si ac- 155
casciavano in unimmobilit cera lo spasimo pietrificato, come se quel-
la visione tanto a lungo sognata nella terribile marcia, ora stagnasse
dun tratto sotto la loro pelle incrostata e tirata sulle ossa, lultima goc-
cia di sangue.
Ci sono, per le nostre carni mortali, ferite anche pi orribili di quelle
che la mitraglia e la lama sanno aprire, come ci sono energie di resi-
stenza che vanno assai oltre la morte delle carni stesse e segnano il
ritmo della vita per giorni e giorni dopo che quelle sono state distrutte.
Uomini che, digiuni da una settimana, camminavano ancora fra sterpi
e acquitrini, arrampicandosi su giogaie impervie, strisciando per sen-
tieri petrosi, coi piedi gonfi e sanguinanti, furono raccolti dai nostri
come morti e non erano morti. Sopravviveva al corpo finito lavidit
del mare, la volont della salvezza.
Nessun campo di battaglia certamente avr mai visto torture cos orri-
bili, pene cos tremende, n possibile immaginare nulla di pi im-
mondo di pi raccapricciante che quellumanit fradicia di sudiciume,
piagata dal lungo cammino, appestata dalle malattie pi schifose, eppu-
re cos terribilmente viva in corpi di putredine... Degli eroi che nel di-
cembre del 1914 avevano ricacciate e distrutte le armate di Potjoreck,
non viveva in quei corpi che lanima, sdegnosa della vilt della resa e,
dinnanzi allo spettacolo di tante agonie, la tragedia morale di unintera
nazione che, per sfuggire alla tenaglia dellinvasore, aveva segnato il
cammino della propria salvezza, dai confini della patria al mare, di una
scia di boccheggianti e di cadaveri, sembrava rimpicciolirsi quasi a
riassumersi nella tragedia fisica di ognuno.
Tutta la Serbia agonizzava in ciascuno dei suoi figli, ma in ogni agonia
era lorgoglio di una razza di prodi i quali al giogo della straniero pre-
ferivano la morte.

Il 18 gennaio, un ufficiale italiano visit il campo militare di


raccolta di Drisit e cos annot nel suo diario:

Vado a Drisit, al campo di concentrazione delle reclute serbe...


Io non trovo parole per descrivere lo spettacolo tristissimo, angoscioso,
che offre quel mucchio di miseria e di spasimi; lorrore e il senso di pie-


STATO MAGGIORE DIFESA, Per lEsercito serbo. Una storia dimenticata, a cura
di m. Mihajlovic, s. l., s. d., (ma Roma, 2014), pp. 51.
t e nello stesso tempo di repulsione, che prende lanima, e la strazia, e
lagghiaccia, davanti a questa scena terrificante e inenarrabile. Inenar-
rabile, altro aggettivo, che sembra vuoto di significato e nonostante
lunico vero, lunico che, affermando una negazione, dica lo schianto
156
dellanima davanti a questa massa umana abbandonata alla morte,
ammucchiata come luridi cenci, allaria aperta, sotto la brina, a 7 ed 8
gradi sotto zero....
Nessuna costruzione possibile di baraccamenti. Qualche tenda. Eppoi il
carnaio. La paglia umida e infetta marcisce in un putridume asfissiante,
in una poltiglia sudicia...
Sono cos giovani, queste reclute serbe! I pi sono ragazzi. E piango-
no. Questi ragazzi, che gi mostrarono cuore di forti, ora possono
piangere, sfiniti come sono dal freddo... morsi ancora dalla fame tor-
mentosa.
Manca tutto, qui. uno strazio sentire la propria impotenza davanti a
tanta sventura. Non c da dare a questi poveri cirenei della croce della
Serbia, che un po di galletta e un po di carne in conserva di Chicago,
inviate dagli inglesi. Ah! Queste scatolette di carne in conserva, come
le ricorderemo con ribrezzo, se un giorno avremo la ventura di tornare
salvi, se non proprio sani, alle nostre case...
E muoiono. In media ne ho visti seppellire duecento al giorno, vittime
di malattie di ogni sorta. Su questi campi di concentramento la dea del
malaugurio rovescia il suo vaso... E pensare che queste reclute, per la
loro et, dovrebbero essere e certamente sono la parte pi resistente
dellesercito in ritirata!
Si seppelliscono un po alla buona, anzi, molto alla buona; ma almeno
hanno una fossa e qualche palata di terra sopra, perch i cani randagi e
i lupi non possono rosicchiarne le membra....

Nel Natale 1915, i cinque Governi interessati ad assistere


larmata serba, non riuscivano a coordinare alcunch di buono.
La maggioranza dei serbi si trovava tra Podgorica e Scutari,
unaliquota fra Podgorica e Ipek, il resto ad Elbassan. Quando le
forze raccolte nella regione di Scutari raggiunsero i 50.000 uomi-
ni, Pai si lament per la mancanza di aiuto offerto dallItalia. I
serbi si erano un po illusi sulla possibilit di un immediato e ab-
bondante rifornimento di viveri e mezzi da parte italiana diret-
tamente in Albania. Anche il Re Pietro avrebbe desiderato rior-
ganizzare lesercito in Albania, ma, alla fine, dovette cedere di
fronte alle minacce degli austriaci e dei bulgari dislocati alla

G. CORNI, Op. cit., alla data del 18 gennaio 1916.
frontiera. Di questo, lambasciatore Fasciotti informava il mini-
stro Sonnino: Pai comunica di aver 150.000 combattenti che
lItalia si rifiutata di ospitare mentre il generale Sarrail non ne
vuole pi ricevere per ragioni igieniche e si sarebbe rinunziato a
157
farli sbarcare a Corf di fronte alle proteste della Grecia sicch
dovrebbero essere mandati a Bistra. Pai partecipa anche
dellIntesa che abbandona Serbia.
Il 31 dicembre, tra San Giovanni di Medua e Durazzo, si era
raccolta una massa di 140.000 mila serbi con 35.000 cavalli e
10.000 capi di bestiame, oltre a pi di 100.000 prigionieri e profu-
ghi. Continuando loffensiva, il 4 gennaio larmata austro-
ungarica attacc il Montenegro e il 13 entr in Cettigne. Il Re Ni-
cola, dopo aver chiesto, il quattro, larmistizio respinto dagli au-
striaci, si ritir a Brindisi accompagnato dagli italiani il 20 gen-
naio. Il Montenegro chiese la resa ed il 23 gennaio lultimo con-
voglio italiano lasciava Medua. Dopo che i serbi avevano propo-
sto alla commissione di Roma di investirsi direttamente
dellautorit necessaria per dirigere il servizio di assistenza e do-
po che fu deliberato di dare al generale britannico Taylor il con-
trollo dei rifornimenti, l8 gennaio il tenente di vascello Legnani
telegrafava da Medua:
Ammiraglio inglese (Troubridge) dichiara irrazionale imbarco truppe
numerose Medua ed declina ogni responsabilit. Non ha nessun ordine
n da suo Governo, n da Governo serbo. Generale francese Mondesir,
dopo aver dichiarato ammiraglio inglese che Francia provveder tra-
sporti esercito, non ha provocato alcuna disposizione. Nessuna autorit,
ne francese, n inglese, n serba non sa cosa fare. Tutti cercano disinte-
ressarsi questione. Stando cos le cose, solo su Italia grava onere tra-
sporti.

Il 14 gennaio 1916, il Governo italiano aveva ricevuto, attra-


verso il suo ambasciatore De Bosdari, una nota del Governo
francese nella quale si diceva:
Governo ellenico, conscio dei suoi obblighi verso Potenze


ASMAE, DDI, Serie V 1914 - 1918, volume V, doc. 321, Fasciotti a Sonnino,
134/8, del 15 gennaio 1916.

M. MONTANARI, Op. cit., pp. 222 ss.
firmatarie del trattato del 1863 e preoccupato dallo stato sanitario
della popolazione del regno, non potrebbe consentire riorganiz-
zazione a Corf dellesercito serbo.
Vista la situazione di stallo e constato che n la Francia n
158
lInghilterra prendevano decisioni sul trasporto dei resti
dellesercito serbo da Valona a Corf, anche il ministro della Ma-
rina italiano fece presente che non poteva assumersi tale ulterio-
re onere gravoso nella sua totalit e in tal senso il ministro Son-
nino invitava i Governi inglese e francese ad assumere tra loro
in tempo gli opportuni accordi allo scopo di assicurare il traspor-
to dei serbi da Valona a Corf ed il necessario per loro riforni-
mento.
Anche la Grecia contribuiva a far crescere la confusione, resi-
stendo alla richiesta di accogliere i resti dellesercito serbo a Corf,
ufficialmente per motivi di ordine giuridico e sanitario.

Levacuazione in Italia
In questo modo, lintero onere di evacuazione di tutto lesercito
serbo venne a gravare sullItalia. Limpresa fu imponente, non
solo per numero di assetti: di navi, personale, mezzi, ma anche
per la destinazione del trasporto. Quasi tutto lesercito serbo, i lo-
ro prigionieri e i profughi furono trasferiti dalle coste albanesi in
Italia, e solo in un secondo momento, dopo alcuni mesi, a Corf,
Biserta e alle altre destinazioni. Il trasporto si svolgeva attraverso
convogli protetti da navi da guerra.
Le disgraziate condizioni delle spiagge albanesi con fondali
bassi e acque paludose impedivano lapprodo e soprattutto la
lunga permanenza dei grossi piroscafi alla riva; per questo moti-


ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 313, nota presentata
allambasciatore italiano in Grecia, Alessandro De Bosdari il 14 gennaio 1916.

ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 315, Sonnino agli ambasciatori,
120, del 14 gennaio 1916.

ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 323, De Bosdari a Sonnino,
138/20, del 15 gennaio 1916.
vo si decise di utilizzare mezzi di piccolo tonnellaggio, con un
maggiore numero di viaggi, per imbarcare con maggior solleci-
tudine a Durazzo, a San Giovanni di Medua e alle foci del Vojus-
sa le truppe e i profughi, che poi a Valona erano trasbordati sui
159
grandi piroscafi per la traversata dellAdriatico. LItalia, cos, si
present in Adriatico con una flotta di queste piccole unit a ve-
la, a vapore, a motore a scoppio. Fu come una gara di generosit
e di ardimento bandita dalle autorit navali italiane: la struttura
marittima della penisola, militare e civile, rispose allappello con
fede pari alle difficolt delle scorte ed i rischi di offese e di sor-
prese dallattigua piazza di Cattaro, in mano austriaca. A garan-
tirne la sicurezza, doveva sempre perlustrare il mare un forte nu-
cleo di unit della marina da guerra, anche se il carico da proteg-
gere fosse stato quello di un solo e piccolo Palatino, che i roma-
ni conoscevano per il traffico sul Tevere di Ripagrande, ma che
pure in quelloccasione portava viveri preziosi per qualche giorno
ancora di resistenza di chi lottava contro un nemico agguerrito e
contro la fame.
La situazione si era aggravata ulteriormente quando la situa-
zione militare impose il ritiro dallAdriatico delle navi francesi ed
inglesi e a gestire levacuazione dei serbi lItalia rimase comple-
tamente sola. Continu da Valona e Scutari lesodo dei soldati
serbi e dopo che il 23 gennaio gli austriaci avevano occupato Scu-
tari, il 26 il Consiglio dei Ministri italiano si diceva pronto ad ab-
bandonare Durazzo ma non Valona. Il 9 febbraio si concluse
limbarco dei serbi a Durazzo e il ministro Pai trasmise un
messaggio al Governo italiano:
Ultimato il trasporto dei serbi dallAlbania, esprimo i ringraziamenti
pi sinceri del Governo Reale per lintervento immediato ed efficace
della Regia Marina italiana e per lopera di tutte le altre autorit, grazie
alle quali, lo sgombero si potuto effettuare con rapidit e con piena
soddisfazione.


G. GALLI, Fanti dItalia in Macedonia 1916-1919, Omero Marangoni Editore,
Milano, 1934.
E il Colonnello Mitrovitch, comandante del quartier generale
serbo, volle salutare negli ufficiali e negli equipaggi
dellincrociatore Citt di Catania tutta la Marina italiana, a cui si
disse fiero di rendere lomaggio affettuoso e riconoscente del po-
160
polo di Serbia.

Bene intesa egli aggiunse dallEsercito serbo la vostra opera nobi-


lissima per il trasporto dellintera armata, compiuto in cos breve tem-
po su mare infido e superando gli ostacoli e difficolt innumerevoli.
Ora e sempre per questopera, vi accompagnino, o marinai dItalia, la
gratitudine e i voti di tutta la Serbia, che sulle vostre navi oggi rinasce
per affermare il suo sacro diritto allesistenza contro laggressione e
loppressione nemica!

Il 23 febbraio, lo sgombero di tutte le truppe serbe a piedi era


ultimato anche a Valona, compreso quello di circa 6.000 monte-
negrini. Rimaneva la cavalleria serba che raccoglieva 13.500 uo-
mini con un numero leggermente superiore di cavalli. Dalla met
del dicembre 1915, sulle navi italiane e sotto la scorta della Mari-
na Militare italiana, furono trasportati 260.895 profughi e militari
serbi, con un movimento complessivo di 250 piroscafi. Inoltre, al-
tri 100 piroscafi furono utilizzati per il trasporto di 300.000 quin-
tali di materiale vario necessario alle traversate. Furono tratti in
salvo anche 24.000 prigionieri dellEsercito serbo, 68 cannoni e
vario materiale bellico. Complessivamente furono necessari 248
viaggi.
Il trasporto di tutto lesercito serbo, dei prigionieri e dei pro-
fughi da Durazzo, Valona e San Giovanni di Medua coinvolse un
movimento colossale di piroscafi di squadriglie di cacciatorpedi-
niere, torpediniere e motoscafi della Marina militare italiana che
si concentr per tre mesi consecutivi principalmente sulle rotte
dei triangoli Brindisi-Durazzo-Valona e Brindisi-Valona-Corf.
La dimensione dello sforzo era gigantesco e costitu la prima gran-
de operazione umanitaria durante un conflitto.
Occorre notare che queste cifre riguardarono esclusivamente
il trasporto dei serbi, con comprendendo sia quelle che si riferi-


STATO MAGGIORE DIFESA, cit., pp. 99-100.
vano al traffico dei rifornimenti apprestati dalla Marina Italiana
agli eserciti serbo-montenegrini prima della loro ritirata, sia tutte
le altre relative al trasporto di uomini e materiale bellico e logi-
stico per il Corpo doccupazione italiano in Albania e per la base
161
navale di Valona, trasporto che fu compiuto contemporaneamen-
te a quello dei serbi, fra gli stessi porti e sulle stesse rotte, senza
mai creare intralci o ritardi nello sgombero delle truppe in ritira-
ta, anzi, integrandolo ed aiutandolo per la maggiore economia
dei mezzi. In questa magnifica operazione della sua Marina,
lItalia perse diverse migliaia di uomini e tre navi, ma ad ogni
modo, non un solo soldato serbo perito in mare.

Conclusioni

Nonostante il fatto che nel salvataggio degli eserciti e della popo-


lazione serba e montenegrina, lItalia, tra tutti gli alleati, abbia
sostenuto quasi interamente il peso e la responsabilit
delloperazione, limpresa della Marina italiana rimasta quasi
del tutto sconosciuta. Unimpresa che, dal punto di vista strategi-
co, cambi le sorti della Grande Guerra, al pari di quanto avven-
ne, nella Seconda Guerra Mondiale tra il 25 maggio e il 3 giugno
1940, con lo sgombero di oltre 300.000 soldati inglesi e francesi da
Dunkerque, nella Francia Settentrionale.
Dopo lunghi anni segnati dalle strenue e massacranti battaglie
di trincea e davanti unevidente e gi ben delineabile disfatta de-
gli Alleati sul fronte meridionale balcanico, lesercito serbo, com-
piendo uno sforzo sovrumano, in un fulmineo attacco riusc a
spezzare il fronte nemico e continu con uninarrestabile avanza-
ta, dimostrandosi lunico tra gli Alleati capace a decidere la vitto-
ria di tutta la Grande Guerra. La vittoria non tard e si comp
meno di due mesi dopo.
Ma quellesercito della vittoria, che fece e guid lavanzata,
non ci sarebbe stato quel fatidico 15 settembre 1918, se qualche
anno prima, sulle sponde del mare in Albania, non ci fosse stata


Agenzia Stefani, Comunicato del 23 febbraio 1916.
la Regia Marina a salvarlo, portandolo in Italia.
Allo stesso tempo, questo intervento della Marina italiana fu
una vera e propria operazione umanitaria ante litteram, la pri-
ma importante, vasta e articolata operazione di aiuto e soccorso
162
civile e militare di tutti i tempi.

Abstract

In the middle of the winter of 1915/1916 the Serbian Army, in the jaws
of the army of the Central Powers, was forced to retreat followed by
masses of people. On the Albanian coastline of the Adriatic they were
all saved thanks to the magnificent humanitarian-military operation of
the Italian Royal Navy, assisted by French and English ships, and
transferred to the opposite shore of the sea. Of all the Allies, Italy bore
almost the entire burden and responsibility for this undertaking. From
December 12, 1915 to February 29, 1916 the Italian Navy evacuated
from Albania: 260,895 Serbian soldiers and refugees, 24,000 Austrian
soldiers - prisoners of war of the Serbian Army, 10,153 horses, 68 can-
nons and 300,000 tons of food and supplies. The Serbian government,
military leaders, King Petar I Karadjordjevic and Regent Aleksandar I
were also evacuated with the army. A total of 248 water crossings were
conducted utilizing 350 ships. In the same operation 6,000 Montenegrin
soldiers along with King Nikola I and his family were also evacuated.
163
Il documento che si presenta, Comme lArme serbe fut sauve
par la Marine italienne, fu pubblicato nel 1917 dallInstitut Italien
de Paris contemporaneamente al volume di Paolo Giordani, La
Marina italiana nella guerra europea. Per lesercito serbo, Alfieri
& Lacroix, Milano 1917, voluto dallUfficio speciale del ministero
della Marina anche con una edizione in lingua francese. Entram-
bi i documenti pongono in giusta luce il ruolo della Marina ita-
liana nel salvataggio dellesercito serbo tra il 1915 e il 1916.
Il volume di Paolo Giordani stato recentemente riedito dallo
Stato Maggiore della Difesa (Per lesercito serbo. Una storia di-
menticata, a cura di M. Mihajlovic, Roma 2014). Il documento che
qui si presenta, pur essendo edito, fu conservato solo in archivio e
qualche copia fin presso privati. Una di queste, attraverso
lufficiale medico Manlio Cace e suo figlio Guido, giunto a Mila
Mihajlovic che lo ha corredato di uno studio che qui pubblichia-
mo come introduzione storica al documento e che stato presen-
tato allAccademia serba delle scienze e dellarte di Belgrado nel
novembre 2014.
Limportanza del documento risiede nel fatto che si tratta di
una relazione ufficiale che il Governo invi nelle capitali europee
per sottolineare il ruolo e limpegno italiani nella vicenda del sal-
vataggio dellesercito sebo; vicenda che, gi allora, fu travisata,
relegando quella dellItalia a una presenza essenzialmente tecni-
ca e logistica, mentre in realt il peso assolutamente maggiore
dellimpresa fu a carico della Marina italiana.
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169

Il testimone bugiardo.
Il crollo del campanile di Venezia
Il primo grande disastro artistico del Novecento provoc
unondata emotiva mondiale, grazie anche alla
diffusione di abili contraffazioni fotografiche

di GUGLIELMO DUCCOLI

Il crollo del campanile veneziano di San Marco, avvenuto alle


9,47 del 14 luglio 1902, presenta molti punti dinteresse sotto il
profilo giornalistico, sociologico e iconologico. La notizia ebbe
enorme impatto sia in Italia sia allestero, in unepoca in cui Ve-
nezia esercitava ancora appieno il suo fascino romantico. Vi era
dunque lo scalpore per larte ferita, e, almeno in Italia, anche
quello per un disastro tuttaltro che imprevedibile. Il collasso del-
la torre era infatti stato annunciato da segnali inequivocabili,
puntualmente denunciati dal proto della basilica marciana Pietro
Saccardo ma ignorati dai responsabili governativi. Essi avrebbero
anzi insistito in alcuni improvvidi lavori che si sarebbero dimo-
strati fatali e, una volta resisi conto del crollo imminente, non a-
vrebbero fatto nulla per scongiurarlo.
Il campanile era gi stato ampiamente restaurato in passato.
Nel 1745, dopo lennesimo danno provocato da fulmini, lingegner
Bernardino Zendrini lo aveva irrobustito tramite una sorta di ca-
micia in mattoni agganciata alla struttura medievale con chiavi in
pietra dIstria. Il paragone fra lardito e felice intervento eseguito
al tramonto della Serenissima e la colpevole incuria del regno
dItalia risultava impietoso. Alcuni quotidiani tedeschi dubitarono
170
che gli Italiani fossero in grado di riedificare la torre e proposero
che il compito fosse affidato a ingegneri doltralpe.
Le polemiche sulle responsabilit del crollo, cos come quelle
sulla futura riedificazione, avrebbero riempito le colonne dei
giornali per mesi. Gli scandali, per, non bastano a giustificare
una cos vasta e profonda sensazione destata dallavvenimento.
Essa ha invece a che fare con la diffusione di un gran numero di
falsi fotografici che in poche settimane fecero il giro del mondo
sotto forma di cartoline postali. Le istantanee del collasso ri-
traggono la torre nel momento del crollo e oggi rappresentano
dei veri classici della contraffazione. Alcune rivelano grande abi-
lit, considerando i mezzi tecnici dellepoca e lassenza di una
consolidata tradizione falsaria in campo fotografico. Fu proprio
linnocenza dei tempi, nei quali la fotografia sembrava una prova
indubitabile della realt storica, a ingannare i giornali e i lettori.
Lesperienza non aveva ancora abituato a diffidare dellimmagine
catturata dal vero, e il clima positivista tendeva a dar credito alle
fotografie pi inverosimili. Si pensi che ancora nel 1921 Arthur
Conan Doyle difendeva lautenticit di lastre che ritraevano fate
e spiritelli, mentre foto ingenue di ectoplasmi costituivano prova
certa di attivit spiritiche anche in circoli accademici di alto livel-
lo. Ogni fotografia, insomma, era considerata un esito di labora-
torio, il risultato di un esperimento scientifico e perci stesso in-
trinsecamente veridica.
Cera per chi sapeva distinguere. Allepoca del crollo, il set-
timanale Illustrazione italiana, edito a Milano da Treves, faceva
gi da tempo ampio uso della fotografia, che ogni anno rubava
nuovo spazio allincisione (pur di qualit eccelsa) nellintento di
offrire un supporto visivo pi autorevole e davanguardia.
Lattenzione dei Treves verso il progresso tecnologico attestato
lungo tutto il periodo di gestione, dalla fondazione del 1873 fino
alla cessione a Garzanti del 1939, provocata dalle leggi razziali.
Non solo fotografie, ma anche treni, dirigibili, automobili, aerei,
nuovi sistemi di comunicazione: lentusiasmo delleditore per le
nuove frontiere fu sempre sincero e profuso sullintero spettro
dellinnovazione. proprio la consuetudine con la testimonianza
fotografica a salvare lIllustrazione italiana dalla trappola dei
171
falsi del 1902. Invece di pubblicare il momento dello schianto o
riprodurlo in disegno, Treves invi a Venezia giornalisti e foto-
grafi per ottenere quello che pu essere considerato uno dei pri-
missimi fotoreportage dinchiesta nella storia del giornalismo ita-
liano. Leditore sostenne anche il sindaco di Venezia Filippo
Grimani, che gi a poche ore dal disastro stanziava i primi fondi
per la ricostruzione della torre come era, dove era. Nel nuovo
secolo, i precetti di John Ruskin ed Eugne Viollet-le-Duc, fautori
della ricostruzione in forma storica, cominciavano a essere messi
in discussione e i progetti per un campanile pi moderno non
mancarono. Prevalse tuttavia lopzione tradizionalista: una torre
pressoch identica alloriginale venne inaugurata il 25 aprile
1912, giorno di san Marco. Lemissione di francobolli delle Regie
Poste sottolineava con il motto come era, dove era la scelta filo-
logica. Mezzo secolo dopo, in un clima culturale di completa rot-
tura con il passato, Cesare Brandi avrebbe stimmatizzato quella
decisione in Teoria del restauro (1963) in quanto ripropone il
problema della copia ricollocata al posto delloriginale.
Trascorsi altri cinquantanni, possiamo oggi constatare appie-
no leffetto della decisione: londata emotiva del 1902 del tutto
obliata; chi osserva il campanile di San Marco lo vede genuina-
mente cinquecentesco, come se nessun crollo fosse mai avvenuto,
e anche chi ne conosca le vicende fatica a credere che ledificio
abbia solo un secolo di vita. I falsi fotografici, cos, risultano ora
pi inverosimili che mai, perch il ricordo del disastro che vole-
vano testimoniare stato cancellato dalla consuetudine visiva e
dalla forza della ricostruzione filologica.
172

Il Canaletto ritrasse lintervento operato dallingegnere camuno Bernardino


Zendrini nel 1745, dopo che un fulmine ebbe gravemente danneggiato la strut-
tura muraria della torre. Il restauro si dimostr particolarmente ardito, inno-
vativo ed efficace.
173

Una delle pi popolari immagini da cartolina che ritraevano lesatto istante


del crollo fu realizzata dal fotografo Zago. La nuvola di fumo venne creata uti-
lizzando abilmente una doppia esposizione di alberi carichi di neve.
174

Unaltra celebre contraffazione del momento del disastro. Tutti i fotomontaggi


mostrano la torre che collassa su se stessa. In effetti i danni agli edifici circo-
stanti furono modesti (a eccezione della perduta loggetta alla base del campa-
nile e un angolo della libreria del Sansovino).
175

Apertura del lungo articolo che lIllustrazione Italiana dedic al crollo del
campanile marciano. Leditore Treves dimostr particolare attenzione per la
vicenda e non cess mai di seguirla da vicino lungo tutto il decennio che con-
dusse alla riedificazione della torre nelle esatte forme dorigine.
176

Gi dal primo articolo dedicato al disastro dallIllustrazione Italiana, si nota


il carattere di vero e proprio fotoreportage. Gli inviati si premurarono di rac-
cogliere notizie sulla storia del campanile, sui precedenti storici dovuti a ful-
mini e terremoti, sulle cause del collasso, sul problema delle macerie. Pi tardi
si sarebbero appassionati alla polemica ricostruttiva, sostenendo la tesi della
riedificazione filologica.
177

Oltre a rappresentare un problema, il cumulo di detriti divenne esso stesso un


monumento al disastro e fu ampiamente rappresentato, in Italia e allestero,
sia da fotografie sia da illustrazioni artistiche. Dopo avere recuperato alcuni
scarsi elementi salvatisi dal crollo (come la campana maggiore, detta Maran-
gona), si decise di gettare le macerie a mare presso Punta Sabbioni.
178

Le fondamenta del campanile dopo lo sgombero delle macerie e i primi lavori


di consolidamento.
179

Lo stato di avanzamento dei lavori nel 1910. La nuova torre comprendeva an-
che un ascensore.
180

Copertina della Domenica del Corriere dopo linaugurazione del campanile


rinnovato, avvenuta il 25 aprile 1912, giorno di san Marco.

In coincidenza con la fine dei lavori, le Regie Poste dedicarono al campanile


una serie di francobolli in cui spiccava il motto del sindaco veneziano Filippo
Grimani, che aveva guidato la riedificazione in chiave filologica: Come era,
dove era.
181

Alessandra Cavaterra, La rivoluzione culturale di Gio-


vanni Gentile. La nascita dellEnciclopedia italiana, Can-
tagalli, Siena, 2014.

Nel 70mo anniversario della morte di Giovanni Gentile numerosi


studi si sono susseguiti nellindagine della sua produzione intel-
lettuale e delle sue vicende biografiche. Alessandra Cavaterra ci
offre un denso e articolato saggio su quello che costituisce un au-
tentico monumento della cultura italiana, quellEnciclopedia che
il filosofo e Giovanni Treccani pensarono come un grande pro-
getto nazionale, necessario al prestigio della nuova Italia.
LAutrice ne ripercorre la genesi e la struttura con uno sguardo
privilegiato, considerata la sua attivit di molti anni
nellArchivio storico dellIstituto della Enciclopedia italiana. Uno
sguardo capace di metterne a fuoco il carattere di strumento per
una pedagogia nazionale e che quindi quasi per necessit doveva
collocarsi al di sopra dei partiti e dello stesso spirito di parte, co-
me dichiarato nel Manifesto della Enciclopedia italiana inviato ai
potenziali collaboratori. Nellambito di una vasta letteratura in
merito, il saggio si caratterizza, come sottolinea Giuseppe Parlato
nella sua introduzione, per superare lidea che lopera nasca per
esaltare la cultura di un fascismo divenuto regime in quel 1925
che vede linizio del progetto enciclopedico. E non solo perch
ben difficile immaginare che unopera di questo livello potesse
essere anche solo pensata nel breve intervallo che intercorre tra il
discorso del 3 gennaio 1925 e la fondazione dellIstituto il 18 feb-
braio dello stesso anno, ma soprattutto perch a collaborare
allopera furono chiamati studiosi di ogni estrazione per conferi-
re alle voci il massimo respiro e la massima rappresentativit.
Molti dichiarati antifascisti o comunque afascisti aderirono
alliniziativa, persino molti di religione israelita oltre 150 tra
direttori di sezione, redattori, anche donne che continuarono a
collaborare anche dopo le leggi razziali; e infine molti dei pochi
182
docenti che non giurarono fedelt al regime nel 1931 rimasero at-
tivi nellEnciclopedia. LAutrice ricostruisce le motivazioni dei
rifiuti e ne mostra la natura pi personale che politica, pi legata
allintreccio di amicizie e inimicizie che a ragione ideologiche,
pi per polemica nei confronti della riforma gentiliana della
scuola che per rifiuto del fascismo sotto la cui egida comunque
lopera nasceva. Allo stesso modo le accettazioni degli studiosi
non si caratterizzarono per adesione al regime, ma per il proprio
prestigio e la propria carriera accademica, ma soprattutto, in
molti, per la necessit di compiere un dovere nel collaborare a
quello che si apprestava a diventare, con tutta evidenza, un esa-
me di maturit nazionale. Non a caso i fascisti radicali contesta-
rono lEnciclopedia per il suo carattere inclusivo, privo delle
stimmate fasciste e ne fecero un caso che accompagn tutta la
realizzazione dellopera. Inoltre, se il lavoro enciclopedico doveva
riscattare la cultura italiana dallobbligo umiliante di ricorrere a
testi inglesi, francesi o tedeschi, non mancarono collaboratori
stranieri, ben 517 rappresentativi di ben 39 Stati diversi.
Parallelamente, lAutrice ricorda come lo stesso Mussolini,
che certo riusc a tenere a bada le polemiche degli intransigenti,
considerasse lEnciclopedia non un lavoro apologetico, ma un e-
lemento essenziale per la costruzione di una identit nazionale,
per una nazionalizzazione delle masse che passasse attraverso la
nazionalizzazione degli intellettuali. Per questo perdon disso-
nanze e acconsent sempre o quasi nel lasciare al direttore scien-
tifico piena libert in unazione che mirava a comporre in con-
corde discordia le diverse voci e gli antagonismi. Il vero ostacolo
che Gentile si trov a dover affrontare e superare fu quello della
Chiesa cattolica che interveniva pesantemente su tutte le voci
sensibili e cercava di esercitare unazione censoria su ogni
lemma che non contenesse e magari valorizzasse le posizioni cat-
toliche. LAutrice ricorda come Gentile includesse in un elenco
successivo di collaboratori il cardinale Ehrle, monsignor Carusi,
monsignor Gramatica, padre Agostino Gemelli, padre Tacchi-
Venturi ed altri prelati, religiosi e dignitari della Santa Sede.
noto, e nel libro viene ricordato, che LOsservatorio Romano
del 27 marzo 1926 rimarcasse che linserzione di tali nomi non
183
fosse stata concordata, lasciando intendere, a chi lo volesse, che
non era autorizzata e che anzi la Chiesa si ponesse in posizione
critica, se non ostile, dinanzi al lavoro enciclopedico. Lattacco
venne portato da un lungo editoriale del quotidiano cattolico mi-
lanese Italia del 30 marzo 1926 dal titolo Una enciclopedia cat-
tolica, in cui si sosteneva che la presenza di alcuni cattolici tra i
collaboratori dellEnciclopedia avrebbe dato vita a unopera e-
clettica, incoerente e che per questo bisognava pensare alla crea-
zione di unenciclopedia cattolica piuttosto che collaborare a
unopera laica. La prospettiva di una simile concorrenza preoc-
cup Gentile per il rischio di perdere molti collaboratori, ma an-
che Treccani per il pericolo commerciale che comportava, tanto
che leditore scrisse al filosofo se non fosse opportuno addirittura
far visita al papa per chiarire lequivoco. A questa e altre obie-
zioni, Gentile rispondeva, ricorda lAutrice, ricorrendo alla di-
stinzione tra politica e tecnica, riportando il lavoro enciclopedico
in questultimo ambito. Si pu notare, come gi fece Croce, che
per difendere la sua creatura, Gentile introducesse una distinzio-
ne che era estranea al suo pensiero, caratterizzato fin dalla fon-
dazione dellattualismo, da ununica categoria, logica e insieme
metafisica, quella del pensiero. Ne Latto del pensare come atto
puro del 1911, ma pubblicato lanno successivo, si chiarisce che
nulla trascende il pensiero che assoluta immanenza; il pensiero
nella sua attualit al di l del tempo, eternit e come tale de-
termina lannullamento di ogni molteplicit. Addirittura nel
Sommario di pedagogia come scienza filosofica, che matura negli
anni in cui Gentile lavorava allEnciclopedia, aveva negato
lesistenza della tecnica come strumento educativo, per riportarla
allunit dello spirito dal quale il manuale, il metodo didattico,
lesercizio, la tecnica appunto, devono scaturire dallanimo
dellalunno e rifluire in ogni istante nel processo spontaneo della
formazione spirituale. Riportare lEnciclopedia sotto linsegna
della tecnica significava nientaltro che negarle il valore pedago-
gico che essa indubbiamente possedeva nelle intenzioni di tutti
gli attori, interni ed esterni, coinvolti. Certo la distinzione per-
metteva di superare o tacitare le diatribe, soprattutto con la Chie-
sa per non dare limpressione che lopera si ponesse contro la
184
religione; il che avrebbe determinato il rischio di perdere acqui-
renti in modo significativo, oltre a tradire la considerazione gen-
tiliana della religione come prezioso strumento formativo per le
giovani generazioni. Non improbabile, per, che il motivo che
ha condotto il filosofo a sacrificare la coerenza teoretica sia pro-
prio quello di salvare unoperazione di cultura militante al servi-
zio della nuova Italia, in questo davvero coerentemente alla sua
concezione dellintellettuale che non sta alla finestra, ma sulla
strada. Se lo stare alla finestra consente di assumere un atteg-
giamento distaccato, contemplativo, puro, essere in strada signi-
fica politicizzare le idee, mischiarsi con il popolo, agire e vivere
con passione la cultura, anche se ci comporta un inevitabile
compromesso con la coerenza astrattamente intellettuale. Si trat-
ta in fondo di una sottolineatura di come lEnciclopedia possa
davvero considerarsi, per Gentile stesso, lopera e lazione cultu-
rale pi importante e incisiva.
La seconda parte del volume ricostruisce in modo analitico e
sistematico le fasi di lavorazione alle diverse sezioni
dellEnciclopedia. Sono pagine che ci portano davvero dentro
questa grande fucina, mostrandoci un lavoro di straordinaria in-
tensit, se si pensa che il I volume usc nel 1929 e poi gli altri 34
con regolare cadenza trimestrale fino alla conclusione nel 1937 e
come gi lanno successivo iniziasse la pubblicazione delle Ap-
pendici. Ci che emerge un lavoro intensissimo anche per le
difficolt di stabilire tra le diverse discipline e i singoli lemmi i
necessari confini, di evitare o accettare contaminazioni. Si trat-
ta della parte pi originale del libro della Cavaterra, che lo di-
stingue dalla pur cospicua letteratura sullEnciclopedia e che fa
giustizia di un altro luogo comune su Gentile, quello della lettura
esclusivamente umanistica della cultura. Tra le sezioni in cui il
lavoro fu pi alacre e dove si segnalarono i nomi pi importanti
della cultura scientifica italiana del presente e del successivo av-
venire ci sono quelle di scienze aereonautiche, agrarie, astrono-
miche, geologiche, chimiche, medico-chirurgiche, statistiche e fi-
nanziarie, fisiche, mineralogiche, climatologiche e geografiche,
oltre a molte altre che stanno a testimoniare, come scrive
lAutrice, che si voleva coprire ogni branca del sapere e non
185
certo, o non solo, per unesigenza di completezza per cos dire
architettonica del lavoro, quanto per lintento pedagogico e po-
litico di coinvolgimento di tutte le espressioni della cultura e pi
in generale dello spirito nazionale italiano. Progetto funzionale
alla rivoluzione che viene richiamata nellopera del libro e che
consiste, come sottolinea Parlato nellintroduzione, nel dimostra-
re che era possibile mettere daccordo gli italiani su un progetto
culturale, sulla individuazione di unidentit non di sangue ma di
cultura.
Alliniziativa arrise un successo straordinario, sia per pubbli-
co - affascinato dallelegante veste grafica e dal battage pubblici-
tario - sia per la capacit di ricostruire quella complessit orga-
nica, come scrive lAutrice, che sfuggisse alleclettismo e fosse
polifonia armoniosa delle diverse anime culturali della nazione
che si fondevano in quella della nuova Italia. Il successo arrise
perch, come sempre accade nelle imprese culturali di valore,
seppe cogliere e interpretare lesigenza sentita di unopera che
sapesse coniugare divulgazione e scientificit nel quadro di un
grande progetto nazionale.

RODOLFO SIDERI
Eugenio Garin - Ugo Spirito, Carteggio 1942-1978, a cura di
Michele Lodone, Edizioni della Normale, Scuola Normale
Superiore Pisa, 2014.
186

Questanno ricorre il decennale della morte di Eugenio Garin


(1909-2004), uno dei nostri pi autorevoli storici della filosofia e
della cultura dellUmanesimo e del Rinascimento, molto noto an-
che a livello internazionale. Una buona occasione per ricordarlo
questo carteggio con Ugo Spirito (1896-1979), personalit altret-
tanto importante, ma che stata sempre incline a sviluppare una
filosofia della storia piuttosto che una storia della filosofia, ossia
a fornire interpretazioni complessive e quasi normative tanto del
passato quanto del proprio presente. Insomma, da una parte uno
storico, dallaltra un filosofo. Ruoli vissuti da entrambi
allennesima potenza, fino al limite delle rispettive possibilit di
ricerca. Uno storico puro, un filosofo puro. Ad accomunarli
lincontro con Giovanni Gentile, sia pure in epoche differenti, ma
anche la provenienza da una giovanile formazione universitaria
di impianto positivistico. Garin era stato allievo a Firenze di Lu-
dovico Limentani (studioso ebreo, allievo di Ardig e Vailati, e
che sarebbe poi stato allontanato dallinsegnamento nel 1938 a
seguito delle leggi razziali), mentre Spirito si era formato nella
scuola del positivismo giuridico e criminologico del socialista En-
rico Ferri a Roma, facolt di Giurisprudenza.
La comune originaria matrice positivistica avrebbe conferito
un tratto di originalit e una certa dose di impermeabilit rispet-
to allonnipervasivo sistema filosofico dellattualismo, ovvero la
versione gentiliana dellidealismo neo-hegeliano. Una versione
dal fascino potente, da cui entrambi furono attratti e, sotto alcuni
aspetti, travolti. Spirito comp un viaggio fin dentro il cuore
dellattualismo tanto da diventare il pi inquieto, ma in un certo
senso, paradossalmente, il pi fedele degli allievi di Giovanni
Gentile, sempre insoddisfatto di ogni posizione raggiunta, ma a-
cutamente sensibile, anche se in un suo modo tutto personale, ad
alcune delle esigenze pi profonde del pensiero contemporaneo.
Cos scriveva lo stesso Garin allindomani della scomparsa di
Spirito, ereditandone la direzione di quel Giornale critico della
filosofia italiana che era stato fondato da Gentile nel 1920 e che,
dopo il suo assassinio, era rinato dalle ceneri della guerra civile
proprio per volont di quellallievo insieme inquieto e fedele. Il
187
Giornale critico negli anni Venti e, in parte, anche nei Trenta era
stato la culla e la palestra per molti giovani talenti filosofici che
beneficiarono della sostanziale egemonia culturale esercitata dal
magistero gentiliano, merc anche linfluente ruolo politico che il
filosofo di Castelvetrano ricopr almeno nel primo decennio del
ventennio fascista. Nel secondo dopoguerra la rivista radun inve-
ce le sparse e lacerate membra di un ambiente culturale che era
stato alquanto fervido, ma che le vicende belliche e la fine tragica
di Gentile inevitabilmente fecero esplodere.
Questo carteggio ci aiuta, quanto meno, ad intuire latmosfera
che si dovette respirare nellambiente attualistico post-gentiliano.
Leggendo la corrispondenza tra Garin e Spirito, scorrendo i molti
nomi che compaiono, quasi sempre per motivi legati proprio alla
composizione del Giornale critico numero dopo numero, si ha
limpressione di un mondo che resta in piedi sulla base di alcuni
equivoci, o meglio: su dei non detti, delle reticenze, talora quasi
degli imbarazzi. probabilmente quel che accadde ad una fetta
assai consistente della cultura storica e filosofica italiana nel pas-
saggio dal fascismo alla Repubblica, che molto doveva, in termini
sia di debito intellettuale sia di carriera accademica e istituziona-
le, a Giovanni Gentile. Figura quanto mai ingombrante al termi-
ne della guerra, e forse, anche per questo, eliminata fisicamente
prima che si instaurasse un nuovo regime politico e si creasse un
nuovo establishment. Ci fu chi, spesso in piena onest intellettua-
le, si era mosso anzitempo in direzione del magistero crociano,
un modo per transitare verso un idealismo meno compromesso
con il fascismo e sufficientemente recuperato al liberalismo. Un
liberalismo pi volto al passato prefascista, che non accontent
personaggi come Guido Calogero, ad esempio, che procedettero
oltre, con innesti di socialismo pi o meno temperato. Ci fu chi,
invece, comp un vero e proprio balzo, per approdare su altra
sponda, filosofica come politica. Uno storicismo anti-idealistico
che poteva attrarre comunque proprio per quel sostantivo, e su
cui lavor molto abilmente il Togliatti che decise il rilancio
dellopera di Gramsci, riproposta proprio in tale ottica.
Rientra esattamente in questa lungimirante operazione di
strategia politico-culturale la favorevole recensione su Rinasci-
188
ta che il segretario del Pci, sotto la consueta firma di Roderigo di
Castiglia, ebbe a scrivere per uno dei pi noti lavori di Garin,
Cronache della filosofia italiana, pubblicate da Laterza e vincitri-
ci nel 1955 del prestigioso Premio Viareggio. Lo storico
dellUniversit di Firenze ne rimase profondamente colpito e lu-
singato e da allora pi rapido e marcato si fece il suo avvicina-
mento al Pci, merc anche un crescente interesse per gli scritti
gramsciani e una comune idea di scuola laica avversa alle politi-
che della Dc.
Come ha ricordato un suo allievo, Michele Ciliberto, Garin fu
un intellettuale assai vicino al Pci, se non dichiaratamente comu-
nista, che per non fu mai marxista, e anche questa peculiarit
dovrebbe essere materia di riflessione per una pi attenta storia
della cultura politica italiana del secondo Novecento.
Tenendo conto di queste vicende proprie dellintera cultura i-
taliana del secondo dopoguerra, si pu leggere in filigrana anche
il rapporto di Garin con Spirito. Questultimo fu determinante
per la carriera accademica del primo, come si comprende da una
lettera del 27 febbraio 1949 e da una preziosa nota apposta da
Michele Lodone, attento curatore del carteggio. Spirito fu infatti
nella commissione giudicatrice del concorso per professore stra-
ordinario di Storia della filosofia allUniversit di Cagliari, vinto
appunto da Garin (gli altri due usciti nella terna finale furono
Enzo Paci e Mario Dal Pra). Chi ha studiato la vita e lopera di
Spirito sa bene il peso che questi ebbe nella vita accademica della
filosofia italiana del secondo dopoguerra, addirittura fino ai pri-
mi anni Settanta. Nel frattempo, per, Garin svilupp un pro-
gressivo distacco dal Giornale critico, che si acu dopo la di-
scussione del 59 su filosofia e storia della filosofia. Qui emerse
una divergenza di posizioni teoriche che, allepoca, era anche si-
nonimo di distanza ideologica. Ad un certo momento, non fosse
stato per il cordiale rapporto con Spirito e il senso di riconoscen-
za, probabile che Garin avrebbe completamente chiuso con la
rivista. Questo il giudizio di Lodone, che per forse non tiene
sufficientemente conto di cosa significava la direzione di Ugo
Spirito. Il pluralismo dei contributi al Giornale critico divent,
anno dopo anno, sempre pi ampio e latteggiamento del diretto-
189
re sempre pi dialogante con le nuove correnti filosofiche che di
volta in volta giungevano dallestero. Spirito fu in ci pienamen-
te coerente con quanto andava sviluppando ormai da anni in
nome del suo problematicismo e di quanto ne era ulteriormente
conseguito sul piano della visione tanto della storia universale
quanto delle relazioni umane. A tal proposito degna di nota la
recensione che Garin fece per la trasmissione radiofonica Terzo
Programma al terzo libro della trilogia spiritiana post-(od ultra)
gentiliana: La vita come amore (1953). Emerge una comprensione
acuta e profonda, nonch simpatetica, del momento teoretico
raggiunto da Spirito, appena approdato al suo onnicentrismo,
facilmente dialogante sia con posizioni di forte laicismo sia con
posizioni di cattolicesimo che si sarebbe poi detto progressista.
C una nota stesa da Garin nel 1981, allindomani della morte
dellamico e collega Pietro Piovani, professore di Filosofia morale
allUniversit di Napoli, avvenuta prematuramente un anno pri-
ma, in cui si colgono elementi per comprendere cosa si stava
muovendo nei primissimi anni Cinquanta nellanimo e nella
mente dellallora quarantenne studioso del Rinascimento. Scrive-
va Garin, con riferimento alla prima ampia monografia
dimpianto teorico pubblicata da Piovani, Normativit e societ
del 1949: Ricordo che, letto il libro, subito ne stesi per il Gior-
nale critico una recensione piena di consensi che non usc mai
sottolineando quelle che mi sembravano le esigenze emergenti
di un nuovo razionalismo etico, ed insistendo a un tempo nella
polemica contro gli esiti irrazionalistici degli epigoni
dellidealismo, e della loro pretesa scienza. Non a caso Ugo Spi-
rito non la pubblic e prefer un altro recensore. Che fu poi Giu-
seppe Semerari, come si evince da una lettera inviata da Spirito a
Garin e datata 17 luglio 1950. Da queste parole, pur successive di
oltre trentanni rispetto ai fatti narrati, emerge abbastanza chia-
ramente come lallievo di Limentani stesse sempre pi maturan-
do una linea storiografico-filosofica improntata ad uno storici-
smo anti-idealistico, verso cui anche Piovani, allievo di Giuseppe
Capograssi, stava evidentemente muovendo i primi passi. Detto
ci, Garin si sarebbe pi tardi, allinizio degli anni Novanta, de-
dicato alla pubblicazione delle opere filosofiche di Gentile, lavoro
190
che sempre Ciliberto ha definito assai importante per compren-
dere il complicarsi del giudizio di Garin su tutto il Novecento ita-
liano ed europeo, e soprattutto avrebbe ereditato la direzione
del Giornale critico dalle mani di Spirito e lavrebbe mantenu-
ta per un venticinquennio, fino al 2004, anno della sua morte.

DANILO BRESCHI
Alice Martini, Prigionieri nel nostro mare. Il Mediterra-
neo, gli Inglesi e la non belligeranza del Duce (1939-
1940), Edizioni dellOrso, Alessandria, 2013.
191

Il panorama degli studi sullItalia negli anni della Seconda guerra


mondiale si arricchito recentemente con la pubblicazione del
libro di Alice Martini relativo ai mesi della cosiddetta non belli-
geranza sino allintervento deciso da Mussolini. Opportunamen-
te per, il punto di partenza del libro il marzo 1939 quando Hit-
ler, in spregio agli accordi firmati a Monaco soltanto pochi mesi
prima, decise la cancellazione di ci che restava della Cecoslo-
vacchia dalla carta geografica dellEuropa. Il brusco risveglio eu-
ropeo, provocato dal colpo di Praga del 15 marzo, viene seguito
infatti dallAutrice tanto nelle capitali occidentali quanto so-
prattutto a Roma dove erroneamente si pens che il minaccioso
dinamismo del partner dellAsse potesse essere sfruttato a pro-
prio vantaggio sulla scena internazionale.
Correttamente lAutrice, per, respingendo le tesi di quanti
ancora indulgono a voler leggere la politica estera fascista uni-
camente in chiave ideologica o solo in funzione delle sue ambi-
zioni imperiali, sottolinea sulla scorta della lezione defeliciana
il carattere eminentemente pragmatico delle scelte diplomati-
che del duce ed evidenzia la fondamentale ambiguit dei rapporti
tra i due partner dellAsse. Lesistenza di questultimo, infatti,
non aveva mai impedito a Mussolini di tentare quella che lo stes-
so Grandi aveva definito la politica del doppio passo compen-
diantesi nel tenere aperti i contatti con gli occidentali e Londra
in particolare nella speranza di ottenere da essi sempre mag-
giori concessioni sfruttando la minaccia di un rafforzamento del-
la Germania corroborato da una completa, ma sempre ipotetica,
entente tra Roma e Berlino. Come opportunamente sottolineato,
tale politica non venne ripudiata nonostante, proprio dal marzo
del 39 in poi, i margini di manovra di Palazzo Chigi andassero
restringendosi col progressivo irrigidimento delle posizioni an-
glofrancesi nei confronti di Hitler. La stessa invasione
dellAlbania fu infatti decisa piuttosto in funzione antitedesca,
per frenare lespansione dellinfluenza germanica nei Balcani e
riaffermarvi il predominante ruolo dellItalia. Con tale spirito il
Patto dAcciaio fu valutato dunque da Palazzo Venezia come un
ulteriore elemento di pressione verso gli Alleati ma anche quale
192
clausola di assicurazione contro ulteriori sorprese da parte di
Berlino. Gravissimo errore di valutazione, certo, ma che derivava
in sostanza dallillusione di poter disporre ancora di diverso tem-
po prima dellinevitabile scontro tra Germania hitleriana e po-
tenze democratiche e di poter dunque continuare a sfruttare la
situazione di fluidit sulla scena internazionale cos creatasi. A
riprova di ci, i rapporti con lalleato tedesco furono sempre la-
sciati intenzionalmente a livello embrionale, senza intavolare con
esso un serio dialogo sulle priorit strategiche in caso di guerra e
senza concordare preventivamente una linea politica comune.
I primi indizi sulle reali intenzioni di Hitler, contenuti nei ri-
petuti e puntuali rapporti di Attolico, suscitarono pertanto a Ro-
ma incredulit e stupore. In queste condizioni non pu sorpren-
dere che, una volta chiaro come a Berlino si volesse la guerra,
dopo il colloquio tra Ciano e Ribbentrop a Salisburgo, lobiettivo
principale della politica mussoliniana fosse costituito dalla ricer-
ca di una soluzione di compromesso che evitasse il conflitto sino
agli ultimi minuti prima dello scoppio delle ostilit. Contraria-
mente a quanto consolidatosi in alcune correnti storiografiche,
infatti, dal volume emergono nuove conferme di quanto la ricer-
ca di un compromesso sulla questione polacca che evitasse il ri-
corso alle armi sia stata molto pi di una scelta di facciata impo-
sta solo dal precario stato della preparazione militare italiana. La
decisione della non belligeranza, dunque, per quanto travagliata
per motivazioni psicologiche o imposta dalloggettiva inferiorit
delle armi italiane rispetto a quelle dei belligeranti, costitu un
estremo tentativo di Mussolini di recuperare un minimo di quella
flessibilit diplomatica che la guerra aveva drammaticamente ri-
dotto. Laspetto pi appariscente di tale ricerca della flessibilit si
tradusse quindi in un marcato allontanamento dalle posizioni te-
desche e un contemporaneo riavvicinamento al campo degli Al-
leati. Mentre prendeva slancio tale politica, attuata da Ciano sot-
to la stretta supervisione di Mussolini, i mesi della non bellige-
ranza vengono seguiti dallAutrice seguendo linteressante pro-
spettiva dei rapporti economici con la Gran Bretagna di cui fu
protagonista lUfficio Guerra Economica. Il miglioramento delle
relazioni con la Gran Bretagna risulta infatti evidente dalle carte
193
dellUge, soprattutto attraverso i negoziati per giungere a una so-
luzione del problema posto dallapplicazione del blocco navale
alleato alle merci dei Paesi neutrali e della questione del riforni-
mento di carbone necessario allindustria italiana che veniva
spedito dalla Germania principalmente per via marittima. Orga-
no di natura eminentemente tecnica, lUge godette di ampia au-
tonomia anche se, come lAutrice puntualizza opportunamente, i
suoi membri ebbero la tendenza a spingersi oltre quanto magari
preventivato nei piani alti della politica. Ci derivava soprat-
tutto dal fatto che la composizione dellUfficio era stata curata
dallo stesso Ciano, che ne aveva selezionato i membri in base ai
loro sentimenti antigermanici. Loperato dellUge benefici sem-
pre, per, del benestare di Mussolini al quale ogni passo in dire-
zione di Londra poteva risultare utile per il suo tentativo di con-
vincere o forzare Berlino a una composizione negoziata del
conflitto. Come acutamente rilevato, inoltre, la creazione
dellUge ben si inseriva nel contesto pi generale della politica
mussoliniana di burocratizzare lazione di governo, tendenza che,
come noto, si sarebbe poi accentuata durante il corso della
guerra. In questo contesto, i due discorsi di Ciano nel dicembre
1939 al Gran Consiglio del Fascismo e alla Camera dei Fasci e
delle Corporazioni costituirono il punto massimo raggiungibile
dalla politica di equidistanza tra i due campi in lotta. Come sotto-
lineato dallAutrice per, il vero punto di non ritorno della non
belligeranza sarebbe stato costituito proprio dal fallimento dei
negoziati economici con la Gran Bretagna e dalla decisione di
Whitehall di imporre al duce la scelta tra laccettare lacquisto di
carbone inglese in cambio di forniture italiane di materiale belli-
co agli Alleati o di subire in pieno gli effetti del blocco navale
anglofrancese. La posizione inglese, minuziosamente ricostruita
dallAutrice attraverso le carte del Foreign Office, permette infat-
ti al lettore di comprendere levoluzione della politica britannica
verso lItalia ma anche di coglierne la fondamentale ambiguit
stante la riluttanza del Cabinet londinese a riconoscere
linquilino di Palazzo Venezia come un partner affidabile e di pa-
ri livello nel Mediterraneo. Che tale fosse lobiettivo dellItalia
risulta chiaro dalle trattative condotte mediante lUge, che mira-
194
vano alla abolizione del certificato di origine sulle merci importa-
te, e dal rifiuto di Roma a sottostare al razionamento delle impor-
tazioni che Londra andava imponendo ai Paesi neutrali sfruttan-
do il suo dominio sui mari. Proprio nei giorni in cui si verificava
la rottura, per inciso, la Caproni aveva firmato gli accordi preli-
minari per la fornitura di 400 apparecchi militari destinati alla
Gran Bretagna. La crepa apertasi tra Londra e Roma fu, come
noto, abilmente sfruttata da Hitler che offr di soddisfare il fabbi-
sogno di carbone italiano via terra nonostante i problemi che tale
scelta comportava per il sistema ferroviario tedesco. Il migliora-
mento delle relazioni con la Germania divenne quindi subito evi-
dente, specie dopo la visita di Ribbentrop e lincontro al vertice
tra Mussolini e Hitler al Brennero. Sarebbe per sbagliato vedere
nella marcia di avvicinamento a Berlino il segno di una decisione
di Mussolini a intervenire nel conflitto gi dal marzo del 40.
Come lAutrice ben sottolinea, lo stesso promemoria segretissimo
del 31 marzo stilato dal duce non conteneva una visione strategi-
ca precisa e soprattutto non prevedeva date certe per lentrata in
guerra. Lo stesso concetto di guerra parallela, contenuto in quelle
righe, era lennesima spia di quellaffannosa ricerca di un margi-
ne di azione indipendente anche nel caso che lItalia avesse dovu-
to prendere le armi contro gli occidentali. Sarebbero stati, come
noto, soltanto il crollo rovinoso della Francia sotto il peso delle
armate naziste e i segnali di cedimento nel campo alleato a spinge-
re il duce alla fatale decisione di associare il nostro Paese alle sorti
della Germania hitleriana.

EMILIO GIN
Livio Spinelli, Il Sionismo in Italia e nella politica estera fa-
scista, Pagine, Roma, 2013.

195
Il saggio di Livio Spinelli scrittore, pubblicista e docente si
propone un obiettivo audace; chiarire e far luce su uno degli a-
spetti pi delicati e controversi, nonch il pi oscuro e meno co-
nosciuto, della storia politica dellItalia del Ventennio ovve-
ro latteggiamento del Partito fascista italiano nei confronti della
popolazione ebraica italiana e, in particolar modo, del movimen-
to sionista italiano. Nel libro, tuttavia, non si parla solo di Italia
fascista, ma anche dei rapporti, altrettanto oscuri e poco cono-
sciuti, intercorsi tra la Germania nazista di Hitler e la comunit
ebraica tedesca, anche questi trattati con dovizia di dettagli e ci-
tazioni tratte da documenti originali. Il libro, nonostante il tema
impegnativo, scorre facilmente. La prosa chiara e semplice e i
riferimenti alle note, che sono poste al termine di ognuno dei
dieci capitoli di cui consta il libro, risultano immediatamen-
te identificabili. Gran parte delle informazioni, inoltre, elegan-
temente inserita nel testo, dimodoch la lettura dello stesso non
viene in alcun modo rallentata.
Il libro si apre con la trattazione dellattiva partecipazione de-
gli ebrei italiani non solo come semplici iscritti al partito fascista,
bens anche come veri e propri fondatori dello stesso. Basti pen-
sare che la sala in cui si svolse la cerimonia della fondazione dei
Fasci di Combattimento, una saletta del Circolo degli Interessi
Industriali, commerciali e agricoli, a piazza Sepolcro n. 9, la do-
menica del 23 marzo del 1919, fu messa a disposizione dal presi-
dente Cesare Goldman, finanziere e uomo politico ebreo, nonch
massone, e che un gran numero di ebrei italiani aderirono entu-
siasticamente al partito fascista, e dimostrarono pi volte la loro
lealt al Duce e alla Patria partecipando in gran numero alle
Giornate della Fede e alle offerte delloro alla Patria. Spinelli
tuttavia dimostra anche come non sia corretto affermare che tutti
gli ebrei italiani fossero fascisti, giacch un buon numero di essi,
soprattutto intellettuali, si opposero al regime e combatterono
Mussolini e il suo partito fin dai primi anni, pagando tale scelta
con la carriera, le percosse, lesilio e, talvolta, la vita.
Dopo aver fatto chiarezza sui controversi e complicati rapporti
tra fascismo e massoneria, il libro prosegue spiegando brevemen-
te il movimento Sionista, nato ufficialmente a Basilea il 31 agosto
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del 1897 con il nome di Organizzazione Sionista Mondiale. Tale
rapido excursus indispensabile per la comprensione delle dina-
miche trattate nei capitoli successivi, in quanto spiega chiara-
mente come sia stato possibile che le visioni e le linee di azione
del movimento sionista italiano e del Partito fascista, prima, e del
movimento sionista tedesco e del Partito nazionalsocialista, poi,
coincidessero in toto per quanto riguardava la soluzione alla
questione ebraica, ovvero il ritorno del popolo ebraico in Pale-
stina, nella Terra Promessa. Mussolini, da buon politico e di-
plomatico quale era, riusc a favorire il transito di decine di mi-
gliaia di profughi ebrei, provenienti in gran parte dalla Germania
di Hitler, per la Palestina facendoli transitare per il porto di Trie-
ste, guadagnandosi nel contempo anche lappoggio della popola-
zione araba, il tutto in chiave anti-britannica e in vista di un di-
segno egemonico sul Mediterraneo.
Come nota Spinelli, il numero di ebrei italiani che migrarono
fu esiguo; dopotutto essi erano ben integrati in Italia, non erano
oggetto di discriminazioni di alcun genere e si riconoscevano in
primis come italiani, e poi come ebrei, e in quanto italiani la loro
unica patria era lItalia. Ma mentre in Italia le cose stavano cos,
in Germania Hitler mobilit addirittura le SS affinch facessero
emigrare il maggior numero possibile di ebrei tedeschi verso la
Palestina. Gran parte di questi coloni era sionista e, curiosamen-
te, era guardata con una certa ammirazione e a tratti con sincera
simpatia perfino dalle alte sfere del partito nazista, in quanto i
Sionisti si identificavano come appartenenti alla razza ebraica e
anelavano al ritorno nella loro antica patria. Le idee di razza e
il concetto di popolo legato alla propria patria erano concetti
chiave dellideologia nazista, che invece considerava con il mas-
simo disprezzo gli ebrei tedeschi che cercavano di assimilarsi,
considerandosi in primis tedeschi e aventi come patria la Germa-
nia, e in secundis ebrei.
Si stima che quasi il 10% della popolazione di religione ebraica
tedesca emigr in Palestina, aiutata come detto in precedenza
dallo stesso Mussolini, e sembrerebbe che il mutato atteggiamento
nazista verso gli ebrei sia iniziato ad affermarsi sempre pi marca-
tamente in concomitanza con la continua e drastica riduzione del
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numero di ebrei che lasciavano la Germania.
Successivamente, viene trattato largomento della nascita del-
la Marina israeliana, e del ruolo centrale che Mussolini, con il
suo consenso al progetto, rivest, e del vitale contributo del Gene-
rale Guido Aronne Mendes, che scelse la Scuola Marittima di Ci-
vitavecchia come sede per la formazione dei quadri della futura
Marina di Israele, e di quello del Capitano Nicola Fusco, lallora
direttore della scuola stessa. Tale corso permise a quasi 200 ebrei
provenienti da ogni parte dEuropa di specializzarsi nella carriera
marinara. Va ricordato, per, che il supporto italiano a tale ini-
ziativa, pi che da motivazioni politiche fu mosso da considera-
zione di carattere prettamente economico, basate sul rientro in
Italia di ingenti capitali generati proprio da questa nuova Marina.
LAutore non manca di trattare largomento del salvataggio
da parte di Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, del suo amico Guido
Mendes, il Patrono della Scuola Marittima di Civitavecchia al-
lorquando, due mesi dopo il luglio del 1938, mese in cui fu pub-
blicato il Manifesto della razza, furono emanati i provvedimenti
antisemiti. Pacelli infatti riusc dapprima a far emigrare Mendes
e tutta la sua famiglia in Svizzera e, nel 1939, fu il Segretario di
Stato del Vaticano, Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI,
ad ottenere i certificati di immigrazione per la Palestina per i di-
retti interessati.
Il libro di Spinelli costituisce uno studio serio, ben argomentato
e documentato su aspetti poco conosciuti e divulgati della politica
filosionista di due potenze lItalia fascista e la Germania nazio-
nalsocialista solitamente associate allantisemitismo e getta luce
sulle motivazioni politiche ed economiche, ma anche geopolitiche
e, nella fattispecie, antibritanniche, di tale politica, almeno fino al
1938, anno contrassegnato dallemanazione delle leggi razziali in
Italia e dalla famigerata Notte dei Cristalli in Germania.

VALERIO DI ZENZO
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SIMONETTA BARTOLINI docente di Letteratura italiana moderna e con-
temporanea allUniversit degli Studi Internazionali di Roma (UNINT).
Si occupa di storia della cultura del Novecento con particolare riferimen-
to alle avanguardie storiche, alla prima guerra mondiale e allevoluzione
del romanzo. Tra le sue recenti pubblicazioni: Ardengo Soffici, il roman-
zo della vita, Le Lettere, 2009; Mistica sostantivo femminile. La mistica
laica di Cristina Campo, in La santa affabulazione. I linguaggi della
mistica in Oriente e Occidente, La Finestra editrice, Lavis, 2012; Il fan-
ciullino nel bosco di Tolkien. Pascoli: la fiaba, lepica e la lingua, Poli-
stampa, 2013. componente della giuria del Premio Strega.

SILVIO BERARDI professore associato di Storia contemporanea presso


la Facolt di Scienze Politiche dellUniversit degli Studi Niccol Cusa-
no Telematica Roma. I suoi studi si incentrano soprattutto sul pensie-
ro federalista e repubblicano italiano tra Ottocento e Novecento. Tra le
sue recenti pubblicazioni: Francesco Saverio Nitti. DallUnione Sovieti-
ca agli Stati Uniti dEuropa, Anicia, 2009; LItalia risorgimentale di Ar-
cangelo Ghisleri, FrancoAngeli, 2010; Mary Tibaldi Chiesa. La prima
donna repubblicana in Parlamento tra cooperazione internazionale e
mondialismo, FrancoAngeli, 2012.

GUGLIELMO DUCCOLI giornalista pubblicista e si occupa da molti an-


ni di divulgazione storica. Ha ideato e realizzato l'Atlante storico inte-
rattivo per l'Enciclopedia multimediale Rizzoli-Larousse (2003), e ha
diretto i periodici L'Illustrazione Italiana e Civilt (2011) per l'edito-
re My Way Media. Attualmente dirige il progetto Historyca per la
realizzazione del primo sito web interamente dedicato alla valorizza-
zione della fotografia storica.
200
MILA MIHAJLOVIC giornalista, scrittrice, storica italiana di origine
serba; lavora in Rai (Roma) dal 1985. autrice di cinque libri di carat-
tere storico-documentario e legati ai rapporti tra l'Italia e i Balcani; l'ul-
timo, Per l'Esercito serbo - una storia dimenticata, stato edito dallo
Stato Maggiore della Difesa nel 2014. Ha tradotto in italiano vari libri
di scrittori serbi e montenegrini. Da diversi anni collabora come docen-
te con il Centro Lingue Estere dell'Arma dei Carabinieri.

GIUSEPPE PARLATO professore ordinario di Storia contemporanea


allUniversit degli Studi Internazionali di Roma (UNINT). Si occupa-
to di storia del Risorgimento italiana e del fascismo e attualmente si
occupa della storia della destra italiana. Tra le sue recenti pubblicazio-
ni: Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia (1943-
1948), il Mulino, 2006; Mezzo secolo di Fiume. Economia e societ a
Fiume nella prima met del XIX secolo, Cantagalli, 2009. presidente
della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.

GREGORIO SORGON dottore di ricerca in Storia politica e sociale


dellEuropa moderna e contemporanea presso lUniversit di Roma 2
Tor Vergata. Ha pubblicato monografie e saggi sulla storia politica ita-
liana del Novecento. Ha pubblicato recentemente La svolta incompiuta:
il gruppo dirigente del Pci dall'8. all'11. congresso (1956-1965), Aracne,
2011.

VALERIO TORREGGIANI dottorando in Storia dEuropa: politiche, isti-


tuzioni societ (XIX-XX secolo) presso lUniversit degli Studi della
Tuscia. I suoi interessi di ricerca ruotano principalmente intorno alla
diffusione delle idee corporative in Europa tra la fine del XIX secolo e
la met del XX secolo. Attualmente sta lavorando ad una tesi dottorale
che intende analizzare tale diffusione in Gran Bretagna nei primi
trentanni del XX secolo.

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