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Rivista trimestrale 00136 Roma
Anno XIII n. 51 - 2014
Registrata presso il Tribunale di Roma Tel. 06 45468600
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INDICE
EDITORIALE p. 5
SAGGI
NOTE E DISCUSSIONI
OSSERVATORIO
DOCUMENTI
RECENSIONI p. 181
Francesco Bonini
Simona Colarizi
Giuseppe Parlato
Gaetano Sabatini
9
di GIUSEPPE PARLATO
La successione
1
Su Genova 1960, il mancato congresso missino e la rivolta della piazza si
vedano in generale P.G. MURGIA, Il luglio 1960, Sugarco, Milano, 1968; P.
COOKE, Tambroni e la repressione fallita, Teti ed., Milano, 2000; A. BENNA,
L. COMPAGNINO, 30 giugno 1960. La rivolta di Genova nelle parole di chi
Il Sessantotto invece non fu sostanzialmente compreso dalla
classe dirigente missina, la quale si trov riunita in una valuta-
zione del tutto negativa della rivolta, in nome di un anticomuni-
smo che allora sembr evidente dovere sostenere ma che succes-
10
sivamente determin una vera e propria diaspora nel mondo gio-
vanile neofascista, senza, per altro, produrre vantaggi elettorali al
Msi2.
La rivolta del 68 rischiava di compromettere la strategia mi-
cheliniana, quella strategia che, iniziata nella prima met degli
anni Cinquanta, ancor prima che Michelini diventasse segretario
del Msi, puntava a trasformare culturalmente e politicamente la
Fiamma in un partito di destra presentabile e spendibile, in grado
di lasciarsi alle spalle il fascismo, da consegnare agli storici. Il che
non significava rinnegare Mussolini e il suo regime, ma cercare di
essere fascisti in democrazia, con tutto quello che ci avrebbe
comportato: in primo luogo la difficile impresa di rendere compa-
tibile il fascismo con la democrazia. Difficile, ma non impossibile,
come avevano dimostrato le posizioni culturali e politiche di Erne-
sto De Marzio e Nino Tripodi, i quali rispettivamente con il Centro
di vita italiano e con lInspe (Istituto Nazionale di Studi Politici ed
Economici) avevano creato una percorso di formazione politica
cera, Frilli editore, Genova, 2002; A. BALDONI, Due volte Genova. Luglio
1960 luglio 2001: fatti, misfatti, verit nascoste, Vallecchi, Firenze, 2004;
J. CELLAI, Genova cinquantanni dopo. Linserimento mancato: il Msi dalle
origini al congresso del 1960, Sassoscritto, Firenze, 2010.
2
Sul 68 di parte missina o neofascista si vedano, tra gli altri, A. GASPARET-
TI, La destra e il 68, Settimo Sigillo, Roma, 2006; G. TAGLIENTE, S. MEN-
SURATI, Il Fuan. Trentanni di presenza politica nelluniversit, Atheneum,
Roma, 1982; A. BALDONI, Noi rivoluzionari. La Destra e il caso italiano.
Appunti per una storia 1960-1986, Settimo Sigillo, Roma, 1986; ID., La De-
stra in Italia (1945-1969), Pantheon, Roma, 1999, pp. 587 615; N. RAO,
Trilogia della celtica, Sperling & Kupfer, Milano, 2014, pp. 100-111; molto
interessante lintervista a Cesare Mantovani, presidente del Fuan nel 68, in
La crisi del sistema politico italiano e il Sessantotto, a c. di G. ORSINA e G.
QUAGLIARIELLO, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, pp. 249-264; per un
inquadramento complessivo, G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto. Il Msi
dalla contestazione alla destra nazionale (1968-1973), Istituto di Studi Cor-
porativi, Roma, 1992, pp. 15-89.
che usciva dal nostalgismo e si poneva in stretto dialogo con la
dottrina sociale cristiana prefigurando un accordo a livello cultu-
rale fra il fascismo moderato (antitotalitario, antirazzista e lontano
dai miti nazionalsocialisti) e il pensiero sociale cristiano quale si
11
era strutturato attraverso le encicliche pontificie.
Il 68 poneva invece altri interrogativi e faceva risultare im-
mediatamente obsoleta questa strategia: i giovani stavano supe-
rando sia lantifascismo, sia lanticomunismo, in nome di sintesi
confuse e politicamente non produttive, ma sicuramente pi affa-
scinanti della logica dellinserimento nel sistema. Molti dei gio-
vani che erano stati formati negli anni Cinquanta dai De Marzio
e dai Tripodi (da Accame a Gianfranceschi, da Legitimo a Vassal-
lo, solo per citarne qualcuno) si trovarono in difficolt: Accame,
per avere individuato elementi positivi nella contestazione, nel
68 dovette lasciare il Borghese3.
Inoltre, limmagine di Almirante e Caradonna alla Sapienza,
alla guida delle squadre che avrebbero dovuto contrastare
loccupazione rossa dellUniversit, aveva segnato un punto di
non ritorno per molti neofascisti presenti nellAteneo in termini
di contestazione al sistema. Ed ancor pi grave che insieme con il
cattolico, anticomunista e filo atlantico Giulio Caradonna (il cui
culto della violenza non era mai stato al servizio delleversione
ma semmai della preoccupazione di rimettere ordine laddove si
presumeva non ci fosse) ci fosse Giorgio Almirante, che aveva
dalla sua molti giovani e che si presentava s come il fascista, ma
il fascista intelligente e critico, il movimentista, erede semmai di
un fascismo eretico e rivoluzionario. La presenza di Almirante
convinse molti giovani dirigenti missini a dubitare della sua in-
transigenza, per altro pi volte sconfessata in occasione dei con-
gressi, allorquando il brillante e intelligente oppositore si metteva
daccordo con lapparato di maggioranza, come era accaduto a
Milano e a Pescara.
Che poi il Msi fosse il paladino del sistema che si sarebbe do-
vuto abbattere, questo per molti giovani e mano giovani (pen-
3
Si veda, a tale proposito, il racconto della vicenda in G. ACCAME, Fascismo
immenso e rosso, Settimo Sigillo, Roma, 1990, pp. 25-29.
siamo a Luciano Lucci Chiarissi e al gruppo de LOrologio, ma
pensiamo anche alla evoluzione di Ordine Nuovo e di Avanguar-
dia nazionale) risultava intollerabile.
Alla luce di questo complesso scenario, risult ancora pi dif-
12
ficile la scelta del nuovo segretario del Msi. A leggere la storia a
distanza di anni, la nomina di Almirante potrebbe apparire asso-
lutamente scontata4. Allora cos non fu. Almirante era sicura-
mente un punto di riferimento allinterno del Msi, ma soprattutto
della minoranza che a lui faceva capo. Uscito male dalla segrete-
ria nel gennaio 1950, la sua azione per 19 anni fu sostanzialmente
ambigua: da un lato lopposizione dura nelle parole e negli scritti,
dallaltro la flessibilit nel mettersi daccordo con Michelini, sal-
vando lunit del partito; da un lato lappoggio ai giovani e alle
frange pi radicali del partito, dallaltro la partecipazione
allazione alla Sapienza. Almirante controllava non pi di un terzo
del partito: una forte minoranza, esigente e poco incline al com-
promesso tanto che al congresso di Pescara era stato contestato dai
suoi dopo laccordo realizzato con Romualdi e Michelini.
La scelta di Almirante fu, come si disse unitaria e laccordo fu
raggiunto nel breve volgere di due settimane: il 29 giugno Almi-
rante veniva eletto allunanimit segretario. Comprendere come
si sia raggiunto rapidamente quellaccordo, porter a cogliere
meglio i motivi e le dinamiche della scissione di Democrazia na-
zionale del 1976.
Pino Romualdi, nella Intervista sul mio partito, nella quale
raccont il proprio ruolo e diede i propri giudizi in merito a qua-
rantanni di storia missina, sostenne che la scelta di Almirante
fu voluta da tutti, anche da ambienti esterni; una scelta di cui
5
non rest che prendere atto . La frase allude a una scelta in
qualche modo obbligata, sia dallunanimit dei consensi, sia da
agenti esterni che la suggerirono. La frase, in ogni caso, risulta
ancora oggi piuttosto criptica: Tarchi tra i pochi che si sia se-
4
Si veda ad esempio il recentissimo volume di A. GRANDI, Giorgio Almirante.
Biografia di un fascista, Sperling&Kupfer, Milano, 2014, pp. 272 che alla que-
stione dedica pochissime righe.
5
P. ROMUALDI, Intervista sul mio partito, in Proposta Nazionale, n. 3-4,
maggio-agosto 1987.
riamente interrogato su questa battuta di Romualdi, senza per al-
tro venirne a capo: lipotesi che la Confindustria avesse deciso di
appoggiare la candidatura di Almirante effettivamente poco
probabile6. Tuttavia, Romualdi non era persona che si dilettasse
13
in provocazioni gratuite: piuttosto era stato un elemento che a-
veva svolto un fine e sotterraneo lavoro tra le quinte nella fase
clandestina del neofascismo. lo stesso Tarchi che, analizzando
la questione, a fare riferimento alle tesi del governo invisibile
di Giorgio Galli7, a proposito del quale occorre dire che non vi
mai una unica linea direttiva, ma ve ne sono diverse, secondo i
momenti storici. Nel caso specifico, pi che ipotizzare, come mo-
stra di fare Tarchi, un consenso degli ambienti democristiani a
un Almirante tenuto sotto tutela dai micheliniani, si potrebbe
pensare allesatto contrario. Anche nel 1950, la Dc, uscito di sce-
na Almirante, dovette modificare la sua strategia: finch si trat-
tava di avere alla propria destra un partito di reduci e fortemente
legato al ricordo e allesempio di Sal, rappresentato, appunto,
dalla prima segreteria Almirante, la Dc non poteva temere alcun-
ch; quando invece ad Almirante successe De Marsanich con la
sua politica di apertura ai monarchici e con disegni moderati da
grande destra poi proseguiti e incrementati da Michelini la
Dc dovette impostare una politica diversa esercitando un pi at-
tento controllo del Msi (repressione giovanile, revoca del III con-
gresso di Bari, contenimento delloperazione Sturzo, legge Scel-
ba); soltanto dopo il 1953, in una situazione obiettivamente diffi-
cile per la coalizione centrista, ci furono le note aperture dei go-
verni monocolori alle destre.
Almirante quindi, se vogliamo dare credito alla battuta di Ro-
mualdi, rappresentava per gli ambienti del governo invisibile un
elemento di maggiore sicurezza, almeno nel giugno 1969, rispetto
ai moderati della corrente di Michelini. Poi evidentemente le cose
cambiarono, non appena giunsero i primi risultati positivi al nuo-
6
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo,
intervista a cura di A. CARIOTI, Rizzoli, Milano, 1995, pp. 74-75.
7
G. GALLI, La crisi italiana e la destra internazionale, Mondadori, Milano,
1974.
vo corso missino e non appena ci si avvide che Almirante, almeno
per certi aspetti, stava continuando la politica di Michelini.
Vi comunque unaltra interpretazione della successione a
Michelini che per altro non affatto alternativa alla precedente
14
e proviene dallinterno del gruppo micheliniano. Il candidato
destinato naturalmente a succedere a Michelini era Giovanni Ro-
berti, segretario generale della Cisnal, il sindacato missino fonda-
to nel 1950 da Giuseppe Landi. Roberti ha raccontato che ritene-
va Almirante luomo pi adatto a galvanizzare il partito e che si
diede da fare a convincere i micheliniani ad appoggiare Almiran-
te8. In realt, come ha rivelato De Marzio, Roberti non aveva af-
fatto voglia di fare il segretario nel timore di non riuscire ad es-
sere cos abile come era stato Michelini nellimbrigliare
lopposizione di Almirante. Per cui si addivenne a un accordo:
Almirante avrebbe fatto il segretario a condizione di proseguire
la politica del suo predecessore, e cio realizzare quellapertura al
residuo movimento monarchico, che Michelini negli ultimi mesi
della sua segreteria aveva gi iniziato a perseguire9, allo scopo di
unire ambienti non fascisti e cattolici alla prospettiva di una de-
stra nazionale10.
8
G. ROBERTI, Lopposizione di destra in Italia 1946-1979, Gallina, Napoli, 1988,
pp. 237-239.
9
Ivi, pp. 236-7.
10
Io sapevo che Roberti non aveva voglia di fare il segretario del partito. Gli
proposi un incontro a tre con Almirante, per ottenere da lui assicurazioni che
avrebbe fatto la politica di destra nazionale (il nome fu suggerito da me e fu
tratto da un discorso di Salandra del 1921, che con quella denominazione volle
indicare lo schieramento comprendente i suoi deputati, i deputati nazionalisti
e quelli fascisti) (). Io sapevo che ad Almirante non interessava la politica ma
il potere. E accett una precisazione di Roberti secondo la quale la destra na-
zionale doveva essere lavvio per la trasformazione del partito in un partito di
destra democratica (cio democrazia nazionale). Almirante, non solo dette a-
dempimento allimpegno, ma acceler la marcia verso la trasformazione fina-
le (E. DE MARZIO, La mia destra e quella di Fini, in Meridiano Sud, 30 set-
tembre, 1995); si veda anche la memoria di De Marzio rilasciata a Raffaele
Delfino, sostanzialmente analoga con qualche dettaglio in pi (ci sono le paro-
le virgolettate con le quali Almirante accett di svolgere una politica di destra
e non di alternativa al sistema), in R. DELFINO, Prima di Fini, intervista a cura
di M. Bertoncini, prefazione di F. Perfetti, Bastogi, Foggia, 2004, pp. 90-91. In-
Pi precisa stata la testimonianza di Massimo Anderson, re-
sponsabile giovanile del Msi e fondatore nel 1971 del Fronte della
Giovent: la base giovanile scalpitava per limmobilismo cui era
stata costretta dalla malattia di Michelini:
15
14
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 97 ss. e 112.
15
Ivi, p. 100.
per potere condizionare la Dc ed eventualmente aiutarla nel caso
in cui avesse intrapreso una linea affettivamente anticomunista;
se invece ci non fosse riuscito se cio la Dc avesse continuato
la sua politica considerata ambigua e di cedimento rispetto al Pci
18
il Msi si sarebbe qualificato come il partito pi deciso a contra-
stare la presa del potere del Pci e avrebbe raccolto intorno a s
pi ampi consensi.
La seconda fase della strategia fu il ritorno al Msi di coloro
che nei due decenni precedenti se nerano allontanati: una parte
della sinistra (non Pini e Pettinato, che nei confronti di Almirante
avevano una diffusa sfiducia personale e politica, tra laltro data-
ta non da qualche anno ma dalla Rsi16 e neppure di Massi, per il
quale non si tratt di un ritorno ma di un riavvicinamento) e
soprattutto Rauti e una parte cospicua di Ordine Nuovo, uscito
dal Msi nel 1956, dopo la sconfitta degli spiritualisti al congres-
so di Milano.
Tra i due gruppi vi era una differenza non da poco: se la sini-
stra negli ultimi anni era stata sempre pi isolata, Rauti aveva
dietro di s un gruppo non trascurabile, sia in termini numerici,
sia in termini di capacit organizzativa e politica.
La sinistra, dopo luscita di Pini e di Pettinato, nel 1952, dopo
che Francesco Palamenghi Crispi, che della sinistra nazionale era
considerato uno dei maggiori esponenti, aveva assunto importan-
ti ruoli istituzionali in Banca dItalia ed era uscito dalla scena po-
litica, dopo la diaspora dei gruppuscoli che si richiamavano al
terzaforzismo e allequidistanza fra Urss e Usa, si era divisa: una
parte era passata con il segretario Michelini, accettando la sua
politica dellinserimento; unaltra parte, quella intellettualmente
pi dotata culturalmente e con una non trascurabile componente
16
Sia Pini che Pettinato avevano rappresentato in Repubblica Sociale lala
moderata e aperturista che aveva trovato in Almirante e nel suo ministro,
Mezzasoma, una durissima opposizione. Pettinato attribu anche ad Almirante
sia la sospensione dalla direzione de La Stampa, avvenuta dopo il celebre
articolo Se ci sei batti un colpo, il 21 giugno 1944, sia la defenestrazione defini-
tiva dalla direzione del quotidiano torinese, lanno successivo (Cfr. G. PARLA-
TO, Introduzione a C. PETTINATO, Se ci sei, batti un colpo Cento articoli de
La Stampa per la storia della RSI, Lo Scarabeo, Bologna, 2008, pp. 35 e 41).
giovanile (Mario Bernardi Guardi, Francesco Pezzuto, Gaetano
Rasi, Giorgio Vitangeli, Franco Tamassia, Massimo Brutti, poi
approdato al Pci, solo per citarne alcuni), si era riconosciuta ne
LOrologio, la rivista di Luciano Lucci Chiarissi, una delle men-
19
ti pi aperte e lucide del neofascismo, che usc per un decennio,
dal 1963 al 197317.
Parte di questo gruppo (Rasi, Tamassia, Vitangeli), con Diano
Brocchi, sindacalista e collaboratore de LUniversale durante il
fascismo, e con esponenti della Cisnal, il sindacato vicino al Msi,
come Giovanni e Massimo Magliaro, Giuseppe Ciammaruconi e
altri, diedero vita alla Rivista di Studi Corporativi poi diretta da
Gaetano Rasi che si situ nella linea almirantiana, professandosi
il nuovo segretario nettamente corporativo e seguace
dellumanesimo del lavoro di Giovanni Gentile.
Tuttavia, nonostante lappoggio del vertice del partito, questo
gruppo Brocchi mor quasi subito, Massi era sempre impegnato
nellattivit accademica (ordinario a Roma di geografia economi-
ca, fu presidente per diversi anni della Societ Geografica Italia-
na18) non riusc a costituirsi come gruppo autonomo, n pot
incidere nella struttura politica della Fiamma, preferendo
unattivit prettamente culturale.
Ben diverso invece il discorso su Rauti e sul suo gruppo19.
Come disse Almirante a Gianpaolo Pansa in unintervista rila-
sciata i primi di dicembre del 1970 qualche giorno prima del
golpe Borghese lunico gruppo esterno al Msi che gli interessa-
va veramente era quello di Ordine Nuovo:
17
Su LOrologio si veda G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un pro-
getto mancato, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 372 ss.; si veda anche M. BOZZI
SENTIERI, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Nuove Idee,
Roma, 2007, pp. 107 ss.
18
Su Massi, oltre a Nazione Sociale. Scritti politici 1948-1976, a cura di G.S.
Rossi, Istituto di Studi Corporativi, Roma, 1990, si vedano gli atti del convegno
organizzato nel 2013 dalla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice e dalla
Societ Geografica Italiana su Ernesto Massi geografo e politico, a cura di A.
Perrone, attualmente in corso di stampa.
19
Una puntuale ricostruzione del rientro di Rauti e della sinistra si veda in
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 105 ss.
Mi chiese di prendere nota di un successo al quale teneva molto. Era
riuscito a riportare quasi per intero nellalveo del Msi lunico gruppo
esterno che gli interessava: lOrdine Nuovo guidato da Pino Rauti, il
pi consistente e il pi nobile. E aggiunse che la sua politica di con-
20
durre il partito in piazza gli aveva permesso di tenere con s i militanti
giovani, onesti, preparati e aggressivi20.
20
G. PANSA, Il revisionista, Rizzoli, Milano, 2009, pp. 405-406.
21
Il gruppo di Rauti ebbe anche importanti spazi istituzionali: 13 dirigenti di
Ordine Nuovo furono chiamati a fare parte del Comitato centrale del Msi,
quattro di costoro entrarono nella Direzione Nazionale (Rauti, Andriani, Ser-
monti e Maceratini).
22
Lo si evince dalle poche ma significative lettere di Almirante a Rauti rinve-
nute nellarchivio di questultimo, ora donato dalla famiglia alla Fondazione
Ugo Spirito e Renzo De Felice (AFUS, Archivio Fondazione Ugo Spirito, Fondo
Rauti, in corso di acquisizione).
23
G. GALLI, La crisi italiana e la destra internazionale, cit., p. 206.
non lo diedero a vedere24. Intanto usc Ordine Nuovo, una
nuova serie della rivista, meno rivoluzionaria che non nel pas-
sato e soprattutto priva di quegli accenni antisistemici e razzisti
che ne avevano connotato le precedenti serie. Su questo Almiran-
21
te era stato categorico, come spieg a Pansa in occasione della gi
citata intervista:
24
Sui dubbi nellambiente moderato circa il ritorno di Rauti nel partito, si ve-
da M. ANDERSON, Op. cit., p.76.
25
G. PANSA, Op. cit., p. 406. Peraltro, in una biografia giornalistica di Giorgio
Almirante, fondata pi su testimonianze orali che su documenti, si legge che
Almirante nel 1969 sapeva bene cosa pensano di Hitler e degli ebrei quelli di
Ordine Nuovo, conosce quelli che per anni saranno i loro testi fondamentali,
la loro simpatia per il filosofo Julius Evola (V. LA RUSSA, Giorgio Almirante.
Da Mussolini a Fini, Mursia, Milano, 2009, p. 137).
26
Si veda, per tutti, come esempio, larticolo non firmato (e quindi redaziona-
le), Razzismo speranza dEuropa, in Ordine Nuovo, n. 4-5, luglio-agosto
1955, ora nella ristampa anastatica Ordine Nuovo mensile di politica rivoluzio-
naria 1955, a c. di S. Pessot, Novantico editrice, Pinerolo, 2012, pp. 79 ss.
pedagogica in un ambiente piuttosto chiuso alla professionalit e
alla ricerca di nuove dimensioni della politica, uscendo con fasci-
coli monografici sui nuovi temi sui quali lattualit politica si co-
niugava.
22
Un ruolo particolare ebbe, dal punto di vista culturale, in que-
sto periodo la figura di Adriano Romualdi. Figlio di Pino, fonda-
tore del Msi e teorico di una linea aperturista e occidentale, A-
driano fu uno degli intellettuali pi completi e interessanti
dellambiente. Attivista della Giovane Italia al liceo Giulio Cesa-
re di Roma, si laure con De Felice e con Romeo alla Sapienza,
un po clandestinamente, visto che, per la sua fama di intellettua-
le e soprattutto di attivista, nessun professore lo voleva laurea-
re27. Quello che di Romualdi qui ci interessa, e che Rauti assunse
come linea programmatica della sua componente, fu luscita dal
nostalgismo neofascista, in termini ben diversi da quelli che ca-
ratterizzarono i micheliniani, cattolici e moderati.
Adriano Romualdi condusse per primo, in quellambiente, un
duro attacco al nazionalismo, compreso a quello fiancheggiatore
del fascismo, proprio mentre il Msi si accingeva a fare laccordo
con i monarchici e ad assumere quella linea di destra nazionale
che lavrebbe dovuto qualificare nellambiente moderato, cattoli-
co, nazionale e anticomunista. Lattacco al nazionalismo non era
ovviamente condotto in nome dei principi illuministici dell89,
bens in nome di valori tradizionali per i quali lo stesso concetto
di nazione appariva rivoluzionario e contrario allordine natu-
rale gerarchico. In questo contesto veniva posto sotto accusa lo
stesso fascismo, nella misura in cui si discostava dai miti euro-
peistici tipici del nazionalsocialismo nonch da quei movimenti
che, nellEuropa degli anni Trenta e Quaranta, avevano sostenuto
tesi razziste e totalitarie. Lattacco di Romualdi era chiarissimo e
senza equivoci:
27
Cfr. R. SIDERI, Adriano Romualdi. Luomo, lopera e il suo tempo, Settimo
Sigillo, Roma, 2012, pp. 9-10.
tica del nazionalismo dopo il 1945, dovuto al venir meno della ragione
storica delle piccole patrie europee di fronte alla Russia e
allAmerica.() Lidea di nazione, qual stata elaborata dalla cultura
romantica come sintesi dei valori di un popolo in antitesi ai valori degli
altri popoli europei, anchessa insufficiente a contrastare i miti inter- 23
nazionalistici della democrazia e del comunismo, di cui si fan scudo gli
imperialismi russo e americano: solo unideologia del nazionalismo eu-
ropeo lo potrebbe. () Il vocabolario della Destra (come il suo guarda-
roba, del resto: certe sezioni di partito stanno tra il negozio di rigattiere
e il sepolcro) ormai terribilmente demod e non ci si pu meravigliare
se i giovani voltano le spalle a tutto questo ciarpame. La Destra vec-
chia e non ha pi unidea. Rispondere: fascismo presuppone almeno
la coscienza che il fascismo di domani non pu pi essere quello di ieri,
quello dellItalia sola e autosufficiente, la quale sia chiaro non esi-
ster pi28.
28
A. ROMUALDI, La destra europea e la crisi del nazionalismo, in Id., Una cul-
tura per lEuropa, a cura di G. Malgieri, Settimo Sigillo, Roma, 1986, pp. 32 ss;
ora nella terza ed. 2012.
per la destra italiana, Almirante cerc invece di applicare una
strategia essenzialmente desunta dal fascismo nella sua scalata al
potere e in questo senso si pu parlare di nostalgismo almiran-
tiano.
24
Se fino ad allora Almirante aveva rappresentato lelemento di
punta della componente pi intransigente ed identitaria, assolu-
tamente contrario alla politica della destra nazionale operata da
Michelini, ora egli compiva un interessante rvirement: per arri-
vare alla segreteria accett di realizzare quella politica che prima
contestava anche duramente, ma a una condizione, che non era
tanto quella della propria segreteria, quanto quella di fare accet-
tare a tutti il metodo fascista, certo che in quellambiente sarebbe
stato accolto positivamente.
Tale metodologia si articolava in tre momenti: in primo luogo
si trattava di riconoscere la necessit di ricompattare il neofasci-
smo. Con Michelini vi era stato un progressivo affinamento della
proposta moderata con la progressiva fuoriuscita delle ali non
compatibili, allo scopo di giungere alla presentabilit esterna del
Msi: erano uscite la sinistra di Pini e Pettinato, poi quella di Mas-
si, infine la destra di Ordine Nuovo. Almirante, in questo senso
annullava di fatto lopera di Michelini: cos rientravano prima la
componente rautiana, quindi la sinistra.
Almirante cos poteva prepararsi per la seconda fase, quella
della nuova destra nazionale, giovane, dinamica, vivace e se ne-
cessario aggressiva nelle piazze, ben diversa da quella micheli-
niana29; come il fascismo era stato un fascio di forze diverse, cos
la destra nazionale poteva presentare tre componenti diverse: il
centro rappresentato da Almirante, in continua mediazione, ma
sostenuto dai risultati; la sinistra nazionale e corporativa, debole
29
La nuova aggressivit missina, in luogo del compassato stile del ragio-
nier Michelini, suscit limmediata reazione di Pietro Nenni e alla data del 26
maggio 1970, in seguito a una trasmissione di Tribuna Politica, lanziano
leader socialista annot nel suo diario: Siamo al punto che ieri Almirante ha
potuto alla TV auspicare una soluzione greca della nostra crisi politica e socia-
le, aggiungendo che il Msi non in grado di fare da solo questa operazione,
ma si offre come pattuglia dassalto (P. NENNI, I conti con la storia. Diari
1967-1971, Sugarco editore, Milano, 1983, p. 472).
numericamente, ma che per Almirante appoggiava, assorbendo-
la, pi che rafforzandola; e la destra che predicava lalternativa al
sistema.
Il Msi, esattamente come il fascismo, poteva presentarsi di si-
25
nistra, se necessario, in campo sociale, con la socializzazione e la
rappresentanza corporativa; conservatore e istituzionale per ras-
sicurare i moderati e per portare avanti la destra nazionale con
monarchici, cattolici ed eventualmente frange liberali; rivoluzio-
nario per galvanizzare i giovani, agitando unalternativa al si-
stema che prefigurava confusi nuovi scenari di societ; in ogni
caso il Msi poteva dichiarare di avere superato il dilemma fasci-
smo-antifascismo e nello stesso tempo presentarsi come il conti-
nuatore di uneredit complessa e pesante come quella fascista30.
Almirante non era nuovo a tale strategia: aveva tentato una
metodologia analoga nella prima segreteria (1947-1950), con risul-
tati disastrosi e scontentando tutti: pensare cio che, senza essere
al governo e senza la crisi dello stato liberale come nel 1919-21,
fosse possibile presentarsi come partito di sintesi, destinato a
diventare un modello di societ nella quale tutte le componenti
potessero riconoscersi ed essere rappresentate, determin la crisi
del partito e la necessit di sostituire Almirante alla segreteria
prima con Augusto De Marsanich, quindi con Michelini: costoro,
pur essendo fascisti a tutti gli effetti, avevano accuratamente scar-
30
Nellarticolo comparso sul Secolo dItalia il 1 gennaio 1970, Almirante espo-
se i termini della sua azione presente e futura. Per passare dallalternativa mo-
rale al centrosinistra e al comunismo a quella politica, bisognava andare oltre
gli angusti limiti e schemi dei reducismi e dellideologia per prendere atto che si
chiusa una fase storica () Il nostro passato si chiama Msi () Essere missini
oggi significa aver superato la polemica fascismo-antifascismo () avere co-
raggiosamente affermato la necessit () di non mandare dispersa una eredit
e una continuit di idee e principi, di costante politica e nazionale ed europea
che il movimento fascista ha tramandato a tutti gli italiani; e avere con altret-
tanto coraggio vissuto una diversa esperienza, accettandone nel bene e nel
male gli insegnamenti, respingendo ogni tentazione eversiva, filtrando il pas-
sato nel presente, sottoponendoci, giorno per giorno a un riesame critico e,
non temiamo di aggiungerlo, autocritico che ci consenta di presentarci alla
pubblica opinione come un movimento moderno, attuale, aggiornatissimo e al
tempo stesso ricco di tradizione.
tato lipotesi di ricalcare la strategia vincente di Mussolini, pen-
sando che in una societ pluralistica si dovesse avere una propo-
sta politica la pi omogenea possibile senza quella doppiezza che
era stata la caratteristica di Togliatti (e che port al fallimento del
26
progetto rivoluzionario del Pci) e che era stata ancora prima la
carta vincente di Mussolini: il fascismo era rivoluzionario o con-
servatore, democratico o dittatoriale secondo le opportunit della
situazione e secondo le necessit31.
Tra laltro, proprio questo problema sarebbe stato evidenziato
dalla domanda di autorizzazione a procedere presentata dal Pro-
curatore Generale della Repubblica al ministro di grazia e giusti-
zia Oronzo Reale il 7 luglio 1975 con limputazione di ricostitu-
zione del partito fascista, a proposito della singolare rassomi-
glianza della linea politica di Almirante con le metodologie che
portarono Mussolini alla conquista del potere32.
31
Come ha scritto Marco Tarchi, Almirante era abilissimo nellusare parole
dordine moderate e anticomuniste e slogan rivoluzionari e antisistemici (M.
TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 86).
32
Lunit di posizioni cos differenti (lappello ai moderati, da un lato, e
lalternativa al sistema, dallaltro) fu il principale motivo di contestazione da
parte della Procura della Repubblica: Vi sono sufficienti elementi per potere
affermare che questa unit venne basata sulla conciliazione fra due linee di-
vergenti, e cio quella dellazione politica nellambito del sistema democrati-
co-parlamentare che, consentendo di sfruttarne i vantaggi, poteva proiettare il
partito sul piano del consenso, attraverso lattrazione delle forze di destra, e
laltra dellazione rivoluzionaria dei giovani, premessa necessaria per il rag-
giungimento della meta finale che quella dellabbattimento del sistema. Nel-
lo stesso tempo in cui si dichiara di volere agire nel sistema si lascia aperta la
via ad altre soluzioni di carattere rivoluzionario, e comunque non democrati-
che, mediante un artificio dialettico che rappresenta, da un lato levento rivo-
luzionario in termini assolutamente ipotetici in presenza di determinati pre-
supposti (linserimento dei comunisti nellarea del potere) e dallaltro conside-
ra inevitabile il verificarsi dei presupposti come conseguenza del regime de-
mocratico () Il discorso di cui sopra, a ben vedere, riprende la formula fasci-
sta del consenso e della forza e ripropone, tra laltro, lalternativa di Musso-
lini che, durante limperversare delle squadre fasciste, non mancava di blandi-
re e di minacciare dichiarandosi incerto tra legalit e illegalit (Atti parla-
mentari, Camera dei Deputati, VI legislatura, Doc. IV, n. 244, Domanda di au-
torizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Tripodi Antonino (...) per
il reato di cui gli articoli 1 e 2 della legge 20 giugno 1952 n. 645 (Riorganizza-
Questo fu il vero nostalgismo almirantiano, non i saluti romani
o le teste del duce nelle sedi. Non si tratt di un nostalgismo e-
motivo, ovviamente, bens di una scelta ragionata e consapevole
da parte del segretario del Msi, il quale sapeva anche e lo si ve-
27
dr pi avanti che questa strategia sarebbe stata lunica a tenere
unito il partito, finch naturalmente sarebbe stato possibile conci-
liare linconciliabile. Unultima osservazione: la vera differenza fra
la strategia di Mussolini e quella di Almirante fu che la prima era
uno strumento che avrebbe dovuto portarlo, come lo port, rapi-
damente al potere; la seconda era una strategia di opposizione, in
una condizione in cui la doppiezza e lambiguit del messaggio sa-
rebbero stati stigmatizzati (come lo furono) con notevole rapidit
e, alla fine, scontentando tutti, ma tenendo unito il partito.
In tutto questo, lerrore dei micheliniani fu notevole: in primo
luogo non avere avuto il coraggio di assumere la segreteria del Msi
e di avere lasciato che la prendesse Almirante; in secondo luogo di
non essersi accorti che larrivo di Rauti avrebbe modificato non solo
limmagine del partito ma anche il suo assetto e soprattutto la sua
sostanza, come poi fu. Rauti non fu unappendice posta al solo scopo
di attirare i giovani. Il ruolo di Rauti, come si detto, fu notevole e
non solo culturalmente ma anche nellambito di un condiziona-
mento di Almirante che lo stesso us per avere un altro polo sul
quale mediare: poteva dire a Rauti che non riusciva a portare a-
vanti una politica sinceramente rivoluzionaria perch cerano i
moderati della vecchia linea di Michelini; e poteva dire a questi ul-
timi che non poteva allargarsi a una riconsiderazione del partito
esclusivamente moderata perch lo impediva la cospicua presenza
culturale rappresentata da Rauti e dai giovani militanti, ai quali
evidentemente poco interessava la politica realista dei moderati.
zione del disciolto partito fascista) trasmessa dal Ministro di Grazia e Giusti-
zia Oronzo Reale alla Camera dei Deputati, estratto, pp. 14-15).
novembre 1970, fu il congresso dellunit, dopo tanti pratica-
mente tutti, salvo il primo nei quali il partito risult spaccato e
conflittuale. Al di l delle questioni interne, Almirante lanciava il
fronte articolato anticomunista, allo scopo di fare del Msi il
28
punto di riferimento per tutti gli uomini che intendono battersi
moralmente e fisicamente per la libert contro il comunismo.
Non era evidentemente un nuovo partito ma una prospettiva
nuova che non piacque molto a Rauti, che invoc un esito nazio-
nalrivoluzionario allanticomunismo della Fiamma33, ma che tro-
v favorevole tutte le componenti interne. Sicuramente influ,
nella scelta strategica di Almirante, anche il particolare momento
storico: lautunno caldo del 1969, visto sia come coda eversiva
del complesso fenomeno del 68, sia come strumento per un
maggiore spazio politico del Pci. Non era cos, evidentemente, e
fu proprio dal 68 e dallautunno caldo che inizi la lenta discesa
del Pci non tanto dal punto di vista elettorale, quanto al proprio
interno, nelle iscrizioni alle organizzazioni giovanili. In realt
questi fenomeni, in prospettiva, misero in difficolt il Pci di Ber-
linguer che fu costretto, qualche anno pi tardi, a formulare la
proposta del compromesso storico. A questo quadro, si aggiunga
la bomba di Piazza Fontana, per la quale le prime indagini indi-
viduavano come responsabili gli anarchici; il quadro era comple-
to per un richiamo dei moderati e dei benpensanti a una forte
politica anticomunista che la Dc non sembrava pi volere con-
durre e i partiti laici di centro (i liberali, in particolare) mostra-
vano di non potere fare.
Agli aspetti, per cos dire, pi eversivi, altri segnali davano
limpressione che lItalia scivolasse lentamente ma inesorabil-
mente verso un governo controllato dal Pci: lapprovazione della
legge che istituiva le regioni a statuto ordinario, lo Statuto dei la-
voratori e infine la legge sul divorzio. Si trattava di tre provve-
dimenti molto diversi fra loro, che per la stampa missina pose
allinterno di un unico disegno. Lopposizione della destra fu du-
rissima sulle regioni e sul divorzio, mentre sullo Statuto dei lavo-
33
P. NELLO, Il partito della Fiamma. La destra in Italia dal Msi ad An, Istituti
editoriali e poligrafici internazionali, Pisa, 1998, p. 36.
ratori il Msi si astenne. A questo si aggiungeva linstabilit poli-
tica: la fine del governo Rumor, un monocolore Dc, allinizio del
1970, apriva una crisi che si concludeva soltanto due mesi pi
tardi con un nuovo governo di centrosinistra, sempre guidato dal
29
democristiano Rumor, con socialisti, socialdemocratici e repub-
blicani. Il Msi ne approfitt per chiedere le elezioni anticipate. Le
elezioni politiche non si fecero, ma in giugno erano previste le
regionali, le prime della storia italiana: si votava soltanto nelle
regioni a statuto ordinario, quindi ovunque salvo in Sicilia, Sar-
degna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. La battaglia
elettorale fu essenzialmente politica, per il Msi, di fronte al primo
banco di prova per la nuova segreteria. Il partito aument, non di
molto, in voti e in percentuali, ma per la prima volta dopo sette
anni il Msi risaliva la china.
Rispetto alle precedenti politiche, passava dal 4,3 al 5,2 a livel-
lo nazionale: le regioni che diedero maggiori soddisfazioni furono
il Lazio (10,2% con un incremento di due punti), la Campania
(8,8, con un incremento di 3,4 punti percentuali) e la Puglia (8,7,
con un aumento del 2%); laumento nel difficile Piemonte (+1,1%)
non modific landamento generale che fu di forte meridionaliz-
zazione dei consensi al partito. Non vi fu soprattutto alcun spo-
stamento a destra del quadro politico: lo 0,9 in pi ottenuto in
percentuale dal Msi venne ampiamente compensato dalla flessio-
ne dell1,3 dei liberali e da quella dei monarchici (-0,5)34.
Anche se il successo non fu ampio, Almirante trasse la logica
conseguenza che lunit e la dinamicit del partito pagavano a
livello elettorale e rafforz cos la sua leadership. Ma il problema
del rapporto tra destra moderata e destra aggressiva si ripropose
poco dopo, un mese dopo le elezioni regionali, con la rivolta di
Reggio Calabria. Non questa la sede per tracciare una nuova
interpretazione del fenomeno eversivo calabrese35, quanto piutto-
34
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 132-133.
35
Il lavoro scientificamente pi completo sicuramente quello di L. AMBROSI,
La rivolta di Reggio. Storia di territori, violenza e populismo nel 1970, Rubbet-
tino, Soveria Mannelli, 2009. Sulla rivolta di Reggio si veda anche La rivolta.
Reggio Calabria: le ragioni di ieri e la realt di oggi, a cura di G. Rossi, Istituto
di studi corporativi, Roma, 1991. Un ampio capitolo del volume di G.S. ROSSI,
sto per valutare il ruolo del Msi nella questione.
Scoppiata nel luglio 1970, la rivolta calabrese incubava da
quasi un anno a causa del trasferimento del capoluogo regionale
a Catanzaro. Immediatamente il Msi, reduce da una dura campa-
30
gna contro le regioni a statuto ordinario e contro ogni logica re-
gionalista interpretata come un danno per lo Stato, si dichiar
contrario a ogni appoggio ai rivoltosi. Nino Tripodi, deputato
reggino, condann le barricate e la protesta, pur riconoscendo lo
stato di degrado in cui versava la citt. Soltanto dopo larrivo a
Reggio del Fronte Nazionale del principe Borghese e di Avan-
guardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, il Msi cominci a pre-
occuparsi; gli stessi giovani missini, al campo scuola dei dirigenti
giovanili, nel settembre 1970, si dichiararono favorevoli a un im-
pegno diretto del partito a favore dei rivoltosi36.
In quei giorni inizi a modificarsi latteggiamento del Msi e si
modific anche quello dei giornali di area. il Borghese nel lu-
glio aveva pesantemente attaccato i rivoltosi definendoli:
39
Cfr. F. ALOI, Reggio 70. Rivolta di un popolo, Il Coscile, Castrovillari, 2005,
p. 188.
40
Si veda lanalisi del rapporto tra Msi, Cisnal e rivolta reggina in M. TOUS-
SAN, La Cisnal e la rivolta di Reggio Calabria, Tesi di laurea, Universit degli
studi Guglielmo Marconi, A.A. 2011-2012, pp. 60 ss.
41
La copertina di Candido del 1 ottobre 1970 mostrava un disegno di Carlo
Manzoni che raffigurava, davanti alla folla ammutolita di Reggio, una bara
che la didascalia indicava come la cassa del mezzogiorno.
42
Dal numero del 1 ottobre, Roberto Capone segu settimanalmente con ser-
vizi molto accurati la rivolta reggina (Cfr. Reggio insorge e chiede giustizia,
Candido, 1 ottobre 1970).
43
M. TOUSSAN, La Cisnal e la rivolta di Reggio, cit., pp. 71 ss.
Il Secolo si allineava definitivamente con la nuova imposta-
zione missina solo i primi giorni del 1971, sette mesi dopo lo
scoppio della rivolta.
Almirante tuttavia, nellautunno del 1970, quando non aveva
32
ancora preso una posizione definitiva e ufficiale, aveva inviato
clandestinamente un gruppo di alcune decine di giovani che en-
trarono in Reggio per controllare la situazione e sostenere i ri-
voltosi44.
In questo modo, Almirante riusciva a realizzare una difficile
sintesi: il Msi non restava escluso dalla rivolta reggina e poteva
quindi rivendicare un ruolo attivo nella difesa del Meridione; il
Msi non era stato per un protagonista della rivolta, continuava a
difendere lo Stato di diritto, non essendo a favore delle sole esi-
genze di Reggio ma di tutta lItalia colpita dalla partitocrazia e
dal centrosinistra, questultimo costretto a mandare lesercito a
Reggio. Inoltre, ladesione alla rivolta port a un avvicinamento
di Rauti alla segreteria cogliendo nella rivolta il primo passo ver-
so lalternativa al sistema. In realt, si pu sostenere che il Msi e
la Cisnal, giunti in ritardo a sostenere la rivolta, operarono in
termini tali da imbrigliarla sottraendola alle forze extraparla-
mentari e consentendo allo Stato di venirne in qualche modo a
capo. Lo stesso Ciccio Franco, diventato senatore nel 1972, in una
memoria rilasciata ad Adalberto Baldoni sostenne di non essere
45
mai stato aiutato veramente dal partito . Il Msi, a Reggio, diven-
44
La notizia stata riferita da un testimone, che vi partecip direttamente, e
che ha preferito mantenere lanonimato perch allora gli era stato imposto da
Almirante il riserbo assoluto su tale episodio.
45
A tanti anni di distanza, Ciccio Franco ribadisce che la sua azione fu contra-
stata con ogni mezzo dai vertici di via Quattro Fontane, sede storica del Msi.
Ricorda cos: Nonostante chiedessi aiuto a Roma, nessun dirigente nazionale
del MSI e delle organizzazioni giovanili mi dette una mano. Non ho mai rice-
vuto un cenno di solidariet. Lunica persona che mi ha aiutato stato Giorgio
Pisan con il suo battagliero giornale Candido. Pisan scese diverse volte a
Reggio e si rese conto qual era la realt locale, dominata dalle cosche mafiose
dei partiti di regime. Incominci ad indagare su Giacomo Mancini, allora se-
gretario nazionale del Psi. Da qui la sua forte popolare e documentata campa-
gna di stampa contro il leader socialista (AFUS, Fondo Baldoni, Storia, VIII,
tava cos rivoluzionario e moderato contemporaneamente, rap-
presentando quindi molto fedelmente la linea del nuovo segreta-
rio. Forse eccessivo oltre che errato cronologicamente so-
stenere, come ha fatto Giorgio Galli, che la segreteria Almirante
non nacque nel settembre 1969 ma nel luglio 197046, ma certa-
33
Soggetti politici, 1). Si veda pi in dettaglio sui rapporti fra Cisnal e rivolta di
Reggio M. TOUSSAN, La Cisnal e la rivolta di Reggio, cit., pp. 79-81.
46
G. GALLI, La crisi italiana e la destra internazionale, cit., p. 17. La datazione
proposta da Galli errata perch la segreteria Almirante era nata nel luglio
1969, mentre la posizione favorevole del segretario missino alla rivolta cala-
brese si manifest soltanto nellautunno dellanno successivo.
47
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 81.
se della successione. Il leader romagnolo aveva rappresentato una
linea molto particolare nel Msi: il suo vecchio progetto, quello di
una destra atlantica e anticomunista, poteva assomigliare alla li-
nea affermatasi con la segreteria De Marsanich Michelini e
34
cio la linea cosiddetta dellinserimento. Daccordo con Michelini
sulla necessit di svecchiare il partito togliendo i miti del passato
e sostituendoli con unanalisi politica lucida e sensibile alle tema-
tiche internazionali (Romualdi era stato il primo leader missino
ad andare negli Usa, mentre il suo giornale, limportante mensile
LItaliano, era il pi attento alle dinamiche di politica interna-
zionale48), Romualdi era invece perplesso circa i tempi e i modi
del raggiungimento degli obiettivi della destra nazionale: in real-
t, questo lato della sua attivit politica rimasto sempre un
punto non risolto. Poco incline alle sensibilit sociali del partito,
sostanzialmente indisponibile alla trasformazione del Msi in un
partito cattolico, Romualdi cerc il ruolo di padre nobile del par-
tito, sentendosi in qualche modo responsabile della sua unit. Ci
gli consent di essere sempre al di sopra delle parti, in un ruolo di
stimolo piuttosto che correntizio.
In sede di dibattito precongressuale, Romualdi aveva manife-
stato la volont di portare avanti senza indugi il rinnovamento
del partito, uscendo finalmente dal nostalgismo, dal populismo e
dalle concessioni alla sinistra per fare del Msi un partito vera-
mente di destra. Rauti, invece, nello stesso periodo precongressu-
ale, aveva chiarito quali fossero i punti qualificanti del suo pro-
getto politico: Europa nazione alternativa ai due blocchi occiden-
tale ed orientale, interesse per il Mediterraneo e per i paesi arabi,
contro la linea tradizionalmente filoisraeliana del partito, alterna-
tiva al sistema, dotando il partito di strumenti culturali diversi
dal passato.
Il congresso risent solo marginalmente di queste differenze:
non a caso furono Romualdi e Rauti a distinguersi leggermente
48
Sul rapporto tra Msi e cultura politica internazionale mi permetto di rimanda-
re a G. PARLATO, La cultura internazionale della destra tra isolamento e atlanti-
smo (1946-1954), in Uomini e nazioni. Cultura e politica estera nellItalia del No-
vecento, a cura di G. Petracchi, Gaspari, Udine, 2005, pp. 134-154.
dalla posizione di Almirante, mentre il gruppo che si richiamava
a Michelini volle confermare, anche negli interventi, la sua linea
totalmente favorevole ad Almirante. Fu invece la base dei delega-
ti che mostr di non sopportare pi di tanto i continui richiami
35
alla collocazione a destra, rivendicando non solo la tradizionale
anima sociale, ma soprattutto temendo la liquidazione del pas-
sato fascista in nome di diverse e innaturali collocazioni liberal-
democratiche. Il Congresso celebr il ruolo e labilit di Almiran-
te che pot presentare un bilancio positivo sulla base del risulta-
to, non eccezionale, delle elezioni regionali. Per quanto riguarda
la linea politica emersa dal congresso, il segretario sembr accon-
tentare tutte le componenti; con la consueta abilit oratoria, parl
di socialit, ma ancorando il partito saldamente a destra; tuttavia
le molte concessioni alla nostalgia, i richiami alla Rsi, seppure per
dire che il messaggio del fascismo non andava riproposto acriti-
camente e nostalgicamente ma attualizzato, dimostravano che
Almirante non poteva fare a meno di assecondare gli umori e le
sensibilit del partito. In questo si confermava quello che lo stes-
so segretario spesso ricordava, e che cio lattore Luigi Almiran-
te, lo zio Gigetto, raccomandava al nipote che non si poteva reci-
tare con la platea contro. In altri termini, come ha bene riassunto
Rossi, il Msi almirantiano un grande caleidoscopio, nel quale
ciascuno sceglie la sfaccettatura che pi gli piace49, esattamente
come lo era il fascismo nel quale, a fronte della variet, a volte
inconciliabile, delle posizioni, era Mussolini a sintetizzarle tutte e
contemporaneamente a veicolare, verso ciascuno, quello che cia-
scuno sentiva come il proprio fascismo.
Come si gi detto, uno dei punti cardine della nuova segre-
teria fu il potenziamento dellambiente giovanile, che pi di ogni
altro aveva sofferto degli ultimi anni della gestione Michelini. In
sede di congresso si decise la creazione del Fronte della Giovent,
organismo in grado di raggruppare, centralizzandole, le due or-
ganizzazioni giovanili, il Raggruppamento giovanile studenti e
lavoratori e lAssociazione studentesca di Avanguardia Naziona-
49
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 175-176; la citazione a p.
185.
le Giovane Italia. Massimo Anderson ne divenne il segretario e
Pietro Cerullo vicesegretario. Restava autonomo il Fuan,
lorganizzazione degli universitari, sia per la tradizione di succes-
si ottenuti nelle universit, sia per il particolare momento politi-
36
co, nel quale la contestazione giovanile si era espressa soprattutto
negli atenei; il Fuan, pur aderendo al Fronte della Giovent,
mantenne uno statuto autonomo che si caratterizzava per
lelezione delle cariche, che invece in tutti gli altri organismi del
partito erano rigorosamente di nomina del vertice.
Il processo che port alla costituzione di un centro unificato
dellambiente giovanile non fu semplice. Le resistenze che diversi
ambienti del partito manifestarono in merito a questa soluzione
furono forti e non facilmente superabili. Come ha ricordato An-
derson, non ci fu un solo personaggio autorevole, sia tra i mi-
cheliniani, sia tra gli amici di Almirante, che valut positivamen-
te la nostra proposta e tutti si diedero da fare, anzi, per creare tra
i giovani ulteriori divisioni e lacerazioni. Almirante a un certo
punto cedette alle pressioni di Anderson e dei vertici giovanili e
approv la creazione di un unico organismo, nella convinzione
che il Fronte della Giovent fosse pi controllabile delle due sigle
precedenti. Inoltre, in questo modo Almirante confinava il mon-
do giovanile in uno spazio autonomo ma difficilmente comuni-
cante con il resto del partito e soprattutto impossibilitato a porta-
re allinterno del Msi le istanze di rinnovamento di cui i giovani
si stavano facendo portatori50.
La scelta di costituire il Fronte della Giovent risult imme-
diatamente positiva, se si pensa che un anno dopo gli iscritti era-
no gi 85 mila, in un momento in cui la Fgci, lorganizzazione
giovanile comunista, ne contava appena 70 mila. Esso non fu solo
strumento di scontro politico e fisico: le proposte elaborate dal
vertice del Fronte erano per certi versi molto avanzate; si andava
dal voto ai diciottenni allabolizione della leva militare e alla cre-
azione di un esercito di volontari; dalla difesa dei beni artistici e
culturali allimpegno verso il mondo giovanile meridionale. In
questo modo ebbe subito buon riscontro tra i giovani per
50
M. ANDERSON, I percorsi della Destra, cit., pp. 83 ss.
lattivismo nelle piazze: e poco importava ai giovani missini se la
denominazione di Fronte della Giovent fosse in realt di deriva-
zione comunista, perch cos si chiamava lorganizzazione giova-
nile del Pci durante la Resistenza, tra il 1944 e il 1947, prima di
37
diventare Federazione giovanile comunista italiana (Fgci).
Pochi mesi prima delle elezioni amministrative del 1971, esat-
tamente il 17 marzo, Paese Sera pubblicava in grande evidenza,
la notizia del fallito tentativo di golpe da parte del principe Bor-
ghese. Una vicenda sulla quale vi sempre stata una sostanziale
incertezza e molta confusione. Il procedimento giudiziario, ini-
ziato nel 1971, si concluse nel novembre 1984 con lassoluzione,
perch il fatto non sussiste, di Borghese e dei suoi seguaci
dallaccusa di cospirazione politica. Il principe Borghese era gi
morto da dieci anni, in Spagna, dovera fuggito alle prime notizie
trapelate del tentativo di golpe. Non questa la sede per affron-
tare un tema simile; quello che ci interessa il rapporto tra Almi-
rante e Borghese, prima e dopo le notizie di golpe: se il 20 dicem-
bre 1969, alla prima uscita pubblica in comizio di Almirante, a
Roma, al Palazzo dello Sport allEur, davanti a diecimila missini
venuti da tutta Italia, il segretario aveva salutato la delegazione
del Fronte Nazionale, pregandola di portare il suo deferente sa-
luto al principe Borghese, un anno pi tardi, nella gi citata in-
tervista di Pansa, pochi giorni prima del golpe, sostenne invece
che il Fronte nazionale di Borghese non aveva peso politico; gli
appelli erano nobilmente utili, ma il suo fronte soltanto una
forza sentimentale. Niente di pi51.
Pi tardi si dir che proprio Almirante avrebbe informato il
Ministero dellInterno circa la prossima esecuzione di un tentati-
52
vo di golpe . La testimonianza va presa, come si diceva, con il
51
G. PANSA, Il revisionista, cit., p. 405.
52
T.a.a. di Adriano Monti del 22 febbraio 2012. Anche Giulio Andreotti era di
questo parere. In unintervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Corriere della
Sera del 29 aprile 2005 afferm: Contro i colpi di stato per vigilavano non
solo Dc e Pci, ma anche il Msi, non a caso considerato da questi elementi come
un gruppo di traditori. Sono convinto che la notte dell8 dicembre 1970 fu Al-
mirante ad informare la polizia delle mosse di Borghese per evitare che il par-
condizionale, ma quello che ci interessa sottolineare che Almi-
rante, in questa come in altre occasioni, assunse un profilo istitu-
zionale, lontano da suggestioni eversive, conducendo e mante-
nendo il neofascismo nei binari della legalit. Diverso fu
38
latteggiamento di Rauti, il quale, onestamente, in unintervista a
Rao, riconobbe che in quel contesto storico e politico era per noi
inevitabile cedere a tentazioni golpiste53.
Tuttavia, la consacrazione della leadership almirantiana giun-
se con le elezioni amministrative del 1971; il 13 giugno si vot in
Sicilia (la giunta regionale era andata in crisi), in alcuni capoluo-
ghi importanti (Roma, Foggia, Bari) e in molti comuni minori;
complessivamente erano pi di otto milioni i chiamati alle urne,
un test amministrativo che Almirante trasform immediatamen-
te in test politico. La solita massacrante campagna elettorale di
Almirante riusc a coinvolgere un numero sempre maggiore di
persone e a interessare i giornali: il Msi divenne un fenomeno da
seguire, mentre al Msi cominciavano ad aderire personaggi di e-
strazione liberale (come Giovanni Artieri) o personaggi discussi
che erano gi stati nelle istituzioni, come il gen. De Lorenzo, fa-
moso per il Piano Solo del 1963.
Tutto questo mentre il quadro politico nazionale continuava a
dare segni di crisi con un centro-sinistra sempre pi debole e sot-
toposto a condizionamenti che lo rendevano sempre pi fragile.
Almirante sembr convincersi definitivamente delle possibilit
che una politica di destra cos condotta, con aggressivit e con
linguaggio aggiornato, poteva avere nella situazione italiana: il
Msi aveva condotto, in Parlamento e nelle piazze, battaglie per la
difesa della propriet della casa, contro la riforma delledilizia
voluta dal governo e per la difesa del fondi rustici sui quali pesa-
va la nuova disciplina dei contratti daffitto (la De Marzi-
Cipolla), viste entrambe dal Msi come lanticamera della collet-
tivizzazione. La Fiamma si mobilit, soprattutto al Sud, per con-
trastare i due provvedimenti e raccolse consensi anche fuori
54
Un servo dei nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi,
in LUnit 27 giugno 1971. Sulla questione si veda A. GRANDI, Op. cit., pp.
298 ss.
Almirante, nella sua qualit di capo gabinetto del Ministero della
Cultura popolare di Sal. Il bando (datato, allinizio del docu-
mento, 10 aprile e nel testo invece 18 aprile) minacciava, per chi
non si fosse presentato alla chiamata di leva, la fucilazione55.
40
Almirante diventava immediatamente il fucilatore. Non fu faci-
le (anzi, di fatto non si riusc) da parte missina spiegare la que-
stione: il bando era stato emesso dal Ministero delle Forze Arma-
te, e pi esattamente si trattava di uno dei tanti Bandi Graziani,
e la responsabilit della questione era del ministero competente.
Tuttavia, tra gli incarichi del nuovo Ministero della Cultura po-
polare di Sal, vi era anche la cura dellinvio della comunicazio-
ne dei decreti alle Prefetture e ai comuni. Ministro della Cultura
popolare era Fernando Mezzasoma e capogabinetto Almirante,
dal 30 aprile 1944, in sostituzione di Gilberto Bernabei56. Per cui
il documento doveva avere anche la firma della struttura trasmit-
55
A partire dal 18 febbraio 1944, il ministro delle Forze Armate, Rodolfo Grazia-
ni, aveva fatto approvare al Consiglio dei Ministri della Rsi alcuni decreti per
recuperare i renitenti alla leva o coloro che, presentatisi, erano riusciti a fuggire
di fronte alla prospettiva di essere trasferiti in Germania per laddestramento. Il
Decreto Graziani emanato il 18 (non il 10, come erroneamente indica il bando
nelle prime righe) aprile 1944, prevedeva un ulteriore spostamento nella data di
presentazione alle armi per i soldati di leva, ponendo il termine al 25 maggio
1944. Oltre a prevedere la cancellazione di ogni addebito a quei soldati che si
fossero presentati entro quella data, preannunciava a chi non si fosse presentato,
la pena di morte mediante fucilazione alla schiena: venne per questo motivo de-
finito il bando del perdono (A. COVA, Graziani. Un generale per il regime,
Newton Compton, Roma, 1987, pp. 238-239; v. anche Archivio Centrale dello
Stato, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana, set-
tembre 1943 aprile 1945, a cura di R. Scardaccione, Ministero per i Beni e le
Attivit Culturali, Roma, 2002, vol. I, pp. 506-507) Adalberto Baldoni, riferendosi
ai bandi Graziani, li defin un errore grossolano (A. BALDONI, Fascisti 1943-
1945, Settimo Sigillo, Roma, 1993, p. 168).
56
Almirante non faceva parte della amministrazione statale e pertanto fu ne-
cessario, da parte del ministro Mezzasoma, proporre un decreto secondo il
quale, per la durata del conflitto, il capogabinetto del Ministero della Cultura
Popolare poteva essere scelto al di fuori della struttura statale; cfr. il d.m. del
30 aprile 1944, ratificato dal Consiglio dei Ministri il 18 settembre 1944, in
Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana, cit., p. 722.
Si veda anche E.G. LAURA, Limmagine bugiarda. Mass media e spettacolo nel-
la Repubblica di Sal, ANCCI, Roma, 1986, p. 150.
tente. Il che non significava evidentemente che Almirante aveva
emesso lincriminato bando, ma altrettanto evidentemente voleva
significare che Almirante non poteva essere considerato politi-
camente estraneo allo stesso bando in quanto capo gabinetto di
41
uno dei Ministeri di quella Repubblica sociale che aveva emesso
il decreto. Inoltre, quel bando si apriva con lennesima proroga e
con lennesimo condono. Almirante invece replic e con lui
tutta la stampa missina che quel documento era un grossolano
falso: il che non era vero. Era semmai falsa lattribuzione di re-
sponsabilit diretta ad Almirante per loggetto in questione, ma
si trattava di una sottigliezza che il giornalista Almirante com-
prese subito che non sarebbe mai stata colta dalla opinione pub-
blica. E prefer sostenere che il bando fosse falso, complicando e
compromettendo ulteriormente la sua posizione57.
Poich il Pci aveva fatto affiggere in tutta Italia la copia del
manifesto con la firma del leader missino, Almirante present
diverse querele: la questione fin in tribunale dove fu prodotta
documentazione dagli archivi di Stato comprovante che il docu-
mento era vero; non solo, ma ve nerano altri in giro per lItalia.
Almirante si vide cos rigettare dal tribunale di Roma tutte le ri-
chieste.
Questa vicenda apr lattacco delle sinistre contro il Msi, met-
tendo subito in evidenza come il segretario della Fiamma fosse
ricattabile a causa del proprio passato nel momento in cui cerca-
va di trasformare il suo partito da neofascista in partito moderato
57
Ancora due anni dopo, nella dichiarazione alla Camera, Almirante ebbe a
dichiarare, riferendosi alla questione del bando, che essa aveva avuto origine
il 21 giugno 1971, otto giorni dopo le elezioni del 13 giugno (in realt, come si
detto, la notizia su LUnit usc il 27), quando su taluni giornali di estrema
sinistra apparve un manifesto falso a me attribuito () Non interrompete per-
ch ho i documenti (cfr. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, VI Legisla-
tura, Discussioni, seduta del 23 marzo 1973, p. 6787). Nella sua autobiografia,
Almirante, dopo avere ribadita la falsit del bando, sostenne che la trasmis-
sione del medesimo sarebbe stata competenza del Ministero delle Forze Ar-
mate e se mai quello dellInterno (G. ALMIRANTE, Autobiografia di un fucila-
tore, Edizioni del Borghese, Milano, 1974, p. 218).
di destra58. Gli attacchi della sinistra per un po gli giovarono, ma
alla lunga quellelettorato afascista che si era avvicinato al par-
tito se ne distacc vedendo che sotto il doppiopetto era rimasta la
camicia nera.
42
A questa vicenda, segu lapertura dellinchiesta del giudice
Raimondo Sinagra, sostituto procuratore di Milano, contro il Msi
accusato di ricostituzione del partito fascista. Linchiesta, avocata
dal procuratore generale della Corte dAppello di Milano, Luigi
Bianchi dEspinosa allinizio di dicembre del 1971, riguardava
lapplicazione al Msi di questi anni della Legge Scelba del 1952,
quella appunto che puniva la ricostituzione del Pnf.
Intanto lattivismo antifascista cresceva dintensit e i gruppi
extraparlamentari, da Potere Operaio a Servire il Popolo, per ar-
rivare a Lotta Continua cercavano di impedire ai giovani missini
lagibilit sul territorio. Le Brigate Rosse, in un loro documento,
nel settembre 1971, parlarono del blocco dordine reazionario sot-
to le bandiere della destra nazionale59. Gli stessi concetti furono
ribaditi in un altro documento dellaprile 1972. Il fenomeno sar
ancora pi evidente dopo le elezioni politiche del 1972.
Il 1971, per il Msi, si chiudeva con due eventi: il rinvio delle
amministrative dellottobre (la giustificazione ufficiale era che
avrebbero potuto interferire con il censimento, ma a tutti appar-
ve una giustificazione pretestuosa) e le elezioni del presidente
della Repubblica.
Il Msi contava di sfruttare appieno il momento favorevole: le
amministrative di ottobre o, meglio, le elezioni politiche anticipa-
te. Ma il rischio per il governo rappresentato dalle seconde fu va-
nificato dallinizio del semestre bianco e quindi dalla impossi-
bilit di sciogliere anticipatamente le Camere in vista della ele-
58
Non un caso che anche a livello storico sia stata accolta la semplificazione
del segretario missino fucilatore tout court, cos come emerge in un manuale
di storia dove si parla di Almirante come reduce anchegli dallesperienza
della repubblica sociale e firmatario di un bando del 1944 che comminava la
pena di morte ai renitenti alla leva (A. DE BERNARDI, L. GANAPINI, Storia
dellItalia unita, Garzanti, Milano, 2010, p. 370).
59
A. BALDONI, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo della libert,
Vallecchi, Firenze, 2009, p. 161.
zione del nuovo Capo dello Stato. Restavano le amministrative,
ma il loro rinvio rendeva impossibile un nuovo successo missino,
tale da risultare condizionante cos almeno sperava Almirante
per lelezione del Quirinale.
43
Difficoltosa e complessa, lelezione del nuovo capo dello Stato
scont i veti, i franchi tiratori, le indecisioni della Dc; e scont
soprattutto la debolezza della compagine governativa. Dopo 22
votazioni, la situazione era piuttosto grave: la Dc non era riuscita
ad imporre il proprio candidato, Amintore Fanfani, cui le sinistre
contrapposero lanziano leader socialista Francesco De Martino.
Il Msi, che nel frattempo aveva stretto un patto di unit di azio-
ne con i monarchici, vot per diversi giorni il candidato di ban-
diera, Augusto De Marsanich; dal 13 dicembre monarchici e mis-
sini decisero di votare scheda bianca per indicare chiaramente
una disponibilit verso altri candidati. Come ha ricordato Rober-
ti, allora capogruppo parlamentare del Msi, il 21 dicembre si pro-
fil una candidatura Moro, che avrebbe avuto i voti di tutto il
centrosinistra e forse anche del Pci. Tuttavia, un po per le resi-
stenze dei moderati Dc, dei laici di centro e soprattutto per il de-
ludente esito della prima votazione sul suo nome, i gruppi par-
lamentari dello Scudo Crociato decisero di ripiegare su Leone, vi-
sto come candidatura di assemblea. Per il Pci il 22 dicembre fece
uscire un duro comunicato in cui si parlava di un accordo sotto-
banco tra Dc e Msi sul nome di Leone. Laccordo cera davvero e
il gioco del Pci era chiaro: fare fallire la candidatura di Leone
presentandolo come uomo di destra. A questo punto, ricorda
sempre Roberti, sarebbe stato opportuno fare il gran gioco, ap-
poggiare cio subito Leone, come si era fatto dieci anni prima
con Segni. Ma Almirante non volle, sment laccordo e prefer
trattare sottobanco con alcuni esponenti Dc, segnatamente con
Galloni, come rivel il segretario missino a elezione avvenuta.
Linteressato ovviamente sment seccamente. Il 23 fu votato Leo-
ne con 518 voti e la destra fu cos determinante. Il Secolo tito-
lava a nove colonne: Il 13 giugno ha vinto. Almirante scrisse:
Siamo lieti di avere contribuito in maniera determinante alla
elezione del presidente. Non era la prima volta che il Msi votava
per il candidato che poi sarebbe risultato eletto capo dello Stato.
Ma nei casi precedenti (Einaudi, Gronchi e Segni) il Msi non era
stato mai determinante. In questo caso invece lo fu e questo fu
giudicato dal Msi e dalla stampa fiancheggiatrice un autentico
successo. Le smentite democristiane furono fiacche e poco con-
44
vincenti. Nenni annotava nel suo diario alla data del 23 dicem-
bre: Si realizzata anche unaltra previsione e cio che i missini
hanno votato Leone, annullando cos una parte delle schede
bianche democristiane. E al giorno successivo, annotava:
Leone stato eletto con i voti fascisti e io sono stato battuto dai
socialdemocratici e dai repubblicani. () I fascisti sono raggianti.
() un altro, lon. Delfino, ha confessato: Anche nella preceden-
te votazione (quella di ieri) tutti i parlamentari missini e monar-
chici hanno votato per il senatore Leone60.
Fu un successo per la Destra? Certamente, con lottica di allo-
ra sembr una grande vittoria. Rossi sostiene che lelezione di
Leone fu il punto pi alto e il successo pi pieno della strategia di
Almirante. Da quel momento in poi le cose cominciarono a non
andare pi cos bene61. Secondo Tarchi, invece, lelezione di Leo-
ne fu un falso successo: dopo limpallinamento di Fanfani da par-
te dei franchi tiratori, la Dc era in grave crisi e il Msi sarebbe sta-
to invece nella condizione ideale per dipingere la Dc come inaf-
fidabile agli occhi dei moderati, tanto pi che si parla insistente-
mente di una candidatura Moro appoggiata dallintera sinistra.
Se quellipotesi fosse andata in porto, grazie alla scheda bianca
missina e monarchica, Moro sarebbe diventato presidente della
Repubblica e lasse politico si sarebbe spostato a sinistra, qualifi-
cando il Msi come unico rappresentante della destra italiana, con
inimmaginabili spazi nuovi da coprire. Invece Almirante, secon-
do Tarchi, temette che una presidenza Moro avrebbe aperto al
Pci le porte del governo, con seri rischi per la sopravvivenza della
Fiamma, della quale la sinistra, parlamentare e non, chiedeva la
62
messa fuori legge .
60
P. NENNI, I conti con la storia. Diari 1967-1971, Sugarco, Milano, 1983, pp.
681-682.
61
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., p. 212.
62
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 85.
Almirante sfrutt il successo in vista delle successive elezioni
politiche. Un mese dopo lelezione di Leone, il governo di centro-
sinistra presieduto da Colombo and in crisi, con il ritiro
dellappoggio esterno repubblicano per dissensi sulla politica e-
45
conomica. In realt, il governo Colombo era stato logorato dalle
rivolte di Reggio Calabria e di Pescara, dalle notizie sul golpe
Borghese, che avevano coinvolto persone dei servizi. Inoltre, fu
messo in seria difficolt dalla questione del divorzio, che segn
una frattura tra laici e cattolici, soprattutto dal momento in cui i
cattolici proposero il referendum abrogativo della legge Fortuna-
Baslini, trovandosi daccordo con un Msi che, pur diviso al pro-
prio interno su questo tema, cerc di sfruttare politicamente
loccasione. Dopo un tentativo di riproporre un esecutivo di centro-
sinistra, non riuscito, Leone affidava ad Andreotti lincarico di for-
mare un governo monocolore, che per fu subito bocciato in Senato.
A questo punto, per la prima volta nella storia repubblicana, si an-
dava a elezioni anticipate.
Almirante ebbe modo in pi di unoccasione di insistere sul
fatto che il voto del 13 giugno era stato utile, smentendo quello
che aveva detto Andreotti, secondo il quale il voto a destra era
stato inutile. In questo modo il leader missino legittimava
lelezione di Leone come conseguenza del successo missino alle
amministrative del 1971. In ogni caso, la soluzione Andreotti per
guidare un governo elettorale, si rivel positiva per la Dc, soprat-
tutto perch Andreotti era visto come uomo sostanzialmente vi-
cino alla destra democristiana. Questo, in qualche modo, riusc a
bloccare chi aveva pensato di lasciare la Dc per andare nel Msi e,
in sede elettorale, riusc a contenere quella che fu chiamata, con
una metafora un po petrolifera, londa nera.
Lattenzione per il Msi, comunque, varcava loceano e anche
gli americani erano interessati a questo partito di destra che sta-
va crescendo. Servivano fondi per la campagna elettorale; secondo
una testimonianza riportata da Baldoni, Giulio Caradonna, il mis-
sino da sempre pi vicino al mondo atlantico, present ad Almi-
rante un italo-americano, Pierfrancesco Talenti, imprenditore e
uomo di destra, impegnato nel fare confluire i voti degli italiani in
Usa sul nome di Richard Nixon. Loperazione and in porto e fu
Vito Miceli, il discusso generale del Sid, entrato in lista con il Msi,
a portare materialmente il finanziamento a Roma63.
La campagna elettorale trov il suo primo elemento di novit
nel simbolo: il 4 marzo, Il Secolo dItalia presentava il vecchio
46
simbolo, la fiamma tricolore, con laggiunta della scritta destra
nazionale: in un primo momento era solo il simbolo per gli indi-
pendenti che sarebbero entrati in lista per le elezioni del 7 mag-
gio, poi divenne il simbolo ufficiale del partito. Nel frattempo, tra
molte polemiche, il Partito democratico di unit monarchica, or-
mai ai minimi storici, aveva deciso lo scioglimento e la fusione
nella Destra nazionale: molti esponenti fedeli al Re e lo stesso
Sovrano in esilio si dichiararono contrari a questa scelta, che
cancellava almeno formalmente le annose polemiche tra fascisti e
monarchici in merito a quello che successe in Italia dopo l8 set-
tembre 1943. Chi si spese molto per la fusione tra missini e mo-
narchici fu uno dei principali esponenti del Pdium sardo, Efisio
Lippi Serra. Questi tuttavia riscontr dissensi tra i monarchici ma
anche malumori tra i missini64.
Il giorno prima della presentazione del nuovo simbolo, veniva
arrestato Pino Rauti, su mandato del giudice Giancarlo Stitz, per
concorso negli attentati dellaprile e dellagosto 1969. Almirante
espresse subito piena solidariet allex leader di Ordine Nuovo,
ora candidato alla Camera nella circoscrizione laziale. Due mesi
dopo, Rauti fu scarcerato, pochi giorni prima delle elezioni, il che
gli permise di essere eletto con oltre centomila preferenze65.
Non erano molti e neppure molto qualificanti i nuovi arrivi
tra le schiere missine nel 1971 (salvo Artieri e De Lorenzo); ma
gi queste presenze etichettate subito come afasciste ave-
vano irritato Rauti e i suoi seguaci, che avevano messo in eviden-
za il rischio di qualunquistizzazione del partito, farlo diventare
cio una formazione di destra tout court, assai pi simile al mo-
vimento qualunquista di Giannini che non al vecchio Msi. Perfe-
63
A. BALDONI, Storia della Destra, cit., pp. 150-151.
64
E. LIPPI SERRA, Il prezzo della coerenza, La Nuova Rosa ed., Forte dei Marmi,
2010, pp. 235-237.
65
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., pp. 213-214.
zionato, tra la seconda met del 1971 e i primi mesi del 1972, il
processo di confluenza dei monarchici nel Msi-dn, conclusosi con
lultimo congresso del Pdium, alla fine di febbraio 197266, Almi-
rante poteva presentare in lista un numero maggiore e pi quali-
47
ficato di personalit della politica e del giornalismo: innanzi tutto
Gino Birindelli, medaglia doro, comandante delle truppe navali
della Nato nel Mediterraneo. In un primo momento Almirante fu
restio al suo ingresso nel partito ma il gruppo micheliniano, e in
particolare Roberti, lo convinsero. Fu lo stesso Roberti a contatta-
re il comandante, il quale il 14 marzo si dimetteva dal comando
67
Nato e accettava linserimento in lista del Msi . Entrarono in li-
sta poi Giovanni Artieri, giornalista e storico napoletano, Mario
Tedeschi, direttore de il Borghese, Gianna Preda, corrosiva
giornalista della medesima testata, Giorgio Pisan, vecchio espo-
nente della sinistra filo Sal, giornalista e direttore del Candi-
do, Ciccio Franco, il capo dei boia chi molla reggini, Armando
Plebe, filosofo ex marxista, che entr nel Msi per occupare un po-
sto di rilievo in ambito culturale; inoltre entrarono i due capi sto-
rici del mondo monarchico, Alfredo Covelli e Achille Lauro, ex
acerrimi nemici e ora uniti agli ex fascisti.
In realt non erano nomi straordinariamente innovativi.
Lunico democristiano che approd alla destra nazionale fu Ago-
stino Greggi, un isolato nella Dc, cattolico integralista e tradizio-
nalista. Gli altri erano vecchi missini (o comunque militanti
darea) come Pisan, Tedeschi, Gianna Preda e Ciccio Franco. Al-
tri erano gli esponenti monarchici, come Covelli e Lauro. Alla fi-
ne solo Birindelli, Plebe e Artieri rappresentavano delle vere no-
vit. Almirante sfrutt ugualmente i nuovi arrivi, dicendo che
questo sarebbe stato solo linizio. Quando arrivarono Birindelli,
Covelli e Lauro, Almirante li ricevette, insieme con De Marzio,
dicendo che loro sarebbero stati i garanti della trasformazione del
68
Msi in un partito di destra democratica .
66
Ivi, pp. 225-229.
67
G. ROBERTI, Lopposizione di Destra in Italia, cit., p. 259.
68
E. DE MARZIO, La mia Destra e quella di Fini, in Meridiano Sud, 30 no-
vembre 1995, pp.3-4.
La campagna elettorale fu condotta sempre in termini molto
accesi; ma la Dc ne fece una indirizzata quasi esclusivamente a
destra, nel tentativo di bloccare leffetto delle amministrative
dellanno precedente.
48
I risultati furono considerati dal Msi e da Almirante un suc-
cesso travolgente. In effetti il Msi aumentava all8,7% alla Ca-
mera e al 9,2% al Senato: un incremento importante, il massimo
storico mai raggiunto dalla Fiamma, che portava i voti missini da
un milione e cinquecento mila a quasi 2 milioni e novecento mi-
la. Si trattava di un quasi raddoppio, e considerando la viscosit
del sistema politico, questo poteva essere effettivamente conside-
rato un successo. In pi, furono eletti 56 deputati e 26 senatori, 22
deputati e 15 senatori in pi rispetto al 1968.
Detto questo, per, il successo fu fortemente ridimensionato
da una serie di considerazioni. In primo luogo il fatto che se il
raffronto tecnico era da farsi sulle precedenti politiche, il raffron-
to politico andava fatto sulle elezioni amministrative del 1971: in
questo caso, il potenziale di votanti a livello nazionale sarebbe
stato tra i 4 e i 5 milioni di voti, con un centinaio di deputati. A
queste dimensioni aveva alluso lo stesso Almirante il 23 gennaio
1972, nel comizio al Teatro Adriano di Roma, per celebrare il
venticinquennale della fondazione del Msi: Nel giro di un anno
aveva affermato il segretario missino abbiamo almeno rad-
doppiato, forse triplicato il nostro potenziale consenso in tutta I-
talia69. Il dato pi grave fu che il partito non riusc a ripetere, in
Sicilia e in diverse zone del Sud, lexploit dellanno precedente,
anzi in alcuni casi si notava una perdita secca.
Significativamente la Dc riusc a conservare le precedenti po-
sizioni: la temuta emorragia verso destra non ci fu e la cura
Andreotti fu evidentemente efficace. Ugualmente conferm i ri-
69
AFUS, 25 anni per lItalia, in Movimento Sociale Italiano. Direttive e orien-
tamenti di propaganda. Agenzia di informazione del Msi, IV, n. 2 13 febbraio
1972. Questa frase di Almirante venne poi espunta dal testo ufficiale della
commemorazione dei 25 anni del partito: si veda Dal IX congresso novembre
1970 al X congresso gennaio 1973. 2 anni di lavoro per il MSI Destra Naziona-
le, a c. dellUfficio Stampa e Relazioni pubbliche del Msi, Roma s.d. (ma 1973),
pp. 71-76.
sultati precedenti il Pci, cos come li confermarono i due partiti
socialisti che riportarono sostanzialmente quello che avevano ot-
tenuto, divisi, nelle precedenti consultazioni70.
Il Msi ebbe il 4,22% in pi alla Camera e il 4,63 in pi al Sena-
49
to: in parte li prese ai liberali, che ebbero una perdita superiore al
2%; un piccolo incremento lo aveva dato il Pdium, confluito nel
Msi. Tuttavia, allappello mancava ancora quasi il 2%, che proba-
bilmente venne per trasferimento dai partiti di sinistra: la scon-
fitta secca del Psiup and a favore del Pci; probabilmente voti del
Pci confluirono nel Psi; forse voti socialisti (o socialdemocratici)
andarono alla Dc e una piccola parte di democristiani fin col vo-
tare per Almirante.
Ma il dato pi significativo non era numerico, bens politico.
Anche nel 1953, il Msi si aspettava un successo ben pi conside-
revole, dopo le elezioni-plebiscito del 1948, anche in quel caso
considerando gli ottimi risultati delle amministrative del 1951 e
del 1952; quel successo non si trasform in opportunit politica.
Pi o meno si verific una situazione analoga nel 1972: il succes-
so missino realizzatosi mentre la Dc sostanzialmente teneva
non si trasform in successo politico. La Dc si salvava, il tracollo
non cera stato e il Msi si ritrovava di fronte ai medesimi problemi
di prima, con laggiunta che la doppiezza di Almirante a un certo
punto avrebbe mostrato i suoi lati meno vantaggiosi.
Rossi ha parlato di urne amiche-nemiche e di spiacevole sor-
71
presa al momento dei risultati finali ; Marco Tarchi ha parlato di
una vittoria largamente al di sotto delle attese72.
Quello che pi conta il fatto che, come sintetizz Servello
pi tardi, i voti missini erano troppi e contemporaneamente
troppo pochi. Troppi perch spaventavano lantifascismo militan-
te che infatti si scaten contro la Fiamma e i suoi militanti; trop-
po pochi perch non furono sufficienti a convincere la Dc a con-
siderare determinante il partito di Almirante; le fu possibile aggi-
70
Su una interpretazione dei risultati del 72 si veda S. COLARIZI, Storia dei
partiti nellItalia repubblicana, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 410-413.
71
G.S. ROSSI, Alternativa e doppiopetto, cit., p. 217.
72
M. TARCHI, Cinquantanni di nostalgia, cit., p. 87 e ID., Dal Msi ad An, Il
Mulino, Bologna, 1997, pp. 44-45.
rare lostacolo, continuare nella politica di delegittimazione del
Msi e soprattutto avallare quello che anni dopo sarebbe stato de-
finito arco costituzionale, per mettere in condizioni di inagibilit
politica la Fiamma.
50
Abstract
di GREGORIO SORGON
3
Per un prospetto di studi, che esprimono una diversa se non opposta valuta-
zione del dibattito storico sul nesso tra crisi del paradigma antifascista e inter-
pretazione del ruolo delle organizzazioni di partito, in specie del Pci, nella sto-
ria dellItalia repubblicana, cfr. L. PAGGI, La strategia liberale della seconda
repubblica. Dalla crisi del PCI alla formazione di una destra di governo, in ID.,
F. MALGERI (a cura di), LItalia repubblicana nella crisi degli anni settanta.
Partiti e organizzazioni di massa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp. 72-
86; M. GERVASONI, Le insidie della modernizzazione. Mondo operaio, la
cultura socialista e la tentazione della seconda repubblica (1973-1982), in G.
DE ROSA e G. MONINA (a cura di), LItalia repubblicana nella crisi degli anni
settanta. Sistema politico e istituzioni, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp.
203-223; S. COLARIZI, M. GERVASONI, La cruna dellago. Craxi, il partito sociali-
sta e la crisi della Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 32-56.
4
Cfr. E. AGA ROSSI, V. ZASLAVSKY, Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica este-
ra staliniana negli archivi di Mosca, il Mulino, Bologna, 1997; S. BERTELLI, F.
BIGAZZI (a cura di), PCI. La storia dimenticata, Mondadori, Milano, 2002.
5
Cfr. E. GALLI DELLA LOGGIA, La morte della patria. La crisi dellidea di nazio-
ne dopo la seconda guerra mondiale, in G. SPADOLINI (a cura di), Nazione e
nazionalit in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1994; ID., La morte della patria, La-
terza, Roma-Bari, 1996.
Il Pci svolge, in questa lettura, una funzione doppiamente anti-
nazionale, sia per la sua dipendenza dallUrss sia perch fonda la
sua azione sul principio divisivo della lotta di classe che impedisce
la legittimazione definitiva della propria controparte politica6.
53
La corrente storiografica che si contrappone a questo modello
interpretativo trova il suo punto di riferimento pi interessante
nella riflessione storica proposta da Franco De Felice. Essa si fon-
da su una riconcettualizzazione dellantifascismo che ne contesta
la visione per cui esso vittima del comunismo7, leggendo il rap-
porto tra i due termini, almeno nel caso italiano, come una forma
di relazione dialettica dai risvolti anche tragici8.
Il principio di interdipendenza inserisce il Pci nellincrocio
dialettico tra pi fattori: esso influenzato dalla propria specifici-
t nazionale, dalla relazione a un antifascismo spazialmente non
circoscritto alla sola Italia, dal rapporto di dipendenza con lURSS
e, particolare spesso sottovalutato, dallinfluenza egemonica che
il modello sociale statunitense esercita sulle societ europee. In
questo caso riassumono importanza la storia del modello orga-
nizzativo comunista9 e temi non necessariamente legati al rap-
porto di lealt e subordinazione degli italiani ai sovietici quali,
appunto, la risposta comunista allo sviluppo capitalistico10, che
comunque incide sul rapporto tra il comunismo italiano e quello
sovietico11.
Dentro questa cornice storiografica, lobiettivo di contribuire
a una migliore specificit della composizione della cultura politi-
ca del comunismo italiano in relazione alla rappresentazione del
6
Cfr. ID., La morte della patria, cit., p. 50.
7
Cfr. F. FURET, Il passato di unillusione, Mondadori, Milano, 1995.
8
Cfr. F. DE FELICE, Introduzione, in ID. (a cura di) Antifascismi e Resistenze,
Annale VI Fondazione Istituto Gramsci, La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1997, pp. 11-39.
9
Cfr. R. GUALTIERI (a cura di), Il Pci nellItalia repubblicana (1943-1991), An-
nale XI, Carocci, Roma, 2001; ID., C. SPAGNOLO, E. TAVIANI (a cura di), Togliat-
ti nel suo tempo, Annale XV, Carocci, Roma, 2007.
10
Cfr. F. DE FELICE, LItalia repubblicana. Nazione e sviluppo, Nazione e crisi,
a cura di Luigi Masella, Einaudi, Torino, 2003.
11
Cfr. C. SPAGNOLO, Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del movimento
comunista internazionale (1956-1964), Carocci, Roma, 2007.
modello di sviluppo capitalistico nella fase del miracolo econo-
mico.
54
Il miracolo debole. Il Pci e il capitalismo italiano tra sviluppo e
povert
12
Cfr. F. MAREK, La teoria dellimpoverimento relativo e assoluto, in Rinasci-
ta, a. XI, gennaio 1956, p. 49-52.
13
Cfr. V. FOA, Il cavallo e la torre, Il cavallo e la torre, Einaudi, Torino, 1991, p.
252.
sperequazioni territoriali e garantisce maggiori spazi per
lintegrazione democratica delle masse nella vita pubblica.
Lallargamento degli spazi di integrazione delle masse agevola il
rinforzarsi di una domanda democratica di allargamento delle
55
cerchie decisionali dal centro alla periferia.
Il Pci subisce questa dinamica almeno a partire dalla sconfitta
subita dalla Cgil alla Fiat nel 195514 e dalla repressione violenta
della rivolta nazionale ungherese da parte dei sovietici. Il modo
in cui inizialmente il Pci prova a fronteggiare questo biennio cri-
tico si condensa nel rilancio della via italiana al socialismo pro-
mossa dallVIII Congresso del partito15.
La sconfitta alla Fiat apre una questione operaia dentro il par-
tito soprattutto in merito al modello di contrattazione e
alladeguatezza della linea adottata nella promozione degli inte-
ressi della classe operaia16. La repressione della rivolta nazionale
ungherese, pur riguardando esplicitamente i vincoli posti
allazione del Pci dalla appartenenza di campo, rimette in causa
una esigenza di democratizzazione del socialismo che cozza col
modello sovietico e rimette in discussione limpostazione del par-
14
Cfr. L. LANZARDO, Classe operaia e partito comunista alla Fiat. La strategia
della collaborazione, Einaudi, Torino, 1971; AA.VV., I comunisti a Torino 1919-
1972, Editori Riuniti, Roma, 1972, R. GIANNOTTI, Trentanni di lotte alla Fiat,
1948-1978. Dalla ricostruzione al nuovo modo di fare lauto, De Donato, Bari
1979; G. CRAINZ, Storia del miracolo italiano. Culture, identit, trasformazioni
fra anni cinquanta e sessanta, Donzelli, Roma, 1996, pp. 33-40.
15
Cfr. M. L. RIGHI (a cura di), Quel terribile 1956: i verbali della direzione co-
munista tra il 20 Congresso del Pcus e l8 Congresso del Pci, Editori Riuniti,
Roma, 1996; A. GUERRA, B. TRENTIN, Di Vittorio e lombra di Stalin.
LUngheria, il PCI e lautonomia del sindacato, Ediesse, Roma, 1997; J. HA-
SLAM, I dilemmi della destalinizzazione, in R. GUALTIERI, E. TAVIANI, C. SPA-
GNOLO (a cura di), Togliatti nel suo tempo, cit., pp. 235-238; S. F EDELE, Il PCI
tra crisi polacca e rivoluzione dUngheria, in S. F EDELE, P. FORNARO (a cura di),
Lautunno del comunismo. Riflessioni sulla rivoluzione ungherese del 1956,
Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini, 2007, pp. 208-220.
16
Cfr. V. FOA, Op. cit., pp. 256-258; A. GUERRA, B. TRENTIN, Di Vittorio e
lombra di Stalin, cit., pp. 178-201; C. GHEZZI, (a cura di), Giuseppe Di Vittorio
e i fatti dUngheria del 1956, Ediesse, Roma, 2007, pp. 31-33; S. CRUCIANI,
LEuropa delle sinistre. La nascita del Mercato comune europeo attraverso i
casi francese e italiano (1955-1957), Carocci, Roma, 2007, pp. 29-37.
tito-pedagogo rispetto alle istanze extra-partitiche.
Il fenomeno con cui il Pci deve adesso confrontarsi ricondu-
cibile nella categoria di policentrismo. Questa categoria, spesso
circoscritta al solo ambito dei rapporti tra Stati, probabilmente
56
pi utile se applicata anche alla descrizione interna delle societ
nazionali. La risposta al policentrismo comporta in un Paese de-
mocratico come lItalia un confronto sulla capacit di creare con-
senso.
Su questo terreno si collocano le obiezioni mosse al Pci da
Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil. Nella riu-
nione di Direzione del 30 ottobre 1956, rispondendo alle aperte
critiche che Togliatti gli muove, il leader sindacale chiede di
modificare radicalmente i metodi di direzione nei paesi di de-
mocrazia popolare e cambiare anche la politica economica e di
concertare i piani di sviluppo con la classe operaia chiudendo il
suo intervento con la significativa constatazione che democra-
tizzare profondamente una condizione di salvezza del sistema
socialista17.
Le obiezioni segnalano un malessere pi vasto di cui, sempre
Di Vittorio, si fa latore in sede di Direzione, il 30 gennaio del
1957. Di Vittorio riporta limpressione largamente diffusa tra
gli operai per cui con le sole forze della C.G.I.L. non si possono
impegnare lotte, in una fase in cui le condizioni oggettive sono
invece favorevoli a causa dellaumento dei profitti. Di Vittorio
registra la stasi della conflittualit operaia e ne individua la causa
nella verticalit del rapporto tra partito e classe. La mancata mo-
bilitazione delle forze operaie attribuita allassenza di unazione
parlamentare pi decisa e continuativa in difesa della classe ope-
raia attraverso provvedimenti quali la legge per il collocamento,
validit obbligatoria dei contratti di lavoro, giusta causa perma-
nente per fabbriche, provvedimenti di cui Di Vittorio auspica la
realizzazione anche al fine di realizzare lunit operaia
17
FIG (Fondazione Istituto Gramsci), APC (Archivio del Partito comunista ita-
liano), Fondo Mosca, Mf. 127, verbale del 30 ottobre 1956, pp. 2-5. La citazione
a p. 5. Tutti i verbali di direzione del 1956 sono ora in M.L. RIGHI, Quel terri-
bile 1956, cit.
nellazione [] superando la tensione dei rapporti creatasi dopo i
fatti dUngheria. Di contro a questa impasse, il leader del sinda-
cato propone di invertire il senso del rapporto tra ragioni operaie e
partito, ad esempio ripartendo dalle lotte aziendali18.
57
Lipotesi sottoconsumistica in questo caso palesemente in-
debolita. La stasi operaia, in una fase di oggettiva crescita dei sa-
lari19, attribuita a difetti di fondo nella strategia del partito. Ri-
guardo lesigenza di rivedere le categorie analitiche di lettura del
capitalismo si esprime in modo ancora pi diretto uno degli e-
sponenti emergenti della sinistra comunista, Sergio Garavini,
che, su lUnit del 2 febbraio 1957, richiamando le nuove riven-
dicazioni espresse dai lavoratori quali la riduzione della setti-
mana lavorativa a parit di retribuzione, afferma che il grande
capitale non esaurisce pi la sua politica soltanto nella rappresa-
glia e nella discriminazione contro la classe operaia [] perch
esso, per poter vivere, deve cercare una soluzione ai problemi
nuovi e complessi posti dalla realt dei suoi rapporti con i lavora-
tori e con il mercato, soluzione che non pu pi essere soltanto
quella del fascismo20.
Posizioni come quella di Garavini sono per minoritarie21. La
possibilit che il capitalismo integri per consenso un argomento
che incorre, ancora alla fine degli anni 50, nel duro giudizio del
18
FIG, APC, Fondo Mosca, Serie Direzione, Mf. 127, verbale del 30 gennaio
1957, intervento di Giuseppe Di Vittorio pp. 12.
19
Cfr. F. BARCA, Compromesso senza riforme, in Id. (a cura di), Storia del capi-
talismo italiano, Donzelli, Roma, 1997 pp. 38-43.
20
S. GARAVINI, Nelle grandi fabbriche, in LUnit, 2 febbraio 1957, p. 1.
21
Cos, quando si tratta di destinare Garavini alla segreteria della Camera del
Lavoro di Torino, questa scelta effettuata con molte riserve e il consiglio di
correggerne loperato: Longo: Torino. Pecchioli segretario e DAmico vice.
Alla C.d.L. Garavini, con qualche riserva politica. Scheda: Incontreremo delle
resistenze per mettere Garavini segretario della C.d.L. a Torino bench si rico-
nosca che il migliore. Novella: Non nominare Garavini avrebbe un chiaro
significato politico di diffidenza, e squalificazione. Amendola: Caso di Garavi-
ni, malgrado le sue tendenze economistiche che debbono essere combattute e
corrette. Cfr. FIG, APC, Fondo Mosca, serie Direzione, Mf. 127, verbale dell1
luglio 1958, interventi di Longo, Scheda, Novella, Amendola, pp. 3-6.
partito22. I fermenti notati in Direzione e sulla stampa comunista,
trovano, tuttavia, uno spazio relativo di espressione pubblica.
Nellottobre del 1957 Luciano Barca, pur in una chiave di conti-
nuit storica, insiste, ad esempio, sullopportunit di modificare i
58
canoni della rappresentazione del modello capitalistico tenendo
presente come le contraddizioni del sistema avverso si presentino
ora in forme originali che vanno approfondite23.
Il dibattito incartato dentro un ritualismo linguistico che lo
rende poco intellegibile, a tratti sterile. Esso scosso dalle elezio-
ni politiche del 1958 che prefigurano un possibile isolamento dei
comunisti a causa del tentativo fanfaniano di rilancio a sinistra
della Dc24.
Se nel numero di maggio-giugno del 1958 di Politica ed eco-
nomia, Luciano Barca, rappresenta il capitalismo occidentale
come un sistema omogeneo passibile di essere affrontato secondo
una scelta netta pro o contro il fascismo, verso il quale
limperialismo si volge sempre nei momenti di crisi25, non pi di
tre mesi dopo, proprio Barca introduce una riflessione sui carat-
teri integrativi di quello che, ormai pi assiduamente, definito
neocapitalismo. Barca segnala il rischio di unintegrazione ope-
raia nel sistema capitalistico ottenuta attraverso il superamento
del blocco dei salari e lintroduzione dello strumento della parte-
22
Cfr. Giudizi divergenti sul capitalismo contemporaneo, corsivo non firmato,
in Politica ed Economia, a. I, luglio 1957, p. 35.
23
L. BARCA, Capitalismo non pi nuovo, in Politica ed Economia, a. I, otto-
bre 1957, p. 3.
24
Cfr. G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano e lapertura a sinistra. La Dc di
Fanfani e di Moro 1954-1962, Vallecchi, Firenze, 1977, pp. 15-17; F. MALGERI (a
cura di), Storia della Democrazia Cristiana, 1954-1962. Verso il centro-sinistra,
Edizioni Cinque Lune, Roma, 1989, pp. 7-11; P. CRAVERI, La Repubblica dal
1958 al 1992, UTET, Torino 1995, vol. 24, Storia dItalia diretta da G. GALASSO,
pp. 6-7; A. GIOVAGNOLI, Il partito italiano. La Democrazia Cristiana dal 1942
al 1994, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp. 70 ss.; M. GREGORIO, Costituzione, forma
di governo e partiti politici, in P. L. BALLINI, S. GUERRIERI, A. VARSORI (a cura
di), Le istituzioni repubblicane dal centrismo al centro-sinistra (1953-1968),
Carocci, Roma, 2006, pp. 116-118; L. RADI, La DC da De Gasperi a Fanfani,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, pp. 141-143.
25
L. BARCA, Contro le radici del fascismo, in Politica ed Economia, a. II,
maggio-giugno 1958, p. 1
cipazione agli utili di azienda che induce loperaio [] a ritene-
re che il suo maggior salario non sia legato al fatto che egli d al
monopolio una pi qualificata quantit di forza-lavoro [] ma
sia invece legato ai superprofitti originati dal privilegio e per
questo spinto a farsi carabiniere di tale privilegio26.
59
28
L. BARCA, Un dibattito sul capitalismo di Stato in Italia, in Politica ed Eco-
nomia, a. II, novembre 1958, pp. 13-14.
29
Nei suoi diari Barca, proprio negli appunti relativi allottobre e novembre del
1958, definisce, ad esempio, Eugenio Peggio, redattore capo di Politica ed Eco-
nomia, molto solerte e capace [] anche se [] il pi legato a vecchi schemi
poich, come per molti altri per lui capitalismo e mercato sono la stessa cosa.
Cfr. L. BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci. Con Togliatti e con Lon-
go, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, pp. 198-199.
argomenti su cui si concentrano le differenti analisi del capitali-
smo di Stato introdotte nel dibattito.
Lintervento che apre realmente il dibattito quello di Franco
Rodano che contesta lidea che il capitalismo di Stato sia uno
61
strumento neutro orientabile in base al personale politico che lo
dirige. Egli paventa il rischio che ogni forma di capitalismo di
Stato, proprio perch guidata da unelite politica in parte allarga-
ta, possa tradursi in un gigantismo clientelare. Il capitalismo di
Stato non letto in funzione del manovratore, ma rispetto agli
scopi. Larticolo, infatti, distingue un intervento pubblico in eco-
nomia interessato a fornire beni e servizi in potenziale competi-
zione anche con i privati, dal tentativo di sopperire, in modo va-
go, a carenze sociali non direttamente dipendenti dalla produzio-
ne di beni e servizi gestita dalle imprese nazionalizzate30.
Il rischio di una deriva assistenziale e la percezione
dellinefficienza del pubblico implica, per Rodano, la possibilit
di un doppio effetto negativo sulla politica della sinistra italiana.
Il primo effetto negativo che la riforma del sistema economico
nazionale sia estemporanea perch calibrata per intervenire ai
margini e sugli scarti del cuore del sistema economico. Il secondo
che un capitalismo di Stato cos pensato getti un riflesso nega-
tivo sulleconomia di pubblica propriet. Il capitalismo di Stato a
guida politica, agli occhi di Rodano, gi in nuce prefigura una ge-
stione dellintervento pubblico in cui la costruzione di reti di
patronage e la preservazione del potere dirigente, prima che
lelaborazione programmatica, contano pi dellefficienza.
Questa rappresentazione del capitalismo di Stato comporta
una distinzione rispetto a chi, evidentemente anche dentro il Pci,
si propone di condizionare, e non di combattere a oltranza, la
sciagurata politica dellon. Fanfani vera e proprio camicia di
Nesso che corrode e soffoca [] ogni energia intraprenditrice
delle aziende sotto controllo pubblico. Lobiettivo del Partito
30
Sulla presenza di osservazioni analoghe in contesti esterni a quello comuni-
sta, cfr. F. BARCA, Op. cit., p. 88; I. FAVRETTO, Alle radici della svolta autonomi-
sta. PSI e Labour Party, due vicende parallele (1956-1970), Carocci, Roma, 2003,
pp. 178-179.
cattolico circoscritto a quello di chi intende accamparsi
allinterno della compagine statuale come in un proprio particolare
dominio ritagliandosi al suo interno, il luogo e lo spazio per una
arbitraria e indiscriminata libert dazione che sfidi e violi il diritto
62
comune. Il capitalismo di Stato configura allora un tassello nella
costruzione di uno Stato assistenziale per questo applicato alle
parti dello Stato che pi direttamente interessano la vita econo-
mica del paese e il processo dellattivit produttiva, e che quindi
promettono e assicurano pi tangibili e concrete prerogative, privi-
legi pi appetitosi, incontrollati e sonanti31.
Linterpretazione del capitalismo di Stato pi in voga dentro il
partito si mostra visibilmente pi possibilista nei confronti di un
controllo politico-parlamentare dellintervento di Stato in eco-
nomia. Nel dibattito seguente a ribadire questa posizione , tra i
primi, Angelo Di Gioia32, mentre sulla scia di Rodano si pone il
complesso intervento di Lucio Magri.
Magri, esponente della sinistra del partito e da poco iscritto al-
lo stesso dopo un tormentato percorso politico33, sostiene la revi-
sione della tesi dellarretratezza sistemica del capitalismo nazio-
nale. Egli rappresenta Fanfani come un innovatore autoritario
che risponde allesigenza del capitalismo italiano di disporre di
un governo forte, autonomo dal parlamento, capace di com-
piere operazioni decise ai danni della piccola e media borghesia
premoderna [] un governo efficiente, capace di agire con deci-
sione e secondo un certo disegno organico.
La trasformazione dellapproccio interpretativo mutua il piano
dellopposizione di classe che necessita adesso di un salto qualita-
tivo. Il mero produttivismo non basta pi a costituire una politica
spendibile per un partito di ispirazione marxista. In questo inter-
vento, come in quello di Rodano, emerge la preoccupazione che il
legame con il vincolo di congiuntura, una volta divenuto priori-
31
F. RODANO, La manomorta del regime fanfaniano, in Politica ed Economi-
a, a. II, novembre 1958, pp. 21-22.
32
Cfr. A. DI GIOIA, senza titolo, in Politica ed Economia, a. II, Gennaio 1959,
p. 28.
33
Cfr. G. CHIARANTE, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cin-
quanta, Carocci, Roma, 2006, pp. 29-180.
tario rispetto allaspetto prettamente economico dellerogazione
del servizio, indebolisca in linea di principio e in linea di fatto, il
settore dellimpresa pubblica34.
La risposta allarticolo di Magri occupa i numeri successivi
63
della rivista economica. Il punto che appare meno digeribile
quello relativo allapplicazione di un criterio di efficienza eco-
35
nomica alle imprese a partecipazione statale . Vincenzo Vitiello,
ad esempio, definisce il feticcio pi appariscente [] quello del
criterio di economicit fondato sul calcolo della redditivit che
concepito nel senso ristretto del conseguimento del profitto,
porta necessariamente [] ad espellere dalla fabbrica la mano-
dopera in eccesso. In un sistema definito ancora come monopo-
listico per Vitiello si sarebbe naturalmente acuito il contrasto tra
le funzioni di progresso economico e sociale che potrebbero avere
le imprese pubbliche e le scelte orientate essenzialmente in base
al criterio della redditivit36, ragione per cui il principio della
non profittabilit dellintervento considerato un momento posi-
tivo dellazione capitalistica di Stato che lo differenzia dal capita-
lismo privato, fondato unicamente sul principio del profitto.
Una posizione mediana la assume Bruno Trentin che sottoli-
nea la trasformazione modernizzatrice della Dc che ora mira a
sostituirsi permanentemente alle forme tradizionali di mediazio-
ne tra Stato e Confindustria, che di volta in volta erano rappre-
sentate dalla destra dc e dal Partito Liberale, implicando quindi
la costruzione di un partito di regime, effettivamente padrone
della macchina statale e che corrispondentemente fa propria
una concezione della pubblica amministrazione come elemen-
to attivo [] della riorganizzazione della economia italiana in
funzione degli interessi monopolistici e un centro di potere []
per la negoziazione, con gli stessi gruppi monopolistici di una
34
L. MAGRI, Egemonia proletaria e utilizzazione del capitalismo di Stato, in
Politica ed Economia, a. II, gennaio 1959, p. 34.
35
Cfr. B. MANZOCCHI, Gestione economica delle aziende di Stato su scala na-
zionale, in Politica ed Economia, a. II, Febbraio 1959, p. 36. Si veda anche L.
BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci, cit., p. 200.
36
V. VITELLO, Impresa pubblica, redditivit aziendale e sviluppo economica, in
Politica ed Economia, a. II, Maggio 1959, pp. 20-21.
politica sociale, capace di assorbire e di influenzare larghi strati
di popolazione lavoratrice.
Trentin evidentemente vicino alle posizioni descrittive della
sinistra del partito pur manifestando una attenzione pi robusta
64
verso la redditivit immediata del conflitto sindacale. Egli indivi-
dua almeno tre ambiti in cui esercitare lazione di stimolo dei
comunisti: la difesa e il potenziamento dellindustria meccanica
controllata dallo Stato, la riorganizzazione delle imprese pro-
duttrici di energia controllate dallo Stato sotto un unico ente e il
riassetto istituzionale dellintero settore delle partecipazioni sta-
tali, attraverso la loro organizzazione in enti di gestione, posti
sotto la diretta responsabilit del Governo e il controllo del Par-
lamento37. Trentin dimostra, rispetto alla sinistra comunista,
una maggiore vicinanza alla linea del partito, soprattutto riguar-
do al tema del controllo, qui ancora attribuita ad enti di gestione
rispondenti principalmente al Parlamento. Tuttavia la richiesta di
un impegno pubblico selettivamente rivolto verso lindustria
meccanica prefigura un indirizzo dello sviluppo che non coincide
con le posizioni prevalenti nella destra del partito a sostegno di
un modello di spesa al cui interno lagricoltura e la piccola e me-
dia impresa occupano ancora un posto principale. Trentin assu-
me un ruolo a se stante che lo porta ad essere, in questo settore,
una delle voci pi ascoltate e rilevanti dellintero Pci.
Il dibattito sul capitalismo di Stato differenzia schematicamente
una componente maggioritaria del partito interessata a promuove-
re le forme di nazionalizzazione anche passiva delle masse lavora-
trici e unarea pi eterogenea che, esulando dalla centralit imme-
diata della rivendicazione salariale, punta la propria attenzione sul
ruolo attivo del lavoratore nella nuova societ spostando la sfida al
neocapitalismo sul versante dellorganizzazione produttiva e sul
lato qualitativo della contesa38.
Il V congresso della Cgil costituisce una tappa tra le pi im-
37
B. TRENTIN, Una strada lunga dieci anni, in Politica ed Economia, a. II,
Giugno 1959, pp. 24-29.
38
Cfr. S. GARAVINI, Le industrie automobilistiche europee in concorrenza sul
mercato italiano, in Politica ed Economia, a. IV, Novembre 1960, p. 5.
portanti in questo processo. Il congresso, per descriverlo attraver-
so le parole di un suo protagonista, rilancia lidea che la [] di-
stribuzione del prodotto e quindi la stessa organizzazione del la-
voro nella produzione non potevano essere monopolio esclusivo
dei possessori di capitale39 e accelera lindebolimento della di-
65
40
pendenza stretta del sindacato dal partito . Il principio
dellautonomia sindacale aggiunge un ulteriore tassello a uno
scontro interno basato essenzialmente su due fattori: il giudizio
sul grado di maturit del Paese e la conseguente metodologia po-
litica che lorganizzazione avrebbe dovuto adottare nei confronti
di ci che nel Paese si organizza esprimendo ragioni politiche pur
senza essere partito.
Il confronto interno allorganizzazione comunista si concentra
adesso sulle forme della contrattazione sindacale e in termini che
rendono evidente come la sua tematizzazione sia inscindibile da
una riflessione sul ruolo dellorganizzazione sindacale e sulla
funzione del lavoro dipendente. Il tema del salario e le ragioni di
merito nella sua distribuzione marcano, in questo caso, la differen-
za tra i sostenitori della contrattazione in base al rendimento da
coloro i quali propongono una priorit del tema delle qualifiche.
Nel maggio del 1960 il tema della contrattazione dibattuta
nella commissione di massa del Pci. La relazione iniziale di Enri-
co Bonazzi, responsabile della commissione a breve sostituito da
Giorgio Napolitano41, individua la novit del V Congresso
nellaver segnalato un livello dello scontro che nelle grandi fab-
briche interessa ragioni dordine pi complesse che in passato.
Un doppio livello per cui se la lotta per gli aumenti salariali e
39
V. FOA, Op. cit., p. 265. Sul V congresso si veda anche A. PEPE, Il sindacato
nel compromesso nazionale: repubblica, costituzione, sviluppo, in ID., P. IUSO,
S. MISIANI (a cura di), Storia del sindacato in Italia nel Novecento. La CGIL e la
costruzione della democrazia, Ediesse, Roma, 2001, pp. 118-122, S. TURONE, Op.
cit., pp. 269-271, M.L. RIGHI, Gli anni dellazione diretta, (1963-1972), in A. PE-
PE (a cura di), Storia del sindacato in Italia nel 900. Il sindacato nella societ
industriale, Ediesse, Roma, 2008, p. 22, A. GRAZIANI (a cura di), Leconomia
italiana dal 1945 a oggi, il Mulino, Bologna, p. 77.
40
Cfr. S. T URONE, Op. cit., p. 254.
41
Cfr. G. NAPOLITANO, Dal Pci al socialismo europeo. Unautobiografia politi-
ca, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 53.
nuove conquiste normative deve svilupparsi ovunque vi sono la-
voratori sfruttati, bassi salari, per imporre ovunque non lo sono il
rispetto dei minimi (erga omnes) contrattuali [] anzitutto do-
ve la classe operaia maggiormente concentrata nelle grandi
66
fabbriche e nelle industrie dei complessi monopolistici, che deve
essere posto con estremo vigore il problema di una politica ri-
vendicativa salariale e normativa molto avanzata, e sapere con-
durre con vigore grandi lotte articolate [] che mirino a mobili-
tare interi settori omogenei42. La relazione giustappone posizio-
ni non conciliate dentro il partito.
I fautori dellindirizzo al reddito della redistribuzione, come
Eugenio Peggio, difendono i successi ottenuti nelle fabbriche to-
rinesi con rivendicazioni di legame del salario e del rendimen-
to. Si stabilisce, in questo caso, un livello dello scontro basato
prima di tutto sul salario e solo marginalmente sulla appropria-
zione del processo produttivo.
La contrattazione per qualifiche di settore, invece, lega
lindirizzo della distribuzione al raggiungimento di una maggiore
maturit da parte dei lavoratori. La determinazione del merito e
del salario secondo aumenti dettati dalla conoscenza del processo
produttivo mira inoltre a garantire una contrattazione meno spe-
requata da zona a zona, dal momento che non lega laumento al-
la produttivit della singola impresa, ma a una qualifica settoria-
le indifferente alla produttivit conseguita. Sulla priorit delle
qualifiche Luciano Barca si sofferma per sottolineare quella che
reputa larretratezza del partito nel connettere le punte di com-
battivit avutesi nellagosto 60 [] pi che nellagosto 59
con temi quali struttura del salario, qualifiche, ecc. Una arre-
tratezza riflessa nel fatto che si discute ancora sulla lotta azien-
dale, mentre la CGIL pone la questione delle lotte di settore.
Questultimo passaggio aiuta a capire meglio i termini del
confronto. La lotta di settore pone il conflitto sul terreno di una
contrapposizione tra organizzazioni unitarie: da una parte i sin-
dacati di categoria e dallaltra le imprese. Lobiettivo che ci si
42
FIG, APC, mf. 0468, serie sezioni di lavoro, commissione lavoro di massa 1960,
Riunione del 18-19 maggio 1960, Relazione di Enrico Bonazzi, pp. 15-17.
pone quello di riflettere lintegrazione per settore sui sindacati
corrispondenti e di conquistare un salario unico per qualifica
[] cio una serie di minimi per qualifiche. La scelta del terreno
aziendale, al contrario, comporta un indirizzo pi interessato alla
67
rimunerativit immediata come afferma Angelo Di Gioia quando
sostiene che il sindacato deve contrattare, nella azienda supe-
rando le riserve su sindacato aziendale, aziendalismo perch
il vero pericolo la assenza del sindacato dalle aziende: quello
43
il vero aziendalismo .
Il confronto rimette in causa il tema del controllo operaio e
dellunit sindacale ma coinvolge la linea nazionale del partito
emersa con il Congresso del 1956 e adesso messa alla prova
dallavvicinamento tra democristiani e socialisti dopo il fallimen-
to del Governo Tambroni44.
In questo quadro il Convegno sulle tendenze del capitalismo
italiano, organizzato dallIstituto Gramsci nel marzo del 1962,
rappresenta il tentativo di dare alla linea economica del movi-
mento comunista italiano una unitariet evidentemente non con-
seguita. La prima delle tre relazioni introduttive, affidata ad An-
tonio Pesenti e Vincenzo Vitiello, effettua un riconoscimento ri-
levante del processo espansivo di integrazione economica.
Lintegrazione economica europea, infatti, definita un feno-
meno di lunga durata, che corrisponde alle esigenze generali del-
lo sviluppo capitalistico, al progredire della tecnica e alla conse-
guente produzione di massa, che esige mercati sempre pi vasti e
stabili, la eliminazione delle strutture pi arretrate, una maggiore
mobilit delle forze produttive. Lo sviluppo capitalistico rela-
zionato a un movimento generale verso una maggiore liberaliz-
zazione degli scambi e dei pagamenti, di crescenti legami e inter-
connessioni tra i paesi capitalistici.
I due relatori sottolineano come nel settore della produzione
43
APC, FIG, mf. 0468, serie sezioni di lavoro, commissione lavoro di massa
1960, riunione del 24 agosto 1960, p. 10-14.
44
Sul caso Tambroni tra le tante ricostruzioni fornite si fa qui riferimento a
quelle di P. CRAVERI, Op. cit., pp. 57-73, P. DI LORETO, La difficile transizione.
Dalla fine del centrismo al centro-sinistra. 1953-1960, il Mulino, Bologna, 1993,
pp. 240-246.
industriale sia intervenuta una maggiore coordinazione rispetto
al passato importante nel determinare nuove localizzazioni in-
dustriali, riconoscendo, cos, alcuni dei risultati conseguiti dalla
programmazione economica, come la costituzione nel 1956 del
68
Ministero delle Partecipazioni statali e lobbligo per il Ministero
di presentare una relazione programmatica sottoposta al control-
lo e alla approvazione, nelle sue linee generali, del Parlamento.
La ragione di questi cambiamenti ricondotta alla mobilitazione
di massa, consentendo di recuperare la rappresentazione del capi-
talismo italiano in termini di arretratezza sistemica indotta alla
trasformazione dallesterno e che ancora pu svolgere il ruolo di
imporre orientamenti dellintervento pubblico che siano pi con-
formi alle esigenze di progresso economico e civile del paese45.
Le riflessioni proposte nel dibattito dalla seconda relazione,
quella di Bruno Trentin, mostrano un carattere pi complesso e
si basano su una descrizione del neo-capitalismo inteso come
movimento storico autonomo che, contenendo una contraddizio-
ne tra ragioni del profitto e razionalit della produzione, pu
consentire di porre il conflitto di classe su un terreno qualitati-
vamente pi maturo e allargato nei suoi soggetti costitutivi. Il
successo del modello neocapitalista, osserva Trentin, non elimina
il conflitto per aver ridistribuito pi reddito e incrinato
lequilibrio dei bassi salari. Esso, infatti, smentisce la tesi, riaf-
fiorata negli anni 1955-56, di una tendenziale attenuazione dei
conflitti di classe nella grande impresa moderna, in ragione del-
la progressiva sostituzione dei proprietari-azionisti da parte dei
managers, nella gestione diretta dellimpresa stessa. Trentin
rifiuta la schematica equiparazione tra il cosiddetto neocapitali-
smo e lintegrazione della classe operaia, adesso impegnata nel-
la lotta per la conquista di una autonomia [] del lavoratore
dalla singola azienda e dalla sua politica di gestione, che si ri-
flette in rivendicazioni quali quelle per il salario garantito o per
le nuove qualifiche rispondenti alle capacit professionali della
persona del lavoratore e il diritto a negoziare i ritmi di pro-
45
A. PESENTI e V. VITIELLO, Tendenze attuali del capitalismo italiano, in Poli-
tica ed Economia, a. V, marzo-aprile 1962, pp. 15-26.
duzione.
Il nuovo piano del conflitto investe il tema del controllo della
produzione allinterno di un sistema di fabbrica composto da tre
elementi (capitale, direzione, produzione) due dei quali dire-
69
zione e produzione possono essere congiunti contro gli interessi
del capitale.
Questa differenziazione tra direzione o gestione del processo
lavorativo e possesso del capitale non comporta un automatismo
del conflitto e per allarga il campo delle possibilit dellazione
comunista potendo esprimere il tentativo di larghi strati di in-
tellettuali della produzione, di tecnici, di acquisire una autono-
mia culturale e ideologica e una autonomia politica dal sistema.
Per il Pci, nella prospettiva tracciata da Trentin, si apre
lobiettivo di sensibilizzare al socialismo nuove categorie profes-
sionali, quali la grande massa dei lavoratori convogliati nei ser-
vizi e in genere nel settore cos detto terziario, la grande massa
degli impiegati dellindustria e, particolarmente, la categoria dei
tecnici dellindustria e dellagricoltura, la cui conquista agli ideali
del socialismo diventa nelle condizioni odierne uno degli obietti-
vi fondamentali del movimento operaio.
Sulla base di questa descrizione, Trentin affronta il tema delle
nazionalizzazioni, stabilendo un discrimine di merito che rela-
zionato al ruolo svolto da questo processo di acquisizione pubbli-
ca di settori delleconomia privata in funzione di una trasforma-
zione generale della societ italiana.
Secondo Trentin liniziativa comunista, infatti, manca di chia-
rezza nel ribadire il valore di strumento delle nazionalizzazioni
rispetto alla affermazione di un certo tipo di politica di sviluppo
e rispetto ad una nuova articolazione democratica della societ
nazionale. Temi quali i problemi del controllo operaio, della
nuova funzione e dei poteri autonomi dei sindacati, delle forme
di gestione associata, del controllo democratico, della nuova fun-
zione degli enti locali, delle nuove forme e dei nuovi istituti di
democrazia di base, diventano parte integrante e inscindibile di
una politica di riforme strutturali. La difesa e lestensione degli
istituti della democrazia rappresentativa complementare al
sorgere di nuovi strumenti di controllo popolare, di nuovi istituti
di democrazia, capaci di rappresentare nei loro rapporti di neces-
sit con laffermazione di una determinata politica di sviluppo,
unalternativa reale alle soluzioni tecnocratiche o a quelle molte-
plici dellistituzionalismo e della economia concertata46.
70
La relazione di Amendola, che segue quella di Trentin, in-
trodotta anchessa dal riconoscimento della creazione di nuove
condizioni alla lotta di classe, adesso svolta su linee pi avan-
zate, non pi in un paese economicamente arretrato47. Il rinno-
vamento delle categorie di lettura del capitalismo italiano attra-
versa anche larea pi legata a una sua rappresentazione stagna-
zionista48 sebbene la relazione fornisca sotto molti aspetti un
saggio di continuit storica. Particolarmente pertinente
linterpretazione fornita da Franco De Felice in merito quando
osserva che il riferimento allantifascismo presente in Amen-
dola e secondario negli altri interventi evidenziando la diva-
ricazione che poteva registrarsi in un organismo compatto come
il Pci su un punto delicato e denso di significato perch in A-
mendola il richiamo allantifascismo operava secondo lo schema
su cui era costruita la sua analisi del dopoguerra: rimaneva fuori
la questione di cosa dovesse o potesse diventare lantifascismo in
rapporto allintensit delle trasformazioni, in quale misura potes-
se rafforzare la capacit di comprensione delle forme di modifi-
cazione dello Stato49.
Riguardo la connessione tra riforme economiche e trasforma-
zione degli istituti di rappresentanza in senso progressivamente
democratico, sollevato da Trentin, Amendola si esprime indican-
do nella partecipazione popolare lelemento che pu dare agli
istituti repubblicani un reale contenuto democratico ed assicurare
il mantenimento nel paese di un alto grado di permanente ten-
sione sociale e politica. La partecipazione popolare ha quindi il
46
B. TRENTIN, Le dottrine neocapitalistiche nella politica economica, ivi, p. 28-
45.
47
G. AMENDOLA, Lotta di classe e sviluppo economico dopo la liberazione, ivi,
p. 47.
48
L. MAGRI, Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, Il Saggiatore, Milano,
2009, p. 188.
49
F. DE FELICE, LItalia repubblicana, cit., p. 42-43.
compito di sollecitare, non di indirizzare, gli istituti della demo-
crazia repubblicana.
Le riforme cui il Pci pu dare il suo sostegno sono quelle ri-
spondenti a esigenze nazionali e che assicurano uno sviluppo
71
democratico delleconomia italiana [] per giungere alla elimi-
nazione delle basi sociali del fascismo. Il senso nazionale del
movimento operaio genera, in questa interpretazione, un circuito
felice tale da rimettere in carreggiata lo stesso capitalismo obbli-
gandone la modernizzazione dopo il ciclo di lotte del 49 e del
50, qui definite meritorie perch funzionali alla difesa
dellindustria italiana. Di innovativo si registra la presa datto
del ruolo del Mec nel processo di sviluppo rispetto a quelle posi-
zioni del Pci che a esso hanno attribuito difficolt economiche
che erano [] conseguenze della fase del ciclo economico inter-
nazionale50.
Gli spunti critici nel dibattito sono accomunati dalla messa in di-
scussione del ruolo istituzionale e responsabile della classe operaia
nei confronti della nazione. Vittorio Foa, tra questi, mette in dubbio
la possibilit di far convergere, diversamente dalla fase degli ultimi
quindici anni51, linteresse operaio con quello generale.
Lintervento pi complesso e pi significativo delle obiezioni
poste ad Amendola quello di Lucio Magri. Magri relaziona
linsufficienza di una linea di lotta sindacale di classe a un er-
rato giudizio di fondo dello sviluppo capitalistico schiacciato
sulla contrapposizione capitale-lavoro da cui si deduce che
lunica forza progressiva il proletariato e lunico terreno di lotta
quello che sta al livello dellazienda. Il capitalismo interpretato
quindi come un fattore di riorganizzazione della societ, relati-
vamente indipendente dal conflitto di classe, che tutta la riduce
sotto le sue leggi contraddittorie.
Magri non chiede di contrapporsi a questa riorganizzazione
del capitalismo mediante una chiusura antimoderna ma di intro-
50
G. AMENDOLA, Lotta di classe e sviluppo economico dopo la liberazione, cit.,
pp. 48-68.
51
Cfr. Tendenze del Capitalismo italiano, Atti del convegno economico
dellIstituto Gramsci 23-25 marzo 1962, Editori Riuniti, Roma, 1962, intervento
di Vittorio Foa, p. 235.
durre, nel dibattito comunista, dei momenti di riflessione legati a
una revisione della societ dei consumi anticipata, ad esempio,
dai principali esponenti del marxismo critico francofortese. I suoi
riferimenti rimandano a Schumpeter, tra gli economisti borghe-
72
si; o ad Adorno fra i sociologhi paramarxisti; o al giovane Lukacs
nel campo del marxismo eterodosso o al Marx giovanile, dei
manoscritti del 44, che tanti spunti preziosi contengono [] per
rimanere adeguati al momento, alla fase in cui storicamente do-
veva svilupparsi ai suoi tempi la lotta di classe.
La riorganizzazione capitalista della societ va allora contra-
stata sul terreno della libert da forme di dipendenza che ora si
profila come dipendenza dal bisogno indotto. Lobiettivo di lungo
periodo del comunismo, infatti, circoscritto allo sviluppo di bi-
sogni umani [] come fine della produzione dei beni e non mo-
mento subalterno di essa, aspetto speculare di una riconversione
del lavoro per cui esso sarebbe dovuto essere libera e creativa
espressione della personalit e perci a sua volta inesauribile ori-
gine di bisogni umani.
La riflessione di Magri presuppone una nuova razionalit del-
la ricchezza. Su questo terreno egli pone il punto di contatto tra
marxisti e cattolici, giacch entrambi interessati a contrastare un
modello di societ, come quella capitalista, cui si attribuisce il fi-
ne di sottoporre la dimensione qualitativa-pluriforme della per-
sonalit umana a una riduzione quantitativa che trova nel denaro
e nei consumi indotti i suoi vettori. Lintervento sottolinea come
nella ineliminabile carica anticapitalistica del movimento catto-
lico in quanto cattolico, in quanto movimento religioso, i comu-
nisti trovano un forte elemento di alleanza proprio nel momen-
to in cui la societ capitalistica si dimostra soprattutto non pi
una societ che comprime la quantit dei bisogni, quanto e so-
prattutto come una societ che comprime luomo nelle sue di-
52
mensioni qualitative .
Questa interpretazione del capitalismo presuppone la rimo-
zione del problema della sussistenza nei paesi occidentali e fa
emergere un eccesso prospettico, riconosciuto a posteriori anche
52
Ivi, intervento di Lucio Magri, pp. 328-334.
da alcuni tra gli interpreti principali di quel modello interpretati-
vo, come Rossana Rossanda, che riconosce una tendenza alla esa-
gerazione nel descrivere la dinamica dello sviluppo come se a
forza di innovazioni gi fossimo in Germania53, o lo stesso Ma-
73
gri, che nel rileggere le posizioni assunte nel corso del convegno
afferma di aver attribuito importanza, nellanalisi, al fenomeno
del consumismo individualistico come tratto del neocapitalismo,
il che si prestava particolarmente allaccusa di astrattezza e di i-
deologismo, di fronte a un paese nel quale il benessere era ben
lontano e tanti bisogni vitali erano ancora insoddisfatti54. Esse
propongono per una rappresentazione pi complessa delle ten-
denze dello sviluppo capitalista e della sua capacit di esercitare
una egemonia globale fra laltro niente affatto distante dalla let-
tura della crisi del movimento comunista nel confronto globale
prefigurata in quegli anni da Palmiro Togliatti.
Togliatti matura la consapevolezza di questa crisi soprattutto
dopo il XXII congresso del Pcus e il non troppo implicito richia-
mo alla frontiera della rincorsa alla civilt dei consumi come o-
biettivo del movimento ivi avanzato da Kruscev che propone,
come ha osservato Carlo Spagnolo, uninterpretazione assai ri-
duttiva del socialismo, basata sulla teoria degli stadi di sviluppo
di Walt Rostow assai pi che sulle idee di Marx sui bisogni e le
capacit55. Il segretario del Pci sviluppa un profondo disincanto
verso le prospettive rivoluzionarie del comunismo a guida sovie-
tica, che terminer nella stesura del Memoriale di Yalta, e fa pro-
prio uno sguardo pi scettico riguardo le possibilit di una frattu-
ra rivoluzionaria in Occidente rispetto a una sinistra pi ottimi-
sta che avrebbe ricercato da allora queste fratture nella contesta-
zione studentesca e nello scenario del cosiddetto Terzo Mondo.
La sinistra interna, per, svolge una funzione di stimolo senza la
quale il Pci probabilmente sarebbe rimasto ancorato a una visio-
ne del capitalismo italiano fondata sulla contrapposizione tra
monopoli autoritari e masse operaie frustrate e capaci di orien-
53
R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino, 2005, p. 242.
54
L. MAGRI, Il sarto di Ulm, cit., p. 189.
55
C. SPAGNOLO, Sul memoriale di Yalta, cit., p. 199.
tarsi solo in presenza di una testa esterna quale quella rappresen-
tata dalla classe politica comunista.
La sopravvivenza di sacche profonde di povert nellItalia
dellepoca56 non esclude che la riflessione avanzata da sinistra
74
metta in causa il problema della qualit dello sviluppo, antici-
pando argomenti, categorie e termini che avrebbero influito a
fondo sulla vicenda storica della sinistra italiana. Lintervento di
Magri utile per comprendere nello specifico le differenze tra la
destra e la sinistra del partito. Su queste differenze influisce sia
larea di provenienza dei due dirigenti comunisti sempre la
Rossanda nelle sue memorie parla esplicitamente di un evidente
57
disaccordo fra i settentrionali e la direzione del partito sia
il fatto che Magri, e i dissenzienti, abbiano una relazione con
lorganizzazione del partito meno intensa dellarea concentrata
intorno ad Amendola58.
Un ulteriore contributo alla definizione di queste differenze lo
propone Rodolfo Banfi che introduce una revisione della questio-
ne meridionale tendente al suo rapido superamento59. Il rapporto
fra sud e nord definito da Banfi un modo di essere, una del-
le forme specifiche dellanzidetta contraddizione complessiva, e
non una contraddizione a s stante per cui concepire il contra-
sto fra settentrione e meridione come fenomeno a origine stori-
ca piuttosto che socio-economica comporta [] una visione
dellItalia [] in cui si perde di vista [] il processo di unifica-
zione capitalistica del paese che rende intrinsecamente dina-
56
Cfr. I. FAVRETTO, Op. cit., pp. 187-188, A. PEPE, Il sindacato nel compromesso
nazionale: repubblica, costituzione, sviluppo, in ID., P. IUSO, S. MISIANI (a cura
di), Storia del sindacato in Italia nel Novecento. La CGIL e la costruzione della
democrazia, cit., p. 103, F. BARCA, Op. cit., pp. 64-70.
57
R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, cit., p. 241.
58
Per una interpretazione simile cfr. L. BARCA, Cronache dallinterno del verti-
ce del Pci, cit., p. 293.
59
Secondo linterpretazione di Rossana Rossanda fu proprio questo uno degli
argomenti che pi pesarono nel determinare uno scontro tra la direzione del
partito e gli esponenti della sinistra interna, colpiti, ricorda la fondatrice de Il
Manifesto, perch pensammo che la crescita avrebbe unificato il paese in
una modernizzazione che poteva chiudere, per esempio, con la questione me-
ridionale. R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, cit., p. 242.
mico60 il contrasto tra Nord e Sud del Paese.
Questi esponenti del Pci vivono diversamente, pensano di-
versamente e, particolare fondante in un partito a forte carat-
tere ideologico e quindi legato a un proprio nucleo di testi di
75
riferimento, leggono diversamente. Una rappresentazione stori-
camente onesta di questa diversit la fornisce, in sintesi, Rossana
Rossanda, nella sua autobiografia, quando descrive il suo lavoro
come responsabile della commissione cultura del Pci, incarico as-
sunto nel 1962 in sostituzione di Mario Alicata, tracciando un
quadro della propria formazione intellettuale che spazia da Joyce
ad Althusser, da Adorno a Sartre. La sinistra interna, soprattutto,
legge Marx con una costanza e una dedizione nuova e difficilmen-
te riscontrabile nella formazione intellettuale del gruppo dirigente
comunista che, tranne alcune eccezioni, si forma nel riferimento a
intellettuali nazionali e, prevalentemente, meridionalisti61.
La sinistra recupera dal patrimonio comunista la ricerca di
una politica e di un pensiero globali, maggiormente attenta verso
tutto ci che universale e potenzialmente rivoluzionario al
tempo stesso, dal dissenso nella Chiesa alla emersione del Terzo
Mondo come soggetto non inquadrabile dentro la cornice della
coesistenza pacifica. La destra si muove in una prospettiva in
primo luogo nazionale e che si sarebbe estesa allEuropa s ma
per intenderla come nuovo contesto in cui pensare il destino sto-
rico della nazione italiana ricercando una linea politica pi con-
creta e spendibile nellimmediato attraverso la politica delle alle-
anze e il sostegno al principio della coesistenza pacifica.
Labbandono della prospettiva rivoluzionaria , in questo caso,
implicita e il settore della societ cui ci si rivolge essenzialmen-
te quello dellarea politico-intellettuale filo-socialista, laburista e
laica.
Le differenze tra le parti sono nette al punto da non essere sin-
tetizzabili. Le conclusioni di Amendola al convegno, non a caso,
60
Tendenze del Capitalismo italiano, cit., intervento di Rodolfo Banfi p. 349.
61
Cfr. R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, cit., pp. 268-278. Riguardo la
familiarit con questa cultura pi europea che italiana si veda anche L. MAGRI,
Il sarto di Ulm, cit., p. 147, 183, 189.
tentano di consolidare i propri punti di partenza, secondo una
descrizione del capitalismo nazionale per cui esso continua a dif-
ferenziarsi dal resto del sistema occidentale per ragioni relative
alla sua arretratezza e tali da consigliare un profilo pi basso e
76
responsabile nellazione del movimento operaio. Per Amendola
pacifico che, nella lotta per il compimento della rivoluzione de-
mocratica borghese, la classe operaia abbia una sua funzione na-
zionale configurabile in un aumento del reddito, e un impiego
del reddito che assicuri una elevazione delle condizioni materiali
e culturali delle masse lavoratrici, ed un crescente soddisfacimen-
to dei bisogni collettivi della societ.
Il conflitto di classe, in questa ottica, garantisce alla soggetti-
vit operaia maggior benessere e rappresentanza istituzionale
prevalentemente dentro gli istituti di rappresentanza politica pre-
figurati dalla Costituzione. La democrazia di tipo nuovo, sotto
laspetto delle forme della politica, esige anzitutto un efficace
funzionamento del parlamento presupponendo un allargamen-
to dei confini della democrazia inteso come integrazione fe-
conda e originale del sistema parlamentare e degli istituti previsti
dalla Costituzione (regione, provincia, comuni) e non come loro
negazione. Soprattutto, conclude Amendola, bisogna non
cercare astrattamente di fissare, precostituire, prefigurare, mitiz-
zare le forme del controllo operaio in fabbrica, quando non riu-
sciamo ancora a costituirvi nemmeno il sindacato.
La denuncia del rischio perenne di una deriva fascista, dimo-
strato dal risultato conseguito a Roma dalla destra neofascista al-
le elezioni amministrative del novembre 1961, ritorna come con-
dizione di ragionevolezza per indurre a riunire, ancora una volta,
tutte le opposizioni sotto le bandiere dellantifascismo. A partire
da queste premesse, il partito confermato nella sua funzione
pedagogica per cui esso deve portare nella fabbrica una coscien-
za rivoluzionaria [] che matura [] sulla base di una conoscen-
za generale del mondo, della situazione internazionale, dellItalia,
della sua storia, dei suoi rapporti di classe, della sua cultura, della
sua filosofia, secondo la concezione leninista del partito62.
Lorganizzazione, quindi, uno strumento chiamato a indirizzare
secondo stadi progressivi la trasformazione delle coscienze e del-
la societ innanzitutto supplendo al ruolo svolto in altri contesti
nazionali dalle borghesie63.
77
62
Tendenze del Capitalismo italiano, Op. cit., conclusioni di Amendola, p. 428-
439.
63
Questa visione del ruolo delle avanguardie era anchessa riconducibile alla
strategia politica di Lenin seguente la fallita rivoluzione del 1905, cfr. S. PONS,
Op. cit., p. 4.
64
Esemplare larticolo a firma comune di Franco Rodano e Claudio Napole-
oni, pubblicato nel giugno del 1964 su La Rivista Trimestrale, in cui i prin-
cipali apprezzamenti circa la politica economica del Pci, allinterno di un
contesto prevalentemente critico, venivano rivolti alla mozione di minoran-
za al disegno di legge relativo al bilancio di previsione dello Stato per il pe-
riodo 1 luglio 31 dicembre, il cui estensore Luciano Barca, dirigente tra i
pi rilevanti nel novero di quelli che influenzano le posizioni di Pietro In-
grao. Cfr. C. NAPOLEONI, F. RODANO, Significato e prospettive di una tregua
salariale, in La Rivista Trimestrale, a. III, n. 10, giugno 1964, p. 244.
65
Cfr. E. TAVIANI, Di fronte al centro sinistra, in R. GUALTIERI, C. SPAGNOLO,
ID., Togliatti nel suo tempo, cit., pp. 394-422.
era stata attribuita la capacit di realizzare una normalizzazione
modernizzatrice della democrazia italiana smentita da vicende
quali il fallimento della legge urbanistica pensata da Fiorentino
Sullo66. Le posizioni della destra, attestate sul principio
78
dellanomalia italiana, sono rinforzate dalla crisi del progetto ri-
formatore di centro-sinistra, ma indebolite dal fatto che il sogget-
to politico cui guardano con pi attenzione, il Psi, parte in cau-
sa di quella crisi.
Il quadrante internazionale registra una decisiva frattura in
seno al movimento comunista che occupa gli ultimi anni di vita e
di riflessione di Palmiro Togliatti e investe anche la crisi del co-
munismo come forma di sviluppo economico alternativo al capi-
talismo67. Le prospettive delle componenti interne al Pci si diva-
ricano ulteriormente dopo la morte di Togliatti, tra una sinistra
poco interessata a una politica delle alleanze rivolta ai partiti o-
rientati a sinistra e una destra che invece vuole rendere pi soli-
de quelle alleanze, tentativo che Amendola spinge infruttuosa-
mente fino alla proposta di unificazione con i socialisti
nellautunno del 196468.
La nuova segreteria Longo si caratterizza fin da subito per
lincentivo a una maggiore libert del dibattito interno.
Lapertura comporta anche che il partito non sia del tutto garan-
tito dalla manifestazione pubblica delle tendenze conflittuali69. Il
contrasto si esplicita nel corso del 1965 su tutti gli argomenti af-
frontati in sede di definizione delle tesi congressuali. La confe-
renza operaia di Genova una delle scansioni decisive in questo
confronto, giustamente definito da una sua protagonista, non
ancora irrigidito, ma ormai aspro70.
66
Cfr. P. CRAVERI, Op. cit., pp. 116-118, P. GINSBORG, Storia dItalia dal dopo-
guerra a oggi, Einaudi, Torino, 1988, pp. 366-369; G. CRAINZ, Storia del miraco-
lo italiano, cit., pp. 127-132; S. LANARO, Storia dellItalia repubblicana, Marsi-
lio, Venezia, 1992, pp. 322-324.
67
Cfr. C. SPAGNOLO, Sul memoriale di Yalta, cit., p.57-65 .
68
Cfr. A. HBEL, Il Pci di Luigi Longo (1964-1969), ESI, Napoli, 2010, pp. 82-89.
69
Cfr. FIG, APC, mf. 28, serie Direzione, verbale di Direzione del 17 settembre
1964, pp. 21-22. Si veda anche A. HBEL, Op. cit., pp. 57-58.
70
L. MAGRI, Il sarto di Ulm, cit., p. 185.
Il 21 maggio del 1965 Luciano Barca presenta alla direzione
comunista il rapporto introduttivo alla conferenza, facendo sinte-
si delle diverse posizioni presenti in direzione. Se la ragione che
conduce alla conferenza, o una delle ragioni, la condizione di
debolezza del Pci nelle fabbriche71, Barca afferma anche la ne-
79
71
La componente operaia del partito pi forte nelle fabbriche inferiori alle
500 unit lavorative. La percentuale di iscritti nelle fabbriche con pi di 500
dipendenti arrivava al 6,3%, nel triangolo industriale questa percentuale scen-
de al 5,5%, mentre la percentuale pi alta registrata in Calabria con il 25,1%,
nelle fabbriche con meno di 500 dipendenti la percentuale nazionale raddoppia
(12,4%), raggiungendo la sua punta massima in Emilia Romagna con il 27,9%
di iscritti sul totale dei lavoratori. FIG, APC, serie Sezioni di lavoro, commis-
sione lavoro di massa 1965, Mf. 0522, dati statistici, pp. 2854-2859.
del centro-sinistra; Cossutta definisce lattivit generale che in-
veste tutti i problemi politici [] troppo sottovalutata dalle orga-
nizzazioni di fabbrica; per Lama il problema vero quello [] di
impegnare di pi il partito in fabbrica sulle questioni generali.
80
Lintervento pi indulgente verso le posizioni degli ingraiani lo e-
sprime Macaluso che chiede di sottolineare che la crescita del po-
tere contrattuale in fabbrica essenziale per uno sviluppo demo-
cratico e per una politica di riforme a patto di chiarire il nesso
tra sviluppo del potere contrattuale e creazione di una certa situa-
zione politica. Di fronte a una sintesi del segretario orientata ver-
so la maggioranza emersa in direzione, per cui le federazioni de-
vono impegnarsi per una giusta realizzazione in fabbrica della li-
nea del partito, lintervento conclusivo di Barca esprime chiara-
mente la propria posizione in merito al tema del rapporto tra parti-
to, fabbrica e sindacato.
Barca rileva come il partito debba relazionarsi al sindacato
aiutandolo a fare meglio il suo mestiere, interrogandosi anche
sul perch quella linea che si voleva introdurre in fabbrica faccia
fatica ad entrarvi. La difesa dellautonomia sindacale serve i-
noltre a contestare la fiducia nellesternalit del processo di for-
mazione della coscienza di classe che il partito pu influenzare
solo partendo dalla realt di fabbrica, e dalla conoscenza delle
condizioni dei nuovi strati72.
La conferenza di Genova evidenzia lo scontro. Barca ricorda
nelle sue memorie, come lintervento ivi tenuto da Amendola e-
vochi in modo marcato il tema pi semplice, e contestato dalla
sinistra, della rivendicazione salariale anche per mostrare che la
richiesta per obiettivi pi complessi, come le qualifiche, sia in re-
alt fondata su unutopica maturit rivoluzionaria della classe
operaia caratterizzata semmai da desideri ben pi spiccioli. La
relazione di Barca, invece, insiste su alcuni argomenti condivisi
dalla sinistra interna quando indica come obiettivo del partito e
della sua componente operaia quello di orientare selettivamente
gli investimenti per settori strategici e non per distribuzione in-
72
FIG, APC, riservati Mf. 29, serie Direzione, verbale di Direzione del 21 mag-
gio 1965, pp. 2-11.
dividuale73.
Lattenzione alla distribuzione selettiva dellaccumulazione
per beni di investimento palesa il debito della composita sinistra
interna74 verso le teorizzazioni sulla societ opulenta, introdotte
81
da Franco Rodano e Claudio Napoleoni sulla Rivista trimestra-
75
le . Limpostazione adottata da Amendola volutamente con-
trapposta a questo indirizzo. Egli cerca lo scontro, oltre che il
consenso del pubblico partecipante alla conferenza, con il suo
richiamo al bisogno di rimpinguare la busta paga degli operai in
soldoni. La provocazione di Amendola, anima la seduta di di-
rezione dell8 giugno del 1965, convocata per discutere i risultati
della Conferenza di Genova.
73
Cfr. L. BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci, cit. 358-361.
74
Sulla consistenza come corrente degli ingraiani le interpretazioni dei prota-
gonisti sono divergenti. Ingrao, nellintervista rilasciata nel 1995 per il sup-
plemento de LUnit a titolo Gli anni della prima repubblica definisce quel-
la degli ingraiani una corrente vera e propria. Per Magri un ingraismo vero e
proprio non mai esistito, Cfr. L. MAGRI, Il sarto di Ulm, cit., p. 190. Analogo
il giudizio di Luciano Barca, che ritiene quello degli ingraiani un eterogeneo
gruppo intellettuale, distinto per assenza di vincoli gerarchici e per maggiori
differenze interne rispetto agli amendoliani. Cfr. L. BARCA, Cronache
dallinterno del vertice del Pci, cit., pp. 359-369; pp. 443-445. Linterpretazione
qui proposta che, almeno fino allXI Congresso, questo rapporto di corrente
ci sia nonostante le altrettanto evidenti differenze. fuori di dubbio che gli
amendoliani siano pi coesi e che Amendola sia pi deciso di Ingrao nella di-
fesa dei membri della propria corrente. Tuttavia, possiamo considerare gli in-
graiani una vera e propria corrente con un capo definito capace di introdurre
in direzione gli argomenti promossi nel dibattito dagli uomini a lui vicini, e
della cui elaborazione partecipa.
75
Nel gennaio del 1964 Barca a proporre una politica di sostegno ai settori di
avanguardia delleconomia nazionale che, a frontiere ormai aperte, avrebbero
corso il rischio di una concorrenza pesante Cfr. FIG, APC, Mf. 28, serie
Direzione, verbale di Direzione del 23 gennaio 1964, intervento di L. Barca, p.
5. Nel luglio del 1964 Ingrao avanza la possibilit di accettare un contenimento
di salari e consumi a patto che ci si traduca in una maggiore spesa
dellaccumulazione verso i cosiddetti beni di investimento e i consumi sociali.
Cfr. F IG, APC, mf. 28, serie Direzione, verbale di Direzione del 21 luglio 1964,
intervento di Ingrao, p. 2-3. Si veda anche C. NAPOLEONI, Nota sulla
congiuntura economica italiana, in La Rivista trimestrale, 1964, pp. 117-123,
ora in A. GRAZIANI (a cura di), Op. cit., pp. 398-405.
Amendola, come osserva Barca nelle sue memorie, e come te-
stimonia la lettura dei documenti interni del Pci, avendo naso
politico ed essendo cosciente delle molte critiche [] che da tutto
il partito sono state mosse alle sue conclusioni, esordisce in tono
minore76 e, in effetti, definisce ampia la concordanza tra il
82
76
L. BARCA, Cronache dallinterno del vertice del Pci, cit., p. 362.
La calma, per, solo apparente. La destra del partito tiene
fermo un punto che per quella corrente resta decisivo, quale
laffermazione che il sindacato e la classe operaia che esso rap-
presenta nel conflitto sindacale sono soggetti subordinati al parti-
83
to secondo una linea gerarchica verticale per cui le ragioni di
fondo, e il bagaglio ideologico, del movimento sono gi dati e su
quelli ci si deve attestare. Il rifiuto della autonomia sindacale e la
subordinazione del conflitto di fabbrica a istanze esterne, e-
spresso dall'intervento di Mario Alicata che indica nel cinema e
nella scuola i problemi che interessano profondamente la classe
operaia, saltando a pi pari un dibattito tutto centrato sul ruolo
del lavoratore nel conflitto per il reddito e la condizione di fab-
brica e introducendo un argomento che non inquadrabile in
un'ottica di difesa dell'indipendenza dell'organizzazione sindacale
dalla linea del partito.
Alicata pone in questione anche il nodo della libert interna
del dibattito trovando subito un solerte censore del dissenso in
Armando Cossutta, che invita a concentrare una azione chia-
rificatrice delle posizioni estremistiche come nel caso di Ber-
gamo, dove esiste un orientamento sbagliato del gruppo dirigente
nel suo complesso, segretario della Federazione compreso e al-
tre situazioni che preoccupano ancor di pi, ad esempio quella
nella FGCI di Milano. Agevolato da questo schieramento a suo
favore, Amendola ritorna sui suoi passi per difendere tutto
limpianto del suo intervento. Definisce corretta la sua intro-
duzione e, di contro a chi come Ugo Pecchioli ha parlato di un
appiattimento dell'analisi, replica affermando come non si vo-
glia, da parte sua, respingere o scoraggiare la ricerca ma solo
evitare il rischio di analisi unilaterali. Il fatto che Amendola
coinvolga nelle sue obiezioni non solo gli ingraiani ma anche una
figura vicina al segretario del partito come Pecchioli, indica che
Longo, come gi prima di lui Togliatti, non sia estraneo alle ar-
gomentazioni introdotte da sinistra, soprattutto riguardo la con-
vinzione che un partito comunista, in assenza di un riferimento
rivoluzionario per la propria azione, sia destinato a diventare al-
tro da s.
La presa di posizione di Amendola fa serrare le fila alla destra
al punto che Alicata esplicitamente chiede un chiarimento circa
la subordinazione della minoranza alla maggioranza e
limpegno dellapparato di lavorare per realizzare la linea del
partito. Questo invito allallineamento dei dissenzienti sottoli-
neato anche da Amendola77. Dopo la conferenza di Genova si ve-
84
Conclusioni
Tra la fine degli anni 50 e la prima met degli anni 60 il Pci vive
un duro scontro interno che vede agire tre opzioni politiche. Le
posizioni delle due ali si caratterizzano per la comune proposta di
un superamento della forma storica del partito, mentre la posi-
zione mediana, quella del centro, utilizza gli equilibri interni al
fine di rafforzare la propria strategia interessata a inquadrare il
partito dentro le istituzioni repubblicane. Lequilibrio raggiunto a
met degli anni 60 fa registrare un avvicinamento tra il centro e
la destra, ma non rappresenta una forma stabile di alleanza den-
tro il partito. Latteggiamento di Longo durante il 6879 e la pro-
gressiva, anche se contrastata, apertura del Pci alla societ civile
dopo gli anni 60 non sono comprensibili senza assumere
lautonomia flessibile del centro come un dato caratterizzante la
politica del Pci.
Nel corso della prima met degli anni 60, soprattutto in pros-
simit dellXI Congresso, influisce nel peso degli equilibri interni
77
Commentando quanto detto da Alicata, Amendola afferma: Questo docu-
mento [sulla Conferenza, N.d.A.] deve contenere una chiara fissazione di al-
cune questioni, sulle quali ci sono state critiche molto pesanti di Ingrao []
Ha ragione Alicata: ci deve essere un punto fermo. FIG, APC, Mf. 29, serie Di-
rezione, verbale di Direzione dell8 giugno 1965, intervento di Amendola.
78
Sulla preparazione dellXI congresso e sullo scontro palesatosi al suo inter-
no, cfr. A. HBEL, Op. cit., pp. 193-229.
79
Sul Pci e il 68 cfr. E. TAVIANI, PCI, estremismo di sinistra e terrorismo, G. DE
ROSA e G. MONINA (a cura di), LItalia repubblicana nella crisi degli anni set-
tanta. Sistema politico e istituzioni, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 239.
la scelta della sinistra ingraiana a favore di una chiara opposizio-
ne alla politica della coesistenza pacifica80, una cornice interna-
zionale al cui interno il centro del partito vede, invece, la possibi-
lit di rafforzare il proprio ruolo come elemento fondante nel
85
processo di costruzione della democrazia repubblicana. La man-
cata saldatura delle tre correnti attorno a un indirizzo realmente
comune comporta che la soluzione dei contrasti interni si basi
pi sulla contingenza dei rapporti di forza o sulle giustapposizio-
ni che su una linearit strategica probabilmente incrinatasi irre-
versibilmente negli anni 50 e non pi recuperata fino alla fine
dellesperienza comunista novecentesca.
Abstract
This essay reconstructs the debate within the Italian Communist Party
(Pci) on Italys economic development. The time-span considered ranges
from the mid-fifties to the mid-sixties. During this period, within the
Communist Party emerge some specific trends in the interpretation of
the national capitalist model that focus, primarily, on the place of the
Italian case within the wider Western context. The interpretations of
the Pci elites will contribute to the shaping of the complex political cul-
ture of Italian Communism. The reconstruction, finally, considers the
Workers Conference of Genoa. The event, which took place between
28thand 30th May 1965, was a pivotal moment in the tense confrontation
between the right and the left of the party during the XI Congress of
the Pci.
80
Cfr. FIG, APC, mf. 29, serie Direzione, verbale di Direzione del 29 novembre
1965, intervento di Longo, pp. 8-9.
87
Il mito e il pensiero di
Giuseppe Mazzini
nei nuovi Stati africani
tra Ottocento e Novecento
di SILVIO BERARDI
1
Cfr. Notizie de viaggiatori, che esplorano lAffrica interiore, estratte dal
In una lettera scritta alla madre, Maria Drago, nellestate del
1845, Giuseppe Mazzini sosteneva, invece, la tesi opposta.
LEuropa aveva lonere di intervenire in Africa e di stimolare la
crescita, in primo luogo spirituale, delle sue genti:
88
5
Come ha sottolineato Al Kubessi, anche il nazionalismo arabo si sarebbe a-
limentato della lettura di Giuseppe Mazzini: Comprendendo lesperienza del
movimento Giovane Italia [i giovani estremisti] avevano concluso che le vie
da prendere per la realizzazione dei loro fini nazionali erano quelle della cul-
tura politica e della lotta armata. Linsistenza di Mazzini sui vantaggi
dellunit nazionale e il suo rifiuto di riconoscere il fondamento della tesi della
lotta di classe hanno avuto grossa influenza sui giovani estremisti. Dunque,
era fuori dubbio che la causa dellunit che dominava il pensiero politico dei
capi fondatori delle falangi dei fedayn arabi subiva, in ampia misura,
linfluenza dellunit tedesca e dellunit italiana. B. AL KUBESSI, Storia del
movimento dei nazionalisti arabi, Jaca Book, Milano, 1977, pp. 43 ss.
6
Cfr. G. MAZZINI, Politica internazionale, in ID., Scritti editi ed inediti, vol.
XCII, (Politica 29), Galeati, Imola,1941, pp. 167-168.
7
Cfr. E. PASSAMONTI, Lidea coloniale nel Risorgimento italiano, Arti poligrafi-
che editrici, Torino, 1934, pp. 15 ss.
ha affermato: Nel momento in cui scompariva il dogma
dellintegrit dellimpero ottomano, facilmente lItalia avrebbe
potuto ottenere Tunisi8. La missione italiana in terra africana
doveva, per, contribuire al miglioramento delle condizioni di vi-
90
ta delle popolazioni locali e alla loro progressiva emancipazione
politica. Per il patriota genovese, daltronde, il carattere fonda-
mentale della legge Progresso: progresso indefinito, continuo
depoca in epoca: progresso in ogni ramo dattivit umana, in
ogni manifestazione del pensiero, dalla religione fino
allindustria, fino alla distribuzione della ricchezza9.
Gi, in realt, nel 1832, quando ancora il processo di unifica-
zione italiano era lontano dal compiersi, proprio Mazzini aveva
riconosciuto allEuropa un compito preciso: quello di diffondere
negli altri continenti, a cominciare dallAfrica, i suoi saperi, la
sua cultura, la sua civilt, al fine di favorire il progresso, prima
spirituale e poi sociale dei popoli africani: E questa civilt euro-
pea, che con una mano sinnalza un trono in Europa, collaltra
incomincia a tentar lAfrica, e lAsia, cacciando in Algieri il prin-
cipio europeo, e ponendo a fronte due simboli dellOriente, due
grandi del Maomettismo, tormentati tutti e due senza intenderlo
da un pensiero di incivilimento, e combattendosi lun laltro per
10
avere liniziativa dello sviluppo, non poesia? .
Carlo Zaghi ha puntualizzato, al riguardo, come lidea di
missione, che sar una delle componenti del pensiero e della cul-
tura europea dellOttocento, [] a met del secolo sar ripresa ed
esaltata dal Mazzini in un pi ampio contesto democratico e so-
11
ciale . Pertanto, Mazzini affermava che lEuropa era lumanit,
ovvero uno strumento di redenzione umana e civile, articola-
8
F. QUINTAVALLE, La politica internazionale nel pensiero e nellazione di
Giuseppe Mazzini, La Prora, Milano, 1938, pp. 279 ss.
9
G. MAZZINI, Doveri delluomo, Vallecchi, Firenze, 1860, p. 108.
10
G. MAZZINI, La giovine Italia. Serie di scritti intorno alla condizione politica,
morale e letteraria della Italia, tendenti alla sua rigenerazione, Barile, Marsi-
glia, 1832, p. 233.
11
C. ZAGHI, LAfrica nella coscienza europea e limperialismo italiano, Guida,
Napoli, 1973, p. 119.
zione essenziale e preminente di progresso12 e, dunque, a questa
spettava la missione di guidare e condurre lincivilimento dei po-
poli africani. Cos, like several other prominent liberals and radi-
cals of his time, Mazzini thought that Europe ought to colonize
91
Asia and Africa to civilize local populations and make them
ready for genuine self-determination13. Come ha, inoltre, precisa-
to Massimo Scioscioli, allEuropa, per Mazzini, spettava la mis-
sione di aiutare i popoli del mondo a compiere lo stesso cammino
gi fatto dai suoi figli, a condizione, tuttavia, che questa missione
non [] [venisse] utilizzata per giustificare una politica di rapina
brutale a danno dei popoli da civilizzare14.
Il fine ultimo di ogni popolo risiedeva, per Mazzini, nel mi-
glioramento universale, nella fratellanza [] dellUmanit15.
Lassociazionismo mazziniano, dunque, non si limitava alla di-
mensione europea, ma si proiettava anche al di fuori del conti-
nente, al fine di stabilire forme di collaborazione e di intese tra
genti solo apparentemente distanti:
La parola e lopera vostra siano per tutti, si come per tutti Dio, nel suo
amore e nella sua legge. In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo
combatte pel diritto, pel giusto, pel vero, ivi un vostro fratello: dovun-
que un uomo soffre, tormentato dallerrore, dallingiustizia, dalla tiran-
nide, ivi un vostro fratello. Liberi e schiavi, SIETE TUTTI FRATELLI.
Una la vostra origine, una la legge, uno il fine per tutti voi. Una sia la
credenza, una lazione, una la bandiera, sotto cui militate16.
12
Ivi, p. 130.
13
S. RECCHIA, N. URBINATI (eds.), A Cosmopolitanism of a Nations. Giuseppe
Mazzinis writings on democracy, nation building, and international relations,
Princeton University Press, Princeton, 2009, p. 224.
14
M. SCIOSCIOLI, Giuseppe Mazzini: i principi e la politica, Giunta, Napoli,
1995, pp. 232-233.
15
G. MAZZINI, Doveri delluomo, cit., p. 52.
16
Ibidem.
Non dite: il linguaggio che noi parliamo diverso: le lagrime, lazione,
il martirio formano linguaggio comune per gli uomini quanti sono, e
che voi tutti intendete. Non dite: lUmanit troppo vasta, e noi troppo
deboli. Dio non misura le forze, ma le intenzioni. Amate lUmanit.
92
[] Siate apostoli di questa fede, apostoli della fratellanza delle Nazio-
ni e dellunit, oggi ammessa in principio, ma nel fatto negata, del ge-
nere umano. Siatelo dove potete e come potete17.
E ancora:
17
Ivi, pp. 52-53.
18
G. MAZZINI, Ricordi di Giuseppe Mazzini agli Italiani, a cura di F. Dobelli,
Croci, Milano, 1870, p. 48.
19
Ivi, p. 51.
tale prospettiva, il repubblicano e mazziniano Ugo Della Seta20
nella sua opera Giuseppe Mazzini pensatore:
20
Cfr. U. DELLA SETA, Giuseppe Mazzini pensatore. I valori morali, morale,
diritto e politica internazionale: valori eterni, a cura di G. Limiti e M. Di Na-
poli, Domus Mazziniana, Pisa, 2011.
21
U. DELLA SETA, Giuseppe Mazzini pensatore. Le idee madri, Forzani e c., tipo-
grafi del Senato, Roma, 1910, p. 82. In tale prospettiva, continuava Della Seta, non
esisteva per Mazzini nessun popolo contrario al messaggio di indipendenza e li-
bert: Il popolo non indifferente, sconfortato, impotente a conquistare da
per s, senza scosse violenti, listruzione che nessuno gli offre fraternamente.
Ivi, p. 508. Cfr. anche ID., Antimazzinianesimo di Giuseppe Mazzini, con introdu-
zione di C. Carbonara, Tipografia editrice Glaux, Napoli, 1965.
22
Per un approfondimento, cfr. S. BERARDI, Il Partito repubblicano e le colonie
italiane: la questione somala (1948-1950), in Mondo Contemporaneo, n. 1, 2012,
pp. 91-118; M. TESORO, Il progetto repubblicano: da Ghisleri a Zuccarini, Franco-
Angeli, Milano, 1996; ID., I repubblicani nellet giolittiana, con prefazione di A.
Colombo e una lettera di G. Spadolini, Le Monnier, Firenze, 1978.
23
Cfr. S. BERARDI, LItalia risorgimentale di Arcangelo Ghisleri, con presenta-
zione di G. Pecora, FrancoAngeli, Milano, 2011; R. MAFFEI, La formazione di
un geografo: Arcangelo Ghisleri e il rinnovamento degli studi geografici in Ita-
lia 1878-1898, ETS, Pisa, 2007; A. BENINI, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri
1855-1938: con appendice bibliografica, Lacaita, Manduria, 1975.
nava la posizione di Giovanni Bovio24, anchegli repubblicano,
ma assertore della superiorit della razza bianca su quelle africa-
ne25. Senza mezzi termini, Ghisleri, rivolgendosi proprio a Bovio,
evidenziava:
94
24
Cfr. S. BLASUCCI, Giovanni Bovio: ambiente, personalit, pensiero filosofico,
etico, giuridico, politico, Laterza, Roma-Bari, 1990; G. ANGELINI, Giovanni Bovio
e lalternativa repubblicana. Con unantologia degli scritti giornalistici dal 1872
al 1901, presentazione di A. Colombo, Giuffr, Milano, 1981.
25
Giovanni Bovio, il 17 marzo 1885, nel suo discorso alla Camera dei Deputati,
riguardo lopportunit di una spedizione italiana a Massaua, aveva infatti pe-
rentoriamente affermato: [] per noi un diritto alla barbarie non esiste, come
non esiste la libert dignoranza, non la libert di delinquenza. Esiste un dirit-
to fondamentale: quello che ha la civilt di diffondere dovunque la sua poten-
za innovatrice come si diffondono la luce e il calore. [] Lavoriamo e poich
siamo seme latino, sulla scorza degli alberi scriviamo il Diritto. Cfr. R. RAI-
NERO, Lanticolonialismo italiano da Assab ad Adua (1869-1896), Edizioni di
Comunit, Milano, 1971, pp. 96-97. Cfr. anche G. BOVIO, Il diritto pubblico e le
razze umane, A. Morano, Napoli, 1887.
26
A. GHISLERI, Le razze umane e il diritto nella questione coloniale, Istituto
Italiano di Arti Grafiche, Bergamo, 1896, p. 58. Come ha affermato Renato
Monteleone, la posizione ghisleriana trov il pieno appoggio dei socialisti ita-
liani e, in particolare, quello del suo amico Filippo Turati: Ghisleri ebbe per-
ci tutte le ragioni di reagire con estrema durezza alla sortita di Bovio e di
contestargli il fondamento scientifico e giuridico delle sue asserzioni. Cfr. R.
MONTELEONE, Filippo Turati, UTET, Torino, 1987, pp. 103 ss.
27
G. MAZZINI, Ricordi di Giuseppe Mazzini agli Italiani, cit., p. 17.
delle altre potenze europee, si ispir a tali auspici28, ma pur senza
volerlo, contribu alla diffusione di quei principi e di quelle idee,
che finirono per alimentare il nazionalismo locale nella lotta per
lindipendenza29. E, nel 1958, lillustre arabista Francesco Gabrieli
95
aveva gi evidenziato che, lo stesso Occidente, finiva per essere
espulso dallAfrica allindomani dellassunzione, da parte dei po-
poli africani, di quegli ideali di democrazia, libert ed indipen-
denza che si erano diffusi proprio grazie allopera europea30.
Sarebbe, del resto, azzardato parlare di una diretta influenza
del Risorgimento italiano nei processi di rivendicazione anticolo-
nialista e nazionale del Maghreb: tuttavia, come ha ravvisato
Salvatore Bono, si pu affermare lesistenza di una influenza
indiretta del Risorgimento, esercitata cio attraverso la presenza
nei Paesi maghrebini di gruppi di patrioti italiani che vi trovano
rifugio dopo gli insuccessi dei tentativi rivoluzionari e le sconfitte
31
nelle guerre di indipendenza . Nel 1843, ad esempio, ad opera
anche di patrioti risorgimentali, si costitu ad Algeri una societ
segreta, con lo scopo di cacciare i Francesi da tutta lAfrica me-
diterannea32: tale societ vedeva la partecipazione di militari
28
Per un approfondimento, cfr. A. DEL BOCA, Italiani, brava gente? Un mito
duro a morire, Neri Pozza, Vicenza, 2010. Cfr. anche G. ROSSI, LAfrica italiana
verso lindipendenza (1941-1949), Giuffr, Milano, 1980.
29
Per un approfondimento, cfr. B. STANLEY (ed.), Missions, Nationalism, and
the End of Empire, W.B. Eerdmans, Grand Rapids, 2003; J.D. HARGREAVES, De-
colonization in Africa, Longman, London-New York, 1996; G. CALCHI NOVATI,
La decolonizzazione, Loescher, Torino, 1983.
30
Per un approfondimento, cfr. F. GABRIELI, Il Risorgimento arabo, Einaudi,
Torino, 1958. Cfr. anche F. GABRIELI, U. SCERRATO, Gli arabi in Italia. Cultura,
contatti e tradizioni, Garzanti-Scheiwiller, Milano, 1997.
31
S. BONO, Uomini ed echi del Risorgimento nel Magrheb, in G. BORSA, P. BEO-
NIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgimento nel risveglio
dellAsia e dellAfrica, cit., p. 27. Cfr. anche ID., Il Risorgimento italiano e il
Mediterraneo, in Proceedings of History Week 2005, The Malta Historical
Society, Malta, 2005, pp. 13-26; ID., Storiografia e fonti occidentali sul Maghreb
dal XVI al XIX secolo, in Africa, n. 2, 1973, pp. 237-254.
32
E. MICHEL, Esuli italiani in Algeria, 1815-1861, Cappelli, Bologna, 1935, p.
111.
della Legione Straniera e di popolazione araba33. Anche uno sto-
rico tunisino come Bechir Tlili, ha confermato linfluenza occi-
dentale e, nello specifico, italiana nella formazione stessa della
cultura tunisina: Franc-maons et mazziniens animaient en effet
96
des associations culturelles et politiques dnommes cercles ita-
liens, et organisaient leurs compatriotes [] Ainsi, les rfugis
italiens jouaient un rle considrable dans le dveloppement du
pays34. E ancora, riguardo le attivit politiche svolte dagli emi-
grati italiani in Tunisia:
33
Cfr. S. BONO, Uomini ed echi del Risorgimento nel Magrheb, in G. BORSA, P.
BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgimento nel risve-
glio dellAsia e dellAfrica, cit., p. 21.
34
B. TLILI, Les rapports culturels et idologiques entre lOrient et lOccident, en
Tunisi au XIXme sicle, (1830-1880), Universit de Tunis, Tunis, 1974, p. 83.
35
Ivi, p. 453.
36
Ivi, p. 463.
complesso ravvisare tale influenza nei territori dellAfrica sub
sahariana. Infatti, come ha affermato Vittorio Antonio Salvado-
rini, se gi nel corso del XIX secolo nel Nord Africa gli echi degli
avvenimenti italiani trovarono voce attraverso viaggiatori, esuli e
97
grazie anche a mezzi di informazione come i giornali, rari furono
i legami con le regioni subsahariane, pi note come luoghi di
deportazione che di speculazione economica, anche per la man-
canza di frequenti, regolari e diretti collegamenti fra le marine
dei vari stati italiani e i porti sub e periequatoriali37. Lo studio di
Salvadorini, al riguardo, si soffermava sulla realt dellAngola38,
ma presentava delle peculiarit valide per tutti i territori sub sa-
hariani:
37
V.A. SALVADORINI, Un Manifesto del 1874 per lindipendenza dellAngola, in
G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgi-
mento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, cit., p. 454.
38
Cfr. V.A. SALVADORINI, LAngola dalla fine del Settecento al 1836, Opera U-
niversitaria, Centro Stampa, Pisa, 1979, pp. 232-242.
39
V.A. SALVADORINI, Un Manifesto del 1874 per lindipendenza dellAngola, in
G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Garibaldi, Mazzini e il Risorgi-
mento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, cit., p. 458.
Non si deve pensare che il Risorgimento italiano sia stato un fattore de-
terminante nella nascita e nello sviluppo dei nazionalismi [] africani.
E tuttavia, se si considerano insieme, in una visione unitaria, (cosa che
98 non stata fatta finora) gli echi, gli spunti, i riferimenti al Risorgimen-
to che si trovano negli scrittori e negli uomini politici africani [] del
secolo scorso e di questo secolo, ci si rende conto di una attenzione ai
fatti e alle idee del Risorgimento in aree che apparivano finora ad esso
estranee40.
40
G. BORSA, Presentazione, in G. BORSA, P. BEONIO BROCCHIERI (a cura di), Gari-
baldi, Mazzini e il Risorgimento nel risveglio dellAsia e dellAfrica, cit., p. III.
41
Per un approfondimento, cfr. Z. CIUFFOLETTI, Federalismo e regionalismo: da
Cattaneo alla Lega, Laterza, Roma-Bari, 1994; C. CATTANEO, Stati Uniti
dItalia, a cura di N. Bobbio, Chiantore, Torino, 1945; F. MOMIGLIANO, Carlo
Cattaneo e gli Stati Uniti dEuropa, Treves, Milano, 1919. Non bisogna dimen-
ticare che lo stesso Cattaneo, nel suo saggio Il regno di Tunisi e lItalia (in Po-
litecnico, vol. XII, fasc. LXVIII, Editori del Politecnico, Milano, 1862, pp. 113-
135), auspicava una stretta cooperazione tra lItalia e la Tunisia. Tale coopera-
zione avrebbe dovuto estendersi e riguardare tutti i popoli del Nord Africa, su
di un piano di rigorosa parit. Come ha sottolineato, al riguardo, Gianluigi
Rossi: Il pensatore lombardo era infatti convinto dellesistenza di un progres-
so indefinito dellumanit, di un incivilimento costante per tutti i popoli della
terra, senza alcuna distinzione. Il cammino di ogni popolo verso la civilizza-
zione diveniva cos lo strumento necessario per spezzare le catene
dellignoranza e della superstizione, per rendere luomo, ogni uomo, protago-
nista della storia. La sua attenzione si posava cos su popoli tradizionalmente
ritenuti dai pi, ancora lontani da forme di progresso e che invece al suo
sguardo attento apparivano portatori di grande civilt. Ogni popolo era, per
Cattaneo, degno di rispetto. G. ROSSI, La cooperazione tra Italia e Nord Africa
nelle pagine di Carlo Cattaneo, in S. BERARDI, G. VALE, (a cura di), Ripensare il
federalismo. Prospettive storico-filosofiche, Edizioni Nuova Cultura, Roma,
2013, pp. 170-171.
42
Cfr. G. MONTANI, Il Terzo Mondo e lunit europea, Guida, Napoli, 1979, pp.
36 ss.
sempio, in tale prospettiva, il tentativo compiuto nel secondo do-
poguerra, da parte degli stessi direttori scolastici italiani di elimi-
nare, dopo aver ottenuto il trusteeship su Mogadiscio43, dai libri
di testo in Somalia, ogni riferimento a Mazzini, al fine di evitare,
tra gli studenti, la diffusione delle sue dottrine44.
99
43
Cfr. A.M. MORONE, Lultima colonia: come lItalia tornata in Africa 1950-
1960, Laterza, Roma-Bari, 2011.
44
Per un approfondimento, cfr. W. RODNEY, How Europe Underdeveloped
Africa, Pambazuka Press, Oxford, 2012, pp. 275 ss.
45
G. MAZZINI, Le peuple des proscrits, in Le Proscrit. Journal de la Rpu-
blique Universelle, 1 luglio 1850. Cfr. anche F. BERTINI, La democrazia euro-
pea e il laboratorio risorgimentale italiano 1848-1860, Firenze University Press,
Firenze, 2007, pp. 27 ss.
46
F. QUINTAVALLE, La politica internazionale nel pensiero e nellazione di
Giuseppe Mazzini, cit., p. 265.
47
Per un approfondimento, tra i tanti riferimenti, cfr. G. MASTELLONE (a cura
di), Pensieri sulla democrazia in Europa, Feltrinelli, Milano, 2007; ID., Il pro-
Mazzini si spingeva oltre:
52
Cfr. L. LEVI, Il pensiero federalista, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 54 ss.
53
Per un approfondimento, cfr. G. CALCHI NOVATI, Dal panafricanismo idea-
le al panafricanismo reale e lopera di Kwame Nkrumah, in Africa: rivista
trimestrale di studi e documentazione dellIstituto italo-africano, nn. 1-4,
2010, pp. 58-80. Cfr. anche A. ARUFFO, Patrice Lumumba e il panafricanismo,
Erre Emme, Roma, 1992; V.B. THOMPSON, Africa and Unity: the Evolution of
Pan-Africanism, Longman, London, 1977.
54
G. MONTANI, Op. cit., p. 36. In merito agli Stati Uniti dAfrica si veda L. AR-
DESI, Il federalismo: le esperienze continentali. Stati disuniti dAfrica, in Ni-
grizia, nn. 125-126, 2007, pp. 30-32.
55
G. ROSSI, LAfrica verso lunit (1945-2000). Dagli Stati indipendenti allAtto
Unico di Lom, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2010, p. 5.
[] da un lato questi intellettuali formatisi alla scuola dellEuropa
chiesero che i principi basilari della democrazia europea venissero ap-
plicati anche ai loro paesi, dallaltro essi hanno sottoposto a revisione
critica pur senza rinnegarli i propri valori originari56.
102
56
Ibidem.
57
Per un approfondimento, tra i tanti riferimenti, cfr. R. EDGAR, L. KA MSUM-
ZA (eds.), Freedom in Our Lifetime. Collected Writings of Anton Muziwakhe
Lembede, Ohio University Press, Athens, 1996.
58
Cfr. A.M. LEMBEDE, In Defence of Nationalism!, in Inkundla ya Bantu, 27
Febbraio 1947.
59
Ibidem.
60
Ibidem.
compiere una missione di liberazione:
61
Ibidem. Come ha, tuttavia, sottolineato Ryan M. Inwin: A voracious reader
well versed in European philosophy, Lembede drew not only on the work of
Western thinkers, such as Jean Jacques Rousseau and Giuseppe Mazzini, but
also South Asian intellectuals like Jawaharlal Nehru and Mahatmas Gandhi.
R.M. INWIN, Gordian Knot. Apartheid and the Unmaking of the Liberal World
Order, Oxford University Press, Oxford, 2012, p. 32.
62
G. MAZZINI, Delucidazioni sullo Statuto della Giovine Italia (1853), in L. STE-
FANONI, Giuseppe Mazzini, Barbini, Milano, 1863, pp. 144-145.
Ogni popolo [] deve, prima di occuparsi dellUmanit costituirsi in
Nazione63. Non esiste veramente Nazione senza Unit. Non esiste Unit
stabile senza Indipendenza [] Non esiste Indipendenza possibile senza
Libert. Per provvedere alla propria indipendenza duopo che i popoli
104
siano liberi, perchessi solo possono conoscere i mezzi per serbarsi indi-
pendenti, essi soli hanno a sagrificarsi per esserlo, e senza libert non esi-
stono interessi che spingano i popoli al sagrifizio64.
67
Cfr. ivi, pp. 50 ss.
68
Cfr. K. NKRUMAH, Autobiography, T. Nelson, London, 1957, pp. 45 ss. Cfr.
anche ID., Africa Must Unite, Routledge, London, 1963. Come ha precisato
Frans Viljoen: In his view, the gains of freedom could only be secured if Africa
formed a bulwark against the pressures of neo-colonialism. F. VILJOEN, Inter-
national Human Rights Law in Africa, Oxford Universityy Press, Oxford,
2012, p. 153.
69
Cfr. K. NKRUMAH, Consciencism: Philosophy and Ideology for Decolonization
and Development, with Particular Reference to the African Revolution, Month-
ly Review Press, New York, 1965, pp. 56 ss.
70
Cfr. K. NKRUMAH, Towards Colonial Freedom: Africa in the struggle against
world imperialism, Heinemann, London, 1962.
71
Cfr. K. NKUMAH, in E. OBIRI ADDO, Kwame Nkrumah. A Case Study of Reli-
gion and Politics, University Press of American, Lanham, 1997, p. 169.
When the revolution has been successful, the ideology continue to
characterize the society. It is the ideology which gives a countenance
to the ensuing social milieu. Mazzini further states the principle to be
general, positive and organic. The statement, elucidation and theoreti-
106
cal defence of such a principle will collectively form a philosophy.
Hence philosophy admits of being an instrument of ideology72.
Abstract
maggio 2013 Aula Magna Unicusano, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2014,
pp. 73-91. Cfr. anche B. ROSSI, Leuropeismo mazziniano nel pensiero storico di
Giovanni Spadolini, Bologna University Press, Imola, 1990.
111
di VALERIO TORREGGIANI
1
L. FEBVRE, Encore le Corporatisme, cit. in S. CASSESE, Lo Stato fascista, il Mu-
lino, Bologna, 2010, p. 89.
2
Cfr. L. BAUDIN, Le corporatisme: Italie, Portugal, Allemagne, Espagne, France,
Librairie Gnrale de Droit et de Jurisprudence, Paris, 1942, pp. 4-5.
dobbligo citare, al fianco di Baudin, un altro autore francese, Louis Rosen-
stock-Frack che si distinse per attente riflessioni sul corporativismo durante il
periodo fascista: L. FRANCK, Lconomie corporative fasciste en doctrine et en
Nel corso della seconda met del XX secolo, tali ambiguit
crebbero esponenzialmente: recuperato nella dialettica politica, il
termine cominci ad indicare, ed indica tuttora, la difesa di par-
ticolari interessi di categoria perseguiti senza riguardo alcuno per
112
un supposto interesse generale nazionale; contemporaneamente,
in ambito accademico il concetto venne recuperato fin dagli anni
Settanta, riformulato secondo i parametri del neo-corporativismo
per spiegare i meccanismi del funzionamento di molte societ
democratiche a capitalismo avanzato nel periodo successivo alla
Seconda guerra mondiale.
Proprio la pluralit di significati, la sua lunga sopravvivenza
nel vocabolario politico-economico e la sua ampia trasversalit
disciplinare, hanno garantito al corporativismo una grande for-
tuna, senza purtuttavia fornire soluzioni chiare per quanto ri-
guarda la sua definizione, che risulta ancora oggi poco chiara e
tuttaltro che univoca. Questa intrinseca ambiguit, per, se da
una parte rappresenta sicuramente una difficolt per chi desidera
far uso del concetto, dallaltra sembra poter costituire il suo pun-
to di forza principale: la precariet semantica del corporativismo,
infatti, lo rende uno strumento danalisi storiografica sufficien-
temente elastico, che permette di gettare uno sguardo dinsieme
su un complesso e multiforme universo di progettualit politico-
economiche costruite, tra il XIX e il XX secolo, sul confine tra di-
verse tradizioni, culture e discorsi politici, le cui connessioni re-
ciproche rimarrebbero altrimenti nellombra.
Obiettivo principale di questo contributo non quello di com-
porre una rassegna degli studi sul corporativismo del regime fa-
scista italiano tema che nellultimo decennio ha conosciuto una
3
certa fortuna storiografica , bens quello di riformulare tale os-
fait. Ses origines historiques et son volution, Gamber, Paris, 1934; ID., Les
tapes de lconomie fasciste italienne. Du corporatisme lconomie de
guerre, Editions du Centre polytechnicien dtudes conomiques, Paris, 1939.
Brani di questi due volumi e altri brevi scritti del medesimo autore si trovano
ora tradotti in italiano in L. FRANCK, Il corporativismo e leconomia dellItalia
fascista, a cura di Nicola Tranfaglia, Bollati Bolinghieri, Torino, 1990.
3
In questo senso esistono gi esaustive rassegne. La prima, che raccoglie gli
studi fino al 1970, quella di G.M. BRAVO, Sindacalismo fascista e corporativi-
servatorio storiografico partendo da alcune suggestioni sul tema
che spingono a riposizionare lo studio del corporativismo in uno
spazio geografico, cronologico e culturale pi ampio e quindi pi
complesso. In questottica, accettando di chiamare corporative an-
113
che proposte che non si autodefinivano come tali, il concetto di
corporativismo o di corporativismi, con un plurale che forse de-
finisce meglio la realt storica4 riesce a dar conto della diffusio-
ne, a livello globale, di progetti, proposte e pensieri sociali, econo-
mici e politici, che condividevano alcuni obiettivi e presupposti,
ma che venivano promossi anche da soggetti non fascisti.
Il tema diventa in questo modo esponenzialmente pi com-
plesso, variegato e sfaccettato: la vastit geografica, cronologica,
politica e culturale allinterno della quale largomento merita di
essere studiato sposta lattenzione dal solo mondo fascista verso
un universo molteplice, che include lo studio delle varianti del
capitalismo, delle diverse modalit di rappresentanza politica,
dellimportanza degli interessi socio-economici allinterno del
processo decisionale delle societ industriali, chiamando in causa
diversi campi del sapere, dal diritto alla filosofia, dalla politologia
alleconomia.
Come afferma Emmanuel Rota, infatti, lequivalenza corpo-
rativismo-fascismo pu alimentarsi solo di una prospettiva pro-
vinciale, che non consideri linsieme delle esperienze europee a
5
E. ROTA, La tentazione corporativa: corporativismo e propaganda fascista tra
le file del socialismo europeo, in M. PASETTI (a cura di), Progetti corporativi tra
le due guerre mondiali, Carocci, Roma, 2006, p. 85.
6
S. CASSESE, Lo Stato fascista, cit., p. 95. La tesi di Cassese ha una gestazione che
risale ai suoi primi scritti sul tema, che per la loro importanza storiografica vale
la pena ricordare: ID., Corporazioni e intervento pubblico nelleconomia, in
Quaderni Storici delle Marche, n. 9, 1969; S. CASSESE, B. DENTE, Una discussio-
ne del primo ventennio del secolo: lo Stato sindacale, in Quaderni Storici, n. 18,
1971. Sul tema si veda anche L. CERASI, Corporatismo/corporativismo e storia
dItalia. Un percorso di lettura, in Contemporanea, IV, n. 2, aprile 2001, pp.
367-378.
7
Ancora nel 1990 Nicola Tranfaglia parla di un corporativismo negletto e
abbandonato. N. TRANFAGLIA, Franck e il corporativismo fascista, in L.
FRANCK, Il corporativismo e leconomia dellItalia fascista, cit., p. VII.
8
Cfr. S. BEER, British Politics in the Collectivist Age, Knopf, New York 1965;
ID., Modern British Politics: A Study of Parties and Pressure Groups, Faber
London, 1969; A. SHONFIELD, Modern Capitalism, Oxford University Press, Ox-
ford, 1965. Per una rassegna storiografica degli studi sul neo-corporativismo si
vedano: O. MOLINA, M. RHODES, Corporatism: The Past, Present, and Future of
a Concept, in Annual Review of Political Science, n. 5, 2002, pp. 305-331; J.L.
muel Beer, ad esempio, studiando la situazione politica della
Gran Bretagna post-bellica, ritrova un sistema che definisce di
quasi-corporativismo, dove nessun gruppo socio-economico
era lasciato senza un canale dinfluenza sulle decisioni del gover-
no, partecipando cos al processo decisionale9. Proprio uno dei
115
17
Questa sistemazione recepita in Italia in G. TARELLO, Corporativismo, in A.
NEGRI (a cura di), Enciclopedia Feltrinelli-Fischer. Scienze Politiche, vol. 1. Sta-
to e Politica, Feltrinelli, Milano, 1980, pp. 68-81.
18
Cfr. P. SCHIERA, Alle radici dei corporativismi moderni, in G. VARDARO (a
cura di), Diritto del lavoro e corporativismi in Europa: ieri e oggi, Franco An-
geli, Milano, 1977, pp. 51-56.
ro corporativo nel XIX e nel XX secolo. Questo non significa at-
tribuire, come suggeriscono i pur fondamentali lavori di Zeev
Sternhell, caratteristiche proto fasciste a tutte le inquietudini an-
tiparlamentari e anti individualiste che permeavano la cultura
europea per lo meno dallultimo quarto del XIX secolo19;
118
19
Cfr. Z. STERNHELL, La destra rivoluzionaria, Corbaccio, Milano, 1997.
20
Cfr. J.J. LINZ, Some Notes Toward a Comparative Study of Fascism in Socio-
logical Historical Perspective, in W. Laqueur (a cura di), Fascism. A Readers
Guide, University of California Press, Berkeley-Los Angeles, 1976.
21
Fondamentali in questo senso gli studi di Z. STERNHELL, Nascita
dellideologia fascista, Baldini & Castoldi, Milano, 2002; E. GENTILE, Le origini
dellideologia fascista, Laterza, Roma-Bari, 1975.
22
Cfr. P. SCHIERA, Il corporativismo: concetti storici, in A. MAZZACANE, A.
SOMMA, M. STOLLEIS (a cura di), Korporativismus in den Sdeuropischen Di-
ktaturen, Klostermann, Frankfurt am Main, 2005.
23
Si vedano a tal proposito le seguenti voci enciclopediche: L. ORNAGHI, Cor-
porazione, in Enciclopedia delle Scienze Treccani, Roma, 1992; P. SCHMITTER,
Corporativismo/corporatismo, in Enciclopedia delle Scienze Treccani, Roma,
1992.
24
La Rivoluzione francese opera da spartiacque di capitale importanza
nellevoluzione del pensiero corporativo in quanto, com noto, proprio
lopera legislativa rivoluzionaria che abolisce, con la legge Le Chapelier del
1791 listituzione corporativa. Ma gi dagli anni successivi ad essa, nascono
principale per la formazione dei corporativismi interbellici. Que-
sta tesi stata sostenuta, con notevole forza, sia da Lorenzo Or-
naghi che da Anthony Black25 che, coprendo diversi ma comple-
mentari ambienti culturali e geografici, hanno registrato pun-
119
tualmente i percorsi di elementi corporativi riscontrabili nel pen-
26
siero di Hegel, di Proudhon, di Durkheim, di Saint-Simon e di
Otto Von Gierke. A questi, va aggiunto un accenno alla pi nota
reazione corporativa proveniente dai circoli cattolici durante la
seconda met del XIX secolo, per opera principalmente di Em-
manuel Von Ketteler, di Ren de La Tour du Pin e di Giuseppe
Toniolo, che converger infine nella Rerum Novarum di Papa Le-
one XIII del 1891, enciclica sociale con forti elementi corporativi
che sar un punto di riferimento importante per il futuro di tale
teoria27.
War, Crossroad, New York, 1991; P. PECORARI (a cura di), Ketteler e Toniolo.
Tipologie del movimento cattolico in Europa, Citt Nuova, Roma, 1977; C.
VALLAURI, Le radici del corporativismo, Bulzoni, Roma, 1971.
28
A. GAGLIARDI, Il corporativismo fascista, cit., p. IX.
coraggio di prendere il fenomeno sul serio29 al fine di disvelare
la nube propagandistica, anchessa tra laltro importante, per in-
dagarne le reali elaborazioni teoriche. Di tali impostazioni d
conto il recente e importante volume di Alessio Gagliardi, che
121
fornisce unagile sintesi di una materia complessa analizzando le
diverse dimensioni ideologiche e culturali delle varie forme di
corporativismo, da quella di Rocco a quella di Ugo Spirito, pas-
sando per Bottai e gli ex sindacalisti rivoluzionari30. Parallela-
mente agli sviluppi ideologico-politici vi stato, in Italia e
allestero, un dibattito giuridico molto vivace sollecitato proprio
dallincedere e dallo sviluppo dellesperimento corporativo, che
ha dato vita, come perfettamente descritto da Irene Stolzi, ad una
profonda riflessione tra gli scienziati del diritto che tentavano,
attraverso il corporativismo, di scardinare unimpostazione clas-
sica della scienza giuridica, ripensando il ruolo e i contenuti della
31
disciplina .
Ma la ricerca interna ai fascismi ha avuto il suo corrispettivo
in studi che hanno posto il corporativismo in una assai proficua,
e per molti aspetti ancora inesplorata, prospettiva transnazionale,
che tenta di analizzare i percorsi delle teorie corporative inse-
guendone le varie declinazioni che si andavano a realizzare in
luoghi e tempi diversi. Le aree di ricerca pi battute sono state,
fino ad ora, quelle dei regimi fascisti, con studi sullItalia, sul
29
G. SANTOMASSIMO, La terza via fascista: il mito del corporativismo, Carocci,
Roma, 2006, p. 12.
30
Cfr. A. GAGLIARDI, Il corporativismo fascista, cit. Sulla molteplicit interna
al fascismo si segnala anche il seguente importante volume su quella che sta-
ta definita la sinistra fascista: G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un
progetto mancato, il Mulino, Bologna, 2001. Un indizio del successo del corpo-
rativismo in Italia si pu riscontrare nel dato che il fondatore della Cgil, Ri-
naldo Rigola, ebbe uninfatuazione corporativa durante gli anni 30. Cfr. P.
MATTERA, Rinaldo Rigola. Una biografia intellettuale, Ediesse, Roma, 2011; G.
B. FURIOZZI, Il Partito del lavoro. Un progetto laburista nellItalia giolittiana,
Ed. Nuova Era, Ellera Umbra, 1997.
31
Cfr. I. STOLZI, Lordine corporativo, cit. Su questo tema si veda anche il vo-
lume, ricavato dagli atti di un convegno sul tema organizzato a Berlino nel
2002, A. MAZZACANE, A. SOMMA, M. STOLLEIS (a cura di), Korporativismus in
den Sdeuropischen Diktaturen, cit.
Portogallo e sulla Francia di Vichy, che rappresentano i luoghi
naturali di fioritura per progetti e idee corporative. Non impos-
sibile, per, pensare di ampliare ancor di pi il raggio dazione e,
ricollegandosi agli studi degli anni Settanta e Ottanta ricordati in
122
precedenza, aprire lanalisi distaccandola dallideologia e dai re-
gimi fascisti, come dimostrano interessanti studi sullAmerica
Latina e sullarea francofona32.
Rifiutando lidentificazione integrale del pensiero corporativo
con lideologia fascista, alcuni studi hanno tentato di riposiziona-
re il tema in uno spazio geografico pi ampio, non solo analiz-
zando le influenze del corporativismo fascista allestero che
com noto ebbe molta importanza soprattutto negli anni Tren-
ta33 ma sostenendo che tendenze e proposte corporative fiori-
scono in tutta Europa e non solo, mimetizzandosi a volte sotto
nomi ed etichette diverse, ma condividendo unidea di societ
organica, coesa, anti-individualista e inter-classista, basata sulle
associazioni di interessi privati, su dei corpi intermedi tra Stato e
societ che, come in et medievale, dovevano costituire la strut-
tura cardine dellintera gestione politica, economica e sociale.
Rientrano cos, in un discorso corporativo, le correnti del medie-
valismo e del gildismo inglese34, nonch le diverse versioni di un
32
Cfr. M. PASETTI (a cura di), Progetti corporativi, cit.; A. COSTA PINTO, F.C.
PALOMANES (a cura di), O Corporativismo em Portugus, Imprensa da Cincias
Sociais, Lisbona, 2008; D. MUSLIEDAK (a cura di), Les expriences corporatives
dans laire latine, Peter Lang, Berna, 2010; O. DARD (a cura di), Le corporati-
sme dans laire francophone au XXme sicle, Peter Lang, Berna, 2011.
33
Cfr. G. PARLATO, Il convegno italo-francese di studi corporativi, Fondazione
Ugo Spirito, Roma, 1990; M. PALLA, Fascismo e Stato corporativo. Uninchiesta
della diplomazia britannica, Franco Angeli, Milano, 1991; M. VAUDAGNA, Cor-
porativismo e New Deal: integrazione e conflitto sociale negli Stati Uniti 1933-
1941, Rosenberg & Seller, Torino, 1981.
34
I richiami ad una societ fondata sulle gilde, il corrispettivo nord-europeo
delle corporazioni medievali darea mediterranea, sono presenti nel vocabola-
rio politico inglese a partire dagli inizi del XX secolo, raggiungendo il proprio
apice con il pensiero delleconomista e politologo G. D. H. Cole negli anni a
cavallo della Prima guerra mondiale. Un richiamo, per, ad una felice e agri-
cola Inghilterra medievale costante in molti pensatori sociali inglesi, che eb-
bero larga influenze sulla teoria su menzionata, come, ad esempio, John Ru-
skin e William Morris, sicuramente i pi influenti in questo senso. Cfr. M.
rinnovamento del capitalismo proposte specialmente a partire
dallinizio degli anni Trenta per tentare di risolvere la crisi eco-
nomica in corso35, ed infine, di nuovo, un mondo di provenienza
socialista ma non marxista, come ad esempio il planismo belga36
123
o il sindacalismo rivoluzionario francese e italiano che, com no-
to, incentrando sempre pi il proprio discorso economico
sullalleanza inter-classista di tutti i produttori si allontanava da
unimpostazione di classe per avvicinarsi sempre pi a tematiche
corporative37.
STEARS, Progressives, Pluralists, and the Problem of the State, Oxford Univer-
sity Press, Oxford, 2002; F. MATTHEWS, The Ladder of Becoming: A.R Orage
and A.J. Penty and the Origins of Guild Socialism, in D. E. MARTIN, D. RUBEN-
STEIN (a cura di), Ideology and the Labour Movement, Croom Held, London,
1979, pp. 147-166; E.P. THOMPSON, William Morris. Romantic to Revolutionary,
Merlin Press, London, 1977; A.W. WRIGHT, G. D. H. Cole and Socialist Democ-
racy, Clarendon Press, Oxford, 1971; R. WILLIAMS, Cultura e rivoluzione indus-
triale. Inghilterra 1780-1950, Einaudi, Torino, 1968.
35
Cfr. S. MAIER, Alla ricerca della stabilit, il Mulino, Bologna, 2003; D. RI-
TSCHEL, The Politics of Planning. The Debate on Economic Planning in Britain
in the 1930s, Clarendon Press, Oxford, 1997; L.P. CARPENTER, Corporatism in
Britain, 1930-45, in Journal of Contemporary History, vol. 11, n. 1, gennaio
1976, pp. 3-25. Si veda, sulla complementariet tra corporativismo e taylori-
smo, sulle loro somiglianze e compenetrazioni, il giudizio di Antonio Gramsci
in A. GAGLIARDI, Il problema del corporativismo nel dibattito europeo e nei
Quaderni, in F. GIASI (a cura di), Gramsci nel suo tempo, Carocci, Roma, 2008,
pp. 631-656. Persino Keynes non fu immune ad una certa fascinazione corpo-
rativa, esplicitata nel famoso saggio del 1926 La fine del laissez-faire, nel
quale egli afferma: Io credo che in molti casi la dimensione ideale dellunit
organizzativa e di controllo stia fra lindividuo e lo Stato moderno. Avanzo
quindi lipotesi che il progresso consista nello sviluppo e nel riconoscimento di
organismi semiautonomi allinterno dello Stato: organismi il cui criterio
dazione, nel loro ambito specifico, sia esclusivamente il bene pubblico, come
da loro inteso, e dalle cui decisioni siano esclusi motivi di interesse privato,
bench possa risultare necessario lasciare un certo spazio agli interessi specifi-
ci di particolari gruppi, classi o professioni. J. M. KEYNES, La fine del laissez-
faire, in ID., Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano, 2011, p. 241.
36
Cfr. A. AGOSTI (a cura di), Esperienze e problemi del movimento socialista
fra le due guerre mondiali, Quaderni della Fondazione Feltrinelli, n. 34,
Franco Angeli, Milano, 1987.
37
Si pensi ai percorsi politici di personaggi come Sergio Panunzio, Agostino
Lanzillo e Hubert Lagardelle in Francia.
Seguendo, quindi, gli spunti forniti dalla pi recente letteratu-
ra sul tema, sembra pi proficuo raffigurare il tema dei corpora-
tivismi europei di destra e di sinistra, conservatori e progressi-
sti, fascisti e non fascisti come una policentrica e asimmetrica
124
famiglia di somiglianze corporative, unideologia-network, un
arcipelago composito fatto di scambi reciproci, declinazioni par-
ticolari, variazioni sul tema e creazioni autonome. Si potrebbe,
quindi, ripartire dalla felice intuizione di Gianfranco Miglio, il
quale, gi nel 1976, affermava che a proposito del fenomeno
corporativo sta forse capitando qualcosa di simile a quanto acca-
deva ai cartografi durante lepoca delle scoperte geografiche: pas-
sava del tempo prima che ci si accorgesse che brevi tratti di costa
esplorati, e lontanissimi fra loro, facevano parte di una sola
grande isola, o addirittura di un continente unitario38, sugge-
rendo cos la necessit di connettere e incrociare esperienze teo-
riche anche apparentemente molto distanti fra loro al fine di po-
ter ottenere una pi completa visione dinsieme del fenomeno
corporativo.
Abstract
38
G. MIGLIO, Le trasformazioni dellattuale sistema economico, in Rivista ita-
liana di scienza politica, n. 6, 1976, pp. 234-235.
125
di SIMONETTA BARTOLINI
1
www.inmondadori.it/libri/italiani/Narrativa-d-ambientazione-
storica/sgnG04Z/113/sgn=G04Z.
2
http://www.istat.it/it/archivio/lettura.
questo panorama quei 2703 prodotti di narrativa storica risultano
essere un numero importante3 se si considera che ci stiamo rife-
rendo ad un genere nellambito di una categoria di prodotto edito-
riale, il romanzo, che a sua volta rappresenta una frazione
126
dellintera produzione. Si aggiunga a ci che la cifra, indicata dal
sito di vendita online della Mondadori, rappresenta a sua volta so-
lo un segmento del prodotto editoriale indicato.
Questi numeri, pur nella loro parzialit, ci dicono quanto il
romanzo di ambientazione storica goda di buona fortuna pres-
so il pubblico e di conseguenza quanti scrittori si cimentino in un
genere che assicura una discreta ricezione da parte del mercato
4
editoriale, ma anche quanto sia difficile individuare uno statuto
che aiuti ad orientarsi in questa ipertrofica produzione letteraria
che, come ben indica la definizione del sito mondadoriano, rac-
coglie indiscriminatamente tutto ci che pu essere classificato
come romanzo di ambientazione storica.
Allinterno di questa macrocategoria le distinzioni in sottoge-
neri sarebbero numerose: dal giallo alla biografia romanzata, dal-
la rievocazione di avvenimenti storici finalizzata ad una riscrittu-
ra epica del passato, alla ricostruzione romanzata di fatti che nel-
la storiografia hanno subito un trattamento contestato.
Allinterno di ciascuno di essi si dovrebbero evidenziare ulteriori
distinzioni secondo una classificazione cronologica esemplata
sulla suddivisione per grandi periodi storici: la storia egizia (il cui
modello il celeberrimo Sinuhe legiziano del finlandese Mika
3
Seppure si tratti di una produzione considerevole, vale la pena segnalare che,
nello stesso sito, la categoria Gialli Noir Avventura, alla stessa data, regi-
strava unofferta pari a 17.117 titoli, dei quali 688 alla voce Gialli storici, fra
questi ultimi vengono compresi fra i titoli pi recenti: G. DE CATALDO,
NellOmbra e nella Luce, Einaudi, Torino, 2014; A. CAMILLERI, La scomparsa di
Pat, Mondadori, Milano, 2000, 2014; C. LUCARELLI, Albergo Italia, Einaudi,
Torino, 2014; i romanzi di M. di Giovanni che al giallo storico ha dedicato
gran parte della sua produzione romanzesca.
4
Sullo statuto del romanzo storico e la sua evoluzione dall800 a oggi si veda
lo studio di M. GANERI, Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle ori-
gini al postmoderno, Pietro Manni, Lecce, 1999.
Waltari5 i cui fasti sono stati replicati ultimamente dai romanzi
di Christian Jacq dedicati in gran parte alla figura del faraone
Ramses II), la storia antica greca e romana, Valerio Massimo
Manfredi in questo ambito uno degli scrittori pi ammirati e
127
seguiti insieme a Guido Cervo. Il medioevo viene rappresentato
esemplarmente dal capolavoro di Umberto Eco, Il nome della Ro-
sa (1980), che apre una nuova stagione del romanzo storico di-
ventando rapidamente un modello di grande fortuna6, cui far
seguito la serie di romanzi ambientati nel medioevo inglese di
Ken Follet, I pilastri della terra (1989), e Mondo senza fine, (2007),
entrambi trasposti in miniserie per la televisione. Per quanto ri-
guarda il rinascimento, il dopoguerra ha visto in Maria Bellonci,
con Lucrezia Borgia (1939), e Anna Banti, con Artemisia, le ini-
ziatrici del genere biografico che Melania Mazzucco ha rinverdi-
to recentemente con La lunga attesa dellangelo (2008) dedicato
alla vita di Tintoretto e al suo rapporto con la figlia Marietta.
Avvicinandosi allet moderna vale la pena di segnalare per il
600 La chimera di Sebastiano Vassalli (1990), controcanto con-
temporaneo laico ai Promessi sposi manzoniani, e, dello stesso
autore, Marco e Mattio (1992) ambientato alla fine del 700.
Per quanto riguarda lambientazione ottocentesca il panorama
si fa pi ricco di titoli esemplari dal Gattopardo (1958) di To-
masi di Lampedusa a Una storia romantica (2007) di Antonio
7
Scurati che esplodono per numero e variet con il 900 e so-
5
Pubblicato per la prima volta nel 1945, nel 1954 ne fu fatta una trasposizione
cinematografica di grande successo che trasform il romanzo in un long seller.
6
Anche per il romanzo di Eco la grande fortuna di pubblico (oltre che di criti-
ca) viene testimoniata dalla trasposizione cinematografica (1986) del testo con
un interprete di eccezione come Sean Connery nei panni di Guglielmo da Ba-
skerville, per la regia di Jean-Jacques Annaud.
7
Fra i vari titoli abbiamo scelto di citare esemplarmente quelli di Tomasi di
Lampedusa e di Scurati non solo perch si costituiscono in qualche modo co-
me poli cronologici entro i quali si collocano romanzi di ambientazione otto-
centesca, ma anche perch, per motivi diversi, al loro apparire hanno sollecita-
to un non trascurabile dibattito proprio sul genere da essi rappresentato. Si
ricorder la celebre bocciatura che Vittorini fece del libro di Tomasi di Lam-
pedusa inviatogli dallautore, per la collana i Gettoni di Einaudi fondata
sulla inattualit del romanzo storico negli anni del secondo dopoguerra che, a
prattutto in riferimento al ventennio fascista e alla II guerra
mondiale .
In questo panorama, variegato e complesso, ci limiteremo a
cercare di fare il punto su un particolare segmento del romanzo
128
storico ambientato nella prima met del 9008, che potremo indi-
no nellelenco del libri pubblicati nel 1919, ciononostante confidiamo che i dati
riguardanti la bibliografia bellica siano esatti, secondo la tabella riportata fra il
1919 e il 1940 furono pubblicati 1488 libri dedicati alla prima guerra mondiale).
9
Una ricognizione completa di tale produzione narrativa dovr tenere conto
della consistente pubblicazione di moltissimi titoli, sicuramente la gran parte,
presso case editrici piccole, se non addirittura piccolissime, magari a diffusio-
ne locale o afferenti idealmente allarea politica di una destra ex missina spes-
so nate espressamente per dare accoglienza editoriale a chi non ne avrebbe
trovata presso i gruppi maggiori per motivi di opportunit politica. Di conse-
guenza anche la selezione dei romanzi in base loro qualit letteraria avvenu-
ta senza alcun dichiarato criterio estetico (per le esigue se non inesistenti forze
redazionali di tali case editrici spesso risultato del generoso sforzo economico
di qualche imprenditore o appassionato) con il risultato che fra questa enorme
messe di titoli semisconosciuti possono trovarsi ottimi esempi di romanzo sto-
rico a tuttoggi confusi con onesta paccottiglia di genere.
10
Cfr. M. GANERI, Il romanzo storico in Italia, cit., p.101.
struire un mondo il pi possibile ammobiliato11), nonch di coeren-
za, coesione e credibilit di azione, ambiente e Storia, per cui, per e-
sempio, avendo lautore deciso che uno degli assassinati sarebbe stato
trovato in un orcio pieno di nel sangue di maiale, la vicenda avrebbe
130
dovuto svolgersi in una stagione e in un luogo coerenti sia con la ma-
cellazione suina nel medioevo, ma anche con la presenza in Italia di
uno dei personaggi storici che appaiono nel romanzo, Michele da Ce-
sena; di conseguenza labbazia veniva posta in una localit di monta-
gna dove a novembre, essendoci gi la neve, e dunque abbastanza
freddo, era credibile la macellazione del maiale12.
Eco, stabilendo nelle Postille le leggi alle quali rispondeva il
complesso meccanismo del romanzo storico, formalizzava i punti
fondamentali del patto narrativo che deve regolare lopera mista
di storia e di invenzione, legando le origini manzoniane con la
postmodernit, e di fatto superando la interpretazione lukcsiana
caratterizzata da un determinismo storico di impronta marxista,
per giungere a impostare uno statuto di genere che, senza in-
chiodare il romanzo ad una normativa stringente, ne stabilisse i
confini necessari e le garanzie contrattuali nel rapporto con il
lettore (Occorre crearsi delle costrizioni, per potere inventare
liberamente13), e autorizzava il romanzo storico ad accogliere
11
U. ECO, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 19801, le Postille, dopo essere
state pubblicate sulla rivista Alfabeta, dal 1983 furono poste in appendice alle
successive ristampe del romanzo. Qui si cita dalledizione 1993, p. 513.
12
Vale la pena notare che quanto scrive Umberto Eco nelle Postille a proposito
della necessit e modalit di ammobiliare il mondo fantastico di un romanzo
(Si pu costruire un mondo del tutto irreale, in cui gli asini volano e le princi-
pesse vengono risuscitate da un bacio: ma occorre che quel mondo puramente
irrealistico, esista secondo strutture definite in partenza [...]; p. 514) era gi sta-
to materia di analisi e definizione circa quarantanni prima da J.R.R. TOLKIEN nel
saggio Sulle fiabe (nato come conferenza tenuta l8 marzo 1939 allUniversit di
St. Andrews in memoria di Andrew Lang, fu pubblicato nel volume Essays: Pre-
sented to Charles Williams,1947, quindi in Leaf and Niggle,1964, prima edizione
italiana in Albero e foglia, Rusconi, Milano, 1976). Si noti la somiglianza che
suggerisce un debito teorico di Eco nei confronti di Tolkien: [...] linventore di
fiabe si rivela un felice subcreatore, il quale costruisce un Mondo Secondario
in cui la mente del fruitore pu entrare. Allinterno di tale mondo, ci che egli
riferisce vero, nel senso che concorda con le leggi che vi vigono (pp. 47-48).
13
U. ECO, Postille a Il nome della rosa, cit. p. 514.
nei propri domini altri generi (per esempio il poliziesco come nel
Nome della Rosa), aprendo la strada a quella plurigenericit po-
stmoderna che non di rado ha, a sua volta, lasciato il campo a
contaminazioni di consumo14 nelle quali il romanzo storico ha
131
perso la propria perspicuit per trasformarsi in un generico rac-
conto di ambientazione storica, pi prossimo a quello che Eco de-
finisce romanzo di cappa e spada15. Circa 25 anni dopo le Po-
stille di Eco il dibattito si riaccende con la pubblicazione del ro-
manzo di Antonio Scurati Una storia romantica che tenta la stra-
da della riproposizione di una declinazione rinnovata del modello
rappresentato da Il Nome della rosa. Ovvero un romanzo am-
bientato nell800, riccamente tessuto di intertestualit, dichiara-
tamente costruito con intensi richiami colti, e una scopertissima
metafora (i moti del 1848 per la contestazione del 1968, e il ritor-
no allordine borghese che se segue) che ha fatto parlare Cordelli
di artificio virtuoso, ma non innovativo16. Viceversa Giuseppe
Genna, ha riconosciuto al romanzo di Scurati la presenza di
quellallegoria metastorica (il 48 del XVIII secolo non rappresen-
ta solo il 68 del secolo successivo, ma tutti i periodi caratterizzati
da uno scontro fra potere e cittadino17) che gli fa compiere un
passo avanti rispetto alla semplice presenza metaforica (la trasla-
zione di significato avviene parzialmente, solo in alcuni momenti
e non diffusa n intride di s tutto il testo) del romanzo di
18
Eco . La discussione teorica intorno alla vitalit del romanzo
14
Utilizziamo questo termine per comodit, ma con la consapevolezza che il
rapporto fra letteratura cosiddetta alta e letteratura di consumo non ri-
sponde pi ai canoni validi fino a qualche decennio fa, i contorni delle due ca-
tegorie sono ormai sfumati, i limiti di separazione sbiaditi e non di rado si as-
siste a contaminazioni virtuose o per contro di natura corruttiva.
15
Ibid., p. 532.
16
F. CORDELLI, Troppo perfetto per essere bello, cit.
17
G. GENNA, Una storia romantica di Antonio Scurati, cit.
18
A proposito dellinterpretazione di Genna occorre rilevare che contraddice
senza peraltro porsi il problema di una chiarificazione in tal senso, pur conti-
nuando a chiamare in causa Eco e il suo romanzo la definizione di romanzo
storico fatta dellautore del Nome della rosa, estendendola a quello che Eco defi-
nisce invece romanzo di cappa e spada caratterizzato, a differenza di quello
storico propriamente detto, dalla libert di definire la perspicuit psicologica dei
storico del XXI secolo, come si vede, non prende in considerazio-
ne quello che abbiamo definito romanzo storico revisionista; ci
non significa che alcuni dei romanzi che andremo a segnalare
non abbiamo suscitato ampie polemiche, ma, come si vedr, esse
132
sono state di natura ideologica e non teorica. Poich il focus che
ci siamo prefissi centrato su un romanzo storico caratterizzato da
una disposizione metodologica (appunto, revisionista) verso la sto-
ria, si dovr tener conto di declinazioni diverse, ovvero di quella
plurigenericit che cataloga varie forme di romanzo.
Diffusosi, per ovvi motivi, dal secondo dopoguerra in poi, il
romanzo storico di taglio autobiografico (primo ad apparire nel
panorama narrativo di questo genere) riguardava le vicende di chi
aveva partecipato alla Repubblica Sociale, ovvero militato dalla
cosiddetta parte sbagliata19, e in seguito, a qualche anno di di-
stanza, di chi aveva subito la prigionia in Africa, in India o in A-
merica nei campi di concentramento delle forze alleate, sceglien-
dosi il ruolo di non-cooperatore che aveva comportato un prolun-
garsi della detenzione e condizioni di vita pi dure rispetto a quel-
le di chi aveva scelto di cooperare (il pi delle volte si trattava di
accettare il lavoro allinterno dei campi di detenzione). Questi ro-
manzi, mescolavano finzione narrativa e memoria di fatti vissuti
in prima persona, mettevano in scena quella spiegazione delle scel-
te compiute, la loro necessit, motivazione storica ideologica e sen-
timentale, che la condizione di sconfitti nellItalia, fortemente se-
gnata dalle divisioni conseguenti alla guerra civile fra fascisti e
partigiani, non aveva permesso ai loro autori di esprimere, per ri-
stabilire una verit equivocata e proporre un riscatto della memo-
ria. Il primo era stato il famoso romanzo di Giose Rimanelli, Tiro
al piccione (Mondadori, 1953), dal quale nel 61 fu tratto
lomonimo film che vide lesordio alla regia di Giuliano Montal-
20
do , seguito negli anni successivi da A cercar la bella morte di
personaggi senza ancorarla al tempo storico nel quale essi agiscono come avviene
per esempio nei Tre moschettieri di Dumas (U. ECO, Postille, cit., p. 532).
19
La definizione da attribuire proprio a Giose Rimanelli; cfr. S. MARTELLI,
Introduzione a Tiro al piccione, Einaudi, Torino, 1991.
20
Assai discussa e discutibile la trasposizione cinematografica del romanzo di
Rimanelli fatta da Montalto; a questo proposito una voce critica quella di
Carlo Mazzantini (Mondadori, 1986) e da La memoria bruciata, di
Mario Castellacci, (Mondadori, 1998) solo per citare alcuni dei pi
noti21. Non manc per neppure il romanzo storico vero e proprio
come quello di Enrico de Boccard, Donne e mitra, pubblicato nel
133
1950, forse il primo in assoluto a trattare la guerra civile fra repub-
blichini e partigiani dal punto di vista degli sconfitti, in un roman-
zo che non avesse il taglio autobiografico, e pi tardi, nel 1947 il
romanzo di Giuseppe Berto, Il cielo rosso, (scritto nel campo di
concentramento di Hereford in Texas), seguito da Guerra in cami-
cia nera (1955) un diario romanzato che mostra unulteriore decli-
nazione di questa narrativa memoriale.
Se questi testi rappresentano le pi significative voci del 900,
gli anni 2000 si inaugurano con un genere che miscela il saggio
con il romanzo. un giornalista con la passione della storia,
Giampaolo Pansa, a proporre questo genere nel quale la finzione
affidata alla cornice che funge da pretesto per la narrazione di
quanto lautore ha ricavato da fonti storiche. Ne I figli dellaquila
(Sperling & Kupfer, 2002, il primo della serie poi definita ver-
22
ghianamente Ciclo dei vinti ) il narratore dichiara di racco-
gliere la storia da una testimone diretta: la moglie ormai vedova
di uno dei ragazzi che scelsero con determinata consapevolezza
la parte sbagliata e combatterono per la Repubblica di Sal. Da
23
Questo tipo di struttura si ripete pi o meno sempre uguale in tutti i libri di
Pansa del cosiddetto ciclo dei vinti.
24
Si vedano fra gli altri G. PISAN, Il vero volto della guerra civile, documenta-
rio fotografico, Rusconi, Milano, 1961; Sangue chiama sangue, Pidola, Milano,
1962; La generazione che non si arresa, ivi, 1964, Storia della guerra civile in
Italia, 1943-45, FPE, Milano, 1965-1966.
fratelli Cervi (Marsilio, 2012) che reca come sottotitolo Un giallo
nel triangolo della morte, anche in questo caso la materia, ultra
incandescente, della tragica uccisione dei sette fratelli comunisti
entrati nel mito di una ideologia che ha piano piano riscritto la
135
vera storia, pu essere trattata solo romanzescamente; il romanzo
diventa cos una sorta di maschera dietro la quale nascondere la
ricerca della verit senza scatenare lostracismo (che significa si-
lenzio e oblio) dellaccademia o comunque degli storici di profes-
sione, uno scudo di formale ambiguit che ha il pregio di rag-
giungere un pubblico di pi vasto di quanto non potrebbe fare un
saggio scientifico, e di lasciare allo scrittore libert nel muoversi
fra verit ancora contestate25.Con il raggiungimento della matu-
rit di quella generazione nata ben oltre la fine del fascismo,
sembra possibile avviare una rilettura restaurativa della verit di
eventi storici passati troppo frettolosamente in giudicato secondo
i criteri di un sentimento politico-ideologico che aveva caratteriz-
zato limmediato secondo dopoguerra, trascinandosi a lungo nel-
la storia dItalia, o riscoprire quanto trattenuto nelle pieghe della
storia ufficiale; in questa ottica si colloca la biografia romanzata
di personaggi rimasti nelloblio della damnatio memoriae, come
quella scritta da Paolo Buchignani, Il santo maledetto, (Meridiano
Zero, 2014), dedicata a Marcello Gallian. Figura fascinosa di sol-
dato postumo della prima guerra mondiale, dannunziano a Fiu-
me, mussoliniano fedele e rivoluzionario ad oltranza anche
quando tutto era finito, scrittore con lavanguardia nel sangue,
25
Va segnalato che il romanzo di Fertilio, a differenza di quelli di Pansa, ac-
compagnato da due saggi storici e da una ricca bibliografia, esso, pur avendo
avuto una buona accoglienza presso la stampa quotidiana, scaten violente
polemiche quando ricevette il Premio Acqui Storia per il romanzo storico, en-
trambi (premio e romanzo) furono considerati un oltraggio alla memoria dei
partigiani per le falsit che secondo lAnpi di Prato e poi di Alessandria sa-
rebbero contenute nel libro di Fertilio (M. CERVI, Fratelli Cervi, il mito oscura
la storia, in il Giornale, 11 settembre 2012; P. GHIGGINI, Fratelli Cervi, il libro
eretico di Dario Fertilio vince Acqui Storia. E lAnpi perde le staffe, Rep,
http://www.reggioreport.it/2013/10/fratelli-cervi-vince-il-libro-eretico/, 26 ot-
tobre 2014; C. CAVALLERI, Fratelli Cervi se la fiction dice pi della storia, Av-
venire, 3 ottobre 2012; Lultima notte dei fratelli cervi di Dario Fertilio, il
Foglio, 20 dicembre 2012).
rivive sotto mentite spoglie (si chiama Matteo Galati mantenen-
do le iniziali del personaggio ispiratore) nelle pagine del romanzo
di Buchignani, che sceglie di dare al protagonista un nome di
fantasia, avvertendo per il lettore in esergo al libro, che Questo
136
romanzo liberamente tratto dalla vita e dallopera di Marcello
Gallian.
Interessante e di grande successo presso il pubblico il romanzo
cripto biografico di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini (Mon-
dadori, 2010, premio Strega e premio Acqui) che si propone come
grande epopea epocale. La storia dei coloni veneti portati a boni-
ficare le paludi pontine dal fascismo fondatore di citt, del quale
diventano solidi sostenitori, rappresenta in assoluto e nella pro-
duzione dellautore (noto per il romanzo autobiografico Il fascio-
comunista, Mondadori, 2003) il modello narrativo dove il post-
moderno si sposa con il post-ideologico, dando vita ad un ro-
manzo storico dove il revisionismo non ha funzione di riscatto di
una verit negata, non lo strumento per sanare il torto del si-
lenzio, il risarcimento delloblio, ma piuttosto il tentativo di ritro-
vare quello spirito epico di equidistanza, o forse meglio di equi-
vicinanza, alle due parti contrapposte di cui si narra, che, come
scrive Simone Weil, fa s che Omero, nellIliade sia acheo quando
descrive Achille e i suoi compagni e troiano quando racconta di
Ettore e del suo popolo26. Simile, almeno negli intenti, lepopea
generazionale narrata da Pietro Neglie, Ma la divisa di un altro
colore, (Fazi, 2014) e da Gabriele Marconi, Fino alla tua bellezza
(Castelvecchi, 2013) nonch quella famigliare di Paolo Mastrolilli,
Adelfi, (Rizzoli, 2007); in tutti e tre i romanzi la narrazione segue
il filo di vite che, iniziate nella solidariet (fraterna nel romanzo
di Mastrolilli dove i protagonisti sono due fratelli, e cameratesca
in quelli di Marconi e Neglie che seguono le vite di vecchi com-
militoni della prima guerra mondiale), proseguono dividendosi
sui fronti contrapposti di fascismo e antifascismo che hanno se-
gnato il 900, a partire (nei romanzi di Neglie e Marconi) dalla
guerra civile spagnola, per finire a quella italiana. La vera novit
di questi romanzi sta, come in quello di Pennacchi, nel tentativo di
26
S. WEIL, La rivelazione greca, Adelphi, Milano, 2014, p. 58.
usare nel romanzo quella medietas storico-ideologica che restitui-
sca il valore autentico al revisionismo sottraendolo alle facili po-
lemiche di parte. In questo senso il romanzo storico assolve magni-
ficamente al compito, anzi forse, proprio in virt dellantica quali-
137
t epica che si va a recuperare, lunico strumento per compiere
quellopera di pedagogia storica popolare che ne caratterizz parte
delle origini romantiche27.
Per concludere occorre ricordare la contro-epopea dei romanzi
di Pietrangelo Buttafuoco, in particolare il primo romanzo Le uo-
va del drago (Mondadori, 2006) che al suo apparire scaten in
egual misura, e in parte anche con eguale partigianeria, adesione
convinta e ripudio assoluto. Buttafuoco compie unoperazione
che ha qualche somiglianza con la contro-epopea degli indiani
dAmerica dopo lepica wasp della conquista delle terre di fron-
tiera. Ma nel caso di Buttafuoco la materia, e soprattutto il sog-
getto della contro-epica, quel complesso coagulo di nazismo,
fascismo, islamismo che trov nello scontro con mafia alleata con
gli americani in una Sicilia mai diventata moderna, un terreno
dai contorni ancora fumosi, densi di misteri, leggende, dove
lantico si fonde continuamente con il moderno, provocando cor-
tocircuiti storici imprevedibili e suggestivi.
La reazione al romanzo non poteva che essere violentissima sia
in difesa che in attacco28, ma quel che veramente interessante del
sistema narrativo del romanzo storico di Buttafuoco, proseguito in
parte nel successivo Il lupo e la luna, (Bompiani, 2011), il tentativo
di richiamare i modi, seppure nella declinazione e contaminazione
della contemporaneit, del canto tradizionale, il cuntu che coralit
popolare e si richiama nei modi alla storia di antiche gesta evocanti
27
M. GANERI, Il romanzo storico in Italia, cit., p. 110.
28
Ci asteniamo dal dare conto dei vari interventi sul libro di Buttafuoco poi-
ch si tratta per lo pi di polemiche che poco hanno a che vedere con la quali-
t letteraria del romanzo; vale solo la pena di segnalare lacrimonia violenta,
reazione al limite dellisterismo, che mal si attaglia ad un critico come Andrea
Cortellessa che sul Caff illustrato del gennaio-febbraio 2006 si lancia in una
energica stroncatura che ha pi il sapore di un attacco personale piuttosto che
di una meditata lettura impregiudicata, per quanto legittimamente negativa,
di un romanzo.
le avventure del paladino Orlando iconizzate sui carretti siciliani da
tempo immemorabile, e trasferita nel teatro dei pupi. Cultura antica
sopravvissuta nelle pieghe di una storia dallevoluzione indubbia-
mente anomala rispetto al resto dItalia, che utilizza il dialetto come
138
strumento di conservazione forzosa, come gergo culturale esclusivo
e in parte escludente (come ogni gergo), per mantenere il contatto
fra letteratura alta e tradizione popolare. Buttafuoco allestisce un
romanzo difficile, che forse non pu diventare modello di genere,
che si pu amare o esserne respinti, ma che indubitabilmente rap-
presenta un esperimento intellettuale e letterario non trascurabile,
ma forse neppure ripetibile.
E in effetti lultimo romanzo storico dello scrittore catanese
cambia modello, e con I cinque funerali della signora Goering,
(Mondadori 2014) entra sul territorio della metafora i cui soggetti
non sono i personaggi o le loro vicende, ma il culto dei corpi e in
parte dei corpi defunti. Ma questa veramente unaltra Storia!
Abstract
di MILA MIHAJLOVIC
Introduzione
ASMAE, DDI, Serie IV, 1908-1914, vol. XII, doc. 449, di San Giuliano a De
Martino, 24 luglio 1914.
L. ALBERTINI, Le origini della guerra del 1914, Bocca, Milano, 1942, vol. II, pp.
374-375 e 421.
Ibidem.
posito di opporsi a questa azione nel modo pi risoluto.
La neutralit in Italia ottenne inizialmente consenso unanime,
ma dietro le quinte si preparava un altro scenario. Lambasciatore
a Mosca, Andrea Carlotti, rifer a San Giuliano che Sazonoff, mini-
142
stro russo degli esteri, gli aveva confidato un accordo di massima
gi raggiunto fra Parigi, Londra e Pietrogrado, per assicurare
allItalia le condizioni necessarie per la sua supremazia
nellAdriatico nonch il Trentino. Ci dava spazio agli avversari
della neutralit, cui primo sostenitore era Sidney Sonnino, nuovo
ministro degli Esteri, insieme al premier Antonio Salandra. Son-
nino vedeva un intervento militare dellItalia ancora prima che la
situazione nei Balcani fosse compromessa.
Nel frattempo, la situazione politica era in continua evoluzio-
ne. LItalia e la Romania firmarono, il 23 settembre 1914, un ac-
cordo per abbandonare la neutralit contemporaneamente, a cui
avrebbe fatto seguito un nuovo accordo per aiuto militare reci-
proco in caso di aggressione austriaca. A fine ottobre, la Turchia
si schier con la Germania contro lIntesa, mentre, poco dopo, il
Portogallo si affianc allIntesa.
Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Lesercito italiano nella Grande
Guerra 1915-1916, Roma, 1983, vol. II, pp. 207 ss.
ASMAE, DDI, Serie V, vol. I, doc. 133, Carlotti a di San Giuliano, 1029/50,
dell8 agosto 1914.
lintervento italiano con un prestito di almeno 50 milioni di ster-
line, mentre allItalia venivano promesse la frontiera del Brenne-
ro, Gorizia e Gradisca, lIstria fino al Quarnaro, la Dalmazia cen-
trale, Valona ed il Dodecaneso, nonch Adalia in Asia Minore.
143
Il 3 maggio successivo fu dichiarato esaurito il trattato della
Triplice Alleanza, fu avviata la mobilitazione e il 23 maggio fu
dichiarata guerra allAustria-Ungheria. Nel frattempo, crollava il
fronte russo dei Carpazi, sfondato dalloffensiva del generale te-
desco von Mackensen; la Serbia si fermava, dopo aver liberato
Belgrado dagli austroungarici, lasciando al nemico tutto il tempo
per ritirarsi e riorganizzarsi, avanzando, per, con le proprie
truppe verso Durazzo, mentre i Montenegrini ne approfittavano
puntando su Scutari; il corpo franco-britannico era nettamente in
difficolt contro i Turchi nella penisola di Gallipoli.
La dichiarazione di guerra italiana aveva sorpreso gli amba-
sciatori italiani a Vienna e a Berlino:
ASMAE, DDI, Serie V, 1914 1918, vol. III, doc. 682, Lettera di Avarna a Bolla-
ti del 13 maggio 1915. Cfr. anche C. AVARNA DI GUALTIERI (a cura di), Il car-
teggio Avarna Bollati. Luglio 1914 maggio 1915, Quaderni della Rivista
Storica Italiana, Esi, Napoli 1953, p. 92.
occidente di Agram le truppe a disposizione. Inoltre, mentre
Sonnino dava informazione alle ambasciate italiane della dichiara-
zioni di guerra allAustria-Ungheria, lo stesso giorno 24 maggio,
Francesco Giuseppe indirizz un proclama ai suoi popoli: Il Re
144
dItalia ci ha dichiarato la guerra: un tradimento quale la storia
non conosce fu compiuto dal Re dItalia contro i suoi due alleati.
Il piano strategico dellesercito italiano, sotto il comando del
Capo di Stato Maggiore generale Luigi Cadorna, prevedeva di in-
traprendere unazione offensiva/difensiva per contenere gli au-
stro-ungarici nel loro saliente incentrato sulla citt di Trento e
sullAdige, concentrando invece lo sforzo offensivo verso est, do-
ve gli italiani potevano contare a loro volta su un saliente che si
proiettava verso lAustria-Ungheria, poco a ovest del fiume Ison-
zo. Lobiettivo era la rapida conquista di Gorizia e lavanzamento
verso Vienna passando per Trieste. Sul fronte italiano furono
ammassati circa mezzo milione di uomini e in un primo tempo
gli italiani erano in posizione nettamente migliore dal nemico.
Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Lesercito italiano nella Grande Guer-
ra cit., vol. II bis, doc. 28, pp. 245 ss. Agram il nome antico di Zagabria.
Jovanovic mi ha detto stamane che truppe serbe hanno occupato Elbas-
san tanto nellinseguimento del nemico, quanto per impedire massacri
minacciati dagli albanesi musulmani sulla numerosa popolazione cri-
stiana di quella citt. Egli ha soggiunto letteralmente che il Governo
serbo non ha intenzione di occupare Durazzo, ma ha dovuto estendere 145
la sua azione militare sul territorio albanese per non lasciare il confine
aperto come stato finora alle incursioni delle bande, organizzate e di-
rette da austriaci e turchi... Pai mi ha confermato occupazione serba
di Piscopia e di Podgradez, aggiungendo che prossimamente sar occu-
pata anche Elbassan, ma senza intenzione di arrivare a Durazzo.
ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. IV, doc. 125, Squitti a Sonnino, 690/23,
dell8 giugno 1915.
ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. IV, doc. 133, Imperiali a Sonnino,
703/230, del 7 giugno 1915.
senza il nostro consenso.
Latteggiamento italiano sulle clausole del Patto di Londra ir-
rit i serbi: il governo di Nish, avendo saputo quanto bastava per
alimentare sospetti, fece girare voci che lesercito serbo non ave-
146
va alcuna intenzione di preparare la promessa offensiva in con-
comitanza con lazione italiana sullIsonzo. La situazione sub ul-
teriori complicazioni quando lambasciatore Imperiali rifer al
ministro Sonnino anche alcune voci di origini francese o russa su
un possibile accordo per garantire alla Serbia, in cambio della
Macedonia, la Croazia. Lambasciatore Carlotti da Mosca con-
ferm lidea francese, nata per placare la rivendicazione serba sul
Banato rumeno. Alla qual cosa era fortemente contraria lItalia,
soprattutto per la nascita, in tal modo, di un forte stato serbo vi-
cino al suo futuro stato dalmata.
Dalla frenetica corrispondenza diplomatica si evince il corso
confuso delle trattative: la Serbia sarebbe stata anche disposta a
cedere la Macedonia, ma in compenso chiedeva la Croazia e il
Banato; ma, contemporaneamente, era evidente che la Romania
sarebbe entrata in guerra con lIntesa a condizione che ottenesse
il Banato. E gli alleati sapevano bene che la Serbia temeva parti-
colarmente che il Banato potesse finire ad altri.
Alcuni rappresentanti diplomatici dellIntesa a Sofia, tra cui
lambasciatore italiano, accentuavano i dubbi e le perplessit del-
la Bulgaria ad entrare in guerra; essa, unicamente interessata al
possesso effettivo della Macedonia serba cosa, peraltro, non
gradita alla Russia , continuava ad ammassare, contro gli am-
monimenti dellIntesa, numerose unit militari lungo la frontiera
con la Serbia. A questo punto, i diplomatici si misero daccordo
che alla Bulgaria non venisse pi data alcuna risposta alle sue ri-
chieste, insistendo, invece sulle condizioni alle quali si sarebbe
dovuta attenere in caso di entrata in guerra. Allaccordo fece se-
guito una sollecitazione del 15 luglio, nella quale si chiariva cate-
goricamente alla Bulgaria che gli alleati si attendevano una ces-
ASMAE, DDI, Serie V 1914 - 1918, vol. IV, doc. 269, Sonnino a Imperiali, 547,
dell8 giugno 1915.
sazione di ogni attivit militare lungo le frontiere serbe.
Il ministro Sonnino ricevette, il 29 luglio 1915, dallambasciatore
inglese a Roma una nuova comunicazione da presentare alla Serbia,
nella quale si chiedeva ogni possibile cooperazione con la Bulgaria 147
e il 31 luglio anche il testo della nuova nota da presentare alla Bul-
garia. In questa comunicazione, presentata a Sofia il 4 agosto da
Inghilterra, Francia, Russia e Italia, si formulava, da parte del
Capo del Governo inglese Edward Grey, la promessa della ces-
sione alla Bulgaria della parte incontestata della Macedonia
serba, gi indicata nella carta annessa al trattato serbo-bulgaro
del 1912, a condizione che la Bulgaria, entro il 20 settembre, di-
chiarasse guerra alla Turchia; gli alleati, pertanto, erano pronti
a garantire la cessione della Serbia alla Bulgaria di tanta parte
della Macedonia quanta era compresa entro la zona incontesta-
ta dal trattato serbo-bulgaro del 1912, non appena avranno por-
tato la guerra a una conclusione vittoriosa.
Si accelerarono i tempi. Gli alleati invitavano sia la Serbia che
la Bulgaria a rispondere al pi presto, ma la risposta che ricevet-
tero non era affatto quella desiderata: il 6 settembre 1915, a Pless,
Germania, Austria-Ungheria e Bulgaria firmarono una conven-
zione militare, alla quale ader anche la Turchia, con limpegno
ad agire contro la Serbia entro trenta giorni.
ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 430, Sonnino agli ambasciatori,
719, del 15 luglio 1915.
Idem, doc. 492
Idem, doc. 710.
La seconda invasione austro-ungarica della Serbia
Idem, doc. 3664 del 19 ottobre1915, doc. 933.
ASMAE, DDI, Serie V, 1914-1918, vol. V, Sonnino a Cadorna, telegramma
Sonnino il 20 ottobre invi un telegramma a Salandra infor-
mandolo che c da aspettarsi che una buona parte dei serbi, non
potendo pi resistere ai nemici in Serbia, si rifugino nellAlbania.
Se si dovesse fare qualcosa, bisognerebbe fare presto.
149
Lesercito serbo, attaccato e quasi circondato da preponderanti
forze austro-tedesche e bulgare, venne progressivamente respinto
verso sud-ovest. Vennero bloccate le truppe francesi che risaliva-
no da Salonicco verso nord per congiungersi con i serbi e, scon-
fitte, furono obbligate alla ritirata. Le truppe serbe cercarono di
arrestare lavanzata degli Imperi centrali ma, nelle furiose batta-
glie tra 10 novembre e il 4 dicembre, dovettero soccombere.
Allinizio del dicembre 1915, i bulgari avevano occupato tutto il
territorio della Macedonia serba, ma non osarono varcare il con-
fine greco. Pochi giorni dopo, lesercito serbo inizi la ritirata da
Prizren, in Kossovo, e, attraverso il Montenegro, cerc di farsi
strada nel nord dellAlbania verso il mare. Il 25 novembre fu uf-
ficialmente confermata lentrata dei serbi nel territorio albanese
e con ci inizi la pi grande ritirata che la storia europea ricor-
di, la grandiosa epopea delleroismo, del sacrificio e della volont
di un intero popolo che commosse il mondo.
1260/18 del 19 ottobre 1915; idem, Relazione di Essad pasci Toptani, doc. 934.
ASMAE, DDI, Serie V, 1914-1918, vol. IV, Sonnino a Salandra, doc. 945.
stinatamente, alla spedizione a Valona, convinto che le condi-
zioni topografiche della zona non fossero affatto favorevoli per
una efficace copertura con poche forze. Ma, il 13 e il 14 novem-
bre, mentre giungevano le prime informazioni sugli insuccessi
150
del Corpo di Spedizione alleato in Macedonia contro i bulgari
lungo la valle del Vardar, si incontrarono a Roma Cadorna, Sa-
landra, Sonnino, Zuppeli e Carcano e prevalsero le ragioni di
Sonnino, come scrisse Cadorna: Dovetti a mia volta accondi-
scendere allinvio di sufficienti forze in Albania, al precipuo
scopo di proteggere la ritirata dei serbi, ma mi opposi allo in-
tendimento del ministro degli Esteri di fare occupare con 21
battaglioni il triangolo Valona-Durazzo-Elbassan. Cadorna
riteneva che dallAlbania non si poteva esercitare nessuna influ-
enza sulla guerra europea, per cui le forze col inviate sarebbero
state perdute ed isolate. Egli continuava a ripetere che il valore
dellAlbania consisteva, per lItalia, nel possesso della Baia di Va-
lona, la quale, insieme con il porto di Brindisi, permetteva di do-
minare ogni accesso allAdriatico.
Cos, il 3 dicembre 1915, con la ritirata su Salonicco
dellesercito del generale Sarrail e con i bulgari oramai a Mona-
stir, sbarc a Valona il primo scaglione del Corpo speciale italia-
no in Albania; esso avrebbe dovuto presidiare Valona e Durazzo
e quella minima parte di territorio indispensabile per la loro dife-
sa, offrire il maggiore rifornimento possibile alle truppe serbe e
procedere allo sgombero dei prigionieri austriaci di cui i serbi a-
vessero voluto disfarsi. Gi il giorno dopo, la Brigata Savona,
messa sotto il comando del generale Guerrini, inizi il trasferi-
mento da Valona a Durazzo. Per motivi di sicurezza, il coman-
dante del Corpo di Spedizione, generale Emilio Bertotti, ordin il
trasferimento per via terra e non per mare.
In quei giorni, i primi gruppi dellEsercito serbo iniziavano ad
arrivare a Scutari. La situazione nella citt era notevolmente con-
fusa e lambasciatore serbo a Roma rinnovava la richiesta per
linvio di truppe italiane. Il 18 novembre, Nikola Pai aveva di
L. CADORNA, Altre pagine sulla Grande Guerra, Mondadori, Milano, 1925,
pp. 114-115.
nuovo incaricato il ministro serbo a Roma di esprimere a Sonni-
no la necessit di un aiuto militare italiano, possibilmente effet-
tuando uno sbarco a Santi Quaranta.
Il 4 dicembre si rinnov la richiesta serba, trasmessa da Squitti
151
a Sonnino, pregando di inviare in Albania almeno un solo reg-
gimento, per fermare lagitazione sobillata dagli agenti austro-
bulgari, a cui Sonnino chiariva che:
Dei 20 trabaccoli di cui si dispone per lo scarico dei piroscafi, due sono
ancora carichi di merce: lo scarico di questi si effettua per mezzo di
unimbarcazione che accosta ad una specie di pontile, dove i soldati
(serbi e montenegrini) portano a terra un sacco per volta. A terra si ac-
cumulano ... merci di ogni genere esposte ad ogni intemperie ed alle of-
fese dei velivoli e delle navi. Se le navi austriache avessero colpito le
botti di petrolio che erano sulla spiaggia, a questora Medua sarebbe in
fiamme. Da terra queste merci partono con carri e buoi per Scutari. Le
attuali cattive condizioni della strada immobilizzano per ore i carri, che
normalmente impiegano tre giorni e che non possono portare pi di tre
quintali... In queste condizioni, aggravate dalla mancanza di capace di-
rezione, da continui allarmi e da altre difficolt, la merce gi a Medua
pu rimanervi delle settimane.
M. MONATANARI, Italiani e Serbi in Balcania durante la Prima Guerra Mon-
diale, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Memorie Storiche Militari, Ro-
ma, 1983, pp. 207 ss.
Lopera di soccorso dellesercito italiano
G. CORNI, Riflessi e visioni della grande guerra in Albania: diario di un uffi-
ciale, Alpes, Milano, 1928, alla data del 21 dicembre 1915.
Quelli che vengono dietro si spostano per non inciampare nel caduto e
proseguono indifferenti, tentando, ma invano, di affrettare il passo per
arrivare pi presto al mare, al luogo di sosta per limbarco, che gi ve-
dono. Ma la maggior parte di essi giunta a Valona per morirvi, perch
154
nonostante ogni miglior volont, lo zelo dei soldati, laffannarsi dei
medici, le condizioni dei prigionieri sono tali da non poter bastare a
salvarli gli approvvigionamenti di cui disponiamo. La galletta, la carne
in conserva sono cibi immangiabili e indigeribili per quegli stomaci sif-
fatti dal lungo digiuno e dalle malattie. Ma dove trovare latte e brodo
per tutta questa gente? Sono sporchi oltre ogni immaginazione. Hanno
i piedi nudi, deformati, sanguinolenti. Portano in capo avanzi di fez in-
colori, pezzi di tela da sacchi; indossano pastrani laceri e nulla pi...
Sembra ormai certo che i serbi giunti o che stanno per giungere a San
Giovanni di Medua non potranno provvedere alle operazioni di imbarco
dei loro prigionieri e perci essi dovranno ripiegare su Durazzo; ma an-
che a Durazzo esistono le stesse difficolt, per cui 40.000 di essi dovranno
continuare sino a Valona la triste Via Crucis.
ASMAE, Serie II, Personale, M 24, Luigi Romano Lodi F a Sonnino, 16 di-
cembre 1915.
dolorante di tutti i dolori, contro il pantano e la roccia, contro il colera
e la cancrena. Avevano tutti lo stesso volto di fame e di febbre, su cui
gli occhi affondavano la loro vitrea fissit come un ultimo lume e gli
angoli della bocca schiumavano il rigurgito verdastro dellerba maciul-
lata, e i pi, appena riuscivano a toccar la riva, a vedere il mare, si ac- 155
casciavano in unimmobilit cera lo spasimo pietrificato, come se quel-
la visione tanto a lungo sognata nella terribile marcia, ora stagnasse
dun tratto sotto la loro pelle incrostata e tirata sulle ossa, lultima goc-
cia di sangue.
Ci sono, per le nostre carni mortali, ferite anche pi orribili di quelle
che la mitraglia e la lama sanno aprire, come ci sono energie di resi-
stenza che vanno assai oltre la morte delle carni stesse e segnano il
ritmo della vita per giorni e giorni dopo che quelle sono state distrutte.
Uomini che, digiuni da una settimana, camminavano ancora fra sterpi
e acquitrini, arrampicandosi su giogaie impervie, strisciando per sen-
tieri petrosi, coi piedi gonfi e sanguinanti, furono raccolti dai nostri
come morti e non erano morti. Sopravviveva al corpo finito lavidit
del mare, la volont della salvezza.
Nessun campo di battaglia certamente avr mai visto torture cos orri-
bili, pene cos tremende, n possibile immaginare nulla di pi im-
mondo di pi raccapricciante che quellumanit fradicia di sudiciume,
piagata dal lungo cammino, appestata dalle malattie pi schifose, eppu-
re cos terribilmente viva in corpi di putredine... Degli eroi che nel di-
cembre del 1914 avevano ricacciate e distrutte le armate di Potjoreck,
non viveva in quei corpi che lanima, sdegnosa della vilt della resa e,
dinnanzi allo spettacolo di tante agonie, la tragedia morale di unintera
nazione che, per sfuggire alla tenaglia dellinvasore, aveva segnato il
cammino della propria salvezza, dai confini della patria al mare, di una
scia di boccheggianti e di cadaveri, sembrava rimpicciolirsi quasi a
riassumersi nella tragedia fisica di ognuno.
Tutta la Serbia agonizzava in ciascuno dei suoi figli, ma in ogni agonia
era lorgoglio di una razza di prodi i quali al giogo della straniero pre-
ferivano la morte.
STATO MAGGIORE DIFESA, Per lEsercito serbo. Una storia dimenticata, a cura
di m. Mihajlovic, s. l., s. d., (ma Roma, 2014), pp. 51.
t e nello stesso tempo di repulsione, che prende lanima, e la strazia, e
lagghiaccia, davanti a questa scena terrificante e inenarrabile. Inenar-
rabile, altro aggettivo, che sembra vuoto di significato e nonostante
lunico vero, lunico che, affermando una negazione, dica lo schianto
156
dellanima davanti a questa massa umana abbandonata alla morte,
ammucchiata come luridi cenci, allaria aperta, sotto la brina, a 7 ed 8
gradi sotto zero....
Nessuna costruzione possibile di baraccamenti. Qualche tenda. Eppoi il
carnaio. La paglia umida e infetta marcisce in un putridume asfissiante,
in una poltiglia sudicia...
Sono cos giovani, queste reclute serbe! I pi sono ragazzi. E piango-
no. Questi ragazzi, che gi mostrarono cuore di forti, ora possono
piangere, sfiniti come sono dal freddo... morsi ancora dalla fame tor-
mentosa.
Manca tutto, qui. uno strazio sentire la propria impotenza davanti a
tanta sventura. Non c da dare a questi poveri cirenei della croce della
Serbia, che un po di galletta e un po di carne in conserva di Chicago,
inviate dagli inglesi. Ah! Queste scatolette di carne in conserva, come
le ricorderemo con ribrezzo, se un giorno avremo la ventura di tornare
salvi, se non proprio sani, alle nostre case...
E muoiono. In media ne ho visti seppellire duecento al giorno, vittime
di malattie di ogni sorta. Su questi campi di concentramento la dea del
malaugurio rovescia il suo vaso... E pensare che queste reclute, per la
loro et, dovrebbero essere e certamente sono la parte pi resistente
dellesercito in ritirata!
Si seppelliscono un po alla buona, anzi, molto alla buona; ma almeno
hanno una fossa e qualche palata di terra sopra, perch i cani randagi e
i lupi non possono rosicchiarne le membra....
ASMAE, DDI, Serie V 1914 - 1918, volume V, doc. 321, Fasciotti a Sonnino,
134/8, del 15 gennaio 1916.
M. MONTANARI, Op. cit., pp. 222 ss.
firmatarie del trattato del 1863 e preoccupato dallo stato sanitario
della popolazione del regno, non potrebbe consentire riorganiz-
zazione a Corf dellesercito serbo.
Vista la situazione di stallo e constato che n la Francia n
158
lInghilterra prendevano decisioni sul trasporto dei resti
dellesercito serbo da Valona a Corf, anche il ministro della Ma-
rina italiano fece presente che non poteva assumersi tale ulterio-
re onere gravoso nella sua totalit e in tal senso il ministro Son-
nino invitava i Governi inglese e francese ad assumere tra loro
in tempo gli opportuni accordi allo scopo di assicurare il traspor-
to dei serbi da Valona a Corf ed il necessario per loro riforni-
mento.
Anche la Grecia contribuiva a far crescere la confusione, resi-
stendo alla richiesta di accogliere i resti dellesercito serbo a Corf,
ufficialmente per motivi di ordine giuridico e sanitario.
Levacuazione in Italia
In questo modo, lintero onere di evacuazione di tutto lesercito
serbo venne a gravare sullItalia. Limpresa fu imponente, non
solo per numero di assetti: di navi, personale, mezzi, ma anche
per la destinazione del trasporto. Quasi tutto lesercito serbo, i lo-
ro prigionieri e i profughi furono trasferiti dalle coste albanesi in
Italia, e solo in un secondo momento, dopo alcuni mesi, a Corf,
Biserta e alle altre destinazioni. Il trasporto si svolgeva attraverso
convogli protetti da navi da guerra.
Le disgraziate condizioni delle spiagge albanesi con fondali
bassi e acque paludose impedivano lapprodo e soprattutto la
lunga permanenza dei grossi piroscafi alla riva; per questo moti-
ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 313, nota presentata
allambasciatore italiano in Grecia, Alessandro De Bosdari il 14 gennaio 1916.
ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 315, Sonnino agli ambasciatori,
120, del 14 gennaio 1916.
ASMAE, DDI, Serie V, 1914 - 1918, vol. V, doc. 323, De Bosdari a Sonnino,
138/20, del 15 gennaio 1916.
vo si decise di utilizzare mezzi di piccolo tonnellaggio, con un
maggiore numero di viaggi, per imbarcare con maggior solleci-
tudine a Durazzo, a San Giovanni di Medua e alle foci del Vojus-
sa le truppe e i profughi, che poi a Valona erano trasbordati sui
159
grandi piroscafi per la traversata dellAdriatico. LItalia, cos, si
present in Adriatico con una flotta di queste piccole unit a ve-
la, a vapore, a motore a scoppio. Fu come una gara di generosit
e di ardimento bandita dalle autorit navali italiane: la struttura
marittima della penisola, militare e civile, rispose allappello con
fede pari alle difficolt delle scorte ed i rischi di offese e di sor-
prese dallattigua piazza di Cattaro, in mano austriaca. A garan-
tirne la sicurezza, doveva sempre perlustrare il mare un forte nu-
cleo di unit della marina da guerra, anche se il carico da proteg-
gere fosse stato quello di un solo e piccolo Palatino, che i roma-
ni conoscevano per il traffico sul Tevere di Ripagrande, ma che
pure in quelloccasione portava viveri preziosi per qualche giorno
ancora di resistenza di chi lottava contro un nemico agguerrito e
contro la fame.
La situazione si era aggravata ulteriormente quando la situa-
zione militare impose il ritiro dallAdriatico delle navi francesi ed
inglesi e a gestire levacuazione dei serbi lItalia rimase comple-
tamente sola. Continu da Valona e Scutari lesodo dei soldati
serbi e dopo che il 23 gennaio gli austriaci avevano occupato Scu-
tari, il 26 il Consiglio dei Ministri italiano si diceva pronto ad ab-
bandonare Durazzo ma non Valona. Il 9 febbraio si concluse
limbarco dei serbi a Durazzo e il ministro Pai trasmise un
messaggio al Governo italiano:
Ultimato il trasporto dei serbi dallAlbania, esprimo i ringraziamenti
pi sinceri del Governo Reale per lintervento immediato ed efficace
della Regia Marina italiana e per lopera di tutte le altre autorit, grazie
alle quali, lo sgombero si potuto effettuare con rapidit e con piena
soddisfazione.
G. GALLI, Fanti dItalia in Macedonia 1916-1919, Omero Marangoni Editore,
Milano, 1934.
E il Colonnello Mitrovitch, comandante del quartier generale
serbo, volle salutare negli ufficiali e negli equipaggi
dellincrociatore Citt di Catania tutta la Marina italiana, a cui si
disse fiero di rendere lomaggio affettuoso e riconoscente del po-
160
polo di Serbia.
STATO MAGGIORE DIFESA, cit., pp. 99-100.
vano al traffico dei rifornimenti apprestati dalla Marina Italiana
agli eserciti serbo-montenegrini prima della loro ritirata, sia tutte
le altre relative al trasporto di uomini e materiale bellico e logi-
stico per il Corpo doccupazione italiano in Albania e per la base
161
navale di Valona, trasporto che fu compiuto contemporaneamen-
te a quello dei serbi, fra gli stessi porti e sulle stesse rotte, senza
mai creare intralci o ritardi nello sgombero delle truppe in ritira-
ta, anzi, integrandolo ed aiutandolo per la maggiore economia
dei mezzi. In questa magnifica operazione della sua Marina,
lItalia perse diverse migliaia di uomini e tre navi, ma ad ogni
modo, non un solo soldato serbo perito in mare.
Conclusioni
Agenzia Stefani, Comunicato del 23 febbraio 1916.
la Regia Marina a salvarlo, portandolo in Italia.
Allo stesso tempo, questo intervento della Marina italiana fu
una vera e propria operazione umanitaria ante litteram, la pri-
ma importante, vasta e articolata operazione di aiuto e soccorso
162
civile e militare di tutti i tempi.
Abstract
In the middle of the winter of 1915/1916 the Serbian Army, in the jaws
of the army of the Central Powers, was forced to retreat followed by
masses of people. On the Albanian coastline of the Adriatic they were
all saved thanks to the magnificent humanitarian-military operation of
the Italian Royal Navy, assisted by French and English ships, and
transferred to the opposite shore of the sea. Of all the Allies, Italy bore
almost the entire burden and responsibility for this undertaking. From
December 12, 1915 to February 29, 1916 the Italian Navy evacuated
from Albania: 260,895 Serbian soldiers and refugees, 24,000 Austrian
soldiers - prisoners of war of the Serbian Army, 10,153 horses, 68 can-
nons and 300,000 tons of food and supplies. The Serbian government,
military leaders, King Petar I Karadjordjevic and Regent Aleksandar I
were also evacuated with the army. A total of 248 water crossings were
conducted utilizing 350 ships. In the same operation 6,000 Montenegrin
soldiers along with King Nikola I and his family were also evacuated.
163
Il documento che si presenta, Comme lArme serbe fut sauve
par la Marine italienne, fu pubblicato nel 1917 dallInstitut Italien
de Paris contemporaneamente al volume di Paolo Giordani, La
Marina italiana nella guerra europea. Per lesercito serbo, Alfieri
& Lacroix, Milano 1917, voluto dallUfficio speciale del ministero
della Marina anche con una edizione in lingua francese. Entram-
bi i documenti pongono in giusta luce il ruolo della Marina ita-
liana nel salvataggio dellesercito serbo tra il 1915 e il 1916.
Il volume di Paolo Giordani stato recentemente riedito dallo
Stato Maggiore della Difesa (Per lesercito serbo. Una storia di-
menticata, a cura di M. Mihajlovic, Roma 2014). Il documento che
qui si presenta, pur essendo edito, fu conservato solo in archivio e
qualche copia fin presso privati. Una di queste, attraverso
lufficiale medico Manlio Cace e suo figlio Guido, giunto a Mila
Mihajlovic che lo ha corredato di uno studio che qui pubblichia-
mo come introduzione storica al documento e che stato presen-
tato allAccademia serba delle scienze e dellarte di Belgrado nel
novembre 2014.
Limportanza del documento risiede nel fatto che si tratta di
una relazione ufficiale che il Governo invi nelle capitali europee
per sottolineare il ruolo e limpegno italiani nella vicenda del sal-
vataggio dellesercito sebo; vicenda che, gi allora, fu travisata,
relegando quella dellItalia a una presenza essenzialmente tecni-
ca e logistica, mentre in realt il peso assolutamente maggiore
dellimpresa fu a carico della Marina italiana.
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169
Il testimone bugiardo.
Il crollo del campanile di Venezia
Il primo grande disastro artistico del Novecento provoc
unondata emotiva mondiale, grazie anche alla
diffusione di abili contraffazioni fotografiche
di GUGLIELMO DUCCOLI
Apertura del lungo articolo che lIllustrazione Italiana dedic al crollo del
campanile marciano. Leditore Treves dimostr particolare attenzione per la
vicenda e non cess mai di seguirla da vicino lungo tutto il decennio che con-
dusse alla riedificazione della torre nelle esatte forme dorigine.
176
Lo stato di avanzamento dei lavori nel 1910. La nuova torre comprendeva an-
che un ascensore.
180
RODOLFO SIDERI
Eugenio Garin - Ugo Spirito, Carteggio 1942-1978, a cura di
Michele Lodone, Edizioni della Normale, Scuola Normale
Superiore Pisa, 2014.
186
DANILO BRESCHI
Alice Martini, Prigionieri nel nostro mare. Il Mediterra-
neo, gli Inglesi e la non belligeranza del Duce (1939-
1940), Edizioni dellOrso, Alessandria, 2013.
191
EMILIO GIN
Livio Spinelli, Il Sionismo in Italia e nella politica estera fa-
scista, Pagine, Roma, 2013.
195
Il saggio di Livio Spinelli scrittore, pubblicista e docente si
propone un obiettivo audace; chiarire e far luce su uno degli a-
spetti pi delicati e controversi, nonch il pi oscuro e meno co-
nosciuto, della storia politica dellItalia del Ventennio ovve-
ro latteggiamento del Partito fascista italiano nei confronti della
popolazione ebraica italiana e, in particolar modo, del movimen-
to sionista italiano. Nel libro, tuttavia, non si parla solo di Italia
fascista, ma anche dei rapporti, altrettanto oscuri e poco cono-
sciuti, intercorsi tra la Germania nazista di Hitler e la comunit
ebraica tedesca, anche questi trattati con dovizia di dettagli e ci-
tazioni tratte da documenti originali. Il libro, nonostante il tema
impegnativo, scorre facilmente. La prosa chiara e semplice e i
riferimenti alle note, che sono poste al termine di ognuno dei
dieci capitoli di cui consta il libro, risultano immediatamen-
te identificabili. Gran parte delle informazioni, inoltre, elegan-
temente inserita nel testo, dimodoch la lettura dello stesso non
viene in alcun modo rallentata.
Il libro si apre con la trattazione dellattiva partecipazione de-
gli ebrei italiani non solo come semplici iscritti al partito fascista,
bens anche come veri e propri fondatori dello stesso. Basti pen-
sare che la sala in cui si svolse la cerimonia della fondazione dei
Fasci di Combattimento, una saletta del Circolo degli Interessi
Industriali, commerciali e agricoli, a piazza Sepolcro n. 9, la do-
menica del 23 marzo del 1919, fu messa a disposizione dal presi-
dente Cesare Goldman, finanziere e uomo politico ebreo, nonch
massone, e che un gran numero di ebrei italiani aderirono entu-
siasticamente al partito fascista, e dimostrarono pi volte la loro
lealt al Duce e alla Patria partecipando in gran numero alle
Giornate della Fede e alle offerte delloro alla Patria. Spinelli
tuttavia dimostra anche come non sia corretto affermare che tutti
gli ebrei italiani fossero fascisti, giacch un buon numero di essi,
soprattutto intellettuali, si opposero al regime e combatterono
Mussolini e il suo partito fin dai primi anni, pagando tale scelta
con la carriera, le percosse, lesilio e, talvolta, la vita.
Dopo aver fatto chiarezza sui controversi e complicati rapporti
tra fascismo e massoneria, il libro prosegue spiegando brevemen-
te il movimento Sionista, nato ufficialmente a Basilea il 31 agosto
196
del 1897 con il nome di Organizzazione Sionista Mondiale. Tale
rapido excursus indispensabile per la comprensione delle dina-
miche trattate nei capitoli successivi, in quanto spiega chiara-
mente come sia stato possibile che le visioni e le linee di azione
del movimento sionista italiano e del Partito fascista, prima, e del
movimento sionista tedesco e del Partito nazionalsocialista, poi,
coincidessero in toto per quanto riguardava la soluzione alla
questione ebraica, ovvero il ritorno del popolo ebraico in Pale-
stina, nella Terra Promessa. Mussolini, da buon politico e di-
plomatico quale era, riusc a favorire il transito di decine di mi-
gliaia di profughi ebrei, provenienti in gran parte dalla Germania
di Hitler, per la Palestina facendoli transitare per il porto di Trie-
ste, guadagnandosi nel contempo anche lappoggio della popola-
zione araba, il tutto in chiave anti-britannica e in vista di un di-
segno egemonico sul Mediterraneo.
Come nota Spinelli, il numero di ebrei italiani che migrarono
fu esiguo; dopotutto essi erano ben integrati in Italia, non erano
oggetto di discriminazioni di alcun genere e si riconoscevano in
primis come italiani, e poi come ebrei, e in quanto italiani la loro
unica patria era lItalia. Ma mentre in Italia le cose stavano cos,
in Germania Hitler mobilit addirittura le SS affinch facessero
emigrare il maggior numero possibile di ebrei tedeschi verso la
Palestina. Gran parte di questi coloni era sionista e, curiosamen-
te, era guardata con una certa ammirazione e a tratti con sincera
simpatia perfino dalle alte sfere del partito nazista, in quanto i
Sionisti si identificavano come appartenenti alla razza ebraica e
anelavano al ritorno nella loro antica patria. Le idee di razza e
il concetto di popolo legato alla propria patria erano concetti
chiave dellideologia nazista, che invece considerava con il mas-
simo disprezzo gli ebrei tedeschi che cercavano di assimilarsi,
considerandosi in primis tedeschi e aventi come patria la Germa-
nia, e in secundis ebrei.
Si stima che quasi il 10% della popolazione di religione ebraica
tedesca emigr in Palestina, aiutata come detto in precedenza
dallo stesso Mussolini, e sembrerebbe che il mutato atteggiamento
nazista verso gli ebrei sia iniziato ad affermarsi sempre pi marca-
tamente in concomitanza con la continua e drastica riduzione del
197
numero di ebrei che lasciavano la Germania.
Successivamente, viene trattato largomento della nascita del-
la Marina israeliana, e del ruolo centrale che Mussolini, con il
suo consenso al progetto, rivest, e del vitale contributo del Gene-
rale Guido Aronne Mendes, che scelse la Scuola Marittima di Ci-
vitavecchia come sede per la formazione dei quadri della futura
Marina di Israele, e di quello del Capitano Nicola Fusco, lallora
direttore della scuola stessa. Tale corso permise a quasi 200 ebrei
provenienti da ogni parte dEuropa di specializzarsi nella carriera
marinara. Va ricordato, per, che il supporto italiano a tale ini-
ziativa, pi che da motivazioni politiche fu mosso da considera-
zione di carattere prettamente economico, basate sul rientro in
Italia di ingenti capitali generati proprio da questa nuova Marina.
LAutore non manca di trattare largomento del salvataggio
da parte di Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, del suo amico Guido
Mendes, il Patrono della Scuola Marittima di Civitavecchia al-
lorquando, due mesi dopo il luglio del 1938, mese in cui fu pub-
blicato il Manifesto della razza, furono emanati i provvedimenti
antisemiti. Pacelli infatti riusc dapprima a far emigrare Mendes
e tutta la sua famiglia in Svizzera e, nel 1939, fu il Segretario di
Stato del Vaticano, Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI,
ad ottenere i certificati di immigrazione per la Palestina per i di-
retti interessati.
Il libro di Spinelli costituisce uno studio serio, ben argomentato
e documentato su aspetti poco conosciuti e divulgati della politica
filosionista di due potenze lItalia fascista e la Germania nazio-
nalsocialista solitamente associate allantisemitismo e getta luce
sulle motivazioni politiche ed economiche, ma anche geopolitiche
e, nella fattispecie, antibritanniche, di tale politica, almeno fino al
1938, anno contrassegnato dallemanazione delle leggi razziali in
Italia e dalla famigerata Notte dei Cristalli in Germania.
VALERIO DI ZENZO
199
SIMONETTA BARTOLINI docente di Letteratura italiana moderna e con-
temporanea allUniversit degli Studi Internazionali di Roma (UNINT).
Si occupa di storia della cultura del Novecento con particolare riferimen-
to alle avanguardie storiche, alla prima guerra mondiale e allevoluzione
del romanzo. Tra le sue recenti pubblicazioni: Ardengo Soffici, il roman-
zo della vita, Le Lettere, 2009; Mistica sostantivo femminile. La mistica
laica di Cristina Campo, in La santa affabulazione. I linguaggi della
mistica in Oriente e Occidente, La Finestra editrice, Lavis, 2012; Il fan-
ciullino nel bosco di Tolkien. Pascoli: la fiaba, lepica e la lingua, Poli-
stampa, 2013. componente della giuria del Premio Strega.