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LA POETICA DEL PETRARCA

Author(s): Luigi Russo


Source: Belfagor, Vol. 3, No. 5 (30 SETTEMBRE 1948), pp. 541-568
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/26047080
Accessed: 12-10-2017 02:28 UTC

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LA POETICA DEL PETRARCA

1. La ricerca della poetica e la storiografia contemporanea.

La parola poetica ha avuto voga, e intensa e perfino fa


timo ventennio e, se lecito ricordare e forse accusare me stess
annunziai un saggio intitolato La poetica di D'Annvjizio, che p
una sopravvenuta grave infermit; guarito, passai a preoccupa
poetica in scrittori a me pi congeniali, Machiavelli, Manzoni,
Foscolo, Leopardi ecc. La parola poetica, noto, pochissimo accetta al
Croce, il quale da un ventennio tenta di espungerla dal nostro dizionario critico,
poich egli assume quella parola nel significato tradizionale e passivo del termine,
cio come l'insieme delle intenzioni di un poeta, che non hanno nulla' a che fare
con la sua poesia attuata. Se quelle intenzioni astratte sopravvivono nel
l'opera poetica, segno che l'opera non riuscita, e se cadono, esse ritornano ri
secchite nel limbo delle astrazioni da cui avevano tentato di evadere. Per stu
diare la poetica come andare alla ricerca del tempo perduto, e senza la sot
angoscia dei disutili (quando non sono poeti) ricercatori moderni del loro t
perduto.
Ma la poetica di cui parla la critica postcrociana vuole avere un altro signifi
cato, e dovrebbe essere prova di un pi pregnante storicismo e non ricerca astratta
di una dottrina che non si consustanzi nella poesia in atto. Non si tratta di di
stinguere tra mondo intenzionale e mondo effettuale, come si esprimeva il De San
ctis (che in questo caso avrebbe ragione il Croce a tacciare di inutilit o almeno di
vecchiezza tale distinzione), ma si tratta di delineare il gusto di uno scrittore,
e come tale essa non n un prius n un posterius, ma immanente in tutti i mo
menti nell'opera d'arte in atto. Altre volte abbiamo chiamato la poetica anche
la mitologia poetica di uno scrittore, poich la parola g usto, con
cui talvolta la si potrebbe o la si vorrebbe tradurre, serba un significato equivoco
e un po' limitato quasi che si parli del gusto tecnico e grammaticale dello scrivere,
mentre la poetica non soltanto un mito grammaticale, ma anche un
mito morale, , per dir cos, il succo storico di un'opera d'arte. La
poetica dell'Alfieri non semplicemente il gusto dello scrivere scabro, per cui va
proverbiale questo scrittore, o il gusto del fraseggiare petrarchesco che c' nei
suoi sonetti, ma essa assorbe e compendia anche tutta l'accesa mitologia dei sen
timenti passionali, politici e morali che circolano nell'opera tragica e sonetti
stica dell'astigiano : senza l'indagine e la conoscenza di questa poetica che circola
nell'opera di un poeta, noi fatalmente arriveremmo a quel tipo di critica giudiziaria

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542 LUIGI RUSSO

teoricamente caldeggiata dal Croce, ma poi trasfigurata dalla p


dello storico, nei suoi saggi effettivi, dove la distinzione giudiziari
nel fondo. Per essa si distinguerebbe il verso che si realizzato c
verso che rimasto sordo alle esigenze della poesia; non mancato
pedestre scolaro del Croce, che nello studio ha proceduto talvolta
a fare un'anatomia, in cui si distingue la poesia dalla non-poesia,
non-poesia come i trucioli, la spazzatura o, se piace meglio, la ma
cui il lettore deve sbarazzarsi. Naturalmente il Croce non cade in q
caniche di critica, che distinguerebbero in maniera spicciativa il fram
dalla ganga che si frammischia ad esso. Si possono portare per
sue paginette sull'Alfieri, in cui, indipendentemente dalla discrimi
gedie poetiche dalle tragedie non poetiche, il Croce va al centro
la personalit dell'Alfieri, che egli non pu non considerare se n
mente affine ai contemporanei Strmer und Drng er, e osserva
altri consapevoli o inconsapevoli russoviani, moventi all'assalto d
rali, le sue passioni sono estreme per violenza . Ed ecco che il Cro
parole che abbiamo citato testualmente, sia pure nolente o con a
centrato l'Alfieri in una poetica, in una mitologia, in un gusto, perii
quale lo scrittore si lega agli altri affini del 1700, e si riconduce alla corrente
di quella letteratura messianica e superumana, secondo la quale i grandi indivi
dualisti del Settecento cercarono di sbastigliare i tradizionalismi che si erano
stratificati e fiaccati nel gusto e nel costume dopo il decadere delle idealit uma
nistiche del Rinascimento. Ricerca, questa della poetica, per rimediare alla
aporia lamentata dai tardivi seguaci della storiografia romantica, i quali accusa
vano la storiografia crociana di procedere nella storia della poesia per monadi
senza finestre. La storiografia romantica, che si partiva da una concezione teolo
gica della realt, vedeva tutto preordinato secondo l'Idea che per fatalit storica
si incarnava in questo o quel poeta; la storiografia postcrociana, aliena dopo l'in
segnamento del Croce da ogni forma di messianismo religioso e da una storia preor
dinata ab aeterno, torna a porre l'esigenza in una forma immanentistica ed attuale
del legame storico tra un poeta e l'altro. Respinta la concezione tipicamente ro
mantica da cui poteva scaturire il concetto di gusto nel senso dell'antico so
ciologismo, come d'una direzione predeterminata della storia, per noi, agguerriti
e protetti dall' insegnamento del Croce, il gusto la fraternit non ricercata
di scrittori vicini nel tempo, di quel tempo di cui essi sono i figli soltanto perch
ne sono al tempo stesso i genitori, e in cui i singoli ignorano e non vogliono impac
ciarsi della provvidenzialit della storia che li accomuna. Per gli ultimi ritardati
romantici, il gusto invece era una forma di confessione religiosa ri
velata dall'alto, mentre per noi una liberale concorrenza, un orientamento eslege,
una mobilissima societas, in cui manca la r e 1 i g i o , il legame cio, il
termine fisso di eterno consiglio. Sociologismo liberale e immanenti
stico il nostro che si oppone e quello confessionale, caro ad alcuni ro
mantici che ancora vestono panni nel nostro secolo. Il consiglio di Dio per noi
attuato dai singoli poeti, ciascuno facendo chiesa a s, cio lasciando nascere Dio

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LA POETICA DEL PETRARCA 543

da s e non richiamandosi a un' idea trascendente della storia e di qualche divi


nit teologizzata a priori da questo o quel filosofo.
Per io tornando a parlare della poetica nel '42 nel secondo volume della mia
Critica letteraria contemporanea, prendendo a pretesto la filosofia dell'arte del Gen
tile da cui precisamente, per il suo afflato troppo romantico, dissentivo, riaffer
mavo l'esigenza di condurre un' indagine sulla poetica, intendendola non come
un contenuto che va in cerca di una sua incarnazione lirica, ma semmai come un
gusto, uno stile, un' aura storica, e, se si vuole, una politicit trascenden
tale, che si sprigiona da un' incarnazione lirica e che pu costituire come lo stile
e la coscienza di un'epoca. Io posso anche chiamare la poetica la non poe
sia di un poeta, purch non la si intenda grammaticalmente distinta dalla poe
sia, e si riconosca la non-poesia nel suo valore positivo come un momento ne
cessario, urgente, stimolante e immanente nella dialettica lirica del poeta-poetante,
fervoroso gurgite della poesia, come altre volte mi sono espresso, schiuma del mare
da cui nasce Venere. Giacch la poesia , sempre, una divinit anadiomene. C
la non-poesia del Petrarca, ma non come la poesia mancata dello scrittore, ma come
il gusto circolante perpetuamente in quella sua poesia : ecco perch oggi non amiamo
pi distinguere tra l'umanesimo del Petrarca che sarebbe documentato dalle sue
opere latine, e la poesia del Petrarca che si ritroverebbe nel Canzoniere e nei Trionfi.
Ed ecco perch fin dallo scrittarello sul Petrarca del De Sanctis abbiamo affer
mato (nel fascicolo passato della rivista) la necessit di trattare il Petrarca poeta
e il Petrarca umanista, non come si trattasse di due personalit (donde le due cor
renti di studi per due alvei diversi, che si sono sfogate fino a ieri mattina, e per i
quali le due personalit non si unificano mai in una), ma vedendo nel Petrarca
un poeta umanista o, se piace di pi la formula ingegnosa, un poeta assoluto
ma anche un poeta petrarchista.
Ci che ci giova ad intendere la poesia nei valori eterni e per dire cos sovra
temporali, ma anche la poesia nei suoi raccordi storici col gusto della nuova et
che si veniva delineando nella seconda met del Trecento e che poi si disse l'et
dell' Umanesimo.
N vale obbiettare che il gusto umanistico sempre quello ed sempre iden
tico in un Boccaccio, in un Petrarca e in un Coluccio Salutati, perch in concre
to ci accorgiamo che 1' umanesimo del Petrarca assai diverso dall' umanesimo
dei suoi amici Giovanni Boccaccio o Coluccio Salutati. L'individualit dell'ac
cento, che la benefica preoccupazione costante nella storiografia crociana p
l'indagine della poesia, vale anche per la poetica : sicch non si pu dire ch
sia una poetica umanistica in generale, ma c' sempre la poetica individualizz
di Petrarca, di Boccaccio e di altri scrittori. A questa ricerca della poetica si
quella della filosofia del Petrarca, che non si pu dire semplicisticamente, com
stato detto, la filosofia della vecchierella, del pusillus, del pastore, che si cont
pone a quella dei dotti e degli averroisti, una filosofia elementare e fanciulle
che polemizza contro una filosofia intellettualistica e intellettualmente pi c
plessa; poich essa stessa una filosofia assai complessa, che io chiamerei
filosofa da nobile castello, una filosofia da limbo, che non rinn

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544 LUIGI RUSSO

le antiche credenze medievali e nemmeno afferma la fede mondana dell'uomo


tutto calato sulla terra, come avverr del Machiavelli e di altri scrittori del Cin
quecento. Una filosofia che rimane eternamente sospesa tra l'antico e il nuovo,
tra il Medioevo trascendentlstico e 1' Umanesimo naturalistico, tra il cielo e la
terra, tra la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme terrena. Di codesta sottile
angoscia, di codesta anche deliziosa sospensione, si fa tutta la poesia e tutta l'opera
di confessione del Petrarca; in questo la sua modernit, in quanto egli apre questo
dissidio fra il cielo e la terra e lo incentra nella sua anima di poeta e di sottile scru
tatore di uno stato d'animo. Se noi andiamo a studiare l'umanesimo del Boccaccio,
noi Io troviamo pi librato nella leggiadria dell' intelligenza, anzi che profondato
nell'interiorit dell'anima (adottiamo questo termine medievale, di proposito);
sono umanisti entrambi questi due scrittori, ma l'uno, tanto per distinguere ra
pidamente, tutto volto verso il cielo dell' intelligenza, in cui si motteggia, si ride,
s'inganna e si beffeggia, commerciando sempre sulla carne delie umane e reali
stiche passioni, e l'altro tutto volto verso il cielo dell'anima, percorsa sempre dalla
sottile angoscia d'un agognato ma non mai posseduto paradiso.

2. Il poeta nuovo in Petrarca.

Si incominci intanto col definire quello che fu l'ideale del poe


in Petrarca. Con Dante si era realizzato il tipo del poeta profeta e
stiziere : per Dante la poesia velame di eterne ed anche esterne ve
trarca messo da parte il vate ed il giustiziere ed anche il poeta p
techista, che, per attuare la sua giustizia e dare sfogo al suo cristian
o pedagogico o catechistico, si mescolava a ruffiani, baratti e simi
altra gente di voglia niquitosa e prava : solo e pensoso i pi desert
surando a passi tardi e lenti, ci risponde il Petrarca. L'ideale d
la solitudine elegiaca e molto altera di s ; si incomincia ad aprire
stacco tra l'individuo e la societ in cui egli si muove: il manifesto
le genti gli d fastidio, per cui egli non ha altro schermo che gli occhi
gire ove vestigio uman l'arena stampi. Si potrebbe obbiettare c
umore personale del Petrarca e che questa pu essere tutt'al pi un
logica; invece si tratta della caratteristica di tutta un'et. L'appart
dell'uomo meditativo, del confessore dell'anima, con una punta di
il volgo, un costume che si inaugura coi Petrarca e si conclude c
cui un nuovo ideale di solitudine affermato, una solitudine agonist
si proietta nel mondo l'idea nuova della nuova citt, della nuova re
bisogna fondare; l'anima ai fati, avrebbe detto il Carducci, e l'a
L'Alfieri nell'affermare la solitudine conclama il suo manifesto per
che i poeti e il secolo debbono sapere svolgere. la predica del solit
dell' azione, contro la solitudine che pure il suo superbo e incoer
La solitudine del Petrarca una solitudine di tipo religioso-uma
d'una religiosit fortemente impregnata di mondanismo: il gusto
gusto della bella letteratura, delle parolette ornate, il desiderio dei

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LA POETICA DEL PETRARCA 545

sociali di principi e monarchi. E lo scrittore, che pare volto tutto all


delle sue pene e all' intimit dei suoi pensieri celesti, invece ha un ore
calissimo intento a cogliere le aure pi sottili e le melodie pi vaglie de
uomini. Dante predica il disinteresse scientifico della speculazione fil
riconosce un giusto peso alle cure familiari e civili. Non si dee chiam
filosofo, scrive nel Convivio (3, XI, lu), coiui che amico di sapienza p
siccome sono li legisti, li medici e quasi tutti li religiosi, che non per
diano ma per acquistare moneta e dignitade ; ma egli per riconosce
la cura familiare e civile, la quale convenevolmente a s tiene de li u
maggior numero, si ch in ozio di speculazione esser non possono (Co
Il Petrarca invece ha un costante e altero disprezzo senza condizioni p
al vii guadagno intesa. Egli reagisce al motto volgare Povera e nuda
sofia ed esorta un gentile spirito a non lassar la magnanima sua i
questa una nota che si prolunga fino ai nostri giorni, fino alle form
deteriori, del D'Annunzio, dei dannunziani e dei crepuscolari.2
Comunque, tutta la letteratura moderna, a incominciare dalla seco
dell' Ottocento tenta di sanare questo altero dissidio solennemente
e approfondito dal Petrarca tra la vita pratica e la vita teoretica. Il p
di ribellione a questa forma di egoismo degli uomini teoretici si ha in
quando ostent polemicamente la differenza del suo filosofare dal filo
accademici e dei retori, che stanno a speculare i loro pensamenti, pas
sotto magnifici portici, senza cure di mogli che infantano e di figli
scono nei morbi. Possiamo dire che tutto il romanticismo volle essere una rivendi
cazione dei valori della vita rispetto a quelli teoretici della fantasia, della mente,
e, direbbe il Petrarca, dell'anima: ina una rivoluzione di gusto non sovverte tutto
il passato, sicch per tutto il secolo romantico e per il nostro non manca una qual

1 Devo la suggestione di questa citazione a una pagina di Umberto Bosco, nel suo Pe
trarca, Torino, Utet, 1946, p. 118; libro assai notevole nella letteratura petrarchesca e che i
critici vari stilisticuzzi e le stilistichesse hanno trattato con sdegnoso supercilio. Il libro del B.
ha un solo difetto, che non serrato in un ordine storico di capitoli, ma come abban
donato quale una selva di appunti d'un conoscitore molto preciso e coscienzioso e acuto di
tutta l'opera petrarchesca, di cui si giova per iniziare gli scolari da una cattedra univer
sitaria ai vari problemi nati in ogni tempo su questo poeta. Ma forse appunto per questo il
libro del Bosco riesce suggestivo, come di un'opera avviata e non finita e da cui altri pos
sono trarre succo e insegnamenti perpetui; per gli si deve una gratitudine particolare.
2 Noi ricordiamo alcuni versi di Guido Gozzano: Oh! questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta Del buon mercante inteso alla moneta, Meglio andare sfer
zati dal bisogno, ma vivere di vita ! Io mi vergogno, s mi vergogno d'essere un poeta . E ri
cordiamo il commento che egli fa di quel buon padre della signorina Felicita in fama d'usu
raio, quasi bifolco, dove si avverte sempre questa sottile alterigia dell'esteta gelido, del so
fista, verso l'uomo pratico. Soltanto in un poeta del Mezzogiorno, Francesco Gaeta, si trova
come interrotta questa tradizione di gusto e di sottile dispregio verso la turba intesa alla mo
neta. Brutal vinaio, nella cui man l'oro scorre, Che scamiciato dai carri scarichi il vin, Forte
in dogana rotto alle grosse camorre, Canuto, aitante, tra l'avvoltoio e il mastin, Ebbene
10 t'amo .... Un critico populista potrebbe dire che questa l'influenza del socialismo, ma
11 socialismo non c'entra, c'entra il popolarismo che assai vigoroso nel Mezzogiorno d'Ita
lia, e c'entra una bella figliuola che siede al balcone all'estivo tepor. Non per nulla l'arte dei
Verga, dei Di Giacomo, delle Serao, e la poetica e il gusto di De Sanctis per YAssomoir di Zola,
maturato laggi nel nostro Mezzogiorno, dove vive una forma grezza e barbarica di senso
delle classi popolari, ma a cui manca la coscienza riflessa democratica.

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546 LUIGI RUSSO

che larga vena di estetismo e di parzialit per la turris eburnea.


che abbiamo sentito contro i letterati-turres eburneae, era una to
e spicciolo antipetrarchismo. Difficilmente un poeta si trovato
gusto, che durato un cos lungo evo, quasi si trattasse di una r
il Petrarca.1

Il primo antipetrarchista dei tempi moderni stato un acceso petrarchista,


Vittorio Alfieri, nell'anatema pronunciato contro i letterati che si comprano i loro
ozi adulando i principi. Scrive il Petrarca nei Rerum memorandarum :
Se c' qualcuno che sembra abbia applicato l'animo ad studia honestarum artium, tut
tavia cotesto costui dal primo giorno che mette piede nelle scuole, de pecuniaria mercede iatn
cogitat. Hos ego non tarn studiosos quam mercenarios voco ; e io non vedo nessuna differenza
tra i marinai e gli aratori che solcano la terra, nisi quod illi manus et corpora, hii linguas et
ingenium venules habent ; eo fediores, quo pulcriore parte hominis serviunt. Magnifico esempio
quello del nostro re Roberto di Napoli che, educatus in amplissima fortuna, pur di notte e di
giorno, ambulans sedensque, libros prope se voluit (I, 37, 1).

Quel Roberto d'Angi, morso da Dante e dal poeta lucchese Pietro de' Faitinelli,
come re da sermone e da altri suoi contemporanei, come un re che perdeva tempo
a comporre prediche ed epistole, viene esaltato dal Petrarca appunto perch uomo
libresco . Dante, per bocca di Carlo Martello, riprova il costume troppo lette
rario di re Roberto, che lascia le cure del governo ali 'avara povert dei suoi offi
ziali di Catalogna, e fa tutta un' invettiva contro la societ che torce a la religione
tal che fia nato a cignersi la spada, e fa re di tal eh' da sermone: onde la traccia
nostra fuor di strada; e Petrarca a venti o trenta anni di distanza, esalta invece
proprio quello stesso re Roberto, il quale non fa punti discorsi che non siano di
scorsi di cose altissime: omnium eius de rebus altissimis sermo erat. In questa di
versione del gusto dall'Alighieri al Petrarca, segnata tutta una rivoluzione lette
raria e civile, che noi possiamo aver dimenticato perch l'abbiamo assorbita nel
sangue, ma a cui nell' indagine storica giusto dar rilievo e isolare nei suoi elementi,
se si vuole intendere Parte e la poesia del Petrarca e quella di tutti i suoi succes
sori fino all'Alfieri e allo stesso Carducci.
I luoghi delle opere del Petrarca, dove continuamente vantato questo ar
stocratico disinteresse dalle vili cure quotidiane, sono cos numerosi, che im
razzante la scelta.2 Ricorder PInvertiva in mcdicum, dove e' un deprezzamen
direi perfino animoso di tutte le arti utili e vili, e si rivendica la dignit dell'
tile poesia. L'ideale del Rinascimento gi segnato in queste pagine : aforism
e consigli di cui il Petrarca si fa precettore a se stesso; donde il suo appartar
sdegnoso dal volgo, donde il disprezzo che egli ha per l'uomo cittadino, che t
scina la sua esistenza tra le occupazioni, le fastidiose cure quotidiano, e i travia

1 Nel momento in cui scriviamo, la difesa dei puri clerici che stanno sopra la mis
passata a quelli che sogliono dirsi, chi sa perch, liberali, sicch ormai a noi vecchi,
dicati crociani, i tempi appaiono proprio maturi per scrivere un capitoletto di etica militan
da intitolarsi: Bai crocianesimo all' arcadia.
2 Si vedano le varie citazioni dei luoghi delle opere petrarchesche, in cui ricorre la po
lemica contro la citt eil volgo mercenario, in Bosco, op. cit., p. 119, e soprattutto si rilegga
il sonetto De Vempia Babilonia, ond' fuggita.

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LA POETICA DEL PETRARCA 547

piaceri. Il vero ideale di vita quello della solitudine dei campi. L'uomo solitario
della campagna, risvegliandosi all'alba,
se ne va alacre alla vicina selva, pieno di pace e di silenzio e dove prima si ferma, tro
vato un sedile di fiori, ovvero un colle aperto, incomincia a godere dello splendore del sole,
e lieto canta con voce gaia le quotidiane lodi al Signore, tanto pi dolcemente se ai devoti
sospiri per avventura tengon bordone il mormorio lene di una cascatella e i dolci lamenti
degli augelli.

un passo della Vita solitaria, che un trattatello in due libri, dedicato a Fi


lippo di Cabassole, vescovo di Oavaillon, e che fu scritto nel 1346. Cos nel sonetto
De l'empia Babilonia, dopo aver deprecato la vita nella corte avignonese, albergo
di dolor, madre di errori , il poeta improvvisamente si addolcisce nel cantare il
suo ideale di solitudine georgica e letteraria.
Qui mi sto solo ; e, come Amor m'invita,
Or rime e versi or colgo erbette e fiori,
Seco parlando, et a tempi migliori
Sempre pensando: e questo sol m'aita.

Un uomo moderno reagirebbe a questo ideale, reputandolo una forma di egoismo


e di ozio; ma tutte le parole del Petrarca non bisogna mai interpretarle in senso
psicologico, ma in senso storico, perch non per nulla sono sollevate sul piano
della poesia.
Il desiderio della solitudine georgica del Petrarca , a suo modo, la continua
zione dell'ideale del raccoglimento cristiano; una forma di ascesi. Ascesi verso
Dio, negli uomini religiosi; ascesi per le umane lettere, nel Petrarca. Continua
l'abito cristiano, con i pensieri rivolti all'eterno, che non pi per un eterno
teologico, ma un eterno letterario. Il Petrarca continua ad essere
l'uomo di due et, medievale e moderna, asceta come un uomo del chiostro, ma
che non legge soltanto libri che parlano del paradiso, ma viene tracciando il re
cinto di un nuovo parco di beatitudini, attraverso le lettere umane. Il Petrarca
andando a visitare il fratello Gherardo, nel monastero di Montrieux, se ne torn
da quella visita con l'animo pieno di rapimento e di entusiasmo:
Io venni in paradiso; vidi in terra gli angeli di Dio che ora abitano in corpi terreni, ma
un giorno, terminato il travaglio del presente esiglio, abiteranno il cielo e andranno pres
quel Cristo, nel cui nome militano oggi. Quel breve tempo mi pass rapido senza che me
accorgessi, mentre contemplavo il vostro santo eremo e il tempio, e ammiravo il silenzio re
ligioso e gli angelici canti, e mentre vi abbracciavo in ispirito, ora tutti insieme, ora ad uno
ad uno, e dimentico dlie auree terrene, mi acquietavo nella gratissima conversazione di v
e del mio ottimo fratello, e per manc al mio animo la possibilit di coordinare le parole che
avrei voluto dirvi. (De ocio religiosorurn) J

E ora il Petrarca sente il bisogno di tradurre l'esperienza di quel silenzio


eremitico, in un libro, e scrive il De ocio religiosorum, nel 1347, e lo manda i
omaggio ai certosini di Montrieux.
Egli si sente uno spirito fratello di quei certosini ed sincerissimo in questa

1 Nella traduz. di Luigi Volpicelli, Roma, 1928.

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548 LUIGI RUSSO

profferta fraternit, ma non si accorge che egli ha mutato


contenuto del suo ideale. Egli ci d la teoresi letteraria e po
tudine eremitica, e mondanizza a suo modo quella solitudine, ribattezzandola
nelle umane lettere. Egli continua a essere coerente: l'uomo medievale d la sua
mano all'umanista, e l'umanista l'accoglie, e porta il cenobita nel mondo, in mezzo
agli uomini che si giovano della favella ornata e sognano la gloria presso i posteri.
Il paradiso ancora una volta calato sulla terra, e in questo consiste una delle
note pi profonde della modernit del Petrarca.

3. Il mito della solitltdine e l'amore dell'antico.

Si pu ora concludere che, se il desiderio della solitudine d


modo la continuazione del raccoglimento cristiano e una form
delle umane lettere allontanato nella trascendenza del temp
cordano a mente la canzone Spirto gentil, probabilmente indirizzat
ad ogni modo ad un signore accorto e saggio che giunto all'
la quale Roma e suoi erranti corregge: in quella canzone il
mondo classico vivissimo; il nuovo governatore di Roma c
la citt al suo antico viaggio; a lui commesso il nostro capo
date le antiche mura ch'ancor teme ed ama e trema il mondo, sono ricordati i sassi
in cui sono racchiuse le membra di tai che non saranno senza fama se l'universo
pria non si dissolve. E infine sono invocati i grandi Scipioni e il fedel Bruto, con
siderati come contemporanei, i quali avranno letizia se giunta laggi negli In
feri il rumore del ben locato uffzio: Come ere' che Fabrizio Si faccia lieto, udendo
la novella! E dice: 'Roma mia sar ancor bella'.
Questo senso di Roma e dell'antico stato interpretato col consueto rila
sato gusto retorico come senso dell' impero e della, romanit che si perpetu
mondo; invero si tratta di qualche cosa di pi complesso che non ci vedano
sueti arcadi della romanit. Se Dante proiettava la sua storia nell'oltreto
e saliva di stella in stella dietro Beatrice dopo il suo salutar lavacro, il Petra
si volge indietro a guardare nel paradiso del passato, rimanendo bens fedel
una forma di trascendenza, ma che ormai una trascendenza di carattere ter
Per egli si rivolge a Roma antica, agli Scipioni, ai Bruto, ai Fabrizio. Anch
senso polemico che il Petrarca ebbe della barbarie di lass, gente ritrosa, no
precoce sentimento della nazionalit italiana e nemmeno retorica imperiale
romanit, che semmai germogliata molto pi feconda nella seconda met
l' Ottocento e nei primi quarant'anni di questo nostro secolo felice. Rom
tica il nuovo paradiso cristiano dell'umanista Petrarca e tutt'al pi la c
gitrice del mondo errante, quella che pu favorire la pace e il raccoglimento
bitico de) nuovo sacerdote delle muse. Questo il significato del famoso sal
a Roma e all' Italia scritto in esametri nel maggio del 1353, quando lo scritt
contempl l'Italia dal confine alpino del Monginevra :
Salve, cliara Deo tellus sanctissima, salve, tellus Ulta bonis [si badi a quel tuta bonis], t
metuenda superbis. O pi nobile, o pi fertile, o pi bella, di tutte le regioni; cinta dal g

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LA POETICA DEL PETKAKCA 51-9

mare, altra di monti famosi ; ad un tempo veneranda per armi e leggi sacre ; dimora delle Muse,
ricca d'oro e di uomini illustri (Pyeridumque domus, auroque opulenta virisque), ai tuoi splendidi
favori si inchinarono insieme arte e natura e ti fecero maestra al mondo (cuiun ad eximios
ars et natura favores Incubuere simul, mundoque dedere magistrata).

Quest' idea religiosa di Roma antica valga a liberare il Petrarca dall' invalso
e troppo diffuso andazzo che ce lo ha spesso presentato come un profeta della na
zione italiana; se in altri tempi abbiamo fatto giustizia della presunta profezia
della nazione nelle pagine d'un Machiavelli, poich il concetto di nazione nasce
e si sviluppa con e dopo Vittorio Alfieri, tempo anche di alleggerire il Petrarca
da questo scolastico luogo comune che continua a informare le trattazioni di filo
sofi del diritto, gli ultimi sempre a prender coscienza delle rinnovate interpreta
zioni storiche. Del resto se cos non si facesse, si sarebbe assai imbarazzati a giu
stificare lo scrittore, che, passando da una regione all'altra, da una citt all'altra
d'Italia, tributa lodi ora ad un comune guelfo, ora ad un principe ghibellino, e
a signori avversi e contrastanti fra di loro. Dovremmo concludere che il Petrarca
sia poeta versipelle e cortigiano; ma per lui guelfi o ghibellini hanno perduto quel
l'asprezza di distinzione che c'era ancora nel politico Dante, e sono soltanto po
sitivo simbolo del nuovo istituto della signoria, a cui solo un grave difetto da
imputare, da parte del solitario poeta, il deficiente senso della universalit del
nuovo paradiso cristiano trasferito nella grandezza antica di Roma e il sover
chiante gusto delle eterne risse.
Tutte le sue lettere insistono qua e l su questo perpetuo colloquio che egli
conduce col mondo antico; se Dante trasporta nell'inferno, nel purgatorio e nel
paradiso della concezione tomistica tutte le sue passioni e le sue esperienze e cono
scenze di uomini, il Petrarca come affascinato e reso attonito da questo senso
dell'antico, da questo paradiso dei trapassati pagani o dei primi cristiani. Egli
non ha contemporanei gli uomini del suo tempo, egli ha contemporanei i Virgilio,
iCicerone, i Seneca, gli Agostino. Scrive nella leti. 3a, del lib. XV delle Familiari,
parlando sempre della sua Valle Chiusa:
Qui, in questa angusta valletta raduno intorno a me, da ogni luogo e da ogni tempo,
tutti i miei amici presenti e passati (n soltanto quelli che conobbi familiarmente, ma anche
gli altri morti parecchi secoli prima di me e conosciuti solo in grazia degli studi letterari), dei
quali ammiro gli atti e 1' indole e i costumi e la vita oppure l'eloquenza e 1' intelligenza. (In
terza equidem hic michi Romani, Me Athenas, hic patriam ipsam mente constituo: hic
omiies quos iabeo amicos vel quos habui, nec tantum familiari convictu probatos et qui mecum
vixerunt, sed qui multis ante me saeculis obierunt, solo michi cognitos beneficio literarum, quorum
sire res gestas atque animum sire mores vitamque sive linguam et ingenium miror). Assai piti
desideroso di conversare con questi trapassati che non con gli uomini, i quali si illudono di
vivere soltanto perch, respirando nell'aria fredda, si accorgono che ii loro alito lascia di s
un non so che rancido vestigio: (ex omnibus locis atque omni evo in liane exiguam vallem saepe
contralto cupidiusque cum Ulis versor quam cum Iiis qui sibi vivere videntur, quotiens rancidum
nescio quid spirantes, gelido in aere sui halitus videre vestigium). Cos vado errando libero e
tranquillo e con tali compagni son solo ogni volta che posso essere con me stesso. (Sic Uber
oc securus vagor, et talibus comitibu-s solus sum; .... quotiens possum mecum sum).

Si trasfigura cos il desiderio della solitudine, che non quello di un epicureo


egoista, ma sempre una forma di raccoglimento religioso. 11 Petrarca potrebbe
36.

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550 LUIGI RUSSO

rassomigliare a qualsiasi esteta moderno, se egli si facesse schia


edonistico della solitudine; la solitudine il suo cilizio e il suo r
del passato, la sua ascesi, la sua preghiera quotidiana. Il suo ozio
sissimo; egli depreca un ozio senza lettere, che eguale alla mor
la tomba opaca di un vivo. La solitudine necessaria, perch essa
sibilit di attendere a grandi cose, lontani dal mondo, con la vi
e sopratutto con la vicinanza di molti libri. Egli vaca per poter
i suoi religiosi dell'operetta De ocio religiosorum vacano per pot
(Bosco). Per egli non esita a paragonare la sua vita a quella d
sini, che egli ha conosciuto in una visita al fratello. I ritiri di V
piana, di Arqu sono il cenobio mondano, che si costruito que
del sentimento cristiano filtrato attraverso l'esperienza di seco
posteri come amore delle lettere in Cristo.
Il Petrarca non un quietista in questo suo riposo e gusto de
zione religiosa; egli avverte che in lui pur penetrato qualcosa
agli eremiti medievali. Questo pu essere il suo peccato e se lo f
da Sant'Agostino:
Per molte vie si pu giungere alla medesima meta: e tu credi a me, anc
la via battuta comunemente, tuttavia tendi per sentiero traverso a que
che dici di disprezzare (Secret-urn, II, 7). 1

Ma questo peccato di ambizione giudicato tale dal punto di v


moralismo confessionale, precisamente la nota di modernit d
instaura il gusto nuovo della vita umanisticamente operosa. Si d
sia il fondatore di una nuova religione, una religione che ha tu
l'antica e tutto il rigore disciplinare del vecchio eremitismo, ma
guarda gi alla terra e al futuro. La chiesa cattolica dovrebbe esser
grata a questo poeta che, umanizzando l'esperienza religiosa med
sferita a tutta la civilt moderna, senza unzione di sacrestia e s
calittiche e catechistiche ingiunzioni; ma non se n' accorta,
samare in un cattolicesimo statico e convenzionale lo spirito irr
del Trecento. Egli scrive in una delle sue Variae (54):
Per scrivere bene, occorrono molte cose: ingegno educazione cultura
ardore d' ispirazione. E inoltre buona salute, mediocrit di fortuna (no
meno povert), tranquillit di vita, una buona mente piena di nobili pensie
e libert e simili.

singolare poi che il Petrarca trovi le leggi di questa nuova religione sempre
nell'antico. Se egli ama la solitudine, egli ci ricorda nel Secretum (II, 14) che ha
imparato da Orazio che tutti i poeti amano le selve e fuggono le citt, ma come
tutti i fondatori di una nuova religione non si accorge che l'epicureismo oraziano

i Riproduco, liberamente rimaneggiando, il testo della traduzione di Francesco Or


landini, sane e, accolta dal Solerti, n 1 volumetto L'autobiografia, Il segreto e Dell' ignoranza
sua ed altrui, ecc., Firenze, Sansoni, 1904, p. 89.

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LA POETICA DEL PETRARCA 551

in lui si trasformato in una forma di misticismo terreno, o, se piace meglio, di


umanesimo mistico. Comincia quel geniale inganno degli umanisti, che scoprono
la loro modernit negli antichi, e si servono ingenuamente dei testi antichi ma
trascrivendo in essi la nuova lezione delle cose. Il Petrarca sente il bisogno di al
legare l'autorit di Cicerone e di Seneca e di citare l'autorit di innumerevoli e
grandi uomini, eremiti, filosofi, poeti, perfino uomini d'azione. Si potrebbe dire
che il Petrarca non sente nessun sentimento e non pensa nessun pensiero che non
possa a suo parere essere stato sentito e pensato dagli antichi:
Ogni volta che nel leggere ti si offrono sentenze salutari dalle quali ti senti eccitare o
frenare l'animo.... riponile nei penetrali della memoria e rendile a te familiari.... poni accanto
alle utili sentenze.... delle note ben rilevate con le quali le possa trattenere quasi come uncini
nella memoria (Secretum, II, 14-15).

In una lettera senile scrive:

Se alla nostra ragione ed esperienza si aggiunge inopinatamente l'autorit di un


che grande uomo, ci che era in noi semplice opinione, diventa certezza, e quella che prim
serpeggiava intorno ai nostri precordi prende istanza nell' intimo (IV, 1).

A non sentire questa animazione religiosa del Petrarca, che la ragi


stessa del suo poetare, bisognerebbe concludere che egli un uomo libresco
senso difettivo del termine, un accademico, un erudito, un uomo costruito, m
tutte queste cose, osservate sotto un punto di vista mistico e religioso, appa
le note di na umanit nuova che ha insegnato almeno per sei secoli al mond
Qualsiasi suo sentimento egli deve trovarlo riconfermato nelle sentenze deg
tichi. Anche la stessa religione di Cristo pi bella, se le parole di Cristo pos
essere tradotte nelle parole di un classico; anche i suoi stessi difetti o mancam
fisiologici, come la canizie e altro, sono nobilitati dal ricordo di difetti ana
di romani o greci personaggi. Egli disdegna la cavalleria, solo perch gli ant
furono completamente ignari di essa; n Scipione n Cesare hanno mai part
pato a tornei, a giostre, a gualdane:

Non troverai scritto mai che in simili giochi Scipione e Cesare si baloccassero (Se
XI, 13).

Cos scrive al marchese Ugo d' Este, che rischiava la vita nei giochi caval
lereschi. Ecco un altro tratto che distingue il Petrarca da Dante. Dante sente an
cora il pregio della borsa e della spada. Dante pu lamentare che nel paese che
Adige e Po riga non si trovi pi valore e cortesia come una volta; per Petrarca
invece c' piena indifferenza, se non addirittura ostilit, verso gli eroismi caval
lereschi. Nel Trionfo della Fama egli non consacra a Carlo Magno e ai paladini,
ai dodici robusti, che un solo verso, in cui appena li nomina: Lancilotto, Tristano
e gli altri erranti; Dante si intenerisce e si commuove quando sente fare la ras
segna di Paris e di Tristano :
Poscia che io ebbi il mio dottor udito
Nomar le donne antiche e i cavalieri
Piet mi giunse, e fui quasi smarrito.

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552 LUIGI RUSSO

Ma il Petrarca, che dedica ben tre capitoli del Trionfo d'Amore a


i'antichit classica e assiro-ebraica, ne dedica appena uno agli er
della civilt romanza e dedica solo due terzine ai cavalieri ver
Ecco quei che le earte empion di sogni,
Laneilotto, Tristano, e gli altri erranti,
ove conven ehe '1 vulgo errante agogni.
Vedi Ginevra, Isolda, e l'altre amanti,
e la coppia d'Arimino, che 'nseme
vanno facendo dolorosi pianti.

Laneilotto, Tristano e gli altri erranti sono ricordati come quelli che le carte
empion di sogni; la cavalleria una fabula mentis, gli amori cavallereschi sono
insani amores, i duelli cavallereschi sono miranda vulgo praedia (Metrical, 5, 72-77).
Il mito della cavalleria torner fervido nei poeti del Quattro e del Cinquecento,
ma non pi come mito di vita, ma come mito di contemplazione poetica. In un
primo tempo necessario disfarsi dell'imperante costume cavalleresco; uno
degli effetti dell'amore dell'antico, perch la retroversione dello sguardo fanta
stico al mondo antico deve portare necessariamente al distacco dalla civilt im
mediatamente contemporanea. Ci sono perfino alcuni motivi leggermente comici,
jn questa ossessione degli exempla dell'antichit. stata fatta minuziosamente
la rassegna di tutti i luoghi in cui il Petrarca si dichiara un supposito, un contem
poraneo adulterino, per adoperare una frase violenta, dei personaggi dell'antichit.
Ad Agostino, che gli ricorda i suoi capelli bianchi, egli risponde che Domiziano
e Numa Pompilio e Virgilio incanutirono ancora giovani, tanto che Agostino non
pu trattenersi dal dirgli: Se t'avessi rinfacciato la calvizie, scommetto che avresti
tirato in ballo Giulio Cesare . Il Petrarca fa dell' ironia compiaciuta su se stesso
a tale insinuazione del suo maestro, e questo segno della sua fede sicura; quando
noi siamo profondati in una fede nuova, c' importa poco dei sorrisini del volgo
e delle rampogne dei venerati maestri. Egli risponde, tomo tomo, ad Agostino che
certamente se egli fosse stato calvo avrebbe citato Giulio Cesare:
Non altri senza dubbio; quale ne avrei potuto recare pi illustre? Se non sbaglio un
grande conforto essere fiancheggiati da cos chiari compagni, e perci ti confesso che non mi
dispiace di usare di tali esempi come di una cotidiana suppellettile.... Se pertanto mi avessi
rimproverato l'essere pauroso al fragore della folgore.... avrei risposto che Cesare Augusto
soffriva dello stesso male. Se m'avessi detto, e se io fossi, cieco, mi difenderei con l'esempio
di Appio Cieco e di Omero; se guercio con quello di Annibale; se sordo, con l'altro di Marco
Crasso; se insofferente del caldo, di Alessandro il Macedone (Secreto, III, 13-14).

Non ridiamo pi dinanzi a tale proterva esemplificazione dall'antico, che non


altro che un'evasione dal mondo medievale contemporaneo e l'invocazione di
un mondo nuovo futuro. Tutti i rinnovatori per romperla col passato debbono
saper affrontare questa epopea un po' comica del nuovo per il nuovo; il Petrarca
crede di tornare ai Romani, ma in verit tutto preso dall'evo futuro. Anche Ma
chiavelli nel '500 si richiamer in ogni passo ai Romani e sar motteggiato dal
suo pi savio amico F. Guicciardini per questa sua ossessione, e intanto egli teo
rizza quella che la politica del principe nuovo e scrive per i secoli avvenire.

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LA POETICA DEL PETRARCA 553

4. Il senso dell'antico come senso Della postemi^.

I] Petrarca non fa alcuna distinzione tra la Roma cristiana


gani; Cicerone o Agostino sono per lui i santi padri della n
stica da lui fondata. Si detto che la stessa parola di ('risto
lucente se essa pu collimare con la parola di un testo classico.
noi diciamo che con Petrarca siamo fuori dal cattolicesimo medievale, siamo lon
tani dal cattolicesimo tomistico di Dante. In lui il cattolicesimo continua come
forma mentis, non come contenuto; continua per il gusto dell'ascesi, del
glimento cenobitico e per il senso della trascendenza, ma si tratta di una
denza che ormai ha cambiato termine e direzione, che si ormai mondariizzata,
che non si volge pi ai cieli di Beatrice, ma ai cieli della storia passata e della storia
dell'avvenire. Cos noi ci spieghiamo come in Petrarca sia stato fortissimo, oltre
il gusto dell'antichit, anche il gusto della posterit; in Dante c' soltanto qualche
cenno della sua preoccupazione per il giudizio dei posteri, di coloro che questo
tempo suo chiameranno antico ; il Petrarca invece proteso tutto verso Roma an
tica e appunto per questo proteso tutto verso la posterit. Una posterit che
durata almeno sei secoli; l'ultimo petrarchista ingenuo stato il Carducci, ma
anche poeti minori decadenti, dal D'Annunzio alla turba dei suoi rivoltosi e de
viati scolari, ci hanno tenuto a questa discendenza petrarchesca, a questo blasone
di tradizione letteraria di sei secoli. Il Petrarca fu un buon Battista della sua re
ligione, ed stato anche un non menzognero profeta.
Cos ci spieghiamo come egli abbia potuto scrivere una Lettera ai posteri ; un
documento questo che, se esaminato sul piano psicologico, potrebbe apparire una
manifestazione di vanit letteraria, ma che, esaminato sul piano storico, rivela
la grande coscienza che il Petrarca ebbe della renovatio tern-porum, della revivi
scenza d'una civilt trascritta nell'antico.

Come che molto sia da dubitare che un uomo oscuro e meschino a grande distan
luoghi e di tempi possa pervenire, darsi potrebbe il caso che a voi di me giungesse q
sentore, e che vi prendesse alcuna vaghezza di conoscere qual uomo io mi fossi, qua!
si avessero le opere mie, specialmente quelle di cui le memorie e il povero nome avesse in
a voi tramandato la fama. (Fuerit tibi jorsan de me alquid auditum quamquam et hoc dub
sit, an exiyuutn et obscurum longe nomen seu locorum seu temporum perventurum sit
illud jorsitan optabis, nosse quid hominis juerim aut quis operum exitus meorum, eorum m
quorum ad te fama pervenerit, tei quorum tenue nomen audieris).

Se noi ci limitiamo a leggere con malizia psicologica questo esordio, dovre


parlare di artificio letterario, volto a simulare una modestia che nel Petrarca
c'era; ma in vero la trepidazione del Petrarca sincera, perch non riguarda
la falsa povert del suo nome e della sua opera, ma procede dalla novit
del suo ritrovato: questo rivolgersi ai posteri potrebbe essere una fatica
normale in Giambattista Vico, in Alfieri e in altri moderni. Ma la posterit
categoria storica un concetto nuovo in lui, come era un concetto nuovo q

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554 LUIGI RUSSO

dell'antichit; per la trepidazione del Petrarca non un'artifizio


lo stato d'animo che si accompagna a tutte le imprese originali
La Lettera ai 'posteri fu scritta dopo il 1370, quattro anni o ancora
della morte, e abbraccia le vicende biografiche del poeta fino al
miamo la data dal fatto che in essa ricordata la traslazione dell
da Roma a Avignone tentata o fantasticata da Urbano V, e vi si p
di quel pontefice, avvenuta nel 1370 e se ne parla come di cosa a
ante annos. probabile dunque che sia stata scritta alla vigilia del
la lettera rimase interrotta e si ferma cronologicamente al 1351
estravagante, che non ha trovato posto n nelle Epistolae familiar
nelle Seniles, e noi sappiamo come il Petrarca fosse un assai ordi
dell'opera sua. Da ci il vario posto assegnato a questa lettera dag
diverse edizioni petrarchesche. Ci sono stati parecchi che l'hanno
non manca perfino una volgarizzazione integrata con altri passi d
del poeta, a cura di un professore Antonio Marsand, a Padov
grafia del Seminario); ci che rileva la preoccupazione estrinse
documentaria dell'editore, mentre a noi interessa il testo genuin
di questa Epistola ad posteros, che si apre con un Franciscus Pet
sahitem, ci che un preciso invito a leggerla nelle parti, esclus
pevole storicit interessanti il suo redattore.2
Noi non la esamineremo dal punto di vista psicologico o biog
stato fatto gi dagli altri; l'epistola ci interessa dal punto d
Intanto cominceremo col dire che questo abbozzo di biografia
Petrarca si ricollega al suo Agostino, nell'apparente forma esteri
sione, ma se ne distacca radicalmente nel tono e nel fine ultimo
di assorbire la civitas hominis nella civitas Dei, e, poich tale ass
gli riesce fatto, permane in tutte le Confessioni la concezione
realt: la civitas hominis accanto alla civitas Domini. In Petr
Domini quasi inesistente; a lui interessa soltanto la civitas h
degli uomini del futuro a cui indirizzato lo scritto. Perman
dualismo antico, ma un dualismo che si parte da questa terr
si ncora sempre pi alla citt dell'uomo. Forse in questa deb
religioso-drammatica del dualismo da ritrovarsi la ragione del
della non troppo serrata coerenza fra le note autobiografiche
cune necessarie, altre un po' troppo svagate e compiaciute.
Noi avremo altre autobiografie caratteristiche solo nel '500,

1 Noi seguiamo l'opinione volgata, non perch non si sia sensibili al


gionate da due dotti petrarchisti, come il Foresti e il Calcaterra, ma p
volle essere uno scrittore senza cronologia (non direi senza stori
Bosco, nella Premessa del suo cit. volume). Per in questa patina di
trarca ha tentato di spalmare su tutta l'opera sua, tutte le congetture
vincenti, ma esse poggiano su una materia fluida ed eternamente contraver
2 Noi seguiamo il testo del Carrara, L'epistola Posteritati e la leggend
Torino, 1926, e dove lecito ci serviamo della traduzione del Frarassett
ti, Le vite d Dante, Petrarca e Boccaccio scritte fino al sec. XVI, Milano, 19

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LA POETICA DEL PETRARCA 555

Cellini, dove completamente dissipata ogni ombra del cielo e dove predomina
il gusto mondano ed estetico dell'opera propria, che fa sentire il tono smargiasso
d'una troppo recente vittoria. Si va fino al '700 e si trover la Vita di Giambat
tista Vico scrtta eia s medesimo (1725-1728), in cui ancora una volta il tono
cambia: non sono confidenze d'un autore, e tanto meno vantazioni alla Cellini,
ma si tratta d'una storia della mente, obbiettivata in un giudizio da storico. Col
Vico s'inizia un nuovo tipo di autobiografia, in cui si tenta l'analisi critica del
proprio pensiero e delle proprie inclinazioni, poich si inaugura pi decisamente
una concezione antropocentrica della storia. Dopo di lui, per sensibilit nativa,
anche l'Alfieri si immette sulla nuova traccia : la Vita un'epopea critico-narrativa
dell' io alfieriano. Viene di seguito il Foscolo con quel saggio inglese su se stesso
e gli altri scritti di Didimo Chierico, in altra occasione da noi commentati (cfr.
Belfagor, 1 (1946], p. 453). Per Leopardi, tutto lo Zibaldone e tutte le sue operette
(come il Dialogo di Eleandro e d Ti ma udr) sono una recensione perpetua di tutta
l'opera propria. Oggi, tra gli uomini di scienza, caduta la ridicola e ipocrita di
stinzione tra critica obbiettiva e critica subbiettiva, in onore il Selbstanzeige ,
e la Giovinezza del De Sanctis e il Contributo alla critica di me stesso del Croce
sono opere che nascono su questa nuova tradizione.
Ma nel Petrarca c' la storia dell' individuo, nella sua umanit terrestre, senza
quel complesso senso dei rapporti storici, che sono una conquista pi tardiva;
donde quel tanto di vano e di caduco che non si pu non rilevare nelle pagine pe
trarchesche. Anche la Vita dell'Alfieri una storia dell' Individuo, ma dell' In
dividuo con 1' I maiuscolo, del superuomo, in cui sentire, vicende ed opere dello
scrittore sono offerte per una specie di jmitatio Alferii, una ideale immagine di s
in cui l'autore si esalta e scrive la ventesima, dopo le sue diciannove tragedie.
Mentre nel Petrarca c' sempre la coscienza tribolata della favola della sua vita,
onde sovente di me medesimo meco mi vergogno, ed la vita considerata
come un perpetuo vaneggiare, come un peni rsi e conoscer chiaramente che quanto
piace al mondo breve sogno . Si sente ancora l'individuo penitente, che non osa
ancora riconoscere con sicurezza che stato o sta per essere assunto nel cielo
della Storia, come l'Individuo alfieriano.
Dalla Lettera ai posteri ci attira un periodetto in sul principio:

Mortale omiciattolo io fui, siccome voi siete; di stirpe grande no, ma non vile. (Vestro
de grege unus fui autem mortalis homuncio, nec magnae admodum, nec vilis originis). Della
famiglia mia dir come Cesare Augusto diceva della sua, ch'ella fu antica. (Familia, ut de se
ait Augustus Caesar, antiqua).

Quell'inciso: ut de se ait Augustus Caesar, tutto intriso del gusto del pa


ragone dell'antico. Se mancasse un esempio classico egli non sentirebbe il bisogno
di ricordare l'antichit della sua famiglia. Non si tratta di gusto nobiliare, che
pure uno spirito severo come Dante pu vantare lass nel Paradiso davanti a
Cacciaguida (0 poca nostra nobilt di sangue, Se gloriar di te la gente fai...
Dico nel cielo io me ne gloriai ), ma soltanto gusto ancora una volta dell'antico.
Si osserva ancora nel Petrarca un grande affetto pel suo corpo, che non voi

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556 LUIGI RUSSO

gare preoccupazione del vanesio, ma di uomo nuovo che ha esalta


Laura e posa lo sguardo anche sull'abitacolo della sua anima. un'
mondanizzarsi dello scrittore, una nota che non potremo mai tro
il quale chiede scusa al lettore per avere registrato una volta il suo
colloquio con Beatrice nel paradiso terrestre (che di necessit qu
Il Petrarca non solo parla sempre in prima persona, anche in lirich
carattere narrativo, ma addirittura ci d un suo autoritratto fis
Fili della persona in giovent non troppo robusto, ma destro ed agile
ma tale che sul fior degli anni potevo piacere. (Forma non glorior excelienti,
viridioribus annis posset). Di bel color tra il bianco e il bruno, d'occhi vi
si serb per lungo tempo acutissima, ma dopo l'anno sessantesimo venut
strinse a malincuore a ricorrere agli occhiali. (Colore livido, inter candidimi
vacibus oculis et visu per longum tempus acerrimo, qui praeter spem supra sex
annum me destituii, ut indignanti mihi ad octdarium conjwgiendum esset au

Un lettore superficiale e distratto, e scarsamente imbevuto di


qui correrebbe a parlare di narcisismo, cos come lo stesso Carducc
pazienza di lettore e storico, se la prese con Alfieri e Foscolo per
dato due sonetti autoritratti. Il Carducci riprov il sonetto fosco
scimmiottatura di quello dell'Alfieri e biasim i due poeti insieme
cos in pascolo agli sciocchi hanno lusingato la inclinazione del volg
Ma il Carducci ebbe torto; bisogna rendersi conto storicamente d
dell'autoritratto, sul finire del Settecento e ai primi dell'Ottocent
vuto a ragioni meramente psicologiche, ma a tutta una nuova me
dividuo, a una psicologia del Superuomo che affior nell'Europ
tecento e perdur ancora nei primi anni'dell' '800. Anche il Manz
volle alfereggiare e scrisse il suo autoritratto; ma ne diede il pi i
Gi questo gusto del titanismo andavasi affievolendo, e in ogn
estraneo all'anima naturaliter cristiana del Manzoni. Senza il sonet
dell'Alfieri non si giustificherebbe nemmeno la Vita, e senza que
rimarrebbero oscuri tanti lati alfieriani della sua anima giovanile.
del Petrarca naturalmente non si pu parlare di titanismo da sup
pu parlare del mondanismo dell'uomo nuovo, che si guarda allo
altro per crucciarsi di tutti i suoi mancamenti. Dante trasfigura
Beatrice :
Sovra candido vel cinta d'uliva
Donna m'apparve, sotto verde manto
Vestita di color di fiamma viva.
(Purg., XXX, 31-33).

In Dante, il cinta d'uliva, il verde manto, il color di fiamma viva che atti
rano e offuscano lo sguardo del poeta, perch in quella confusione e vaghezza di
colori si perda il fulgore della donna celeste. In Petrarca, nella rievocazione di Laura
in Chiare, fresche e dolci acque, c' il ricordo delle belle membra, del bel fianco ( Gentil
ramo ove piacque, Con sospir mi rimembra, A lei fare al bel fianco colonna),
degli occhi asciugati col bel velo; c' il ricordo della gonna leggiadra, e dell'angelico

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LA POETICA DEL PETRARCA 557

seno (comunque s'interpreti Vangelico seno), e quando si parla di una p


fiori, e dell'amoroso nembo, non manca di essere ricordato il grembo: u
di fior sovra 'l suo grembo. E non mancano le trecce bionde, e il volto e
e 'l dolce riso, sicch per quanto il Petrarca sia esaltato come il poeta che ha
di un velo candidissimo l'amore nudo in Grecia e nudo in Roma, pure qu
una donna non pi celeste ma terrena. La stessa terrenit di note, il p
saper osservare anche nel ritratto di s: quando si dice umanesimo, si
humanae litterae, nel senso accademico e scolastico, ma evidente che
letterario profondo anche un gusto trasfigurativo per tutto il resto, e
delle lettere l'umanit di tutta la persona.
Un'altra osservazione : il Petrarca ha sentito il bisogno di parlarci
dieta e del suo gusto del convitare: da una parte in lui c' la temperanza
religioso, che con cibi conditi di liquor d'ulivi passava e caldi e geli; ma
non pi Pier Damiano, contento nei suoi pensier contemplativi, che
il bisogno del commercio e della conversazione col mondo anche nell'ora

Quelli che han nome di sontuosi conviti e dir si dovrebbero crapule avverse e n
a temperanza e a costumatezza, io ebbi sempre in odio, e parvemi penoso e a un tem
e il farne altrui, e l'accettarne invito. (Convivere autem cum, amicis adeo iucundum
supereventu nil gratius habuerim, nec unquam volens, sine socio cibum sumpserim

Nelle due note accostate insieme, parsimonia e temperanza nei pasti


nella conversazione conviviale, non basta vedere un costume privato, u
zione di Francesco Petrarca figlio di ser Petraecolo, ma c' un galateo,
dell'et nuova. G ' al solito osservata la discrezione religiosa dell'uomo d
medievale, e al tempo stesso il gusto dell' intrattenimento conviviale,
letterariamente avr un riflesso nelle opere dell' Umanesimo e del Rin
e che dovr essere consacrato nel Cortigiano del Castiglione.

Ego autem tenui victu et cibis vulgaribus vitam egi laetius quam cum exquisitissim
omnes Apicii successores. (Avverso alle lautezze de' banchetti mantenni di tenue vitto e di
volgari cibi la vita pi lietamente, che tra le leccornie e le ghiottonerie non sogliono fare i suc
cessori di Apicio).

Tutte queste nostre osservazioni non vogliono incoraggiare la rinascita di


un'aneddotica petrarchesca, ma soltanto confermare, per dir cos, una istorica del
l'uomo nuovo, in cui il medioevo cristiano e il paganesimo carnale dei tempi ri
nascimentali sono avvicinati, contemperati e conciliati. Anche della ostentazione
e della pompa il Petrarca si dichiar nemico, non pi per semplice umilt cristiana
(che egli non aveva anima e gusto di fraticello), ma perch l'ostentazione, la su
perbia, l'albagia sono venti contrari alla vita serena, alla vita dell'asceta delle
lettere.

Dalla ostentazione costantemente mi tenni lontano, non solo perch cattiva in se stessa
e contraria all'umilt, ma perch affannosa e nemica riesce al viver riposato e tranquillo.
(Nihil mihi magis quam pompa displicet, non solum quia mala et humilitati contraria sed quia
difficilis et quieti adversa est).

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558 LUIGI BUSSO

Un accenno, distaccato e lontano, a! suo amore per Laura c' a


lettera, ed esso ci sorprende per la sua pacatezza, che fa contrasto
sue rime:

D'altri amori non mi accesi che di uno solo nella mia giovinezza: e quello onesto e ar
dentissimo a un tempo, del quale pi lungo ancora che non fu sarebbe stato il travaglio, se
l'ardore che gi cominciava a venir meno, acerba ma opportuna la morte non avesse estinto.
(Amore acerrimo, sed unico et honesto, in adolescentia elaboravi et diuiius elaborassem, nisi iam
tepescentem ignern mors acerba, sed utilis, extinxisset).

Si osservi quella mors acerba sed utilis, che potrebbe far arretrare di spavento
un chiosatore romantico. Il Petrarca non un romantico; pu subire ed esprimere i
travagli della passione, ma vedere anche nella morte della donna amata un'oppor
tuna e tempestiva catastrofe: questo conferma la temperanza del letterato nuovo,
che non inasprisce pi le passioni, ina le rasserena in un ideale morituro : cosa bella
e mortai passa e non dura ! S che s'io vissi in guerra et in tempesta Mora in pace
et in porto : un sospiro, un ideale, un voto espresso in uno degli ultimi sonetti.
Una nota ancora, che darebbe un'insana ed equivoca celebrit ad uno scrit
tore moderno, la confessione che il Petrarca ci fa della sua continenza sessuale
intorno ai quarant'anni. Si pu riscontrare in questo un'altra conferma del suo
ascetismo religioso, ma sempre trasmutato in un ascetismo letterario, l'ascetismo
non per salvare l'anima ma per salvare la poesia: l'idealismo amoroso del Petrarca,
il cronico erotismo per Laura, potrebbe un critico freudiano attribuirlo ai desideri
da lui repressi intorno all'et di quarant'anni. Egli si confessa involto nei piaceri
carnali, ma, come un asceta medievale, ha il rammarico di non potersene dire
del tutto inondo.

De' voluttuosi piaceri ben vorrei dirmi al tutto inesperto; ma poich questo senza men
tire al vero io non posso, mi terr contento ad affermare, che quantunque il calore dell'et
e del temperamento me ne dessero fortissimi stimoli, pur dal fondo dell'anima ne conobbi
e n'esecrai la bassezza. (Libidinum me prorsus expertem dicere posse optarem quidem : sed, si di
cam, m,enfiar : hoc secure dixerim, me, quamquam fervore aetatis et complexionis ad id raptum,
vilitatem illam tameyi semper animo execratum).

Anche la confessione ulteriore di essersi obbligato all'astinenza nell'et di qua


rant'anni ci conferma l'ispirazione religioso-umanistica della rinunzia:
Giunto per ai quarant'anni o in su quel torno, bench pieno tuttavia di fuoco e di v i
gore, non solamente la pratica, ma la memoria pur anco ne abbandonai, e fui come uomo che
a donna non si fosse avvicinato. E ben di questo al mio Dio le maggiori grazie eh' io sappia
io rendo e professo, noverando tra le cose pi felici della mia vita l'essermi potuto sano ancora
e robusto da quella umiliante soggezione al tutto affrancare. (Mox vero ad quadragesimum an
num, appropinquans, dum adhuc et caloris satis esset et virium, non solum factum illum obscae
num, sed eins memoriam omnem sic abieci quasi numquam jeminam aspexissem: quod inter
primas felicitates meas memoro, Deo gratias agens, qui me adhuc integrum et rigen,tem, tarn vili
et mihi semper odioso servitio liberavit).

Significative poi le parti in cui si viene svolgendo l'ideale nuovo dei rapporti
tra il letterato e il principe. Se l'Alfieri stato l'eversore del costume del letterato
cesareo, protetto dai principi, dobbiamo riconoscere che proprio Petrarca invece

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L POETICA DEL PETRARCA 559

il fondatore di quel costume. Dante aveva ricevuto ospitalit dai sign


Scala e dai signori Malaspina e da altri a cui egli si rivolto ramingo;
saputo come sa di sale lo pane altrui e come sia amaro lo scendere l
un potente per salirne altre, dove si possono avere nuove umiliazioni e
fiuti. Quello di Dante non un costume n un ideale di vita, soltant
dura dell'esule. Il Petrarca invece tratta da pari a pari con i princip
instaurare un costume; in un certo senso, proprio lui che si dona in
dono ai principi, e non i principi a lui:

Per familiarit di principi, di monarchi, di grandi, fui talmente avventurato d


in molti l'invidia.... I pi. grandi monarchi dell'et mia m'ebbero in grazia, e fe
per trarmi a loro, n so perch. Questo so, che alcuni di loro parevan piuttosto fav
mia, che non favorirmi della loro dimestichezza; sicch dall'alto loro grado io molti
ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto.

Potrebbero apparire queste affermazioni perfino odiose, ma bisogna sem


tare di intenderle in un angusto senso edonistico-utilitario ; il Petrarc
si comportava, collaborava alla nascita del nuovo costume cortigiano d
e del Cinquecento ed egli ai nostri occhi ha il merito di avere affermato
delle lettere e dell'ingegno nelle corti degli uomini potenti. Questo ide
giano del Petrarca non ebbe nulla di adulatorio, anzi fu l'ideale del
delle muse che preserva gelosamente gli ozi della sua mente, e li impone
Si potrebbe dire che col Petrarca si inaugura un nuovo ideale della libe
bert estetica, la libert dell'artista che spazia nel recinto della sua imm
di cui vieta l'accesso ai profani. Noi possiamo oggi essere stanchi di qu
del letterato che si arrocca nella superbia del suo castello, ma qui si tra
ciare la storia di una civilt letteraria ed umana. Se l'Alfieri si svincola d
e dai re che egli chiama tiranni, per affermare il concetto della libert
impernia tutto lo sviluppo del mito della libert politica dell'Otto
cento, il Petrarca si vincola invece a quei tiranni e sempre per desiderio
libert, ma d'una libert che non ha nulla dei fremiti di carattere civil
nunziano col settecentista, ma la libert del poeta che allontana i prof
sacra soglia del suo lavoro e delle muse e attende indisturbato al su
egoismo.
Tanto fu forte in me l'amore della libert mia, che da chiunque di loro avesse in nome
di avversarla mi tenni studiosamente lontano.

Nel Petrarca poi in maniera evidente e consapevole si sviluppa non pi


plicemente il senso della poesia, che potrebbe essere un motivo quasi nat
tutti i poeti, ma il senso della letteratura e delle tradizioni letterarie. Egl
confessa che la opera sua di poeta semplicemente subordinata a quella d
terato e dell'amatore delle buone lettere. Egli pu trascurare la poesia, m
trascurer mai le lettere umane.

Retto e aggiustato meglio che non acuto ebbi l'ingegno, acconcio ad ogni buona
sciplina, ma alla morale filosofa e all'arte poetica massimamente disposto.

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560 LUIGI RUSSO

Morale filosofia e arte poetica, quella che noi oggi chiame


sarebbero le due vocazioni profonde del Petrarca, ma egli non
se non in funzione di collaborazione al culto umanistico delle be
belle forme. In questo senso si potrebbe dire che il Petrarca volle
nista che poeta:
Questa per con l'andare degli anni posi in disparte, tutto piacendom
tere nelle quali trovai riposte dolcezze, tenute a vile insino allora, n de
altro che al ricreamento dell'animo pi mi occupai.

E qui ritorna a ribadire quello che l'amore dell'antico:


Piacquemi sopra ogni altro lo studio dell'antichit: da poich la pr
ebbi io sempre per tal modo in fastidio, che s'egli non fosse l'amore dei mie
tempo da questo esser nato io vorrei, del quale cerco a tutt'uomo di farmi d
con l'animo in mezzo agli antichi.

Mai in una forma cos solenne stato sancito questo principi


antico il vero mondo in cui deve vivere l'uomo; l'oltretomba cr
ticato e si tramutato nell' oltretomba di un evo storico. Conti
trascendenza religiosa, che fu proprio del '200 e '300, ma, come
allontanato e rivolto verso le antiche et. N si pu dire che quest
fosse amore della storia, come possiamo intenderlo noi moderni
mistico alla Leopardi che contrappone la nefanda et in cui egli
et dei tempi ingenui, perch il Petrarca dichiaratamente esplic
il suo gusto delle storie, le storie come eloquenza, non la storia
fatti e tanto meno come svolgimento dialettico di vicende:
Perch degli storici io presi grande diletto, non senza provar disgus
traddizioni, attenendomi a quella fra le contrarie sentenze, cui o le maggior
o l'autorit dello scrittore conciliasse pi fede.

L'acribia filologica della storia erudita e della stessa storia


tata dagli umanisti del tardo '400 non ancora in lui una forma m
ste parole c' dichiarato un concetto cenobitico-estetico della sto
che egli prova delle contraddizioni degli storici e il rapido accon
che hanno maggiore verisimiglianza stanno a indicare in lui una
La storia per il Petrarca semplicemente pretesto, eloquenza, v
armonia estetica di avvenimenti, conciliazione del suo ozio relig
Come tutti quelli che hanno vivo il senso dell'eloquenza, egli a
tra il discorso quotidiano, che pu essere familiare e pedestre, e
dratico e accademico: ci che caratteristica di tanti ingegni um
rivoltano durante il giorno nel loto e nel fango, per dirla con M
poi indossano la sera panni curiali ed entrano nelle corti degli a
All'eloquio mio detter lode di chiaro e di efficace: a me parve sempr

Quel debole e oscuro indica l'alto idealismo oratorio che fu in


del Petrarca.

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LA POETICA DEL PETRARCA 561

Nel familiare consorzio degli amici mai non posi il mio studio a parere eloquente: n
so persuadermi che tanto Cesare Augusto ve ne ponesse. Ma dove il luogo, il subietto o gli
uditori me ne parvero meritevoli, feci ogni mio potere per riuscirvi: se poi venisse fatto di
conseguirlo, non io lo so, e sta il giudicarne a quelli che mi ascoltarono.

Ma questo ideale dell'eloquenza per lui era una specie di itinerario a un'alta
vita morale; l'homo botus dicendi peri tv s ritorna in lui come ideale etico e oratorio
insieme :

E cos potessi affidarmi di aver vissuto bene, come poco mi importerebbe di aver bene
parlato: vana la gloria che dalla sola eleganza delle parole si procaccia. ( Ventosa gloria est
de solo verborum splendore iamam quaerere).

5. Il Petrarca come uomo europeo.

Nel Petrarca fu vivissimo il senso dell'uomo europeo ma in u


tutto libresco, bisogna aggiungere dell' Europa romanza che n
vine della vecchia monarchia universale, ma egli contempl ques
dal suo cenobio. Dante viaggi per l'Italia, ma port dovunque
nella immaginazione e nei sentimenti e fin lass nel paradiso non sepp
la piccola aiuola sua che gli aveva dato i natali e lo aveva fatt
Nel Petrarca il ricordo di Firenze, patria dei suoi genitori, o di Arezzo
bambino, piuttosto fievole o almeno di natura convenzionale. Eg
nella Gallia Transalpina, dalla Gallia Transalpina nelle terre d
e sempre vagheggia nuove esperienze dei popoli germanici e dell
vendica a Roma la sde del papato, ma non per ardore religioso,
potuto fare unaGaterina da Siena, ma semplicemente per il senso a
il senso aulico del nostro capo Roma. Come avrebbe voluto ch
o Stefano Colonna correggessero egregiamente il popolo romano
che il papa potesse governare il mondo cattolico dalla sede che gli era
dalla tradizione antica; significativo per questo lato un passo d
dove si allude al tentativo compiuto da Urbano V di riportare la
da Avignone a Roma.
Invero il Petrarca trascorse appena appena l'infanzia tra Arez
il primo e non intero anno ad Arezzo dove venne alla luce, i sei
paterno podere presso l'Incisa, a Li miglia da Firenze, l'ottav
Il nono e gli altri che vennero appresso scorsero nella Gallia transalpina, s
del Rodano, cio a dire in Avignone, ove il romano pontefice in turpe esilio
trattiene la chiesa di Cristo.

E qui l'accenno al tentativo di Urbano \ di restituire quella sede


Parve, or son pochi anni passati, averla Urbano V alla sua sede restituita : ma n
al tutto la speranza, e quel che peggio, svan mentre egli ancora viveva, sicch
parve del bene che aveva fatto. Poco pi che egli avesse vissuto, udito avrebbe
pogne; iam calamus erat in manibus, gi la penna avevo tra le dita, quando la g
presa abbandonando la vita gli venne meno. Infelice ch'ei fu, come bello per lui sare
il morire innanzi all'ara di Pietro ov' la sua sede (infelix ! quicrn feliciter ante Pet

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562 LITIGI RUSSO

mari etin domo propria potuisset). Se dopo lui col fosser rimasti i suoi successo
la gloria di quel felice ritorno: se ripartivano quelli, tanto maggiore si pareva il
quanto pi grande la colpa loro si sarebbe chiarita. Ma lasciamo questo gi lu
stivo lamento. Sed haec longior at que incidens est querela.

L'ultima battuta testimonia della tiepidezza polemica del Petr


mente se la raffrontiamo alle parole tutte fuoco che scriveva una d
e a cardinali, rampognandoli per il loro vergognoso esilio; per il Pe
si riduce ad essere semplicemente un lungo e intempestivo lamento.
Quali furono gli studi istituzionali del Petrarca 1 A Carpeutras
grammatica, dialettica e retorica, poi studia legge a Montpellier, pa
Bologna per insistere nello studio delle leggi. Ma lo studio delle leg
Petrarca esclusivamente per il gusto dell'eloquenza e per l'amore dei
a cui esse lo riportavano; lo studio delle leggi gli era alieno per i pi
lo obbligavano, e che lo allontanavano dai suoi preferiti ozi letterar

Abbandonai quello studio non perch veneranda non mi paresse l'autori


le quali tenni io sempre in onore, e strettamente siccome sono congiunte alle ro
(et in Romanae antiquitatis piena, qua detector), offrivano alla mia mente argom
vole applicazione; ma s perch nell'usarne la malizia degli uomini le deturp
di imparare un'arte che disonestamente mai non avrei voluto, n onestamente,
addosso la taccia di uomo inetto, io avrei potuto esercitare. A ventidue ann
ridussi a casa mia, che cos chiamo per forza di quell'abitudine che si conv
l'esiglio di Avignone a cui fui tratto sul termine della mia fanciullezza.

noto che il Petrarca, per le disavventure politiche del padre, dov


in questo esilio di Avignone; ma a dire il vero non si pu dire che
avuto una coscienza acuta di questo esilio, poich, date le relazioni
egli ebbe con principi e con monarchi, avrebbe potuto benissimo r
trove. Ma coll'umanista Petrarca e con altri suoi contemporanei, si
del municipio, del comune, che era stato in cima ai pensieri dei poet
e del primo Trecento, e si comincia a vagheggiare la signoria,
po' eguale in tutti i paesi e a vagheggiarla, possibilmente, da un ceno
Nel Petrarca si venne educando presto il gusto degli ameni soggior
cipi, e l'ultimo di questi poeti villeggianti con i potenti della terra
Metastasio. Parlando di Avignone e del suo ritorno in quella citt, eg
riferendosi all'et di ventidue anni o poco pi:

Ivi per fama era io gi conosciuto, e grandi personaggi cominciavano a


l'amicizia mia desiderosi.... Vollero sopratutti conoscermi i Colonnesi, illustre n
miglia che lo splendore della Romana Curia con la sua presenza allora accres
matomi, di cosifatte onorevoli accoglienze mi furono cortesi che forse nemme
ma di quel tempo certamente per nessun titolo io meritava; e quell' illustre e i
uomo che fu Giacomo Colonna, vescovo di Lombez, cui per virt non credo
mondo paragonare, seco mi condusse in Guascogna alle falde dei Pirenei, ove ne
del signore e dei familiari di lui passai divinamente l'estate in tale gioco
che rammentar non la posso senza sospirarne per desiderio. (In Vasconiam duct
Pyrenaeis aestatem prope caelestem, multa et domini et comitum iucunditate tr
tempus illud memorando suspirem).

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LA POETICA DEL PETRARCA 563

Si detto pi innanzi del vivo desiderio di viaggiare del Petrarca


gusto di europeo, nato dal frantumarsi delle varie nazioni romanze. Q
il mondo si divideva, tanto pi la fantasia umana si sforzava di ricon
e per il Petrarca desider viaggiare per la Francia e per la Germania
che la curiosit allora era anche pi eccitata per le numerose favole c
savano sulle singole citt, data la non facilit dei viaggi.
Di quel tempo mi prese giovanile vaghezza di viaggiare per Francia e per
e sebbene pretendessi altre cause perch i miei superiori il partire mi consen
rit non per altro io mi muoveva che per saziare la smania di veder cose nuov
causa erat, multa videndi ardor ac Studium).

Egli ci parla di Parigi, ma, strano ad osservarsi, egli non riporta u


particolare sulla, grande citt medievale; il Petrarca nell'amore dei pa
sempre uomo libresco, sicch se abbiamo detto che in lui matu
neolatino, dobbiamo aggiungere che si tratta di un europeismo che si
curiosit dei libri letti e delle favole ascoltate. Questo il significato
detto, che il Petrarca desidera e visita 1' Europa, restando nel suo ce

Vidi da prima in quel viaggio Parigi e assai mi piacque l'esaminar da me s


di vero o di favoloso intorno a quella citt mi venne udito.

Tutto questo e niente pi. Il senso dei particolari gli sfugge comp
nella rievocazione di queste peregrinazioni della sua giovinezza ; non c'
per osservazioni di luoghi e di persone: c' in lui 1' Europa romanza,
ropa romanza ancora allo stato germinale, e le postille delle nazioni n
confondono vagamente nella sua fantasia. La verit vera che il Petr
stoffa di cenobita. In questo la persistenza del suo medievalismo. Dant
notazioni particolarissime di tutti i luoghi d'Italia da lui visitati, e anch
europei da lui appresi attraverso la lezione dei libri. Dante er a poeta ca
ria, sia pure una storia costruita ab aeterno da Dio, in forza stessa della, su
fede cattolica ; mentre il Petrarca si lasciava rapire volentieri nel sogn
templazione. Confessa egli il fastidio che ha delle grandi citt: fastid
odium naturaliter animo meo insitum. Per egli cerca d'un qualche a
cetto ove potesse, quasi in un sicuro porto, ricoverarsi \ diverticulum
portum quaerens. Cos egli viene a scoprire

la piccolissima ma solitaria ed amena valle che Chiusa si chiama, ove regina di tut
scaturisce la Sorga (reperii Vallem perexiguam sed solitariam atque amoenam, quae
citur, quindecim passuum minibus ab Avinione distantem, ubi jontium rex omnium
Allettato dalla bellezza del luogo vi trasportai i miei libri e vi fissai la dimora. E l
il dire quali e quante cose in tanti anni ivi io facessi. Per dirlo in poche parole, tu
scoli miei, se non per intero composti, furono cominciati, o per lo meno orditi in
e furon tanti che a quest'et mi danno ancora da fare.

curiosa poi la notazione che egli fa delle sue inclinazioni e virt d


notando come egli era pi destro che forte, pi alacre che tenace: in
vi teorizzava le virt e le carenze del letterato puro, il quale, disdegno

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534 LUIGI RUSSO

circostante, riesce per un momento ad attingere il fondo di un s


fantastico, ma subito dopo se ne disaffeziona e si affloscia. Anche quest
logica di un individuo, dell'uomo Petrarca, ma la logica eterna del
puro, il quale ricade sempre necessariamente sul luogo dei suoi sforzi:
Come delle membra cos dell' ingegno io fui meglio destro che forte, e quindi a
che molte cose con alacrit intraprese, lasciai per istanchezza in abbandono. (It
mihi facilia cogitano, quae executione difficilia praetermisi).

Il cenobitismo umanistico del Petrarca ci spiega la indifferenza delle


paesistiche. Parigi pi viva in noi per alcune notazioni dantesche, e i
straminum vicus di una delle Senili ( IX, 1 ) ha l'aria di essere un se
cheggiamento, in tono infastidito, della nota battuta del Paradiso o di
di dire corrente. La verit vera che il Petrarca, dovunque egli andass
va dentro di s il suo cenobio, la sua Valchiusa, ed egli vedeva dilet
ma anche dilettosamente dimenticava.
Quello che si dice di Parigi bisogna ripetere per Roma. Il Petrarca uno
rico della sua vita intima, e delle sue fantasie di antichista, ma non riesce m
essere uno storico del mondo contemporaneo che egli viene visitando. E so
merose le lettere o su Roma o su Napoli, in cui il teatro tutto riportato a
un semplice politeama dell'antichit, risuscitato e parafrasato dai testi ant

6. Confessioni d'autobe sull' Afbica e la laurea poetica.

Importante la didascalia che nella Lettera ai 'posteri il Petr


composizione dell'^4/n'ca. un poema in esametri incompiuto. L
vivente ne divulg soltanto trentaquattro versi, quelli del lam
morente (VI, 885-918), da lui comunicati all'amico Marco Bar
il quale per l'acuta curiosit che tutti mostravano di conoscere qu
mains, li divulg fra gli amici.
Quale era l'ispirazione del Petrarca ? Era sempre un'ispirazion
episodico, c'era qualche scoperta erudita nuova che lo induceva a
mento, c'era un improvviso insorgere della fantasia che gli sugg
nuovo; ma non si pu dire che il poema avesse una genesi un
noi utile come storici per concludere che il Petrarca nel
umanismo gi fuori della concezione tomistica dell'arte. Pe
Dante il comporre occasionalmente sarebbe stato sempre un pec
religione, di empiet. La Divina Commedia costruita come u
cui le varie parti si corrispondono anche nei pi minuti fregi. Quest
architettonica che Dante deriva dalla filosofia di Tommaso d'Aq
invece compose un Canzoniere alla maniera dei poeti moderni, son
canzone per canzone, sestina per sestina: soltanto per ragioni est
egli si decise a dare una architettura a tutte le sue rime sparse
il Canzoniere con 366 componimenti: poesie per un anno. Ma l'ar
trarca non nasceva dal centro; era soltanto un omaggio ai temp
Per egli si pu dire il primo individualista nella composizione

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LA POETICA DEL PETRARCA 565

Non il caso qui di fare la storia di questo progressivo allontanarsi


letterati della poetica tomistica ; baster ricordare l'ultimo tentativo c
Foscolo, il quale nel 1812-13 compose le Grazie, avendo sempre presen
schema dell'architettura tomistica. I filologi si sono ostinati per tant
parlare delle Grazie, come di un poema rimasto in frammenti: l'ultima
respinto questa tesi ed ha potuto mostrare come le Grazie siano d
sciolti l'uno dall'altro, che il poeta, in omaggio ad un pregiudizio secol
voluto assoggettare ad una unit architettonica e che invece gli riusc
come una serie di liriche distaccate. Si osservi che soltanto i poeti, vec
nell' '800, scrivono poemi, come per esempio Vincenzo Monti, Giovan
ultimo in ordine di tempo, Mario Rapisardi morto nel 1912. Ma i poe
scrivono delle liriche sciolte e il primo a dare un esempio organico e
rente stato Giacomo Leopardi con i suoi Canti, il quale anche lui in
attivit poetica con un poemetto Ap-pressamento della morte e poi r
del poema nei Paralipomeni. Ma ormai si trattava di una vecchia strada
batteva pi. Le prime infrazioni alla regola tomistica vengono proprio d
Petrarca e dal suo amico e coetaneo Giovanni Boccaccio, il quale sc
cameron, diviso in dieci giornate in cui ogni giornata doveva svolger
unitario, ma fa subito uno strappo alla regola. Dioneo, uno dei nov
Decameron, ottiene il privilegio di poter raccontare lui una novella sem
teina. Questo individualismo che gi s'inizia col Petrarca e col Boccacc
sempre nei secoli, ma noi dobbiamo risalire a queste origini oscure del
lismo umanistico proprio sulle pagine del Petrarca e sulle pagine del
Ritornando all'Africa, ecco come egli ne scrive nella sua Lettera ai

E tra quei monti errando a sollazzo in un venerd della settimana santa, surse
mente e forte vi si apprese il pensiero di dettare un poema intorno a quel primo
cano il cui nome, meravigliando rammento, fin dalla fanciullezza m'ebbe pres
amore (cuius nomen mirum unde a prima mihi aetate carum juit) : e trasportato d
impeto misi tantosto con grande ardore mano a quell'opera, che poi distratto
lasciai interrotta (variis mox distractus curis intermisi) ; e che dal subbietto Afri
non so per quale sua o mia ventura prima che alcuno la conoscesse dest di s tant
desiderio.

In questa confessione di autore noi dobbiamo innanzi tutto rilevare la


religiosa del giorno: nel medio evo non solo i nomi erano quasi un com
divino del destino di ciascun uomo ( 0 padre suo veramente Felice, 0 mad
veramente Giovanna), ma anche i giorni avevano il loro valore simbol
che ancora si perpetua nel popolino, e si tratta di una antica tradizione re
Nella nota autografa sul codice di Virgilio, conservato nell'Ambrosiana di M
il Petrarca sente il bisogno di ricordare la data del suo innamoramento e
che poi miracolosamente corrisponde alla data della morte della donna

Laura apparve per la prima volta agli occhi miei nel primo tempo della mia adolesc
nell'anno del Signore 1327, il giorno sesto d'aprile, in sul mattino, nella chiesa di Santa
in Avignone; e nella medesima citt, nell'anno poi del Signore 1348, da questa luce
luce fu tolta.

37.

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566 LUIGI RUSSO

Possiamo anche dire che il Petrarca ricordava con grande pia


6 aprile, perch era una data importante nella vita del filosofo
corrispondenza classica sempre presente nella mente del nostro
parlando del seppellimento di Laura pensa che, come Seneca diss
l'anima della sua donna era ritornata in cielo.

Il castissimo e bellissimo corpo di lei nello stesso d della morte, in sul vespro, fu riposto
in acconcio luogo dei frati minori : e l'anima sua, io mi d a credere, che, come Seneca disse
dell'Africano, nel cielo onde ella era sia ritornata.

Nella didascalia ricordata kuWAfrica, un'altra frase che ferma la nostra at


tenzione quel riconoscere che l'Africa rimasta frammentaria: rariis mox di
stractus curis intermisi. In verit noi lasciamo incompiuto tutto ci che non ci
preme; c' sempre una logica interna nel nostro lavoro, di cui ci facciamo schiavi
e a cui dobbiamo ubbidire fino al compimento di un'opera. L'Africa rimase in
compiuta semplicemente perch l'interesse del poeta era un interesse episodico e
sporadico e non un interesse unitario e architettonico.
C ' un episodio importante nella vita del Petrarca, quello della laurea poetica.
Noi oggi potremmo sorridere dell'ingenuit del nostro scrittore, che sente il bisogno
di farsi esaminare per tre giorni da Roberto di Napoli in fama ai suoi occhi di uomo
dottissimo. Come amiamo pi Dante e lo stesso Pietro Faitinelli da Lucca, un ver
seggiatore contemporaneo di Dante, che mordono Roberto, re da sermone!

Non speri '1 pigro re di Carlo erede,


Non del valor, se '1 guelfo muta stato,
Tener lo regno, Puglia e '1 Principato,
Abruzzo n Calabria come crede.

Or sermoneggi, e dica prima e terza.

Cos il poeta lucchese, per non ricordare le troppo note battute di Dante.
Il Petrarca invece diede un grande rilievo alla figura di Roberto, e ne parla
molto nelle Lettere Familiari, oltre che nei Rerum memorandar um. Egli si schiera
fra gli encomiasti del re angioino, e probabilmente la sua simpatia per il buon re
Roberto deve procedere non solo dalla fama della sua dottrina letteraria, ma anche
dall'opera concreta che egli svolse, per la pace dei suoi popoli e per la tranquillit
e la sicurezza del regno.1 Il Petrarca fu sempre sospiroso di pace e si rammaric
che perfino le campane messe su in alto per ringraziare Iddio fossero adoperate
per chiamare gli uomini alle armi. Deh, quanto diversi atti! N senza squille si
comincia assalto Che per Dio ringraziar fur -poste in alto . Quando il 29 gennaio

1 Cfr. Croce, Storia del Regno di Napoli, p. 51; il Croce riconosce che "i] tempo del
savio re Roberto " fu a lungo richiamato con desiderio. Si diceva per l'Italia elle tanta tran
quillit e sicurezza era allora stabilita nel Regno che " per tutta Puglia, tutta terra di La
voro, tutta Calabria e Abruzzo, la iente delle ville arme non portavano n conosceano
arme", e solo "portavano in mano una mazza de legno pe difennerse da li cani"!-.

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LA rOEriCA DEL PETRARCA 567

del 1343 Roberto venne a morte, il Petrarca scrisse una lettera a Marco Barbato
da Sulmona in cui ricorre un periodo di questo genere:

Se pertanto fu detto nel d ohe si moria Platone essere dal cielo scomparso il sole, che
dovr dirsi che morto costui, il quale d'ingegno a Platone e per sapienza e per gloria ad al
cun altro re non secondo, apr col morir suo a tanti e a tanto grandi pericoli la via ? (Itaque,
si quo die Plato rebus humanis excessit, sol celo cecidisse visus est, quid ilio moriente videatur,
qui et Plato alter ingenio fuit et regum nulli aut sapientia secundus aut gloria, cuius praeterea
mars tam multis hinc inde periculis viam fecit?) (V, 1).

Orbene non c' da meravigliarsi che vedendosi giungere lettere del senato
romano e del cancelliere dell'universit parigina, con le quali il Petrarca era in
vitato a ricevere la corona poetica a Roma o a Parigi, non c' da meravigliarsi
innanzi tutto che egli preferisse Roma (Roman urbis auctoritatem omnibus praeferen
dam statui) e che volesse subire l'esame dal re Roberto.

Sebbene, secondo il giovanile costume, di me stesso, io portassi un giudizio assai favore


vole (rerum mearum benignissimus iudex essem), sentii vergogna di starmene al solo mio giu
dizio.... e mi risolsi a passare per Napoli; e venni in presenza di quel grandissimo monarca
e filosofo che fu Roberto, pi per la sua dottrina che non per la corona regale famoso e cele
brato, unico re che alle scienze e alla virt avessero amico ai tempi nostri, da lui chiedendo
che quel giudizio convenevole gli sembrasse di ine, tal ei proferisse (et veni ad illum summum
et regem et filosojum Robertum, non regno quam litteris clariorem, quem unicum regem et scien
za amicum et virtutis nostra aet.as habuit, ut ipse de me quad sibi visum esset censeret).

Neanche questo vuol essere un aneddoto, ma rispecchiare l'inizio storico d'un co


stume; se la cavalleria cristiana nel Medioevo rappresentava un temperamento
e una correzione della barbarie, il crisma della letteratura a principi nuovi era come
un invito al civilizzamento della loro tirannide ; se nel processo dei secoli, i signori
protessero i letterati, in quella prima met del '300 furono proprio i letterati a
proteggere i principi. Comunque, quest'inquadramento della letteratura nella vita
dei dispotismo signorile che cominciava a farsi strada lungo il '300 un costume,
come sappiamo, che durato fino a tutto il '700.

Poich di mille e svariate cose ebbe meco ragionato, io gli feci vedere il mio poema del
VAfrica, e tanto gli piacque che come singolare favore mi preg che volassi a lui intitolarlo ;
n poteva io, n certamente voleva, alla onorevole dimanda non consentire.

Anche questa della dedica del poema a re Roberto una consuetudine che
si introduce in tale occasione e che durata, possiamo dire, fino al sec. XIX.
Ancora nel 1831, quando gli amici provvidero all'edizione fiorentina dei Canti
di Giacomo Leopardi, essi avevano pensato una dedica a non so quale illustre
mecenate del tempo che aveva partecipato alla spesa dell'edizione.
Sono significative le parole con cui il Petrarca riferisce le impressioni sul suo
esame di laurea. Anche Dante sogn di prendere cappello nel suo bel San Giovanni,
per per un'apparente opposizione degli avvenimenti, ma per una pi profonda
fedelt alla logica storica inerente al suo pensiero, egli fu conventato soltanto
nell'alto dei cieli, dopo un esame di tre grandi apostoli. Una laurea sempre ne

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568 LUIGI BUSSO

cessaria, anche per i grandi poeti, e il Petrarca ha avuto il signi


tare la laurea dall'alto dei cieli sulla terra e in una reggia. Egli usc
dalla mani di un re.

Prefisse egli un giorno nel quale continuo mi esamin dal mezzod fino alla sera : e perch
alla materia che tra le mani cresceva il tempo venne meno, seguit a fare il medesimo nei
due giorni appresso e messo cos per tre giorni il mio povero ingegno alle prove, nell'ultimo
degno di ricevere la laurea mi giudic.

Tre esaminatori per Dante, tre giornate per Petrarca; non improbabile che
per il pi profano Petrarca continuasse ad avere suggestione la mistica del numero
tre. Poi Roberto insist perch la laurea gli fosse data a Napoli, ma pi che il ve
nerando desiderio di quel gran re valse sull'animo del poeta l'amore di Roma:
Vicit amor Romae, venerandi tanta regis instantia.
Questa faccenda della laurea romana il Petrarca 1' ha raccontata in sette o
otto lettere, il che ci dovrebbe far parlare della sua eccessiva vanit, ma gi ab
biamo dichiarato che vogliamo escludere ogni giudizio di carattere psicologico
su queste sue inclinazioni, perch il giudizio psicologico non fa storia. La laurea
poetica era una specie di riconoscimento storico che, in una societ organizzata
a cui presiedevano due autorit supreme, il Papa e l'Imperatore, aveva un suo
significato sociale e per la vanit dei candidati si attenua e passa in seconda
linea. Dante che non pot prendere il cappello nel suo bel San Giovanni, lo prende
lass nel Paradiso e nel primo canto della sua terza cantica si rammarica che alia
delfica deit ed al suo legno pochi pensano ormai nel mondo. Colpa e vergogna
delle umane voglie. Dante desider fortemente la laurea di poeta, come appare
dalla seconda ecloga a Giovanni del Virgilio, dove, rispondendo al retore bolognese
che lo voleva incoronato d'alloro nella famosa universit, scrisse: Cum mundi
circumflua corpora cantu Astricoleque meo, velut infera regni, patebunt, Devincire
caput hedera lauroque iuvabit . (Quando i bagnati corpi del mondo, la montagna
del Purgatorio, cio, che in alto si dislaga, e i celicoli e gli inferi regni saranno
aperti al mio canto, allora giover cingere d'edera e di lauro il capo).
Non bisogna dimenticarsi che questa consuetudine della laurea poetica
durata fino al '700, quando furono incoronati sul Campidoglio due celebri improv
visatori, Bernardino Perfetti e Corinna Olimpica. Con una donna possiamo dire
che finita la storia di questo costume (ed onorevole per il Metastasio aver rifiu
tato lo stesso onore, perch troppo ormai avvilito con poeti improvvisatori e con
donne improvvisatrici). Questo capita spesso nella storia; quando un ciclo con
chiuso, viene fuori sempre un qualche Bernardino Perfetti o, peggio, una qualche
Corinna Olimpica a dare l'ultimo strazio.1
Luigi Russo

1 Nei prossimi fascicoli, alternati per la conveniente variet con altri saggi gi
messi dall'Autore, saranno pubblicati altri studi petrarcheschi, La filosofia del P., P
del P. (entrairbi i capitoli come sviluppo interno della sua poetica), La poesia del
stille varie ali ''Africa, a! Canzoniere e ai Trionfi.

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