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L’ELETTRO-MAGNETISMO

CARICARE UN CORPO

strofinio  strofinando un corpo contro un altro, gli elettroni di uno o dell’altro si sposteranno e verranno

trasmessi

contatto  mettendo a contatto un corpo carico ed uno neutro il corpo neutro si caricherà

induzione  avvicinando un corpo carico ad uno neutro, se il corpo è positivo le cariche positive

vengono respinte e si posizionano nella parte più lontana, se il corpo è negativo le cariche positive

vengono attratte e si posizionano nella parte più vicina.

LEGGE DI COULOMB

Nel 1785 il fisico Coulomb dimostrò che la legge secondo cui due corpi elettrizzati interagiscono è

uguale alla legge di gravitazione universale formulata da Newton. In particolare la forza attrattiva o

repulsiva F tra due corpi elettricamente carichi è direttamente proporzionale alle cariche q1 q2 possedute

dai due corpi e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza

q1 ⋅ q 2 1
F =k k=
d2 4πε 0

k è la costante di Coulomb, ε 0 è la costante dielettrica nel vuoto e corrisponde a 8,859⋅10-12

K si determina misurando la forza tra due cariche note poste ad una determinata istanza ed eseguendo

numerosi esperimenti. La forza di Coulomb è attrattiva se le cariche sono discordi (+/- -/+) mentre è

repulsiva se le cariche sono concordi (+/+ -/-).

Dallo studio dell’interazione tra due cariche elettriche, si è arrivati alla formulazione di numerose teorie

sulla struttura dell’atomo. Uno di questi esempi è l’atomo di Rutherford.

Salvatore B. (totuccio84@hotmail.com) · Vincenzo B. (viciomer83@email.it) · Salvo De L. www.totuccio.too.it


ATOMO DI RUTHERFORD

L’esperimento di Rutherford consiste nel lanciare

contro una sottilissima lamina d’oro, un fascio di

particelle alfa, particelle cariche positivamente. Quasi

tutte attraversano la lamina come se questa fosse

trasparente, ma alcune sono riflesse dalla lamina e

tornano addirittura indietro. Questi risultati, che non

potevano essere spiegati dai modelli atomici esistenti, portarono Rutherford a concludere che nell’atomo

vi è un nucleo centrale molto piccolo in cui è concentrata quasi tutta la massa dell’atomo e intorno al

quale ruotano gli elettroni. Le particelle alfa che tornano indietro sono quelle che arrivano talmente vicino

al nucleo degli atomi d’oro da subire la sua intensa forza repulsiva, in accordo con le previsioni della

legge di Coulomb.

LINEE DI FORZA

In un punto P1 di un campo elettrico, su una carica di

prova agisce una forza rappresentata dal vettore F1.

Spostiamo la carica di un piccolo tratto nella direzione e

nel verso di quel vettore, fino al punto P2 in cui sulla carica

agisce una forza F2. Ripetendo la procedura si costruisce

una linea spezzata. Per spostamenti sempre più piccoli questa diventa una curva a cui il vettore campo

elettrico è, in ogni punto, tangente. Questa curva orientata (su cui si segna una piccola freccia che indica

il verso del campo) si chiama linea di forza (o linea di campo).

Le linee di forza non esistono nella realtà ma servono a rappresentare la variazione del campo elettrico

in una data regione di spazio. Per convenzione le linee di forza escono dalle cariche positive ed entrano

nelle cariche negative.

CAMPO ELETTRICO

Un campo elettrico è la regione dello spazio in cui una carica elettrica fa sentire la propria azione su

un’altra carica eventualmente presente. Il campo elettrico è un campo vettoriale, infatti ad ogni punto
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dello spazio viene associato un vettore. Vettore che, per essere definito tale, ha bisogno di un’intensità

(lunghezza del segmento), di una direzione (retta) e di un verso (verso di percorrenza lungo la retta).

Ponendo una carica di prova q0 in un dato punto P nello spazio, troviamo che essa è sottoposta ad una

forza elettrica F. Il vettore di intensità del campo E = F q 0 ha lo stesso verso di F se q0 > 0 e verso

opposto se q0 < 0. L’intensità del campo elettrico si misura in Newton/Coulomb o in Volt/metro.

COME SI DISPONE IL CAMPO ELETTRICO

Se il campo elettrico è uguale a zero all’interno, esso è

rivolto verso l’esterno in modo radiale (perpendicolare alla

superficie). Infatti se fosse inclinato scomponiamo il vettore

E (campo elettrico) in una componente perpendicolare “p” e

in un vettore tangenziale “t” che però metterebbe in

movimento le cariche. In tal modo si creerebbe una corrente

continua e, poiché ciò è impossibile, il campo elettrico deve

essere necessariamente perpendicolare alla superficie

IL FLUSSO E LA LEGGE DI GAUSS

Per definire il flusso consideriamo un elemento piano di superficie ∆S posta in un campo elettrico

uniforme d’intensità E e fissiamo un orientamento su ∆S mediante il vettore n.

Chiameremo flusso di E attraverso ∆S la quantità scalare:

Φ = E ⋅ n ⋅ cosα

dove n è la rappresentazione vettoriale di ∆S e α è l’angolo di n

con E

Secondo Gauss il flusso Φ relativo ad una superficie chiusa (sfera, piramide, ellissoide…) è uguale alla

carica q diviso la costante ε 0 .

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Φ=
q Se Φ=0 allora, per verificare l’uguaglianza, q deve essere uguale a 0.
ε0

Una delle possibili applicazioni della legge di Gauss è la gabbia di Faraday. Essa vale solo con

superfici chiuse e dimostra che in uno spazio chiuso la carica si dispone solo lungo la superficie.

Supponiamo di avere una scatola vuota al suo interno. Carichiamo la scatola e dentro poniamo una

carica di prova e troveremo che il campo elettrico è zero.

q q
Φ=
ε0
= ∑ E ⋅ ∆S E =0 ⇒ Φ=0 ⇒
ε0
=0 ⇒ q =0

la carica è nulla all’interno della scatola ma siccome la carica né si crea né si distrugge, allora l’eccesso

di carica si sarà spostato lungo tutta la superficie.

POTENZIALE ELETTRICO

Il potenziale elettrico è definito come il lavora fatto da una carica per unità di carica. È una grandezza

scalare e si misura in Volt (joule su coulomb).

Il lavoro è uguale a forza F per spostamento S: L = F ⋅ S

Supponiamo di spostare una carica q0 dal punto A al punto B:

L AB = F ⋅ AB

L AB
= VB − V A
q0

Il potenziale ha senso solo se ci troviamo in presenza di un campo elettrico.

F
F1 = − F = − E ⋅ q0 E=
q0
LAB = F1 ⋅ AB = − E ⋅ q0 ⋅ AB
LAB q0 Joule
VB − VA = = −E ⋅ ⋅ AB = Volt
q0 q0 Coulomb

Il lavoro si misura in Joule mentre la carica si misura in Coulomb. Il lavoro è, come abbiamo detto, il

prodotto tra forza e spostamento. Con questa definizione posso calcolarmi una differenza di potenziale

di una carica a ±∞ che è stato convenzionalmente fissata a 0, quindi… VB − V∞ = L∞→ B = VB − 0 = V B

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Il potenziale rappresenta un campo scalare (fatto da numeri che godono di determinate proprietà);

mentre il campo elettrico è un campo vettoriale.

Caricando una sfera positivamente mi accorgo che il campo elettrico in ogni punto risulta uguale a zero,

infatti non ci sono cariche in movimento. Per cui, secondo la legge di Gauss, il campo elettrico è zero e

l’eccesso di carica si è distribuito tutto all’esterno. La direzione del campo elettrico nella sfera è rivolta

verso l’esterno ed è sempre perpendicolare alla superficie. Il lavoro per spostare da A a B la carica è

zero; quindi la differenza di potenziale sarà uguale a zero e si dice che la superficie è equipotenziale.

APPENDICE

PRODOTTO SCALARE

a ⋅ b = a ⋅ b ⋅ cos α

M ATERIALI

banda di conduzione
banda interdetta

banda di valenza

Isolanti  banda interdetta 5 ev

Semiconduttori  banda interdetta 1 ev

Conduttori  non c’è banda interdetta

L’elettronvolt (ev) è l’energia che acquista un elettrone quando è sottoposto alla differenza di potenziale

di 1 volt

ev = q E ⋅ V = 1,6 ⋅ 10 −19 ⋅ 1 joule

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ESPERIMENTO DI MILLIKAN

Uno dei vari metodi escogitati per calcolare la carica dell’elettrone è stato proposto da un fisico

americano: Robert Millikan.

IL METODO DELLA GOCCIA D’OLIO

Alcune gocce d’olio, prodotte da un vaporizzatore penetrano attraverso il tubo nella camera dove cadono

liberamente e si elettrizzano per strofinio con l’aria. Ponendo due piastre tra cui è presente un campo

elettrico, solo alcune particelle riescono occasionalmente ad attraversare il foro fatto al centro. Millikan

conosceva il diametro, la densità e la massa di ogni singola goccia:

mg = q ⋅ E mg = forza di gravità
mg
q=
E

Ad ogni m corrisponde una q (carica) e, Millikan, notò che tutte queste cariche avevano un sottomultiplo

−19
comune: 1,6 ⋅ 10 Coulomb . È questa la carica di un elettrone.

DISTRIBUZIONE DELLA CARICA

La densità di carica σ è uguale al rapporto tra carca e superficie.

Collegando con un filo metallico due sfere esse avranno lo stesso potenziale.

1 q1 1 q2
V1 = ⋅ V2 = ⋅
4πε 0 r1 4πε 0 r2
1 q1 1 q2 q1 q2
⋅ = ⋅ =
4πε 0 r1 4πε 0 r2 r1 r2
q1
σ1 = ⇒ q1 = σ1 ⋅ 4π r12
4π r12
q2
σ2 = ⇒ q2 = σ 2 ⋅ 4π r22
4π r22
σ 1 ⋅ 4π r12 σ 2 ⋅ 4π r22
=
r1 r2
r
σ1 = σ 2 2
r1

poniamo r2 > r1 ⇒ r2 > 1 ⇒ σ 1 > σ 2


r1

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In un corpo, in corrispondenza delle punte, trovo un eccesso di carica superiore rispetto al resto del

corpo. La carica non si distribuisce uniformemente lungo la superficie, ma quando il raggio di curvatura è

minore ci sarà un eccesso di carica.

IL CONDENSATORE

Supponiamo di prendere due corpi metallici di forma arbitraria; togliamo adesso alcune cariche negative

da uno e mettiamole nell’altro. Questo sistema si chiama condensatore e i due corpi metallici sono le

cosiddette armature. Generalmente, per identificare un condensatore, esiste una grandezza particolare,

un parametro: la capacità. Per capacità si intende il rapporto tra la carica q e la differenza di potenziale

tra le due armature V. c=q V

La capacità si misura in Farad, cioè in Coulomb su Volt.

1 Coulomb
1 Farad =
1Volt

Il Farad, però, è una grandezza enorme e, di conseguenza, per misurare la capacità si usano i suoi

sottomultipli:

Microfarad = µF = 10-6 F

Nanofarad = ηF = 10-9 F

Picofarad = pF = 10-12 F

Ecco un esempio di condensatore:

Troviamo il campo elettrico (che è verso il basso e perpendicolare)

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q (valido per una superficie chiusa)
ΦE =
ε0

q
Φ E = 0 + 0 + 0 + S2 ⋅ E = S 2 ⋅ E = flusso
ε0
q
E=
ε 0 ⋅ S2

Troviamo adesso la capacità

L
V= d = distanza tra le armature
q0
L = F ⋅d

F = −E ⋅ q 0 (formula inversa E = F q0 )

L = −E ⋅ q 0 ⋅ d = cos180 ° ⋅ E ⋅ q 0 ⋅ d = E ⋅ q0 ⋅ d
E ⋅ q0 ⋅ d q
V= = −E ⋅ d = ⋅d
q0 ε0 ⋅ S2
q ε ⋅S
c= = 0 2
q d
⋅d
ε 0 ⋅ S2

per cui la capacità dipende dalla geometria delle armature e dalla loro posizione reciproca.

I condensatori possono essere collegati

In serie Quando hanno tutti la stessa carica

Quando sono esposti tutti alla medesima differenza


In parallelo
di potenziale

Se ho un collegamento in serie o in parallelo, il problema che si pone è quello della capacità equivalente.

Immagino che i condensatori siano chiuse in un’enorme scatola. Applico ai morsetti una carica e la

divido per la differenza di potenziale.

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q
ceq =
VA − VB
q q q
c1 = c2 = c3 =
V A − V1 V1 − V2 V2 − VB
q q q
VA − V1 = V1 − V2 = V2 − VB =
c1 c2 c3
1 1 1 Condensatore in serie
VA − VB = q + + 
 c1 c2 c3 
q 1
ceq = =
1 1 1 1 1 1
+ +
q + + 
 1
c c 2 c 3
c1 c2 c3
1 1 1 1
= + +
ceq c1 c2 c3

q = q1 + q2 + q3
q1 q q
c1 = c2 = 2 c3 = 3
V V V
q1 = Vc1 q2 = Vc2 q3 = Vc3 Condensatore in parallelo
q = V ( c1 + c2 + c3 )
V (c1 + c2 + c3 )
ceq = = c1 + c2 + c3
V

Di solito, per non costruire armature enormi allo scopo di aumentare la capacità di un condensatore, si

usano delle sostanze isolanti tra le armature: i dielettrici.

L’ENERGIA IMMAGAZINATA IN UN CONDENSATORE

Un condensatore è una sorta di “bottiglia” che contiene campo elettrico, quindi energia. Questa non

esisterebbe senza un lavoro, compiuto da una forza, che carichi il condensatore. L = V ⋅ q perché V = L q .

Ma il lavoro è energia potenziale E che si accumula quando questo è fatto su una carica. V = E q ,

E = q ⋅ V . Si presentano adesso due casi:

1. Il potenziale è costante ma la carica q è variabile

Graficamente E è l’area del rettangolo avente

per base q (variabile) e per altezza V

(costante)

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2. La carica è costante ma il potenziale è variabile

Graficamente E è l’area del triangolo avente

per base q (costante) e per altezza V

(variabile)

Per definizione c = q e q = c ⋅ V dove c è il coefficiente angolare di una retta. Adesso sostituiamo q alla
v

formula dell’area del triangolo: E = 1 ⋅ q ⋅ V ⇒ E = 1 ⋅ c ⋅ V ⋅ V ⇒ E = 1 ⋅ c ⋅ V 2


2 2 2

L’energia immagazzinata in un condensatore è la metà del prodotto della capacità per il quadrato del

potenziale del condensatore.

Per calcolare, invece, l’energia immagazzinata in ogni singolo punto dobbiamo considerare il volume

( S ⋅ d ; dove S è la superficie delle armature e d la loro distanza reciproca).

E E 1 E2 ⋅ d 2 ε0 ⋅ S 1 ε0 ⋅ S E2 ⋅ d 1
K= = = ⋅c⋅ ⇒ c= ⇒ k = ⋅ ⋅ = ⋅ ε0 ⋅ E 2
Volume S ⋅ d 2 S ⋅d d 2 d S 2

CORRENTE ELETTRICA

Consideriamo un filo di rame che, osservato al microscopio, presenta una struttura di reticoli cristallini in

cui gli elettroni si muovono, come le particelle di un gas, ad una velocità di 108 cm/s.

In una sezione del filo conduttore ci saranno

degli elettroni che si spostano da destra a

sinistra e viceversa. In particolare, quando il

filo è neutro, la quantità di elettroni che,

attraverso la sezione, passano da sinistra a

destra e viceversa sarà zero.

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Colleghiamo il filo ad una batteria, creando in

tal modo una differenza di potenziale tra A e

B e, di conseguenza, un campo elettrico (E).

Gli elettroni si sposteranno in direzione

opposta a quella del campo elettrico. Così si

verrà a creare un rapporto tra la quantità di

carica (numero elettroni) che passa dentro la

sezione del conduttore in un tempo (t), e il

tempo stesso: la corrente elettrica (i)


BATTERIA
q Coulomb
i= = = Ampere ( A)
t Secondi

Per misurare l’intensità della corrente

elettrica si usano gli Amperometri.

Applicando al filo un campo elettrico, la velocità degli elettroni diminuisce di un centinaio di miliardi di

volte (1010) e sarà quindi 10-2 cm/s. Come mai quando accendiamo la luce, il segnale arriva

immediatamente? In effetti, il comando trasmesso dall’interruttore all’elettrone più vicino è ricevuto

dall’ultimo elettrone del circuito per contatto ed in un tempo brevissimo. La corrente elettrica può variare

da istante a istante. Quando però la sua intensità si mantiene costante nel tempo si dice che la corrente

è continua (o stazionaria). Se ciò non avviene, si parla di corrente alternata.

IL VERSO DELLA CORRENTE ELETTRICA

Seguendo una vecchia usanza, si sceglie come verso della corrente elettrica quello del moto delle

cariche positive, cioè il verso che va da punti a potenziale alto a punto a potenziale basso.

Si tratta semplicemente di una convenzione che ha il solo scopo di fissare le idee; spesso questa

convenzione è in contrasto con ciò che accade nella realtà.

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RESISTENZE

Collegando una batteria ad un filo, viene a determinarsi una differenza di potenziale (V) e una corrente

elettrica. La grandezza dei conduttori elettrici data dal rapporto tra la differenza di potenziale e l’intensità

di corrente che percorre il conduttore stesso è detta resistenza. R = V = Volt = Ohm (Ω )


i Ampere

A seconda del materiale del conduttore, si hanno differenti velocità di corrente e, di conseguenza, diversi

valori della resistenza. Per misurare la tensione si usano i voltmetri; per misurare la corrente si usano gli

amperometri; per misurare la resistenza si usano gli ohmetri.

Le resistenze si possono collegare o in serie o in parallelo:

V
R= ⇒ V = R⋅i
i
V − V1
R1 = A ⇒ V A − V1 = R1 ⋅ i
i
V − V2
R2 = 1 ⇒ V1 − V2 = R2 ⋅ i
i
V − VB Resistenza in serie
R3 = 2 ⇒ V2 − VB = R3 ⋅ i
i
Attraversate dalla stessa
corrente ma
sommando i valori ottenuti si ha:
caratterizzati da
differenza di potenziale
VA − V1 + V1 − V2 + V2 − V3 = (R1 ⋅ i ) + ( R2 ⋅ i ) + ( R3 ⋅ i )
VA − VB = i ( R1 + R2 + R3 )
V = i ( R1 + R2 + R3 )
V i (R1 + R2 + R3 )
Req = = = R1 + R2 + R3
i i

VA − VB VA − VB VA − VB
i1 = i2 = i3 =
R1 R2 R3
Resistenza in
V A − VB V A − V B V A − V B  1 1 1 
i= + + = V A − V B  + + 
R1 R2 R3  1
R R 2 R 3  parallelo
V − VB VA − VB
R= A =
i  1 1 1  Hanno tutti la stessa
V A − VB  + +  differenza di potenziale
 1
R R 2 R 3 
ma caratterizzate da
1 1 1 1
= + + diversa corrente elettrica
R R1 R 2 R3

PRIMA E SECONDA LEGGE DI OHM

Prima legge: Per tutti i conduttori metallici, l’intensità di corrente i è direttamente proporzionale alla

differenza di potenziale V. i = V/R - La resistenza, in qualsiasi punto, è sempre uguale e costante.

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Seconda legge: La resistenza elettrica R di un filo conduttore è direttamente proporzionale alla sua

lunghezza e inversamente proporzionale alla sua sezione.

l
R=ρ
A

ρ [rò] = resistività del materiale, dipende dalla sostanza di cui è

fatto il filo e dalla sua temperatura.

l = lunghezza

A = area

Più grande è la sezione, più piccola sarà la resistenza. Più lungo è il conduttore più grande sarà la

resistenza.

IL GENERATORE DI TENSIONE ELETTRICO

Supponiamo che nel conduttore collegato al generatore si

muovano soltanto cariche positive. Man mano che esse si

spostano dal punto A, a potenziale alto, al punto B, a

potenziale basso, la differenza di potenziale tende a diminuire.

Per ricreare il dislivello elettrico, il generatore di tensione deve

prelevare le cariche positive dal polo a potenziale più basso ( -

) e trasportarle all’altro polo ( + ) in modo da rimetterle in

circolazione. Si chiama generatore ideale di tensione un dispositivo (non realizzabile in pratica) capace

di mantenere ai due capi una differenza di potenziale costante, per un tempo indeterminato e qualunque

sia l’intensità della corrente che lo attraversa.

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POTENZA DI UN CIRCUITO ELETTRICO

Questo è un circuito elettrico con un generatore di tensione (ε)

ed una resistenza R. Il generatore di tensione è un dispositivo

che genera costantemente una differenza di potenziale

(batteria). La grandezza del generatore di tensione è la forza

elettromotrice (fem), cioè il lavoro compiuto su un’unità di

carica per mantenere la differenza di potenziale costante.

Unità di misura della forza motrice è il volt.

ε =
L

L
= VA − VB (VA > VB )
q q

E = q(VA − VB ) energia che si perde


E
VA − VB = ⇒
q
 q
q = i ⋅t i = 
 t
E = i ⋅ t ⋅ (VA − VB ) dividendo tutto per t

= i ⋅ (VA − VB )
E
t
P = i ⋅ (VA − VB ) ⇒
E Joule
P= = = Watt
t Secondi
L E
ε = = ⇒ E = ε ⋅q
q q
E ε ⋅q ε ⋅q
= ⇒ P=
t t t
q
ma i = ⇒ P = ε ⋅i
t
ε
ma R= ⇒ ε = R⋅i
i
P = R ⋅ i2 La potenza assorbita da una resistenza .

La trasformazione in calore di potenza da parte di una resistenza è l’effetto Joule.

LE LEGGI DI KIRCHHOFF

Per calcolare le correnti che fluiscono in un circuito complesso, se si conoscono le tensioni ai capi dei

generatori e i valori delle resistenze, si possono utilizzare le leggi di Kirchhoff, che esprimono le

proprietà fondamentali di qualunque circuito ohmico (che cioè contiene solo generatori di tensione

costante nel tempo e resistenze).

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In un circuito si chiama nodo un punto in cui convergono 3 o più conduttori. Una maglia è invece un

tratto chiuso di circuito.

La prima legge di Kirchhoff (o legge dei nodi): La somma delle intensità di corrente entranti in un

nodo è uguale all’intensità della corrente uscente. (La corrente che entra in un nodo, per convenzione, è

positiva; la corrente che esce da un nodo è, invece, negativa).

La seconda legge di Kirchhoff (o legge delle maglie): La somma algebrica delle differenze di

potenziale che si incontrano percorrendo una maglia è sempre uguale a zero.

Il magnetismo è nato quando ci si accorse che alcune sostanze (magnetite) erano in grado di attrarre i

metalli (soprattutto ferro). Prima elettricità e magnetismo erano considerati due argomenti eterogenei,

ma in seguito, grazie ad un esperimento, nacque l’elettromagnetismo: si notò infatti che una carica

elettrica in movimento crea un campo magnetico.

Ma come ci accorgiamo della presenza di un campo magnetico? Se mettiamo una carica in movimento e

questa è soggetta all’azione di altre forze, allora c’è un campo magnetico. La forza a cui è soggetta la

particella in movimento è uguale a F = q0 ⋅ v ∧ B dove B è il campo magnetico e v la velocità.

La direzione della forza è quella perpendicolare al piano formato dai due vettori, mentre il verso si

stabilisce con la regola della mano destra: Pollice  i; Indice  B; Medio  F

F = q 0 ⋅ v ⋅ B ⋅ sin α
V
F N ⋅s
B= = = Tesla
q0 ⋅ v ⋅ sin α C ⋅ m
B
Altre unità di misura del campo magnetico sono: il Weber/m2 e il Gauss

1 T = 1 Weber/m2 = 104 Gauss.

Per convenzione si utilizza un puntino  se il campo magnetico è uscente da una superficie, mentre una

croce x se il campo magnetico è entrante.

Per riconoscere se in una certa regione di spazio vi è un campo magnetico basta vedere se, su un
magnete posto in quella regione, agisce una forza. In particolare, come magnete di prova si può usare
un piccolo ago magnetico, libero di ruotare intorno al suo centro di gravità. In ogni località della terra un
piccolo ago magnetico isolato (cioè lontano da altri magneti), si orienta sempre in una ben determinata

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direzione. Se lo si sposta facendolo ruotare un pò, esso dopo qualche oscillazione torna a disporsi in
quella direzione. Ciò mostra che nelle vicinanze della terra esiste un campo magnetico che è chiamato
campo magnetico terrestre. Per convenzione si chiama Polo Nord di un magnete, l’estremo che si
rivolge verso il Polo Nord magnetico della Terra e Polo Sud l’altro estremo. In generale, si definisce
come direzione e verso di un campo magnetico in un suo punto, la direzione e il verso della retta
orientata che va dal Polo Sud al Polo Nord di un ago magnetico che sia in equilibrio in quel punto.
Una volta definiti la direzione e il verso di un campo magnetico è possibile costruire le sue linee di
campo. Prendiamo un piccolo ago di prova, mettiamo il suo centro di gravità in un punto e determiniamo
la direzione e il verso del suo asse in una situazione di equilibrio. Spostiamo poi il centro di gravità
dell’ago lungo tale direzione di un tratto molto piccolo e determiniamo la nuova direzione e il nuovo verso
dell’asse nella posizione di equilibrio. Ripentendo questo procedimento, arriviamo a costruire una linea
spezzata. Rendendo sempre più piccolo lo spostamento la linea si riduce in una linea continua orientata
che rappresenta una linea del campo magnetico. Per convenzione le linee del campo magnetico escono
dal Polo Nord ed entrano nel Polo Sud.

EQUAZIONE DI LORETZ
Se abbiamo una calamita e una sfera carica, una carica di prova posta in un punto P con velocità v
risente del campo magnetico generato dalla calamita ma anche del campo elettrico generato dalla sfera.
La forza elettromagnetica che si crea e agisce sulla carica di prova è la forza di Lorentz.

F = q 0 ⋅ v ∧ B + q0 ⋅ E

ESPERIENZA DI OERSTED
Il fisico danese Oersted dimostrò che una corrente
elettrica genera nello spazio circostante un campo
magnetico. Egli prese un filo percorso da corrente e,
nelle immediate vicinanze, ha posto diverse bussole.
Lo studioso notò che, quando non c’è corrente, le
bussole indicavano il Polo Nord magnetico, mentre,
quando faceva passare corrente, gli aghi delle bussole
si disponevano in modo da essere tangenti alla
circonferenza.

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RAPPORTO TRA UN FILO PERCORSO DA CORRENTE E CAMPO MAGNETICO (ESPERIENZA DI FARADAY)
In un filo percorso da corrente, sono presenti molte cariche. Se consideriamo un elettrone, prendendo in
esame la sua velocità v e il tempo che impiega a percorrere il filo t0, allora diremo che l’elettrone è

influenzato da una forza F = q 0 ⋅ v ∧ B

Moltiplichiamo e dividiamo per t0

Trasformiamo l in vettore che ha per intensità la lunghezza del filo, per verso quello della corrente.

F = i ⋅l ∧ B

TEOREMA DI AMPERE
µ0 ⋅ i
∑ B ∧ ∆l = µ 0 ⋅i  B =
2π r

DEFINIZIONE OPERATIVA DI AMPERE E COULOMB


Dall’esperienza di Oersted e da quella di Faraday si deduce che, tra due correnti, deve esistere una
forza. Infatti il campo magnetico generato da ciascuno di esse esercita una forza sull’altra.
La verifica sperimentale di questo fenomeno fu fatta dal fisico André Ampere. Egli misurò la forza di
attrazione (o repulsione) tra due fili rettilinei e paralleli percorsi da corrente.
Il primo filo, per la legge di Ampere, avrà campo
µ 0 ia
magnetico Ba = ⋅ e sarà uscente ed entrante nel
2π d
secondo filo. Come sappiamo, se un filo è percorso da
corrente e si trova investito da un campo magnetico, è

soggetto ad una forza F = i ⋅ l ∧ B ; in questo caso, il


secondo filo è soggetto ad una forza Fb = ib ⋅ l ⋅ Ba .

Sostituendo ad essa il valore di Ba diventa


µ0 i a µ 0 ia ⋅ ib
Fb = ib ⋅ l ⋅ ⋅ che diventa Fb = ⋅ ⋅l .
2π d 2π d
Facendo lo stesso procedimento per il secondo filo,
otteniamo una forza Fa uguale e contraria ad Fb.
L’azione di queste due forze, fa si che i due fili si pieghino verso l’interno (se le correnti hanno verso
opposto) o verso l’esterno (se le correnti hanno verso uguale).

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In conclusione, supponiamo di prendere due fili di lunghezza l = 1m, posti alla distanza di 1m e con
µ0
intensità di corrente ia = ib = 1A otteniamo la forza F = . Essendo µ0 = 4π 10−7 , la forza diventa

F = 2 ⋅ 10 −7 N . Riassumendo: abbiamo la corrente di 1 A quando, attraversando due fili conduttori lunghi
1m e posti alla distanza di 1m, fa nascere su di essi una forza pari a 2 ⋅ 10 −7 N .

ELETTROCALAMITA
Per costruire un’elettrocalamita ci serviamo di una sorta di molla di filo conduttore: il solenoide.
Se, nel filo, passa una corrente elettrica e supponiamo di dividerlo in piccoli tratti, si creano tanti piccoli
campi magnetici. Il risultato finale è che, se sommiamo tutti i campi magnetici, si vengono a creare delle
linee di flusso.
Le linee di flusso create tra le spire sono dovute al fatto che esse sono poste a distanza l’una dall’altra e
sfugge una parte del campo magnetico. In fisica, non potendo studiare sperimentalmente il fenomeno, ci
serviamo di un solenoide ideale per trovare il campo magnetico all’interno di esso.

Il solenoide ideale è infinito, laddove, in fisica, per infinito viene definito un filo la cui lunghezza è 12 volte
il diametro della sezione. In un solenoide così fatto le linee di flusso non si chiudono mai, ma restano
quelle tra le spire perché esse non sono a perfetta tenuta. Un solenoide ideale dovrebbe quindi avere
sezione quadrata, infatti:
1. le sezioni cilindriche si incontrano secondo una retta
2. le sezioni cubiche si incontrano secondo un piano
All’interno del solenoide si crea così una sorta di cubo in cui passa il campo magnetico.

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Applicando il teorema di Ampere sul percorso chiuso di

lunghezza ∆l si ha: ∑ B ∧ ∆l = µ 0 ⋅ i . In questo caso:


 Prodotto scalare = 0 (B = 0)
 Prodotto scalare = 0 (perché il campo magnetico è
perpendicolare alla superficie)
 Prodotto scalare = 0 (vedi 2)
 B ⋅ h = µ 0 ⋅ Ni (N  numero spire) che diventa

µ0
B= ⋅ Ni . Da qui si deduce che se vogliamo intensificare
h
il campo magnetico, dobbiamo aumentare il numero delle
spire

IL MAGNETISMO NATURALE
Che differenza c’è tra il campo magnetico generato da una calamita e quello generato da una corrente
elettrica? Per rispondere a questa domanda bisogna andare a fondo nella materia: già l’atomo è una
piccola calamita perché, attorno al nucleo, vi sono particelle cariche (gli elettroni) che si muovono; è per
questo motivo che si parla di magnetismo atomico. Oltre al movimento attorno al nucleo, l’elettrone gira
anche su se stesso e questo movimento è detto spin. Se l’elettrone gira su se stesso in senso orario
(quindi verso l’alto) allora si parla di spin positivo, se l’elettrone gira su se stesso in senso antiorario
(quindi verso il basso) allora si parla di spin negativo.
Se prendiamo una lastra di ferro, gli atomi sono disposti in maniera caotica; se mettiamo la lastra in un
campo magnetico con una certa intensità, gli atomi tendono ad aggregarsi in gruppi detti domini (insieme
di atomi che hanno il verso del campo magnetico diretto verso la stessa direzione). Se togliamo il campo
magnetico, gli atomi tendono a ritornare alla loro posizione originaria senza però mai riuscirci
pienamente: rimane infatti un certo magnetismo residuo che si esaurisce lentamente a causa della
temperatura. Questo fenomeno si chiama isteresi magnetica ed è legato alla temperatura: ad una certa
temperatura (di Curie), tutti i magneti perdono le loro proprietà attrattive o repulsive immediatamente.

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I MATERIALI
Tutti i materiali presenti nell’universo possono essere classificati a seconda di determinate proprietà
relative alla loro risposta alla presenza di un campo magnetico. È per questo motivo che si parla di:
M ATERIALI FERROMAGNETICI Fortemente attratti da un leggero campo magnetico (ferro, cobalto e nichel)

M ATERIALI PARAMAGNETICI Debolmente attratti da un campo magnetico intenso (aria, argento, rame)
Sempre respinti da una calamita che genera un campo magnetico molto intenso (tutti i
M ATERIALI DIAMAGNETICI
materiali  diamagnetismo causato dal magnetismo degli atomi)

COMPORTAMENTO DI UNA PARTICELLA ALL'INTERNO DI UN CODENSATORE E IN PRESENZA


DI UN CAMPO MAGNETICO

Se spariamo un carica q all'interno di un condensatore che si trova in un campo elettrico, su di essa


agiscono due forze: Fe = q ⋅ E (elettrica)

FM = q ⋅ v ⋅ B (magnetica).
Se una delle due forze prevale sull'altra allora la carica avrà un moto parabolico diretto verso l'alto (se
prevale Fe) o verso il basso (se prevale Fm). Se le due forze si equivalgono il moto sarà una linea retta.
x x
v= dove v è la velocità e t il tempo  t =
t v
la forza risultante F = Fe − Fm è uguale alla massa (m) per l'accelerazione (a) ( F = m ⋅ a )

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se lasciamo cadere un grave sarà soggetto ad una forza che lo fa deviare secondo l'equazione
1 F 1 F
y= a ⋅ t 2 in questo caso a = per cui diventa y = ⋅ ⋅ t 2 sostituendo il precedente valore di t
2 m 2 m
1 F x2
troviamo: y = ⋅ ⋅ che è l'equazione di una parabola dove: F = Fe − Fm
2 m v2
v è la velocità della particella
x è la lunghezza delle armature

da questa equazione non conosciamo la velocità che possiamo calcolare perché


E
Fe = Fm ⇒ E ⋅ q = q ⋅ v ⋅ B per cui v =
B

Se al posto della particella viene sparato un elettrone, in assenza del campo magnetico esso è soggetto

 e− 
solo alla forza elettrica Fe = e − ⋅ E = m ⋅ a per cui a = E ⋅  
m 

1  e−  x2
l'equazione della traiettoria è sempre una parabola che è: y = ⋅ E  ⋅ 2
2  m  v
e− 2y
da qui ricaviamo = ⋅ v 2 alla quale va sostituito il valore della velocità calcolato grazie al campo
m E⋅x 2

e− 2y E2 e− 2y E
magnetico. L'equazione diventa per ciò = ⋅ ⇒ = ⋅
m E ⋅ x2 B2 m x2 B2
attraverso l'esperimento di Millikan possiamo conoscere la massa (m) dell'elettrone perché conosciamo
la carica dell'elettrone

CORRENTE ELETTRICA RISENTE DI UN CAMPO MAGNETICO


Supponiamo di prendere una spira (filo conduttore di
forma rettangolare) immersa in un campo magnetico
entrante. Analizzando le forze a cui è soggetta la spira
noteremo che quando la corrente entra in un campo
a magnetico, risente di una forza F1 = i ⋅ y ⋅ B dove y è
la lunghezza del filo immerso nel campo magnetico.
XXXXXXX Questa forza per la regola della mano destra risulterà

y XXXXXXX rivolta verso l'interno.


XXXXXXX Quando invece la corrente esce dal campo magnetico,
essa risente di una forza uguale e contraria alla prima
anch'essa rivolta verso l'interno. Se consideriamo il
tratto a della spira la corrente sarà influenzata dalla forza F2 = i ⋅ a ⋅ B rivolta verso l'alto per la regola
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della mano destra. Collegando la spira ad una bilancia inizialmente posta in equilibrio con un peso, essa
si sposterà a causa della forza F2 , per cui per riportarla in equilibrio dobbiamo togliere una certa massa

m
pari alla forza: m = F2 = i ⋅ a ⋅ B per cui risulterà B = . Conclusione: se una corrente risente di un
i ⋅a
campo magnetico, per simmetria un campo magnetico è generato da una corrente come dimostra
l'esperienza di Oersted

MOTO DI UNA PARTICELLA CARICA IN PRESENZA DI UN CAMPO MAGNETICO


Se spariamo una particella carica con un moto
rettilineo perpendicolarmente ad un campo
magnetico, allora essa tenderà a muoversi con
un moto circolare influenzata dalla forza

F = q 0 ⋅ v ⋅ B . Se v e B sono perpendicolari,

allora v ∧ B = v ⋅ B ⋅ sin 90° = v ⋅ B , per cui la


forza a cui è soggetta una carica in movimento
lungo un campo magnetico diventa F = q 0 ⋅ v ⋅ B

Questa forza fa muovere la carica lungo un'orbita circolare per cui essa sarà uguale alla forza centripeta

v2
(data dal campo magnetico): Fc = m ⋅ dove m è la massa, v è la velocità ed r il raggio per cui
r
v2 m⋅v
m⋅ = q 0 ⋅ v ⋅ B ed r = . In questo modo possiamo conoscere il raggio della circonferenza
r q0 ⋅ B
descritta da una carica in movimento su un campo magnetico.

LEGGE SULL’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA


Faraday prese una spira ed ha collegato i due
estremi ad un amperometro. Prese inoltre una
calamita e vide che, quando si avvicinava,
l’amperometro segnalava la presenza di corrente;
quando invece la calamita era ferma l’amperometro
non segnalava la presenza di corrente: se la
calamita si muove allora circola corrente. Se
avvicinava la calamita, la corrente aveva un
determinato verso; se allontanava la calamita il verso era opposto. Inoltre, se invertiamo i poli, cambia il
verso della corrente stessa. È come se ci fosse una calamita poiché se circola la corrente, si crea una
forza elettromotrice indotta dal movimento della calamita secondo il fenomeno chiamato “induzione

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elettromagnetica”: la forza V che si genera è la variazione del flusso nel tempo (legge di Faraday-
∆φ b
Neumann). V = .
∆t
Questa forza elettromotrice fa passare, nel circuito, una corrente indotta se il circuito è chiuso su se
stesso.
Quando avviciniamo la calamita abbiamo un flusso che aumenta e il flusso varia nel tempo. Questo
determina la presenza o meno di un’interazione tra le linee di forza del campo magnetico con la spira; se
la calamita non era abbastanza vicina al circuito allora le linee di forza non entravano, mentre se
avvicinavamo la calamita al circuito queste riuscivano ad entrare per generare una corrente.

LEGGE DI LENZ
Lenz ha modificato la legge di Faraday-Neumann. Egli
stabilisce che il verso della corrente indotta è tale da opporsi
alla causa che l’ha generata, ossia alla variazione del flusso
che la genera. Quindi:
∆φ b
V =−
∆t
La corrente indotta genera a sua volta un campo magnetico
che ha lo stesso verso del campo magnetico inducente se il
flusso sta diminuendo, mentre ha verso opposto se il flusso
sta aumentando.
In effetti, se la corrente gira in un senso, si crea un campo magnetico. Se avviciniamo una calamita ad
una spira, in essa circola corrente e si vengono a creare delle linee di forza del campo magnetico, con
un polo Nord ed un polo Sud. Avvicinando la calamita, la corrente girerà in senso orario e il polo Nord
della calamita incontra il polo Sud della spira ed è attratto. Al contrario, se la corrente gira in senso
antiorario, il polo Nord della calamita incontra il polo Nord della spira e viene respinto; quindi la corrente

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crea un campo magnetico con delle linee di forza tali da opporsi alla causa che ha generato la corrente:
ossia la calamita.
In questo modo possiamo stabilire il verso della corrente, proprio perché dobbiamo necessariamente
incontrare una resistenza nell’avvicinare la calamita alla spira. Quindi si compie un lavoro che si tramuta
in effetto Joule (P=R*i2).
Calamita Verso corrente
Polo Nord Antiorario
Polo Sud Orario

POTENZA DISSIPATA PER MUOVERE UNA SPIRA

Prendiamo una spira rettangolare di lunghezza a e altezza l. Spostiamo quindi la spira con una velocità

v; sappiamo che il flusso, quando la spira è ferma, è uguale a Φ B = B ⋅ S . Dove S è un vettore


perpendicolare alla superficie e con intensità pari alla superficie stessa.
S =l⋅x
sono paralleli
B=B
ΦB = l ⋅ x⋅ B
Iniziamo a spostare la spira con una certa velocità e consideriamo lo spostamento nel tratto ∆x.
φ B = l ⋅ ( x − ∆x) ⋅ B
La variazione del flusso è: φ B1 − φ B0 = −l ⋅ ∆x ⋅ B . Poiché sappiamo, dalla legge di Faraday-Lenz che:

∆φ B  ∆x   ∆x  spazio
V =− , sostituendo si ha: V = l ⋅   ⋅ B   = velocità = , per cui: V = l ⋅ B ⋅ v (forza
∆t  ∆t   ∆t  tempo
elettromotrice). Supponiamo di avere un circuito elettrico con una resistenza.

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V l ⋅ B⋅v
V = R ⋅i →i = =
R R

l 2 ⋅ B2 ⋅ v2
ma, a causa dell’effetto Joule, si disperde energia P = R ⋅ i 2 = R ⋅
R2
l 2 ⋅ B 2 ⋅ v2
P=  potenza dissipata per muovere una spira, cioè la forza dissipata per effetto Joule.
R
Vediamo se è così: a seguito dello spostamento la corrente inizia a girare in senso orario. Quando
spostiamo la spira il flusso diminuisce, la corrente deve opporsi, per la legge di Lenz, alla causa che l’ha
generata; quindi la corrente deve opporsi alla diminuzione del flusso girando in senso orario. Il flusso è
entrante e si somma a quello già esistente.
B ⋅l ⋅v
i=
R
Se abbiamo quindi una spira percorsa da corrente, ed è immersa in un campo magnetico, essa è

soggetta ad una forza F = i ⋅ l ⋅ B


F1 = i ⋅ B
F2 = i ⋅ B
F3 = i ⋅ l ⋅ B
per muovere la spira a velocità costante, dobbiamo applicare una forza eguale e contraria a F3, ossia
impieghiamo una potenza.
P = F3 ⋅ v
P = i ⋅l ⋅ B ⋅ v
B ⋅l ⋅v
P= ⋅l ⋅ B ⋅ v
R
l 2 ⋅ B2 ⋅ v2
P=
R
che è la stessa potenza dissipata per effetto Joule.

CORRENTE DI FAUCAULT
Se abbiamo una lamina metallica e creiamo un campo magnetico variabile, all’interno della lamiera
circolano correnti. Si tratta di un’induzione magnetica che però avviene su una lamina.
Esiste un dispositivo (l’induttanza) che imprigiona campo magnetico (analogo al condensatore che
imprigiona campo elettrico).
La capacità del condensatore corrisponde quindi all’induttanza (L)
φ
L= φ = aumento di flusso all ' int erno del solenoide
i
Dalla formula si ricava che: φ = L ⋅ i . Supponiamo adesso di far variare una corrente che circola in un
senso:
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φ1 = L ⋅ i1 φ 2 = L ⋅ i 2 φ 2 − φ1 = L ⋅ (i 2 − i1 ) ∆φ = L ⋅ ∆i
Se dividiamo entrambi i membri per ∆t, ossia per l’intervallo di tempo necessario per far variare la
corrente da i1 a i2, si ha:
∆φ ∆i
=L⋅
∆t ∆t
∆φ
= induzione magnetica.
∆t

Quindi se variamo la corrente, si crea una forza elettromotrice che, per la legge di Faraday-Lenz, si
oppone alla causa che l’ha generata. Alla formula, quindi, si deve aggiungere un - .
− V − V ⋅ ∆t volt ⋅ secondo ∆i
L= = = = Henry ( H ) → −V = L ⋅ . La formula indica che l’induttanza si
∆i ∆i Ampere ∆t
∆t
oppone alla variazione di corrente.
Sappiamo che la capacità del condensatore, che è in grado di imprigionare il campo elettrico, dipende
dalla geometria e dalla distanza tra le due piastre, quindi bisogna stabilire da cosa dipende
l’induttanza.
Consideriamo una sezione di un solenoide aperto

All’interno del solenoide si crea una sorta di cubo in cui passa il campo magnetico. Applicando il teorema

di Ampere sul percorso di lunghezza l, si ha: ∑ B ⋅ ∆l = µ 0 ⋅ i in questo caso:


 Prodotto scalare = 0 (B = 0)
 Prodotto scalare = 0 (perché il campo magnetico è perpendicolare alla superficie)
 Prodotto scalare = 0 (vedi 3)
µ0
 B ⋅ l = µ 0 ⋅ Ni (N  numero spire) che diventa B = ⋅ Ni . Da qui si deduce che se vogliamo
l
intensificare il campo magnetico, dobbiamo aumentare il numero delle spire.
Φ B = B ⋅ ∆S → S = area sezione solenoide
µ0 ⋅ N ⋅ i
ΦB = ⋅S
l
Per avere il flusso complessivo, dobbiamo moltiplicarlo per il numero delle spire N.

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µ0 ⋅ N 2 ⋅ i
ΦB = ⋅S
l
µ0 ⋅ N 2
Dalla formula si nota che, facendo variare la corrente, varia anche il flusso: ∆Φ B = ⋅ ∆i ⋅ S ,
l
dividendo per ∆t, ossia la variazione della corrente che avviene in un istante di tempo, si ha:

∆Φ B µ 0 ⋅ N 2 ∆i
= ⋅ ⋅S
∆t l ∆t
∆Φ B
= -V
∆t
µ 0 ⋅ N 2 ∆i −V N2
sostituendo: − V = ⋅ ⋅S → = µ0 ⋅ ⋅S
l ∆t ∆i l
∆t
Quindi l’induttanza dipende dalla sezione, dal numero delle spire e dalla lunghezza. Il rapporto
N
= n → densità di avvolgimen to
l
Se moltiplichiamo e dividiamo per l

−V N2
= µ0 ⋅ 2 ⋅ S ⋅ l
∆i l
∆t
S ⋅ l = Volume
N2
2
= n2
l
−V
quindi, in generale, si ha: = µ 0 ⋅ n 2 ⋅ Volume
∆i
∆t
L’induttanza dipende dalla geometria e dalla densità di avvolgimento.

ENERGIA ACCUMULATA NELL’INDUTTANZA


1 2
Sappiamo che l’energia (E) accumulata in un condensatore è uguale E = cv e che, l’energia
2
1
accumulata in un campo elettrico (densità di energia) è uguale a e = ε 0 E 2 . Nel caso tipico
2
1
dell’induttanza, l’energia accumulata è uguale E = ⋅ L ⋅ i 2 . Dividendo per il volume dell’induttanza,
2
1 1
troviamo la densità di energia: e = ⋅ ⋅ B2 .
2 µ0

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1 2
Supponiamo ora di prendere un condensatore carico che ha energia uguale a E = cv . Quando
2
chiudiamo il circuito circola corrente e, ad un certo punto, le cariche positive si esauriscono. L’energia
1 2
del condensatore risulta essere uguale a zero. Ma l’energia iniziale ( E = cv ) non si distrugge perché
2
è presente nell’induttanza sotto forma di campo magnetico ed ha un’energia pari a
1 2E
E= ⋅ L ⋅ i2 → i 2 = . Ad un certo punto la corrente tende a diminuire e ad annullarsi, poiché il
2 L
condensatore non ha più energia, ma il fenomeno non avviene istantaneamente poiché, per il principio di
Faraday-Lenz, il campo magnetico tende ad opporsi alla causa che l’ha generato. Per cui tende a
continuare a far girare la corrente (che sottrae cariche positive).
Così facendo, si inverte la carica del condensatore e il fenomeno avviene al contrario finchè non ritorna
alla situazione iniziale per ripetere il processo. Il sistema oscilla con una certa frequenza f pari a
1 1
f = ⋅ dove L è l’induttanza e c la capacità. Quindi la corrente gira prima in un verso e poi in
2π L⋅c
un altro. Abbiamo dunque creato un’onda elettromagnetica, poiché in effetti la corrente può essere
rappresentata come una sinusoide. Quando il fenomeno avviene nello spazio si può prendere un campo
elettrico variabile in modo tale da creare un campo magnetico variabile che, a sua volta, crea un campo
elettrico variabile e così via… Queste oscillazioni (campo elettrico - campo magnetico) iniziano a
1
muoversi con la velocità della luce c che è uguale a c = . L’onda elettromagnetica è una
ε0 ⋅ µ0
perturbazione elettrica o magnetica che si propaga nello spazio.

LE 4 EQUAZIONI DI MAXWELL
1° equazione di Maxwell  è relativa ad una superficie chiusa ed equivale alla legge di Gauss.
2° equazione di Maxwell  è relativa ad una superficie chiusa.
∆Φ B
3° equazione di Maxwell  è relativa ad una linea chiusa. Si ricava dalla legge di Faraday V = − .
∆t
Supponiamo di avere una spira e siamo in presenza di un campo magnetico. Variamo il flusso
L F ⋅S
magnetico cioè variamo la corrente – flusso elettrico. V = , ma il lavoro è L = F ⋅ S , quindi V = ,
q q
E ⋅q⋅S
ma F = E ⋅ q , per cui V = → V = E ⋅ S = E ⋅ 2π r perché ci muoviamo lungo una circonferenza.
q
∆Φ B
E ⋅ 2π r = − .
∆t

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Quindi il campo elettrico in una spira è sempre tangente. Ma E ⋅ 2π r possiamo scriverla come

∑ E ⋅ ∆l = E ∑ ∆l . Il cerchio sul simbolo di sommatoria indica che ci muoviamo lungo una

circonferenza; quindi alla fine otteniamo ∑ E ⋅ ∆l = E ∑ ∆l .


4° equazione di Maxwell  è relativa ad una linea chiusa e deriva dal teorema di Ampere. È incompleta
nella misura in cui manca un termine che Maxwell aggiunse. Dalla terza equazione si deduce che se
abbiamo un flusso elettrico variabile, questo è in grado di generare un campo elettrico. Nella quarta
∆Φ E
equazione ci deve essere un termine simile a ∆Φ B . ∑ B ⋅ ∆l = µ 0 ⋅ i + µ0 ⋅ ε 0
∆t
. Il termine mancante

(col cerchio rosso) proviene da un’analisi delle singole unità di misura; sempre questo termine
rappresenta la corrente di spostamento is. Dalla prima equazione di Maxwell si ha che
q ∆Φ E ∆q ∆q ∆Φ E i
ΦE = → = . Poiché =i→ = .
ε0 ∆t ε 0 ⋅ ∆t ∆t ∆t ε0
∆Φ E
Per cui ∑ B ⋅ ∆l = µ 0 ⋅ i + µ0 ⋅ ε 0
∆t
, cioè ∑ B ⋅ ∆l = µ 0 ⋅ i + µ 0 ⋅ is

EQUAZIONI DI MAXWELL
Equazione Significato fisico
q La presenza di una carica determina un campo
1 ∑ E ⋅ ∆S = Φ E =
ε0 elettrico.

2 ∑ B ⋅ ∆S = Φ B =0 Non esiste il monopolo magnetico

∆Φ B Un campo magnetico variabile genera un campo


3 ∑ E ⋅ ∆l = − ∆t elettrico
∆Φ E Un campo elettrico variabile genera un campo
4 ∑ B ⋅ ∆l = µ 0 ⋅ i + µ 0 ⋅ ε 0 ⋅ ∆t
= µ 0 ⋅ i + µ 0 ⋅ is
magnetico.

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