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LABORATORIO DI METALLURGIA
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LABORATORIO DI METALLURGIA
A ⎯ ANALISI METALLOGRAFICHE
La Metallografia è la branca della Metallurgia che si dedica allo studio delle caratteristiche struttu-
rali e morfologiche dei materiali metallici, comprese le rilevazioni di proprietà non geometriche ma
intrinseche dei vari costituenti dei metalli. Gli scopi essenziali interessano:
— la comprensione delle caratteristiche e delle proprietà chimiche, fisiche, meccaniche e tecnolo-
giche dei materiali metallici;
— la previsione del comportamento dei materiali metallici nelle condizioni d'esercizio;
— il controllo della rispondenza dei materiali alle specifiche richieste, e quindi formulare un giudi-
zio sulla validità dei processi di lavorazione cui essi dovranno essere sottoposti o sono già stati
sottoposti;
— il riconoscimento delle eventuali anomalie e quindi individuazione delle cause connesse al ciclo
produttivo (metallurgico e tecnologico) o a quelle di funzionamento (chimiche, meccaniche e/o
termiche), che le hanno provocate.
Le determinazioni metallografiche traggono le loro possibilità operative dalla preliminare cono-
scenza dei diagrammi d'equilibrio delle leghe, quindi dalla preliminare conoscenza della composi-
zione del materiale esaminato e dalla configurazione reticolare derivante dagli esami cristallografi-
ci. I primi stabiliscono i tipi e la natura delle fasi possibili in un materiale, noti la natura e la com-
posizione specifica, i secondi permettono d'individuare i reticoli che ad esse competono. Tali reti-
coli, non direttamente riconoscibili dagli esami metallografici, sono indirettamente individuati con
tecniche semplici, appunto in base alle caratteristiche globali degli aggregati atomici costituenti i
materiali metallici policristallino.
Le diversità morfologiche dei singoli tipi di grani sono piuttosto limitate, pertanto l'esame metal-
lografico può mostrare analogia d'aspetti anche su materiali di tipo diverso, i quali, per l'esatta ca-
ratterizzazione richiedono una preventiva qualificazione sulla base della loro peculiarità chimica.
Gli esami metallografici, pur essendo, per le ragioni anzidette, direttamente collegati con la preli-
minare analisi chimica, ne costituiscono un completamento indispensabile giacché quest'ultima può
solamente fornire dei valori compositivi medi sull’intera massa dell’oggetto considerato. Si pensi
ad esempio alla necessità di esaminare materiali che abbiano subìto modifiche superficiali, naturali
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o artificiali, o che presentino strutture granulari di grandi dimensioni, come nel caso dei materiali
sinterizzati o compositi.
Sotto l'aspetto generale dell'incidenza che i controlli esercitano sull'integrità dei materiali, va rico-
nosciuto che gli esami metallografici possono, in genere, considerarsi distruttivi, in quanto nor-
malmente le indagini sono condotte in zone interne agli oggetti, così da verificare la loro struttura
massiva. Il danneggiamento può essere anche legato alle dimensioni degli oggetti che, se di una
certa entità, richiedono un sezionamento preliminare. Essi possono essere invece non distruttivi o
solo parzialmente distruttivi qualora il controllo riguardi zone superficiali o quando le zone da e-
saminare sono costituite dalle superfici originarie degli oggetti.
Le metodiche metallografiche, in un primo tempo specifiche per i materiali metallici, sono state
gradualmente estese allo studio di materiali di natura differente, tanto che inizia a prospettarsi il
termine più generale di Materialografia.
Le normative, ai fini meccanici e metallografici (cfr. Figura 1), adottano la distinzione in:
⎯ prodotto metallurgico, l'elemento scelto in un'unità di collaudo, in vista dell’ottenimento dei
provini (ad esempio prodotto "piatto", una lamiera, prodotto "lungo", un tondo, una vergella,
etc.).
⎯ saggio, il materiale prelevato dal prodotto in quantità sufficiente per ricavare uno o più provini;
(in alcuni casi prodotto e saggio coincidono).
⎯ barrotto, una parte del saggio che ha subìto un trattamento meccanico, seguito eventualmente da
uno termico, destinato all’approntamento dei provini metallografici, di trazione, per prove di fa-
tica, etc.
⎯ provetta o provino, una parte del saggio o del barrotto, di dimensioni definite, lavorato di mac-
china, portato allo stato voluto per subire una determinata prova. In alcuni casi il provino può esse-
re costituito dallo stesso saggio o dal barrotto. L'esame può essere eseguito sia direttamente su sag-
gi, costituiti dagli stessi prodotti o semilavorati, sia su provini ricavate dai medesimi.
Generalmente l'esame è effettuato su superficie longitudinali e/o normali al senso di laminazione. I
provini si ricavano dai saggi usando generalmente troncatrici o mole elastiche. Quest'operazione va
eseguita in ogni caso sotto un getto di soluzione lubro-refrigerante atta ad evitare alterazioni termi-
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che delle superfici da esaminare. È conveniente situare i piani di prelievo delle provette sufficien-
temente distanti dai tagli, in particolare qualora questi siano stati attuati mediante:
— cesoiatura, poiché falsa l'andamento delle fibrosità e delle segregazioni;
— ossitaglio, poiché provoca alterazioni strutturali o addirittura criccature localizzate.
Figura 1. Schema delle relazioni fra elementi di prelievo: A) unità di collaudo; B) prodotto-
campione; C) saggio (o campione); D) barrotto; E) provini/provette.
Il grado di preparazione dipende dalla definizione che si richiede all’esame macroscopico, può es-
sere sufficiente una lavorazione con finitura non elevata (per esempio nel controllo corrente per
l’identificazione di difetti di solidificazione quale il cono di ritiro). Generalmente un tipo di prepa-
razione più accurato definisce tanti più particolari, quanto migliore è stata la preparazione della su-
perficie da osservare.
Le operazioni connesse con la preparazione della superficie da esaminare (spianatura, levigatura,
eventualmente lappatura) devono essere condotte in modo da evitare qualsiasi alterazione struttura-
le del materiale (per esempio da surriscaldo o da incrudimento). Nel caso sia sufficiente la sola la-
vorazione all'utensile, si deve curare che non restino rilievi troppo pronunciati provocati, per esem-
pio, da una cattiva regolazione della macchina, da avanzamenti troppo elevati al tornio o alla lima-
trice. Nel caso in cui l'attacco sia utilizzato per la messa in evidenza d'eterogeneità strutturali o di
difetti di lieve entità, si raccomanda una preparazione della superficie di tipo accurato, che può
giungere fino alla lucidatura, per ottenere una buona definizione.
reagente per ogni decimetro quadrato di superficie della provetta. Inoltre, il bagno deve un volume
sufficiente in modo che l'altezza del liquido sia almeno ca. 25 mm al disopra della faccia superiore
della provetta. Nel caso di prodotti o di provini aventi dimensioni molto grandi, e quindi tali da non
poter essere immersi, si deve versare la soluzione d'attacco sulla superficie da esaminare assicuran-
do che si distribuisca in modo omogeneo e costante su tutta l'area da osservare. I reattivi chimici
tendono ad esaurirsi perdendo la loro efficacia con l'uso e, anche se non utilizzati, con il tempo.
Denominazione Composizione Preparazione e modalità d'uso
1. – Soluzione ac solforico 15 cm3 H2SO4, 85 cm3 H2O Utilizzato caldo (60-80°C). Evidenzia
segregazioni, cricche, porosità
2.- Soluzione ac cloridrico 50 cm3 HCl, 50 cm3 H2O Cfr. n. 1
3 3
3.- Soluzione solfocloridica 38 cm HCl, 12 cm H2 SO4 , 50 Cfr. n.1
cm3 H2O
4.- Soluzione ac nitrico 10cm3 HNO3, 10 cm3 H2O, 80 Usato freddo. Per giunti saldati per met-
cm3 C2H5OH (etanolo) tere in risalto il grano ferritico
5.- Acqua regia 3 3 Per la difettosità degli acciai inox auste-
75 cm HCl, 25 cm HNO3 nitici
6.- Cloruro rameico(Fry) 90 g CuCl2, 120 cm3, HCl, 100 Attacco a temperatura ambiente. Evi-
cm3 H2O denzia tracce di deformazioni plastiche.
3 3
7.- Cloruri magnesio-rameico (Stead) 2,5 cm CuCl 2 , 10 cm MgCl 2 , Trattamento a temperatura ambiente
5 cm3 HCl, 250 cm3 C2H5OH fino a comparsa di una leggera ramatu-
(etanolo) ra. Evidenzia le segregazioni fosforose.
3 3 Trattamento a temperatura ambiente
1 cm CuCl , 0,5 cm , SnCl2, fino a comparsa di una leggera ramatu-
8.- Cloruri rameico- stannoso e ferrico 30 g FeCl , 250 cm3 HCl, 500
3 ra. Per segregazioni negli acciai; le par-
(Oberhoffer) cm3 H2O, 500 cm3 C2H5OH ti più ricche in ferro sono scurite
(etanolo)
La soluzione dev'essere preparata al
10 cm3 (NH4)2S2O8, 90 cm3 momento. Evidenzia l'ingrossamento del
9.-Persolfato d'ammonio H2O grano cristallino, la ricristallizzazione
delle saldature, le linee di Lüders negli
acciai ad alto tenore d'azoto
3 3 Evidenzia segregazioni, dendriti, fibrosi-
10.- Soluzione iodica 20 cm KI, 80 cm H2O tà che anneriscono.
Tabella I. Composizione e modalità d'uso dei reagenti d'attacco macro per acciai.
Per ogni tipo di reagente la durata dell’attacco varia in funzione della concentrazione, della tempe-
ratura di prova, della qualità d'acciaio ed anche della natura dell’esame. Nel prospetto di Tabella I è
riportata una lista dei reagenti d'uso comune e delle loro rispettive regole d'impiego. La scelta dei
reagenti dipende dal materiale e dallo scopo dell’esame.
Nel caso d'esami molto delicati, si può adoperare alcune soluzioni nitriche a bassa concentrazio-
ne, utilizzate a freddo, che si avvicinano ai reagenti usati per gli esami micrografici.
Figura 2. Sezione longitudinale di una testa di chiodo. Sono evidenti le fibrosità derivanti dal pro-
cesso di stampaggio.
Il reagente chimico agisce di norma attraverso una dissoluzione preferenziale, creando così diffe-
renze d'attacco che permettono la successiva osservazione. La sensibilità dell'attacco può essere
graduata regolando la composizione del reagente, la sua concentrazione e la temperatura.
Gli abrasivi che generalmente s'impiegano nelle operazioni di taglio e spianatura, sono a base di:
i) ossidi d'alluminio, detti anche corindoni denominati genericamente "alundum";
ii) carburo di silicio detti genericamente "carborundum";
iii) abrasivi speciali come nitruri di boro, diamanti artificiali, etc.
L'alundum si trova in commercio in diversi tipi: in alcuni, l’ossido d'alluminio cristallizzato è quasi
puro (~99%), mentre nella maggioranza dei casi il tenore medio si aggira sul 90÷94% e può scen-
dere fino al 70%. I granuli d'ossido d'alluminio presentano bordi acuminati e, durante il lavoro, si
sfaldano in modo da presentare nuovi spigoli taglienti. Gli abrasivi a più basso tenore d'ossido d'al-
luminio, specie quelli contenenti cromo possiedono maggior tenacità. L'alundum si ottiene fonden-
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do in forni elettrici ad arco la bauxite (Al2O3·2 H2O) alla temperatura di circa 2.200°C. Aggiungen-
do alla bauxite del coke (riducente), dei carbonati alcalini (fondenti) e del minerale di ferro, si eli-
minano gli ossidi, metallici che sono ridotti, mentre la silice è trasformata in ferro-silicio magneti-
co.
Seguono trattamenti per regolare il grado di purezza, la fragilità dei cristalli e la forma dei grani; si
ottengono così quattro tipi d'alundum facilmente riconoscibili dal colore: - 99,8% di Al2O3, bian-
co; - 98 % di Al2O3 rosa; - 95 % Al2O3 bruno; - 70% Al2O3 nero.
I primi tre tipi trovano applicazione nella fabbricazione delle mole (per lavorare acciai al carbonio
e legati, acciai rapidi di durezza HRC ≤ 65, stelliti, etc.), l'alundum nero serve per la preparazione
di carte e di tele abrasive. Il carborundum, dopo il diamante ed il nitruro di boro, è l'abrasivo con la
durezza più alta; possiede una buona conducibilità termica accompagnata da una notevole resisten-
za a1 calore.
Il carburo di silicio non esiste allo stato naturale e si presenta sotto due forme: amorfa e cristallina;
come abrasivo interessa solo in quest'ultima (quello amorfo è adoperato come refrattario). Si ottie-
ne trattando una miscela di silice (sabbia bianca), carbonio (coke di petrolio in polvere o coke me-
tallurgico), sodio cloruro e segatura di legno in forni elettrici ad arco con elettrodi di carbone, alla
temperatura di circa 2.300°C. La riduzione della silice segue la reazione: SiO2 + 3 C ' SiC + 2 CO
e la sua azione abrasiva è pressappoco cinque volte più alta di quella dell'alundum e permette d'a-
bradere anche i carburi metallici sinterizzati e perfino gli acciai rapidi di durezza superiore a 65
HRC. La rottura dei granuli provoca la costante formazione di spigoli taglienti senza eccessiva usu-
ra delle mole. Il "borazon" è costituito da nitruro di boro cubico, con gli atomi di boro e d'azoto di-
sposti a forma di rete che conferiscono proprietà simili a quelle del diamante. Il procedimento d'ot-
tenimento contempla l'applicazione di pressioni dell'ordine di 700 kN/cm2 e di temperature di
1650°C al nitruro di boro esagonale. Dopo il diamante, è il materiale più duro, infatti, la durezza è
circa due volte maggiore del carborundum. Può sopportare, senza subire modifiche sostanziali,
temperature di 1270 °C e può essere usato nelle operazioni di rettifica ad alta velocità. I diamanti
industriali sono ottenuti artificialmente mediante raffreddamenti rapidi del carbonio fuso
(>3500°C), tenuto costantemente sotto pressioni elevate. Si producono, in tal modo, granuli di pic-
cole dimensioni impiegati come abrasivi per seghe e dischi da taglio. Durante l'uso, richiedono un
efficiente sistema di raffreddamento per evitare la transizione a grafite. Le dimensioni dei granuli
abrasivi sono indicate convenzionalmente con un numero, che corrisponde alle dimensioni degli
orifizi del setaccio vibrante che il grano abrasivo è riuscito ad attraversare. I granuli più fini (polve-
ri), sono classificati mediante flottazione idraulica e successiva sedimentazione (cfr. Tabella II). La
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grossezza dei grani abrasivi influisce sulla velocità con la quale il materiale può essere abraso e sul-
la finitura della superficie metallica.
I provini metallici dopo essere ridotti a dimensioni opportune, sono di norma "inglobati" in formel-
le di resina. Lo scopo principale è di poterli bloccare efficacemente durante le operazioni di spiana-
tura e lucidatura sia manuale che per mezzo d'apparecchiature automatiche. Per l'inglobatura "a
freddo" si adoperano resine che polimerizzano, a temperatura ambiente, in 20÷30 min.
Tabella III. Ampliamento dello spessore in funzione dell'angolo di montaggio del provino.
Si usano resine acriliche, poliestere o epossidiche che, al momento dell'uso, miscelate con un cata-
lizzatore (indurente) producono un liquido viscoso che è colato in uno stampo contenente il provi-
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no. Queste resine sono preferite per inglobare metalli e leghe bassofondenti o materiali teneri oppu-
re per leghe che possono subire trasformazioni strutturali alle temperature di polimerizzazione delle
resine termoindurenti. Il montaggio eseguito mediante resine termoindurenti (fenoliche, dialliliche,
etc.) richiede un riscaldamento sotto pressione (30÷40 MPa). Il provino è inserito con i granuli di
resina in un cilindro (ø = 25÷40 mm) di una pressa, e portato gradualmente alla temperatura di
160÷180°C (cfr. Figura 3) e lì mantenuto, sotto pressione, per ca. 10÷15 min.Per incrementare la
superficie osservabile di particolari molto sottili, come rivestimenti o riporti di piccolo spessore, è
possibile inglobare il provino con la superficie inclinata (cfr. Figura 5). Gli ingrandimenti così otte-
nibili sono riportati nella Tabella III.
a b
L'arrotondamento dei bordi, che spesso si produce durante la lappatura finale, può essere limitato
usando resine addizionate con particelle dure (come Al2O3, MgO, fibre di vetro, etc.). Un secondo
metodo consiste nell'usare rivestimenti metallici duri, depositati per via galvanica o chimica sulla
superficie del provino, prima del montaggio in resina.
La prima spianatura dei provini è eseguita mediante tornitura con appositi utensili, oppure per mez-
zo di mole o carte abrasive, alla presenza di liquidi lubro-refrigeranti che facilitano l’asportazione
dei detriti durante l'abrasione ed evitano nello stesso tempo alterazioni strutturali generati dal calore
prodotto per attrito fra utensili, abrasivi e provino metallico.
Tabella IV. Denominazione, composizione e modalità d'uso d'alcuni reattivi chimici per l'attac-
co delle superfici metalliche lucidate.
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Densità di Tempo
Tensione,
Composizione corrente, d'attacco, (s) Modalità d'uso
(V)
(A/dm2)
1) – Ac. perclorico 900 Per alluminio e per leghe Al-Cu.
(d=1,48) 22 cm3, Acido 6 60 (15') Poco adatto per leghe Al-Si.
acetico glaciale 78
cm3.
2) – Ac. ortofosforico (d= 5 2 30 Per rame e sue leghe. Posizionare
1,35) 200 cm3, H2O gli elettrodi orizzontalmente.
100 cm3
3) – Ac perclorico
(d=1,59) 180 cm3 , A- 20÷30 40 480 Per titanio e Ti-Al. Tenere la solu-
nidride acetica 790 (8') zione in agitazione.
cm3, H2O 45 cm3.
4) – Ac ossalico 10 g, Per acciai inox. Distanza fra provi-
H2O 100 cm3. 8÷10 6 10÷60 no e catodo 25 mm. Rivela fasi e
carburi.
5) –Ac. nitrico 10 cm3 Per bronzi fosforosi, rame, nichel,
Alcol metilico 20 cm3. 70 40 50 ottoni. Usare catodo d'acciaio
inox a 15-20 mm dall'anodo.
6) - Acetato di piombo10 Per acciai inox. Colora la fase δ in
15 g, H2O 100 cm3. 5 1,5÷2 40÷50 rosso-bruno e l'austenite in blu.
7) – Ac. acetico glac. 70 Per piombo e leghe Pb-Sn. Il ca-
cm3, Ac. perclori- 20÷25 25 5÷10 todo di Cu con gli elettrodi oriz-
co(d=1,61) 30 cm3. zontali.
8) – Ammoniaca 25 cm3, 10 4÷6 5÷10 Per acciai inox. Distingue i carburi
H2O 75 cm3. dalla fase δ.
Tabella V. Composizione e modalità d'uso di reattivi per l'attacco elettrolitico d’alcuni metalli e
leghe.
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La fase finale della lucidatura soprattutto di metalli teneri può essere accompagnata con un simul-
taneo parziale attacco. Il reattivo, miscelato con la sospensione d'abrasivi (cfr. Tabella V), è co-
sparso sui panni di lappatura e contribuisce alla lucidatura ed all'attacco del bordo dei grani.
Metallo o lega Composizione del reattivo da associare alla sospensione di abrasivi
Piombo 10% (84 ml glicerina, 8 ml ac. acetico, 8 ml ac. nitrico) + 90% sospens. colloidale SiC
Rame 10% (3 g FeCl3 2 ml HCl), + 90% sospensione colloidale SiC
Titanio 60% (40 ml H2O2, 1 ml HNO3, 0,5 ml HF) + 40% sospensione colloidale SiC
Zinco 10% (5 ml HCl, 95 ml alcol etilico) + 90% sospensione colloidale SiC
Ti 6Al 4V 30% (H2O2) + 70% sospensione colloidale SiC
L'attacco dev'essere in ogni modo completato mediante l'uso dei reattivi tradizionali chimici o elet-
trochimici. Le operazioni d'attacco chimico o elettrochimico sono completate con un ciclo di la-
vaggio, comprendente le seguenti fasi:
— neutralizzazione degli eventuali residui acidi (vapori d'acidi forti come HF possono danneggiare
le lenti degli obiettivi) con una soluzione di carbonato di sodio;
— eliminazione del velo di rame, lasciato dagli attacchi contenenti suoi ioni, per mezzo di una so-
luzione d'idrossido d'ammonio (eventuale);
— lavaggio ripetuto con acqua;
— lavaggio con alcole etilico puro;
— essiccazione con aria calda o in stufa a 60÷100 °C
Figura 9. Schema di una cella utilizzata per la pulitura e per l'attacco elettrolitico delle superfici
metalliche.
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a b
c d
Figura 10. Tipiche microstrutture rilevate da leghe ferrose: a ferrite. b perlite c austenite, d martensite
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A ⎯ ANALISI METALLOGRAFICHE
STUDENTE/I(gruppo)
..……………………………………….…………………………………………………
……………………………………………….Matr.: ……………..……….…….....
2. Natura della soluzione d'attacco ed influenza dei suoi costituenti sulle superfici:
………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………
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………………………………………………………………………………………………………
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………………………………………………………………………………………………………
8. Eventuali ulteriori analisi o prove per una qualificazione ottimale della lega metallica:
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9. Possibili commenti sulla storia termica e meccanica della lega metallica esaminata:
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Data: …………………………………...
Note:
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B -MISURE DI MICRODUREZZA
Note: come pedice dell'abbreviazione occorre indicare il carico in kg ed il tempo di permanenza del penetratore del provi-
no, in s ed eventualmente anche il diametro della sfera del penetratore. Ad esempio, HB10/3000/30 indica che la prova è stata
condotta con un penetratore sferico di φ=10 mm, carico di 3000 kg, per un tempo di 30 s.
b)
a)
Per la misura della microdurezza Vickers si adotta un penetratore con geometria simile a quella a-
doperata per la corrispondente macrodurezza, vale a dire una piramide a base quadrata con angolo
al vertice fra due lati di 136°±0,5° (cfr. Figura 2a) e le diagonali nominalmente uguali.
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P
Il valore della microdurezza Vickers è determinato da HV=1,854 , dove P rappresenta il carico
d2
in kg e d la lunghezza della diagonale (oppure la media fra la lunghezza delle due diagonali).
a)
b)
La profondità dell'impronta Vickers rappresenta ca. 1/7 della misura della diagonale e lo spessore
minimo del provino, o dello strato superficiale, di cui si vuole misurare la microdurezza non dovrà
essere inferiore a 1,5 volte la diagonale d'impronta.
Nel caso della microdurezza Knoop, il penetratore è costruito in diamante con le diagonali di lun-
ghezza differente che generano un'impronta a forma romboedrica secondo lo schema di Figura 2 b.
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P
Il valore della microdurezza Knoop è determinato da HK=14,228 , dove P rappresenta il carico
D2
in kg e D la lunghezza della diagonale maggiore.
La profondità dell'impronta Knoop è ca. 1/30 della diagonale maggiore.
a b
Figura 3. Aspetto delle impronte di microdurezza Vickers e Knoop su superficie acciaio.
La Tabella II riassume i parametri essenziali dei due principali metodi di misura della microdurez-
za.
NORMATIVE DI RIFERIMENTO:
• UNI EN ISO 6507-1 Metodo Vickers con le tabelle di calcolo della microdurezza in base alla
misura della diagonale dell'impronta e del carico.
• UNI EN ISO 6507-2 Metodologie di controllo del microdurometro.
• ISO 4545 Misurazioni di microdurezza secondo la prova Knoop.
• ISO 4546 Metodologie di controllo del microdurometro.
• ISO 10250 Il metodo Knoop con le tabelle di calcolo della microdurezza in base alla diagonale
maggiore dell'impronta e del carico.
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B ⎯ MISURE DI MCRODUREZZE
STUDENTE/I(gruppo)
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Data: …………………………………...
Note: ………………………………..……………………………………………………
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Allegati: …………………………………………………………………………………………
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a) b)
Figura 2. Curve σ−ε: a) comportamento indicativo nel campo elastico di acciaio ed alluminio, b)
curva di trazione per una lega di alluminio della serie AA 7075.
In questa condizione esiste una proporzionalità diretta fra i carichi e gli allungamenti, valere a dire
che il tratto OA di Figura 1 è rappresentato da una retta corrispondente al campo di validità della
Fi ΔL
legge di Hooke: σ = Eε o meglio =E dove ΔL delinea l'allungamento elastico, S0 è l'area
So Lo
della sezione iniziale e L0 la lunghezza iniziale della provetta. Fi è un carico qualsiasi compreso en-
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tro i limiti di elasticità, E rappresenta il modulo di elasticità normale, detto modulo di Young, valo-
σ
re caratteristico di ogni materiale E= = tgβ, (cfr. Tabella I).
ε
Materiali E, MPa
Cemento 14·103
Ossa 21·103
Magnesio 45·103
Vetro 71·103
Alluminio 74·103
Titanio 110·103
Rame 124·103
Nichel 207·103
Acciaio 210·103
Diamante 1200·103
Tabella I. Valori approssimati del modulo di Young per alcuni materiali policristallini, a tempera-
tura ambiente.
Con l'aumento del carico, si passa al regime elasto-plastico dove il materiale è sottoposto a defor-
mazioni sia elastiche sia plastiche, ossia gli allungamenti si sviluppano più rapidamente dei carichi
ed in conseguenza di ciò la legge di Hooke non è più rispettata.
Al cessare del carico le deformazioni permanenti sono molto limitate ed il punto B rappresenta il
carico limite d'elasticità R1e,sotto il quale le deformazioni sono praticamente nulle. Oltre il carico
limite d'elasticità B, gli spostamenti degli elementi reticolari diventano così ampi che, al cessare
delle sollecitazioni non tornano nella posizione primitiva, poiché hanno trovato un nuovo stato d'e-
quilibrio scorrendo plasticamente su differenti posizioni reticolari.Il punto C rappresenta il carico
di snervamento superiore ReH ossia il valore oltre il quale si passa dalle piccole alle grandi defor-
mazioni. Nel tratto CD, lo sforzo subisce modificazioni aperiodiche d'ampiezza e frequenza dipen-
denti dalla natura del materiale e dal suo stato termico e meccanico. Il punto D riproduce il carico
di snervamento inferiore ReL, in altre parole il valore più basso del carico durante la deformazione
plastica, nel corso dello snervamento. Nel tratto DE, gli allungamenti crescono in proporzioni note-
voli ed apparentemente sono distribuiti su tutta la lunghezza della provetta. Al punto E, il carico
raggiunge il valore massimo Rm, tollerato dalla provetta nel corso della prova. Nel tratto EF avvie-
ne un allungamento localizzato (strizione), tanto più esteso quanto più duttile è il materiale, fino a
giungere rottura nel punto F.
Le varie fasi delle deformazioni possono essere definite in base alla natura ed allo stato termico e
meccanico dei materiali e, per alcuni di loro non v'è soluzione di continuità tra le piccole e le gran-
di deformazioni, (cfr. Figure 2 e 3).
Le prove di trazione effettuate a temperatura ambiente sono normalizzate, quelle eseguite a tempe-
ratura differente sono disciplinate da normative specifiche.
È definito come il carico unitario massimo sopportato nel corso della prova riferito all'area iniziale
Fm
So della provetta Rm =
So
Rappresenta il carico unitario ultimo sopportato dalla provetta al momento della rottura finale
Fu
Ru= .
So
a b
Lu − L o
L'allungamento è mostrato dall'espressione A= 100 , dove Lu è la lunghezza ultima de-
Lo
terminata tra i riferimenti dopo la rottura della provetta e dopo la sua ricostruzione misurata dopo
aver riportato a contatto in modo scrupoloso, Lο è la lunghezza iniziale tra i riferimenti (tratto utile)
prima dell'applicazione del carico. Per le prove di trazione, s'impiegano di norma "provette propor-
zionali" che restano fedeli ad un rapporto costante fra l'area della sezione della parte calibrata e la
lunghezza fra i riferimenti, allo scopo di ottenere entro certi margini, valori confrontabili d'allun-
gamento. La relazione fra lunghezza e sezione è: Lο=K Sο essendo per acciai K=5,65 corri-
spondente a provette di sezione circolare con una lunghezza fra i riferimenti pari a Lο =5dο. Se la
lunghezza iniziale fra i riferimenti è diversa da 5,65 Sο il simbolo A dev'essere integrato con un
pedice indicante la lunghezza utilizzata.
La frattura è la separazione di un materiale sotto sforzo in due o più parti. In generale la frattura
può essere classificata in duttile oppure fragile oppure in una miscela dei due tipi, (cfr. Figura 6).
La frattura duttile in un metallo avviene dopo un'estesa deformazione plastica ed una lenta pro-
pagazione della frattura.
La frattura fragile procede lungo particolari piani cristallografici, possiede una scarsa deforma-
zione sotto sforzo e procede con rapida velocità di propagazione.
a b c
Le provette di geometria unificata sono ricavate mediante lavorazioni meccaniche a freddo in modo
da non alterare le proprietà originarie del materiale. Nelle provette si distinguono la lunghezza utile
g. sambogna
LABORATORIO DI METALLURGIA
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L0, la lunghezza della parte calibrata Lc e le teste d'afferraggio sagomate in modo adatto ai disposi-
tivi di serraggio delle macchine di prova (cfr. Figure 7 e 8).
Figura 7. Forme di provette di trazione: a) piatta a teste semplici, b) a teste forate, c) cilindrica a
teste semplici, d) cilindrica a teste filettate, e) con teste d'appoggio.
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LABORATORIO DI METALLURGIA
STUDENTE/I(gruppo)
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Allegati: …………………………………………………………………………………………
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