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La prima campagna militare di Aurangzeb fu nel 1635 contro il ribelle Jujhar

Singh Bundela dello Stato di Orccha. Fu una campagna vittoriosa che mostrò
l'attitudine al comando e la risolutezza del giovane figlio di Shah Jahan.
L'operazione militare comportò l'inizio dell'abbandono della politica di
tolleranza religiosa voluta da Akbar; infatti Aurangzeb e Sha Jahan giunsero
nella capitale ribelle, demolirono il tempio Hindu ed eressero una moschea. Agli
sconfitti fu offerta la scelta di morire o convertirsi all'Islam; fu scelta la morte. Il
traditore, Jujhar, fuggì nella foresta dove morì. Soddisfatto del lavoro del figlio,
Shah Jahan dopo aver soppresso una forte ribellione nel Deccan, assegnò ad
Aurangzeb il primo incarico politico. Divenne viceré del Deccan(1636) a soli 18
anni. Tuttavia Aurangzeb dovette assaggiare anche il sapore della sconfitta; nel
1649 l'impero Mughal infatti perse la città di Kandahar a favore dei Persiani.
Credendo che la città fosse ancora sotto assedio(mente in realtà si era già
arresa), Shah Jahan inviò Aurangzeb(recentemente spostato nel vicino Multan
per governare la regione) con un'armata di 50.000 uomini per rafforzare la
guarnigione, ma una volta giunti a destinazione scoprirono che la città era già
caduta e dovettero tornare indietro, poiché l'armata era sprovvista di cannoni e
quindi impossibilitata a porre la città sotto assedio. Nel 1652, ovvero 3 anni
dopo, fu tentata una nuova spedizione, ancora con 50.000 uomini e Aurangzeb al
comando, stavolta accompagnato da un buon numero di cannoni. Shah Jahan
guidava una retrovia di 40.000 uomini di riserva fino a Kabul. Aurangzeb
assediò per 2 mesi la città, ma non riuscì a far breccia nelle mura. Il padre lo
fece ritirare e lo criticò pesantemente: “mi domando come tu possa aver fallito
nonostante gli imponenti preparativi”. Alla richiesta del figlio di avere una
ulteriore possibilità di dimostrare il suo valore Sha Jahan rispose: “se avessi
creduto che fossi capace di prendere Kandahar non avrei fatto ritirare la tua
armata”.1
Una terza spedizione fu tentata nel 1653, stavolta comandata da Dara, il figlio

1 Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag. 324
prediletto dello Sha. Fu un ennesimo fallimento, ed ebbe pesanti ripercussioni
anche su Shah Jahan, che si ritirò sempre di più dalla vita pubblica, delegando
larga parte dei poteri a Dara, il principe ereditario. Sostanzialmente la perdita
definitiva di Kandahar rappresentò l'inizio del declino dei Mughal, era stata
un'enorme perdita di prestigio oltre che della loro aura di invincibilità.
Dopo la cocente sconfitta al giovane Aurangzeb venne affidata nuovamente
l'amministrazione del Deccan ed in particolare il compito di risollevarne
l'economia, senza ottenere però fondi dal governo centrale.
Aurangzeb rispose allora con un'imponente opera riformatrice; prestiti per
coltivatori, sostituzione di ufficiali corrotti ed estensione anche al Deccan del
sistema fiscale di Todar Mal,caratterizzato dal Dahsala(sistema ideato sotto
Akbar, prevedeva il calcolo della media della produzione e dei prezzi delle
colture negli ultimi 10 anni e assegnava 1/3 del ricavato come tassa a beneficio
dello Stato2) e da un sistema di pesi e misure uniforme. Tuttavia questo era il
piano per il lungo periodo, ma Aurangzeb aveva bisogno di ottenere successi
immediati per riscattare la sua sconfitta a Kandahar. Ecco perchè Aurangzeb
pensò allora di riempire le casse del Deccan con una guerra contro il ricchissimo
e vicino Regno di Golconda, caratterizzato dalla presenza di colture abbondanti,
numerose miniere di diamanti e importanti porti commerciali. Doveva trovare
solo un pretesto per attaccarlo ma fu molto semplice: un'invasione non tollerata
della regione del Karnataka e i ritardi estremi nel pagamento dei tributi dovuti
all'Impero. Nel 1656 Aurangzeb e suo figlio Muhammad Sultan organizzarono
una spedizione verso Hyderabad. Il Raja Abdullah Qutb Shah riuscì a fuggire
nell'omonimo forte di Golconda e offrì vari doni e promesse a Shah Jahan e
Dara per avere salva la vita. Shah Jahan, ormai sempre più influenzato dal figlio
prediletto, ordinò ad Aurangzeb di accettare le offerte di Abdullah e di togliere
l'assedio. Aurangzeb accettò di malavoglia, ma riuscì comunque in parte a

2 Mammta Aggarwal, the revenue system in the sultanate and Mughal Period,
http://www.historydiscussion.net/history-of-india/the-revenue-system-in-the-sultanate-and-mughal-
period/676
realizzare il suo obiettivo: ottenne 10 milioni di rupie e una sposa per
Muhammad Sultan. Inoltre strinse un accordo segreto che di fatto lo nominava
erede del regno di Golconda. Nello stesso periodo Aurangzeb spostò la capitale
del Deccan a Fatehnagar, rinominandola Aurangabad. Mancava un ultimo
tassello per completare la sua opera: l'invasione di Bijapur, altro stato ricco e
con territori di forte importanza strategica. Nel 1657 fu organizzata
l'invasione(usando come casus belli la presunta illegittimità del nuovo sovrano),
preceduta dall'ormai consueta strategia di Aurangzeb ovvero la corruzione degli
ufficiali nemici affinchè disertino con 100 soldati ciascuno in cambio di circa
2000 rupie. La campagna procedette lentamente ma con successo, tuttavia
ancora una volta, grazie alle pressioni di Dara sul padre, Aurangzeb dovette
terminare velocemente la guerra e rinunciare ai suoi piani di annessione. Il
risultato della guerra fu un bottino di 15 milioni di rupie, cifra che lanciò
definitivamente la ripresa del Deccan.
Il fato volle però che Aurangzeb non si dedicasse personalmente
all'amministrazione del Deccan, ma che si ritrovasse coinvolto in una guerra di
successione al trono. Shah Jahan infatti si ammalò gravemente e, la voce della
presunta morte del Sovrano si sparse per tutto il Regno; con un sovrano malato il
potere imperiale iniziava a scricchiolare e ribellioni scoppiarono in tutto
l'Impero. Per smentire le dicerie Shah Jahan si mostrò alla finestra della sua
camera ma ciò non ebbe l'effetto sperato; la convinzione generale era che che la
figura vista affacciata alla finestra non fosse altro che un sosia, una controfigura
costruita appositamente per calmare le acque e dare il tempo necessario a Dara,
erede designato, per assicurarsi il potere. Man a mano che i giorni passavano le
voci giunsero anche agli altri figli di Shah Jahan, che sapevano che in ogni
caso(con padre morto o impossibilitato a governare) avrebbero dovuto
combattere, vuoi per salvarsi la vita o per lottare per il trono.
Appare necessario fare una piccola disamina su chi fossero gli altri 3 figli di
Shah Jahan oltre ad Aurangzeb:
1)Murad, 33 anni era il più giovane dei 4 e governava il Gujarat, era un
eccellente soldato ma non aveva nessuna altra capacità. Inoltre era un
governante dissoluto, che si lasciava andare ai piaceri del bere e della caccia,
oltre che del cibo. In battaglia era temibile e valoroso e se fosse stato meglio
consigliato e meno sconsiderato avrebbe potuto vincere facilmente la lotta per il
trono.
2)Shuja, 41 anni era il secondo nella linea di successione e governava il Bengala
da ben 17 anni: là si era guadagnato la fama di buon amministratore e buon
soldato, ma anche lui si lasciava andare ai piaceri; inoltre il suo grande difetto
era l'eccessiva autostima e forse anche il suo orgoglio.
3)Dara, 42 anni, era il primogenito di Shah Jahan ed anche il suo favorito. Era
cresciuto a corte, sempre vicino a suo padre, dove aveva avuto modo di
sperimentare oneri ed onori dell'amministrazione imperiale. Era estremamente
amato dal popolo grazie alla sua apertura mentale ed alla sua eterodossia(che
analizzeremo in seguito), mentre era inviso agli Amir(gli Emiri, i nobili di corte)
che lo consideravano un lunatico o nel peggiore dei casi un apostata. Il suo
difetto(fatale) era la totale inesperienza sul campo di battaglia, avendo condotto
solo una campagna militare(contro Kandahar, perdendola).

Tornando alla vicenda vera e propria, Shah Jahan cominciò a riprendersi


lentamente, ma delegò gran parte dei suoi poteri a Dara. La risposta dei fratelli
non tardò molto; il primo ad agire fu Shuja, che accusando Dara di aver
avvelenato il padre, si autoproclamò imperatore e fece marciare l'esercito su
Agra. A ruota seguì Murad , che reagendo ad un ordine che lo relegava a Berar si
ribellò e si dichiarò anche lui imperatore, pronto a combattere contro Dara e a
farsi paladino della vera fede. Aurangzeb invece prese tempo; prima di lanciarsi
un una guerra voleva vedere l'evoluzione della situazione ed assicurarsi la pace
nel Sud dell'India, per evitare un'eventuale tradimento nel momento in cui
avrebbe deciso di scendere in campo. Si ritirò quindi per un breve periodo ad
Aurangabad, dove iniziò lunghi scambi di lettere con Shuja e Murad e dove
svolse un ottimo lavoro diplomatico con i regni di Golconda e Bijapur. Una
volta organizzato il tutto Aurangzeb fece marciare il suo esercito verso nord,
avendo raggiunto un accordo con gli altri due fratelli ribelli per la spartizione del
regno, non autoproclamandosi però imperatore a differenza di loro. Per evitare
che le tre armate si unissero Dara inviò due reggimenti, uno verso sud per
sbarrare la strada ad Aurangzeb e uno verso il Bengala. Il primo non ebbe
successo, in quanto fu sconfitta da Aurangzeb a Dharmat. Il secondo invece
riuscì nel suo intento, ingaggiando l'esercito di Shuja nei pressi di Varanasi e
respingendolo per 350 km fino a Munger. Tuttavia, con le armate di Aurangzeb e
Murad congiunte e in marcia verso Agra era tempo che Dara abbandonasse la
capitale e scendesse personalmente in battaglia. Lo scontro decisivo si svolse a
Samargah il 29 maggio 1658. la battaglia durò solo 3 ore ma fu particolarmente
caotica e cruenta; entrambe le parti rischiarono di perdere(Murad ad esempio fu
ferito da un gran numero di frecce) ma alla fine la vittoria andò ad Aurangzeb,
grazie anche ad un suo ennesimo stratagemma: era infatti riuscito a corrompere
un attendente di Dara, così quando il momento fu propizio(l'elefante di Dara era
stato ferito), egli convinse Dara a smontare dal pachiderma e montare un
cavallo. Alla vista dell'assenza del loro principe dal dorso dell'elefante i soldati
di Dara iniziarono a pensare che egli fosse morto; essi nel panico iniziarono a
disertare. Dara riuscì tuttavia a fuggire e a tornare brevemente ad Agra, dove
riunì la sua famiglia e con 5000 uomini fedeli decise di mettersi in marcia verso
Delhi. Aurangzeb giunse ad Agra e prese il forte, nonostante le preghiere del
padre che gli donò anche la sua spada, “Alamgir”(conquistatore dell'universo,
nome che in seguito utilizzerà nel suo titolo imperiale). Shah Jahan fu
completamente isolato dal mondo esterno per i successivi ultimi 9 anni della sua
vita(ma non subì mai maltrattamenti). Pur avendo ormai ottenuto una posizione
di primissimo piano, Aurangzeb non era ancora pronto ad autoproclamarsi
imperatore; anzi addirittura finse di volersi ritirare a vita religiosa:
“io non ho alcun desiderio di prendere parte al governo di questo mondo
instabile e deludente..... il mio desiderio è ritirarmi in un angolo segreto e
dedicare giorni e notti all'adorazione dell'Onnipotente, le cui benedizioni
costituiscono l'unica fonte di felicità”3
In realtà l'animo di Aurangzeb era già proiettato verso l'ascesa al trono; serviva
solo trovare il momento giusto per colpire e realizzare il proprio sogno. La
situazione propizia si verificò a Mathura, dove il tradimento da lungo progettato
ma ben celato si compì. Aurangzeb invitò Murad nella sua tenda e lo fece bere
fino allo sfinimento e poi lo incatenò(in oro) e lo spedì in un baldacchino
coperto(per evitare che il prigioniero fosse riconosciuto ed eventualmente
liberato da dei suoi lealisti) sul dorso di un elefante vicino a Delhi e poi a
Gwalior, dove alcuni anni dopo fu giustiziato.
Aurangzeb, recatosi anche lui velocemente a Delhi si fece incoronare imperatore
ai giardini Shalimar per riempire il trono vacante e senza preoccuparsi troppo di
fasti e sfarzi.
Nel frattempo Dara si era spostato a Lahore, Aurangzeb lo inseguì. Dara aveva
solo 20.000 uomini, ma al suo arrivo a Lahore ne restavano solo 14.000 a causa
delle diserzioni per corruzione di Aurangzeb. Il nuovo imperatore tuttavia
dovette tornare a Delhi poiché Shujah tradì e marciò su Agra(sapeva che per
ottenere la spartizione dell'Impero era necessario sconfiggere Aurangzeb). La
battaglia decisiva si svolse a Khajwa nel 1660 e fu l'ennesima vittoria di
Aurangzeb. Shuja venne inseguito e cacciato addirittura dai confini dell'impero
Mughal: lasciò il Bengala e cercò asilo nel regno di Arakan. Un anno dopo,
insofferente per il suo status di rifugiato, Shuja cospirò per usurpare il trono di
Arakan ma fu scoperto, e fu costretto alla fuga nella giungla dove tuttavia fu
ucciso.
Con due fratelli morti restava solo l'odiato Dara come ultima minaccia per
Aurangzeb. Dara tuttavia non era rimasto ad aspettare; si spostò infatti nel

3 Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.357
Gujarat dove aveva ottenuto il supporto di Shah Nawaz Khan, il governatore
della capitale del Gujarat(Ahmadnagar), che aveva messo a disposizione 20.000
uomini. Dara a quel punto decise di arroccarsi a Deorai, in una posizione
strategica, dato che stava arrivando nuovamente il suo odiato fratello con un
imponente esercito. Il 21 aprile iniziò lo scontro; che andò avanti per ben 3
giorni. Poi Aurangzeb ed il suo esercito riuscirono a sfondare lo schieramento di
Dara causando l'ennesima sua fuga, prima verso il Gujarat, poi verso Sind ed
infine a Kandahar, dove voleva la protezione dei Persiani. Tuttavia la sorte si
dimostrò ancora avversa: Dara infatti fu prima ospitato e poi tradito da Malik
Jiwan, un capotribù afghano che ironia della sorte, in passato aveva avuto salva
la vita grazie all'intervento di Dara stesso. Dara fu dunque catturato e condotto
in catene da Aurangzeb a Shajahanabad, dove fu costretto a sfilare in groppa ad
un elefante sporco, vestito di stracci . Questo evento sconvolse moltissimo la
popolazione: “era uno spettacolo malinconico,ispirava compassione a chiunque
lo vedeva... da ogni angolo provenivano urla assordanti e lamenti da parte della
popolazione indiana, come se un'immane calamità fosse sopraggiunta sopra
alle loro teste.”4
Questo triste spettacolo ebbe due conseguenze: una rivolta inaspettata contro gli
afghani e Malik Jiwan ed il conseguente rafforzamento dell'idea di Aurangzeb di
condannare a morte Dara, poiché se lasciato vivo il popolo avrebbe potuto
sperare in un suo ritorno. Aurangzeb però non volle decretare di persona la sua
morte, ma decise di sottoporre il fratello ad un processo (dall'esito però
scontato):”L'imperatore, sia per la necessità di proteggere la Fede e la Sacra
Legge, sia per motivi di stato, considerò impossibile permettere a Dara di
restare in vita,in quanto distruttore della pace pubblica”5
Il 9 settembre un gruppo di schiavi entrò nella cella di Dara per condurlo
all'esecuzione. In un ultimo atto di orgoglio Dara attaccò gli schiavi con un
pugnale nascosto ma fu presto sopraffatto , ferito a morte e poi decapitato.
4 Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.369
5 Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.369
Vi sono due storie circa la reazione di Aurangzeb: la prima parla di una ulteriore
crudeltà verso la testa del fratello, pugnalata tre volte prima di essere spedita ad
Agra dentro un piatto d'argento da “servire” durante la cena del padre. L'altra è
molto meno cruenta(e forse più attendibile): ”Come non ho voluto vedere la
faccia di questo infedele da vivo, non ho intenzione di vederla ora da morto”6ù

Senza più rivali in circolazione, ora era il tempo degli sfarzi e di una vera
incoronazione, con una festa durata ben 14 settimane. Come primo atto
istituzionalizzò Delhi come nuova capitale, al posto di Agra. Ciò che più
incuriosisce è il cambiamento totale di Aurangzeb una volta divenuto
imperatore; tanto era crudele verso la sua famiglia quanto si mostrò indulgente
ed umano nel dare gli ordini. Le sue punizioni al massimo corrispondevano in
sollevamenti di incarico ma restava fermo sui risultati da conseguire. Aveva in
grande considerazione il benessere del popolo ed il riconoscimento della
fragilità umana. La vita privata di Aurangzeb era semplice, pia ed austera; si
asteneva da ogni violazione dei canoni sanciti nel Corano(per quanto riguardava
ad esempio cibi, bevande e vestiti), era un fervido studente di teologia ed un
esperto nell'arte della calligrafia. Durante il suo regno la produzione letteraria fu
piuttosto scarna, l'unica opera degna di nota che ottenne il patrocinio di
Aurangzeb fu la “ Fatawa-e-Alamagiri”, la più imponente raccolta di leggi
islamiche mai fatta in India. Politicamente Aurangzeb fu un genio diplomatico
che riuscì a smascherare gli intrighi degli altri e allo stesso tempo a combattere o
ad assicurarsi il sostegno dei suoi “alleati”. Inoltre, a differenza dei suoi
predecessori, si occupava personalmente di ascoltare o firmare le suppliche dei
sudditi, anche in tarda età:” ho potuto ammirare come l'imperatore a 77 anni si
occupasse personalmente delle suppliche dei suoi sudditi, con un sorriso nella
faccia e con uno sguardo compiaciuto e soddisfatto del proprio operato”7

6 Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.370
7 An Advanced History of India Paperback – 2016 by R.C. Majumdar, H.C. Raychaudhuri, Kalikinkar Datta,
vol.2 pag 502
Tuttavia mancava di alcune qualità indispensabili per governare un impero tanto
vasto quanto variegato come quello dei Mughal. Innanzitutto non si fidava dei
suoi ufficiali e quindi tendeva ad accentrare troppo potere nelle sue mani, non
era poi quello che si può definire “un uomo di Stato” in quanto si mostro si
clemente con i suoi sudditi(inaspettatamente spesso anche verso gli Hindu) ma
non riuscì a promuovere una politica integrante tra musulmani e induisti, poiché
era accecato dal suo fanatismo religioso. Il suo era però un fanatismo
particolare; aperto verso certe interpretazioni del Corano(amava ad esempio
l'arte ed i dipinti,nonostante le raffigurazioni di figure umane fossero proibite dal
libro sacro stesso) mentre si mostrò però intollerante verso le altre fedi. Durante
il suo regno infatti attuò una politica devastante verso i nuovi templi induisti
causandone la distruzione, ma allo stesso tempo risparmiò i templi antichi(anche
se vietò la loro riparazione). In un secondo momento, dieci anni dopo la sua
ascesa, Aurangzeb si convinse che non stava facendo abbastanza per preservare
la “Vera Fede” e non tollerava che nonostante tutto gli Hindu continuassero a
prosperare. A partire dal 1669-1670 fu ordinata una massiccia campagna di
distruzione di templi e scuole degli infedeli(in particolare distrusse i tre templi
più sacri: il Kashi Vishwanath a Varanasi, il Keshav Rai a Mathura ed il
Somnath a Veraval sostituendoli con imponenti moschee). In sostanza
Aurangzeb tentò di trasformare l'impero Mughal in una teocrazia. Per realizzare
questo progetto Aurangzeb implementò numerose politiche discriminatorie : nel
1668 impose restrizioni alle festività di Divali e Holi e probì la Sati: ”si sancise
che i bazaar non possano avere delle luminarie durante diwali e si proibisce di
gettare fascine di legno nei fuochi sacri durante le celebrazioni di Holi”8
Impose per un breve periodo che tutti i funzionari, in particolar modo coloro che
si occupavano del sistema fiscale, fossero esclusivamente musulmani(in seguito
dovette modificare questa norma, limitando i posti per religione al 50% del
totale, in quanto senza l'apporto degli Hindu l'intero sistema sarebbe collassato).

8 Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.400
Curioso infatti è il numero di funzionari Hindu al servizio di Aurangzeb: dopo
essere calati durante la prima fase del suo regno essi raggiunsero la cifra del
33% nella seconda fase, il doppio di quelli impiegati da Akbar, che era molto più
tollerante!
Il culmine delle politiche anti-Hindu fu raggiunto con la reintroduzione della
Jizya, sostanzialmente per 2 motivi: rimpinguare le casse dello stato e forzare la
conversione all'Islam. L'austerità e la durezza di Aurangzeb colpiva inoltre
anche i musulmani oltre gli Hindu, ad esempio egli eliminò la festa di Nauruz,
fece ridecorare la sala del trono affinchè fosse consona ai canoni islamici, proibì
alle donne di visitare i santuari Sufi per evitare il rischio di oscenità in luoghi
pii. Altre ordinanze particolarmente dure furono la proibizione di saluti Hindu a
corte, il divieto di costruire tombe in calce o con tetti sopra. L'altro grande
divieto imposto da Aurangzeb fu la graduale proibizione della musica;
l'Imperatore arrivò addirittura ad elargire fondi ai musicisti che cessavano la
propria professione. E tutto ciò non si limitava solo alla vita di corte; il divieto di
produrre musica si rivolgeva a tutto l'impero, dove i soldati avevano il potere di
irrompere in locali dove sentivano canzoni o dove si ballava. Le riforme morali
di Aurangzeb si estesero anche al campo dei liquori, proibendone consumo e
produzione(non ottenendo grande successo nonostante le numerose mutilazioni
inferte ai produttori), alla danza ed alla prostituzione(le concubine avrebbero
dovuto o sposarsi oppure lasciare l'impero) e perfino alla botanica (impedita la
coltivazione di rose nel giardino imperiale) e alla misura della barba(non oltre 4
pollici e taglio dei baffi, 9“cosìcche quando il nome di Allah veniva pronunciato,
il suono ascendeva senza ostacoli verso il Paradiso.”

9 Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.410
Per comprendere a fondo la personalità di Shivaji è necessario fare un escursus
nella sua biografia. Nasce nel 1627 nel forte di Shivneri e poco dopo si trasferì
con la madre a Pune, nel Maharashtra dove visse per oltre 10 anni senza quasi
nessun contatto con il padre Shaji. Shivaji crebbe dunque con la madre e con
Dadaji, un attendente lasciato lì dal padre, non ricevendo istruzione ma immerso
nella religione. Shivaji preferiva imparare dalla vita stessa piuttosto che dai
10
libri(come da tradizione i Maratha “raramente sono in grado di leggere o
scrivere... Shivaji non ha mai imparato a scrivere il suo nome”)
In questo modo sin da giovanissimo divenne eccellente nel seguire le tracce, un
superbo cavallerizzo, ed un ottimo arciere, e svolgeva questi compiti meglio di
ogni altro suo uomo. Già all'età di 16 anni cominciò delle attività da ribelle,
catturando alcuni forti nelle colline attorno a Pune, spesso per strategia e
raramente con la forza. Siccome i forti erano controllati da signori Maratha e
non direttamente dalle forze di Bijapur il sultano Adil Sha tollerò per un breve
periodo le scorribande di Shivaji, essendo maggiormente preoccupato per la
situazione nel Karnataka. Tuttavia la leggenda narra che un giorno Shivaji trovò
un tesoro sepolto nelle rovine di un forte; tesoro che usò per costruirsi un
forte(Raigarh, il forte reale), per formare un esercito e dichiararsi capo
indipendente, creando addirittura un nuovo sigillo. Ciò comportò la
convocazione del padre da parte del sultanato di Bijapur e il suo conseguente
imprigionamento per alcuni mesi. Per circa 7 anni Shivaji mantenne un basso
profili, poi nel 1656 le scorribande di Shivaji ricominciarono e catturò
l'ennesimo forte mostrando grande astuzia: infatti riuscì a conquistarlo
corrompendo un bramano che durante una negoziazione matrimoniale assassinò
i membri della famiglia che lo governava. Il forte di Javali cadde dunque nelle
mani di Shivaji. Egli, esaltato dalle proprie capacità, attaccò per la prima volta
alcuni forti dei Mughal nel Deccan, ma una spedizione punitiva inviata
dall'allora governatore del Deccan Aurangzeb devastò il suo esercito e le

10Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.439
costrinse a rifugiarsi nelle montange. Shivaji aveva imparato la lezione; doveva
essere molto più cauto contro i Mughal. Un conto era colpire le famiglie
Maratha rivali o al massimo approfittare della debolezza di Bijapur dovuta alla
malattia del sultano, un altro era affrontare l'esercito dell'Impero Mughal. Shivaji
scrisse dunque una lettera ad Aurangzeb chiedendo perdono per le sue
trasgressioni e giurando fedeltà. Aurangzeb acconsentì, pur non fidandosi
assolutamente del “ratto di montagna”, in quanto necessitava di sicurezza nel
sud per concentrarsi nella lotta per il trono. Shivaji approfittò di questa
situazione per consolidare il suo potere e rafforzarsi: espanse la sua cavalleria,
conquistò terreno nel Konkan e si dotò di una modesta marina. Per quanto
concerne la sua prima amministrazione essa non fu molto difforme rispetto a
quella dei vicini stati musulmani: non ci furono innovazioni nella riscossione
delle tasse, non si circondò di bramani. L'unico(grande) elemento di novità fu
l'accoglienza nel suo territorio di molti islamici, mostrando sin dall'inizio uno
dei principi cardine del suo regno: la tolleranza religiosa ed il libero accesso ad
ogni tipo di carica, civile o militare. Ad esempio, già da questa fase iniziale
possiamo trovare giudici e comandanti militari di fede musulmana. Le conquiste
di Shivaji ed il timore per la rinascita di una marina maratha indussero il nuovo
sultano di Bijapur ad organizzare una grande spedizione contro Shivaji
comandata da uno dei suoi migliori generali, Afzal Khan, con il compito di
annientarlo o sottometterlo definitivamente. Lungo la sua marcia verso
Pratapgarh, Afzal Khan si lasciò andare a distruzioni e profanazioni di templi
Hindu; questo errore gli costerà caro. Una volta giunto al forte, inviò un
bramano, Gopinath, a trattare con uno Shivaji che sembrava pronto alla resa.
Questa mossa fu determinante per la strategia di Shivaji, che riuscì a corrompere
il bramano, facendo leva su argomenti religiosi e su come avesse avuto una
visione della Dea, che confermava che tutto ciò che faceva era per proteggere
l'induismo; anche il fatto che Afzal Khan avesse mandato proprio un bramano
per trattare era di per se un segno divino. Non mancò nemmeno la promessa di
oro e un villaggio da amministrare se Gopinath avesse accettato di aiutarlo. Ed
infatti accettò. Gopinath organizzò un incontro tra Shivaji ed un ignaro Afzal
Khan sulla sommità di una collina. La notte precedente l'ambasceria Shivaji
organizzò segretamente due forze separate: una nei pressi della collina e una
vicinissima all'accampamento militare di Afzal Khan. Questi invece si presentò
senza truppe nelle vicinanze in quanto, secondo il parere di Gopinath, ciò
avrebbe potuto allarmare Shivaji. L'incontro inizialmente fu cordiale, e ad un
certo punto Afzal Khan si alzò per dare un abbraccio asfissiante(“bear hug”) a
Shivaji. Quest'ultimo però aveva organizzato una trappola,nascondendo sotto il
proprio corpetto un'armatura a piastre, nella sua mano una particolare arma
tipica dei Maratha(Wagnuck, artigli di tigre) e alla cintura una piccola daga.
Shivaji colpì con gli artigli di tigre il costato di Afzal Khan ferendolo
gravemente. Questi tentò di difendersi e colpire Shivaji, ma il suo unico colpo fu
deviato dalla corazza celata; Shivaji finì il suo compito pugnalando più volte il
corpo di Afzal Khan e decapitandolo, portando la testa al forte. Da lì dette il
segnale alle sue truppe per attaccare l'esercito nemico, ormai privo del loro
generale. Una seconda versione dell'accaduto, leggermente differente, narra che
invece fu Afzal Khan ad attaccare per primo Shivaji e che questi si difese e lo
uccise. Non sappiamo quale delle due versioni sia veritiera, in quanto in passato
Afzal Khan aveva usato una strategia simile per uccidere un avversario ma non
abbiamo elementi che possano confermare la sua volontà di eliminare Shivaji.
Quello che è certo però è che Shivaji dimostrò ancora una volta grande acume
tattico e capacità militare e riuscì non solo a sconfiggere l'esercito di Afzal
Khan, ma anche a impossessarsi di un cospicuo numero di cavalli e anche di
uomini, che sposarono la causa di Shivaji. Egli, a soli 32 anni era diventato
ormai una leggenda vivente e si stava spingendo sempre più verso il cuore di
Bijapur, minacciando addirittura la capitale. Fu per questo motivo che il sultano
di Bijapur inviò Shahji per mediare una pace. Egli era molto orgoglioso del
figlio, ma doveva assicurarsi che questi restasse fedele al Sultano. Ed il figlio
stavolta mantenne la parola, almeno fino alla morte del padre. La pace serviva
ad entrambi, tant'è che vi fu anche un accordo segreto tra Shivaji e Adil Shah II:
il primo si sarebbe astenuto dal penetrare nel cuore di Bijapur e in cambio
avrebbe ottenuto tolleranza verso sue eventuali aggressioni contro i feudatari
semi-indipendenti nei territori periferici di Bijapur. Inoltre Shivaji guadagnò il
controllo della regione del Desh ed in particolare del forte di Satara.
Il problema dei marata però era diventato serio; Aurangzeb decise di risolverlo
inviando un forte contingente guidato da Shayista Khan per pacificare il Deccan.
Per tre lunghi anni imperversò una furente guerriglia tra i due schieramenti, ma
era Shivaji ad ottenere sempre buoni risultati grazie anche all'elemento chiave di
cui si serviva, ovvero la conoscenza del territorio. Shivaji lo conosceva talmente
bene che sapeva avvantaggiarsene anche nelle situazioni più complicate. Un
esempio fondamentale è il raid contro la sua città, Pune, occupata dall'esercito
Mughal. Attraverso la solita strategia della corruzione, riuscì ad infiltrare 400
soldati maratha facendone passare una parte per prigionieri di guerra ed una
parte per ospiti di un matrimonio. Grazie a questo stratagemma i soldati
riuscirono ad uccidere molti nemici ed addirittura uno dei figli di Shayista
Khan(mentre egli si salvò solo per miracolo). Altri episodi fondamentali furono
il saccheggio della città di Surat(principale porto Mughal) e l'abbordaggio di
varie navi mercantili dirette verso la Mecca. Un ulteriore fatto da tenere in
considerazione è che nel 1664 Shahji morì e quindi Shivaji assunse il comando
del clan dei Bhonsle prendendo il titolo di Raja e coniando sue monete
nonostante non fosse stato ancora incoronato. Tuttavia per la prima volta la
fortuna si ritorse contro Shivaji: Aurangzeb inviò il suo miglior generale, il
sessantenne Jai Singh ed un enorme esercito per sottometterlo. Stavolta Shivaji
si dovette piegare. Si giustificò dicendo che la Dea stessa(Bhavani) glielo aveva
ordinato, in quanto non poteva ancora prevalere sui Mughal. I termini di pace
prevedevano la cessione di numerosi forti conquistati ai Mughal nel Deccan, il
pagamento di un tributo all'imperatore, il sostegno in un prossima guerra contro
Bijapur e l'inizio del servizio presso la corte Mughal di Shambuji(il figlio di
Shivaji). Così Shivaji si trovò suo malgrado costretto a combattere una guerra a
fianco dei Mughal contro il sultanato di Bijapur, ma la situazione non stava
procedendo come Aurangzeb sperava ed anzi, stava logorando le forze imperiali.
Nel timore che ciò potesse incoraggiare Shivaji a ribellarsi nuovamente,
Aurangzeb, su suggerimento del governatore del Deccan, lo chiamò a corte.
Nonostante Shivaji non avesse mai servito alla corte di nessuno, accettò
controvoglia e partì per Agra, dove in quel momento si trovava Aurangzeb. Quì
subì una profonda delusione: si aspettava un trattamento degno del suo rango,
mentre venne relegato in basse posizioni a corte. Durante un suo attacco d'ira,
Shivaji dichiarò che non aveva nessuna intenzione di servire Aurangzeb e questi
decise di impedirgli ogni ulteriore accesso alla corte e fu sostanzialmente
confinato all'interno del suo accampamento, poiché una guardia controllava i
suoi movimenti e gli impediva di uscire dal perimetro. Ancora una volta però
Shivaji riuscì, grazie al suo intelletto, a cavarsela. Egli si finse malato,
lamentando forti dolori al fegato che lo costringevano a restarsene a letto.
Mentre era malato inviava ogni giorno grosse ceste di regali e viveri ai suoi
medici, ai bramani, ai poveri musulmani ed Hindu ed ogni giorno i soldati
controllavano diligentemente le ceste. Tuttavia, la pratica man a mano divenne
consuetudine, provocando un allentamento dei controlli da parte delle guardie.
Shivaji ne approfittò e assieme a suo figlio si nascosero in due ceste e riuscirono
a eludere i controlli e uscire da Agra. Il fratellastro di Shivaji, Hiraji, prese il suo
posto nel letto, premurandosi di nascondersi sotto le coperte e mostrando solo
l'anello di Shivaji. Nel frattempo padre e figlio presero una strada impensabile,
per mascherare la loro fuga: si diressero verso nord est, travestiti da fachiri,
passando per Allahabad e Varanasi(dove si fermò Shambuji) e da lì Shivaji deviò
verso sud per le strade poco battute di Bundelkhand, Gondwana e Golconda. Il
viaggio fino al Deccan durò due mesi. Una volta giunto a destinazione Shivaji
restò in attesa per tre anni e spese questo tempo per migliorare l'amministrazione
del suo regno. Nel 1667 scrisse una lettera ad Aurangzeb chiedendo un
ennesimo perdono e grazie all'intercessione del governatore del Deccan lo
ottenne, insieme al titolo di Raja(stavolta conferito dall'imperatore) e al
permesso di saccheggiare e conquistare quanti più territori sotto il dominio di
Bijapur poteva. Nel 1670 Shivaji iniziò una nuova serie di campagne,
approfittando della contemporanea debolezza di Bijapur(era morto il sultano) e
dei Mughal(impegnati in un conflitto contro gli afghani). La goccia che fece
traboccare il vaso fu un'assurda richiesta da parte della corte Mughal di un
risarcimento per le spese di accoglienza di Shivaji ad Agra. La risposta di
Shivaji fu eccezionale: in pochi mesi catturò tutti i forti che aveva dovuto cedere
ai Mughal nel vecchio trattato di pace(su tutti Sinhgarh e Purandhar). Per la
seconda volta saccheggiò il porto principale dei Mughal, ovvero Surat,
chiedendo per la prima volta il pagamento del “Chaut”(ovvero il 25% delle
entrate della città come protezione dalle incursioni)in territorio Mughal. Altre
incursioni degne di nota furono nei distretti di Baglana, del Khandesh e del
Berar, a nord del Maharashtra e solidamente in mano ai Mughal da vari anni.
L'azione predatoria di Shivaji fu paradossalmente aiutata dai Mughal stessi in
quanto i due comandanti inviati da Aurangzeb per arginare il problema avevano
due visioni diametralmente opposte: Bahadur Khan aveva un atteggiamento
prevalentemente difensivo, voleva proteggere la frontiera, mentre Dilir Khan
aveva un atteggiamento offensivo e cercava battaglie campali lasciando quindi
indifesi molti forti. L'attenzione di Shivaji e dei Maratha si posò anche su
Bijapur, che dopo la morte di Adil Sha II si trovava governata da un re bambino
di appena 5 anni. Per concentrare i propri sforzi su quel regno decadente, Shivaji
negoziò una pace con i Mughal; prima di attaccare doveva alleggerire la
pressione sui confini. I Maratha così conquistarono Panhala e le ricche città
commerciali di Hubli e Satara. Inoltre la piccola ma veloce flotta maratha
assicurava consistenti bottini per cotinuare a finanziare la guerra. Tuttavia
restava solo un altro obiettivo fondamentale per Shivaji: darsi una legittimazione
politica. Nonostante avesse costruito un piccolo regno, una notevole forza
militare e avesse ottenuto il titolo di Raja, era considerato da molti solo un
ribelle o nel migliore dei casi un bandito di successo. Egli faceva parte dei
Sudra, ma per poter ambire all'investitura reale Hindu bisognava appartenere ai
Kshatriya. Questa non era una difficoltà insormontabile; in passato vi erano già
stati numerosi casi in cui erano state rinvenute discendenze divine anche per
membri di caste inferiori. E così Shivaji si scoprì discendente della dinastia di
Mewar, trovando le proprie origini in Rama e Vishnu. La sua discendenza fu
accertata da Gaga Bhat(dietro un lauto pagamento), giunto appositamente da
Varanasi per consacrare Shivaji. I preparativi per la sua incoronazione potevano
dunque iniziare. Questa fu celebrata con grande splendore per molti motivi; non
si trattava solo di incoronare un nuovo re ma di inaugurare un nuovo regno ed
una nuova dinastia, l'inizio di una rinascita politica per l'induismo,
un'incoronazione di un sovrano Hindu in tempi di dominio musulmano.
Personalità da tutta l'India si erano recate a Raigarh per assistere all'evento.
Shivaji fu pesato in relazione ai sette metalli nobili, a delle spezie e generi
alimentari, ed il peso fu donato ai bramani. Shivaji fu fatto immergere nell'acqua
del fiume Ganga, indossò poi un abito bianchissimo, simbolo di purezza. Fu
fatto poi sedere su uno sgabello dorato dove ricevette il rituale
dell'”Abhishekham”, ovvero la consacrazione con acqua sacra. Egli era
circondato dagli “Ashta-Pradhans”, i suoi otto ministri che portavano caraffe
dorate colme di acqua di fiumi sacri e la versarono sulla sua testa e quella dei
membri della famiglia reale. Tutto questo mentre vi erano sacri inni vedici e 16
mogli bramane ciascuna con un vassoio contenente 5 lampade per scacciare
presagi maligni intorno alle loro teste. Dopo tutto questo Shivaji indossò un
vestito rosso scarlatto adornato di gioielli ed entrò nella sala del trono. Mentre
ascendeva al suo scranno reale ottagonale vi erano canti e balli e da tutti i forti
da lui conquistati si spararono colpi di artiglieria per salutare la nascista di un
nuovo regno Hindu. A quel punto Gaga Bhat alzò l'ombrello reale sopra Shivaji
e lo nominò Chhatrapathi.
La politica di Shivaji fu molto particolare e nonostante le profonde differenze di
base in parte ispirata a quella di Aurangzeb. Shivaji era un uomo estremamente
intelligente, dotato di uno sguardo pungente e di una oratoria fenomenale;
diceva sempre le parole giuste al momento giusto, non lasciando spazio ad altre
argomentazioni. Aveva uno stile di vita molto austero, proprio come Aurangzeb,
ad esempio il suo accampamento personale era caratterizzato dalla presenza di
sole due piccole tende, una per se ed una per il suo primo ministro. La sua
moralità era leggendaria; persino Khafi Khan(lo storico/scrittore delle gesta di
11
Aurangzeb) lo esaltava: ”Shivaji combattè strenuamente affinchè fosse
preservato l'onore delle persone nei suoi territori; si astenne totalmente da atti
disdicevoli e si premurò di mantenere salvo l'onore di donne e bambini(anche
musulmani) quando questi cadevano nelle sue mani...... un ordine perentorio
per il suo esercito era quello di risparmiare donne, bambini contadini e mucche
durante i saccheggi, e solo i ricchi(musulmani o Hindu) potevano essere rapiti
per chiedere un riscatto.”
Questo atteggiamento era dovuto sostanzialmente a due fattori: l'intensa
religiosità e l'amore per la madre. Egli aveva un profondo rispetto per le donne,
tant'è che ogni volta che si rivolgeva ad una di loro la chiamava “madre”. Per
quanto riguarda la religione Shivaji aveva una visione molto particolare: da essa
traeva il suo profondo senso del dovere e della necessità di compiere una
missione eroica(ispirandosi molto al Ramayana ed al Mahabharata) ma allo
stesso tempo non era un fanatico od un bigotto( come accusava di essere
Aurangzeb); egli non rinnegò mai di essere un Hindu, tuttavia rispettava
egualmente ogni altra fede. La dimostrazione di ciò è facilmente rintracciabile
nel suo esercito, guidato anche da generali musulmani. Come prova suprema
abbiamo anche la costruzione di una moschea a Raigarh, per consentire agli
islamici di pregare il loro Dio. Allo stesso tempo era aperto anche alle religioni

11Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix paperback, 2003 cit. pag.467
occidentali; ad esempio durante i due saccheggi di Surat proibì che venisse fatto
del male ai padri pellegrini europei. Un'altra delle caratteristiche fondamentali di
Shivaji era senza dubbio il suo acume politico-militare. Si guadagnò più di una
volta l'appellativo di “figlio del diavolo” o “stregone”, poiché riusciva sempre ad
uscire da ogni situazione critica, anche la più improbabile(come ad esempio la
sua fuga da Agra). Anche sui campi di battaglia Shivaji si mostrò profondo
innovatore ed abile pensatore; egli al contrario della maggior parte degli ufficiali
della sua epoca, preferiva evitare scontri campali se non aveva forze sufficienti
ad assicurargli probabilità concrete di vittoria. Egli preferiva attuare delle
innovative tecniche di guerriglia, colpire dove il nemico non se lo aspettava.
Anche quando attaccava città o forti Shivaji seguiva uno schema ben preciso:
nel primo caso saccheggiava le città sprovviste di mura, spesso evitava di
prendere le residenze dei signorotti locali, fuggiva non appena un esercito
nemico si avvicinava; nell'altro caso invece complottava per indurre un servo a
tradire i suoi padroni e fare entrare il suo esercito o attaccava solo in condizioni
di debolezza o divisione interna degli avversari. Ecco dunque spiegato il motivo
per il quale inizialmente il regno di Shivaji fosse molto ricco ma
paradossalmente molto piccolo(circa200-300km). Inoltre Shivaji evitò di
proposito di attaccare o saccheggiare capoluoghi provinciali come Aurangabad o
Burnhapur; facendo ciò avrebbe senza dubbio alcuno provocato una reazione
personale di Aurangzeb ed inoltre avrebbe conquistato territori difficili da
difendere, era molto meglio conquistare o saccheggiare territori ai margini di
quei distretti, dove il potere centrale era più debole e dove vivevano fasce di
popolazione più soggette alle angherie dei Mughal. Per attuare queste tattiche
Shivaji necessitava di un esercito disciplinato e fedele. L'apparato militare era
determinante e lui stesso selezionava ogni singolo uomo da arruolare. All'inizio
il suo esercito era composto prevalentemente da fanteria(in quanto meglio si
adattava al terreno del Maharashtra), in seguito, con un aumento delle
scorribande nelle praterie, la cavalleria divenne dominante.
I soldati provenivano principalmente dalle caste più basse, in particolare dai
Sudra. Vi erano come già detto molti musulmani, soprattutto nella cavalleria e
nei ranghi di comando. Importante infine era anche il ruolo della marina; in
pochi anni Shivaji riuscì a schierare ben 86 navi leggere che saccheggiavano le
imbarcazioni dirette verso la Mecca(facendo ben attenzione a non ostacolare le
navi europee, sopratutto portoghesi, visto il loro ruolo determinante nel
ricostruire una flotta indiana). Il saccheggio era per l'appunto alla base dei piani
di Shivaji ma era estremamente regolamentato. All'inizio di ogni campagna
veniva stilato un elenco degli effetti personali di ogni soldato e al termine veniva
fatto altrettanto. Se venivano trovati beni in eccesso il soldato veniva
severamente punito e ne veniva privato. Il bottino spettava interamente ai
Maratha nel suo complesso, poi era Shivaji a premiare chiunque avesse
compiuto azioni degne di nota. Allo stesso modo però se un soldato veniva
trovato con una quantità di beni inferiore all'inizio, Shivaji compensava. Era un
sistema estremamente egualitario e basato su premi e punizioni. Un ottimo
trattamento era riservato ai capitani in pensione: gli venivano assegnate
gratuitamente delle terre e veniva assicurata la trasmissione ereditaria di queste.
Per evitare però eventuali episodi sediziosi Shivaji impose il divieto di costruire
qualsiasi tipo di mura difensive.
La divisione politica del regno era basata su un sistema a cerchi concentrici. Al
centro vi ero lo “swaraj”, dove Shivaji governava direttamente con
atteggiamento paternalistico; era il nucleo da difendere in assoluto, in quanto se
12
fosse stato colpito dalla guerra “gran parte della popolazione morirebbe di
fame. A quel punto penserebbero che siamo peggiori dei Mughal.”
Il secondo cerchio invece costituito da aree non governate direttamente da
Shivaji, che dovevano pagare un tributo(Chauth). Oltre vi era il terzo cerchio
dove vigeva l'anarchia, l'area designata da Shivaji per essere oggetto di
saccheggi. Per quanto riguarda l'aspetto amministrativo, Shivaji era affiancato

12Abraham Eraly, The Mughal throne, phoenix papaerback, 2003 cit. pag.469
da un consiglio di otto ministri(“Ashta- Pradhans”) presieduto da un “Peshwa”.
Il sistema fiscale si ispirava a quello Mughal, ma il sistema di calcolo delle
quote non era basato su una serie di rilevazioni storiche, bensì sulla produzione
attuale. Il fondamento dell'operato di Shivaji era l'efficienza; egli arrivò
addirittura a rendere i religiosi responsabili delle spese per la conservazione dei
templi, rimuovendo dall'incarico chiunque si appropriasse dei fondi o li
spendesse in altre attività. Nell'ottica di Shivaji tutti erano parte di un grande
meccanismo, e questo doveva essere ben oliato e funzionante per produrre dei
risultati. Prese a cuore anche gli indigenti, aprendo dei ricoveri.
Infine Shivaji tentò di riproporre il modello politico tipico degli Hindu,
promuovendo nuovamente lo studio del sanscrito ed utilizzandone le
nomenclature per l'amministrazione(compilando un dizionario, il “Raja-
vyavahara-kosa”) e promosse la lingua marathi come lingua di
corte(abbandonando il persiano). Particolarmente lodevole fu il tentativo di
rinvigorire la cultura Hindu, lo studio dei classici e la produzione letteraria:
durante il mese di Shravan(corrispondente alll'inizio della sospensione delle
attività militari), Shivaji invitava a corte eruditi bramani da tutta l'India, affinchè
potessero dimostrare le loro conoscenze e superare alcuni test preparati dal
Pandit Rao(il ministro ecclesiastico). Chi li superava otteneva ricchi doni; molti
tornavano ai loro luoghi di provenienza con il compito di insegnare nuovamente
la tradizione Hindu, i migliori invece(astronomi e studiosi dei Veda soprattutto)
restavano a corte. Da non dimenticare era anche il profondo rispetto per gli
islamici; Shivaji aveva letto il Corano e promuoveva la costruzione di moschee
per i sudditi musulmani, facendosi dunque portatore di un messaggio inclusivo e
dimostrandosi un sovrano illuminato.

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