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TRA I PANNI STESI:

LA TERRAZZA COME SPAZIO CINEMATOGRAFICO


di Raffaella de Antonellis

Lo scrittore francese George Perec nel suo libro Espèces d'espaces, del 1974, esponeva la
sua impressione che lo spazio fosse più addomesticato e inoffensivo del tempo e, a
dimostrazione di ciò, constatava che si incontrano dappertutto persone che portano degli
orologi (forse oggi soppiantati dai cellulari) e molto raramente delle persone provviste di
bussole.1
Forse nella nostra quotidianità diamo per scontato lo spazio e ci preoccupiamo di controllare
di piú il tempo. Questo fenomeno sembra verificarsi anche nella teoria e nella critica
cinematografica. Le riflessioni sul ruolo che la dimensione spaziale svolge nella costruzione
del linguaggio cinematografico non sono mai state molte, forse per il fatto che i teorici di
questo campo considerano il cinema come arte del tempo. Ma se lo stesso termine
cinematografia inscrive il concetto di ‘cinesi’, di movimento che si sviluppa nel tempo, non
dovrebbe neanche ignorare che questo movimento si svolge in uno spazio. Se analizziamo la
bibliografía sulla settima arte è difficile trovare studi totalmente dedicati a questo tema. Tra
gli scarsi titoli di questo tipo risalta una triade di produzione francese. Il primo studio risale
al 1978: si tratta di L'espace cinématographique, di Henri Agel, professore delle Università
di Montpellier e di Friburgo e critico cinematografico. Sono stati necessari quindici anni
perché lo scrittore e professore dell’ Universitá di Lione André Gardiès si interessasse al
tema e scrivesse L'espace au cinéma. Infine nel 1999, lo scrittore e critico di cinema Louis
Seguin pubblicò L'Espace du cinéma. Hors-champ, hors-d’oeuvre, hors-jeu.

Il mio percorso di ricerca si rivolge a questo ambito identificando l’esistenza di spazi


cinematografici privilegiati, con una forte valenza simbolica e particolari caratteristiche
estetiche: il bagno pubblico (analizzato durante il dottorato), le scale condominiali (progetto
di post-dottorato), le finestre (di cui mi sono occupata in un congresso) e oggi le terrazze.
Luoghi o spazi ad alta densitá direi il cui studio dovrebbe portare a una “cinematopografia”.
Forse questo non è il termine piú adeguato perché rimanda a un affanno di identificazione

1
George Perec, Especies de espacios, p. 127.
geografica dei luoghi. A questo proposito esistono pagine web dedicate allo specifico
compito di ritrovare le location dei film nello spazio urbano. Il mio lavoro si orienta
diversamente verso la valutazione del peso che questi set selezionati dai registi hanno
all’interno della narrativa cinematografica.

Finora abbiamo utilizzando i termini ‘spazio’ e ‘luogo’ forse un po’ indistintamente e


confusamente. Saltando la discussione teorica sull’utilizzo di questi due termini2, va detto
che a prescindere dell’adozione di uno o di un altro secondo gli autori esiste la tendenza a
considerare due tipologie. Io condivido la scelta del teorico e filosofo Michel de Certeau che
definisce un luogo come una disposizione ordinata, secondo la quale gli elementi si
distribuiscono in relazioni di coesistenza: una configurazione istantanea di posizioni che
implica un’ indicazione di stabilità. Per contro lo spazio sarebbe l’incrocio di mobilità con i
propri vettori di direzione e le proprie velocità. La relazione tra lo spazio e il luogo secondo
questa prospettiva sarebbe dunque comparabile alla relazione che esiste tra la lingua e la
parola cosí come la intende la linguistica saussauriana. Lo spazio sarebbe quindi un luogo
praticato: in questo modo la strada, per esempio, geometricamente definita dall’urbanismo,
si trasforma in spazio per l’intervento dei camminanti. 3
La scelta degli spazi cinemtografici che mi è capitato di analizzare si rivolge a spazi pubblici,
nel senso di non privati, ma nel caso delle terrazze, cosí come delle scale, il mio interesse va
a degli spazi che hanno un’accessibilità limitata ai frequentatori di un determinato edificio.
In questo senso ci viene utile adottare la metafora della cipolla que W.L Weinstein utilizza.
Cosí come in una cipolla uno strato che è esterno ad un altro strato sarà anche interno ad un
terzo strato, qualcosa che è pubblico in relazione a una sfera della vita, può essere privato in
relazione ad un’altra” 4E nel nostro caso delle terrazze quest’ aerea condominiale pubblica
per gli abitanti dell’edificio si fa privata per i non abitanti di un determinato caseggiato che
accedendo ad essa ne infrangono la sua natura di spazio esclusivo.

2
Per un approfondimento sulle diverse concezioni di ‘spazio’ e luogo’ rimando al capitolo 2.1 della mia tesi
di Dottorato No purgatório do cinema : o banheiro público como espaço fílmico.
3
Michel de Certau, L’invention du quotidien, p.129
4
Weinstein, W. L. , 'The private and the free: a conceptual inquiry', Privacy, volume XIII di NOMOS. Yearbook
of the American Society for Political and Legal Philosophy.p.307
La scrittrice messicana Valeria Luiselli5, in un articolo dedicato alla relazione tra avanguardie
artistiche messicane e la ‘azotea’, parla delle terrazze messicane come specie di patii
all’aperto, meno visibili dai vicini e di più difficile accesso per i visitanti, e nel contempo
spazi dove i capi privati si fanno pubblici. Luoghi eterotopici utilizzati da artisti e intellettuali
borghesi, scrittori, pittori e fotografi, soprattutto negli anni Venti del XX secolo, per svolgere
attività trasgressive e sviluppare le loro produzioni creative. In Italia le terrazze, tipiche
dell’architetura mediterranea, sono state usate come location cinematografica con alcune
caratteristiche simili. Si tratta di aree di uso condominiale poco frequentate, ideali per
svolgere attività illecite e fare dichiarazioni compromettenti, nascondendosi tra i panni stesi
ad asciugare in uno spazio elevato dove non si è visti ma dal quale si può osservare. Il
presente intervento vuole analizzare la funzione e le caratteristiche di questo spazio
cinematografico attraverso tre film italiani di epoche diverse: I soliti ignoti, di Mario
Monicelli (1958), primo esempio di ‘commedia all’italiana’6, Una giornata particolare, di
Ettore Scola (1977) e Into Paradiso, di Paola Randi (2010).

Nel film di Monicelli la terrazza è lo spazio della pianificazione di un ‘colpo’ dove i cinque
componenti di una banda criminale, tra i quali riconosciamo i famosi attori Vittorio Gassman
e Marcello Matroianni, stanno prendendo lezioni da Dante Cruciani, esperto in apertura
cassaforti nonché agli arresti domiciliari, interpretato da un magnifico Totò. L’inquadratura
iniziale ci restituisce una visione ampia della terrazza dove alcuni pilastri e una trave
inquadrano i quattro alunni di spalle attenti al discorso del ‘professionista’ che si trova in
fondo, dando lui le spalle al paesaggio ferroviario suggerito anche dai rumori di fondo. La
lezione è risolta con un palleggio di campi e controcampi tra le inquadrature del maestro e
quelle degli alunni. Quando tocca agli alunni una finestra apre una breccia su di un muro
periferico offrendoci uno scorcio della periferia urbana. La sessione didattica viene interrotta
dalle urla di ragazzi che dalla piazza avvisano Dante che sta arrivando il controllo del
brigatiere. Si tratta di uno scherzo che ci dà occasione di collocare la terrazza nell’alto di un
edificio a gran distanza da quello che succede per strada. La seconda parte della lezione vede

5
Valeria Luiselli, “Intrusos en los cuartos de azotea: el origen invisible de la vanguardia cultural en la Ciudad
de México”, The Guardian, https://www.theguardian.com/cities/2015/nov/06/intrusos-cuartos-azotea-
vanguardia-cultural-ciudad-de-mexico
6
Genere cinematográfico svilupatosi in Italia tra il 1958 ela fine degli anni ’70 per mettere a nudo i vizi e le
virtù degli italiani di quegli anni.
il professore integrato al gruppo dei suoi studenti. La terza fase è quella delle esercitazioni
nella quale intervengono due elementi scenografici: la cassaforte, oggetto di studio, e delle
lenzuola con funzione di sipario. Dietro i panni è nascosto infatti il pesante mobile metallico.
Si riprende l’alternanza di campi e controcampi che ritraggono il docente e i suoi discenti.
Un’altro avviso di ispezione arriva da una voce dalla strada ma stavolta non si tratta di una
presa in giro e mentre il brigatiere sale a ispezionare la banda fa in tempo a improvvisare il
suo teatrino, cantando, fingendo di stendere i panni e soprattutto occultando un’altra volta la
cassaforte con il lenzuolo-sipario. A quanto pare i panni sporchi si lavano in famiglia. La
terrazza con la sua orizzontalità è un set in principio spoglio che in questo caso è riempito da
elementi verticali e orizzontali come i pilastri, le travi, la parete, i panni, i fili e la cassaforte.
Sono proprio le lenzuola, biancheria che si riferisce alla dimensione intima, a ‘privatizzare’
la cassaforte occultandola alla visione delle istituzioni. Una barriera precaria e improvvisata,
soggetta ai movimenti del vento, e non casualmente candida, che preserva la clandestinità
del luogo. Si potrebbe chiaramente parlare di un uso del fuori campo. L’autore che ha studiato
di piú questo aspetto del linguaggio cinematografico è senza dubbio Noël Burch. Per Burch
se il "campo" é costituito da tutto quello che il nostro occhio percepisce sullo schermo, lo
spazio che rimane fuori da questo campo è di natura più complessa. Secondo questo teorico
francoamericano, il ‘fuori campo’si divide in sei segmenti: i primi quattro sono i confini
immediati dei quattro margini dell’inquadratura, e corrispondono a quattro facce tronche di
una piramide immaginaria, che sarebbe proiettata nello spazio circostante. Nel caso dei
segmenti superiori e inferiori il fuori campo interviene solamente nel caso di una ripresa
dall’alto verso il basso e viceversa. Il quinto segmento è quello che sta dietro la macchina da
presa mentre il sesto comprende tutto quello che si trova dietro la scena o dietro qualche
elemento di cui è costituita. È quello che succede, per esempio, quando un personaggio esce
da una porta o si nasconde dietro qualcosa ed esattamente quello che si trova dietro le
lenzuola delle nostre terrazze. Presentare un fuori campo, talvolta associato a un campo
vuoto, privo di personaggi, è un modo molto più intrigante e allusivo di presentare certe
situazioni narrative rendendole piú originali, eccitanti, misteriose e a volte ironiche.7

7
Cfr. Raffaella de Antonellis, op. Cit., Cap. 2.3.
Sempre tra i panni stesi si svolge la scena cruciale tra Antonietta, casalinga e fervente fascista,
e Gabriele, intellettuale omosessuale antifascista, nel film Una giornata particolare. Il titolo
fa riferimento al giorno del 1938 in cui per la visita di Hitler a Roma, un edificio di
appartamenti si svuota lasciando in casa solo questi due personaggi così distanti per cultura
e ideologia ma permettendo l’incontro delle loro solitudini. Una carrellata verso sinistra
rivela il triplice schermo creato dai panni: la biancheria intima in primo piano, calze e
mutande, le lenzuola che la protagonista ritira dal filo assieme ai capi rotti che la stessa simula
non essere suoi per poi ritirarli appena il suo interlocutore si distrae, e le lenzuola grandi
come panno di fondo. Nell’inquadratura successiva i panni al vento sono perpendicolari allo
spettatore e fili e pali vi creano un reticolato. Dopo una discussione sul consenso al regime e
l’uso dei pronomi personali Gabriele si apparta e Antonietta tra i panni-schermo domanda
“ve ne siete andato?” (con il voi di prassi fascista). Gabriele riemerge da dietro un lenzuola
fasciando la donna con lo stesso lenzuolo, provocando le risate di lei mentre la macchina da
presa si alza a inquadrare tutta la terrazza con il suo pavimento a fasce piastrellate e le linee
diagonali dei panni al vento. In sottofondo la radio, la voce del mondo esterno, con la cronaca
dell’incontro tra il Duce e il Fuhrer. Ora è Antonietta a ritrarsi circolando tra i panni e
lamentandosi delle avances dell’uomo. Sul muro uno stendardo rosso contenente la svastica
contrasta con il pallore degli altri tessuti. Gabriele aiuta Antonietta a piegare un lenzuolo che
è l’elemento che misura la loro distanza che si accorcia a ogni piega mentre la macchina da
presa abbassa il suo punto di vista per mostrarci le due sagome di profilo al centro tra due
lenzuola ma è attraverso i primi piani che lei rivela il suo amore e lui la sua omosessualitá. È
sulla terrazza, fuori dai rispettivi spazi domestici, che i due personaggi possono raccontarsi
la verità, di quello che sentono e quello che sono, spogliati dai ruoli che lo spazio familiare
e sociale gli impone. Togliere i panni è un’azione che rispecchia quella di svelare, togliere
dei veli alle apparenze. Un duplice gioco di specchi se pensiamo che lo schermo
cinematografico non è che un lenzuolo dove si proiettano immagini.

Nella commedia napoletana di Paola Randi Into Paradiso la terrazza non rappresenta lo
scenario di una scena determinata ma ritorna in diversi momenti del film. A ritrovarsi sulla
terrazza di un palazzo abitato da una comunità cingalese sono tre personaggi: un ex campione
di cricket che dallo Sri Lanka arriva in Italia con grandi aspettative ma con l’amara sorpresa
di dover fare il badante, un biologo disoccupato (Alfonso) e un politico, questi ultimi due per
nascondersi da un boss camorrista. La funzione principale di questa terrazza è quindi quella
di rifugio, dentro il paradiso, come recita il titolo napoletano. La terrazza fornisce il vantaggio
di controllare la situazione sottostante, in questo caso, dei ragazzi appostati a controllare la
strada, ma vedremo che diventa scenario di presentazioni, discussioni, collutazioni, tentati
suicidi, meditazioni, balli, lezioni di cricket, preparazione di pranzi e spazio per
l’immaginazione. Questa terrazza anche un po’ squallida con una baracca abitabile e un
groviglio di antenne in un contesto urbano piuttosto fatiscente si trasforma in luogo
contemplativo nella scena notturna nella quale volano i palloncini illuminati della festa degli
‘indiani’, cosí come approssimativamente li definisce Alfonso. Nella scena piú lunga che si
svolge sulla terrazza Alfonso si mette dei tappi alle orecchie e al ritmo di una musica
percussiva assistiamo alla messa in scena della sua immaginazione simulando una possibile
e disastrosa confessione alla polizia. Lo stesso succede piú avanti quando Alfonso immagina
uno scenario notturno e indiano dove sta bevendo con la bella Giacinta. In questa fase un
lavoro serrato di montaggio con il sottofondo del valzer alterna le immagini della sua
immaginazione all’irruzione violenta dei camorristi nel palazzo. La macchina da presa
inquadra dal basso (il tentato suicidio e il salvataggio), dall’alto (quando Alfredo si lascia
guidare da Giacinta in un massaggio- mediazione rilassante). Sulla terrazza si creano legami
di amicizia e amore interraziali.

A differenza delle terrazze alle quali il cinema statunitense ci ha abituati dove oltre agli
incontri degli amanti e ai tentati suicidi c’é sempre chi vuole scappare e usa questo spazio
come trampolino per saltare su altre terrazze della giungla urbana, la terrazza italiana è uno
spazio di contenzione. Nella scena dell’immaginazione di Alfonso, il poliziotto gli suggerisce
di scappare attraverso i tetti ma è un’ipotesi che il personaggio non considera minimamente.
La terrazza italiana è uno spazio confortante, protettivo e rivelatore. Nella sua semplicità
scenografica mette a nudo i piani, i desideri, le paure e le fantasie di chi la cammina.
Concludo quindi ponendomi una domanda. Se nel mio studio sui bagni pubblici affermavo
che questo spazio funge da purgatorio del cinema, sarà invece la terrazza, raggiungibile dopo
un percorso di ascensione, il suo rispettivo paradiso? Forse Paola Randi intitolando così il
suo film si stava ponendo la stessa domanda e ne ha dato già una risposta.
BIBLIOGRAFIA

Agel, Henri, L'espace cinématographique. Paris, J.P.Delarge, 1978.

Burch, Noël. Praxis del cine. Madrid, Editorial Fundamentos, 1985.

de Antonellis, Raffaella, No purgatório do cinema : o banheiro público como espaço fílmico,


tesis de Doctorado. Niterói, Univedsidade Federal Fluminense, 2016.

De Certau, Michel, L’invention du quotidien. Paris, Gallimard, 1990.

Gardies, André, L’espace au cinéma. Paris, Méridiens Klincksieck, 1993.

Luiselli, Valeria, “Intrusos en los cuartos de azotea: el origen invisible de la vanguardia


cultural en la Ciudad de México”, The Guardian,
https://www.theguardian.com/cities/2015/nov/06/intrusos-cuartos-azotea-vanguardia-
cultural-ciudad-de-mexico

Perec, George, Especies de espacios. Barcelona, Montesinos, 1999.

Seguin, Louis. L’Espace au cinéma (Hors-champ, hors-d’oeuvre, hors-jeu). Toulouse,


Editons Ombres, 1999.

Weinstein, W. L. , 'The private and the free: a conceptual inquiry', Privacy, volume XIII di
NOMOS. Yearbook of the American Society for Political and Legal Philosophy. New York,
Atherton Press, 1971.

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