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"Futura lezione di vita: la nostra vita non è un sogno - ma deve diventarlo e forse
lo diventerà".
Novalis 1772-1801.
L'arte del sognare è il secondo sistema pratico degli insegnamenti toltechi. Mentre l'arte
dell'agguato è accessibile a tutti gli esseri umani, la pratica del "sognare" dei Toltechi è
piuttosto un ambito esclusivo degli stregoni, poiché attraverso l'esercizio di quest'arte si
apre loro il vero mondo della stregoneria. In questo campo rientrano pertanto tutte
quelle azioni ed eventi che accadono al di là del tempo e della realtà comuni, come per
esempio stati di consapevolezza alterati, sogni, visioni e imprese inconsuete dello
stregone, che sfidano la ragione comune.
Don Juan chiama il primo passo "l'arrangiare il sogno". Spiega al suo allievo:
"Arrangiare il sogno (...) significa, avere un controllo preciso e pragmatico sulle
circostanze generali di un sogno, confrontabile al controllo di ogni decisione che si
prende nel deserto, per esempio se si vuole scalare un monte o rimanere all'ombra in
una gola. Devi iniziare con qualcosa di molto semplice (...). Questa notte, in sogno,
devi guardare le tue mani".
Più di dieci anni orsono appresi io stesso l'arte del sognare e circa due anni dopo
cominciai a insegnare ad altre persone questo utilizzo dei sogni attivo e
consapevole.
Guidavo un gruppo di otto persone di entrambi i sessi, quattro delle quali
riuscirono dopo un periodo da tre a otto settimane a guardare nei loro sogni
consapevolmente le mani.
Ad un altro riuscì solo dopo anni di sforzi vani di penetrare nello stato del
"sognare". I suoi primi tentativi erano falliti per causa di sogni molto vivaci.
A due delle otto persone non riuscì affatto l'accesso al sognare. I due avevano
già dall'inizio lo stesso problema; ricordavano di rado o non ricordavano affatto i
loro sogni notturni.
Pare che la generale capacità mnemonica dei sogni normali sia un parametro per la
pratica apprendibilità dell'arte del sognare, poiché le persone che imparavano a
sognare in tempo più breve, in genere ricordavano bene i propri sogni.
Una donna del mio gruppo non dovette neanche imparare a sognare secondo la
maniera tolteca, in quanto, con lo stupore di tutti, sognava naturalmente in
questo modo consapevolmente controllato.
Nel corso del tempo ebbi modo di fare ancora ulteriori esperienze con altri praticanti
dell'arte del sognare, che confermano a loro volta la suddetta distribuzione. Persone
che posseggono una buona capacità di ricordare i normali sogni notturni, imparano
spesso facilmente e senza problemi l'arte del sognare; i primi successi si presentano
nella maggioranza dei casi già dopo i primi due mesi dall'inizio dei primi tentativi.
Vi sono tuttavia anche delle eccezioni, per cui la struttura interiore dell'episodio onirico
ostacola l'accesso consapevole al sognare. Persone che si ricordano solo raramente o
persino non si ricordano mai dei propri sogni, non riescono generalmente ad accedere
al sognare. Queste persone devono prima "adescare" i propri sogni, il che significa che
devono prima ripristinare la generale capacità mnemonica dei sogni, se vogliono ancora
ottenere un successo. Ciò è reso possibile per esempio dalla continua annotazione di
tutte le reminiscenze - anche frammentarie - del sogno, il che deve avvenire subito
dopo il risveglio. Attraverso queste scrupolose annotazioni la capacità mnemonica dei
sogni viene spesso considerevolmente rinforzata ed un successo nella pratica onirica
tolteca è ugualmente prevedibile.
Io stesso faccio parte del primo gruppo, poiché posseggo da sempre una sviluppata
capacità di ricordare i miei sogni notturni. Non mi fu difficile guardare le mani durante i
sogni. Già poco tempo dopo aver letto di quest'esercizio in "Viaggio ad Ixtlan"
registravo i miei primi successi. La maggior parte di essi veniva normalmente introdotta
attraverso eventi onirici assurdi, grazie a cui prendevo coscienza di trovarmi in un
sogno e non nel mondo normale della percezione. Non appena mi fu chiaro ciò guardai
le mie mani. Non saprei come definire in maniera precisa la sensazione che provai
all'inizio durante l'esercizio.
I miei primi esperimenti nell'arte del sognare, si limitavano al semplice esercizio del
guardare-le-mani, che veniva costantemente alternato con l'osservazione di un preciso
aspetto dello sfondo del sogno. Inizialmente mi riuscì di guardare le mani sino a dieci
volte durante tali sogni; questi stati perduravano secondo la mia soggettiva concezione
del tempo fra i due ed i dieci minuti. Ma con l'incremento dell'esercizio questi stati si
allargavano in senso temporale ed io avevo frequentemente la sensazione di aver
passato più di mezz'ora in questa condizione onirica consapevole. I successi
aumentavano anche numericamente, cosicché in certe notti arrivavo ad essere in uno
stato di sogno sino a cinque volte.
Voglio esporre ora in modo esemplare un sogno di questo tipo; non perché costituisca
qualcosa di particolare, ma poiché è in realtà abbastanza tipico per questa fase di
apprendimento iniziale.
Mi trovavo sulla vecchia roccaforte di una città vicina al mio piccolo paese natio.
Improvvisamente notai che - come stavo lì in piedi - così ero sospeso da terra
con entrambe le gambe. I miei piedi non toccavano terra. Allora compresi che
stavo evidentemente sognando. Guardai quindi le mie mani sino a quando
l'immagine non iniziò a diventare sfuocata e confusa. Poi diressi il mio sguardo
verso l'ambiente circostante. In lontananza vidi una chiesa che offriva uno
spettacolo molto comune, esattamente come se fossi veramente nel luogo del
mio sogno. Il mio sguardo si volse verso una vicina rovina delle vecchie mura di
fortificazione, quando percepii una diminuzione della lucidità della mia
consapevolezza. Il mio sguardo ritornò pertanto alle mani e istantaneamente la
mia consapevolezza venne rigenerata ed era acuta come prima. In seguito diressi
lo sguardo nelle più immediate vicinanze. Osservai una panchina che si trovava
proprio davanti a me. Intorno ad essa crescevano diverse piante ed erbe,
riconobbi così per esempio alcune varietà d'aglio e diversi garofani. Il mio
sguardo passò ancora molte volte dalle mie mani e da altri elementi della scena
prima che perdessi il controllo e l'intero procedimento terminasse in un sogno
comune.
Nel mio caso gli stati onirici consapevoli si concludono in genere in sogni normali o in
un sonno profondo. Ci sono però anche sognatori che si svegliano immediatamente
dopo queste esperienze. Ma questa variante risulta generalmente alquanto
problematica, poiché il principiante si sveglia spesso subito dopo il primo guardare le
mani e non permane nel nuovo stato di consapevolezza. Questi problemi tutt'altro che
rari possono essere superati solo con un'ampia esercitazione; questo vale anche per
simili difficoltà iniziali.
L'apprendimento del sognare è analogo sotto questo aspetto ad altri processi di
assimilazione, come per esempio imparare a camminare o a parlare, che non si
possono dominare da un giorno all'altro.
È sempre necessario nella nostra vita un grande investimento di energia propria per
imparare una qualsiasi cosa nuova, ed il processo di apprendimento necessita a sua
volta sempre di un certo periodo di tempo.
Il primo passo nell'apprendimento del sognare è tuttavia compiuto, quando le scene del
sogno non cambiano più e quando vengono percepite come fisse e reali analogamente
al nostro mondo normale.
Segue quindi il 2° passo, che confronta il sognatore con il problema del movimento in
sogno, ossia, il praticante deve imparare a recarsi volontariamente in determinati
luoghi. Deve apprendere a viaggiare con la sua attenzione neo-acquisita - la seconda
attenzione. Per fare ciò bisogna recarsi durante il sognare ad un posto specifico
previamente scelto. Ma nel regno della seconda attenzione esiste una vera infinità di
possibilità di movimento. Si possono per esempio imparare, diversi tipi di volo, o anche
determinate tecniche del "cambio di scena". Tali tecniche consentono al sognatore di
cambiare da una scena del sogno ad un'altra scena desiderata, il che avviene poi in
una frazione di secondo.
Ogni sognatore sviluppa le proprie tecniche, giacché il sognare è un fenomeno pratico
che non è accessibile solo attraverso parole chiarificatrici. Anche don Juan sottolinea
questo status quo: "Ogni guerriero ha un suo modo di sognare. Ogni modo è distinto.
L'unica cosa che abbiamo in comune è il dato di fatto che proviamo ad usare dei
trucchi per abbandonare la ricerca. L'unico antidodo consiste nel persistere nonostante
tutte le barriere e tutte le delusioni".
Anche questo secondo passo dell'apprendimento non fu un problema per le persone del
nostro gruppo che avevano imparato a sognare. Tutti erano d'accordo nell'affermare
che l'esperienza di questo sognare arricchito del movimento era assolutamente
straordinaria. La realtà sentita nello stato di sogno consapevole, superava perfino
quella della percezione comune. Durante il sogno si hanno delle fantastiche e quasi
illimitate possibilità di senso e di percezione, cosicché il "Cyberspazio" dell'odierna era
dei computer appare al confronto infantile e pasticciato. Così nella "realtà virtuale" del
sognare, l'antico sogno dell'uomo di sognare senza alcun ausilio, diventa per il
sognatore una realtà concreta e vissuta. Dico "realtà", in quanto è l'unico termine
appropriato per l'inaudita esperienza di una concreta avventura, come per esempio
quella del volo sopra case e campi.
Parte del secondo passo del sogno, l'esercizio del movimento, è anche il
"coordinamento del tempo del sogno". Il sognatore deve imparare a mettere in
armonia il tempo in cui dorme e sogna con il tempo in cui sogna consapevolmente. Ciò
significa in concreto che, se si sogna di notte, allora anche la scena del sogno deve
ugualmente essere notturna; e, quando si sogna di giorno, altrettanto di giorno deve
essere il sogno. In pratica ciò significa inoltre per il sognatore che deve abbandonare la
fissa routine del regolare sonno notturno se vuole godere della luce del giorno nel suo
sogno. Questa è una variante del non-fare delle routine che abbiamo già conosciuta nel
capitolo 4.3. I diversi modi del non-fare hanno in generale un grande significato per il
praticante dell'arte del sognare, cosa che vedremo ancora nel capitolo 5.3.
Quando dico che i sognatori stessi decidono la scena del proprio sogno non significa
che essi abbiano un influsso diretto sullo sfondo del sogno o che costruiscano con la
fantasia la scena del sogno, bensì significa qualcosa di molto simile ad una "scelta",
come se si scegliesse tra un biglietto del treno per Amburgo o per Monaco di Baviera.
Monaco rimane sempre Monaco e una scena del sogno rimane una scena del sogno,
con la differenza che i sognatori toltechi possono scegliere la loro scena, il che è
impossibile al sognatore comune.
Don Juan spiega il generale principio secondo cui i sognatori scelgono l'argomento e il
luogo dei loro sogni così: "La spiegazione degli stregoni, su come si scelga un tema per
il sogno, dice che un guerriero sceglie un argomento fissando volontariamente
un'immagine davanti al suo occhio interiore mentre arresta il suo dialogo interiore. In
altre parole, se per un attimo riesce a smettere di parlare con se stesso e se in seguito
riesce a fissare l'immagine o l'idea che vuole vedere in sogno, anche se solo per un
momento, allora gli apparirà l'oggetto desiderato".
Questo metodo rappresenta nella pratica un grande aiuto. Se per esempio scopro nel
mondo normale un particolare paesaggio a cui mi piacerebbe ritornare durante il
sogno, osservo semplicemente questo panorama e arresto il mio dialogo interiore. In
questo modo il corpo assorbe profondamente le immagini vedute per poi riprodurle
durante lo stato onirico.
Lo stesso principio lo applico anche alle fotografie, ai disegni e simili, il che mi permette
di visitare nei miei sogni anche altri posti di questo mondo, dove non sono mai stato
con il mio corpo fisico. La scena registrata emerge dunque durante il mio sogno ed io
posso agire in essa come se fossi di fatto fisicamente in quel luogo.
Questo metodo è redatto nella tecnica tolteca del "fissare con lo sguardo", che
illustrerò nel capitolo 5.3 come una specie di tecnica del non-fare per sognatori. I
sognatori si servono del "fissare", una particolare maniera di guardare le cose, per
ritrovare nei propri sogni l'oggetto osservato - quale che sia. L'allievo di Castaneda
Richard Yensen, che divenne il mio benefattore, mi mostrò inoltre un metodo per
affinare questa tecnica. Quando si osserva una scena prescelta per sognare si può
migliorare il risultato attraverso una respirazione particolarmente intensa. Si immagina
di inspirare profondamente la scena osservata - un procedimento che tiene pienamente
conto del potere magico della nostra respirazione e che per esperienza propria è molto
efficace ed utile.
L'intero secondo passo dell'arte del sognare, l'apprendimento del viaggiare e del
movimento, è la conseguente preparazione al terzo e più complicato livello: la
separazione dal sosia. Il secondo passo coordina il sognare con il mondo normale, e
questo coordinamento di tempo e spazio deve consentire ai sognatori di impiegare i
loro sogni praticamente, ossia nel mondo normale. Ciò avviene con l'aiuto del sosia,
detto anche l'altro sé. Nestor, allievo di don Genaro, afferma a riguardo: "Un sosia è
l'altro, il corpo che si riceve mentre si sogna. Ha lo stesso aspetto di noi stessi".
Durante il sognare si ha pur sempre un corpo, che non è però forzatamente identico a
quello fisico, poiché può volare, passare attraverso le pareti e compiere altre cose
inimmaginabili. I Toltechi chiamano questo corpo semplicemente "corpo del sogno". Il
sosia è a sua volta un corpo del sogno, che però è l'esatta copia di quello fisico. Il sosia
non agisce semplicemente in un sogno qualunque o nei sogni consapevoli, ma nel
normale mondo fisico. Un sognatore esperto non proietta difatti il proprio corpo del
sogno solo in qualunque sogno a scelta, ma lo richiama anche nel mondo quotidiano.
Il terzo passo dell'arte del sognare non può però essere guidato consapevolmente o
perfino accelerato come nel caso dei primi due; anzi, il terzo passo comincia con un
sogno molto speciale, che chiude il processo di apprendimento dell'arte del sognare.
Durante questo sogno il sognatore vede in genere se stesso mentre è a letto e osserva
come dorme il suo sé normale. Invece di svegliarsi, il sognatore, che si trova ora nel
suo doppio, si dedica ad una qualunque attività. Può quindi agire come se fosse nel suo
corpo normale. Tuttavia ciò non significa che il sosia possegga fondamentalmente le
stesse capacità del corpo normale. Per esempio non può né mangiare né bere. In
cambio è dotato di tutte le originali facoltà del corpo del sogno; può volare e passare
attraverso le pareti; inoltre ha la sorprendente abilità di trasformarsi in qualsiasi forma
di vita, in animali o piante. Torneremo su queste capacità del sosia, o rispettivamente
del corpo del sogno, e su tutte le sue ulteriori possibilità nel prossimo capitolo, dove ci
sarà anche spazio per alcuni esplicativi esempi pratici.
Nel nostro gruppo soltanto in due hanno raggiunto finora questo livello dell'arte del
sognare; uno dei miei compagni ed io. In entrambi i casi sono passati, svariati anni di
esercitazione pratica fra l'apprendimento dei primi passi ed il conseguimento del sosia.
Questo evidenzia la serietà dell'esercizio del sognare, che non è una fantasticheria, ma
un impegnativo apprendimento pratico di una forma di percezione che appartiene
inequivocabilmente alle possibilità della consapevolezza umana. Queste potenzialità
vengono però raramente sviluppate, sia che questo accada per timore dell'immensità di
un'esperienza extracorporea o semplicemente per ignoranza. Per i Toltechi il
raggiungimento di una tale consapevolezza rappresenta una sfida basilare, che vale la
pena di affrontare proprio per via dell'alto grado di difficoltà.
In chiusura vorrei soffermarmi ancora una volta sulla speciale energia, che - come
detto inizialmente - è necessaria per il sogno consapevole. Quest'energia è la nostra
essenziale energia vitale, che i Toltechi definiscono correttamente "energia sessuale".
La concezione tolteca di energia sessuale collima ampiamente con l'interpretazione
psicologica della cosiddetta "libido" come impulso vitale motivato sessualmente. Che
tutta la nostra energia vitale sia di natura sessuale risulta dal semplice dato di fatto che
la nostra vita nasce attraverso un atto sessuale. La prima scintilla di consapevolezza ha
origine nell'istante della procreazione, quando energie maschili e femminili si fondono
insieme creando un nuovo essere vivente. Quest'energia sessuale è di conseguenza
anche l'energia della nostra consapevolezza.
I sognatori devono quindi - per avere successo nella loro arte risparmiare la loro
energia sessuale per poi dirigerla altrove. Regolare l'energia sessuale significa evitare
l'inutile consumo dell'energia della consapevolezza durante le proprie attività
quotidiane. Ciò si ottiene soprattutto attraverso le diverse tecniche del non-fare, ma si
consegue altrettanto anche mediante l'utilizzo dei sette principi dell'agguato. Tutte
queste tecniche portano ad una relazione più consapevole con la nostra vita e dunque
anche ad una relazione più consapevole con l'energia vitale.
"Il sogno ci istruisce in uno strano modo sulla facilità della nostra anima a
penetrare in qualsiasi oggetto - a trasformarsi immediatamente in esso".
Novalis 1772-1801
Dopo le delucidazioni del precedente capitolo potete farvi forse una vaga idea del
"sognare" dei Toltechi. Ma nella pratica Parte del sognare rappresenta un campo
talmente immenso, che risulta difficile fare un quadro concreto della sua reale portata.
L'arte del sognare comprende difatti per definizione un ambito più vasto dell'arte
dell'agguato. Chi si ricorda del campo di definizione dell'agguato obbietterà, forse
meravigliato, che ciò è impossibile, poiché l'agguato include tutte le possibili cose e
azioni del mondo normale - e in questo caso si riunisce alla fin fine una gran quantità di
cose. Il sognare va però molto più in là. La seguente citazione offre una vaga idea di
queste dimensioni, qui Zuleica, compagna di don Juan e contemporaneamente
insegnante del sognare di Castaneda, spiega qualcosa di fondamentale sulla sua arte:
"Disse, che la nostra prima attenzione è legata alle emanazioni della terra,
mentre la nostra seconda attenzione dipende dalle emanazioni del cosmo. Con
ciò voleva dire, che un sognatore varca per definizione i confini delle questioni
quotidiane".
Castaneda visita nel sogno con l'aiuto di Zuleica altri pianeti in sistemi solari estranei.
Tutto ciò non costituisce un problema per il sognatore, se solo ha accumulato energia
sufficiente per un tale viaggio. Tali viaggi non si intraprendono ovviamente con il
normale corpo fisico, ma con il vero corpo del sogno. Quest'ultimo è la manifestazione
percettibile della nostra seconda attenzione ed è in realtà una bolla d'energia, una sfera
luminosa; al contrario il corpo normale è la vera e propria espressione percettibile della
nostra prima attenzione.
Nell'ultimo capitolo dissi, però, che il sosia dei Toltechi è a sua volta un corpo del sogno
è affermai inoltre che il sosia rappresenta una perfetta copia del corpo (fisico). Come
bisogna intendere che il corpo del sogno e d'altro canto una sfera luminosa? La
spiegazione a tutto ciò è facile, anche se forse non direttamente comprensibile:
l'aspetto umano del sosia è la proiezione della nostra propria memoria del nostro corpo
fisico, una specie di olografia all'interno del campo energetico luminoso del vero corpo
del sogno. Il corpo del sogno può assumere anche altre sembianze; può manifestarsi -
sempre nel senso di una proiezione olografica - anche come animale o pianta.
Anch'io ho fatto alcune esperienze in relazione con queste metamorfosi durante le mie
esercitazioni nell'arte del sognare. Imparai come ci si trasforma in sogno in una gatta o
in una poiana. Dal momento che è complicato narrare in senso intellettuale di queste
esperienze fuori dal comune, esporrò semplicemente in seguito come si è verificato un
tale episodio. L'esperienza che voglio raccontare non si basa solo su una singola
avventura, o rispettivamente su un unico sogno, ma su tutta una serie di "sogni".
Sembra comunque una tipica caratteristica del sognare, che certi temi ricorrano
addirittura in serie, cioè determinati motivi - tipici per il singolo sognatore - emergono
continuamente nel suo sognare.
In quel tempo di cui voglio riferire "sognavo" continuamente di volare. Il mio sognare
era allora già così sviluppato, che non avevo più bisogno di guardare le mani per
mantenere la chiara consapevolezza di trovarmi nel sognare. Le scene del sogno si
formavano altrettanto chiaramente e non mutavano. Ma in questi sogni aerei mi
percepivo come uomo, con un corpo umano che somigliava abbastanza al mio normale
sé fisico. Volavo per l'aria dunque in un corpo del sogno con sembianze umane, in un
modo analogamente ridicolo a Superman o ad altre simili figure della finzione. Questo
continuò finché accadde ciò che segue:
Improvvisamente mi trovavo tra le montagne. Sapevo di essere preda di uno
stato onirico, poiché pochi istanti prima giacevo con gli occhi aperti nel mio letto.
Prima mi sarei probabilmente svegliato subito per lo spavento di un tale
repentino cambio di scena, ma il costante esercizio del sognare causò una strana
calma e tranquillità di fronte a queste situazioni. Mi guardai quindi un po' attorno
nel nuovo scenario. Conoscevo quei monti, erano gli stessi nei quali mi ero
trattenuto sino a poco tempo prima con i miei compagni. Sentii il desiderio di
muovermi e provai a camminare per un po'. Dovetti abbandonare questo
desiderio molto presto, in quanto camminare normalmente è assai complicato
con il corpo del sogno. Così iniziai a volare. Nel frattempo mi ricordai che non
avevo mai visto quei paraggi dall'alto e persino che durante il sognare non avevo
ancora sorvolato montagne. Guadagnai rapidamente altezza, poiché tali pensieri
non riguardano nel caso del corpo del sogno la ragione, che non possiede, ma
sono dei diretti comandi che vengono subito messi in atto.
Fluttuavo dunque appena al di sopra delle vette degli alberi risalendo il pendio di
una montagna. D'improvviso udii dietro di me il lungo grido di una poiana. Mi
girai in volo e vidi che era appollaiata sulla cima di un albero non molto distante e
mi osservava. Quando si rese conto che anch'io la osservavo spiegò le ali e si
alzò in volo. Temevo che sarebbe volata via, quando vidi che si dirigeva
direttamente verso di me. Mi sfiorò leggermente e subito dopo virò di nuovo. Mi
volava intorno. Voleva scacciare me, l'intruso, dal suo territorio? Istintivamente
guardai in uno dei suoi scuri occhi di uccello, per comprenderne le intenzioni.
Percepii in quel momento che mi esortava a volare con lei. Ricevetti quindi la mia
prima lezione di volo da un uccello. Può suonare ridicolo in "bocca ad un
europeo, ma avvenne proprio così.
Continuo pertanto nella mia narrazione:
La poiana volava davanti a me. Attraverso veloci sguardi all'indietro mi sollecitava
a partecipare ai suoi movimenti di volo. I miei primi tentativi dovettero sembrare
molto goffi al volatile, poiché mi venne vicino e mi mostrò in modo esagerato i
singoli movimenti essenziali. Compresi che dovevo concentrarmi molto di più sulle
mie braccia se volevo volare così come la mia pennuta insegnante. Non appena
mi venne in mente questa idea, le braccia del corpo del sogno divennero ali.
Sentivo ogni singola piuma, ma la cosa più sorprendente era il nuovo tipo di
mobilità di cui godevano queste ali. Piegando e girando leggermente l'ala potevo
guidare ora il mio volo. La mia accompagnatrice mi osservava incuriosita, ma non
sembrava ancora soddisfatta di me. Iniziò a girare la testa in maniera esagerata.
Allora capii cosa voleva dire: avevo ancora il mio capo umano; la mia
metamorfosi non era ancora completa. Cominciai a ruotare la testa così come mi
aveva mostrato la poiana. Mi riesce difficile descrivere ciò che accadde in seguito.
Io stesso ero una poiana e mi sentivo come se non fossi mai stato altro. Insieme
alla mia compagna volteggiavo ad alta quota su un'invisibile corrente d'aria.
Questo tipo di movimento non necessitava di alcuno sforzo; era come scivolare
su un caldo ed invisibile cuscino. In quell'istante sapevo semplicemente tutto di
quegli uccelli, in quanto ero uno di loro. Mi è difficile mettere questo sapere per
iscritto, ma in quel momento lo percepivo profondamente in me. Questa sapienza
si trovava nei movimenti delle ali, nella rotazione della testa, semplicemente in
tutte le parti dell'uccello e ... quest'uccello ero io.
Poi si unirono a noi altri due nostri simili. Insieme volteggiammo in una
gigantesca e invisibile spirale sempre più verso l'alto. E sempre quando giravo il
capo potevo osservare il panorama montagnoso sotto di noi. La mia percezione
cromatica era cambiata in modo strano; tutte le tonalità di verde risaltavano più
fortemente che nella normale percezione. Con i miei occhi da rapace potevo
inoltre riconoscere tutti i contorni del paesaggio sino al più minuzioso dettaglio.
Le cose sembravano messe più in contrasto fra di loro, cioè i miei occhi
sembravano dotati di potere risolutivo decisamente maggiore.
Seconda la mia personale nozione del tempo devo aver volato a lungo sopra le
montagne insieme alle poiane. Prima o poi una certa sensazione mi risucchiò
indietro verso il mio corpo normale. Giacevo ancora con gli occhi aperti nel mio
letto e credevo di vedere, le montagne sopra cui ero volato trasformarsi
lentamente nel soffitto in moquette della mia stanza.
Quando fui sveglio controllai la durata della mia impresa. Visto obiettivamente
potevano essere passati solo pochi minuti, e ciò nonostante ero stato per ore tra quei
monti e avevo visto e vissuto l'incredibile. Le sensazioni e le percezioni legate a quel
sognare erano state così reali come solo avrebbero potuto essere. Che il sognare
avvenisse evidentemente non nel tempo segnato dai nostri orologi, avevo già potuto
constatarlo prima e frequentemente. Anche Castaneda sottolinea questo fatto.
Graciela Corvalàn riferisce nel suo libro-intervista: "Secondo Castaneda il sognare non
richiede alcun tempo. Ciò significa, che il sognare non avveniva nel tempo dei nostri
orologi. Il tempo onirico era qualcosa di molto compatto".
Ma nei miei sogni era subentrato un nuovo elemento che prima non conoscevo. Un
uccello mi aveva palesemente istruito a volare come un uccello. Già questo fatto
sembrava aver causato l'istantanea metamorfosi del mio corpo del sogno in un volatile
della stessa specie. Sino a quando mi trovavo in quello stato, avevo la sensazione di
essere sempre stato un tale uccello e il ricordo delle mie sembianze umane era
decisamente sbiadito. Avevo avuto la mia prima concreta sensazione, che i sognatori,
come dice Zuleica, varcavano i confini delle questioni quotidiane.
Dopo le mie ampie esperienze oniriche volevo esaminare nel normale mondo di tutti i
giorni le mie reali possibilità di comunicazione con le poiane e l'ho anche fatto.
Inizialmente mi recai in parchi per le aquile e in riserve naturali per poter parlare con i
miei nuovi parenti onirici. Per fare ciò impiegai il summenzionato "linguaggio di segni",
esattamente come l'avevo appreso nel sognare, e la comunicazione funzionò
veramente; i volatili davano i relativi segni di risposta, che compresi in gran parte. I
nostri "discorsi" non ruotavano intorno a nulla di rilevante in senso umano, ci
manifestavamo i nostri sentimenti a vicenda.
In seguito entrai sempre più spesso in contatto con i miei parenti onirici in una libera
riserva di caccia ed ebbi incontri interessanti, ma questa è un'altra storia...
Dobbiamo imparare a capire la vita su questa Terra nel suo profondo, ed a questa vita
non apparteniamo solo noi uomini; tutte le piante e tutti gli animali insieme formano
originariamente il grande potenziale della vita. Quando sento che gli scienziati hanno
inviato nello spazio sonde per studiare gli infiniti mondi là fuori e per dare un segno
della nostra esistenza ad altre forme di vita intelligenti, allora mi chiedo sempre: ma
hanno già provato una volta con gli esseri viventi di questa Terra? Altri ancora giurano
sull'esistenza degli extraterrestri e attendono un sensazionale incontro del terzo tipo.
Non so nulla sugli extraterrestri, ma so qualcosa della vita sul nostro pianeta.
Qui sono costantemente possibili per noi uomini incontri del terzo tipo, ossia incontri
con altre forme di vita della nostra Terra. Questi incontri sono secondo la mia propria
esperienza spesso più strabilianti dei più audaci racconti sugli UFO o sugli extraterrestri.
Non lo affermo solo in relazione, al sognare, poiché per i Toltechi il diretto contatto con
altre forme di vita di questa Terra - come illustrato nel suddetto esempio - va al di là di
ogni simbolismo psicologico ed entra perfino nella sfera del mondo quotidiano. Ciò che
sì apprende durante il sognare è infatti decisamente trasmissibile al mondo della prima
attenzione, cosa che vedremo poi più avanti.
In epoche passate - come ancora oggi nel caso di quei popoli primitivi che vivono
tradizionalmente - i rapporti con le altre forme di vita erano molto importanti, poiché
fornivano ai cacciatori preistorici utili informazioni sul loro ambiente. Come dimostrato
dagli studi sui popoli viventi che ancora adesso vivono come nell'età della pietra (per
esempio i Naskapi, gli Aborigeni), queste informazioni oniriche erano usate come
diretto ausilio venatorio. Con il passare del tempo si formarono pure dei rilevanti culti
circa l'animale onirico. Comprendo pienamente il personale sbalordimento dell'uomo
arcaico causato da queste esperienze, seppure oniriche, di metamorfosi in quanto la
sensazione di affinità interiore con il proprio animale del sogno è assolutamente
indescrivibile. Secondo me il motivo fondamentale per cui con il passare del tempo
questi animali onirici non vennero più cacciati, ma a cui venne concessa una particolare
protezione, è questa sensazione speciale; a partire da allora erano tabù.
A partire da questo dato di fatto anche molti degli equivoci dell'etnologia in relazione a
questi culti sono senz'altro comprensibili. Nel "Meyers Taschenlexikon" (Enciclopedia
Tascabile Meyer) si legge per esempio alla voce "nagualismo": "(...), diffuso soprattutto
in America centrale, credenza ad uno spirito protettore immaginato generalmente come
animale o pianta, a cui l'individuo si sente legato in fatidica esistenza parallela".
Wolfgang Cordan, il traduttore del Popol Vuh, scrive nelle sue note sulla voce "spirito
protettore" (Nagual):
"Nel testo nagual è una parola, che provoca un brivido magico a qualsiasi indio
del Centroamerica, anche se convertito al cattolicesimo ed 'integrato'. I nagual
sono spiriti protettori, in genere animali, che accompagnano tutti i viventi. La
data di nascita decide il nagual. In Chiapas e in Guatemala gli indios hanno
spesso oltre al loro nome spagnolo come terzo nome il loro nagual, che
nascondono timorosamente agli estranei. In quanto è sufficiente catturare
l'animale spirituale di un nemico, per esempio un armadillo, e torturarlo in riti
magici, per inviare all'avversario una malattia o persino la morte".
In queste affermazioni vi sono molte componenti esatte, ma vengono confuse l'una con
l'altra così infelicemente che il messaggio globale deve piuttosto essere considerato
errato. Per questa ragione io, come praticante del nagualismo tolteco, voglio sbrogliare
in seguito la matassa di significati dei suddetti tentativi di definizione:
Rivolgiamoci quindi ad altre pratiche nagualistiche, ossia i tipi di non-fare del fissare-
dello-sguardo, che hanno un grande valore per il praticante dell'arte del sognare.
5.3. Il non-fare dell'immobilità dello sguardo
"Può darsi che tu ora non mi comprenda, perché sei abituato a pensare come
guardi e a guardare come pensi".
Don Juan.
Abbiamo già accennato in alcuni esempi, cosa fa un sognatore dei propri sogni, cioè
quali possibilità ha in essi. Ora, un praticante non si trova sempre in stati onirici,
cosicché si pone la domanda, cosa fa un sognatore nel mondo normale e durante il
tempo quotidiano; e, soprattutto, quali tecniche pratica per incrementare il proprio
sognare.
In relazione a ciò bisogna ricordare soprattutto i diversi tipi del non-fare, di cui ho già
illustrato un gruppo - il non-fare del sé. Anche queste tecniche appartengono alla vita
quotidiana dei sognatori. Essi conoscono però un ulteriore gruppo di non-fare, che ho
chiamato - per mancanza di una definizione calzante - il "non-fare dell'immobilità dello
sguardo".
Il non-fare dell'immobilità dello sguardo mira - come svela già il nome - all'abituale
posizione preminente degli occhi nella nostra percezione. Tutti noi siamo abituati a
percepire il nostro mondo prevalentemente con gli occhi; la nostra conoscenza abituale
è una conoscenza "che guarda". Quanto ciò risulti vero si comprende al più tardi
quando si prende in considerazione il primitivo timore dell'uomo davanti all'oscurità;
nell'oscurità gli occhi normali non possono più ordinare il loro mondo e si crea un vuoto
della percezione. Nelle tenebre l'uomo medio è quindi assolutamente privo d'aiuto,
poiché dipende troppo dall'abituale uso degli occhi. Un cieco si orienta altrettanto bene
al buio come alla luce. Egli ha imparato a sviluppare altre funzioni percettive come per
esempio l'udito, che gli consente di orientarsi nel suo mondo oscuro. Il primo tipo del
non-fare dell'immobilità poggia su un principio simile.
Il pensiero e l'azione normali sono indirizzati verso obiettivi ed effetti visibili, poiché i
nostri occhi sono in genere il senso di percezione primario. Tutta la nostra visione del
mondo e ciò che rivela già il nome: una "visione"; dunque qualcosa che ha a che fare
direttamente con i nostri occhi e con la nostra proiezione visiva. Ci fidiamo molto di più
di ciò che vediamo "con i nostri propri occhi", che non di ciò che abbiamo conosciuto in
altro modo.
Le "visioni" della nostra consueta concezione del mondo sono sostanzialmente protette
dal nostro senso visivo. Da qui si sviluppa un circolo vizioso che declassa tutti gli altri
sensi a qualcosa di secondario. L'immediata conseguenza è generalmente un'atrofia
delle funzioni sensoriali dette "secondarie". Il modo migliore di spezzare questo circolo
vizioso è quella di concentrarsi maggiormente su una funzione che sino a quel
momento era secondaria: l'udito.
Don Juan dice a riguardo: "Devi usare soprattutto i tuoi orecchi per alleviare il peso che
grava sui tuoi occhi. Siamo abituati sin dalla nascita a utilizzare i nostri occhi per
giudicare il mondo. Con altri, così come con noi stessi, parliamo principalmente di ciò
che vediamo. Un guerriero ne è consapevole ed ascolta il mondo; ascolta i rumori del
mondo".
L'esercizio è facile, pertanto: si sposta l'attenzione dagli occhi alle orecchie. Si tiene più
conto di ciò che silente al posto dell'abituale e semplice osservazione del mondo. Nella
pratica sono necessarie però una certa esercitazione e autodisciplina per il
perfezionamento di questa tecnica. Quando tuttavia si domina a sufficienza questo
non-fare, si ha un mezzo efficace per arrestare il dialogo interiore.
L'esercitazione pratica di questo non-fare è semplice: in primo luogo non si può tenere
nulla tra le mani quando si cammina. Se è necessario trasportare qualcosa bisogna
utilizzare una borsa a tracolla o uno zaino, cosicché le mani rimangano libere. Quindi si
piegano le dite all'indentro, senza però fare il pugno o chiudere la mano. Mentre si
cammina con le dita così piegate sì concentra il proprio sguardo non su un dettaglio
della percezione generale, ma si cerca di percepire contemporaneamente tutti 180
gradi del nostro completo raggio visuale. Gli occhi rimangono orientati semplicemente
in avanti, ma lo sguardo non viene fissato su un oggetto, ma deve percepire tutto
contemporaneamente ed in un modo equivalente.
Don Juan spiega a riguardo:
"Non è una determinata posizione delle dita ad essere rilevante (...). Ciò che
importa unicamente, è dirigere l'attenzione sulle braccia attraverso la tensione
delle dita in diverse pose inconsuete; ciò che conta è, che gli occhi che guardano
non concentrati, colgono un'infinità di immagini dal mondo, senza vederle
chiaramente. In questo stato (...) gli occhi potrebbero percepire dettagli troppo
fuggevoli per la normale osservazione".
Questo esercizio è il mezzo migliore per arrestare il dialogo interiore, poiché, come dice
don Juan, camminare correttamente inonda il nostro Tonal di informazioni. In questo
modo si percepisce tutto ciò, che prima veniva "filtrato via" dalla nostra consapevolezza
attraverso il nostro guardare ragionevolmente. Quest'immensità di informazioni visive
non può essere elaborata dalla nostra prima attenzione e quindi viene fermato il
dialogo interiore.
Il "passo del potere" non deve essere confuso con la precedente esercitazione, in
quanto definisce una tecnica a sé stante del non-fare, che consente al praticante di
muoversi con sicurezza nell'oscurità. In genere nessuno vaga all'aperto nell'oscurità,
soprattutto non in luoghi selvaggi senza strade, durante notti di un buio pesto o in
boschi oscuri. Ma proprio questa è anche un'abitudine dell'uomo comune; egli evita
abitualmente tali imprese. Il passo del potere consente però al praticante proprio di
muoversi con precisione e con sicurezza nelle situazioni di oscurità normalmente
temute. Poiché si tratta di un non-fare, le precise istruzioni di questo esercizio
stupiranno ancora di più l'uomo medio, in quanto il passo del potere non è un andare
nell'oscurità, ma un correre velocemente.
Questo speciale modo di correre richiede un particolare portamento del corpo: il tronco
è leggermente piegato in avanti durante la corsa, mentre la schiena è tesa. Le
ginocchia vengono tirate molto in alto ad ogni passo, poiché i singoli passi devono
essere brevi e precisi. La testa e gli occhi sono orientati direttamente verso terra
davanti ai piedi. Le mani devono essere, come nei precedenti esercizi, libere. Allo
stesso modo le dita sono piegate verso i palmi; solo l'indice ed il pollice sono allungati,
in modo che l'indice indichi direttamente il suolo.
In questo modo si può veramente correre nelle tenebre anche attraverso luoghi
impervi, ciò che io stesso ho verificato frequentemente. Ho sperimentato questo passo
del potere insieme a tre miei compagni in boschi di montagna completamente inviolati
durante notti senza stelle. La maggioranza delle persone oggi non sa più quanto è buia
in realtà una notte, dal momento che conosce solo il mondo moderno dei lampioni
stradali e dei fanali. Ma una notte in un bosco di montagna è veramente oscura. Con
un po' d'esercizio riuscì però ad ognuno di noi di usare il passo del potere con
successo. Correvamo rapidamente - quasi come alla luce del giorno - attraverso i
boschi ricchi di sottobosco. Di tanto in tanto uno di noi inciampava, soprattutto quando
lo sguardo non era più orientato direttamente davanti ai piedi, ma era stato distratto da
qualche influsso disturbatore.
L'applicazione del passo del potere richiede tuttavia un umore particolare da parte del
praticante, senza cui l'esercizio è destinato a fallire.
– In primis è necessario avere fiducia nelle proprie capacità e,
– in secondo luogo, bisogna dimenticare se stessi.
Si può descrivere al meglio questo secondo stato se si dice, che durante l'applicazione
del passo del potere ci si unisce alla notte. Se attraverso la "fusione" delle proprie
sensazioni con la notte si è diventati per così dire una parte di essa, allora il movimento
sarà possibile anche durante notti senza luna, come ho potuto constatare nei miei
tentativi. Sino a quando mancano fiducia in se stessi e la capacità di dimenticare se
stessi, nessuno dovrebbe sperimentare questo esercizio, perché probabilmente si
farebbe solo male.
Per l'esperto praticante quest'esercizio non solo è utile nel senso del movimento, ma
anche nel senso dell'immagazzinamento d'energia. Il corpo prova attraverso l'esercizio
una spinta energetica esplicitamente percepibile, che non posso spiegare direttamente;
in questo caso, come per molte delle esercitazioni tolteche: bisogna viverle di persona,
se si vuole veramente sapere, cosa s'intende con esse. Tutte quante portano -
esattamente come il passo del potere - ad uno sperimentabile ampliamento
dell'orizzonte delle nostre proprie possibilità.
L'uomo medio in genere crede, che ogni luogo della Terra sia ugualmente adatto a
sostare e trattenervisi, poiché non sa nulla delle energie della Terra. Ci sono
dappertutto posti buoni e posti cattivi sulla superficie terrestre. I posti buoni sono quelli
che moltiplicano l'energia dell'essere vivente che vi sosta, quelli cattivi sono quelli che
indeboliscono ed assorbono energia. La gran parte del suolo terrestre consiste tuttavia
in luoghi più o meno neutrali.
La "ricerca del luogo di sosta" è dunque un esercizio del non-fare con cui si possono
trovare questi posti buoni, che moltiplicano le nostre energie. L'esercizio consiste nel
"sentire" l'energia di un posto con gli occhi. Un tale "sentire con gli occhi" non
appartiene naturalmente al repertorio della percezione comune, motivo per cui è
necessario un certo esercizio prima di dominare veramente, questa tecnica.
Nel caso di questo non-fare si procede così: quando si è in una zona, in cui si cerca un
luogo di sosta, lo sguardo non viene centrato mentre si dà un'occhiata intorno, cioè
non viene diretto verso un determinato punto. Bisogna strizzare gli occhi sino a che la
visione diventi sfuocata. In questo modo si possono cogliere sensazioni "visuali", che
emanano da tutto ciò che esiste come continue onde energetiche. Queste sensazioni si
manifestano però diversamente a seconda dei praticanti.
Se lo strizzare degli occhi non dovesse avere successo, allora può decentrare lo
sguardo anche iniziando semplicemente ad incrociare gli occhi in modo strabico.
Quando infatti s'interrompe la fissazione dello sguardo, i nostri occhi possono cogliere
molte cose inconsuete, anche le sensazioni emanate dal mondo. Ma la percezione
normale esige da noi continuamente uno sguardo concentrato e ci esclude in questo
modo da esperienze che non solo sono possibili, ma anche - come la ricerca del luogo
di sosta - decisamente utili.
Ho già esposto la tecnica di questo non-fare in un altro contesto, ossia nel capitolo 4.4
sulla scienza medica dei Toltechi, in cui è stata descritta ampiamente come tecnica
dell'espulsione di malattie, di modo che ritornerò qui solo brevemente su di essa. Scopo
dell'esercizio in questione è, sentire con le mani, speciali campi e linee d'energia,
analogamente come nel precedente esercizio gli occhi sono stati impiegati per un tale
"atto sensitivo". I sognatori inoltre fanno esperienze con tali "linee" nei loro sogni, in
cui per esempio possono spostarsi con il loro aiuto. Don Juan chiama queste linee
d'energia o di luce anche "linee del mondo" e conferisce loro un particolare valore, nel
cui merito però non entreremo in questa sede.
Per i sognatori la tecnica più importante di questo gruppo del non-fare è il cosiddetto
"fissare lo sguardo". Per fissare i Toltechi intendono un particolare modo di guardare le
cose del mondo. L'apprendimento di questa tecnica è un lungo processo, che però dà
frutti speciali. Gli esercizi del fissare sono, infatti, la migliore preparazione al vero e
proprio sognare. Don Juan insegnò il fissare ai suoi allievi - con l'eccezione di
Castaneda, che a causa della sua razionalistica inibizione ricevette una specie di
"pretrattamento" - come passo preparatorio all'arte del sognare. La Gorda descrive i
primi passi del fissare così:
"In primo luogo il nagual (don Juan) mise una foglia secca per terra e me la fece
guardare per ore. Ogni giorno portava una foglia di quel tipo e me la metteva
davanti. Inizialmente pensavo che fosse sempre la stessa foglia, ma poi mi
accorsi che erano foglie distinte. Quando ci accorgiamo di questo, diceva il
nagual, non stiamo più guardando, ma fissando''.
Fissare richiede dunque un'attenzione del tutto particolare da parte del praticante,
poiché attraverso una semplice categorizzazione razionale non si può distinguere un
singolo oggetto come una foglia secca da un altro oggetto o foglia simile. La nostra
prima attenzione, la parola e la ragione, è messa eccessivamente sotto sforzo da
quest'esercizio. Ma se apprendiamo praticamente a fare una tale distinzione è quindi
necessario l'ausilio di un altro tipo di attenzione, ossia la seconda.
Questa connessione estesa sia al fissare sia al sognare viene illustrata anche in un altro
racconto di La Gorda:
"Quindi mi mise davanti un intero mucchio di foglie secche. Mi ordinò di muoverle
un po' con la mano sinistra e di sentirle mentre le fissavo. Un sognatore muove le
foglie a spirale, le fissa e poi sogna il disegno che esse creano. Il nagual diceva,
che il sognatore poteva affermare di dominare il fissare le foglie, quando prima
avesse sognato il disegno da esse composto e quindi il giorno dopo ritrovasse lo
stesso disegno nel suo mucchio di fogliame secco".
Ergo mentre si fissa ci si esercita in realtà a disinserire o arrestare il primo anello del
potere e, contemporaneamente, ad innestare il secondo anello del potere, l'attenzione
per il Nagual. Considerato che anche nel caso del sognare si tratta di una tale
"accensione", il collegamento fra entrambe le tecniche è lapalissiano; fissare e sognare
vanno nella pratica per così dire mano nella mano.
Voglio illustrarne il significato con una piccola storia presa dalla mia propria pratica:
Io stesso sono uno che fissa pietre. L'esercizio del fissare le foglie costituisce
infatti solo l'accesso a questa tecnica. Le foglie secche sono prive di pericolo per
il principiante e dunque adatte per l'inizio. Quando però il praticante domina il
fissare, può fissare quasi tutto. Io fissai per esempio per alcuni anni piccoli sassi
di fiume. Il successo riscontrato relativamente in fretta nel fissare le foglie, mi
venne a mancare purtroppo per lungo tempo, poiché non riuscivo semplicemente
a ritrovare queste pietre nei miei sogni. Questa situazione mutò rapidamente
quando un giorno trovai un ciottolo particolare, una piccola agata, ambrata.
Fissavo questa pietra assai intensivamente, dal momento che il suo sottile
disegno di linee mi aveva affascinato sin dal primo istante. Già poco tempo dopo
questo sasso affiorò anche nei miei sogni. Vi riconobbi nuove qualità dell'agata;
potevo per esempio percepire molto chiaramente la sua luminosità, la sua
energia specifica. Quando poi fissai la pietra in stato di veglia, mi accorsi di aver
portato questa facoltà dai miei sogni al mondo normale. Riconoscevo ogni
dettaglio che avevo imparato a "vedere" nel sogno. Ero diventato finalmente un
fissatore di pietre.
Qualche settimana dopo sognai di nuovo l'agata, che però non era più sola:
un'altra agata di dimensioni simili era proprio accanto all'altra. Riconobbi le
strutture del nuovo sasso sino al più piccolo dettaglio. Pochi giorni dopo, di nuovo
in stato di veglia, ebbi una delle più grandi sorprese della mia vita. Nella ghiaia
dietro casa nostra trovai esattamente la seconda pietra che avevo prima sognato.
Al principio pensai che la mia memoria mi avesse giocato un tiro, analogamente
come un'esperienza di Déjà-vu, in cui si crede appunto di aver già vissuto o visto
una determinata scena. Tuttavia tali esperienze aumentarono di numero in
seguito, cosicché esclusi qualsiasi dubbio. Ogni tanto sognavo altri sassi, che
erano tutti piccole agate; poco dopo i relativi sogni trovavo quindi queste pietre
anche nella normale realtà. Oggi posseggo 48 pietre di questo tipo, che conservo
in una piccola borsa di pelle.
In alcuni di questi sogni sognavo perfino il luogo esatto dove in seguito avrei
ritrovato i ciottoli. Inoltre ottenni nei sogni precise istruzioni sull'utilizzo di queste
pietre. Alcune servono per esempio a speciali scopi medici, altre alla stregoneria
ed altre ancora a scopi divinatori.
Tutti questi episodi mi diedero una prima impressione del reale potere del sogno e delle
possibilità del fissare. Ritengo che la combinazione di fissare e sognare sia il modo
migliore di apprendere a "vedere", quel particolare tipo di percezione, di cui si servono i
Toltechi per riconoscere il mondo così com'è in realtà, ossia un mondo di campi
energetici luminosi.
Per ottenere ciò, i sognatori fissano qualsiasi cosa; si esercitano nel fissare piante,
animali ed anche nel fissare altri fenomeni, siano questi pioggia, nebbia, fuoco, fumo o
nuvole. Nel sogno il fissatore impara quindi particolari concreti sul suo soggetto fissato.
Con il successivo fissare impara a trasportare queste peculiarità nel mondo normale. In
questo modo ciò che si apprende nel sogno diventa direttamente impiegabile nel
mondo quotidiano.
Tutte le azioni, tecniche ed episodi descritti in relazione all'arte del sognare possono
sembrare inattendibili, paradossali o perfino assurdi al lettore. Devo ammettere che
anche la mia ragione - seppure dopo anni di esperienze pratiche - si rifiuta di accettare
queste cose nella loro completa portata. Ma l'esperienza mi ha insegnato che sono
accessibili praticamente, anche se non assolutamente, per la nostra ragione.
L'arte del sognare ci istruisce in modo inconsueto sulla vera natura della nostra
consapevolezza, della nostra totale esistenza. Tutte le tecniche degli insegnamenti
toltechi sembrano tendere al fine di farci conoscere la nostra consapevolezza come un
mistero imperscrutabile, che è sì utilizzabile, ma non assolutamente comprensibile.
Forse è così come dice don Juan: "Non c'è niente da capire. Capire è solo qualcosa di
insignificante, ah, così insignificante".
In questo capitolo vorrei soffermarmi sugli obiettivi dell'arte del sognare, poiché tutti gli
esercizi descritti non sono assolutamente pensati fine a se stessi. Costituiscono
complessivamente un grande piano, che porta a due scopi centrali.
– In primis bisogna dominare il dominio della consapevolezza.
– Questo poi porta alla realizzazione della liberazione finale.
Si può naturalmente dominare la consapevolezza abusata anche per altri fini, come per
esempio per la stregoneria (in it. intraducibile differenza fra Zauberei, in questo libro intesa
come la stregoneria dei Toltechi, e Hexerei, la stregoneria in generale, intesa in questo caso).
Fortunatamente il raggiungimento di quest'obiettivo è talmente difficile, che persone
con tali ambizioni sono condannate al fallimento sin dal principio. La pratica dell'arte
del sognare causa infatti un sorprendente cambiamento nella psiche del sognatore.
Don Juan dice a riguardo: "Quando un guerriero domina finalmente il vedere ed il
sognare ed è consapevole delle sue sembianze luminose, allora non ha più questo tipo
d'interessi".
Don Juan sottolinea ancora una volta l'importanza della cognizione di essere un essere
luminoso, che per i Toltechi non è solo un modo di dire metaforico, ma una realtà
sperimentabile. La conoscenza della nostra natura di esseri luminosi, come matassa di
campi energetici, è la chiave della spiegazione tolteca della nostra consapevolezza. Per
tale ragione proverò ad esporre i relativi punti essenziali degli insegnamenti toltechi.
Ho già presentato nel capitolo 2.1 la concezione tolteca dell'essere umano, come uovo
luminoso come modello di consapevolezza, ma in realtà questa interpretazione è ben
più che un modello. Si può veramente imparare a percepire gli uomini e tutti gli altri
esseri viventi come esseri luminosi. Ma ciò non avviene attraverso la percezione
quotidiana, bensì attraverso il "vedere", che nonostante l'ingannevole nome non ha
direttamente a che fare con i nostri occhi. Un veggente può continuare a "vedere" il
mondo degli esseri luminosi anche ad occhi chiusi.
Come ho già detto, la capacità di "vedere", può essere appresa nel modo più facile
attraverso la pratica del sognare. Nei miei sogni posso infatti riconoscere assai
facilmente l'aspetto luminoso di tutte le cose e di tutti gli esseri. Nel mondo normale i
risultati dei miei sforzi in quest'ambito sono però ancora abbastanza scarsi; mentre
"vedo" riconosco sì il colore e l'intensità della luminosità di un essere vivente, ma molti
dei particolari rilevanti, mi sfuggono ancora del tutto.
Il "vedere" è una delle facoltà dei Toltechi più difficile da ottenere, tanto più che non si
può apprendere come tecnica, ma si sviluppa insieme ad altre tecniche e capacità come
il sognare.
L'ignoto è identico al Nagual, all'altro mondo degli stregoni, al corpo del sogno e a tutte
le relative possibilità di conoscenza della percezione non ordinaria, come per esempio il
"vedere" o il sognare. L'ambito dell'ignoto comprende tutte le possibilità umane nel
senso della percezione di tutto ciò che è alla portata della nostra consapevolezza
ordinatrice. In questo l'ignoto è decisamente simile al conosciuto, come risulta evidente
dalla seguente affermazione di don Juan:
"Definivano l'ignoto come qualcosa che era sì nascosto all'uomo, forse oscurato
grazie ad un inquietante contesto, ma che nonostante tutto gli fosse accessibile.
L'ignoto si trasformerà prima o poi nel conosciuto. L'inconoscibile invece è
l'indicibile, l'impensabile, l'imperscrutabile. È qualcosa che non conosceremo mai
e nonostante ciò ci sarà - sconcertante ed allo stesso tempo terribile nella sua
incommensurabilità".
Quest'ambito attrasse su di sé l'interesse dei veggenti anche per un'altra ragione; non
era difatti legato ad un punto fisso come le altre caratteristiche del corpo luminoso, ma
si muoveva durante il sonno verso l'interno dell'uovo luminoso. I veggenti registrarono
spostamenti particolarmente forti di questa zona luminosa quando osservarono persone
che sognavano. Mediante l'interrogazione di quei sognatori si ottenne un risultato
interessante: più questa zona luminosa era scivolata verso l'interno dell'uovo luminoso,
e più fantastici e complessi erano stati i contenuti onirici vissuti. Grazie a questa
premessa i veggenti giunsero infine alla conclusione, che questa zona luminosa
determina ciò che l'essere in questione percepisce. Definirono pertanto questa zona
come il punto, dove viene composta o assemblata la percezione, o in breve, come il
"punto d'assemblaggio".
Percezioni inconsuete hanno sempre luogo quando il punto d'assemblaggio lascia la sua
posizione abituale, la normalità, e si sposta in altre regioni dell'uovo luminoso. I
veggenti hanno quindi compreso, che l'ignoto in senso proprio rappresenta quelle
regioni dell'uovo luminoso, che non vengono messe a disposizione della percezione
attraverso il punto d'assemblaggio. Queste regioni sono percepite solo raramente, se
sono percepite, in sogno, giacché i sogni rappresentano evidentemente un naturale
spostamento del punto d'assemblaggio.
Sulla base di questa conoscenza i toltechi fondarono, in un lontano passato, gli inizi
dell'arte del sognare, con il cui ausilio, il naturale spostamento in sogno del punto
d'assemblaggio doveva essere controllato e così diventare realizzabile a volontà. Con il
passare del tempo i veggenti riconobbero attraverso la pratica del sognare controllato e
del "vedere", che determinate posizioni del punto d'assemblaggio provocavano sempre
le medesime percezioni nel sognatore in questione. In questo modo misurarono
l'ignoto, lo cartografarono per così dire decifrando i significati di tutte le regioni
dell'uovo luminoso dell'uomo.
Riguardo a questa figura sono necessarie alcune spiegazioni esplicative: la fascia che si
tende verticalmente sopra e attraverso l'uovo luminoso, viene chiamata dai Toltechi
"fascia organica" o semplicemente "fascia umana". Questa risplende più chiaramente
del resto dell'uovo. Lo attraversa come uno strato indipendente della luminosità. Tutti
gli esseri viventi organici hanno una tale fascia nel loro corpo luminoso e il loro punto
d'assemblaggio si trattiene sempre nell'ambito di questa stretta striscia (B e C).
Se uno stregone sposta il proprio punto d'assemblaggio dalla regione della
normalità (A) alla regione degli animali (B), percepisce come egli si trasforma in
un animale.
Se sposta il suo punto d'assemblaggio perfino sotto l'equatore dell'uovo luminoso,
vede come si trasforma in una pianta (C).
Ovviamente nelle regioni degli animali (B) e delle piante (C) non c'è solo una possibile
posizione del punto d'assemblaggio, ma ve ne sono moltissime. Esistono solo in questi
ambiti almeno altrettante posizioni del punto d'assemblaggio, quante specie di animali
o piante sulla terra - e di queste ce n'è risaputamente qualche milione. Tutti questi
spostamenti, che portano ad esperienze di metamorfosi, avvengono tuttavia sempre
sulla superficie dell'uovo luminoso e della fascia organica.
Durante lo stato onirico però il punto d'assemblaggio si sposta verso l'interno dell'uovo
luminoso, senza comunque lasciare la fascia organica. I sogni comuni si producono
normalmente ai bordi di questa fascia, che hanno un significato particolare: sia sul
bordo destro della fascia sia su quello sinistro si trovano degli strani ammassamenti di
"rifiuti della consapevolezza" dell'uomo, che i Toltechi definiscono la "discarica di
sinistra e di destra".
– Nella discarica di sinistra il sognatore trova visioni di religiosità, spiritualità e
devozione ecc.,
– mentre in quella di destra predominano visioni e sensazioni di violenza,
sessualità, voluttà e attività fisiche.
Tutti i sogni normali hanno luogo vicino a queste regioni, cosicché si possono in genere
chiaramente categorizzare come della "discarica di sinistra o di destra". Ma anche ai
bordi che circondano la regione della normalità, del "buon senso", esistono delle
discariche. Persone, che tengono il proprio punto d'assemblaggio costantemente - cioè
nello stato di veglia - fissato in una tale posizione, vengono definite generalmente
"radicali" o "fanatiche".
Il sognare controllato dei Toltechi non ha più luogo ai bordi della fascia, ma nel suo
centro. I bordi, le discariche, rendono infatti attraverso le forti agitazioni sensoriali, che
vengono ivi provate, quasi impossibile un controllo obiettivo. Una regione tipica per il
sognare sarebbe per esempio l'ambito F raffigurato nel disegno 10. Questo è però solo
un esempio, poiché i sognatori possono spostare per principio il punto d'assemblaggio
in qualsiasi posto possibile dell'uovo luminoso.
Nel centro della fascia organica i sognatori toltechi percepiscono un mondo luminoso,
che non è più un mondo degli oggetti, ma un mondo dei campi d'energia. Quando
questi spostamenti verso la profondità della fascia organica non accadono in uno stato
onirico, ma direttamente in stato di veglia, non si parla di sognare, ma di "vedere".
Il "vedere" è quindi in principio alquanto simile al sognare, solo che avviene partendo
da differenti punti di partenza. Nel caso del sognare i Toltechi sfruttano la naturale
spinta dello spostamento onirico, mentre per il "vedere" il punto d'assemblaggio deve
essere mosso volontariamente. Proprio questo è un problema fondamentale della
pratica tolteca.
Quando il punto d'assemblaggio si avvicina al centro dell'uovo luminoso (fig. 10, regione
D) si presentano sogni particolarmente interessanti. In questo caso emergono diversi
contenuti tipici: in primis bisogna dare un nome all'incontro con la "figura umana", che
i Toltechi paragonano alla concezione occidentale di Dio.
La figura umana è difatti quell'essenza, che ci ha creati - come narrato anche nella
genesi giudaico-cristiana - a sua immagine e somiglianza. Ho avuto una volta la fortuna
di incontrarla in uno dei miei sogni. Appare in genere come una raggiante figura di
luce, che altrimenti è formata esattamente come un essere umano. È il nostro vero
archetipo, il conio, secondo cui siamo stati formati. È difficile descrivere l'ineguagliabile
gioia che si può provare durante un incontro con la figura umana. Ma secondo gli
insegnamenti toltechi questa figura non ha un reale potere, poiché non è identica a
quelle forze, che governano il nostro destino.
Un'altra tipica percezione, che si presenta quando il punto d'assemblaggio si avvicina al
centro, è una gigantesca muraglia di nebbia color zolfo. Questa è in senso proprio una
"barriera della percezione", che separa il mondo organico, come lo conosciamo noi, da
altri mondi di fatto. Quando il punto d'assemblaggio viene spostato vicino al centro è
possibile lasciare la fascia organica e penetrare nella parte restante dell'uovo luminoso.
Oltre alla fascia organica esistono ancora sette altre fasce, che possono essere rese
accessibili alla nostra percezione. Queste sette fasce appartengono in realtà ad altri
esseri viventi che esistono sulla nostra terra, ma che non sono organici; cioè questi
esseri non hanno un corpo a noi visibile. I Toltechi parlano di questi "esseri inorganici"
come di esistenze, che sì hanno una consapevolezza, ma che in senso organico non
posseggono alcuna vita propria. Questi esseri sono chiamati anche "alleati", in quanto
gli stregoni allacciano con loro frequentemente dei contatti, che possono apportare
vantaggi ad entrambe le parti.
Gli alleati vivono in sette mondi paralleli che esistono tutti qui sulla nostra Terra, ma
che sono divisi l'uno dall'altro da una barriera di consapevolezza. Quando uno stregone
oltrepassa questa barriera (il muro di nebbia) giunge prima in una specie di zona
intermedia, una terra di nessuno, che gli stregoni chiamano "limbo" e che è ubicata fra
la fascia organica e il prossimo di questi sette mondi. Per quanto riguarda il punto
d'assemblaggio questo significa che si trova ora al di fuori della fascia organica e che è
penetrato in un ambito, che i Toltechi chiamano "ignoto infinito" (fig.10, regione G).
Don Juan dice riguardo a questi spostamenti del punto d'assemblaggio: "(...) sono tutto
l'ignoto infinito, dove non c'è traccia di cose umane. Questo è veramente un ambito di
estensione così sconvolgente, che sarebbe difficile descriverlo anche ai migliori
veggenti". Anch'io non voglio provarci, poiché bisognerebbe prendere in prestito troppe
concezioni quotidiane, che in questo campo semplicemente non sono vere. Voglio
lasciare le cose come stanno dicendo, che dietro il muro di nebbia si trovano altri
mondi completi, che sono altrettanto assoluti e di fatto reali, come il nostro normale
mondo della percezione quotidiana.
Il vero e proprio effetto dello spostamento del punto d'assemblaggio al centro dell'uovo
luminoso - soprattutto nel caso del sognare - è tuttavia l'accesso alla doppia
percezione, che viene anche chiamata il "raggiungimento del sosia". In quel momento
si prova la separazione di una parte del nostro sé alla nostra personalità, in genere
unificata. Poiché non posso parlare per altri stregoni, non mi rimane altro da fare che
narrare come io stesso ho vissuto l'accesso al sosia.
Una mattina mi trovavo in uno stato di sogno consapevole, come mi era già
accaduto spesso. Durante questo sogno ebbi un'idea folle: mi chiedevo, cosa
sarebbe potuto succedere, se mi lasciavo semplicemente cadere all'indietro. Ho
già detto, che tali idee per il corpo del sogno non sono elementi del pensiero
discorsivo, ma ordini diretti. Mi lasciai dunque cadere all'indietro, ma invece di
urtare da qualche parte o essere frenato dal terreno continuai sempre a cadere.
Sfrecciavo ad una velocità impressionante attraverso una specie di tunnel di luce,
che non sembrava avere fine. Continuavo a cadere. Improvvisamente atterrai in
modo sconnesso nel mio normale corpo. Ero nuovamente nel mio letto e pensavo
che questa manovra non aveva avuto risultati. Ma improvvisamente mi afferrò un
vento stranamente vivace, che pareva venisse da sotto il mio letto. Questo vento
era così forte che mi soffiò verso l'alto. I miei capelli svolazzavano in giro mentre
io fluttuavo circa un metro sopra il mio letto, sostenuto solamente dalla forza di
questo vento. Una cosa del genere non mi era mai capitata prima d'allora. Il
vento si placò e mi ritrovai accanto al mio letto. Quando guardai il letto mi presi
un gran spavento: ero coricato e stavo ancora dormendo profondamente. Sapevo
di essere finito nel mio sosia e di non dovermi svegliare in nessun caso. Per tale
motivo lasciai immediatamente la mia stanza ed andai in giro per casa.
A quel tempo non sapevo ancora nulla sul punto d'assemblaggio e sui suoi
spostamenti, ma ero chiaramente consapevole di aver aperto la porta su uno dei più
inconsueti misteri della nostra esistenza. Sono trascorsi anni da quell'episodio ed ho
avuto la possibilità ancora più spesso di convincermi della realtà del sosia. Queste
esperienze sono realmente il coronamento di tutti gli sforzi nell'arte del sognare.
Ma torniamo al punto d'assemblaggio e ai suoi movimenti. I sognatori imparano a
muovere volontariamente questo punto attraverso tutto il loro uovo luminoso. Facendo
ciò giungono a zone della consapevolezza e della percezione, che sono precluse e
nascoste all'uomo medio. La via per la libertà porta i sognatori attraverso queste
esperienze nello spettro della totalità di tutte le possibilità della nostra consapevolezza.
I sognatori raggiungono però la liberazione definitiva e assoluta solo attraverso un atto
molto particolare, per il quale oggi non sono sicuramente ancora pronto: muovono il
loro punto d'assemblaggio a grande velocità su tutta la larghezza dell'uovo luminoso.
Quest'atto accende la totale consapevolezza, cioè si è consapevoli di tutto allo stesso
tempo. Questo procedimento da solo sembra portare la libertà. Castaneda scrive a
riguardo: "In quell'istante vengono consumati da un fuoco interiore e scompaiono dalla
faccia della terra, liberi, come se non fossero mai esistiti".