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Federica Pezzoli
(eds.)
IMAGINARIOS CIENTÍFICOS
Conocimiento, narraciones y utopías
EDICIONES CLÁSICAS
MADRID
Primera edición 2014
Ilustración de cubierta:
I.S.B.N. 84-7882-000-0
Depósito Legal:
Impreso por MALPE S.A.
ÍNDICE
ciencias de una de las filósofas más sugerentes del s. XX, Simone Weil.
La apasionada dedicación de Weil al mundo y al pensamiento antiguos,
que le sirven de referente, nos permite completar el círculo de reflexio-
nes y variaciones en torno a estos temas, dentro del espectro de una
cultura occidental que se reconoce en sus raíces clásicas. Las contribu-
ciones de Pierro y de Franzoi y Mazzone, suponen una modulación final
correspondiente al traslado de lo utópico al terreno expresivo del arte.
Se trata de un desplazamiento propio de en una época como la actual,
en la que las fronteras entre el conocimiento teórico y el práctico o
poiético se ponen en entredicho y en la que, en todo caso, se produce
una reflexión interdisciplinar en torno al sentido de las actividades ar-
tísticas y plásticas que involucra, de manera cada vez más evidente, a
la filosofía y a una multiplicidad de saberes, desde los tecno-científicos
hasta los ético-políticos.
No hemos querido, sin embargo, utilizar únicamente un criterio cro-
nológico en el orden de los ensayos con idea de destacar asimismo los
temas transversales y diacrónicos que asocian unos trabajos con otros,
bien por las características comunes de sus objetos de estudio o por el
punto de vista desde el que se analizan. Así, la sección I, “De lo imagi-
nario en la ciencia antigua”, recoge algunos ensayos (Pitotto, Meiroşu
y López Férez) en los que los temas centrales del volumen aún no se
despliegan en toda su potencialidad, si bien se vislumbran sus posibili-
dades de convergencia a través de teorías, textos y fragmentos clásicos
en las que lo imaginativo y lo científico se aunan con diversos propósi-
tos. En la sección II, “Geometrías utópicas”, hemos incluido tres traba-
jos (Cano Cuenca, Acerbi y Addabbo) que tienen como característica
común tomar como referente epistémico el saber abstracto –pero tam-
bién exacto, demostrativo y axiomatizable– de la ciencia matemática
griega por excelencia, i.e. la geometría, en sus diversas propuestas de
carácter utópico que, por lo demás, abarcan desde el s. IV a.n.e. al s. XIX
n.e. El tipo de conocimiento correspondiente a las ciencias exactas, que
habría de presidir el desarrollo del ideal griego de demostración, aún en
gran medida vigente, fascinó siempre no solo a sus cultivadores direc-
tos, sino a filósofos y pensadores de todas las ramas del saber (incluso
políticos) que tratarían de encontrar en la certidumbre de lo mensurable
un antídoto contra la complejidad irreparable de la esfera de la acción
humana. Por otro lado, como veremos en la propuesta de Addabbo, el
propio desarrollo y complejización del conocimiento geométrico inspi-
raría la posibilidad de interpretar la realidad política y social de forma
más abierta y multidimensional. Tanto algunas de las virtudes como de
las limitaciones inherentes de semejantes ideas aparecen reflejadas en
INTRODUCCIÓN. CONOCIMIENTO, UTOPÍA Y ACCIÓN 9
.
MEDICINA E UTOPIA
IL CASO DELLE PITICA III COME INDIZIO DI UN INTRECCIO
ANTICO
Elisabetta Pitotto
Università di Torino
elipitotto@hotmail.com
1. Il quadro mitologico
Protagonista mitologico della Pitica III –non già un vero e proprio
epinicio, quanto piuttosto una consolatio in versi rivolta a uno Ierone
malato e sconfitto1– è Asclepio, medico tanto abile da riportare in vita
i morti. L’episodio che lo riguarda attacca in medias res con un augurio
irrealizzabile: che Chirone fosse ancora vivo2. Il nesso logico chiamato
a collegare il centauro con la situazione contingente in cui inquadrare
l’epinicio, però, per il momento resta implicito; la sua menzione serve
piuttosto come spunto per aprire uno squarcio narrativo sulle vicende
del suo allievo, appunto Asclepio, e della madre di lui, Coronide. Più
nel dettaglio, i vv. 5-23 riportano l’insana passione della fanciulla, pure
già incinta di Apollo, per Ischi:
οἷος ἐὼν θρέψεν ποτέ 5
τέκτονα νωδυνίας
ἥμερον γυιαρκέος Ἀσκλαπιόν,
ἥροα παντοδαπᾶν ἀλκτῆρα νούσων.
-
τὸν μὲν εὐίππου Φλεγύα θυγάτηρ
––––––––––––
1 Cfr. al proposito le analisi tracciate nelle rispettive introduzioni alla Pitica III da Gentili in
salda le membra, l’eroe che protegge da tutte le specie dei morbi. La figlia di Flegia dai bei
cavalli, prima di darlo alla luce, con l’aiuto di Ilizia che assiste le madri, domata dagli aurei
dardi di Artemide nel suo talamo, scese alla dimora dell’Ade per le arti d’Apollo. Non è mai
vana l’ira dei figli di Zeus. Per uno smarrimento dell’animo essa l’ebbe a disdegno e, di nascosto
al padre, consentì all’unione con un altro, già prima congiunta ad Apollo, che intonsa ha la
chioma, in sé recando il puro seme del dio, non attese la mensa nuziale e il concento sonoro
degli inni imenei che le coeve, vergini compagne, amano nel vespro innalzare cantando facezia
giocose; ma s’invaghì di cose lontane: accade anche a molti. C’è una razza tra gli uomini total-
mente vana, che le cose nostrane vitupera e scruta quelle remote, a caccia di fantasmi con spe-
ranze inani”. (Questa e le successive citazioni dalla Pitica III seguono il testo e la traduzione in
Pitiche 20064; i passi in greco citati nel testo alla pagine successive trovano in queste note
iniziali la loro traduzione).
MEDICINA E UTOPIA. IL CASO DELLE PITICA III COME INDIZIO DI UN INTRECCIO ANTICO 21
giacque nel letto d’un uomo straniero venuto d’Arcadia. Ma non eluse chi la spiava: a Pito,
ricettacolo di greggi sacrificali, si trovava il Lossia, sovrano del tempio, l’apprese dopo aver
persuaso il suo animo consultando l’alleato più schietto, la mente che tutto conosce: non tocca
menzogna né mai l’inganna né dio né uomo con atti e pensieri. E allora, saputo l’alieno connu-
bio con l’Ilàtide Ischi e l’illecito inganno, mandò a Licerìa la sorella furente d’indomita rabbia,
poiché sulle sponde scoscese della palude Bebìade la giovine aveva dimora; un demone avverso
sospintala nel male la domò, e molti dei vicini ne furono coinvolti e insieme ad essa annientati:
il fuoco balzato da un germe molta selva distrugge sul monte”.
5 “Ma quando i parenti sul muro di legna deposero la giovinetta e correva d’intorno la vampa
rapace di Efesto, allora Apollo disse: ‘Non più sopporterò di far perire la mia prole di morte
tristissima nella penosa sciagura materna’. Disse e raggiunto al primo passo il bimbo lo rapì dal
cadavere; e il rogo bruciando un varco gli aprì tra le fiamme. E lo portò dal Centauro di Mag-
nesia perché gli insegnasse a guarire le dolorose malattie degli uomini”.
22 Elisabetta Pitotto
successivi, dal 47 al 58, dedicati prima alla fama universale che egli
ottenne come guaritore e poi alla punizione inflittagli da Zeus di fronte
agli eccessi cui volle spingere la scienza medica:
τοὺς μὲν ὦν, ὅσσοι μόλον αὐτοφύτων
ἑλκέων ξυνάονες, ἢ πολιῷ
χαλκῷ μέλη τετˈρωμένοι
ἢ χερμάδι τηλεβόλῳ,
ἢ θερινῷ πυρὶ περθόμενοι δέμας ἢ 50
χειμῶνι, λύσαις ἄλλον ἀλλοίων ἀχέων
ἔξαγεν, τοὺς μὲν μαλακαῖς ἐπαοιδαῖς ἀμφέπων,
τοὺς δὲ προσανέα πί-
νοντας, ἢ γυίοις περάπτων πάντοθεν
φάρμακα, τοὺς δὲ τομαῖς ἔστασεν ὀρθούς·
-
ἀλλὰ κέρδει καὶ σοφία δέδεται.
ἔτραπεν καὶ κεῖνον ἀγάνορι μι-
σθῷ χρυσὸς ἐν χερσὶν φανείς 55
ἄνδρ’ ἐκ θανάτου κομίσαι
ἤδη ἁλωκότα· χερσὶ δ’ ἄρα Κρονίων
ῥίψαις δι’ ἀμφοῖν ἀμπνοὰν στέρνων κάθελεν
ὠκέως, αἴθων δὲ κεραυνὸς ἐνέσκιμψεν μόρον6.
È solo a questo punto che, con un processo avvincente di
disvelamento semantico, vengono chiariti i rapporti narrativi interni al
quadro mitologico. In ordine chiastico rispetto alla presentazione
incipitaria tornano infatti Asclepio, miracolosamente salvato dal padre7,
e poi Chirone, cui il bambino fu affidato per essere istruito nella pratica
taumaturgica8. La abilità raggiunta da Asclepio, però, fu tale da indurlo
a peccare di ὕβρις, e addirittura a provare a risuscitare un morto. Nel
suo essere così ardito, questo tentativo offre il pretesto immediato per
una γνώμη che, nella cerniera fra la seconda antistrofe e il secondo
epodo, richiama la necessità di mirare a obiettivi conformi alla realtà:
––––––––––––
6 “E quanti vennero a lui compagni di piaghe congenite o feriti nelle membra dal lucido
bronzo o dal getto di pietra o disfatti nel corpo da febbri estive o dal gelo, li congedava disciolti
dall’un dolore o dall’altro, gli uni curando con blandi incantesimi, altri con pozioni benefiche
o fasciando le membra con farmaci, altri con azioni chirurgiche rimise in piedi. Ma pure il
sapere è messo in catene dal guadagno. E l’oro che apparve nelle mani spinse anche lui pel
cospicuo compenso a ridestare dalla morte chi ne era già preda. Ma il figli di Crono con le sue
mani folgorandoli entrambi rapido tolse dai petti il respiro, e la fulva saetta inflisse loro la
morte”.
7 Cfr. vv. 43-44.
8 Cfr. vv. 45-46.
MEDICINA E UTOPIA. IL CASO DELLE PITICA III COME INDIZIO DI UN INTRECCIO ANTICO 23
––––––––––––
9 Cfr. Pind. Pyth. III 59-62: “Bisogna chiedere agli dèi cose conformi alle menti mortali,
consapevoli di quanto è ai nostri piedi, di quale sorte siamo partecipi. Anima mia, non ambire
a una vita immortale, ma dà fondo a una via praticabile”.
10 Cfr. Pind. Pyth. III 63-64, riportati e commentati sotto, par. 3.
11 Cfr. Pind. Pyth. III 13: ἀμπλακίαισι φρενῶν.
24 Elisabetta Pitotto
––––––––––––
12 Un passo commentato sotto, par. 3.
13 Cfr. Pind. Pyth. III 2: κοινὸν […] ἔπος.
14 Per un’analisi sistematica al riguardo cfr. CUSCUNÀ 2004-2005; per un quadro complessivo
della realtà politica contingente sul cui sfondo collocare gli epinici pindarici per Ierone cfr.
LURAGHI 1994: 273-373.
15 Cfr. Pind. Pyth. III 27: σκοπόν.
MEDICINA E UTOPIA. IL CASO DELLE PITICA III COME INDIZIO DI UN INTRECCIO ANTICO 25
––––––––––––
16 Una linea esegetica promossa in particolare da CUSCUNÀ 2004-2005.
17 Cfr. più ampiamente al riguardo PITOTTO c.s., par. 2.3.
18 Cfr. ad esempio i vv. 47-58, riportati sopra al par. 1 e commentati più ampiamente sotto in
stesso paragrafo.
20 Si tratta di Pind. Pyth. III 65-67, riportato e commentato sotto in questo stesso paragrafo.
26 Elisabetta Pitotto
κῶμον, segno di festa per una vittoria che invece è sfuggita21, ma anche
una seconda chimera quale è, nella realtà contingente, la ὑγίειαν
χρυσέαν22.
Il tema della medicina, comunque, viene sviluppato nella maniera
più organica nel corso della terza strofe. Qui, ai vv. 47-48 sono
menzionate dapprima le “piaghe congenite”, e degno di nota è
soprattutto il fatto che il sintagma αὐτοφύτων U ἑλκέων si trova in
enjambement interlineare, suddiviso per di più fra due versi separati
comunque dalla metabola ritmica fra l’hemiepes maschile con cui si
chiude il v. 47 e l’epitrito trocaico con cui si apre il v. 48. Poi si
ricordano le ferite inflitte da armi o da sassi attraverso l’espressione ἢ
πολιῷ χαλκῷ μέλη τετρωμένοι U ἢ χερμάδι τηλεβόλῳ: si rilevi al
riguardo il nuovo ricorso all’enjambement interlineare, che colloca il
primo colon alla fine del v. 48 e il secondo –con massima chiarezza
espositiva– proprio all’inizio del verso 49, dopo lo iato e la metabola
ritmica fra epitrito giambico e prosodiaco. Al v. 50, ἢ θερινῷ πυρὶ
περθόμενοι δέμας ἢ χειμῶνι, sono ricordate infine le febbri originate
dal calore o dal gelo eccessivi: anche l’ultimo elemento di questa lista
di malanni è posizionato in buona evidenza, perché l’inizio di questa
entry finale, introdotta sempre dalla congiunzione disgiuntiva ἤ,
coincide a pieno con l’inizio di un nuovo verso, il quarto della strofe,
formato da hemiepes maschile e dimetro anapestico.
La parte seguente della sub-unità strofica si concentra invece sulla
validità delle cure impartite, menzionate attraverso il tricolon τοὺς μὲν
μαλακαῖς ἐπαοιδαῖς ἀμφέπων (v. 51); τοὺς δὲ προσανέα πίνοντας, ἢ
γυίοις περάπτων πάντοθεν U φάρμακα (vv. 52-53); e τοὺς δὲ τομαῖς
ἔστασεν ὀρθούς (v. 53). Degno di nota è l’arrangiamento retorico
complessivo del passo, dal momento che, contrariamente all’habitus
corrente, l’ultimo colon non è il più esteso, ma riceve comunque buona
evidenza grazie a una variatio sintattica: se i primi due elementi ruotano
attorno a un participio, ἀμφέπων e περάπτων rispettivamente, il terzo
presenta invece l’aoristo ἔστασεν.
Nel quadro di un volume che riflette su utopia e scienza, è opportuno
porre nella giusta luce il fatto che tutti i termini impiegati da Pindaro a
indicare i metodi curativi applicati da Asclepio trovano un esatto
corrispettivo nella letteratura medica specialistica. Un’indagine
condotta sui principali corpora antichi, vale a dire Ippocrate e Galeno,
––––––––––––
21 Si tratta della complessa vicenda relativa alla vittoria pitica colta invece da Polizelo e pre-
sumibilmente celebrata nell’“auriga di Delfi”: cfr. al riguardo PICCIRILLI 1971, ROLLEY 1990,
STUCCHI 1990, LURAGHI 1994: 322-324, MAEHLER 2002, VANOTTI 2007, ADORNATO 2008 .
22 Cfr. Pind. Pyth. III 73: “la salute dorata”.
MEDICINA E UTOPIA. IL CASO DELLE PITICA III COME INDIZIO DI UN INTRECCIO ANTICO 27
––––––––––––
23 Cfr. SULLIVAN 1989, 2001a, 200b, 2002 e 2003.
24 Cfr. al proposito la disamina condotta in BONANNO 2006, valida per un quadro complessivo
sulla salute di Ierone ancorché riferita specificamente alla Pitica I.
25 Cfr. sopra, il passo riportato e tradotto alla n. 2.
28 Elisabetta Pitotto
––––––––––––
26 Cfr. Pind. Pyth. III 63-67: “Se ancora abitasse la sua grotta il saggio Chirone e gli inni miei
dolci come il miele gli stillassero incanto nell’animo, anche oggi lo convincerei ad offrire agli
uomini valenti un guaritore di morbi febbrili, sia esso chiamato figlio del figlio di Leto o del
padre Zeus. E sarei giunto per nave solcando il mare Ionio alla fonte Aretusa presso l’ospite
etneo”.
27 Cfr. Pind. Pyth. III 73-76: “Se gli avessi recato, all’approdo, un duplice dono, l’aurea salute
e il canto di lode, ch’è lustro per i serti dei pitici agoni che un giorno Fernìco ottenne nei giochi
di Cirra, dico, a lui sarei giunto luce lungisplendente più di un astro nel cielo, varcato il profondo
mare”.
28 Emblematico suona, al riguardo, la parte finale dell’ultimo epodo, riportata nel testo sotto
U μελιγάρυες ὕμνοι U ἁμέτεροι τίθεν […] πίθον U […] καί κεν […]
μόλον (vv. 63-68), ed εἰ κατέβαν […] U ἐξικόμαν κε (vv. 73-76).
Nei versi subito successivi, però, anche senza esplicitare
l’impossibilità della guarigione si affaccia una esortazione al realismo.
La nuova sfumatura è introdotta a partire dall’ἀλλά a valore incettivo
avversativo con cui si apre la quarta antistrofe, ed è chiarita dal monito
rivolto a Ierone perché comprenda a pieno il senso delle parole
pindariche:
ἀλλ’ ἐπεύξασθαι μὲν ἐγὼν ἐθέλω
Ματρί, τὰν κοῦραι παρ’ ἐμὸν πρόθυρον σὺν
Πανὶ μέλπονται θαμά
σεμνὰν θεὸν ἐννύχιαι.
εἰ δὲ λόγων συνέμεν κορυφάν, Ἱέρων,
ὀρθὰν ἐπίστᾳ, μανθάνων οἶσθα προτέρων29.
A ben vedere, appelli alla accettazione risuonano comunque fin dal
primo epodo: questa sub-unità strofica è suggellata da un riferimento
alle ἀκράντοις ἐλπίσιν (v. 23) nelle quali i mortali dovrebbero cercare
di non disperdersi. Prima dell’immagine –tanto rasserenante quanto
destinata a non trovare una realizzazione nei fatti– di un Pindaro che
porta a Siracusa il canto epinicio e il medico risolutore, spicca quasi
come contrappeso l’imperativo μή, φίλα ψυχά, βίον ἀθάνατον U σπεῦδε,
τὰν δ᾽ ἔμπρακτον ἄντλει μαχανάν (vv. 61-62). L’oscillazione si calma
soltanto nell’ultimo epodo: grazie al canto epinicio, l’uomo può ambire
a una fama questa sì immortale:
Νέστορα καὶ Λύκιον Σαρπηδόν’, ἀνθρώπων φάτῑς,
ἐξ ἐπέων κελαδεννῶν, τέκτονες οἷα σοφοί
ἅρμοσαν, γινώσκομεν· ἁ δ’ ἀρετὰ κλειναῖς ἀοιδαῖς
χρονία τελέθει· παύροις δὲ πράξασθ’ εὐμαρές30. 115
In quest’ottica, può essere compresa in tutta la sua pregnanza il
ritratto del laudandus, tracciato in termini sintetici ma assai significativi
in apertura della quarta strofe:
ὃς Συρακόσσαισι νέμει βασιλεύς, 70
πραῢς ἀστοῖς, οὐ φθονέων ἀγαθοῖς, ξεί-
––––––––––––
29 Cfr. Pind. Pyth. III 77-80: “Ma voglio pregare la Madre, dea venerabile insieme con Pan,
che le fanciulle spesso nella notte presso l’atrio cantano. Se tu sai comprendere nelle mie parole
il senso giusto, o Ierone, dagli antichi hai imparato”.
30 Cfr. Pind. Pyth. III 112-115: “Nestore e il licio Sarpedonte divenuti leggenda tra gli uomini
li conosciamo dai versi sonori che artefici saggi composero; perdura il valore nei celebri canti;
ma solo a pochi è facile ottenerli”.
30 Elisabetta Pitotto
Riferimenti bibliografici
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LIBERMAN, G., ed. (2004), Pindare, Pythiques.Texte établi, traduit et annoté par Gau-
thier Liberman, Paris.
––––––––––––
31 Cfr. Pind. Pyth. III 70-71: “che [scil. Ierone, l’“ospite etneo” menzionato al v. 69] come re
governa Siracusa mite con i suoi concittadini, non invido con gli uomini valenti, dagli stranieri
ammirato come un padre”.
32 Cfr. al riguardo il più ampio commento in PITOTTO (2009: 149-152).
33 Cfr. al riguardo le riflessioni in CURRIE (2005: 285-294).
MEDICINA E UTOPIA. IL CASO DELLE PITICA III COME INDIZIO DI UN INTRECCIO ANTICO 31
LURAGHI, N. (1994), Tirannidi arcaiche in Sicilia e Magna Grecia. Da Panezio di
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MAEHLER, H. (2002), “Bakchylides and the Polyzalos Inscription”, ZPE 139: 19-21.
PICCIRILLI, L. (1971), “La controversia fra Ierone I e Polizelo in Diodoro, negli
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2006, Padova: 205-217.
INNAVERTENZE NELLA TEORIA DEI SIMULACRA LUCREZIANI
(DE RERUM NATURA, IV)
Anca Meiroşu
Università Ca’ Foscari
anca.meirosu@gmail.com
menti, che sono stati ripartiti per argomenti (Canonica, Fisica, Etica), nonché tre lettere conte-
nute nella Vite dei filosofi di Diogene Laerzio: A Erodoto, A Meceneo e A Pitocle. La loro
paternità è stata però molto spesso messa in dubbio.
2 La fondamentale dimensione passiva del piacere epicureo si spiega in termini di una tran-
quillità dell’anima, che si può raggiungere conducendo una vita lontana dalla scena politica, in
accordo con la natura, in cui i piaceri somatici, prevalentemente dinamici, venivano sperimen-
tati con misura (cfr. Lettera a Meceneo, 131-132). Questo però non ha impedito ai platonici di
stravolgere il credo degli epicurei, accusandoli di aver incoraggiato una vita edonista.
ritenendo che, una volta rivestiti di forma estetica, avrebbero potuto più
facilmente conquistare l’attenzione dei potenziali seguaci (DRN IV, vv.
11-16, parabola del miele che addolcisce l’assenzio per farlo bere ai
piccoli, puerorum aetas improvida)3. Si può giustamente affermare che
Lucrezio ha superato il suo maestro attraverso l’ingegnoso stratagemma
di far maturare un credo filosofico nell’ambito della parola poetica:
volui tibi suaviloquenti / carmine Pierio rationem exponere nostram /
et quasi musaeo dulci contingere melle (DRN IV, vv. 20-22). Il suo
lavoro, De rerum natura, vanta diverse griglie di lettura, che spaziano
da quelle che ne hanno elogiato la dimensione filosofica a quelle che ne
hanno avvertito l’eleganza stilistica (dapprima segnalata da Quintiliano,
Institutio Oratoria X, 1, 87) e certe caratteristiche epiche4.
Se la letteratura è il veicolo delle grandi verità che la filosofia si
propone di svelare, allora la filosofia precede e agevola le scoperte della
scienza5. In questa sede non ci proponiamo di scoprire quanto c’è di
letterario o di filosofico nel poema lucreziano. Quello che ci
proponiamo è invece analizzarne l’audace discorso, sempre alla ricerca
di uno stile sobrio, di una rigorosità didattica, che, a volte però,
inciampa in fratture logiche. Il problema che si pone è quello di definire
che cosa sono, in realtà, queste fratture logiche. Una sincope
composizionale o uno strumento di manipolazione testuale e delle idee?
In che modo dovremmo affrontarle e interpretarle? Più avanti si vedrà
come riesce la letteratura a venire a patti con la filosofia, la quale, a sua
volta, deve colmare i vuoti e spianare le imperfezioni di un ingenuo
metodo di ricerca, come quello adottato da Lucrezio6. A tale scopo,
soffermeremo la nostra attenzione sulla descrizione dei simulacra, che
reputiamo una delle più evidenti testimonianze al riguardo.
Dopo aver elogiato la dottrina di Epicuro –enunciandone i famosi
precetti secondo cui niente proviene dal nulla (DRN I, vv. 156-157) e
niente torna nel nulla (DRN I, vv. 215-216)– e dopo aver esposto le
proprietà degli atomi, Lucrezio si occupa dei simulacra7. Secondo il
poeta latino, i simulacra sono delle membrane sottilissime
––––––––––––
3 “Yet the author’s claim that poetry is a means of popularization links him with his Greek
contemporaries, and the use of poetic quotations by the later Epicureans provides a kind of
middle ground between Lucretius’ poem and Epicurus hostility to poetry” (DE LACY 1948: 23).
4 Si veda MURLEY (1947: 336-346).
5 Per la grande rivoluzione scientifica europea, che inzia alla fine del XVI e continua per tutto
2007.
7 Prima di acquisire un valenza tecnica, la parola simulacra era stata adoperata con il suo
senso in uso a quei tempi, indicando “l’immagine dei morti” (DRN I, v. 123), e con il suo senso
originario di “statua” (DRN II, v. 24). Cfr. THURY (1987: 287).
INNAVERTENZE NELLA TEORIA DEI SIMULACRA LUCREZIANI (DE RERUM NATURA, IV) 35
Sed ne forte putes ea demum sola vagari / quae cumque ab rebus rerum
simulacra recedunt, sunt etiam quae sponte sua gignuntur et ipsa /
constituuntur in hoc caelo, qui dicitur aer, quae multis formata modis
sublime feruntur, ut nubes facile inter dum concrescere in alto / cernimus
et mundi speciem violare serenam / aera mulcentes motu,
che noi chiamiamo nuvole.
Detto ciò, il poeta continua con una riflessione sulla velocità di queste
immagini che, non appena si scontrano con le montagne, perdono la loro
forma iniziale e ne assumono una nuova: Nunc ea quam facili et celeri
ratione genantur (DRN IV, v. 143)9. Questa volta non è più dalla
modifica di quanto affermato in precedenza, ma dall’aggiunta di dettagli
in disaccordo con quanto affermato in precedenza che nasce
l’incongruenza. L’ambiguità del metodo espositivo provoca non solo una
difficoltà di interpretazione nella mente del lettore, ma rende ambigua la
funzione didattica del discorso: come definiamo, in fin dei conti, i
simulacra10? Sono essi una “copia fragile”, dipendente dalla forma dei
corpi già esistenti in natura, che si possono conoscere attraverso tutti i
sensi, o prendono forma indipendentemente da questi? Dal momento che
le opzioni si escludono reciprocamente, risulta sconcertante ritrovarle
entrambe all’interno della stessa opera. Eppure Lucrezio lascia la risposta
in sospeso, focalizzandosi sulla descrizione delle caratteristiche di queste
immagini. Più importante si rivela ora cucire insieme l’idea appena
espressa –quella della spontaneità con cui si formano le nuvole– con
quella che si sta per aggiungere, relativa alla velocità della nuvole. Forse
questa successione rapida di idee fa parte di una strategia letteraria mirata
a sviare l’attenzione del lettore da un momento poetico ad altro,
stuzzicandone la curiosità. O forse il poeta cerca una via di mezzo tra gli
insegnamenti del trattato epicureo Sulla natura e una visione personale
che lo spingerebbe a superarli. Comunque sia, l’intento di arricchire di
dettagli il corpus della dottrina epicurea finisce con il mettere a
repentaglio l’integrità del discorso filosofico.
Esaminati i brani relativi alla comparsa e alla forma dei simulacra,
dobbiamo ora riflettere anche sulla loro funzione. Dopo aver esposto,
in tutta la prima parte del libro IV, il ruolo fondamentale dei cinque
sensi nella scoperta dell’universo, il poeta sorprende il lettore con un
blocco di versi che elogiano la ragione, conferendole il primato in fatto
di conoscenza assoluta: hoc animi demum ratio discernere debet, / nec
––––––––––––
9 Sulla velocità dei simulacra, cfr. La Lettera a Erodoto 48.
10 “Of course, any Epicurean must use analogy, with recognizable phenomena as the primary
means to identify and describe elemental features and is justified in doing so as long as the
analogy is not misleading” (WORDY, 1988:121).
38 Anca Meiroşu
possunt oculi naturam noscere rerum / proinde animi vitium hoc oculis
adfingere noli (DRN IV, vv. 384-386). A distanza di più di un centinaio
di versi, ci si imbatte nuovamente nella testimonianza poetica della
totale fiducia nei sensi, senza nessuna allusione al ruolo della ragione:
invenies primis ab sensibus esse creatam / notitiem veri neque sensus
posse refelli (DRN IV, vv. 478-479) e proinde quod in quoquest his
visum tempore, verumst (DRN IV, v. 499)11.
Benché non giovi all’omogeneità logica del discorso, la mancata
costanza da parte del poeta latino va affrontata con tolleranza anche
questa volta. Alla domanda se sono la ragione o piuttosto i sensi a cui ci
si debba sottoporre nell’interpretare i dati del mondo circostante,
risponderemmo che è a questi ultimi che si deve dar retta, visto che il
poeta ha dedicato loro un maggior numero di testimonianze (si veda tutta
la prima parte del libro IV). Avendo poi voluto sviluppare la tesi della
loro supremazia nel processo conoscitivo, Lucrezio ha imboccato una
strada sinuosa che lo ha portato ad affrontare perfino il problema delle
illusioni, ovvero degli errori dei sensi (sviluppato nell’ambito di una
digressione), a cui aveva fatto cenno anche Epicuro (DRN, IV vv. 379
ss.)12. Ma con l’aver insinuato che i sensi possono a volte ingannare, il
poeta ha messo in discussione l’idea di fondo della loro supremazia,
facendo della ragione l’unico strumento valido di cui ci si può fidare. La
confusione suscitata da questo squilibrio testuale viene soffocata dal
“manifesto” contro gli scettici che costituisce una buona occasione per
reintrodurre l’idea da accantonata, ovvero quella dell’incontrastata
superiorità dei sensi nella scoperta del mondo (DRN IV, vv. 462 ss.). Si
può facilmente notare come la costante manipolazione del discorso
contribuisca all’accumulazione di informazioni che compongono il
ritratto di una dottrina filosofica, che cresce di pari passo con la scrittura
in cui è riversata.
Dobbiamo ancora discutere delle possibilità di esercitare autorità sui
simulacra. Ai vv. 805-806, il poema ci insegna che la nostra volontà
(voluntas) può influire sulla comparsa dei simulacra, che vengono
incontro ai nostri desideri a patto che l’animo vi sia preparato: ipse
(animus) parat sese porro speratque futurum / ut videat quod
consequitur rem quamque: fit ergo (DRN IV, vv. 805-806). In altre pa-
role, l’individuo può “ordinare” immagini che gli si “srotolino” din-
nanzi a seconda delle sue preferenze, un’idea che mette in pericolo la
teoria dei simulacra, secondo la quale sono loro ad andare incontro al
––––––––––––
11 Sul ruolo dei sensi e della ragione, cfr. Lettera a Erodoto, 49-50.
12 Cfr. Lettera a Erodoto, 50.
INNAVERTENZE NELLA TEORIA DEI SIMULACRA LUCREZIANI (DE RERUM NATURA, IV) 39
––––––––––––
13 Cfr. DRN IV, v. 42.
14 BERGSON (1928).
15 Non è una situazione singolare presso i filosofi antichi. Nel XVII secolo, Francis Bacon,
nella sua opera De principiis atque originibus secundum fabulas Cupidinis et Coeli, sive
Parmenidis et Telesii, et praecipue Democriti philosophia tractata in fabula de Cupidine,
affermava che molte volte Democrito, “quell’altro” maestro di Lucrezio, entrava in
contraddizione con sé stesso: Democritus enim non omnino parabolae tantum, sed et sibi
quoque impar, et fere contrarius reperitur in iis, quae amplius ab eo circa hoc dicta sunt.
40 Anca Meiroşu
Riferimenti bibliografici
1. Fonti
BACON, F. (1826), De principiis atque originibus secundum fabulas Cupidinis et
Coeli, sive Parmenidis et Telesii, et praecipue Democriti philosophia tractata in
fabula de Cupidine, in The works of Francis Bacon, baron of Verulam, viscount
St. Alban’s and lord high chancellor of England, new edition in ten volumes, vol.
IX, printed for C. and J. Rivington et alii; excudit G. Woodfall, Angel Court.
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112-128.
––––––––––––
16 THURY (1987: 280).
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO1
Juan Antonio López Férez
Universidad Nacional de Educación a Distancia
jalferez@flog.uned.es
Introducción
Dentro de un volumen dedicado a la utopía, entendida como
sinónimo de lo que no existe en ninguna parte pero que, aun así, resulta
estrechamente relacionado con lo imaginario, podría justificarse el
presente estudio. Abordaremos en él cómo, en una primera etapa,
auroral, desde el siglo VI a. C., diversos pensadores griegos (filósofos,
médicos, teóricos de la naturaleza) razonaron sobre el interior del
cuerpo humano partiendo, en numerosas ocasiones, de la simple
analogía respecto a hechos visibles, y, en una época muy posterior, ocho
centurias más tarde, un médico tan relevante como Galeno se interesó
por la anatomía y fisiología del cuerpo del animal con éxitos notables,
y, al mismo tiempo, razonó y escribió mucho acerca de las partes
internas del ser humano, terreno en que se vio constreñido, en buena
medida, por el peso de la autoridad de escritores ya entonces canónicos,
a los que no siempre siguió. La medicina, en efecto, marchó, en parte,
por la vía analógica y estuvo impregnada por ella durante largos siglos.
Una explicación parcial de ese proceder centenario, al menos en buena
parte del mundo griego, puede encontrarse en que la práctica de la
anatomía con seres humanos estuvo prohibida por lo general: solo en la
Alejandría de los Ptolomeos se pudo hacer abiertamente,
experimentando, con frecuencia, sobre personas condenadas a muerte.
Entenderemos así que, durante siglos, los estudiosos trataran de
explicar los hechos no visibles mediante la analogía con las realidades
––––––––––––
1 Trabajo realizado dentro del Proyecto FFI2010-22159/FILO de la Dirección General de
1994; HANKINSON 1994; PRIORESCHI 1996: 510,516, 523, etc. Con respecto a la analogía ofre-
cen datos relevantes, HÄNSLER 1927 (precisamente, sobre Galeno, 46, 74-75); LLOYD 1966;
DEBRU 1996: 139, 143 y 173; SCHITTKO 2003, especialmente, sobre Aristóteles y los rétores
helenísticos; etc. Aportan informaciones de indudable interés para nuestro propósito SIEGEL
1969, donde hallamos más de cincuenta menciones de la anatomía, y dieciocho de la analogía,
galénicas; VON STADEN 1972 y 1975; TEMKIN 1973, con buenas observaciones sobre la anato-
mía en nuestro autor; SMITH 1979, insiste en la anatomía y vivisección, 65-69, 78-79, 189-190;
VAN EIJK 2005, nos ofrece más de 18 referencias a la anatomía: concretamente, sobre Galeno,
363-365; etc. El TLG nos da, entre otros, las siguientes cifras respecto al tema analogia-: Platón
(4), Aristóteles (69), Filón (45), Plutarco (23), Galeno (233), Alejandro de Afrodisias (127).
Ese mismo instrumento, con las debidas reservas y precauciones y hecha la selección pertinente,
nos suministra, sobre el tema anatom-, estos resultados: Aristóteles (37), Erasístrato (13), Rufo
(4), Sorano (5), Galeno (942: esta cifra resulta muy significativa, si pensamos que el número
total de ejemplos hasta fines del II d. C. es 1061). El interés de nuestro médico por ambos
términos es, pues, relevante.
3 GA 4.1.763 b 21-25. Entre numerosos estudios acerca de la generación, embriología y ras-
gos hereditarios, puede acudirse a HOMMEL 1927; HAEDICKE 1936: sobre Hipócrates, 77, 79,
157, y, acerca de Aristóteles, 76, 81, 156; BLERSCH 1937: 26, 37; LESKY 1948 y 1950; DUMINIL
1984; BELS 1986; GRMEK 1991: 11-34; GARCÍA GONZÁLEZ 2009. Para una visión panorámica
de la medicina desde Alcmeón hasta los primeros alejandrinos, consúltese LONGRIGG 1999.
4 Plural en el original (en toîs spérmasin. Propiamente, “en los espermas”). Conviene dar una
breve explicación sobre el sustantivo griego spérma, “semilla, semen”. Es de la misma raíz que
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 43
del lado derecho, y la hembra, del izquierdo; los machos, en la parte dere-
cha del útero, las hembras, en la izquierda. Pero otros, (sc. que esa diferen-
cia se produce) en el útero, tal como Empédocles: afirma que los espermas
que van hacia una matriz caliente resultan machos, y, si es hacia una fría,
hembras; causa del calor y del frío es el flujo de las menstruaciones, según
sea más frío o más caliente, o más antiguo o más reciente. Pero Demócrito
el abderita afirma que se produce en el útero la diferencia de la hembra y
del macho, pero no resulta uno macho y otro hembra en razón del calor o
del frío, sino de cuál de los dos prevalece el semen que viene de la parte en
la que se diferencian ambos, la hembra y el macho5.
A continuación, Aristóteles se inclina por lo que sostiene el atomista,
razonándolo con argumentos de mucha enjundia. Los investigadores
del siglo XX han llamado teoría de la preformación a la sostenida por
Anaxágoras y otros6, mientras que dan el título de panespermática
(llamada, asimismo, panespérmica) o pangenética a la postulada por
Demócrito. Ésta, por lo demás, terminó por imponerse, pues los
médicos hipocráticos se mostraron partidarios de admitir la existencia
de dos tipos de semen: masculino y femenino, como veremos en varios
lugares de la Colección hipocrática.
A su vez, dentro del siglo V, los tres grandes trágicos expresan, por
boca de los personajes, ideas que debían de estar presentes entre los
ciudadanos corrientes de la Atenas contemporánea. El hombre siembra
su semilla sobre un campo propicio: es él quien transmite la nueva vida,
mientras que la mujer la recibe dentro de sí, la guarda y acrecienta. Son
numerosos los pasajes de Esquilo, Sófocles y Eurípides que avalan esta
teoría muy extendida. Antes de pasar a Galeno, me detendré con
brevedad en dos cuestiones importantes que habían sido formuladas,
con mayor o menor claridad, desde los presocráticos, y que presento, de
modo sumario, en los dos puntos siguientes.
útero seres vivos invisibles, que luego se alimentan y crecen en él hasta que finalmente salen a
la luz.
44 Juan Antonio López Férez
mitidas por autores muy posteriores. Es bien conocido que uno de los
graves problemas filológicos con que se enfrenta el estudioso de esos
pensadores es que buena parte de los testimonios indirectos sobre los
mismos proceden de escritores bastante tardíos. Teniendo en cuenta esas
limitaciones, trataré de ofrecer de modo resumido los elementos
esenciales de este apartado.
a. Según una corriente de pensamiento de origen persa (LESKY 1950:
10-11), al parecer, el semen procede del cerebro (LESKY 1950: 9-30)7.
Es la llamada teoría encefalogenética. La hallamos entre los pitagóricos,
dentro de un fragmento transmitido por Diógenes Laercio, el cual
afirma que, según Pitágoras “el semen es una gota del cerebro”8. Dicho
postulado habría sido recogido asimismo por el médico pitagórico
Alcmeón de Crotona9. En realidad la escuela médica de esta ciudad, sita
en la Magna Grecia, había construido todo un sistema según el cual el
semen parte del cerebro y de la médula espinal. Reflejos concretos de
esas especulaciones son recogidos por los médicos hipocráticos en
tratados como Sobre los aires, aguas y lugares10 y Sobre la
generación11. Esta línea de pensamiento se refleja, asimismo, a lo largo
del siglo IV, en Platón12 y Diocles de Caristo13.
b. Ahora bien, entre los hipocráticos predomina una teoría más
moderna, la pangenética o panespermática ya mencionada,
parcialmente expuesta por Anaxágoras14 y claramente sostenida por
Demócrito. El pensador atomista afirmaba, en efecto, que el semen
procede de todo el cuerpo, precisamente de sus partes principales:
huesos, carne y nervios15. Es un pensamiento muy fecundo que les
––––––––––––
7 Ver también von Staden (1989: 288-296).
8 Diógenes Laercio 8.28 (58 B 1 a D.-K.).
9 24 A 13 D.-K., noticia recogida por Aecio, doxógrafo, del siglo I d.C. (De placitis philo-
sophorum 5.3.3) y, asimismo, por Censorino, gramático y escritor latino del III d.C. (De die
natali 5.2).
10 Aër. 22. 2.78.10-12 L. (JOUANNA 239.11-12). Esta interpretación le sirve al anónimo autor
hipocrático para explicar la impotencia de los escitas, causada, según él, por dichas incisiones
recibidas en el mencionado lugar anatómico.
11Genit. 2. 7.472 .12-17 L. (JOLY 45.19-24). En esta secuencia tenemos huellas de una mezcla
de la teoría encefalogenética con una variante importante, llamada mielogenética, según la cual
el semen procede de la médula espinal.
12Ti. 73 b –74 a.
13 Fr. 170 WELLMANN; 41a VAN EIJK. El pasaje está recogido en las Definitiones medicae
la opinión de Demócrito pasó directamente a los tratados hipocráticos. De Lacy (1992: 233)
opina que, aunque la referida noticia de Aecio es tardía, tenemos un firme apoyo para pensar
que ése fuera el criterio del atomista, al basarnos en lo que nos confirma Aristóteles, cuando
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 45
final de una estrecha y larga península cercana a Cos). Cf. LAÍN 1970: 403-417, para compren-
der bien las diferencias entre tratados de orientación cnidia o coica. Para la presencia de dis-
tintas orientaciones intelectuales dentro de los escritos hipocráticos, sigue siendo útil BOURGEY
1953, en especial, 21-45.
46 Juan Antonio López Férez
extienden unas vías de modo que parte del humor entre y salga en ella. Y
una vez que el semen llega a esa médula, pasa a lo largo de los riñones[…];
y de los riñones marcha, por en medio de los testículos, hasta el sexo. Y
camina, no por donde la orina, sino que otra vía se encarga de él21.
ii) En los tres siguientes encontramos reflejos más evidentes de la
teoría panespermática o pangenética: “Afirmo que el semen (tḕn gonḕn)
procede de todo el cuerpo, tanto de partes duras como blandas, y de
todo el humor. Y hay cuatro clases de humor:sangre, bilis, agua y
flema”22.
iii) Y en él (sc. el útero), el propio semen (hē gonḗ) sale de todo el cuerpo
de la mujer y del varón: de las partes débiles, débil, de las fuertes, fuerte.
Y al niño es necesario que se transmita así. Y de cualquier parte del cuerpo
del varón que llegue al semen más cantidad que de la mujer, esa parte del
niño se parece más al padre. Y de cualquier parte del cuerpo de la mujer
que llegue más cantidad, esa parte se parece más a la madre23.
iv) El semen (spérma), tras venir, para la generación del ser humano, de
todos los miembros del varón y de la mujer y caer en el útero de la mujer,
se coagula. Y, pasado un tiempo, una naturaleza humana se engendra a
partir de él24.
Siglos más tarde, el Pseudo-Galeno recoge este pensamiento:
El semen, según afirman Platón y Diocles, procede del cerebro y la médula
espinal, pero Praxágoras, Demócrito y también Hipócrates, que de todo el
cuerpo, diciendo Demócrito que los hombres serán uno solo, y un hombre,
todos. E Hipócrates afirma: pues el placer llega de todo él25.
c. Una tercera lucubración sostiene que el semen procede de la
sangre, mediante un proceso de cocción. Es la llamada teoría
hematogenética. Como primer representante de la misma figura
Diógenes de Apolonia26, pero donde se elaboró de modo más explícito
fue en Sobre la generación de los animales de Aristóteles.
––––––––––––
21 Genit.1. 7. 470.4-24 L. (JOLY 44.2-46.3). Aporta un buen comentario sobre el indicado
pasajes, los humores son: bilis amarilla, bilis negra, sangre y flema. Sobre las diversas mani-
festaciones de la teoría de los humores entre los hipocráticos, véase LAÍN 1970: 146-153.
23 Genit. 8. 7. 480.7-13 L. (JOLY 49.20-22. El pasaje ofrece dificultades textuales, no del todo
resueltos).
24 Morb. 4. 32. 7. 542.3-6 L. (JOLY 84.2-5). Más información puede obtenerse en Bernier,
1990.
25 Pseudo-Galeno, 19. 449.14-15 K.
26 64 B 6 D.-K., donde se recoge un testimonio, quizá de Vindiciano (médico latino del IV d.
C.), según el cual, para Diógenes, “el semen no es otra cosa que espuma de sangre golpeada
por el soplo”. Véase Cilliers (2004).
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 47
––––––––––––
27 GA 1.16-19. 721 a 26-727 b 30. Más adelante (GA 2.2.736 a-739 b) el estagirita proclama
que el semen (spérma. Otras veces, usa gonḗ con el mismo sentido) es un compuesto de pneuma
(aire caliente) y agua; refuta la afirmación de Heródoto (3.101) sobre que los etíopes tienen
semen de color negro; se detiene en la generación de los animales vivíparos y subraya que la
humedad acompañada de placer (hygrótēs metà hēdonês), que se produce en las hembras, no
contribuye nada a la generación del feto. Por otro lado, se opone a quienes postulaban que
también la mujer emite semen (toîs légousin proΐesthai kaì tḕn gynaîka spérma) (GA 2.4.739 b
16), pues sería superfluo (períergon), y la naturaleza no hace nada superfluo (hē dè phýsis
oudèn poieî períergon). No obstante en algunos lugares aristotélicos no se niega abiertamente
la existencia del semen en la hembra (GA 4.4.771b 20; GA 4.8.776 b 15).
28 Un resumen preciso puede leerse en VON STADEN 1989: 290-291.
48 Juan Antonio López Férez
––––––––––––
29 Cf. VON STADEN 1989, 363-364: T 191. El fragmento indicado recoge cinco argumentos
en favor de la teoría hematogenética. Me he detenido, de modo especial, en el primero, el único
que, con toda seguridad, puede adscribirse a Herófilo. El pasaje añade que Erasístrato pensaba
lo mismo sobre el origen del semen (Cf. GAROFALO, Fr. 55). Por lo demás, se mencionan en el
texto los seguidores de la mencionada doctrina: Diógenes de Apolonia, Herófilo, Erasístrato,
Alejandro Filaletes (discípulo de Herófilo) y los estoicos.
30 Véase von Staden (1989: 230-231).
31 24 A 14 D.-K. El testimonio procede de Censorino, De die natali 6.4.
32 28 B 18 D.-K. Según Celio Aureliano (médico del V d. C.), Tardae passiones 4.9.
33 31 B 63 D.-K. La noticia la proporciona Aristóteles, GA 1.18. 722 b 10.
34 38 A 13 D.-K. Aecio, De placitis philosophorum 5.5.3.
35 Aecio, De placitis philosophorum 5.5.1 (68 A 142 D.-K.) (DIELS 19764: 418). Entre la
abundante bibliografía en que se aborda el cuerpo de la mujer a la luz de los pensadores griegos,
puede acudirse a HOROWITZ 1976; ROUSSELLE 1980; DEAN-JONES 1991 y 1994; SISSA 1991;.
36 Cf. Genit. 4.7.474.16-18 L. (JOLY 46.24-47.1).
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 49
sirven para explicar los que no se ven. Es el famoso ópsis gàr tôn adélōn tà phainómena de
Anaxágoras (59 B 21a): “pues los hechos manifiestos son visión de los invisibles”.
39 hoûtos ho lógos ereî kaì tòn ándra kaì tḕn gynaîka échein kaì thêlyn gónon kaì ársena.
corchetes angulares son añadidos por los comentaristas y editores, llevados, sin duda, de la
oscuridad expositiva.
50 Juan Antonio López Férez
Galeno
a. Antes de ocuparnos del objetivo concreto que nos proponemos,
conviene tratar en este punto cómo el médico de Pérgamo47 se ocupó
en diversos escritos de la presencia de los testículos48 femeninos. Nu-
merosos pasajes galénicos subrayan la existencia de esos órganos se-
xuales femeninos a los que nuestro autor aplica el mismo sustantivo que
le sirve para denominar los masculinos. Recojo algunos textos:
––––––––––––
44 Cf. Vict. 1.28-30. 6.500.23-506.7 (JOLY 144.15-146.28).
45 Fr. 42b VAN EIJK.
46 De semine 2.1.4.596.4-6 K. (DE LACY 146.20-21). Cf. Fr. 61 VON STADEN.
47 Nacido en Pérgamo hacia el 130 d.C. vivió hasta el 216 d. C. Nos han llegado unos 130
lugar anatómico está presente varias lenguas indoeuropeas. En virtud de una metáfora, a los
testículos se les llamó dídymoi, “gemelos”, a partir de Herófilo (Fr. 61 VON STADEN). Este ilus-
tre médico e investigador alejandrino fue, según los estudiosos, el descubridor de los “testícu-
los” femeninos, es decir, los ovarios, y, asimismo, de las ahora llamadas “trompas de Falopio”,
como parece deducirse de Galeno, De semine 2.1.596.11-597.15 K (DE LACY 146.12-148.16).
Cf. VON STADEN, Fr. 61.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 51
Los testículos (sc. de las hembras) están situados en el útero, uno a cada
uno de los dos lados, recibiendo una espiral de vasos semejante a las de los
machos. Pero (sc. la espiral) no llega al mismo sitio, porque la hembra no
tenía necesidad de poner semen49 fuera, como el macho, sino en dirección
a su propio útero. Y, por tanto, éste, para salir al encuentro del (sc. con-
ducto) espermático, extiende hacia los costados sus largas prominencias,
por las cuales recibe el semen50.
Los testículos de la hembra están situados en los costados del útero, uno a
cada uno de los dos lados del fondo, cerca de los cuernos (eggŷs tôn ke-
raiôn); por su tamaño, mucho menores que los del macho, y, por la figura
y composición, difieren mucho. Pues aquéllos son anchos, y éstos, redon-
dos y alargados; aquéllos son glandulosos, y los del macho, de carne
blanda51.
Esas venas se dirigen a los testículos, ya sea el animal macho o hembra.
Pues también la hembra tiene testículos en los costados del útero, mucho
más pequeños y más densos que los que hay en los machos52.
Cuando tras haberlo recibido (sc. el jugo espermático)53 los testículos, de
modo perfecto los de los machos, y, con cierta imperfección, los de las
hembras, lo elaboren, es evidente que habrá necesidad de otro conducto
que lo recoja a su vez y lo lleve para su excreción54.
Por esas causas los testículos de las mujeres55 han llegado a ser muy pe-
queños y se produjeron en el útero a cada uno de los dos lados en los luga-
res próximos al epigastrio, y, en cambio, los de los hombres, mucho ma-
yores por el tamaño, fueron llevados debajo de los lugares propios del vien-
tre, para que no lo rozaran en absoluto56.
¿Por qué, en los testículos de las hembras, los epidídimos no son percepti-
bles ni evidentes, sino que te darían la impresión o de no existir de modo
alguno o de ser completamente pequeños? Porque, en primer lugar, el pro-
pio testículo57 de la hembra es pequeño y el conducto espermático, pequeño
también58.
––––––––––––
49 He traducido por “espiral de vasos” la contrucción aggeíōn hélika. Cf. DE LACY 229.
50 De semine 2.1.593.4-594.3 K. (DE LACY 144.6-11).
51 De uteri dissectione 9.2.899.10 K. (NICKEL 48.5-9).
52 De venarum arteriarumque dissectione 8.2.810.1.3 K. (GAROFALO 107.5-9).
53 spermatikòs chymós. El adjetivo en –ikós, spermatikós, “propio del semen”, lo encontra-
mos por primera vez en Aristóteles (44 apariciones). Galeno, con 100 ejemplos, es quien más
lo utiliza hasta su propia época.
54 De usu partium 14.10. 4. 186.2 K. (HELMREICH 318.1-5).
55 Hoi mèn tôn gynaikôn órcheis. En casos como éste la referencia a la mujer (no ya al animal
Mar Egeo.
72 De anatomicis administrationibus 12.1 (GAROFALO 953)
73 Galeno recurre a tres términos polisémicos para referirse al mismo concepto: spérma, gonḗ
y gónos. El tercero no se aplica nunca al semen femenino; y el segundo, sólo en dos ocasiones
(4.615.9; 4.629.7 K.)
74tês aphrodisíou symplokês. El adjetivo aphrodísios, propiamente, “propio de Afrodita”, lo
ofrece, en primer lugar, Semónides (siglos VII-VI a. C.), referido ya a la unión sexual. Entre
los hipocráticos, el plural —con frecuencia sustantivado—, tà aphrodísia, son las actividades
relacionadas con el sexo. Con respecto a symplokḗ, “ligazón”, “trabazón”, es empleado como
eufemismo para aludir a la “unión” sexual.
75 átopos.
76 henṓseṓs te kaì míxeōs. Aristóteles es el primero que ofrece el sustantivo hénōsis, “unión”,
“unificación”, usado luego, de modo especial, por los filósofos: Galeno (82) es el autor que más
lo emplea hasta su propia época. Por su parte, el sustantivo míxis (genitivo, míxeōs), “mezcla”,
“unión”, presente, por ejemplo, en Empédocles, Demócrito, Heródoto, Platón, etc., se aplicó,
por eufemismo, desde el siglo V, a la unión sexual.
54 Juan Antonio López Férez
claramente que la teoría de Empédocles había sido criticada ya por Aristóteles (GA 1.18. 722 b
8-30; 4.1. 764 b 3-20), en quien se apoya el pergameno.
78 Sigo, en lo esencial, a De Lacy (1992). Este autor (1992: 47), sitúa el escrito en una fecha
ocupado numerosos investigadores, de los que recojo aquí algunos: LACH 1903: 24-26; BALSS
1936; LESKY 1950: 179-180, 191; PREUS 1977; MANULI 1983; KOLLESH 1987; NICKEL 1989;
TUANA 1989: 156-160; LAQUEUR 1990: 38-41, 58, etc.; HALPERIN 1990: 278-279, 333, 390,
394, etc.; BONNET-CADILHAC 1993 y 1995; ACCATINO 1994; VAN DER HORST 1998: 223, 229,
230; etc. A propósito del semen femenino, en general: GERLACH 1937-1938; LLOYD 1983: 58-
111; PHILLIPS 1987: 22, 26, 59-61, 142, etc.; KLAPISCH-ZUBER 1992, 51-62, 68, etc.; KRUSE
1995: 226, 229, 235, 227, 250, etc.; KOVAČIĆ 2001: 31-34, 73, 75, etc.; MAYHEW 2004: 30-42,
48-58; LEITAO 2012: 25-29, 272, etc. Por lo demás, en el campo que revisamos, son relevantes
otras aportaciones, entre las que indico tres: PLANGE 1964; SCHMITT-VOGT 2005: 347-350;
GRUNDMANN 2006.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 55
––––––––––––
80 Ateneo de Atalia (Cilicia. Asia Menor) fue el fundador de la escuela médica pneumática.
Discípulo del estoico Posidonio, vivió en el I a. C., alcanzando notable prestigio en la Roma de
su época. No nos han llegado más que algunos resúmenes y fragmentos de sus obras, entre las
que figura una titulada Sobre remedios, compuesta de treinta libros, al menos (Cf. Oribasio
9.12).
56 Juan Antonio López Férez
––––––––––––
81 adenoeideîs parastátai. Propiamente, “asistentes (o auxiliares) glandulares”, están regis-
trados siete veces en nuestro escritor, siempre en plural (4.190.4; 190.8; 642.13; 643.16; 644.8;
649.15; 650.10 K.).
82 Ilustre médico que enseñó en Alejandría en los primeros años del II d. C. Es citado más de
treinta veces por Galeno, el cual, en general, elogia su tratado de anatomía, distribuido en veinte
libros, perdido para nosotros. El pergameno hizo un resumen, en cuatro libros, de dicha obra,
pero tampoco nos ha llegado (Véase, De libris propriis 3.19.25.13 K.) (MÜLLER, SM 2.104.12-
13). Véanse Grmek-Gourevitch (1994).
83 Estratón de Lámpsaco fue, después de Teofrasto, el director de la escuela peripatética. Se
ocupó de la teoría, de origen atomista, quizá, según la cual el animal resulta macho o hembra
de acuerdo con el predominio (epikrateía) del semen masculino o femenino, respectivamente
(4.629.6 K.).
84 Cf. DE LACY 1992: 52-54.
85 Distribuido en dos libros: ocupa 4.512-651 K. En este trabajo, aparte de la paginación por
presenta lo masculino como activo (poiētikón) y, por tanto, principio del movimiento; lo feme-
nino, como pasivo (pathētikón).
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 57
––––––––––––
91 Registrado desde Esquilo (Pr. 328), el adverbio akribôs, “con exactidud”, es muy utilizado
por nuestro médico. De los 2938 ejemplos suministrados por el TLG dentro del siglo II d. C.,
nada menos que 2007 aparecen en el autor de Pérgamo.
92 De semine 1.1. 4. 512.1-513.6 K. (DE LACY 64.1-14).
93 allantoeidḗs. Es decir, que tiene “forma de salchicha”.
94 El sustantivo pythmḗn, presente ya en Homero y Hesíodo, alude aquí al “fondo” del útero.
Por su lado hypaleîpsai, quiere decir, propiamente, “ungir un poco”. Tenemos aquí un com-
puesto de aleíphō, “ungir”, “untar” con un producto aceitoso o graso. Este último es el vocablo
usual para describir la acción de los atletas cuando se embadurnaban el cuerpo con aceite.
95 hetérōi spérmati, tôi toû thēleos. En De semine, el médico de Pérgamo, siguiendo el uso
habitual de los tratados biológicos del estagirita, opone continuamente árren/thêly, “macho”/
“hembra”, gramaticalmente adjetivos de género neutro, atribuidos a animal (tò zôion, del género
neutro), pero casi siempre sin especificar a cuál de ellos se refiere.
96 spermatikòn aggeîon. El adjetivo spermatikós lo encontramos a partir de Aristóteles (44),
donde califica a los “pasos” por donde atraviesa el semen; al exceso o sobra del mismo; las
purgaciones correspondientes; etc. Herófilo lo usó asimismo para referirse al “conducto esper-
mático” (spermatikòs póros), citado por Galeno. Éste recoge dicho adjetivo en casi cien pasajes,
en bastantes de los cuales (48) acompaña al vaso (o vasos:aggeîon/aggeîa) por donde transcurre
el semen, y en dieciséis ocasiones califica a póros, “paso”, “conducto” (tanto en singular como
en plural). Aristóteles ya recurría, con frecuencia, a esta última distribución léxica y sintáctica.
97 ek tôn tês thēleías órcheōn hormēthén.
98 háma tôi árreni tô thêly spermaínēi.
99 exakontizómenon. En voz media. Propiamente, “lanzarse como un dardo”.
100 taútēn tḕn chreían. Obsérvese la repetición de la “utilidad” en el pasaje.
58 Juan Antonio López Férez
alimento para (sc. el semen) del varón. Es más delgado y más frío101 que el
de éste, pero más apropiado que cualquier otro para la nutrición102. Pero la
utilidad que proporciona respecto a la generación de la membrana, precisa
de una explicación más exacta. Enlazándose con la membrana que
envuelve a todo el semen103, se une, en primer lugar, por sí misma a los
cuernos, y después se junta a toda la restante cavidad del útero104.
También en este libro, y de modo sorprendente, el gran prosista
afirma: “porque el semen femenino es mucho menos abundante que el
del macho. Lo he dicho ya antes”105. Como ocurre en otros lugares del
autor, ninguna afirmación semejante puede encontrarse en las páginas
anteriores del tratado, aunque sí en otro texto galénico.
f. Pero centrémonos en el libro segundo del tratado indicado, pues es
aquí donde el de Pérgamo quiere demostrar la existencia del semen fe-
menino contra los postulados aristotélicos y de otros autores. Resumo
el contenido a medida que avanza el citado libro, limitándome a los da-
tos más destacados para nuestro propósito. El autor nos cuenta106 sus
experiencias anatómicas realizadas con el útero de cabra, vaca, asna y
yegua. Cita a Hipócrates107 con respecto a que el semen de ambos pro-
genitores permanece en el útero materno y después se hace compacto y
aumenta de tamaño al recibir calor. También, en un largo pasaje, men-
ciona a Herófilo108, contra quien se manifiesta por haber dicho que el
conducto espermático entra en el cuello de la vejiga de la hembra de
igual modo que sucede en el macho. Nos habla109, asimismo, de los
conductos espermáticos110 situados dentro del útero111: cómo llegan,
––––––––––––
101 leptóteron …kaì psychróteron. Las cualidades aparecen aquí en grado comparativo, cuyo
segundo elemento (con el que se establece realmente la comparación) es el semen del macho.
102 thrépsin. El médico califica el semen femenino con una serie de adjetivos que sirven bien
toû árrenos. El adjetivo élatton, comparativo de elachýs, puede referirse al número (“menor”),
la calidad (“inferior”, “peor”, “menos importante”), la cantidad, etc. De Lacy lo interpreta en
el plano de la cantidad: “much less in amount”. En otro tratado hallamos una afirmación pare-
cida: De usu partium 14.6.4.164.3-4.
106 De semine 2.1. 4.595. 13-597.15 K. (DE LACY 146.14-148.16).
107 Nat. puer. 1.7.486.1-3 L. (JOLY 53.1-4).
108 DE LACY 146.20-148. 16. Está recogido también como Fr. 61 VON STADEN. El contenido
influyó en Sorano (1.12.2) y Celio Aureliano (Gyn. 17). En un texto quizá espurio (cf. nota 87) el
propio pergameno se habría mostrado indeciso sobre la existencia en la hembra de los “asistentes
varicosos”, pues leemos allí que los vasos que conectan los testículos femeninos con el útero son
semejantes a los “asistentes varicosos” del macho (De usu partium 14.11.4.193.7-9 K.)
109 De semine 2. 1. 4.598.7-599.7 K. (DE LACY 148.24-150.11).
110 tôn spermatikôn pórōn.
111 Traducimos siempre por “útero” (del latín uterus, pl. uteri) lo que en griego está expresado
mediante los términos hystéra o mḗtra (así en singular; pl. hystérai, mêtrai)..
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 59
uno a cada uno de los dos cuernos de ése, y descargan allí el semen, el
cual, en el caso de que la hembra conciba, se hace compacto allí, pero,
en las eyaculaciones sobrevenidas durante los sueños112, se desvía pri-
mero hacia el útero, y desde aquí se vacía en el exterior. El pergameno
recoge el caso curioso de una mujer, viuda113 desde hacía tiempo, que,
por padecer una enfermedad en el útero, había expulsado semen espeso
y abundante, y, asimismo, experimentado un placer parecido al de la
unión sexual114.
El pergameno, manifestándose abiertamente contra quienes afirma-
ban que la mujer no tiene semen, recurre a silogismos hipotéticos y ca-
tegóricos115 para demostrar lo contrario. Podemos resumir sus argu-
mentos del siguiente modo: si el nacido se parece a su padre y a su
madre es que ambos comparten algo; como lo compartido no puede ser
la sangre menstrual, ha de tratarse del semen. Así razona nuestro mé-
dico, pensando explícitamente en Aristóteles y Ateneo, ambos muy pro-
clives al uso de demostraciones científicas116.
El escritor sostiene117 que todo animal es generado a partir de mate-
ria y poder118: el semen y la sangre menstrual participan de ambos prin-
cipios, pero el primero tiene un poder muy activo119 y, en cambio, muy
poca cantidad de principio material; en cambio, la sangre menstrual,
––––––––––––
112 oneirōgmoîs. El sustantivo oneirōgmós, “eyaculación durante el sueño” está registrado
desde Aristóteles. Galeno lo usa en tres ocasiones.
113 Puede haber una relación con lo que decíamos sobre Hipón de Regio. Galeno se interesó
de manera especial por varios aspectos relacionados con el semen propio de las viudas: véanse
los pasajes aludidos en las notas 229, 238 y 243. Puede acudirse también a 7.139.4 K. a propó-
sito de “sofocos histéricos” (o “uterinos”: apò tôn hysterôn pníxeis) experimentados por las
viudas que no tienen la menstruación. Ya en los tratados hipocráticos se nos habla de ciertas
afecciones relacionadas con el útero padecidas, de forma especial, por las viudas jóvenes: Mul.
2.127. 137. 8.272.13 y 310.12 L. Cf. nota 228.
114 Kaì tḕn hēdonḕn paraplēsían élegen autêi gegonénai têi katà tàs synousías. Añade el per-
gameno que dichas calidades del semen femenino se debían a no haber sido expulsado en mu-
cho tiempo.
115 De semine 2.1. 4. 609.6 (DE LACY 160.8): […] syllogizoménois, hypothetikôs te kaì
katēgorikôs. Por lo demás, acúdase, por ejemplo, a la galénica Institutio logica 7.4 y 9, para
más información sobre ambos tipos de silogismos.
116De semine 2. 1.4.609.4-610.10 K. (DE LACY 160,7-23). El médico utiliza con cierta fre-
posee muchísimo principio material, pero muy débil el que atañe al po-
der.
Sin mencionar directamente al estagirita, pero refiriéndose a él y a
otros, nos dice nuestro autor que hay que considerar el obstáculo, sin
solución ni salida, que ponen quienes piensan que la hembra no tiene
semen en absoluto o que no es fecundo:
Pues afirman que si se concede que la hembra sea no sólo el principio de
la materia sino también del poder120, el varón sería superfluo. Y algunos se
acuerdan en este punto de las aves que ponen los huevos llamados “llenos
de viento”121, o propios del céfiro, sin unión con el macho122.
Precisamente, oponiéndose a quienes negaban la existencia del se-
men femenino, ataca la teoría de Empédocles123 según la cual las partes
del que será engendrado habían estado separadas: unas, contenidas en
el semen del macho; otras, en el de la hembra124. A juicio de Aristóteles,
en efecto, en los animales que emiten semen, el macho contribuye con
el principio del movimiento, mientras que la hembra aporta la mate-
ria125. La hembra no puede generar por sí misma, sino que necesita al-
guna fuente o principio de movimiento.Galeno mantiene, en cierto
modo, la opinión contraria:
Pues bien, que el animal hembra126 tiene semen debe ser creído por los
sentidos, como decíamos antes, y no hay que derribar, mediante el razona-
miento, la existencia de hechos evidentes. Pero cuál sea la causa por la que,
aunque ése (sc. el animal hembra) produce semen, sin embargo el animal
macho llegó a existir, hay que examinarlo; o por qué, tras existir el macho,
el semen fue preservado también por el (sc. animal) hembra127, pues sería
mejor que éste tuviera un residuo que contribuyera a la generación del en-
gendrado. Pero los del círculo de Ateneo utilizaron el argumento en sentido
––––––––––––
120 mḕ mónon hýlēs, allà kaì dynámeōs archḕn eînai.
121 hypēnémia (plural), “llenos de viento”. Aristóteles utiliza una expresión parecida en GA
3.1. 749 b 1.
122 De semine 2.3.4. 616.1-5 K. (DE LACY 166.18-21). Nuestro autor recurre a esa idea en
(GA 1.20.727 b 33-729 a 33), recurre al término “semen” para compararlo con la menstruación.
Sobre la discrepancia de Galeno respecto a las teorías embriológicas de Aristóteles, acúdase,
entre otros, a Preuss (1977, con importantes aportaciones en 1970 y 1975), y Boyland (1984).
Por otro lado, Allen (1985: 187-188) insiste sobre la postura de nuestro autor, que, a diferencia
del estagirita, justifica la existencia del semen femenino.
126 hóti mèn oûn échei tò thêly zôon spérma.
127 tôi thḗlei.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 61
contrario: por eso afirman que en el animal hembra no hay residuo esper-
mático128, pues tiene el sanguíneo, y no sería posible que se engendraran
en él dos residuos. Y, a veces, añaden a su argumento que no es posible
que un solo animal tenga en sí mismo ambos principios de lo que será en-
gendrado: la materia y el poder129. Pero no sé cómo les pasa inadvertido
eso cuando ellos mismos afirman que en las plantas no están separados los
principios de la generación, sino que ambos están en ellas: los de la materia
y los del poder. Y Aristóteles afirma, además, que en el caso de algunos
animales han sido observados todos los que conciben, y entre ellos el ma-
cho no está diferenciado en nada, de modo que130 <sus palabras más bien
apoyan los argumentos aportados contra ellos>. Y, a causa de eso, no es-
peran un acusador de fuera, sino que se derrotan a sí mismos vencidos por
Adrastea131. Pero nosotros decimos eso, en lo que ellos tienen dificultades,
en el libro anterior a éste. En primer lugar, la hembra no tendría deseo de
coito sin tener testículos y semen132 […] A continuación podría mostrarte
otra utilidad133 no pequeña del semen de la hembra, si quisieras, tras ha-
berla disecado, observar la membrana llamada alantoides suspendida de
los conductos espermáticos134, la que decimos que se ha generado a partir
del semen de la hembra. Verás inmediatamente en las disecciones que al
semen del macho no le era posible ungir135 todas las partes del útero. Pues
lanzado directamente136 es llevado a través del cuello del útero hasta el
fondo y a cuantas partes son cercanas a éste, pero le es imposible volverse
por los lados hasta los cuernos. Por tanto esa utilidad no pequeña se la
ofrece el semen de la hembra a lo que se convertirá en embrión, y llega a
ser como un alimento natural para el semen del macho: el que es más hú-
medo y más frío, para el que es más grueso y más caliente. Por tanto no
digamos que es imposible que la hembra reúna137 ambos residuos relacio-
nados con la generación138. Pues se observa que los reúne, y es terrible-
mente absurdo139 afirmar que es imposible que exista lo que se observa de
––––––––––––
128 períttōma spermatikón. Numerosos pasajes aristotélicos recogen teorías sobre lo residual,
sobrante (períttōma), y en ellos dicho sustantivo suele ser usado con evidente polisemia.
129 tḗn te hýlēn kaì tḕn dýnamin. Entiéndase con dýnamis la “capacidad”, el “poder” de en-
gendrar.
130 Lo contenido entre corchetes angulares lo añade De Lacy, quien, apoyándose en la tra-
versión árabe.
62 Juan Antonio López Férez
––––––––––––
140 hypárchon. Aquí hay una coincidencia semántica, no plena, entre eînai (“ser”, darse en la
realidad) e hypárchein,“existir”, matiz que otras veces lo comporta también el verbo antes in-
dicado.
141 adýnaton. El adjetivo, presente en griego desde Píndaro, cobra importancia en los Trata-
dos hipocráticos, Heródoto, Tucídides, la oratoria, etc. De valores como “impotente”, “inca-
paz”, adquiere pronto el sentido de “imposible”, registrado desde Eurípides y esencial entre los
filósofos, que sintieron especial predilección por el vocablo.
142El adverbio saphôs lo conocemos desde el Himno homérico A Deméter. Su sentido fun-
damental es: “de modo claro”, “evidente”, “manifiesto”. En el de Pérgamo tiene una importan-
cia extraordinaria.
143 lógos.
144 apíthanos. El adjetivo, relacionado con peíthō, “convencer”, “persuadir”, tiene entre sus
sangre, la mujer no puede tenerlo, pues no puede tener en sí misma dos residuos distintos. En
este aserto los señalados parecen haber seguido en buena medida el pensamiento aristotélico
según el cual la frialdad de la hembra determina el residuo sanguíneo que elabora y su incapa-
cidad para producir semen perfecto: véase GA 4.1.765 b 8-35, 766 b 7-26 (DE LACY 172.16-
18). Por otro lado, de aceptar un testimonio de Oribasio (21.1. CMG 6.2.2.112.14), el pneumá-
tico habría opinado que la hembra era de constitución húmeda y fría.
148 spérma gónimon. El adjetivo gónimos, “fecundo” (del mismo tema (gon-) que gónos y
gonḗ), surge en los tratados hipocráticos, pero, a partir del Platón y Aristóteles toma el sentido
de “apropiado para engendrar”, “fecundo”. Galeno lo usa catorce veces con referencia al semen.
149 haîma perittón.
150 hygróteron mèn oûn tò thêly kaì psychróteron, thermóteron dè kaì xēróteron tò árren. Cf.
una opinión semejante en Galeno, 3. 606.6; 9.107.10 K. Por lo demás, que la determinación del
sexo dependía del calor o el frío, la tenemos en Empédocles: 31 A 81; B 65 y 67 D.-K.
151 eulógōs.
152 tḕn toû spérmatos akribê katergasían.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 63
son bastante secos por sus temperamentos153, como muchas aves y no po-
cos de entre los peces, es natural que engendren los huevos sin unión con
el macho. Sin embargo a ésos les falta algo para la perfección154, si no par-
ticipan del calor de aquél. Con todo no es imposible155 imaginar un tempe-
ramento de un cuerpo animal tal como para engendrar un huevo perfecto156
sin unión con otro, pero gestar en sí mismo un animal completo es real-
mente difícil y quizá imposible. Pues tal gestación debe alimentarse du-
rante mucho tiempo y eso no es posible que ocurra salvo que la hembra sea
productora de residuo157; y no sería productora de residuo salvo que sea
por temperamento bastante fría y bastante húmeda de modo suficiente. Y
siendo tal no es posible que engendre semen158digno de consideración por
su cantidad, ni viscoso, ni caliente ni espeso, de modo que tampoco es ge-
nerador159 […] Por consiguiente queda demostrada como necesaria la hu-
medad y frialdad de la hembra en los animales cuya naturaleza modela el
animal del útero semejante al que lo gesta. Pues lo que la tierra es para la
plantas, eso es la madre para los tales, irrigándoles alimento hasta que todo
el animal se forme por completo160.
El escritor critica también la teoría del semen dominante161, pues, de
aceptarla, todas las partes del nacido tendrían que ser semejantes al
progenitor cuyo semen haya prevalecido162. Nuestro autor, por lo
demás, desea explicar, en la misma secuencia, la causa por la que el
nacido se parece a cada uno de sus padres en sus diferentes partes. Sin
detallar claramente si se trata del semen del macho o de la hembra,
––––––––––––
153 xērótera taîs krásesin.
154 pròs tò téleion. El de Pérgamo, apoyándose en el concepto clave del télos (“fin”, “finali-
dad”, “perfección”) aristotélico, expresa la misma idea en otros pasajes: 1.647.15; 2.10.9;
6.167.5; 8.768.4; 9.818.9; 831.6; etc. Por lo demás, según el estagirita, el feto es téleios cuando
alcanza la diferencia sexual: GA 2.4.737 b 10.
155 ou mḕn adýnaton.
156 Es una corrección de Lacy, basándose en la lectura de la transmisión árabe. La Aldina
el mundo visible, cuando se toma como modelo el mundo vegetal; tal como es la tierra para las
plantas, así resulta la madre para el ser engendrado.
161kratoûn spérma. Cf. De semine 2.5. 4.626.1-628.3 K. (DE LACY 178.16-180.18).
162epikratḗsēi tò spérma. La teoría de la epicracía la hallamos formulada de modo difuso en
indica que la primera emisión de semen puede ser más densa o dotada
de más pneuma o más fuerte; la segunda o tercera, más clara o más fría
o más débil o con menos pneuma. No obstante también pudiera ocurrir
lo contrario, de tal suerte que la primera resultara más débil, o fría o
semejante al pneuma, y la segunda, o tercera, o cuarta, fueran contrarias
a aquélla. De ese modo, el semen del macho puede predominar en
algunas partes, y el de la hembra, en otras. Nuestro prosista,
reflexionando sobre los órganos de la generación, opina que Estratón
no carece de fundamento al afirmar que el animal macho se produce
cuando predomina el semen del macho, y la hembra, cuando prevalece
el de hembra163.
Resumiendo lucubraciones anteriores y sin indicar la procedencia de
las mismas, el médico señala que los fetos machos son transportados en
la parte derecha del útero, pues raramente se había visto una hembra en
esa mitad, y que, asimismo, resultaba extraño que un macho estuviera
en la parte izquierda del mismo164. Pasa luego a preguntarse por qué,
por oposición al masculino, el feto dotado de una mezcla más húmeda
y más fría tiene dentro de él los testículos, el útero y el miembro
pudendo165. Explicará ese punto afirmando que el macho y la hembra
tienen iguales sus partes generadoras, diferentes, en cambio, en
posición (fuera o dentro del peritoneo) y tamaño. Respecto a las partes
generadoras del macho y de la hembra, concluye así: “Difieren sólo en
un punto: unas son internas, otras, externas”166. A modo de conclusión
de lo anteriormente expuesto el médico insiste en los tres orígenes
(archás) de las tres semejanzas referidas al animal:
semejanza en la clase de animal de acuerdo con la sustancia de que se
formó; semejanza referente a la forma individual, según el movimiento
procedente del semen; semejanza en cuanto a macho o hembra, que se
desprende de la mezcla de ambos orígenes. Y ambos orígenes digo que son
menstruación y semen. Pues bien, esas indicaciones me parece que son
––––––––––––
163 De semine 2.5.4. 628.3-630.7 K. (DE LACY 180.18-182.23).
164 De semine 2.5.4.633.8-634.6 (DE LACY 186.14-26).
165 tò aidoîon. A partir de Homero (Il. 13.568) es usado en plural (tà aidoîa) para referirse a
las partes sexuales. Equivale a “las que merecen respecto”. El pergameno utiliza el plural indi-
cado para denominar las partes visibles del sexo, tanto las masculinas como las femeninas, es
decir, respectivamente, pene y vulva (también la vagina). Por lo demás el vocablo especial para
referirse al primero, en otros pasajes, es kaulós. Este es un término homérico (“punta de la
lanza”) utilizado desde los escritores hipocráticos y Aristóteles para denominar el miembro
viril. No obstante, en el estagirita hay algún pasaje en que hace referencia al cuello uterino (HA
3.1.510 b 11-15) o a un órgano interior femenino semejante al pudendo masculino (HA 10.5.637
21-23). Cf. De Lacy, 1992, 245. Para kaulós en nuestro médico, véanse 2.587.15; 3.376.17;
407.8; 4.159.10;194.9 (“Se llama así el pudendo viril”: kaleîtai d´hoútō tò andreîon aidoîon),
201.1, etc.
166 De semine 2.5.4.636.6-637.4 (DE LACY 190.6-18).
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 65
Kühn): cronológicamente se le sitúa después del 169 d.C., es decir, correspondiente a la segunda
estancia del autor en Roma. Una de las ideas centrales, repetida en numerosas ocasiones, es que
la naturaleza (phýsis) es un buen artesano que pone cada parte del cuerpo humano, con su co-
rrespondiente función, en el lugar adecuado. La obra recoge, comenta, discute y amplía teorías
médicas y filosóficas muy diversas en lo que se refiere a época y contenido: desde las hipocrá-
ticas, platónicas y aristotélicas, hasta las contemporáneas (dogmáticas, empíricas, pneumáticas,
eclécticas, etc.).
170 gónimon spermaínein.
171 toû thḗleos spérma.
172 kinḗseōs archḗn. El sustantivo kínēsis, “movimiento” (también el de tipo político: “revo-
lución”) está registrado en griego desde Tucídides. Muy usado por Platón, fue Aristóteles quien
le dio un impulso definitivo con un nuevo valor: “cambio”, convirtiéndolo en uno de los con-
ceptos esenciales de su pensamiento.
173 ou phaínetai. Es decir, no se presenta ante nosotros, o lo que es igual, no es perceptible
mediante nuestros sentidos. Sobre la actitud de Galeno ante los fenómenos, consúltese Tiele-
man (1995).
174 ex anágkēs. Los primeros usos están registrados en Sófocles, Tucídides y los escritos hi-
pocráticos. Muy utilizado por Platón (59) y Aristóteles (421), Galeno (599) recurre con gran
frecuencia al giro, de tal modo que, hasta los primeros años del III d. C., sólo le supera Alejan-
dro de Afrodisias (1272).
66 Juan Antonio López Férez
––––––––––––
175 sýmphytos.
176 en toîs perì phýseōs logismoîs. El sustantivo logismós, “cálculo”, “razonamiento”, “argu-
mento”, lo leemos desde Tucídides, los tratados hipocráticos, Platón, Aristóteles, etc. Hasta
fines del II. d.C., Galeno (394) es el escritor que ofrece más usos del mismo.
177 hypēnémia.
178 De usu partium 14.7, 4.165. 16-167.6 K. (HELMREICH 302.13-303.13). En la secuencia se
establece una oposición con los testículos del macho. La traducción nos hace ver algo evidente
en el texto griego: la repetición, siete veces, del sustantivo kínēsis, de viejo sabor aristotélico,
concepto sobre el que monta Galeno toda su argumentación.
179 mýlē. Es el mismo término que el propio de la muela de molino, mencionada en griego a
partir de Homero y Hesíodo. Explican los médicos a propósito de “la concepción mola” (mýlēs
kyḗsios) que, “cuando una menstruación abundante recibe semen escaso y enfermo, no hay una
concepción regular; el vientre lleno, como en una mujer embarazada, pero nada se remueve en
el vientre; no se produce leche en los pezones, pero (sc. la mola) pone turgentes los pezones. Y
ésa, durante dos años, y, muchas veces, tres, es así”: Mul.1.71.8.148.24-25 L. También en Aris-
tóteles (Véase GA 4.7.775 b 25-33).
180 análogon. El adjetivo se encuentra por primera vez en Platón: “parecido”, “semejante”;
luego, Aristóteles hizo bastante uso del mismo con el valor de “proporcionado”.
181 toû thḗleos spérma.
182 technikês energeías. El primer elemento puede interpretarse también como “artificiosa”,
es decir, propia de la téchnē, y, en cierto modo, distinta, e incluso opuesta, a lo que es natural.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 67
––––––––––––
183archḕn kinētikḗn. El adjetivo kinētikós (-ḗ,-ón), “que mueve”, “que provoca el movi-
miento”, consta en la literatura griega desde los tratados hipocráticos, Jenofonte y Platón, sólo
un uso en cada uno. Aristóteles (104) lo utilizó mucho más, añadiéndole el valor medio-pasivo:
“que se mueve”, o “que es movido”.
184De usu partium 14.7, 4.168. 2-11 K. (HELMREICH 304.1-15)
185 Toùs órcheis émelle tò thêly mikrotérous te kaì atelestérous íschein. Desde Homero co-
nocemos el adjetivo atelḗs, “incompleto”, “vano”. A partir de los tratados hipocráticos y Aris-
tóteles toma el sentido de “imperfecto”, “no formado del todo”(a saber, que no logra el télos, la
finalidad o propósito para el que ha sido creado). Sobre el concepto indicado, es importante
Theiler (19652).
186kaì tò spérma tò kat´autoùs gennēthēsómenon élattón te kaì psychróteron kaì hygróteron
[…] oúkoun hikanòn émellen ésesthai tò toioûton spérma gennân zôion. He traducido zôion por
“animal”, como es norma desde Aristóteles, aunque quizá fuera mejor verterlo por “ser vivo”,
más acorde con el sentido etimológico del término. En resumidas cuentas, el semen femenino
no es “suficiente para engendrar” un ser vivo (gennân, “producir”, “generar”, verbo que aparece
a partir de Píndaro y los trágicos y adquiere importancia gracias a los filósofos del V y IV a.
C.; es de la misma raíz que gígnomai, génesis, gónos, etc.).
187 chrḗsimon, “útil”, “ventajoso”.
188 oudè gàr oud´autò mátēn egéneto.
189 De usu partium 14.6. 4.164. 1-4. (HELMREICH 301.3-10).
190 atelésteron. En este, como en tantos otros ejemplos, el comparativo no va acompañado
––––––––––––
191hêtton akribôs. Este último vocablo, un adverbio, “con exactitud”, aparece delimitado por
dulares” (toîs adenoeidési sṓmasi, en dativo de plural) son los mencionados poco antes por el
autor que los describe “situados a uno y otro lado del cuello de la vejiga, en los cuales se ve
que contienen un humor semejante al semen, pero bastante más ligero”. En De semine
2.6.4.650.3 (DE LACY 204.18) equivalen a los adenoeideîs parastátai.
198 GA 1.19. 727 a 25: “La inferioridad (élleipsis…toû sṓmatos) de su cuerpo con respecto a
los machos es evidente (phanerán)”; GA 1.20. 728 a 18: “La hembra tiene cierta incapacidad
(adynamíai): no poder cocer el esperma a partir del alimento último […]a causa de la frialdad
de su naturaleza”; GA 2.3.737 a 27: “La hembra es como un macho mutilado (pepērōménon),
y la menstruación es semen, pero no puro. Pues una sola cosa no tiene: el principio del alma
(tḕn tês psychês archḗn)”.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 69
que se establece la oposición mujer/varón, es decir, el escritor pasa del terreno de los animales
al de los seres humanos.
202 A saber, formándose dentro del útero materno.
203atelésteron apeirgásato toû pántē teléou.
204tôi d´hólōi génei chreían ou smikrán.
205dēmiourgós. Los primeros ejemplos los leemos en Tucídides y otros autores del V a. C.:
“servidor público”, alguien que trabaja para la comunidad. En seguida, en Platón, pasó a tener
también otro valor: “creador”. Galeno lo usa mucho, tanto con sentido general, como, a veces,
con el indicado matiz platónico.
206 toû génous hēmôn. No cabe dudar de que el autor se refiere aquí a la especie humana.
207 anápēron, en acusativo: “tullido”, “mutilado”, “deforme”.
208 pērṓmatos. El sustantivo aparece por primera vez en Aristóteles, con el valor de “incom-
pleto”, antónimo de “completo” (cf. de An. 2.4. 415 a 27: hósa téleia kaì mḕ pērṓmata, “cuan-
tos son completos y no incompletos”, donde se está hablando de los seres vivos en general. Cf.,
además, 3.9. 432 b 22.24). Galeno lo utiliza sólo en el lugar que estamos viendo.
209 De usu partium 14.6. 4.162. 1-13. (HELMREICH 299.8-23).
210 atelés.
211 De usu partium 14.6. 4.164. 16-18. (HELMREICH 301.19-21).
212tês gàr dḕ chreías ouch homoías hyparchoúsēs hekatérōi tôi spérmati.
70 Juan Antonio López Férez
––––––––––––
213 De usu partium 14.10.4.186.14-187.3 K. (HELMREICH 318.17-23).
214 chrḗsimon.
215 De usu partium 14. 11. 4. 188.9 K. (HELMREICH 319.22-320.1).
216 Dividido en seis libros, ocupa buena parte del volumen octavo de la edición de Kühn (8.1-
451 K.). El autor revisa, de modo especial, las partes del cuerpo que no son perceptibles me-
diante nuestros sentidos, deteniéndose en las enfermedades propias de cada una de ellas. Preci-
samente, el capítulo quinto del libro quinto, está dedicado al útero y sus afecciones. El tratado
suele fecharse en el reinado de Septimio Severo (193-200 d. C.) (GARCÍA BALLESTER 1972:
268; GARCÍA SOLA 1997: 15).
217 En el texto griego se habla de tàs hysterikàs onomazoménas diathésis, “las disposiciones
llamadas uterinas”, donde el adjetivo hysterikós (“histérico”) quiere decir , propiamente, “re-
lacionado con el útero”, dado que los términos griegos hystéra o mḗtra (especialmente, en plu-
ral) equivalen al latín uterus. Sobre “el sofoco” uterino en Galeno, acúdase a Debru (1992).
Para el histerismo (o histeria), desde los médicos hipocráticos, véase King (1993).
218 dià tḕn toû spérmatos epíschesin. El sustantivo epíschesis, “retención”, “detención”, “in-
terrupción”, consta en griego desde Homero. Los médicos hipocráticos (7) lo aplicaron a espu-
tos y orina; Galeno (147), aparte de esos usos, lo refiere a sangre, sudor, inspiración, menstrua-
ción, vientre, excrementos, hemorroides, etc. En cuatro ocasiones lo emplea a propósito del
semen. En el tratado que estamos tratando (aparte de la secuencia que estamos viendo, acúdase
a 4. 418.17 K., donde sostiene que para los varones es más dañina que la retención de las
menstruaciones (sc. si se trata de mujeres). En apoyo de sus palabras, expone algunos casos
concretos que corroboran su juicio; y a 432.13 K., acerca de los inconvenientes que les sobre-
vienen a las viudas por la retención del semen. De ambos pasajes se hablará más abajo) y en
De veneriis 6.37 TLG, a propósito de los perjuicios que origina en el caso de los varones.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 71
mujeres es más húmedo y más frío, y es preciso que se elimine en las que
tienen mucho semen por naturaleza219, tal como ocurre en los hombres220.
Poco después, tras exponer lo que les acontece a los varones que,
tras hacer uso del sexo con frecuencia se abstienen por completo del
mismo, añade una consideración donde se revisan los inconvenientes
de la retención, a saber, del semen en el caso de aquéllos, y de la
menstruación, cuando se trata de mujeres:
Reflexionando yo conmigo mismo sobre esos puntos, me pareció que la
retención del semen comporta un poder mayor para daño del cuerpo que la
de las menstruaciones en aquellos cuerpos en que aquél es, por naturaleza,
especialmente rico en humores malignos221 y más abundante, pues su vida
resulta un tanto ociosa, y, aun siendo antes el uso de los placeres venéreos
frecuente en grado satisfactorio, se dio, en cambio, después, una repentina
supresión de los anteriores”222.
El médico expone un hecho concreto, felizmente solucionado
gracias a su intervención:
Estando yo en una ocasión con esos pensamientos se puso de manifiesto
un caso tal ocurrido a una que era viuda desde hacía mucho tiempo. Pues
dominándola algunas otras distensiones molestas y nerviosas y diciendo la
partera que la matriz se había retraído, pareció bien recurrir a los remedios
que suelen usarse para ocasiones semejantes. Usándolos ésta, a causa del
calor de los mismos y del roce en las partes femeninas durante la cura, se
presentaron contracciones223, acompañadas de dolor y al mismo tiempo de
placer, semejantes a las que ocurren durante las relaciones sexuales, y,
después de aquéllas, habiéndose expulsado semen denso y abundante224, la
mujer se liberó de las molestias que la dominaban. Por tanto me pareció
que el semen cargado de humores malignos tenía un poder mayor para el
daño del cuerpo entero que las menstruaciones, de modo que, aunque éstas
––––––––––––
219 taîs phýsei polyspérmois. El adjetivo polýspermos, “de semen abundante”, aparece, por
primera vez, en Aristóteles que lo usa en cinco ocasiones (cuatro de ellas en GA: por ejemplo,
1.18. 725 b 29, donde se opone a olygóspermos. En el pasaje el filósofo se refiere a animales,
vegetales y seres humanos de modo difuso). Galeno lo utiliza en diez ocasiones.
220 De locis affectis 6.5. 8. 417.3-15 K.
221 autó te phýsei kakochymóterón esti kaì pléon. Es una de las escasas ocasiones en que
nuestro autor aplica al semen el adjetivo kakóchymos, “de humor maligno” o “perjudicial”.
Veremos a continuación otra secuencia semejante.
222 De locis affectis 6.5. 8. 418.15-419.3 K. La sintaxis del texto resulta algo complicada.
223 synolkḗ, “contracción, espasmo”.
224 ekkrithéntos pachéos te kaì polloû spérmatos.
72 Juan Antonio López Férez
no ve una relación directa entre lo descrito por el pergameno y la masturbación femenina, exa-
minada en el plano terapéutico.
227 tò spérma katechómenon.
228kátharsin, en acusativo. El vocablo significa “purificación”, “purgación, “limpieza”. Es
seoso”, en Esquilo; “estar maduro” para algo, en Heródoto; “estar excitado”, desde Tucídides
y Platón. Los médicos hipocráticos amplían sus valores. Por un lado, “estar hinchado”, “estar
turgente”, como creo que sucede en el aforismo indicado. Ahora bien, por otro lado, dentro de
los propios tratados hipocráticos, la citada forma verbal adquiere, en tres ocasiones, el matiz de
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 73
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“estar deseoso” en sentido sexual, y, además, en todos los casos, referido a la mujer (cf. Ge-
nit.4.7. 474.20-29 L. (JOLY 47.2-6) Mul. 1.12. 8.48.15 L; Mul. 1.57.8.114.12 L).
235 kaî tô thêly katà tàs synousías spermaînon. El sustantivo synousía, “vida en común”,
“compañía”, “conversación”, lo leemos en griego desde Esquilo; es muy usado por Platón,
donde, entre sus valores, adquiere el de “relación sexual” (Smp. 152 c). Galeno lo recoge 68
veces, casi siempre con este último significado.
236 In Hippocratis Aphorismos commentarii 4.10.17 b 668. 1.9 K. Realmente, quien utiliza el
verbo indicado, referido a los animales, y con respecto al deseo sexual, es Aristóteles: cf. HA
2.1.500 b 11; 6.2.560 b 13; 6.18. 572 b 7; 573 a 6; 10.5. 637 a 24. En 5.8.542 a 32, en cambio,
habla de personas: “De entre los seres humanos (tôn anthrṓpōn), el macho (tò mèn árren) desea
la unión sexual, más bien en invierno, y la hembra (tò dè thêly), en verano”.
237Aph. 5.48.4.550.1-2 L.: “El embrión masculino está en la parte derecha, el femenino más
bien en la izquierda”.
238 Con este nombre (anatomikôn) sólo lo leemos aquí. En 18 a 86 K. el pergameno se refiere
a un asunto tratado en sus Perì tês Hippokrátous anatomês hypomnḗnasin (Comentarios sobre
la anatomía de Hipócrates), de los cuales afirma que se componían de seis libros (De libris
propriis 1.19.14.4 K.) (MÜLLER, SM 2.95.12-13), perdidos para nosotros. Por su lado, entre los
tratados recogidos en la Colección hipocrática, figura un librito de apenas dos páginas titulado
Perì anatomês, Sobre anatomía.
239 In Hippocratis Aphorismos commentarii 5.48.17 b 841.12.
74 Juan Antonio López Férez
––––––––––––
240 tò spérma. Entiéndase que en todo el pasaje se está aludiendo al propio del varón.
241 tò chórion. La placenta, es decir, la membrana que envuelve al feto. El término lo usan
primero los hipocráticos, lo recoge Aristóteles y es muy corriente entre los médicos posteriores.
242 De uteri dissectione 2. 902.14-904.9 K.(NICKEL 50.24-52.24).
243 Ofrecen datos relevantes, CADDEN 1993; KING 1998; RESNICK 2012: 285-295.
EL SEMEN FEMENINO EN GALENO 75
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––––––––––––
244 RESNICK 2012: 285-295, especialmente 289; datos sobre la influencia de dicha teoría en
algunas muestras: es indudable la existencia del semen femenino (Petrus Peramatus [Pedro Pe-
ramato], “De semine”, Opera medicinalia, 1576: médico), 403; el semen femenino es muy útil
para la generación (Tomás Sánchez, 1602: jesuita), 404; en el acto generador tiene lugar una
batalla campal entre el semen masculino y el femenino (Fray Antonio de Fuentelapeña,
1676:capuchino), 188; el semen “femíneo” no es necesario ni concurre a la generación activa-
mente (Martín de Torrecilla, 1691: franciscano), 405; el semen femenino es eficaz (Benito Fei-
jóo, 1734:benedictino), 408; etc.
247 KING 2011, “Inside…”. Acúdase también a Flechter (1995).
76 Juan Antonio López Férez
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II.
Geometrías utópicas
.
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA.
APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA
EN EL TEETETO Y LA REPÚBLICA
Jorge Cano Cuenca
Universitat Autònoma de Barcelona
Jorge.Cano@uab.cat
––––––––––––
2 Podría parecer una exageración que no ha de ser leída con excesiva literalidad: el propio
Sócrates, en las líneas finales del Teeteto, se dispone a acudir al tribunal y no parece que des-
conozca el camino (BURNYEAT 1990: 35-36), además reconoce perfectamente cuál es el linaje
de Teeteto en 144c, a pesar de lo que dice en 173c8-d1 sobre el rechazo propio del filósofo
hacia familias y descendencias. Pese a que el filósofo que se retrata en la digresión poseee una
mezcla de elementos socráticos y no socráticos que resultan irónicos, el Sócrates que se presenta
en la digresión es un modelo definido de filósofo (BENÍTEZ Y GUIMARAES 1993: 306-307). Para
Lavecchia (2006: 132) la digresion del Teeteto incluye una representación icástica acompañada
de trazos de una ironía benevolente, no del todo crítica y muy típica del modo de entender la
filosofía de Platón.
3 οὐδὲ γὰρ αὐτῶν ἀπέχεταιτοῦ εὐδοκιμεῖν χάριν, ἀλλὰ τῷ ὄντι τὸ σῶμα μόνον ἐν τῇ πόλει
πανταχῇ πέτεται κατὰ Πίνδαρον “τᾶς τε γᾶς ὑπένερθε” καὶ τὰ ἐπίπεδα γεωμετροῦσα, “οὐρανοῦ
θ᾽ ὕπερ” ἀστρονομοῦσα, καὶ πᾶσαν πάντῃ φύσιν ἐρευνωμένη τῶν ὄντων ἑκάστου ὅλου, εἰς τῶν
ἐγγὺς οὐδὲν αὑτὴν συγκαθιεῖσα. Las traducciones españolas son las de A. Vallejo Campos,
Gredos, 1982.
6 τί δέ ποτ᾽ ἐστὶν ἄνθρωπος καὶ τί τῇ τοιαύτῃ φύσει προσήκει διάφορον τῶν ἄλλων ποιεῖν ἢ
––––––––––––
8 Como señala D. Sedley (2004: 65), habría que fijar la fecha dramática del diálogo poco
antes del juicio y muerte de Sócrates y todas las referencias a juicios, jueces y jurados (174c2-
6) apuntarían precisamente a un relativismo que le costó la vida al filósofo, al igual que en el
Gorgias, donde Sócrates hace un amarga referencia a su incapacidad (propia de filósofo autén-
tico) para defenderse a sí mismo (521e-522e). Asimismo en la República (VII 517d8) el prisio-
nero que sale de la caverna y vuelve para enseñar a sus antiguos compañeros de cautiverio “se
ve forzado a pelearse en los tribunales o en cualquier otro lugar, acerca de las sombras de lo
justo o de sus imágenes de que ellas son sombras”. Cf. asimismo, Stern (2008: 41-43).
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 89
––––––––––––
9 En pasajes como República IV 422e-423b, Leyes IV 712e y VIII 832c, Platón muestra su
this score, Socrates makes clear, is that his crime has been to take the broadest possible per-
spective on everything, a perspective which in their own way the mathematical sciences share”.
90 Jorge Cano Cuenca
––––––––––––
11 Según testimonios, fue precisamente Teeteto el que desarrolló la teoría de los números
irracionales y el que completó la teoría de los cinco sólidos regulares que Platón expone en el
Timeo (MORROW 1970: 314).
12 En la República (MORROW 1970: 322-324), Platón se presenta como una especie de “pro-
mientos del alma que la hacen mejor hasta el punto en que se concluye que el movimiento es
lo mejor para el alma y para el cuerpo (153c4-5: τὸ μὲν ἄρα ἀγαθὸν κίνησις κατά τε ψυχὴν καὶ
κατὰ σῶμα, τὸ δὲ τοὐναντίον;)
14 2004: 14-15.
15 Es importante, aunque no sea un tema central para este trabajo, hacer mención de la discu-
sión entre unitaristas y revisionistas acerca de si hay mención a las formas en el Teeteto o si el
diálogo supone una modificación de la ontología y epistemología platónicas. Para los unitaris-
tas, (CHAPELL 2004: 127) expresiones como μόνον τύχωσι τοῦ ὄντος (172d9), τί δέ ποτ᾽ ἐστὶν
ἄνθρωπος (174b3), αὐτῆς δικαιοσύνης τε καὶ ἀδικίας (175c2) remiten al lenguaje con el que se
determina a las formas en los diálogos que indudablemente tratan de ellas. Además, el hecho
de que la digresión comparta temas tratados extensamente en la República refuerza la idea de
que estas referencias sean alusiones a las formas. Frente a esta conclusión, McDowell (1973:
177): “There is no sign, then, that the Forms are present in their role as the sole objects of
knowledge, strictly so called; and hence no reason to suppose that the Digression is meant to
hint at an answer, in terms of the Theory of Forms, o the question ‘What is knowledge?’ ”.
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 91
up the two main halves of the Platonic enterprise (Timaeus 29b3-c3): the entirely stable mode
of discourse (logos) focused on the intelligible world of Forms, to which astronomy is the priv-
ileged entry route (Timaeus 47a1-b3, 90 a2-d7), and the inherently unstable kind of discourse,
concerning the nature of the sensible world, which the Timaeus itself displays in its most so-
phisticated form” (SEDLEY 2004: 72).
17 Para Stern (2008: 167) Sócrates estaría llevando esta negligencia de los asuntos humanos
hasta el propio fundador de la tradición filosófica y estaría achacando a esa tradición la falta de
conocimiento que los filósofos tendrían de sí mismos. Tales sería un ejemplo de la falta de
visión general necesaria para una vida filosófica plena. Aunque resulte interesante este análisis,
no hay que olvidar que la segunda mención a la muchacha tracia (175d2-7) resulta mucho más
agria: el hombre “sofístico” cuando tiene que dar una explicación acerca de las cosas realmente
importantes (la naturaleza, la justicia, la felicidad) queda suspendido en las alturas como un
muñeco perplejo y balbuceante que ni siquiera provoca risa en las muchachas tracias.
92 Jorge Cano Cuenca
II. El propio contexto del Teeteto está marcado por la presencia fí-
sica –en sólido, cabría decir– de la geometría. En su primera interven-
ción Sócrates pregunta a Teodoro si a los jóvenes de Cirene les interesa
la geometría o algún otro estudio filosófico (143d3: περὶ γεωμετρίαν ἤ
τινα ἄλλην φιλοσοφίαν). Él mismo se preocupa porque los jóvenes de
Atenas se dediquen a estos saberes y también los mayores con los que
estos se juntan, como ese el caso del propio Teodoro que, por su domi-
nio de la geometría, merece estar rodeado de jóvenes. Tanto Sócrates
como Teodoro, quienes, a pesar de sus años, mantienen una actitud eró-
tica activa (BOERI 2009: 230-231), son dos hombres que parecen asumir
una tarea educativa y transformadora en sus ciudades, Cirene y Atenas,
y estar interesados en la relación maestro-alumno. La conversación so-
bre el conocimiento arranca con la cuestión del aprendizaje, lo cual da
la clave de cómo leer el resto del diálogo (STERN 2008: 33). A conti-
nuación, Sócrates pregunta a Teodoro si ha conocido en su estancia en
Atenas a algún joven digno de atención. La virtud del geómetra aparece
aquí como una capacidad identificadora de almas nobles, de almas filo-
sóficas, una labor que parece adelantar el oficio de comadrona con el
que Sócrates compara su tarea. Teodoro, un buen geómetra cuya com-
pañía es en sí misma un bien (143e1-2), tiene la capacidad de señalar a
un muchacho capaz de mantener una conversación porque su ciencia no
trata sobre los objetos cambiantes de la experiencia sensorial, sino sobre
los objetos inteligibles de la razón18. Teodoro le presenta la figura de
Teeteto, un joven que descuella sobre el resto, como ya se ha manifes-
tado en la conversación introductoria entre Euclides y Terpsión19, y que,
––––––––––––
18 Para Morrow (1970: 314) la matemática es el campo que más frecuenta Platón para ilustrar
lo que él considera conocimiento. Los teoremas matemáticos resultan incuestionables en su
modo de operar a través de premisas y definiciones: “The procedure of the mathematicians,
therefore, is an example of the kind of logos that in Plato’s opinion would transform a true
belief into knowledge”. El método y el elenchus socráticos mantendrían importantes concomi-
tancias tanto en los diálogos más antiguos como en los del período medio (MORROW 1970: 319-
322). No obstante, como se subraya en la República VII 531d-e, la aritmética y la geometría
son el preludio a la dialéctica.
19 142b7-8: καλόν τε καὶ ἀγαθόν, ὦ Τερψίων, ἐπεί τοι καὶ νῦν ἤκουόν τινων μάλα
ἐγκωμιαζόντων αὐτὸν περὶ τὴν μάχην. Teeteto representa la kalokagathia intelectual unida a la
virtud guerrera. Terpsión y Euclides presentan a Teeteto en un estado de madurez completo,
mientras que en la conversación el joven es aún un prometedor alumno ateniense que, como
aparece al principio, no defraudará las expectativas depositadas en él. De este modo se produce
una especie de imagen invertida entre un Teeteto herido de muerte al comienzo del diálogo y
un Sócrates que se dirige al jucio en el que va a ser condenado a muerte. Para A. Diès (1924:
124-125) el paralelo entre Sócrates y Teeteto va más allá de lo físico y el joven se convierte en
una especie de doble del maestro ateniense: “Théétète est la jeune doublure de Socrate. Nous
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 93
––––––––––––
avons vu, dans le Parménide, un jeune Socrate plein de l’enthousiasme dialectique (…) Théétète
est l’apprenti philosophe qui, formé de un façon précise aux diverses sciences préparatoires que
décrivait la République, aborde, bien guidé, les problèmes généraux de la science”. Por otra
parte, como ha señalado Boeri (2009: 231), Teeteto es kalos, porque argumenta con belleza y
nobleza, esto es, sin echar mano de los recursos sofísticos que se describen en la digresión.
20 El καλόν τε καὶ ἀγαθόν de 142b7 encuentra una rectificación en las palabras de Teodoro
(143e6-10) que, sin ambages, recalca la poca gracia física del joven, lo cual le permite cierta
objetividad para poder admirar su modo de ser sin que una bella imagen física altere o distor-
sione la percepción sobre su alma.
21 Esta armonía de cualidades es muy semejante a la que caracteriza a los filósofos gobernan-
dialogue demands of, and finds in, Theaetetus are the gentleness of modestly recognizing the
limits of one’s knowledge, i.e., not thinking that one knows what does not know (210c2-4), and
the courage of neverthless venturing a thesis regarding what one does not know (187b9-10)”.
23 Momentos antes, Teodoro ha comparado a Teeteto con la serena fluidez de un chorro de
aceite y el joven se presenta al momento recién ungido del mismo. No hay que pasar por alto
que, a lo largo de los primeros momentos de la conversación, se establece un juego de imágenes,
recuerdos y noticias que parecen servir de prólogo a la discusión acerca de la percepción sen-
sorial y el conocimiento. Por otra parte, el geómetra usa diagramas (círculo, triángulo, cua-
drado) que son imágenes de entidades invisibles, estructuras estables, pero la cuestión se com-
plica a la hora de tener que representar el alma a través de tales imágenes (STERN 2008: 42-44).
94 Jorge Cano Cuenca
––––––––––––
24 La respuesta de Teeteto (144e4: ἐπεσκεψάμεθ᾽ ἄν) es una prueba de su disposición al aná-
lisis y la discusión filosófica, cf. Boeri (2009: 233).
25 A este respecto, la exposición que hace Teeteto de la irracionalidad matemática de las
raíces cuadradas (147d3-148b2) es ponderada por Sócrates quien afirma que no se puede acusar
de perjurio a Teodoro por sus elogios al joven.
26 Asimismo en República X 621c5-7, tras el mito final, la asimilación a la divinidad supone
la práctica de la justicia juntamente con la inteligencia: (τῆς ἄνω ὁδοῦ ἀεὶ ἑξόμεθα καὶ
δικαιοσύνην μετὰ φρονήσεως παντὶ τρόπῳ ἐπιτηδεύσομεν, ἵνα καὶ ἡμῖν αὐτοῖς φίλοι ὦμεν καὶ
τοῖς θεοῖς). Para Lavecchia (2006: 236): “Nella vera phronesis conoscenza del Bene e agire nel
Bene convergono pienamente. Se non attinge il Bene ogni forma di phronesis è priva di valore
(Resp. 506a6-b3), perché è priva di relazione con la fonte di ogni Verità […] In altre parole, nel
vero filosofare la phronesis è sempre meta aretes, così come l´arete è sempre meta phroneseos”.
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 95
νοῦ συστάσεως ἐγεννήθη: νοῦ δὲ ἀνάγκης ἄρχοντος τῷ πείθειν αὐτὴν τῶν γιγνομένων τὰ
πλεῖστα ἐπὶ τὸ βέλτιστον ἄγειν, ταύτῃ κατὰ ταῦτά τε δι᾽ ἀνάγκης ἡττωμένης ὑπὸ πειθοῦς
ἔμφρονος οὕτω κατ᾽ ἀρχὰς συνίστατο τόδε τὸ πᾶν. En tanto causa errante, L. Brisson (1998:
472) define la necesidad como un estado ontológico previo a la constitución del mundo que
implica la ausencia de una causalidad racional y que explica el incesante movimiento no teleo-
lógico de la chora. En el tercer relato, el fisiológico-médico, se explica cómo la necesidad se
somete de nuevo a la inteligencia en la creación de los seres humanos. No obstante, en el Timeo
el término es muy polivalente (BRISSON 1998: 471 ss); asimismo, vid. JOHANSEN 2004: 148,
para la intervención de la necesidad en el relato de la creación del hombre.
28 El ser humano no es producto de la acción del demiurgo, sino de los dioses inferiores
(Timeo 41c-e).
96 Jorge Cano Cuenca
2001: 119) y finalmente al propio relato platónico (LISI 2001: 14). Asi-
mismo, la matemática, el número, es la “firma” que la divinidad ha de-
jado en el mundo, tal y como se deduce del Filebo (16c5-e2, 18b6-d2,
25a6-b2, 26b1-c2) y del Timeo (35b1-36d7, 37d1-e3, 53b1-5). En la
parte final del Timeo (90c6-d7) se nos explica en que consiste la ho-
moiosis theo: la especie más noble del alma ha de recibir un cuidado
(θεραπεία) continuo para hacerse fuerte y proporcionada y conectar con
la verdad y lo divino mediante una adecuación de las revoluciones del
alma a aquellas estables del universo29. El alma está llamada por su na-
turaleza –y por su salvación– a hacer ese movimiento de imitación30 y
lo que subyace en última instancia a esta syngeneia entre alma y mundo
es la estructura armónico-matemática de la que ambas participan, aun-
que en diferente manera y grado de perfección. También en Leyes VI
817e5-818e2 la matemática es condición imprescindible para que los
nomophylakes se hagan theioi, ya que es la manera de aproximarse y
comprender las reglas divinas que rigen el cosmos y la necesidad
(817d8: ἀνάγκη) que determina su naturaleza31.
––––––––––––
29 90c6-d7: θεραπεία δὲ δὴ παντὶ παντὸς μία, τὰς οἰκείας ἑκάστῳ τροφὰς καὶ κινήσεις
ἀποδιδόναι. τῷ δ᾽ ἐν ἡμῖν θείῳ συγγενεῖς εἰσιν κινήσεις αἱ τοῦ παντὸς διανοήσεις καὶ
περιφοραί: ταύταις δὴ συνεπόμενον ἕκαστον δεῖ, τὰς περὶ τὴν γένεσιν ἐν τῇ κεφαλῇ
διεφθαρμένας ἡμῶν περιόδους ἐξορθοῦντα διὰ τὸ καταμανθάνειν τὰς τοῦ παντὸς ἁρμονίας τε
καὶ περιφοράς, τῷ κατανοουμένῳ τὸ κατανοοῦν ἐξομοιῶσαι κατὰ τὴν ἀρχαίαν φύσιν,
ὁμοιώσαντα δὲ τέλος ἔχειν τοῦ προτεθέντος ἀνθρώποις ὑπὸ θεῶν ἀρίστου βίου πρός τε τὸν
παρόντα καὶ τὸν ἔπειτα χρόνον.
30 La imitación no significa una reproducción mecánica, sino que es un mecanismo que logra
cogliere ovunque nell’universo l’azione di una realtà ordinatrice (966e2-4): cos’egli viene spro-
nato alla conoscenza di questa realtà divina scopre in essa il fondamento della propria esenza,
e quindi avvia il processo che lo guida alla piena coscienza del proprio essere divino, a farsi
theios”. De esta manera, mediante la conjunción de matematica, astronomía y teología puede
el hombre convertirse en demiurgo del perfecto orden social.
32 Para G. Vlastos (1991: 107-131) y D. Sedley (2004: p. 28) la introducción de la matemática
es uno de los momentos que caracteriza el “middle period” de Platón. Son, de hecho, Teeteto y
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 97
gistike –la ciencia del cálculo, que estudia las propiedades de los núme-
ros y supone la base para el cálculo y el análisis de las proporciones– y
establece una relación interna fundamental entre el logismos, la educa-
ción y la justicia en el seno de la polis33. La logistike en Arquitas es una
ciencia que también adquiere connotaciones políticas (C. Huffman,
2005: 243-244), ya que el estudio de las relaciones numéricas resulta
fundamental para la buena distribución de riquezas y poderes dentro de
la polis34. Aunque, a primera vista y como marca el subtítulo peri epis-
temes, el Teeteto parezca alejado de un contenido ético-político, el valor
de la matemática como prueba de almas lo proyecta hacia diálogos con
una manifiesta intención política como República o el Gorgias, en los
que las ciencias matemáticas ocupan un lugar esencial, tanto en la edu-
cación del filósofo-gobernante cuanto en la propia práctica política.
En República VII 517c7-518b4, el filósofo aparece caracterizado
con problemas semejantes a los que presenta Sócrates en el Teeteto. La
dificultad de adecuar tanto el alma como los ojos al paso de la luz a la
oscuridad y viceversa es la causa de su amechania social y de su inca-
pacidad para manejarse cabalmente35. La dificultad física, que viene
––––––––––––
Teodoro los matemáticos; Sócrates no da muestras de un conocimiento matemático profundo,
pero sí del valor de este, tal y como se ha interpretado antes la mención a la geometría del
comienzo del diálogo 145a-b y 173e-174a. Para Morrow (1970, 319-320) cabría distinguir entre
el uso del método matemático en los diálogos primeros y en los del “middle period”: “Here
dialectic begins to be used for constructive purposes; and this is accompanied by a recognition
of the important role played by hypotheses in all constructive reasoning”. No obstante, la rela-
ción entre matemática y filosofía requiere puntualizaciones: aunque ambas disciplinas compar-
tan operaciones como la inducción y la definición, en el Teeteto mantienen importantes dife-
rencias y se aproximan más cuando ambas tratan sobre figuras o formas universales. (BENÍTEZ
Y GUIMARAES 1993: 318)
33 El logismos se encuentra entre las disciplinas que Teeteto aprende de Teodoro (145d: καὶ
τῶν περὶ ἀστρονομίαν τε καὶ ἁρμονίας καὶ λογισμούς). En Fedro 274c, el logismos es un des-
cubrimiento del dios egipcio Theuth, junto al número, la geometría y la astronomía. Logismos
alude también a la ley (Leyes I 644d1-3: ἐπὶ δὲ πᾶσι τούτοις λογισμὸς ὅτι ποτ᾽ αὐτῶν ἄμεινον
ἢ χεῖρον, ὃς γενόμενος δόγμα πόλεως κοινὸν νόμος ἐπωνόμασται).
34 C. Huffman (2005: 243-244) elabora a partir de la connotación política que tiene el término
en Arquitas una interesante hipótesis con el uso que Platón hace de él: “It seems plausible that
Archytas might have defined logistike along the lines of Plato’s definition in the Gorgias and
Charmides and saw it as building on arithmetike in the same way that Plato did. Indeed, it is an
intriguing suggestion that Plato in fact got the definition from Archytas, who was after all much
more a mathematician than Plato. There is some indication in Plato himself that logistike as the
title for the science of numbers is independent of Plato. Thus at Theaetetus 145a, when Socrates
gets Theaetetus’ agreement that Theodoros is geometrikos, astronomikos, logistikos and mous-
ikos, it seems implausible to assume that Plato is using logistikos in a technical Platonic sense
rather than using the common currency among the mathematicians of the day (see also Eutyphro
290c)”.
35 Al igual que ante la muchacha tracia del Teeteto (vid. supra), también en este caso el filó-
sofo se convierte en motivo de burla (VII 518b2-4), de modo que ese patetismo no puede ser
98 Jorge Cano Cuenca
dada por la falta de adaptación y el daño que sufren los ojos cada vez
que pasan de la luz a la oscuridad y viceversa –el analogon de la ca-
verna–, sirve para introducir la cuestión clave de los estados del alma y
la relación entre estos y los grados de adecuación a la verdad. Lo que
debe ser determinado entonces (518c4-d7) es si hay un arte (518d4:
τέχνη) que sea capaz de corregir el mal movimiento del alma y dirigirla
adonde es menester. Cierta clase de educadores pretende infundir epis-
teme en el alma que no la tiene, lo que es semejante a devolverle la vista
a un ciego (517b8-c2). Estos pretenden que el conocimiento no es una
facultad kata physin en el ser humano, sino algo que debe ser inculcado.
Ahí radica su error: las virtudes corporales se pueden adquirir mediante
entrenamiento, pero el conocimiento parece pertenecer a algo más di-
vino, que puede estar orientado hacia el bien o el mal ya que es común
la visión de almas perversas, aunque inteligentes, que se muestran agu-
das en su mirada hacia los males (518d9-519a6). La tarea educativa
pasa por extirpar esas excrecencias derivadas de la generación y elevar
las almas hasta la visión de la verdad (519a8-b5), mas hay que evitar
que se queden únicamente en ese feliz ámbito solipsista y hacerlas des-
cender de nuevo (519d4-7). Aquí interviene la ley (519e1-520a4): para
conseguir un estado de armonía útil a la comunidad mediante la persua-
sión o la fuerza (519e3-4: συναρμόττων τοὺς πολίτας πειθοῖ τε καὶ
ἀνάγκῃ) y que esta opere con vistas a un vínculo estable en la ciudad
(520a4: ἐπὶ τὸν σύνδεσμον τῆς πόλεως). La acción que se representa
aquí, por una parte, muestra una intención de ajuste y trabazón, por otra,
una clara acción de armonización y ordenación dentro de una estructura
unificada que adquiere ciertos tintes utópicos36.
El verbo συναρμόττω (ajustar, armonizar) aparece de nuevo en otros
dos interesantes pasajes de la República. En III 411e4-412a7, la música
y la gimnástica37 son las encargadas de generar el mayor rango posible
de equilibrio entre el cuerpo y el alma y el propio cuerpo humano es
––––––––––––
considerado del todo un rasgo de distanciamiento de Platón frente a la imagen del filósofo ex-
puesta en la digresión.
36 Recordemos que en el Timeo el dios recurre a la coerción y la persuasión para someter la
naturaleza de lo otro. Como señala L. Brisson (1998, p. 53) acerca del empleo de la persuasión
y la fuerza en el esquema político platónico: “En effet, la persuasion et la violence sont, dans le
cadre de la cité décrite dans la République, les deux moyens mis à la disposition du philosophe-
gouvernant pour faire appliquer la loi [...] Bref, aussi bien dans la sphére de la politique que
dans celle de l´érotique, Peitho joue un rôle essentiel: celui d’unir”. La persuasión está dirigida
a unir aquello que se muestra irreductible para que se construyan los lazos de proporción que
hacen surgir un estado armónico, ya en el seno de la physis, ya en el de la polis. Hay que sub-
rayar la presencia en el pasaje de los términos συναρμόττων y σύνδεσμον. En Filebo 18b7-d2
se establece una relación fundamental entre el desmos y el número (HUFFMAN 2001: 77).
37 Cf. Filebo 17c-d, en referencia asimismo a la música y a los movimientos armónicos del
cuerpo.
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 99
––––––––––––
38 Leyes VI 817e5-818e2, vid. supra.
100 Jorge Cano Cuenca
recuento que hace Sócrates de la conversación del día anterior y es el nexo fundamental que
mantiene unida a la ciudad: “Y luego de asignar a cada uno la ocupación única para la que
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 101
––––––––––––
estaba naturalmente dotado, una única técnica, afirmamos que aquellos que tenían la misión de
luchar por la comunidad deberían ser solo guardianes de la ciudad, en el caso de que alguien de
afuera o de adentro intentara dañarla, y que, mientras que a sus súbditos tenían que adminis-
trarles justicia con suavidad, ya que son por naturaleza amigos (17d4-18a2: δικάζοντας μὲν
πρᾴως τοῖς ἀρχομένοις ὑπ᾽ αὐτῶν καὶ φύσει φίλοις οὖσιν), era necesario que en las batallas
fueran fieros con los enemigos que les salieran al paso” (trad. F. Lisi, 1992, p. 156). El vínculo
común que vertebra el cuerpo de la polis, en un estado de salud, es la philia que, en este pasaje,
se pone en claro contraste con la hostilidad que se ha de mostrar ante el enemigo. La necesidad
de lograr un estado interno de armonía y unidad parece la aspiración final de la teoría política
platónica (MORROW, 1996: 561-562); cf. Leyes III 686b3 (ἐπεὶ γενομένη γε ἡ τότε διάνοια καὶ
συμφωνήσασα εἰς ἕν).
41 En Filebo no aparece este mismo verbo, pero en 17c7-e6, un pasaje que cabría calificar de
En los pasajes citados se afirma que hay una unidad generada a partir
de elementos diversos, los cuales entran a formar parte del compuesto
mediante la introducción del límite y del número, de la armonía, que
genera una estructura natural unitaria que se integra en una estructura
natural mayor, microcosmos-macrocosmos: bien sea el ser humano
como unión de cuerpo y alma, bien sea, acudiendo a la República, la
ciudad como una unidad a partir de diversos elementos que han de ser
armonizados. En República VII 521d13-522c8 se añaden otros argu-
mentos, ya que el pasaje aborda el régimen de educación que ha de re-
cibir el filósofo gobernante de la polis ideal. En este, el número y el
cálculo son los encargados de conseguir la excelencia del compuesto y
de cuidar después de él. En 522a3-b1, se concluye que la música y la
gimnástica procuran, por su condición armónica, una interiorización de
la medida y de la euritmia, pero realmente no generan una enseñanza.
La gimnástica tiene por objeto aquello que crece y perece y la música
logra una cierta armonía de espíritu, pero no logra el estatus de ciencia,
de modo que hay que acudir a lo que todas las formas de pensamiento
(dianoiai) y ciencias (epistemai) tienen en común (522c1-2): el número
y el cálculo (522c6-7: ἀριθμόν τε καὶ λογισμόν).
Las ciencias que tienen por objeto el número –logistike y arithme-
tike– resultan así las más aptas para el conocimiento de la verdad y, por
ello, son indispensables tanto para el guerrero como para el filósofo
(VII 525a6-b6). De nuevo hay que introducir la persuasión (525b12)
para implantar esta ciencia del número, alejándola de sus contextos su-
perficiales –mercado, negocios y demás aplicaciones prácticas con las
que Glaucón parece estar preocupado en exceso– para que, en su ejer-
cicio, se convierta en la propedéutica de filósofos y guerreros43, a fin de
que el alma pueda volverse de la generación a la verdad y la esencia
(525c4-6). La ciencia de los números, en suma, es el modo de elevar el
alma hacia lo divino. La geometría aparece como segunda de las cien-
cias necesarias para la táctica y para acceder a la idea de Bien, ya que
obliga al alma a volverse hacia lo inmutable y eterno (VII 526c10-e7).
La capacidad de la geometría para hacer que el nous humano se prepare
para el acceso a la idea de Bien radicaría en la abstracción que posee.
En este punto cabe destacar una doble vía: la cuestión no radica única-
mente en el acceso al conocimiento de la configuración última del
––––––––––––
43 El privilegio que concede Platón a la matemática, como se ha visto supra, se debe a que
era la única ciencia organizada que aportaba resultados seguros y además, debido a su abstrac-
ción y rigor, opera como propedéutica y antídoto para mantener a los futuros guardianes a salvo
de la cháchara sofística. Cabría considerar su uso como una suerte de “gimnasia intelectual”
que permite el acceso a la dialéctica, a la intelección de las leyes del mundo y de las formas
inteligibles (BRISSON, 1998: 134-135).
UNA EDUCACIÓN POLÍTICA. APUNTES SOBRE LA FUNCIÓN DE LA GEOMETRÍA EN EL TEETETO 103
mundo, en revelar sus estructuras profundas y los vínculos que las unen
y que sirven de huellas naturales para que el ser humano pueda acceder
al nous divino, sino la vinculación natural que estas ciencias tienen con
el alma y esta, finalmente, con la polis. Además, la geometría y el
cálculo, por otra parte, orientan la visión del alma hacia lo divino (Re-
pública VII 526e2-4). El conocimiento de lo que es siempre (τοῦ ἀεὶ
ὄντος: VII 527b5), no de lo que nace y perece (γιγνομένου y
ἀπολλυμένου: VII 527b8), marca una diferencia entre quien se ha acer-
cado a la geometría y quien no (VII 527c6-8). Las ciencias matemáticas
(aritmética, geometría, logistike) y la astronomía, asociada también con
la matemática, pero con otras connotaciones físicas, poseen, por otra
parte, un carácter purificador y transfigurador (VII 527d6-e3). La ma-
temática es una ciencia aún inferior respecto a la dialéctica, pero muy
importante como adecuación del alma para llegar a esta (VII 533c6-d4),
una ciencia que colabora en generar una disposición en el alma indivi-
dual, uno de los puntos fundamentales del Teeteto de Platón44. Por
tanto, cabe subrayar, por último, que la geometría es una de las ciencias
que contribuyen a mejorar el estado de disposición del alma, su hexis,
y que la conversación que tiene lugar en el Teeteto, lejos de ser consi-
derada una aporía, ha de ser leída como una intensa prueba de un alma,
un proceso de educación filosófica de un joven con los talentos necesa-
rios para ella (BOERI 2009: 264); proceso que define el compromiso de
Teeteto con respecto a su propia alma que, como sabemos desde el pró-
logo del diálogo por boca de Euclides y Terpsión, ha llegado a una al-
tura considerable. No obstante, si bien en el Teeteto esa prueba no está
dirigida hacia la educación de los gobernantes, como si se hace evidente
en la República, no deja de tener, por su parte, su pregnancia política,
habida cuenta del marco dramático en el que está encuadrado el diálogo.
Bibliografía
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aetetus”, Review of Metaphysics 47 (2): 297-328.
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ZAMORA (eds.), Eunoia: estudios de filosofía antigua. Un homenaje a María Isa-
bel Santa Cruz, Bogotá: 227-267.
BRISSON, L. (1998), Le Même et l'Autre dans la structure ontologique du Timée de
Platon, Sankt Augustin.
BURNYEAT, M. (1990), The Theaetetus of Plato, Indianapolis.
CHAPELL, T. (2004), Reading Plato’s Theaetetus, Indianapolis.
CORNFORD, F. M. (1968), La teoría platónica del conocimiento, Buenos Aires.
––––––––––––
44 Cf. Boeri (2009: 230, 259).
104 Jorge Cano Cuenca
(la seconda include anche la traduzione-revisione araba dei libri I-IV); RASHED & BELLOSTA
2010 per l’opera analitica.
4 In primum Euclidis: 104, 26-105, 18. Sulla questione delle linee omeomere si veda ACERBI
2010a.
5 Euclidis Opera Omnia VI: 234, 15-16.
DELLE UTOPIE MATEMATICHE: LA RIFORMA IMPOSSIBILE DI APOLLONIO 107
––––––––––––
8 La concezione di questa classificazione risente forse della definizione eratostenica di linea
come flusso di un punto: cfr. per quest’ultima Teone di Smirne, Expositio: 83, 22-24, e Sesto
Empirico, Aduersus mathematicos III, 28.
DELLE UTOPIE MATEMATICHE: LA RIFORMA IMPOSSIBILE DI APOLLONIO 109
stesso genere, ora dell’altro, e ora posto similmente rispetto alla retta, ora
in maniera opposta.
Le enormi potenzialità di un approccio così generale furono infine
sfruttate da Newton in Principia I, 5, lemma 22, una proposizione
dall’enunciato apparentemente innocuo: “Figuras in alias ejusdem
generis figuras mutare”.
Tra gli altri luoghi risolti da Apollonio nel suo trattato, figura quello
detto “a una e due linee”, ed in effetti una sua generalizzazione, come
apprendiamo ancora da Pappo, Collectio VII, 25:
Qualora un solo estremo di una retta data in grandezza e condotta parallela
ad una certa retta data in posizione tocchi una retta data in posizione, anche
l’altro toccherà una retta data in posizione.
Qualora da un certo punto fino a due rette, parallele o che si incontrano,
date in posizione siano condotte giù ‹rette› in angoli dati, o che hanno tra
loro rapporto dato o una sola delle quali, più quella rispetto a cui l’altra ha
rapporto dato, è data, il punto toccherà una retta data in posizione.
Questi due luoghi sono importanti in quanto le procedure risolutive
del “luogo a tre e quattro linee”9 furono il campo di battaglia della
controversia da cui nacque la geometria moderna. Descartes propose
una soluzione “analitica” di quello ad n linee all’inizio della sua
Géométrie, come esempio paradigmatico atto a mostrare la potenza del
nuovo metodo e a seguito di un celebre errore di Federigo Commandino
nel tradurre il passo pappiano in cui tale luogo è descritto10. Utilizzando
Conica III, 17-23, Newton, ormai impegnato in uno scontro di
retroguardia, offrì una soluzione more geometrico di quello “a tre e
quattro linee” nella sezione I, 5, lemmi 17-19 dei suoi Principia, in
polemica aperta con Descartes: “Atque ita Problematis Veterum de
quatuor lineis ab Euclide incæpti & ab Apollonio continuati non
calculus, sed compositio Geometrica, qualem Veteres quærebant, in
hoc Corollario exhibetur”, afferma alla fine della dimostrazione11.
Su questo retroterra di ricerca si innesta la riforma apolloniana: essa
attaccò direttamente la struttura deduttiva degli Elementi. Proclo ci
informa in effetti dei seguenti interventi su nozioni base del trattato
euclideo: chiarimenti sulle nozioni di linea e di superficie 12, una
––––––––––––
9 Esso stabilisce una proprietà caratteristica delle sezioni coniche e fu sicuramente risolto da
Apollonio, per quanto tale soluzione non ci sia pervenuta. Il “luogo a una e due linee” stabilisce
una proprietà caratteristica della retta.
10 L’esposizione primaria si trova in Collectio VII, 36; il testo greco è a dire il vero un po’
a Pappo, ma vi sono buoni motivi per ricondurla ad Apollonio: ACERBI 2010b: 164-165.
21 Per il testo si vedano SABRA 1968 e RASHED, HOUZEL 2005; ho per primo proposto di
Riferimenti bibliografici
1. Fonti
Apollonii Pergaei quae graece exstant, cum commentariis antiquis, edidit et latine
interpretatus est J.L. Heiberg, 2 vol., Leipzig, 1891-1893.
Euclidis Elementa, post J.L. Heiberg edidit E.S. Stamatis, 5 vol., Leipzig, 1969-1977.
Euclidis opera omnia, ediderunt J.L. Heiberg et H. Menge, VI: Euclidis Data, cum
commentario Marini et scholiis antiquis, edidit H. Menge (1896), VII: Euclidis
Optica, Opticorum Recensio Theonis, Catoptrica, cum scholiis antiquis, edidit J.L.
Heiberg (1895), VIII: Euclidis Phaenomena et Scripta musica, edidit H. Menge.
Fragmenta, collegit et disposuit J.L. Heiberg (1916), Leipzig.
La Géométrie, de Réné Descartes, À Paris, Chez Charles Angot, ruë Saint Jacques,
au Lion d’or, 1664.
Pappi Alexandrini Collectionis quae supersunt, e libris manu scriptis edidit latina in-
terpretatione et commentariis instruxit F. Hultsch, 3 vol., Berlin, 1876-1878.
Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, auctore Isaaco Newtono, Equite
Aurato. Editio Secunda Auctior et Emendatior, Cantabrigiae, 1713.
Procli Diadochi in primum Euclidis Elementorum librum commentarii, ex
recognitione G. Friedlein, Leipzig, 1873.
Sexti Empirici Opera, recensuit H. Mutschmann. Volumen II, Adversus Dogmaticos
libros quinque (Adv. math. VII-XI) continens. Leipzig, 1914.
Theoni Smyrnaei philosophi platonici Expositio rerum mathematicarum ad legendum
Platonem utilium, recensuit E. Hiller, Leipzig, 1878.
2. Bibliografia secondaria
ACERBI, F. (2010a), “Homeomeric Lines in Greek Mathematics”, Science in Context
23: 1-37.
ACERBI, F. (2010b), “Two Approaches to Foundations in Greek Mathematics: Apol-
lonius and Geminus”, Science in Context 23: 151-186.
––––––––––––
28 E ricordiamoci che lo stesso dominio lessicale identifica una nozione base dello scetticismo
pirroniano: la “sospensione” (ἐποχή) del giudizio come atto finale della disputa dialettica di
matrice scettica.
114 Fabio Acerbi
Edwin A2
Nato a Londra nel 1838, Edwin Abbott Abbott3 seguì la via tracciata
dal padre e nel 1865 diventò haedmaster della City of London School,
in cui si era formato negli anni ’50. Mostrò subito la sua tendenza
innovatrice nell’ambito della didattica, riformando l’insegnamento
della grammatica e della letteratura inglese, rendendo obbligatorio lo
studio della chimica, introducendo la filologia comparata di testi latini
e greci. Il suo progressismo non si esauriva, tuttavia, alla sfera
scolastica, ma investiva anche quella politica, sociale e teologica.
Predicatore ed esegeta biblico, era uno strenue difensore di una
concezione religiosa liberale, pro Broad Church e versus sia High
Church, con il suo ritualismo cattolico, sia Low Church, con il suo
evangelismo dogmatico. Sosteneva la necessità di un’apertura della
––––––––––––
1 RIEMANN 1868.
2 ABBOTT 1884.
3 In simboli matematici A2 (BARTOCCI 2011: XX).
altri, il Gran Consiglio ha deciso all’unanimità che per tale motivo, il primo
giorno di ogni millennio, i Prefetti delle numerose circoscrizioni di
Flatlandia riceveranno speciali ordini, al fine di effettuare accurate ricerche
per reperire quegli individui fuorviati e condannarli all’immediata
eliminazione senza la formalità dell’esame matematico qualora siano
Isosceli di qualsiasi grado, alla flagellazione e al carcere ove si tratti di
Triangoli regolari, alla reclusione nel Manicomio distrettuale nel caso di
Quadrati o Pentagoni, e all’arresto, seguito da un tempestivo invio nella
Capitale dove il Consiglio li esaminerà e li giudicherà, nell’eventualità che
appartengano a qualunque ordine più elevato17.
Sono le parole pronunciate dal Circolo Massimo dinanzi al Gran
Consiglio riunito in occasione del primo giorno del nuovo millennio,
per decretare le punizioni alle quali vanno incontro coloro che osano
rinnegare la legge-religione di Flatlandia a favore di assurde e infondate
fedi in altri mondi.
Si legge inequivocabilmente nelle parole di Abbott la sua riflessione
critica sulla religiosità ortodossa del tempo e la proposta di una
maggiore apertura verso la modernità, il progresso, la scienza, o anche
soltanto di un confronto, piuttosto che una rigida chiusura.
Il Quadrato è in un primo momento l’emblema della chiusura e della
cieca ortodossia, poiché rifiuta in tutti i modi la “verità” che la Sfera
cerca di comunicargli, non soltanto con le parole, ma anche con le
immagini, con la visione diretta di quanto afferma. Dinanzi
all’evidenza, tuttavia, egli è costretto ad accettare la “verità”, a mettere
in discussione quelle che fino ad allora erano state per lui certezze
indubitabili: la Sfera diviene la “nuova” divinità da ascoltare e venerare,
perché foriera di verità ignote.
La lucidità e la capacità critica appena acquisite diventano ben presto
così acute da essere esercitate sulla stessa “religione” della Sfera: dal
suo ragionamento, che mirava a mostrargli come un solido fosse frutto
dello “spostamento” di un piano nello spazio, il Quadrato ora deriva
l’esistenza di “qualcosa”, risultato dello “spostamento” di un solido
nello spazio:
In Una Dimensione, un Punto che si sposta non crea forse un Segmento
rettilineo con due punti terminali? In Due Dimensioni, un Segmento che si
sposta non produce forse un Quadrato con quattro punti terminali? In Tre
Dimensioni, un Quadrato che si sposta non dà forse origine –e l’ho visto
con questo mio occhio– a quella beata Entità, il Cubo, con otto punti
terminali? E allora nella Quarta Dimensione, un Cubo che si sposta non
––––––––––––
17 ABBOTT (2011: 109-110).
122 Claudia Addabbo
Geometrie alternative
Nel 185419 Georg Bernhard Riemann (1826-1866) discusse il suo
Habilitationsvortrag per il conseguimento del titolo di Privatdozent
presso l’Università di Göttingen, intitolato Über die Hypothesen,
welche der Geometrie zu Grunde liegen, presentando una concezione
geometrica radicalmente nuova, non già non euclidea, ma risolutamente
post-euclidea.
L’Habilitationsvortrag di Riemann fu per certi versi il punto di
partenza per lo sviluppo della geometria differenziale, della topologia
algebrica o dell’analisi complessa, per certi altri il punto d’arrivo di un
processo iniziato secoli prima.
Evidentemente debole già per lo stesso suo autore, Euclide, il V
postulato20 suscitò perplessità presso i matematici, già a partire dal III
sec. a.C. Esso era meno evidente degli altri e, pertanto, da un lato si
cercò di sostituirlo con un altro più evidente, dall’altro di dedurlo dagli
altri nove assiomi.
I “tentativi”, iniziati con Tolomeo (367-283 a.C.), si protrassero fino
al XIX secolo21, quando Carl Friedrich Gauss (1777-1855) acquisì per
primo la consapevolezza del fatto che la geometria euclidea non fosse
“la” geometria dello spazio fisico. A partire dal 1813, come si legge in
alcune recensioni e lettere22, egli sviluppò la sua nuova geometria,
alternativa alla geometria euclidea, che chiamò “antieuclidea”,
“astrale”, “non euclidea”. La geometria di Euclide cessava, dunque, di
––––––––––––
18 ABBOTT (2011: 117).
19 Ma rimase inedito fino al 1868.
20 Qualora una retta che incide su due rette faccia minori di due retti gli angoli all’interno e
dalla stessa parte, le due rette prolungate illimitatamente incidono dalla parte in cui sono gli
angoli minori dei due retti, in EUCLIDE 2007: 781.
21 Per una prima ricostruzione storica si veda: KLINE 1999.
22 Significative sono le recensioni del 1816 e del 1822 e la lettera a Olbers del 1817 (C.F.
––––––––––––
23 Gauss pervenne a un’altra considerazione “rivoluzionaria”: la geometria euclidea non è
necessariamente vera, ma il carattere di verità deve essere attribuito solo all’aritmetica (e
all’analisi che ne è lo sviluppo); la geometria appartiene alla stessa classe della meccanica
(KLINE 1999: 1026).
24 KLINE 1999: 1018.
25 LOBATCHEVSKY 1837.
124 Claudia Addabbo
––––––––––––
26 KLINE (1999: 1042).
27 BARTOCCI (2011: xxiv).
UTOPIE GEOMETRICHE: UNA SOCIETÀ A PIÙ DIMENSIONI 125
Riferimenti bibliografici
ABBOTT, E.A. (1884), Flatland. A Romance of Many Dimensions, London: 1ª ed.
ABBOTT, E.A. (2011), Flatlandia, Torino.
BARTOCCI, C. (2011) “Geometrie vittoriane”, in E.A. ABBOTT, Flatlandia, Torino.
126 Claudia Addabbo
Imaginarios metacientíficos
.
LAS PROSOPOPEYAS EN LA TRADICIÓN DEL ENCICLOPEDISMO
ALEGÓRICO.
UN ENSAYO SOBRE RETÓRICA CIENTÍFICA
Paula Olmos
Universidad Nacional de Educación a Distancia
polmos@fsof.uned.es
también una edición crítica posterior (BOSSUAT, ed., 1955), disponible hoy en día, en formato
digital, en la Bibliotheca Augustana (http://www.hs-augsburg.de/~harsch/augustana.html). Hay
también varias traducciones al inglés (CORNOG, ed., 1935; SHERIDAN, ed., 1973).
3 El texto fue impreso en varias ocasiones durante el s. XV: Zaragoza, 1480, 1496 (ambas
ediciones perdidas); Burgos, 1485; Tolosa, 1489 –de la que existen dos ediciones modernas
facsímiles de 1983 y 1996 debido, sobre todo, a sus interesantes ilustraciones–, 1494; y también
en el s. XVI: Sevilla, 1526, 1538; Ferrara, 1554. En esta época se publicaron también una tem-
pranísima traducción al catalán (Barcelona, 1484) y otra al italiano bajo el enciclopédico título
de Sommario de tutte le scientie (Venecia, 1556). Entre las ediciones modernas destaca la de
Adolfo de Castro (CASTRO, ed., 1871) en la BAE, que fue la más difundida hasta la aparición
de la edición crítica de García López (GARCÍA LÓPEZ, ed., 1991).
LAS PROSOPOPEYAS EN LA TRADICIÓN DEL ENCICLOPEDISMO ALEGÓRICO 131
––––––––––––
4 En Olmos (2012: 285) ya comentaba que la actitud tradicional de menosprecio ante el valor
científico y la precisión y comprensión de las teorías expuestas en el texto del Capella, carac-
terística de los análisis y comentarios de Stahl, Johnson and Burge (1971) y también presente
en ediciones más actuales como la de B. Ferré (B. FERRÉ, ed., 2007) estaba empezando a mo-
dificarse (siempre en relación con el nivel de conocimiento de su época, por supuesto) en algu-
nos estudios concretos sobre ciertos pasajes que habían dado lugar a malentendidos, como los
de Suárez Martínez (2006) y Schievenin (2009).
132 Paula Olmos
constituirían un modelo muy extendido durante el medievo. Hay, sin embargo, excepciones a
esta ordenación como el conocido texto de Hugo de San Víctor (m. 1141), el Didascalicon sive
De studio legendi, que divide la Filosofía en cuatro grandes ramas: teórica, práctica, mecánica
y lógica. La primera se divide a su vez en teología, matemática (el quadrivium) y física. De
acuerdo con la valoración clasificatoria del rasgo correspondiente a la “operatividad”, la medi-
cina aparece situada entre las disciplinas pertenecientes a la “filosofía mecánica”, junto con la
agricultura, la fabricación de lana o el teatro. La originalidad de Hugo de San Víctor nos ad-
vierte una vez más contra la apresurada impresión de una tradición fija y constantemente repe-
titiva.
LAS PROSOPOPEYAS EN LA TRADICIÓN DEL ENCICLOPEDISMO ALEGÓRICO 133
todapē Historia que puede haber pertenecido al género misceláneo y compilatorio de las Noches
Áticas de este autor.
134 Paula Olmos
––––––––––––
9 Tal como lo define Schanzer (1986: 41), una de las principales estudiosas de la obra de
––––––––––––
11 Sobre la variedad de géneros y modelos de discurso científico en la antigüedad, ver Taub
(2013).
12 Sin que consideremos, como Hadot, que los comentarios al Timeo son casi la única razón
detrás del desarrollo del conocimiento matemático que llevaría al quadrivium boeciano, tam-
poco se debe olvidar la enorme importancia de este texto en la historia de la filosofía y de la
ciencia. Así, se ha hablado de algunas de las obras a las que nos referimos en este trabajo (las
de Capella, Macrobio, Calcidio o Boecio) como maîtres-livres o libros de referencia que ayudan
a entender, entre otras cosas, el Timeo platónico (BARKHOUCHE 1997: 17). Sobre el uso argu-
mentativo del mito en Platón, ver también Cano Cuenca (2012).
13 Sobre la “cuestión varroniana” en torno a las fuentes de Capella, ver Bovey (2003: cap. 2),
––––––––––––
15 Aunque no todos los estudiosos están de acuerdo en atribuir esta obra a Apuleyo de Mada-
manuscritos y son la base del posterior trabajo de Remigio de Auxerre: “Considered together,
the three commentaries present a detailed picture of the ninth century interpretation of the seven
liberal arts” (LUTZ, ed., 1944: vii), “By the end of the ninth century, Remigius’s enlarged com-
mentary which utilized the material in Dunchad and John the Scot had begun to usurp the place
of both. It was through the medium of Remigius’ commentary, which achieved great success
and experienced a long period of popularity, that the ideas of Dunchad and John the Scot be-
came known and disseminated” (LUTZ, ed., 1944: xii).
138 Paula Olmos
––––––––––––
17 El involucrum sería un género de figura estilística del que la allegoria y el integumentum
serían especies ligeramente distintas, separadas por la “autenticidad” o el carácter “inventado”,
respectivamente, de la narración en cuestión que, en todo caso, encierra simbólicamente una
verdad distinta de lo que en apariencia sucede en ella. La distinción sirve para acomodar el
carácter simbólico e interpretable de los relatos bíblicos sin renunciar a la creencia en la auten-
ticidad fáctica e histórica de lo relatado en ellos: genus doctrinae est figura, id est involucrum
[…] Involucrum autem dividitur in allegoriam et integumentum. Allegoria est <oratio>, quae
sub historica narratione verum et ab exteriori diversum claudit intellectum, ut de victoria Ia-
cob. Integumentum est oratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Or-
pheo (WESTRA, ed., 1994: xiii).
LAS PROSOPOPEYAS EN LA TRADICIÓN DEL ENCICLOPEDISMO ALEGÓRICO 139
––––––––––––
18 “It was this method that made possible the interpretation of classical mythology in terms
structio perficientem imbuet sensum, acutior allegorie subtilitas proficientem acuet intellectum,
Anticlaudianus, “Prologus”.
20 Realizadas por Alfonso Buonacciuoli (Mantua, 1578) y Francesco Pona (Padua, 1629),
––––––––––––
22 La extraña posición anticlimática de este elemento en Alain de Lisle, tras la verdadera
––––––––––––
23 Debemos el énfasis en el enorme significado interpretativo de estos personajes sobre todo
a los estudios de L. Crisante (CRISANTE, ed., 1987) que encuentran una magnífica continuación
en los de Schievenin (2009: 47-59).
24 “La Filosofia e la Paideia erano in fondo figlie degli stessi padri, i filosofi, e già unite da
correlazioni reciproche: la Paideia (enkyklios paideia) era il percorso platonico per giungere
alla Filosofia. In M. il processo è mutato: Filosofia proviene da un passato che appare irripeti-
bile, tutto affidato ormai alla memoria del lettore; il suo presente, come si è visto, è decisamente
subalterno e ridotto […] Pedia invece, per quanto isolata e di difficile approccio, è dotata di
particolari ricchezze, ma soprattutto spetta a lei introdurre Geometria nel senato celeste, così
come farà successivamente con Aritmetica: è lei che introduce le Artes, cioè è lei che introduce
alle arti” (SCHIEVENIN 2009: 57).
144 Paula Olmos
––––––––––––
25 Se ha mencionado la cercanía de Alonso de la Torre a algunos intereses de su contempo-
ráneo Alonso de Cartagena (1384-1456), quien tradujo y comentó la obra apócrifa de Séneca
De septem artibus liberalibus (SALINAS ESPINOSA 1997).
148 Paula Olmos
de la Ética Nicomáquea al español (t.a.q. 1458). Otros textos relacionados con este interés en
el entorno de la corte navarra en la filosofía moral aristotélica, además de la propia Visión De-
leytable, serían la Triste deleytaçion (ca. 1465), de un enigmático autor catalán que firma
F.A.D.C., y el anónimo Compendio de Ethica de Aristoteles, impreso en Zaragoza por Juan
Hurus en 1488 y 1490, y más tarde en Sevilla, en 1493 (BLAY MANZANERA 1997; GIRÓN NE-
GRÓN 2001: 14-16; OLMOS 2014).
LAS PROSOPOPEYAS EN LA TRADICIÓN DEL ENCICLOPEDISMO ALEGÓRICO 149
––––––––––––
28 Mi propio trabajo sobre algunos elementos del Libro V (dedicado a la Retórica, OLMOS
2011, 2012) o el de Schievenin (2009: 75-103) sobre ciertos pasajes del Libro VI (sobre Geo-
metría), revelan que también es importante atender a los detalles de las partes técnicas de la
obra (supuestamente convencionales y poco innovadoras) para hacerse una idea del tipo de
propuesta enciclopédica ante la que nos hallamos.
29 Las cartas 27, 28 y 30 representan, respectivamente a la Poética, la Filosofía y la Teología,
La Gramática
La Gramática es, en Marciano Capella, una anciana que, a pesar de
su vejez, resulta agradable y afable. Se dice que proviene de Memfis,
de cuando reinaba Osiris y que después se escondió, para ser posterior-
mente descubierta por el Cilenio, i.e. Mercurio o Hermes (De nupt.
III.223). Lleva el palio del Ática, donde prosperó, pero también lleva el
manto romano. Los atributos que porta son un recipiente de marfil del
cual extrae herramientas y medios para escribir presentados como curas
de la ignorancia y la rudeza: e.g. un punzón que dice que cura a los
niños de los defectos de la lengua (circumcidi infantibus vitia posse lin-
guarum, III.224), un polvo negro (tinta), la planta del Nilo (papiro).
Trae también una lima, dividida en ocho partes (las partes de la oración
quae octo partibus auratis velut diversis nexionibus interstincta vibra-
bat, III. 226) con las que limpia los dientes y la lengua. Se muestra como
––––––––––––
30 Y que aparecen representadas con claridad en las ilustraciones xilográficas que acompañan
La Lógica
En Marciano Capella, la llamada Dialéctica, un personaje bastante
siniestro, se presenta a través de un poema en el que se habla de sus
expresiones complicadas, de las que algo se sigue o a las que algo se
opone (qua sine nil sequitur nilque repugnat item, De nupt. IV.327). Es
una doncella pálida, de mirada aguda, ojos móviles y vibrantes, cabellos
––––––––––––
31 Algo de esto se comenta en Olmos (2012b).
152 Paula Olmos
Aunque es algo que excede los límites de este estudio, cabe señalar
que en Alonso de la Torre hay ciertos aspectos del contenido de la dis-
ciplina lógica que resultan bastante originales en cuanto a sus fuentes,
ya que provienen, según varios estudios (SALINAS 1997), de Algazel.
Interesa, en particular, una clasificación de tipos de enunciados que su-
pone, a su vez, una clasificación de tipos de disciplinas, construyéndose
un cierto orden jerárquico que se superpone al de la propia obra enci-
clopédica. Aquí la Lógica actúa como ciencia de ciencias y ordenadora
metadiscursiva de saberes, en un papel que tradicionalmente adquirió
en un entorno escolástico. Los enunciados de mayor rango y dignidad,
por su certeza, se usan en las artes matemáticas (la geometría, la arit-
mética, la música y la astrología, según las denominaciones de Alonso
de la Torre), en la filosofía natural y la metafísica. Dan lugar a demos-
traciones. El segundo tipo de enunciados son máximas que todos acep-
tan y que los “synples doctores de la ley” piensan, erróneamente, que
son como las primeras, pero “ayuda a creerlas la costunbre e la criança”
(VD I.4.157, 171-172). Son las correspondientes a la ciencia moral y se
hallan en la casa de Razón. La tercera clase es la de los enunciados de
autoridad, y que “tienen prueva por conjetura que asý suele conteçer”
(VD I.4.191-192)32. Serán los utilizados por la Retórica. Finalmente se
mencionan las falsedades aparentemente ciertas que, como es de espe-
rar, no se corresponden con ninguna ciencia, aunque será la propia ló-
gica la que las estudie como sofismas.
La Retórica
En Marciano Capella se trata con mucho respeto a la Retórica, como
corresponde a alguien formado en ella (OLMOS 2011). Es una mujer de
gran belleza, altura, dignidad, vestida a la latina y con majestad real. Va
armada con una espada y lleva un manto adornado de figuras (el ornato
discursivo de la retórica) y una coraza cubierta de gemas de colores.
Mientras avanza, se oye el fragor de las armas, como si fuera Júpiter.
Habla con gran habilidad y arte y, además viene seguida de un amplio
cortejo de expertos retóricos, tanto teóricos como prácticos (oradores)
que son, además, todos ellos hombres ilustres (De nupt. V.425-434).
También en Alain de Lisle se muestra este esplendor de la doncella
Retórica, de cabellos de oro magníficamente peinados y radiante. Alain
destaca más, sin embargo, la expresividad emotiva de su rostro, su ca-
pacidad (que resulta, a fin de cuentas, algo voluble) para llorar, reír o
––––––––––––
32 Sobre el “saber conjetural” en Aristóteles y su uso de la expresión griega “hos epi to
poly” para lo que “en la mayor parte de los casos” suele suceder, ver Piazza (2012).
154 Paula Olmos
La Geometría
Marciano hace salir a Geometría tras un interludio bastante signifi-
cativo dentro de la obra, ya que en él intervienen el propio autor del
diálogo, Palas, quien presenta a las disciplinas griegas o matemáticas,
que formarían el llamado quadrivium, la musa Sátira, que se burla de
él, y las dos metadisciplinas Filosofía y Pedia de las que ya hemos ha-
blado. Estas traen una especie de pizarra e instrumentos para que geo-
metría pinte en ella sus figuras: así podrá representar todo lo que no
puede explicarse con palabras (De nupt. VI.579). Geometría es una
dama noble que lleva en una mano un bastoncillo y en la otra, una esfera
y un manto con bordados, donde se ven los cursos de los astros y las
medidas de sus órbitas, círculos, intersecciones y sombras. Caminante
imparable, lleva calzado adecuado para caminar por toda la tierra (cre-
pidas peragrandae telluris causa easdemque permenso orbe contritas
viatrix infatigata gestabat, VI.581). De ahí que en gran parte la exposi-
ción geométrica de Marciano Capella se refiera a temas de lo que hoy
––––––––––––
33 Según DRAE: “Trompeta recta morisca de unos 80 cm de longitud, que se usó también
en Castilla”.
LAS PROSOPOPEYAS EN LA TRADICIÓN DEL ENCICLOPEDISMO ALEGÓRICO 155
La Aritmética
Marciano describe a continuación a Aritmética, a quien también trae
Pedia, como una dama de majestad y nobleza antiquísimas, venerable,
con una cabeza fulgente de la que surgen diez rayos (la década pitagó-
rica) que ella reduce a uno con maravillosa capacidad (sed innumerabili
radios multitudine prorumpentes in unum denuo tenuatos miris qui-
busdam defectibus contrahebat, De nupt. VII.728). Sus dedos están en
perpetuo movimiento y al entrar los coloca de modo que simbolicen el
número 717 que es el número de Júpiter35. Habla de un universo que
ella misma ha generado y espera que el pueblo de los astros la reconozca
como madre o genetrix (astrorum populus recognoscat honorandam
suae multitudinis genetricem, VII.730)
Para Alain de Lisle la antigüedad de la Aritmética hace que se le con-
ceda el primer puesto entre las artes matemáticas. Será pues la cuarta her-
mana. La describe con aspecto perfecto, sutil, agudo, y es de mente viril,
a pesar de su sexo (Hec gerit et sexum transcendit mente virili, Anticl.
III.282). Lleva en la mano una especie de tabla pitagórica (mensam
Pyctagore, Anticl. III.288) en la que, con la otra, muestra los números.
En su vestimenta despliega sus preceptos, como las demás artes.
Alonso de la Torre, como hiciera Capella, hace ciertas alusiones al
carácter cercano a la adivinatoria de la Aritmética, en su caso a través
del saber cabalístico que se ha identificado como una de sus fuentes36.
La Aritmética sería, en este sentido, dueña de “admirables e muy mara-
villosos secretos” (VD I.6.28). Alonso también destaca, como Alain, el
tradicional carácter viril de Aritmética: “maguer los mienbros cubriese
con hábito femenil, paresçía debaxo de aquél esconderse coraçón de
muy penetrante e muy yngenioso varón” (VD I.6.7-9), y, como Capella,
en cambio, su papel generador de los elementos naturales, según la tra-
dición pitagórica y platónica: “Por número son ligados los elementos e
concatenadas todas las cosas naturales” (VD I.6.61-62). Al contrario
que Geometría, Aritmética sí lleva una banda parlante, con el lema par
et impar y sus atributos en la Vision Deleitable son similares a los des-
critos por Alain de Lisle: un garfio de hierro (instrumento para escribir)
y una tabla emblanquecida.
La Astronomía/Astrología
Marciano y Alain llaman al arte matemática que trata el movimiento
de los astros Astronomía (aunque Alain solo la nombra realmente en el
––––––––––––
35 La presencia de la numerología en Marciano ha sido ampliamente comentada por todos sus
estudiosos.
36 SALINAS 1997.
LAS PROSOPOPEYAS EN LA TRADICIÓN DEL ENCICLOPEDISMO ALEGÓRICO 157
La Harmonía/Música
Para Marciano, la Harmonía, es el arte culminante (praecellentis-
simam feminarum Harmonia, De nupt. IX.899) y, a la vez, la que cierra
el círculo, haciéndose cargo de la métrica, un aspecto disciplinar que se
––––––––––––
37 Tanto en Alain como en Alonso es la última arte en aparecer, al contrario de lo que sucede
Conclusión
Los tres textos que hemos revisado suponen otras tantas propuestas,
dentro de la línea del enciclopedismo alegórico, sobre la configuración
del conocimiento y la concepción de su estudio en cada época. Aunque
en todas estas obras aparece el conjunto estable de las siete artes libera-
les, utilizándose para ello rasgos tradicionales que se transmiten de una
a otra, hemos visto que dichas artes no desempeñan el mismo papel en
ninguna de ellas. En Marciano Capella suponen el núcleo básico del
saber, del que nada parece quedar fuera, aunque se admite la pugna en-
tre diversas maneras alternativas de concebir el conocimiento, a través
de los distintos modelos de metadisciplinas. En Alain de Lisle, son tan
solo un apoyo ancilar para las virtudes intelectuales (Prudencia y Ra-
zón) cuyo objetivo es otorgar a Natura el alma que perfeccionará al
hombre para que pueda dedicarse a la contemplación de la verdad reve-
lada a través de un ascenso especulativo absolutamente teologizado. A
pesar de ello, el autor se preocupa de armonizar su concurso mediante
la imposición, más bien externa, de Concordia, quien une, adecúa y
hace trabajar juntas a las piezas dispersas que las artes han construido,
otorgándoles ley y orden (Concludens operam, sparsas Concordia par-
tes / ordine, lege, loco confederat, unit, adequat, Anticl. IV.77-78). El
bachiller Alonso de la Torre trabaja, por su parte, en un contexto en el
que el corpus ordenado y sistematizado de la filosofía escolástica y sus
partes se presenta como la principal e insoslayable suma de conoci-
miento que ha de tenerse en cuenta para cualquier intento enciclopé-
dico. El que se les preste la atención que les presta en su obra a las artes
liberales puede considerarse casi un rasgo significativo del interés inte-
grador del autor. En cualquier caso, la cima del monte la ocupan otro
tipo de investigaciones en las que Entendimiento promete perseverar,
quedándose a vivir allí (VD II.23.31-32).
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.
EL PITAGORISMO ANTIGUO ENTRE CIENCIA Y UTOPÍA
David Hernández de la Fuente
Universidad Nacional de Educación a Distancia
dhdelafuente@geo.uned.es
Pitágoras (HERNÁNDEZ DE LA FUENTE 2014) seguido de todas las biografías griegas del filósofo.
Pyth. 31, 140; Dióg. Laercio, VIII 36) hasta su presunta instrucción por
sabios como Tales, Anaximandro o Ferécides entre los griegos, o sus
viajes formativos con los egipcios, fenicios, caldeos y magos, la escasez
de evidencias directas pone en cuestión constantemente la autenticidad
de estos detalles en las biografías. Tras su educación mítica, con una
infancia que da pruebas de sus especiales dotes, abandona Samos bajo
la tiranía de Polícrates para seguir su apredizaje por Grecia, Oriente y
Egipto. Los viajes de aprendizaje del sabio mítico –filósofo, científico
o legislador– a lugares lejanos donde se da el auténtico saber religioso
y reinan las buenas leyes emanadas de la divinidad son un rasgo recu-
rrente en varias biografías legendarias de algunos filósofos presocráti-
cos. Ocurre en el ámbito de la Magna Grecia con figuras como Parmé-
nides, Zenón y, por supuesto, Pitágoras y los pitagóricos. Todos ellos,
por ejemplo, aparecen en diversas fuentes viajando a Egipto para reca-
bar la sabiduría divina, la mántica inspirada, la incubación sanadora y
el arte de hacer leyes excelentes.
En el mundo itálico, hay noticias de algunos legisladores relaciona-
dos con el Pitagorismo que tuvieron también semejantes viajes de
aprendizaje. Con todo, la relación de Pitágoras con Egipto y su posible
viaje hasta el país del Nilo –al menos en el plano mítico– queda confir-
mado en las fuentes más antiguas que, como se ha visto, le representan
como el primero de los griegos en aprender las leyes divinas y la reli-
gión en Egipto. Otros viajes le llevarán a Oriente y, finalmente, a la isla
de Creta a aprender el arte de la legislación. En esa isla, Pitágoras es
iniciado en los misterios subterráneos de Zeus, en la cueva donde el
mítico Minos recibió las leyes sagradas de su dios padre. Tras estos
viajes de aprendizaje, Pitágoras regresa a Samos y funda su primera
escuela allí, llamada el “Semicírculo”. Allí funda una primera comuni-
dad y se reúne con sus adeptos en una caverna: “hizo suya una gruta
que había en las afueras de la ciudad para la práctica de su filosofía. En
su interior pasaba gran parte del día y de la noche junto con unos pocos
compañeros” (Porfirio, Vit. Pyth. 9). Sin embargo, Pitágoras se ve obli-
gado a abandonar Samos, por motivos confusos en las fuentes pero re-
lacionados con la política y con el gobierno de Polícrates. Como otros
tantos griegos, irá a parar a Occidente, a la Magna Grecia, tal vez un
lugar donde fundar una nueva comunidad utópica, entre religiosa y po-
lítica.
Así, el contexto del posible Pitágoras histórico solo adquiere dimen-
siones razonablemente reales tras el inicio de su actividad política en el
sur de Italia, alrededor de 530 a.C. (Jámblico, Vit. Pyth. 28; Porfirio,
Vit. Pyth. 9). El primer discurso que pronuncia el sabio ante los jóvenes,
166 David Hernández de la Fuente
del que sus biógrafos tardíos dan cuenta y resumen según sus intereses,
se convierte en el comienzo de sus actividades históricamente compro-
bables (Porfirio, Vit. Pyth. 18, Jámblico, Vit. Pyth. 37). Pitágoras apa-
rece un mediador, por una parte, entre el mundo humano y divino en la
medida en que, a través de su actividad sapiencial, trae a la esfera de los
mortales la ciencia y la presciencia de los dioses. Pero también es un
mediador social y político, una atribución que le otorga su propia faceta
carismática que se concreta en su actividad de legislador (nomothetes)
y árbitro (diallaktes) de un grupo social renovado, una secta utópica en
Magna Grecia. La influencia sociopolítica del carismático filósofo y de
su fraternidad, según todos los indicios, acabó por acarrearle los celos
y el odio de los ciudadanos de Crotona. El conflicto estalló primero,
como es sabido, entre Síbaris y Crotona, pero después de la victoria de
la última, a la que probablemente contribuyeran los pitagóricos, la ten-
sión social se dirigió contra estos. La conjura de Cilón azuzó a la po-
blación, y probablemente a las clases populares, contra los pitagóricos.
El incendio de la casa de Milón, donde se hallaban reunidos los pitagó-
ricos, puso un punto final simbólico a la secta y a su influencia socio-
política, pese a que las fuentes hablan de algunos supervivientes; Pitá-
goras también murió, aunque las fuentes son divergentes en cuanto a la
forma (Jámblico, Vit. Pyth. 255-259; Porfirio, Vit. Pyth. 54-57; Diog.
Laercio VIII 39).
Si no hay pruebas fehacientes en cuanto a su trayectoria biográfica,
contaminada por la leyenda heroica, todavía menos seguridad se puede
tener acerca de las enseñanzas filosóficas y religiosas de Pitágoras
(HUFFMANN 2000 y 2006, KAHN 2001, RIEDWEG 2002 [2005]). Entre
las aportaciones científicas que se le atribuyen están los avances en la
matemática y en la música, cuando no su invención directa, así como la
configuración de una filosofía completa del orden universal basada en
principios numéricos: un ordenamiento de los astros, los planetas divi-
nos y toda la realidad de uno y otro plano con el trasfondo del número,
que armoniza el cosmos con una música matemática celestial que regula
sus movimientos y relaciones. Los intervalos entre los cuerpos celestes
estarían, según esto, determinados por las leyes de la armonía musical,
de donde surge la célebre doctrina atribuida a Pitágoras de la armonía
de las esferas (P.e., Plinio, Nat. Hist. II 20). La música que los cuerpos
celestes producían con su movimiento, sin embargo, sobrepasa la capa-
cidad del oído humano; aunque en mito de Er en la República de Platón
solo pueden oírla las almas sin cuerpo, parece que Pitágoras sí podía
percibirla (Platón, Resp. 616-7; Aristóteles, De Caelo II 9: GORMAN
1979 [1988]: 182).
EL PITAGORISMO ANTIGUO ENTRE CIENCIA Y UTOPÍA 167
por el tirano Polícrates. En Platón, no hay por qué recordar que el go-
bierno del filósofo en la ciudad justa encuentra su fundamento precisa-
mente en el hecho de que este está siempre mirando hacia el cielo, es
decir, tendiendo hacia lo divino o directamente “siguiendo al dios” en
la práctica vital, en lo que seguramente constituye un eco de estas ideas
pitagóricas (akolouthein to theo).
En la disputa sobre el origen de esta idea del “parecerse a un dios”,
hay en Platón argumentos de peso que inclinan la balanza del lado del
Pitagorismo –antes que del lado de los misterios– como, por ejemplo,
su consideración de la vida ideal como combinación a la vez contem-
plativa y práctica, la vieja aspiración platónica, y la vertiente política de
esta asimilación al dios en un sabio que, más allá de la religión, ejerce
su influencia en la ciudad y contribuye a mejorarla transformándola en
el estado ideal, en la perfecta polis.
El Pitagorismo abarcaba, como se ve, una enorme variedad de as-
pectos de la vida cotidiana de la secta política y religiosa, de la ética
individual y de la purificación ascética. Ha sido notado a menudo que
el Pitagorismo y su bios reproducen patrones de comportamiento de
grupo muy similares a los que la sociología de las religiones estudia en
las sectas religiosas (BURKERT 1982 [1997]; RIEDWEG 2002 [2005]:
1ss.). La secta tiene un efecto sobre el comportamiento social diferente
al de las organizaciones religiosas más establecidas en materias como
vivienda común, propiedad o compromiso. Se postulan desde la teolo-
gía sociológica de Troeltsch tres tipos de comportamiento religioso en
ese sentido, el eclesiástico, el sectario y el místico. La protesta frente a
la tradición y el establecimiento de grupos sectarios y utópicos podría
explicar parte de este trasfondo del pitagorismo antiguo. Un aspecto in-
teresante del régimen de vida pitagórico era el uso constante de música,
danza y meditación, tabúes en la vestimenta y la alimentación, precep-
tos rigoristas respecto de la religión tradicional de Apolo y Dioniso,
divisiones jerárquicas estrictas entre categorías de iniciados, reverencia
total a las máximas del maestro, secretismo y exclusión respecto de la
sociedad externa, comportamiento elitista y secluido y condena abso-
luta de los apóstatas o desertores del grupo.
No sorprende esta conjunción de una base carismática y un modelo
sapiencial de base científico-epistemológica de la religión arcaica con
la constitución de lo que bien podría ser una utopía política en la Magna
Grecia. Lo que conocemos de la Grecia arcaica, y de sus antecedentes,
es señal de un punto de convergencia entre el basileus o líder político
de la comunidad, y el mantis o adivino: la palabra del rey es a menudo
interpretada como ley sagrada y semejante a un oráculo (DETIENNE
EL PITAGORISMO ANTIGUO ENTRE CIENCIA Y UTOPÍA 171
sobre el mundo. Los modelos de la ley divina en este último Platón re-
cuerdan al mito de la Edad de Oro y a las ideas y comunidades utópicas
del pitagorismo antiguo según las cuales se ha de establecer un orden
político perfecto bajo la guía de esas personas excepcionales.
Como verá Aristóteles, un gobernante sapiencial de estas caracterís-
ticas no necesitaría leyes, porque él mismo representa toda regla y me-
dida: su palabra es ley divina. Así pues, la problemática relación entre
el hombre divino y el gobernante genera un debate fecundo en la teoría
política: una discusión sobre la ley divina y la humana de enorme rele-
vancia para el pensamiento clásico. Sin duda, el debate acerca del mejor
estado posible y, con él, la discusión sobre las utopías políticas que tu-
vieron lugar en tras la guerra del Peloponeso, debieron mucho a este
precedente curioso y aun controvertido, entre ciencia, religión y polí-
tica, que supuso el pitagorismo antiguo.
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FERDINANDOPOLI:
UN’UTOPIA PER IL PROGRESSO SCIENTIFICO-ECONOMICO DEL
REGNO DI NAPOLI
Fabio D’Angelo
Università di Pisa
fabiodangelo2003@libero.it
Introduzione
Progetto o realizzazione che può concretarsi, ma anche meta
puramente ideale e non effettivamente raggiungibile, l’utopia, a partire
dalla prima metà del Cinquecento, è l’idealizzazione di una società
perfetta, garante del benessere, della felicità e dell’uguaglianza dei
cittadini (BALDINI 1996; SAAGE 1997; SERVIER 2002; MATTELART
2003).
Espressione di un’utopia è una città ideale che esiste nella mente
come modello contrapposto alla realtà, mentre in alcuni casi essa si
presenta come speranza (BLOCH 2005)1. Città ideale può anche essere
considerata quella che ha una sua progettazione e realizzazione fattuale
sulla base di un’utopia politica, economica o sociale, frutto del pensiero
di un singolo, di una comunità o, come nel caso della Real Colonia di
San Leucio, di un milieu culturale imbevuto di ideali illuministici.
Tra le diverse categorie di “utopia” che il Settecento offre,
l’esperimento leuciano si presenta come tentativo che muove dall’alto,
ma che è fortemente influenzato dal contesto culturale e intellettuale del
tempo che si propone di risolvere i problemi economico-sociali
puntando sul commercio, sull’industria, sul progresso delle tecniche.
––––––––––––
1 L’idea di utopia come speranza può essere ricollegata al concetto della docta spes formulato
da Ernst Bloch. L’utopia cessa di essere tale nel momento in cui diventa possibile una sua tra-
duzione nella realtà.
Già nei giudizi degli storici e studiosi del tempo si alternano toni
trionfalistici che esaltano ed osannano “quell’esempio di filantropismo
concreto”, a più miti ed equilibrati pensieri. Nel 1826 Ferdinando
Patturelli fu tra i primi a compiere uno studio accurato sulla fondazione
della Colonia di San Leucio in cui encomiava il sovrano che aveva
donato ai suoi sudditi un luogo in cui potessero essere educati i fanciulli
e alleviate le preoccupazioni dei lavoratori dei campi (PATTURELLI
1826).
Tra i più importanti storici del Mezzogiorno dell’Ottocento, Pietro
Colletta, nella sua celebre Storia del Reame di Napoli, fu tra i primi a
esprimere un giudizio obiettivo sulla Colonia di San Leucio. La cultura
del re Ferdinando, nonostante i suoi diversi viaggi ed i contatti con le
corti più importanti d’Italia e d’Europa, non si ampliò –scrive Colletta–
anche perché il sovrano era convinto che nessun altro luogo potesse
essere confrontato con Napoli e il suo Regno. Ma, qualunque fossero le
qualità e le capacità del Borbone, Colletta riconosceva al re la paternità
di alcuni interventi di “regia grandezza”. La Colonia di San Leucio era
tra questi, considerata vera gloria del re, “documento del secolo e
impulso non leggiero alle opinioni civili” (COLLETTA 1847, I: 77). La
produzione tessile e le macchine impiegate nella filatura unitamente ad
un codice di leggi modellato e ispirato dal clima culturale del Settecento
migliorarono –conclude Colletta– effettivamente le condizioni di vita
degli abitanti della Colonia fino a quando, però, le conseguenze
politiche della Repubblica partenopea non entrarono in quel recinto
“d’industria e di pace”. Colletta, infine, era convinto che il codice
leuciano, che aveva generato stupore e meraviglia non soltanto in Italia
ma anche in Europa, non poteva essere stato formulato da Ferdinando
IV.
Negli ultimi anni del Regno borbonico e a partire dall’Unità d’Italia
gli interventi dei Borbone in campo economico, nella società e nelle
scienze, compresi quelli legati alla nascita e alla fondazione della
Colonia di San Leucio, vengono esaminati alla luce di alcuni
interrogativi apparentemente semplici: paternalismo o assolutismo
illuminato? Modernità o arretratezza? Interrogativi destinati a
caratterizzare ancora oggi il dibattito storiografico.
Nella seconda metà dell’Ottocento Cesare Cantù dipingeva San
Leucio come una stravaganza di Ferdinando che non poteva essere
frutto del pensiero di un sovrano i cui tratti distintivi erano la rozzezza
e l’ignoranza. San Leucio diventava così “un trastullo del re” (CANTÙ
1855, I: 503). Tuttavia anche giudizi negativi come quelli dello storico
lombardo non mancavano di sottolineare i pregi che potevano essere
178 Fabio D’Angelo
Nella Colonia di San Leucio, a partire dal giugno del 1781, furono
acquistati i primi dodici bozzoli e allo stesso tempo si decise di
chiamare alcuni artigiani esperti nella trattura alla piemontese
provenienti da Messina. In quello stesso periodo fu importato un
modello di mangano per l’operazione della trattura (TESCIONE 1938:
396)2. In termini di qualità e rapidità della produzione i risultati furono
rilevanti, tanto che il re pensò che fosse possibile estendere in tutto il
regno il nuovo sistema di trattura. Tale possibilità non ebbe modo di
concretarsi per questioni di natura economica. La tecnica della trattura
all’organzino diminuiva infatti il peso della seta e, dato che al momento
della vendita il dazio si applicava sul peso del prodotto, gli affittuari del
dazio nelle province avrebbero visto diminuire le loro entrate. La nuova
tecnica di lavorazione fu così limitata alla sola provincia di Caserta.
Una volta introdotto un nuovo sistema di trattura occorreva poi
provvedere all’importazione di nuove tecniche per la fase della filatura.
Nel 1755 il marchese Domenico Caracciolo aveva inviato da Torino un
disegno di un grande filatoio ad acqua usato in Piemonte per la filatura
della seta. Questo filatoio aveva operato una radicale innovazione
perché si azionavano contemporaneamente l’incannatoio –attrezzo a
forma di ruota su cui si inserisce il rocchetto–, il cilindro intorno al
quale è avvolto il filato e i molini inferiori da filare e torcere. In questo
modo si erano ridotti notevolmente i tempi di lavorazione e di
produzione della seta.
Legata alla sperimentazione e all’introduzione di nuove tecniche per
filare la seta era anche la formazione dei artigiani leuciani che dovevano
usare le attrezzature. Per istruirli si rese necessario chiamare maestri
europei, soprattutto francesi e olandesi. La formazione non avveniva
soltanto in loco. Momento importante del percorso formativo erano i
viaggi di istruzione compiuti verso quei paesi ritenuti all’avanguardia
nel settore tessile. Aniello Pane, ad esempio, uno dei migliori artigiani
leuciani, secondo alcuni prediletto di Ferdinando IV, fu mandato in
Inghilterra per perfezionarsi nel disegno e nella tessitura. Anche in virtù
delle competenze e dell’esperienza acquisite in quella missione, Pane
fu nominato dal re disegnatore della fabbrica, carica che mantenne fino
al 1835 (TESCIONE 1938: 266).
Estendendo l’analisi anche ad altri settori, quali le scienze, è utile
sottolineare come durante il suo regno Ferdinando IV si fece promotore
di importanti iniziative scientifiche sostenendo missioni formative in
––––––––––––
2 Queste notizie particolarmente preziose sono contenute nel volume di Giovanni Tescione
che ebbe la fortuna di poter consultare i fondi dell’Archivio di Stato di Napoli, relativi alla
Colonia di San Leucio, prima che il bombardamento, che colpì la città nel 1943, distruggesse
buona parte di questo interessante materiale documentario.
FERDINANDOPOLI: UN’UTOPIA PER IL PROGRESSO SCIENTIFICO-ECONOMICO DEL REGNO DI NAPOLI 185
Conclusioni
San Leucio non fu, come alcuni storici hanno scritto, il primo esempio
in assoluto di “colonia comunista” e non fu nemmeno l’espressione di un
188 Fabio D’Angelo
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SIMONE WEIL E LA SCIENZA GRECA:
VERSO L’UTOPIA DI UNA SOCIETÀ RADICATA
Cristina Basili
Universidad Carlos III de Madrid
cbasili@hum.uc3m.es
che questa reciprocità produce sull’interpretazione weiliana della scienza sono trattate in LÉVY-
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5 “Réflexions à propos de la théorie des quanta” (WEIL 1966: 187-210).
6 PLANCK (1941).
––––––––––––
13 Mario Castellana ricostruisce il dibattito scientifico-matematico presente in Francia negli anni
Trenta del Novecento, contestualizzando al suo interno la richiesta weiliana di un differente posi-
zionamento del problema dei rapporti tra scienza e realtà. Cfr. CASTELLANA (1990).
14 Weil non è una voce isolata in questo: la polemica intorno al formalismo della teoria quan-
tistica è al centro del dibattito scientifico-filosofico che essa provoca fin dalla sua nascita.
194 Cristina Basili
geometria era una scienza della natura, la loro fisica […] era una geometria
in cui le ipotesi erano presentate come postulati15.
La matematica aveva dunque allora, secondo l’interpretazione
weiliana, natura filosofico-religiosa, poiché non era concepita nella
forma autoreferenziale del gioco intellettuale, ma era pensata come
chiave di lettura della natura, ricercata, si badi bene, non con l’obiettivo
di esercitare una potenza tecnica su di essa, ma con il fine di stabilire
un’identità di struttura tra lo spirito umano e l’universo. Perciò, afferma
la filosofa: “temo che oggi noi siamo ricaduti nella concezione
babilonese della matematica”16. Questa polemica ha, in realtà, radici
profonde che si riconnettono alla critica (di matrice politica) nei confronti
del macchinismo sviluppata già dalla metà degli anni ’30; in quell’epoca
Weil scrive infatti, in una sentenza che riassume il suo pensiero: “Denaro,
macchinismo, algebra: i tre mostri della civiltà attuale”17. L’immagine
che l’autrice propone della scienza greca qualche anno più tardi sembra
pertanto poter essere compresa a partire da quelle iniziali inquietudini.
––––––––––––
15 Cfr. WEIL (1966: 154).
16 WEIL (1966: 159).
17 WEIL (1994, VI.1: 157).
18 La dicotomia oppressione/libertà in relazione alla riflessione weiliana sulla scienza è
oggetto del breve articolo di R. Carotenuto (1990). L’autrice però non prende in considerazione
l’evoluzione che questa tematica subisce nel corso dell’opera weiliana: evoluzione non solo
lessicale, ma anche concettuale.
SIMONE WEIL E LA SCIENZA GRECA: VERSO L’UTOPIA DI UNA SOCIETÀ RADICATA 195
significato politico, si veda il già citato: CHEVALLEY (2009). L’autrice mette inoltre in relazione
le Réflexions con i testi della fase finale della produzione weiliana, rintracciando in essi una
continuità legata, appunto, al rifiuto della potenza.
26 La critica all’algebra e, attraverso di essa, alla scienza moderna e contemporanea, è
riconosciuta come una critica politica anche in TOMMASI (1993: 113). Tommasi ottiene la sua
tesi da una messa in relazione della critica alla civiltà moderna, come regime dei pure segni
svincolati da ogni significato, sviluppata da Weil nelle Riflessioni sulle cause della libertà e
dell’oppressione sociale (1934) con i successivi testi sulla scienza, in particolare, La scienza e
noi (1941), sottolineando in tal modo come la diagnosi politica rimanga sostanzialmente
invariata tra i due periodi. Questo raffronto critico pare particolarmente produttivo e sarà
pertanto mantenuto nelle pagine che seguono.
196 Cristina Basili
scienza greca e la scienza nuova è oggetto del seguente articolo: REY PUENTE (2009).
SIMONE WEIL E LA SCIENZA GRECA: VERSO L’UTOPIA DI UNA SOCIETÀ RADICATA 197
scienza greca come punto d’appoggio per costruire una visione del
mondo alternativa a quella presente, la quale si trova immersa in quel
vuoto di senso che la fisica quantistica mette in luce.
IV. Nei testi citati all’inizio, quelli degli anni ’40, la richiesta –già
formulata nel saggio del ’34–, di una battuta d’arresto che interrompa
l’accumulazione indiscriminata di nozioni, a favore di un’assiomatica
che lasci emergere le impossibilità e contraddizioni di una scienza così
trasformata in conoscenza, si accompagna alla consapevolezza che
“qualcosa di infinitamente più prezioso della scienza stessa”34 è
compromesso nella crisi aperta dalla teoria dei quanta. Perché questa
teoria, introducendo la discontinuità nell’energia, non solo rompe i
ponti con quella che era stata la nozione chiave della scienza moderna,
annullandone il significato, ma, a questa perdita di senso, non sa
opporre nient’altro che non sia il linguaggio autoreferenziale
dell’algebra. L’impossibilità di tradurre le formule matematiche in una
concezione coerente del mondo dice per Weil della crisi dell’impresa
scientifica come strategia di lettura dell’esperienza. Quel qualcosa di
“infinitamente più prezioso” che rischia di perdersi in questo modo è la
nozione di verità, la quale, confusa dalla nostra epoca con la verità
scientifica, minaccia di essere travolta dalla crisi di questa.
L’intelligenza, così privata della nozione di verità, diventa schiava
dell’utile, in quanto incapace di definirlo e valutarlo, lasciando che
l’opinione, come all’epoca di Protagora e dei sofisti, regni sovrana sulle
sorti della città35. Uscire da questa situazione non implica però un
ritorno alla fisica moderna, poiché essa, sostenendo una concezione del
mondo basata esclusivamente sulle nozioni di energia, lavoro e
necessità fornisce una visione unilaterale e parziale del mondo fisico.
Significa invece tornare alla scienza greca la quale sapeva che, oltre al
cieco tessuto di determinazioni necessarie che costituisce la materia, vi
è un altro principio all’opera nell’universo; scrive Weil:
Noi siamo governati da una duplice legge, un’evidente indifferenza e una
misteriosa complicità della materia che costituisce il mondo rispetto al
bene; il richiamo di questa doppia legge è ciò che colpisce il cuore nello
spettacolo della bellezza36.
L’indifferenza nei confronti del bene –della legge segreta che
permette di guadagnare la conoscenza dell’universo– è per Weil una
––––––––––––
34 “Réflexions à propos de la théorie des quanta” (WEIL 1966: 144).
35 Il paragone è della stessa Weil: cfr. WEIL (1966: 145).
36 WEIL (1966: 93).
198 Cristina Basili
––––––––––––
37 WEIL (1966: 94).
38 WEIL (1966: 95).
39Cfr. “Intuitions pré-chrétiennes” (WEIL 2009, IV.2: 147-293) e “Dieu dans Platon” (WEIL
una simbologia43 che restituisce all’uomo una visione del mondo44 in cui
egli si colloca tra il finito e l’infinito. Per Weil, la nozione di equilibrio, in
quanto definizione dei limiti, è la nozione centrale di questa scienza. Tutto
il corso dei fenomeni naturali vi è concepito come una successione di
squilibri simili che si compensano, così come indicato dalla formula di
Anassimandro che Weil traduce a più riprese:
Come la nascita fa uscire le cose dall’indeterminato, la distruzione ve le fa
necessariamente ritornare, poiché esse subiscono un castigo e
un’espiazione le une da parte delle altre a causa delle loro mutue
ingiustizie, secondo l’ordine del tempo45.
Dato che nell’uomo l’ingiustizia è l’ignoranza dei limiti, le rotture
dell’equilibrio che si succedono e si compensano, nella verticalità dei
significati contemplata dal linguaggio mistico, rimandano all’uomo il
senso e le leggi del suo stare al mondo:
Il limite è la legge del mondo palese. Dio solo (o qualsiasi altro nome si
voglia usare) è senza limiti […]. L’uomo che è nel mondo e proviene da
Dio, mette l’illimitato e l’assoluto nel mondo in cui essi sono errore;
quest’errore è sofferenza e peccato46.
Le rappresentazioni moderne del mondo sono, agli occhi di Weil, tutte
vittime di questo peccato: del perseguire l’impresa, destinata al fallimento,
di collocare l’infinito nell’ambito del finito. Weil percepisce pertanto
un’esigenza di pulizia e coerenza all’interno del pensiero che permetta di
collocare ogni cosa al suo giusto posto e di misurare i passi che separano
l’ideale (finito) dalle sue successive approssimazioni (infinite).
VI. Su questa stessa idea si fondava anche nel saggio del ’34 la critica
al marxismo come utopia, immediatamente realizzabile, di una società
giusta. L’utopia coincide, per Weil, con il sogno, con l’illusione, con ciò
che si colloca agli antipodi della realtà. A questa concezione, ingenua e
crudele al tempo stesso, di utopia, si oppone, per Weil, l’esigenza di
elaborare, grazie ad uno sforzo del pensiero e dell’immaginazione, un
––––––––––––
43 Weil oppone dunque al segno vuoto di significato il simbolo carico di senso: un’operazione
le cui implicazioni politiche saranno valorizzate dalla critica femminista. Si veda, in particolare,
il già citato: TOMMASI (1993). Per una collocazione del pensiero di Weil in relazione al pensiero
femminista (in particolare, al pensiero della differenza sessuale), legata a tematiche scientifiche,
si veda anche: PUTINO (2006). La stessa autrice ha dedicato anche un bell’articolo, centrato sul
tema della percezione, al saggio weiliano sulla dottrina pitagorica; si veda: PUTINO (1995).
44 Michel Narcy sottolinea come la scienza greca permetta a Simone Weil di dar corpo a una
modello ideale che tenga conto delle reali condizioni d’esistenza di una
situazione data: l’ideale si distingue dal sogno per il suo rapporto con la
realtà47. È necessario pertanto sostituire al delirio intrinsecamente
totalitario (idolatrico) che vuole l’Assoluto realizzabile in terra, l’idea di
un misurabile avanzamento verso migliori condizioni d’esistenza.
Nell’opera La prima radice Weil compie uno sforzo simile. La proposta
che la pensatrice oppone allo sradicamento moderno è quella di una civiltà
radicata: radicata nel mondo, radicata nell’universo. Secondo la
definizione weiliana il radicamento è:
il bisogno più importante e il meno conosciuto dell’anima umana. È uno
dei più difficili da definire. Un essere umano ha una radice per la sua
partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che
conserva certi tesori del passato e certi presentimenti dell’avvenire48.
Recidere gli ostacoli che allontanano da una collettività capace di
sopperire al bisogno del radicamento vuol dire iniziare con il cambiare
la visione scientifica del mondo, perchè:
La concezione moderna della scienza è responsabile, almeno quanto quella
della storia e dell’arte delle mostruosità attuali e deve essere, essa pure,
trasformata, prima che si possa sperare di veder apparire una civiltà
migliore. Ciò è tanto più importante in conseguenza del fatto che, benché
la scienza sia dominio di specialisti, il prestigio della scienza e dei sapienti
è immenso su tutti gli spiriti, e nei paesi non totalitari esso sorpassa di gran
lunga tutti gli altri49.
La connessione che Weil instaura tra scienza e politica fin dai suoi
primi scritti, a partire dalla critica del modo di produzione capitalistico,
si modifica nel corso degli anni fino a configurarsi, nell’ultima grande
opera, come legame che intercorre tra una determinata (ed erronea)
visione scientifica del mondo e il fenomeno politico del totalitarismo.
Di fatto, la parte centrale del testo è spesa a mostrare il vincolo che
intercorre tra il materialismo riduttivistico che impoverisce la visione
scientifica moderna e l’idolatria della forza che si sviluppa nel corso
della storia. La rimozione del piano verticale della trascendenza è il
fenomeno che, desacralizzando il cosmo, consente di porre la nozione
di forza al centro della scienza e il suo corrispettivo in termini di
relazioni umane, il potere, al centro della politica. Perciò, inferisce
Weil, se, come ritiene la scienza moderna, nell’universo non c’è altra
forza che la forza, allora Hitler ha avuto ragione nel perseguire il suo
––––––––––––
47 Cfr. WEIL (1991, II.2: 72. La possibilità di assimilare l’ideale weiliano all’utopia è soste-
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––––––––––––
51 Così teorizza Renaud, il protagonista dell’unica tragedia weiliana, Venise sauvée: “Gli
uomini d’azione e d’avventura sono dei sognatori; preferiscono il sogno alla realtà. Ma con le
armi essi costringono gli altri a sognare i loro sogni. Il vincitore vive il proprio sogno, il vinto
vive il sogno altrui”. Cfr. WEIL (1994b: 53).
SIMONE WEIL E LA SCIENZA GRECA: VERSO L’UTOPIA DI UNA SOCIETÀ RADICATA 203
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V.
.
IS THERE ANY MEDITERRANEAN UTOPIA?
TOWARDS THE DISPUTED ASPECTS OF POLYBIUS’ UNIVERSAL
HISTORIOGRAPHY
Nicholas A. E. Kalospyros
The National and Kapodistrian University of Athens, GREECE
nkalospy@phs.uoa.gr
lot about the experience of living under any set of conditions by reflect-
ing upon the desires which these conditions generate and yet leave un-
fulfilled. For that is the space which utopia occupies” (LEVITAS 1990:
8), this could enable the reading of utopia as an unexpected symptom
and a figurative practice in narrative, emerging out of seamlessness and
tacitly revealing impossible desires1.
Therefore, Rhiannon Evans was right to propose a theoretical frame-
work encompassing various narratives of idealization in their historical
context, in which it might seem reasonable to include both Golden Age,
near-Hesiodic, descriptions of the past and fictional or geographical im-
aginary tales, within which the utopian elements form either a desirable
universe or a radically alternative system of existence:
In contrast, looking at utopian as ‘the repository of desire’2 allows for the
investigation of Golden Age narratives as they are specifically mobilized,
rather than seeing them as repetitive examples of a universal trope. Their
function is historically determined, and the evocation of Golden Age my-
thology is particularly important by harnessing the political and cultural
potential of the utopian. […] The words ‘utopian’ and ‘dystopian’ are
therefore used […] not to indicate the post-Morean genre at the centre of
Utopian Studies, but in the broader sense of the ideal, liveable community,
and its hellish opposite […]. Even if utopia remains a static entity, it even-
tually stagnates, as it cannot respond to historical change, and it has this in
common with Golden Ages. […] Alternatively, and commonly, utopias are
foreseen as a future prospect (as in messianic narratives) or they are places
visited for a short time (More’s Utopia, Charlotte Perkins Gilman’s 1915
novel, Herland). Broadly speaking, utopias are often projected into the fu-
ture (as an aim or a warning), while the Golden Age usually exists in the
past (EVANS 2008: 2-3, 6).
Either a post-historical desire to recreate the existing world or a lit-
erary utopia conceivable in a form of sublimation, a utopian treatise lays
out an intellectual and elitist phenomenon which distinguishes itself as
a genre providing a mythical description of the perfect city to live in,
thus “a fictitious counter-world” (DUBOIS 2006: 1). There are also cer-
tain terms in Greek denoting association with a collective imagery con-
cerning fantastical worlds3, but utopia is certainly not a textual fixture
that emerges out of historical seamlessness and which could smoothly
record events unassimilable in universal history. On the other hand, and
in a more modern sense, utopia is also used to describe any fantasy
––––––––––––
1 See JAMESON (1981).
2 LEVITAS (1990: 199).
3 See MELERO (2004).
IS THERE ANY MEDITERRANEAN UTOPIA? TOWARDS THE DISPUTED ASPECTS OF POLYBIUS 209
Now neither do I think that a man who is timid and afraid of speaking his
mind (τοὺς μετὰ παρρησίας λόγους) should be regarded by those qualified
to judge as a sincere friend, nor that a man should be regarded as a good
citizen who leaves the path of truth because he is afraid of giving temporary
offense to certain persons; and in a writer of political history (συγγραφέα
δὲ κοινῶν πράξεων) we should absolutely refuse to tolerate the least pref-
erence for anything but the truth. For inasmuch as a literary record of facts
will reach more ears and last longer than occasional utterances, a writer
should attach the highest value to truth and his readers should approve his
principle in this respect. In times of danger it is true those who are Greek
should help the Greeks in every way, by active support, by cloaking faults
and by trying to appease the anger of the ruling power, as I myself actually
did at the time of the occurrences (ἐπ’ αὐτῶν τῶν πραγμάτων ἐποιήσαμεν
ἀληθινῶς); but the literary record of the events meant for posterity should
be kept free from any taint of falsehood, so that instead of the ears of read-
ers being agreeably tickled for the present, their minds may be reformed in
order to avoid their falling more than once into the same errors (πρὸς τὸ μὴ
πλεονάκις ἐν τοῖς αὐτοῖς διασφάλλεσθαι) (XXXVIII, 4, 3-8)4.
His conviction that somehow a symbiosis between commitment to
historical truth and concession to political circumstances deliberately
imposing on the synchronic record augurs a realistic perspective in his-
tory, might well drive his readers to the realm of perception beyond
ostensible reasons and apparent data. To situate Polybius’ collective
representations in a world dominated by Rome, especially those of the
Romans, since they participate as well in Polybius’ Hellenism insofar
as they participate in Hellenic logismos, we must acknowledge that his
questioning of realities could endorse didacticism. Any concern about
society’s moral and cultural decline could be mirrored by the writer’s
anxieties about a future without mastering an upper and undoubtedly
better past. Moreover, utopia as an unconscious result of authorship can
produce an enormous range of configurations5.
As a social and political alternative to the society of the writer’s own
time, utopia is obviously affected by innumerable determining aspects
which give rise to a complex assortment of social structures within a
utopian-like universe: the prevailing historical circumstances at the
time and place of its creation, the writer’s social status, the psycholog-
ical factors and the ideological hive sheltering his methodology of ex-
posing his presentation of truth. Although Polybius avoided an ideolog-
ical absorption into the bipolarity of Roman citizenship and Greek iden-
tity, he had to cast the events presented to him in a homogeneous Greek
––––––––––––
4 The quotations from Polybius follow the 6-vol. Loeb edition and translation by W. R. Paton.
5 For an enumeration of the different shapes utopia and its variables assume, see FERNS (1999:
9).
IS THERE ANY MEDITERRANEAN UTOPIA? TOWARDS THE DISPUTED ASPECTS OF POLYBIUS 211
stated clearly in the first passage above (i 4.3), and also indicated in the
second (ii 37.4). There Polybius mentions that only in his own day can one
write on the events in the known parts of the oikoumene all together (ὁμοῦ);
that is, Polybius is holding in mind the intertwining of events and the elab-
orate causality which has created an unprecedented historical synthesis6
(SACKS 1981: 108-109).
Consequently, both his theme “the general and comprehensive
scheme of events (τὴν δὲ καθόλου καὶ συλλήβδην οἰκονομίαν τῶν
γεγονότων)” (I, 4, 3) and his narrative led him “to subordinate utopian-
ism and rebellion to the narrative of conquest, of the victors” (DUBOIS
2006: 3). Polybius often states that before 220, i.e. the beginning of the
140th Olympiad (220/219) there was no political unity in the world.
Afterwards, monographic history will no longer comply with the de-
manding genre of collective history incorporating a synthesis of world-
wide events and the interconnections of both the developing synchronic
and diachronic course, along with a concept of history attributed to per-
sonality. His didactic attitude towards historical study can be inter-
preted as essentially a way to attain practical ends by teaching lessons
either of the kind useful to the politician or of another sort of advice
addressed to common people, both conveying moral content and meant
to assist men to bear the various blows of fortune by describing those
that have befallen others in the past
that the soundest education and training for a life of active politics is the
study of History, and that the surest and indeed the only method of learning
how to bear bravely the vicissitudes of fortune (ἀληθινωτάτην μὲν εἶναι
παιδείαν καὶ γυμνασίαν πρὸς τὰς πολιτικὰς πράξεις τὴν ἐκ τῆς ἱστορίας
μάθησιν, ἐναργεστάτην δὲ καὶ μόνην διδάσκαλον τοῦ δύνασθαι τὰς τῆς
τύχης μεταβολὰς γενναίως ὑποφέρειν) (I, 1, 2)
Polybius “implies a rational world in which –by and large– compa-
rable causes produce comparable results and comparable efforts give
comparable rewards” (WALBANK 1972: 58). Being himself very much
a Hellenistic historian in setting forth such a concept of history at-
tributed to personality, that could be another perspective of utopian set-
tings in the sense that there is the question of the development of a
man’s character over a period of time, and there is also the question
how the historian ought to deal with it, his Histories “constitute a ‘suc-
cess-story’; and Polybius is apt to identify success with moral worth”
(ibid.: 178).
––––––––––––
6 Elsewhere “κατὰ μίτον” (III, 32, 2), as noticed by SACKS.
IS THERE ANY MEDITERRANEAN UTOPIA? TOWARDS THE DISPUTED ASPECTS OF POLYBIUS 213
Thus all the special pleading and ambiguities about universal history arise,
perhaps, because the historian is more comfortable with the concerns of
ethos and the commitment to personal involvement in events than he is
expounding in theoretical terms the proper ways to look at and organize
his historical material (SACKS 1981: 121).
Polybius, theoretically envisages the correlation between moral con-
cern about human nature and the Roman empire which permeates the
whole of Roman history, by intending the biological pattern of ana-
cyclosis, i.e. the natural development of states, and the various stages
of their growth till perfection and the inevitable fall, as the expression
of the biological law pervading polities leading the way to a conclusion
regarding political formulation and social change. He believed in that
pattern of anacyclosis:
especially in the case of the Roman state will this method enable us to ar-
rive at a knowledge of its formation, growth, and greatest perfection, and
likewise of the change for the worse (τῆς εἰς τοὔμπαλιν … μεταβολῆς)
which is sure to follow some day (VI, 9, 12-14)7.
Every utopia comes into existence at a time of crisis or political and
social change. As the utopian society creates an image of social order,
which superimposes itself on the experience of real life, we have to deal
with a mental exercise, whereby not everything is new and which oc-
curs like a mirage of the fulfilment of an ideal. We should not forget
that “Polybius wrote the Histories in an intellectual environment in-
clined, for the most part, to accept the principle of imperialism” (BAR-
ONOWSKI 2011: 164) and that utopia, usually the result of the combina-
tion of traditional and innovative elements in socio-political under-
standing, presupposes a rational planning of a certain type of govern-
ment and, therefore, the existence of a political and religious constitu-
tion8 to be discussed.
Our principal challenge concerning Polybius writing his main His-
tories under the stimulus or even a possible hint of utopian thought di-
rects us towards the reappraisal of the notion of universal history in Po-
lybius’ concept. The great oeuvre of Polybius, an example of
πραγματικὴ ἱστορία concentrating on political and military affairs in the
author’s times, addressed the most important requirement of public pol-
icy: the conduct and relations of Greek and other powerful states with
the dominant force of the Roman Republic.
––––––––––––
7 On which see WALBANK (1972: 143).
8 See AALDERS (1975).
214 Nicholas A. E. Kalospyros
In History as the Story of Liberty, Benedetto Croce wrote that ‘An histori-
cal work should then be judged solely on its historical merit. … Historical
works of all times and of all peoples have come to birth in this manner and
always will be born like this, out of fresh requirements which arise, and
out of the perplexities involved in these. We shall not understand the his-
tory of men and of other times unless we ourselves are alive to the require-
ments which that history satisfied’ (BARONOWSKI 2011: 175).
If viewing universal history and moral consent of the paramount hu-
man personality as a historical abstraction involving the selection of
acts and the subsequent replacement of other parts of reality, so as to
imply the ideal aspects for which one may strive, is combined to depart-
ing from historical reality in terms of temporary evasion from its un-
pleasing rules, may create utopian allusions, yet quite elusive in history
writing. Then, abstraction implies the proposal of a replacement, and
utopia is nothing but that kind of proposing replacement. Jameson con-
siders the possibility of the utopian demand that can “not be satisfied
without transforming the system beyond recognition, and which would
at once usher in a society structurally distinct from this one in every
conceivable way”9 and which possibly grows more persisting and ur-
gent among the dysfunctionings of the system in question. Polybius
tried to be diagnostic in his literary role to present the crucial conditions
of the dominant historical system in contemporary globalization in the
Hellenized Mediterranean world.
We shall put forth three points of discussion about utopian issues in
Polybian thought: i) that of Roman ethos aligned to the Hellenic politi-
cal virtue system, ii) the mechanism of constitutional bridging Greek
polis and Roman civitas, and iii) a concrete example of Arcadians,
forming an ideal life and Greek community.
Polybius deals extensively with Roman customs throughout his His-
tories, especially in Book VI, in which he discusses the Roman consti-
tution. In the chapters 24-42, which include a long account of the Ro-
man camp, terms such as κόσμος, τάξις, and σχῆμα are often present
thus connoting discipline and simultaneous moral consent10, upon
which the Roman capacity to endure defeat is based. In 52, 4-7 an in-
spiring admiration for the Roman constitution (“the political system of
Rome to be superior to that of Carthage” VI, 52, 5) in comparison to
that of the Carthaginians, in that the civic army maintains their courage
––––––––––––
9 JAMESON (2004: 43).
10 Further details are discussed by CANDAU MORÓN (2005: 308-309); he observes e.g. that
the term τάξιν is used three times (VI, 31 2; 37, 12; 40, 9), twice κόσμον and κοσμεῖ (VI, 33,
12; 39, 9), fifteen times σχῆμα and its derivatives (VI, 33, 12; 27, 3; 27, 6 [bis]; 28, 3; 29, 2
[bis]; 29, 7 [bis]; 30, 3; 31, 10; 32, 7; 33, 12; 42, 3).
IS THERE ANY MEDITERRANEAN UTOPIA? TOWARDS THE DISPUTED ASPECTS OF POLYBIUS 215
(1995).
12 Cf. VI, 7, 6-7; 8, 5; 9, 5.
216 Nicholas A. E. Kalospyros
all its citizens. If, as historians of ancient culture, we cannot see the differ-
ence, and are fixed at the level of minute studies of particular details, then
we lose the analytic power of the difference between the inertia of the
longue durée, which has its own analytical power but which risks missing
change. The Roman Empire is not the same as the Greek polis, and Greek
poleis within the Empire mean something very different from Greek poleis
in their time of relative autonomy. The break between these two great sys-
tems, although impossible to locate punctually, affords the opportunity for
new kinds of ideological imaginings. Our own utopianism, desire, pre-
sentism, amd anachronism inevitably contaminate our scholarly practices.
[…] New political, economic, and social conditions in contemporary glob-
alization illuminate what is at stake in Hellenistic utopian thinking. […]
Jameson considers the possibility of the utopian demand, of the demand
that can ‘not be satisfied without transforming the system beyond recogni-
tion, and which would at once usher in a society structurally distinct from
this one n every conceivable way (DUBOIS 2006: 11-13).
When Polybius forecasts at VI, 57, 5-9 the future end of the Roman
constitution, to a state that has attained unassailable supremacy and
power (εἰς ὑπεροχὴν καὶ δυναστείαν ἀδήριτον), his predictions for the
collapse of the mixed constitution of Rome result from long prosperity
and from men becoming more contentious than it is proper regarding
political office. Several vices such as love of power (φιλαρχία), ethical
corruption, the disgrace of obscurity, as well as the pretension and ex-
travagance of men’s lives, initiate a shift to the aggravation of what was
previously granted for advancement to glory13. In many passages illus-
trating his views about “the grinding parsimony of the Roman upper
class” (BARONOWSKI 2011: 157), Polybius maintains that the ruling
political elite, if left to become excessively covetous, ambitious and
palpably uncertain of its role under a mixed constitution, can defraud
the people; in a pessimistic tone about humanity and human possibili-
ties he presents the degeneration of the once-virtuous Romans14:
while leading the simplest of lives, very far removed from all such super-
fluous magnificence, they were constantly victorious over those who pos-
sessed the greatest number and finest examples of such works (IX, 10, 5).
In a possible utopian reading of history, pessimism and optimism are
a twofold residuum of wondering about eutopian or dystopian predic-
tions. In Kurt von Fritz’s opinion, prediction in history is a pragmatic
toolkit offered to realists:
––––––––––––
13 See BARONOWSKI (2011: 155).
14 See ECKSTEIN (1995: 264) and WINIARCZYK (2011: 256).
218 Nicholas A. E. Kalospyros
In conclusion it may then perhaps be said that a system of checks and bal-
ances or a mixed constitution is no political panacea. There are no more pan-
aceas in politics than there are in medicine. Nothing certainly could be more
wrong than the belief that a well-constructed constitution incorporating a
system of checks and balances is all that is needed in order to insure the
internal stability of a country and to make it secure against any kind of vio-
lent internal upheaval. Perhaps this fact is acknowledged by most political
scientists. Yet it may not be superfluous to stress it again in a time in which
the universal belief dominating practical policy seems to be that one merely
has to give country a new constitution according to some accepted model;,
and to add a few years of ‘re-education’ in order to set it on the right path,
on which it will then continue for the foreseeable future. […] According to
Polybius it is the task of the pragmatic historian to make history predictable
and to enlighten future statesmen. The first claim presupposed a causal
mechanism of which the cycle of constitutions is an example. The enlight-
ened statesmen of Sparta and Rome interrupted the mechanism. So they
made history less predictable, since it is hardly possible to predict where and
when such enlightenment will make itself felt (FRITZ 1954: 350-351).
In Polybius’ depiction of the Arcadian outlook to life15, there is
something idealized in the whole description of pious and virtuous peo-
ple, who as shepherds and acorn-eaters had escaped the evils of urban-
ization and deemed music an actual necessity. This in Polybius’ eyes
was not a matter of extravagance, but a necessary alleviation of manual
labour and a harsh climate16. This is how Polybius introduces such a
unique nation among the rest of Greeks:
Since the Arcadian nation on the whole has a very high reputation for virtue
among the Greeks (τινὰ παρὰ πᾶσι τοῖς Ἕλλησιν ἐπ’ ἀρετῇ φήμην), due
not only to their humane and hospitable character and usages, but espe-
cially to their piety to the gods (IV, 20, 1).
The admirable institution of music in combination to the wonderful
natural conditions under which the inhabitants of Arcadia lived, proved
beneficial to all men but a necessity for Arcadians; for they incorpo-
rated music in their public life and from early childhood they trained
constantly, so as not to entertain themselves by listening to hired musi-
cians –a common and customary practice for other people– but by their
own efforts. Music and rhythm was embedded in every aspect of their
everyday life: singing in measure the hymns and the paeans to celebrate
local gods and heroes, practicing military parades and perfecting them-
selves in dancing, giving annual theatrical performances, and, in gen-
eral, infuse every doctrine of music in their being. This institutional
––––––––––––
15 Cf. IV, 20, 1-21, 6.
16 According to FERGUSON (1975: 21-22).
IS THERE ANY MEDITERRANEAN UTOPIA? TOWARDS THE DISPUTED ASPECTS OF POLYBIUS 219
element is what discerns them from the rest of Greeks. Polybius men-
tions the distinctive difference by underlying its importance in raising
the scale of virtue. The picture of Arcadians is another example of sub-
limation; in other words, of utopian-rendered depiction of a historical
phase awaiting imitators and evoking nostalgia for a distant, more hu-
mane, past and an otherwise viewed “no-where” state.
Beyond the notion of utopia, medieval or modern, there are still
many traces of resistance and gestures of defiance to an ancient concept
of a globalized world, dominated by the Roman Empire in antiquity.
For instance, in the field of classical studies, a network approach in Po-
lybian historiography is still a desideratum rising above a simple case
report or a mere historical study. Beyond the understanding of the liter-
ary aspects arising out of every possible term of inter-connectivity in
the ancient Mediterranean world, as ascribed to the universal historiog-
raphy of Polybius, there are still challenging points concerning religious
as well as cultural elements awaiting philological documentation in Po-
lybian bibliography (such as: landscape use and formation of regional-
ity, the significance of topographical and environmental factors in hu-
man characterology, religious synthesis and integration of cult prac-
tices, cosmologies and leisure activities, etc.). The new world-conquer-
ing power of the Romans and the historiographer’s decision to discuss
the new social context of Mediterranean life may stimulate further re-
search of the literary representations of religious and cultural inter-con-
nectivity in the context of the Hellenistic poleis’ consent. The concep-
tion of a network of historical ideas in Polybius and its rhetorics of po-
litical engagement seems at least tempting both for classical scholars
and applying network methodologists, in order to construct another pos-
sible notion of historical utopia –if any. Polybius’ history retains ancient
memories of political and cultural edges to perfection amidst Hellenic
tradition, even in Roman surroundings and civil state; thus he tried to
retain historical hope in logismos and ethos.
Yet in the present sorry state of the world, with its new conception of the
οἰκουμένη threatened by new imperial initiatives, we should not forget, not
abandon, trivialize, or erase our fragmentary memories, the vestiges of hope,
impossible demands, and struggles for a better world that can be discerned in
the crevices of the great narratives of conquest, even if these liberatory exper-
iments, like all those whom the gods love, die young (DUBOIS 2006: 14).
Polybius urged for assumption of a new world upon Roman power
and Greek virtue, but by being utopian-motivated in his relating the
220 Nicholas A. E. Kalospyros
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LUCES SOBRE LA UTOPÍA
HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET
Mauricio Jalón
Universidad de Valladolid
mjalon@maf.uva.es
––––––––––––
1 Cf. FRANCASTEL ([ed.] 1963), trabajo colectivo sobre el despotismo de las Luces en diferentes
países. Son ilustradas, de hecho, todas las referencias definitorias de Haac (1976).
2 Según dice Mauzi (1994: 13-14): “felicidad, moral y sociedad se hacen una en adelante”.
3 Seguimos a Baczko (1997: 383).
––––––––––––
4 Cf. VENTURI (1970: cap. V) y STAROBINSKI (1989).
5 Seguiremos a menudo la panorámica de Trousson (1975: caps. III y IV). Eran, ante todo,
viajes imaginarios.
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 223
––––––––––––
6 DÍAZ (1994: 415).
7 Con igual peso francés e inglés en el bando moderno, cf. JALÓN (1991: caps. VII y VIII).
Cf. HAZARD (1988: II.7).
224 Mauricio Jalón
Foigny, La tierra austral, 1676 y 1692 (FOIGNY 1981); Veiras, Historia de los Sévarambes,
1679 (ambos protestantes); Gilbert, Historia de la isla de Caléjava, 1700, con su Eudoxa, hija
de un protestante; Lefèvre, Relación de viaje a Eutopía, 1711, viaje a una isla ignota de Sura-
mérica; y Tyssot de Patot, Viajes y aventuras de Jacques Massé, 1715, asimismo protestante,
geómetra y demostrativo (sus ejemplos fueron recreados por Voltaire). En medio, están dos
autores famosos: Fontenelle, Historia de los Ajaoiens (1682), y Fénelon, con su educativo Te-
lémaco de (1699).
9 Gabriel Foigny (1630-1692), fraile exclaustrado e ido, que morirá en un asilo. El libro se
editó sin su nombre en 1676 y a su muerte, edulcorado, en 1692; fue reimpreso seis veces a
principios del siglo XVIII. La tierra austral o aventuras de Jacques Sadeur pretende ser un
texto auténtico, geográfica y astronómicamente, ofrece un realismo puntilloso al inicio, con
citas de Marco Polo, Magallanes, Bry o Fernández de Quirós (Memorial de Indias australes).
Narra las aventuras ficticias en una tierra austral de cierto navegante forzado, nacido en un
barco. Notable es que, siendo Sadeur hermafrodita, puede adentrarse sin dificultad en ese
mundo de simetrías y de uniformidad, gigantesco, que es una tierra de hermafroditas. Sus ha-
bitantes son autosuficientes y perfectos; son vegetarianos, tienen seis dedos (manos y pies), son
rigurosamente similares; dadas sus características físicas, carecen de los apetitos habituales y
de las pasiones perturbadoras; adoran al incomprensible Haab, con un racionalismo que busca
la tranquilidad. Foigny sugiere que sus ‘australianos’ serían una especie de preadamitas, y
ofrece un mundo sin gobierno.
10 El protestante Denis Veiras (o Vairasse) escribió la Historia de los Sévarambes, de 1679,
que fue reeditada en 1682 y 1702; difundida en Holanda, Alemania e Italia hasta 1728 (tiene
eco en grandes autores, hasta Kant); también busca dar autenticidad a su utopía austral, exótica,
en la que vive una sociedad no absolutista y tolerante. Los Sévarambes, adoradores de un Dios-
Sol, en este caso estaban individualizados, ya no eran piezas de un engranaje racional.
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 225
––––––––––––
11 Defoe cita a menudo una sociedad “Libertalia” en Historias de Piratas (1724). Su Robin-
son Crusoe, 1719, cabe verse como una mono-utopía; fue muy copiada en escritos utópicos no
unipersonales. El robinsonismo supone lo aislado (voz derivada de isla), y en una utopía sólo
se aísla a los expulsados: es vida ideal en una sociedad aparte. Crusoe supone la mínima con-
centración de un tipo ideal-utópico, y la acción remite a una sociedad ausente; además, otros
autores hacían robinsonismo utópico y él mismo volvió sobre ese motivo.
12 Swift reelabora los temas utópicos, que conoce bien, con la invención grotesca de contra-
sociedades. “Viaje a Laputa”, 1726 (Viajes de Gulliver, 3º), describe una isla circular con un
imán que la eleva, donde viven solamente científicos y técnicos (destacan en música y astrono-
mía). Suele destacarse su contra-utopía del “Viaje al país de los Houyhnhnms” (Viajes, 4º),
dominado por caballos: muestra que la sociedad perfecta no existiría sino en una estirpe de
caballos “razonables”, esto es, fuera del género humano lastrado por el pecado original, malo y
corrupto.
13 Ver MARIVAUX (1968): en La isla de los esclavos, 1725, se invierten las relaciones criado-
amo (utiliza a Arlequín como mediador, y Grecia hace de trasfondo histórico, por precaución).
También hay utopías en La colonia (1729 y 1750), que es una nueva Lysistrata, y en La isla de
la razón o los hombres pequeños, 1728, donde, siguiendo a Swift, imagina la llegada francesa
a una isla de gigantes, que les insuflan razón para que crezcan. Así introduce construcciones
utópicas en el teatro, aunque se deshacen al final. Antes, en su novela, Efectos de la simpatía,
1713, hay un fragmento con un náufrago que civiliza, esta vez, a unos isleños (cerámica, fuego,
trigo, trato al prójimo, comunidad de bienes). Marivaux, crítico de las costumbres, habla más
bien de fraternidad.
14 Prévost narra episodios utópicos largos, aislables del relato. Este El filósofo inglés o histo-
ria de Cleveland (PRÉVOST 1977), de 1731, describe tres fracasos de comunidades ideales: en
el libro III (1977: 101-162), hay una isla alejada con 400 hugonotes igualitarios (pero sus mu-
jeres sólo engendran niñas), y Bridge, hermano de Cleveland se topa con una colonia protes-
tante allí refugiada, franqueando el paso hacia la anti-utopía con un déspota (las reflexiones
inglesas al respecto ya están pues en Francia); en el libro IV (1977: 185-222), Cleveland aparece
como legislador de una tribu india americana; en el libro XIV (1977: 543-553), hay una utopía
más canónica con los Nopendes, pueblo civilizado en cierto país de Norteamérica; pero son
visitados por una extranjera que se sorprende ante la brutalidad de los castigos.
226 Mauricio Jalón
sociedad: su “Pueblo Troglodita” puede pasar de la simplicidad natural a una sociedad política.
16 En “Eldorado”, 1759 (Candide, c. XVIII), aparece una montaña inaccesible, como aisla-
miento ante la rapacidad, con mención al valor de los científicos. También brevemente, Vol-
taire, en su “El país de los Gangarides” (La princesa de Babilonia, c. III), da una nota sobre ese
fingido pueblo, que dirige su culto a la Luna.
17 Concepto desarrollado por Delon (1988: caps. I y VII), y es que la energía social impulsó
del avance utopizante. Condorcet precisamente hablará de la energía social, impulsora del
avance perfeccionador.
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 227
de Campanella, Bacon o Andreae, “más deseables que factibles, ingeniosas pero meras quime-
ras” (como la República de Platón, cuyos absurdos “le roban su esplendor”, 1997: 110). Su
228 Mauricio Jalón
––––––––––––
utopía personal es una reconstrucción interior, una terapia propia: imagina un mundo externo
muy controlado, pacífico, con obras estatales, aunque con propiedad agraria muy dividida; no
es igualitaria; hay una legislación estricta –pocas leyes, pero claras– y muchos supervisores.
Con su detalle torrencial de profesiones (esa actividad contrasta con la tristeza paralizadora)
ofrece una inmensa sinopsis de la sociedad.
19 Cf.: MORNET (1969: 195), parte V, 5.
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 229
Filarete en el siglo XV. Sobre su apoteosis arquitectónica final, STAROBINSKI (1987: 197-203).
22 Casanova escribió una novela de dos mil páginas: Icosameron, 1788, en la que presenta
una sociedad preadamita y subterránea (Trousson la llama utopía teratológica): son los mega-
micros, que llegan al centro de la terrestre, mundo interior dividido geométricamente. Su reli-
gión es natural, su lengua sólo tiene vocales. Añade consideraciones sobre la gravitación, el
peso y achatamiento de la Tierra.
23 En su Historia de Sainville y Léonore (sección de Aline y Valcour), de 1788, Sade (1975)
presenta documentadamente una redonda “Isla de Tamoé” (1975: 136-193), con los clichés
simplificados de la novela utópica: igualdad y felicidad, rechazo del oro (para aislarse mejor),
y culto al Sol. Desarrolla una anarquía apacible en una vida social siempre en lucha con el
egoísmo. Hay posibilidad de tener una segunda mujer; los hijos son de todos; prostitución, so-
domía, homosexualidad dejan de ser crímenes. No hay prisión sino expulsión del culpable. In-
cluye otra micro-utopía, cuando Sainville llega a la africana Butua, de total despotismo: es una
contra-Tahití.
230 Mauricio Jalón
Sobre Wieland: El espejo de oro (Der goldne Spiegel, oder die Könige von Scheschian), 1772,
véase HOFMANN (1988). Situado entre dos lenguas, Charles de Ligne, escribió su breve Reino
del gran Selrahcengil, de 1780, donde describe rápidamente (con el anagrama de su nombre)
una Utopía apacible, una especie de orden familiar.
26 ROCHE (2003: 145): entre 1500 y 1800, hubo 5.500 viajes modernos (2003: 24-26), que
desembocaron en parodias (2003: 97), lo que afectará a la forma del argumento utópico.
27 La Découverte australe par un homme volant ou Le Dédale français, nouvelle très philo-
sophique, de Rétif de la Bretonne (RÉTIF 1979) es una larga novela, de 1781, compleja y ex-
traña, con ensoñaciones pseudo-científicas, antes de llegar al país de los Megapatagones, en las
232 Mauricio Jalón
isleñas descritas son casi puras, frías, rígidas, con división simétrica del
espacio y sus habitantes, que forman sociedades niveladas. La forma
cuadrada o circular afecta a islas y poblaciones; sus equidistancias y
planificaciones reticulares serían idénticas y reiterativas en su perfec-
ción geométrica, como serían sus vidas cotidianas. Toda descripción
supone dar un código estricto del trabajo, la familia y la moneda. Las
costumbres son frugales –ropa simple y uniforme, comida sencilla y a
menudo vegetal–, como antítesis acaso del lujo y hedonismo sociales
de una minoría. En el otro extremo, la religión es monoteísta abstracta,
y el Sol es el modelo inveterado, como eco de las sublimaciones del
momento.
Sorprende esa pureza tan especial, tan abstracta, de la utopía, si se
piensa que precisamente entonces se daban los primeros pasos de una
antropología comparativa, desde Lafitau (Costumbres de los salvajes
americanos comparadas con las de los primeros tiempos, 1724), hasta
Raynal o Herder. Pues como las utopías tienen todas retículas similares,
sean espaciales o sociales, y suponen, en consecuencia, el reverso de la
narración etnográfica, que está siempre plagada de disparidades, en to-
dos los planos posibles, y que se configura viendo diferencias palmo a
palmo e incluso recreándose en ellas. Esa uniformidad inveterada, en
consecuencia, produce la sensación de “ciudad de los muertos”, que se-
ñaló ya L. Gernet para la utopía helenística28.
A un lector actual, que conozca los avances decisivos en la gran an-
tropología, desde la segunda mitad del siglo XX, le cuesta e insatisface
la lectura de los utopistas (máxime si reparamos en su calidad, intelec-
tual o literaria, tan limitadas). Pero es que ellos no hablaban de lo Otro:
era un mecanismo para cotejar lo Mismo –su propia realidad– con lo
ideal, como ocurría con las cartas fingidas de entonces, tan abundantes
–turcas, siamesas, sicilianas, persas, rusas, iroquesas, marruecas, chi-
nescas–, o incluso con la gran literatura epistolar, que fue una caracte-
rística de las letras y la sociedad del siglo XVIII29. La soñada perfección
––––––––––––
antípodas de París. Allí no hay diversiones, solo vida natural, con adoración a la Tierra y el Sol;
hay cuatro horas de trabajo y bienes comunes; el país está dividido en grupos de cien familias,
en cuatro barrios, con gineceo para las solteras y sumisión al varón. Ya en su Le paysan perverti,
de 1775, ofrecía en apéndice un pueblo de vida ‘comunista’, y publicó en 1790 una ucronía: El
año 2000. Además de sus escritos y una autobiografía a la sombra de Rousseau, Rétif hizo
numerosos proyectos de reforma (prostitución, teatro, las mujeres, los hombres, las costumbres,
la legislación), que engarzan con su utopismo generalizado.
28 Cf. GERNET (1980). La paz perpetua, bromeaba Kant, no quería ser la paz de los cemente-
rios.
29 VERSINI (1979: cap. XI). Epistolar, La Nueva Eloísa de Rousseau hace aparecer un mundo
ideal separado del “nuestro”, una utopía individual. Pero lo más inestable es la coincidencia
entre subjetividad y valores universales; cf. STAROBINSKI (2012: 68, 131 y 204).
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 233
e italiano (MERCIER 1999). Pero ucronía es palabra inventada por Renouvier, en 1876.
31 En el cap. XXVIII, Mercier “quema” a Heródoto, Safo, Anacreonte o Aristófanes. Con-
serva sólo a Homero, Sófocles, Eurípides, Demóstenes, Platón y Plutarco. Salva de los latinos
a Virgilio, Plinio, Tito Livio y Salustio (acaso Tácito); Lucrecio se volatilizaría y quedan Cice-
rón y Séneca solo, como filósofos. Cf. BACZKO (2001: 164-172).
32 Tema desarrollado por H. Hudde y L. Kuon en su introducción “Utopie - Uchronie - et
après” (HUDDE & KUON, eds. 1988: 9-17); y en el texto del primero “L’influence de Mercier
234 Mauricio Jalón
Los utopistas tardíos situaron cada vez más sus propuestas en su en-
torno concreto, aunque las forjasen para un mundo imaginario. En los
primeros estadios de las Luces, aunque se lanzasen dardos contra el ab-
solutismo, no se percibe una primacía de lo político globalmente. Por
lo demás, si los autores utópicos a menudo eran protestantes o descreí-
dos, su pensamiento suponía un desvío respecto a la norma, pero sin ser
forzosamente “subversivo” (en particular, el reparto habitual de los hi-
jos por la sociedad no refleja nuevas ideas, pues son platónicas). Pero
el utopismo maduro del siglo XVIII suscita ya doctrinas políticas, ins-
pira legislaciones y hasta constituciones. Se topa cada vez más con su
sociedad35.
Surgen ahora utopías comunitarias y de eliminación de abusos, en-
soñaciones anarquistas y estatales, retrospectivas y primitivistas (con
nuevas ideas sobre la Arcadia o el buen salvaje), donde no hay casi re-
ferencia a las islas, pues son textos de otro carácter, de otra inscripción
genérica. Además se recobra en 1762 la vieja denuncia social de Mes-
lier (1664-1729), en su vieja Memoria sobre la conducta de los hombres
–la recupera Voltaire, con recortes, para su crítica de las supersticio-
nes–, y hay que añadir que se vislumbran sociedades plenamente igua-
litarias, en el Código de la naturaleza de Morelly36 (1755), o prosocia-
listas luego, en la Legislación (1776) del abate Mably, cuya conciencia
política removió las voluntades de acción del momento37.
Más destacables por su futuro son las ideas de un ardiente negador
del orden caduco, Dom Deschamps (Sistema verdadero, hacia 1760),
que influyó notoriamente en Diderot, con un discurso de inspiraciones
híbridas —metafísicas o religiosas—, y que apuntan proféticamente a
renovar la colectividad. Su mirada es materialista y mística a tiempo,
como se vio al analizar mucho más tarde sus escritos, en las centurias
siguientes. Deschamps, de estirpe comunista y clerical, es ‘razonable’
en un sentido crudamente reivindicativo38. Plantea de hecho que hay un
posible acuerdo espontáneo con la naturaleza, basado en la frugalidad,
––––––––––––
35 RACAULT (2003 : 8-14).
36 Además de su Code de la nature, 1755, obra no imaginaria sobre el dilema del tránsito de
la naturaleza al orden social mecánico, escribió Naufragio en islas flotantes o Basiliade del
célebre Pilpaï, 1753, que sucede al modo de los trogloditas de Montesquieu. Es un defensor del
individuo, como Johann Schnabel (Insel Felsenburg, 1731-1742, en 4 volúmenes de aventuras
utópicas, robinsoniano muy leído en Alemania) o Simon Berington (The Memoirs of Sg. Gau-
dentio di Lucca, 1737, integra un individuo sensible en el orden racional-utópico).
37 BAKER (1990 : cap. III).
38 BACZKO (2001: 101-149). Deschamps no quiere volver al estado salvaje, sino cambiar
nuestras costumbres –propiedad y excesivo individualismo–, pues cada cual es parte del todo.
236 Mauricio Jalón
––––––––––––
39 En Fábula de las abejas (1714), Bernard Mandeville, inglés, de origen holandés, fue el
primero en cuestionar la perfección de las construcciones utópicas con su realismo puritano.
Mediante esta alegoría de unas abejas, a las que Júpiter les da total virtud, desarrolla la idea de
que los paraísos virtuosos ignoran los instintos, los intereses, la emulación y la competencia; y
no serían viables por cuanto niegan la dinámica humana y social.
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 237
menio, gran discípulo de Andreae, pero Bayle sacó del olvido dos uto-
pías: el Viaje austral de Foigny y los Sévarambes de Veiras40; o que,
por su parte, Voltaire se mofaba del género, y sin embargo, además de
usarlo en capítulos punzantes de sus novelas, él difundió en 1762 La
conducta de los hombres, de Meslier, texto importante y no conocido.
Más importa que, en la Enciclopedia, ese nuevo faro encarrilado ya
en 1760, no se halla la voz ‘utopía’: no aparece siquiera la extraordina-
ria invención de Moro. Por añadidura, Diderot tilda a Campanella de
fantasioso; y está dejada de lado también la Atlántida de Bacon, autor
entronizado por los enciclopedistas gracias al resto de su obra. Entre
1750-1760, Diderot se manifestaba pues contra las utopías literarias,
como parte de los científicos coetáneos; y de hecho, lo que sonase a
mera fantasía social le desagradó siempre. Sin embargo él se utopizará
a su modo desde 1772. Es más, cuando Panckouke desde 1781 remo-
dele metódicamente su gran trabajo recopilador con otra Enciclopedia
y nuevos colaboradores41, como preveía Mercier, incluirá las utopías
(evitando, eso sí, lo literario de ellas), dentro de un temática singular,
que denomina sistemas de perfección, lo que revela su racionalización
del relato.
Condorcet, colaborador de esta Enciclopedia metódica, escribió al
final también un Fragmento sobre la Atlántida, mientras huía de la in-
controlada convulsión de su país. Y él precisamente, resaltaba que los
derechos del hombre habían sido postulados por Rousseau (tras él se sabe
bien que no hay dos estirpes, una destinada a obedecer y otra a gobernar,
decía). Pero Rousseau, que había pensado en la perfectibilidad, fue la
figura más incómoda, escurridiza y contradictoria del momento, tam-
bién en este punto.
Por contraste con Diderot o Condorcet, Rousseau había elegido
como apoyo la economía política, la historia del derecho o la política,
para llegar de otro modo a una reflexión crítica sobre las costumbres42.
Elegía, pues, apoyos jurídicos y organizativos para sus alegatos de su
“mundo ideal”, redactados entre 1755 y 1762, logrando una coherencia
insólita en sus múltiples escritos, que arrancaron en 1750 con su crítica
inicial a las artes y ciencias del momento. Rousseau, siempre singular,
imaginativo y elocuente, abordó discutiblemente la “utopía” con otra
intención desde luego, y con una tonalidad más compleja, a la vez igua-
litaria e individualista, donde oponía el culto del sentimiento a la cultura
––––––––––––
40 Bayle critica todos los relatos con prodigios y hechos maravillosos, las historias impreci-
sas: LABROUSSE (1996: 14ss).
41 Sobre sus entrañas, ver DARNTON (1992: cap. VIII).
42 PROUST (1995: 303-304).
238 Mauricio Jalón
del entendimiento, pues prefería moralizar por encima del mero cono-
cer, aunque eso sí siempre de un modo inmanente43. Aparte de proyec-
tos como la reforma polaca, Rousseau inventa con su vasto carteo no-
velesco, La nueva Eloísa, de 1761, una ambigua “sociedad a dos”, en
la que se habla del ideal de la transparencia absoluta, perceptible en las
paredes-cristales de una vivienda: “El más estimable de los hombres era
ese romano que deseaba que su casa fuese construida de modo que se
viese todo lo que se hacía en ella” (IV- carta VI).
Un año después, también a contracorriente, iniciaba el Emilio, de-
fendiendo resueltamente la bondad natural del hombre, frente a su co-
rrupción por la sociedad culpable (los individuos se recuperarían si
cambiase la sociedad y el Estado). No ofrecía un mundo novelesco aquí,
sino la gradual educación hacia la virtud de un niño. Con su obsesión
por lo originario, con su mirada más bien retrospectiva, y abrió camino
a otra concepción quimérica, a un “nettoyer l’aire”, que fue base tam-
bién de futuras ideas agitadoras. Su universo de contrastes no supone
una utopía social radicalmente extraña a la realidad, ni tampoco un fácil
compromiso con el mundo: Rousseau procura vivir en la contradicción,
esto es, “diferir completamente de la sociedad existente, y permanecer
lo suficientemente cerca de ella”44. Este nudo apunta ya al mundo que
nos concierne.
––––––––––––
50 En STAROBINSKI (2012b: 257) leemos que la ‘utopía filosófica del siglo XVIII’ consiste en
que, una vez que se ha soñado en la reconstrucción general de todos los fenómenos según las
leyes de la geometría, renunciando a lo que atañe a la vida, Diderot “recurre a la hipótesis
vitalista de la molécula sensible”, clave de la ‘sensibilidad material’.
51 Los gustos de Diderot por la gran literatura precedente o por la coetánea (Fielding, Sterne),
así como la categoría excepcional de sus invenciones literarias (Jacques el fatalista, Paradoja
del comediante, La religiosa, El sobrino de Rameau), tan superiores a las de su tiempo, y ad-
miradas por Goethe o Hegel, hacían presumir que no apreciase nunca unas utopías tan ramplo-
nas formalmente y con ideas muy simplistas.
52 Es un escrito complejo, indeciso, pesimista: BENREKASSA (1980); DUCHET (1984: II-5, esp.
394-405).
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 241
Más aún, acogerá con gusto tesis del igualitarista Dom Deschamps,
que proponía todo tipo de simplicidad para lograr nuestro posible
acuerdo, más espontáneo, con la naturaleza. Pero lo que apreciaba Di-
derot era su punto de vista general al acometer problemas concretos de
su sociedad. La inmersión en las ciencias de la vida le facilitó su nueva
conciencia antropológica, que creó con su mirada implacable. Así re-
volucionaría con otros las ciencias sociales del futuro: en sus largos
añadidos, hasta 1780, a la Historia de las dos Indias de Raynal –con
aceptación de éste–, mostraba de hecho la hermandad vital con los lla-
mados ‘primitivos’ americanos, lo cual le servía para denunciar utópi-
camente la violencia colonizadora; ese “funesto sistema” pone en duda
el deseo de libre circulación mundial por parte de Europa53. Ya citaba
episódicamente a Raynal en su efervescente Suplemento al viaje de
Bougainville, pero ahora, en cada página, denuncia el “desorden” de la
rapiña colonial, y repudia del todo esa mancha que aún nos atañe54.
RACAULT (2003: 445ss). Cf. DIDEROT (1995), plagado de denuncias a las naciones ‘civilizadas’.
54 El Diderot historiador del presente se plasmaría en los comentarios que añadió al texto de
Raynal: BENOT (1973: caps. 10-12, 246); y los póstumos de este autor (BENOT 2005: parte II).
55 GRANGER (1989: cap II); destaca su ‘matemática concreta’ y su sentimiento de historicidad
de las matemáticas, que supera al de cualquier coetáneo, pues el devenir de éstas podría hacer
de espejo de las marcha de los progresos humanos y de guía pedagógica (GRANGER 1989: 91-
93).
242 Mauricio Jalón
––––––––––––
56 El centenario e influyente Fontenelle (1657-1757), escribió Historia de los Ajaoiens o re-
pública de los filósofos, en 1682, libro publicado en 1768. Esos Ayaoienos serían ateos, y vivi-
rían en una especial democracia.
57 BADINTER (1990: 122), cf. caps. III y IV.
58 GRIMALDI (1991: cap. II). Cf. KOYRÉ (1971).
59 BAKER (1988: cap. I); el subtítulo del original de este texto (Chicago 1975), es “De la filosofía
––––––––––––
62 Cf. CONDORCET (1988: 268): “Si hacéis un recorrido por la historia de nuestras empresas, de
nuestros establecimientos en África o en Asia, comprobaréis cómo nuestros monopolios comercia-
les, nuestras traiciones, nuestro desprecio sanguinario por los hombres de otro color u otras creen-
cias, la insolencia de nuestras usurpaciones, el disparatado proselitismo o las intrigas de nuestros
sacerdotes destruyen ese sentimiento de respeto y de benevolencia que habían logrado, de entrada,
la supremacía de nuestras Luces y los provechos de nuestro comercio”.
63 Detrás del Fragmento están las Atlántidas de Platón y Bacon: CRÉPEL (1997). Cerca de él
están las ideas del abate de Saint-Pierre y del especialista en astronomía Bailly, que había pu-
blicado unas Cartas sobre la Atlántida en 1779.
64 Para MANUEL (1984: 394-436), capítulo titulado “Condorcet: progresando hacia el progreso”,
su Atlántida es un texto de transición a otro siglo, sería el monólogo de un filósofo entusiasta, que
va desgranando nuevos argumentos ante un interlocutor escéptico y mudo.
65 CONDORCET (1988b: 327-328): “¿Quién sabe si, cuando otra educación haya permitido que la
mente femenina alcance todo su desarrollo natural, entonces las relaciones íntimas de la madre o de
la nodriza con el niño –relaciones que no existen en los hombres–, no serán para ellas un medio
exclusivo de lograr hallazgos más determinantes y más necesarios de lo que se cree para el conoci-
miento del espíritu humano, para el arte de perfeccionarlo, de apresurar su ejecución y de facilitar
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 245
––––––––––––
sus progresos?”. Cf. “Sobre el derecho de admisión de las mujeres al derecho ciudadano” (1790),
en COUTEL (1996: 167-168).
66 BADINTER (1990: cap. VII, 317-341); COUTEL (1996: 163-164). Napoleón supondrá un re-
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68 MANNHEIM (1987: 192ss): su intuición se concibe como una meta formal abierta al futuro,
“cuya función consiste en actuar como un designio meramente regulador de los asuntos mun-
danos”.
69 BADINTER (1990: 600), por ello no sería un plan de tipo socialista.
70 FINLEY (1977: 284-5).
LUCES SOBRE LA UTOPÍA. HACIA LA MIRADA CIENTÍFICA DE DIDEROT Y CONDORCET 247
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1 The view that utopias are works of social commentary and suggest changes for the structure
of society also offers a reply to a critic such as Isaiah Berlin, who considers all utopias to be
––––––––––––
tyrannical. Based on a view of utopias as works of social commentary, Laurence Davis offers
this reply: “During the Renaissance, Thomas More identified a causal relationship between
poverty and crime, and Campanella advocated a working day of four hours. In the nineteenth
century, utopian socialists such as Saint-Simon, Fourier, and Owen all criticised the institution
of private property and the growing gap between rich and poor, as well as restrictive concep-
tions of morality and family relationships” (DAVIS 2000: 79) .
THE PLAUSIBILITY OF UTOPIA: HISTORICAL DEVICES IN UTOPIAN LITERATURE 253
from the present to the future. In such a case, the depicted future is ei-
ther a necessary or otherwise a desirable extrapolation of past evolu-
tionary steps.
The simple dichotomy between the use of simple historical refer-
ences and the use of a theory of evolution can be expanded into five
different devices for justifying a utopia. A reference to a past state of
affairs for a utopia may be either a reference to a pristine primeval par-
adise or to the ways of an ancient, now destroyed civilisation. A refer-
ence to the evolution of society may describe many types of evolution,
but two important models are that of steady continuous growth and that
of cycles in which the development of history is characterised by the
repeated rise and fall of civilisations. Next to this there are also various
dialectical models of the evolution of history which may also spark uto-
pian visions of the higher stages of history to come. In all these histori-
cal justifications we will see that there are tensions: between accurate
history and a supporting story, between human agency and a determin-
istic history, between the tendency of history and the exceptional fate
of the utopia.
Primitivist paradise
One historical device used in utopias is descriptions of a return to a
pristine paradise. This clearly has a basis in Christian religious
traditions and its myth of a lost paradise. However, in their descriptions
of primeval paradises, utopias are also similar to some of the more
fanciful travel narratives of the early modern period, some of these
appear to be quite utopian. For example, the Italian born Spanish travel
writer Pietro Martire D’Anghiere’s description of Cuba not only
describes the bountiful nature of a tropical paradise but also the peaceful
social relations which go with it. Take for example, following paradise
in Eden’s 1555 translation of D’Anghiere’s The Decades of the newe
worlde or west India:
it is certeyne, that amonge them [the inhabitants of the island], the land is
as common as the sonne and water: And that Myne and Thyne (the seedes
of all myscheefe) have no place with them. They are contente with soo
lyttle, that in soo large a countryey, they have rather superfluitie than scare-
ness. Soo that (as wee have sayde before) they seeme to lyve in the goulden
worlde, without toyle, lyving in open gardens, no intrenched with dykes,
dyvyded with hedges, or defenden with waules. They deale trewely one
with an other, without laws, without books, and without Juges. (quoted in
RENNIE 1995: 21)
254 Sara Osborne
such inconveniences as feudalism, plague and famine have no place. The narrator in News from
Nowhere awakes some hundreds of years in the future, to find himself back in the fourteenth
century – or in a Morrisite version of it.” (CAREY 1999: 315)
THE PLAUSIBILITY OF UTOPIA: HISTORICAL DEVICES IN UTOPIAN LITERATURE 255
which our own mere individual experience wins us: and consequently we
are happy. (MORRIS 2009[1891]: 114)
An idealised version of the medieval period is used to construct Mor-
ris’s ideal society. This allows the work to use examples of how things
were in the past while contacting a quite novel and in many ways quite
far-fetched state of affairs.
We can see that a similar method is used by writers who, while not
writing a literary utopia, are constructing a scheme for a better society.
For example, in A Discourse on Inequality, Rousseau makes use of a
historical description of an original state of nature to argue that we have
lost much of our freedom by living in civilisation. We must therefore
build a society which offers some new type of freedom to compensate
for this lost natural liberty. In this work it is abundantly clear that Rous-
seau is not writing an accurate history, as he writes:
Let us begin by putting aside all the facts, because they do not affect the
question. One must not take the kind of research which we enter into as the
pursuit of truths of history, but solely as a hypothetical and conditional
reasoning, better fitted to clarify the nature of things than to expose their
actual origin. (ROUSSEAU (1984), 78)
In travel narratives, social contract theories and utopias, the appeal
to an attractive primitive state is rarely an example of accurate history
or ethnography. However, it does reinforce the story told and make it
more plausible to the reader. It appeals to a claim about what is natural
– and therefore of course what is possible. A common assumption is
that 'Primitive' people were more in tune with nature. This notion is
behind one of Morris’s utopian’s exclamations: “O me! O me! How I
love the earth, and the seasons, and weather, and all things that deal
with it, and all that grows out of it”. (MORRIS (2009[1891]): 174)
This exclamation is thought to reproduce the intimate bond with na-
ture that original people enjoyed. The conviction expressed in many
utopias is that something like a natural lifestyle and society can be re-
gained – not because it ever actually existed but because it is perfectly
natural and therefore could have existed. But there is an obvious tension
here between a wish to return to the more natural state and the construc-
tion of a new one. For Morris as for Rousseau, the past is idealised, but
a return to it is also deemed impossible or undesirable. Even in Morris’
ideal of medieval society it is admitted that the actual historical medie-
val society was regulated by religious dogmas, which should be re-
jected.
256 Sara Osborne
Ancient civilisation
Another use of an appeal to history can be seen in references to
ancient civilisations which no longer exist. The assumption is made that
something was done better in the past – for example in ancient Roman
society. In this case, the promise was not that this was a more natural
way of constructing society, but that it was a better one. Literary utopias
gain plausibility by referring to past cases of greater perfection which
their stories mimic.
Thomas More’s Utopia (1556) provides an example of the use of
references to ancient civilisations. Utopia, which is divided into two
books, has an important place in the history of utopian thought. Not only
does it give the genre its name, but the ambiguities in the text have
sparked a huge amount of scholarly debate. The work takes the form of
a discussion between More himself, his real-life friend Peter Giles and
the fictional traveller Raphael Hythoday. Only the second of the two
books describes the island of Utopia and the society Hythoday found
there. The first book discusses the improvements which might be made
in English society with reference to the many different (fictional)
institutions Hythoday has seen on his travels.3 Importantly, More treats
the description of Utopia’s present society as equivalent to a discussion
of ancient European civilisations. In book one, Hythoday complains
about the resistance he encountered at court when trying to share what he
has learned from his travels:
A man should bring forth anything that he hath read done in times past or
that he hath seen done in other places, there [sc. at court] the hearers fare
as though the whole estimation of their wisdom were in jeopardy to be
overthrown. (MORE 1999 [1556]: 17)
Here distant places and the past are dealt with as if they were equiv-
alent. In other words, the wisdom of the Utopians may be viewed on an
equal footing as, say, with that of the Romans, without any particular
need to cast the latter in a historical context. One would therefore expect
to find many comparisons to ancient civilisations in Utopia. However,
it contains only a few positive references to ancient societies. In one of
the few which can be found, Hythoday invokes Roman law when dis-
cussing appropriate punishments, arguing:
For why should we doubt that [enslavement rather than death] to be a good
––––––––––––
3 Much of the scholarly debate on Utopia focuses on the question of whether the book is a
satire or a serious work. Though important, this debate is of no concern to our current purpose.
We can examine the use of reference to various concepts of history irrespective of whether
Utopia is read as a serious work or as a satire or as a mixture of the two.
THE PLAUSIBILITY OF UTOPIA: HISTORICAL DEVICES IN UTOPIAN LITERATURE 257
and a profitable way for the punishment of offenders, which we know did
in times past so long please the Romans, men in the administration of a
weal-public most expert, politic, and cunning? (MORE 1999 [1556]: 27)
For More, references to the ancients, such as the one just cited, are
the exception. Most of his examples are taken from the imagery of
countries to which Hythoday has travelled. This is of course why, irre-
spective of its title, the work counts as a literary utopia. But the im-
portant point is that thanks to the implied equivalence of Europe’s past
and the imaginary present on far-away islands, there is no categorical
difference between the one and the other. References to both types of
example help to justify the fictional travels described in Utopia.
Francis Bacon, in New Atlantis (1627) provides us with further ex-
amples. There a scientific institution called Solomon’s house takes cen-
tre stage. The work describes in detail the advantages of well-organised
scientific research. New Atlantis, to a greater extent than Utopia, is a
plan for a specific improvement to society, as Bacon envisioned it. As
is well known, when the Royal Society was set up in the 1660s, its
founders claimed that they were emulating Bacon’s plans.
There are points in New Atlantis at which, just as Hythoday suggests
one should do in Utopia, Bacon makes use of descriptions of past civi-
lisations to support his plans for a new institution. For example, the sci-
entific institution on Bacon’s ideal island, ‘Solomon’s House’, is named
after the Hebrew king, who was not only famous as a wise and godly
ruler, but also as a natural philosopher.4 With this reference, it also ap-
peals to a myth of a past golden age of wisdom and learning, when kings
acted as both political and philosophical or scientific leaders. This is the
model that the leaders of Bacon’s ideal island state of Bensalem emu-
late.
––––––––––––
4 In the Bible there is some reference to the Solomon’s wisdom: “And God gave Solomon
wisdom and understanding beyond measure, and largeness of mind like the sand on the sea-
shore, so that Solomon’s wisdom surpassed the wisdom of all the people of the east, and the
wisdom of Egypt. For he was wiser than all other men [...] and his fame was in all nations round
about. He also uttered three thousand proverbs; and his songs were a thousands and five. He
spoke of trees, from the cedar that is in Lebanon to the hyssop that grows out of the wall; he
spoke also of beasts, and of birds, and of reptiles, and of fish.” (I Kings 5, 29-34). However he
is also used as an explanation for the lack of a natural philosophy in the Bible. This was ex-
plained by the loss of Solomon’s books of natural philosophy, for example in Deneau’s Won-
derfull Woorkmanship: “Solomens Books wish were written copiously of the Nature of all
thynges, are, throgh the negligence of men perished” (Quoted in HARISON 2007: 112). In the
New Atlantis the philosophers of Solomon’s house do have these lost works (BACON 1999:
167), and it is for this reason that the scientific institution is named after this biblical king.
258 Sara Osborne
Steady Evolution
The two ways of using history examined so far are fairly simple –
they make no use of any theory about the development or evolution of
history. We will now move to some types of utopian thinking in which
history is used by employing a theory of its evolution. The simplest way
in which history can be thought of as a coherent story is by viewing it
as an evolution of society into ever better states. When this model is
used in utopian literature we can detect a close resemblance to science
fiction. The assumption is that a better world can and will arise, because
if society is directed in the right way, technology will inevitably im-
prove, life will get easier, and people will become more sophisticated
and improve morally.
THE PLAUSIBILITY OF UTOPIA: HISTORICAL DEVICES IN UTOPIAN LITERATURE 259
In Utopia, More makes some uses of this device alongside his com-
parisons with ancient civilisations, examined above. For him societies,
if left undisturbed, undergo a steady development, for example in terms
of material surroundings and architectural skill. When describing the
cities of the Utopians, More writes:
For their chronicles, which they keep written with all diligent circumspec-
tion, containing the history of 1,760 years, even from the first conquest of
the island, record and witness that the houses in the beginning were very
low and like homely cottages or poor shepherd’s houses, made, at all ad-
ventures, of every rude piece of timber that came first to hand, with mud
walls and ridged roofs thatched over with straw. But now the houses be
curiously builded after a gorgeous and gallant sort, with three stories one
over the another (MORE 1999 [1556]: 55)
The Utopians’ 1,760 years of recorded history would, for More’s
readers, represent roughly a third of the entire history of the Earth. In
Utopia, this period had been marked by continual progress. According
to this quote, the Utopians benefit from a long peaceful history in which
they have been constantly able to improve their surroundings – some-
thing the Europeans perhaps lacked because of wars and other calami-
ties. Utopia is what a society can be if governed wisely and left to de-
velop steadily.
A much clearer and far more developed example of this way of con-
struing history can be found in Edward Bellamy’s Looking Backward
(1888). This was a surprisingly popular work at the time it was pub-
lished, aside from selling over 100,000 copies in its first year, it inspired
many groups across the US dedicated to putting Bellamy’s ideas into
practice. This book describes what the twentieth-century future of Bel-
lamy’s own nineteenth-century American society will be. As a result of
increasingly large monopolies, all industries will by the year 2000 have
been nationalised and are run for the public good. Each citizen receives
an equal share of the national produce which, due to efficiency savings
and much improved technology, is much larger than in Bellamy’s day.
As he explains in his postscript, Bellamy believes that there is no use in
looking back to a past golden age: “Looking Backwards’ was written in
the belief that the Golden Age lies before us and not behind us, and is
not far away” (BELLAMY 1950 [1888]: 276).
Why a return to lost ways of life is not desirable is stated explicitly
in the novel itself. The visitor to the future, Mr West is, for example,
given an explanation of why one cannot return to a former society of
small capitalists by his host Dr. Leete:
260 Sara Osborne
The small capitalist, with their innumerable petty concerns, had in fact
yielded the field to the great aggregations of capital, because they be-
longed to a day of small things and were totally incompetent to the de-
mands of an age of steam and telegraphs and the gigantic scale of its en-
terprises. To restore the former order of things, even if possible, would
have involved returning to the day of stage-coaches. (BELLAMY 1950
[1888]: 40)
This aversion to historical social arrangements is based on a concept
of continual material progress, as can be seen from the sermon of the
preacher, Mr. Barton:
As regards the contrast between the poverty of the nation and the world in
the nineteenth century and their wealth now, it is not greater, possibly,
than had been before seen in human history, perhaps not greater, for ex-
ample than that between the poverty of this country during the earliest
colonial period of the seventeenth century and the relatively great wealth
it had attained at the close of the nineteenth, or between the England of
William the Conqueror and that of Victoria (BELLAMY 1950 [1888]: 224)
Thus even before the futuristic society which Bellamy describes
came about, history had been marked by continual progress. According
to Bellamy, improvements in the way society is organised come about
as a result of material and technological progress, although improve-
ments in society and improvements in technology do not necessarily
happen simultaneously. We have seen some aspect of this quite modern
way of describing history as an ascending line already in More’s work.
However, this again leads to tensions, in this case between a utopia as
a description of inevitable change and development and utopias as a call
for reform or revolution. Bellamy’s fellow socialist utopian, William
Morris, was in fact to criticise the 'fatalism' of Looking Backward, of-
fering his own alternative:
A far better hope to trust to is that men having once got it into their head
that true life implies free and equal life, and that is now possible of attain-
ment, they will consciously strive for its attainment at any cost. The eco-
nomical semi-fatalism of some Socialists [Bellamy among them] is a
deadening and discouraging view, and may easily become more so, if
events at present unforeseen bring back the full tide of commercial pros-
perity; which is by no means unlikely to happen. (MORRIS 1889: 194)
There is a tension between a view of history which describes pro-
gress as inevitable and utopias as a tool to inspire change. Like the more
simple uses of history reviewed in sections 1 and 2, the steady progress
story exposes tensions in utopian literature. However, there also alter-
native ways in history that can be modelled.
THE PLAUSIBILITY OF UTOPIA: HISTORICAL DEVICES IN UTOPIAN LITERATURE 261
Cyclical history
Another way to reconstruct history is as a series of cycles. In such
a reconstruction it is assumed that civilisations rise and fall repeatedly
and that the future will therefore be like the past. Francis Bacon makes
some use of this view of history in his utopian work New Atlantis. Ba-
con’s island, Bensalem is exceptional in that it has escaped the tendency
of civilisations to rise and fall and in doing so has been able to move to
a path of steady evolution. Bensalem is described as the remnant of an
old civilisation, which once stretched from America (which in New At-
lantis is the old mythological Atlantis) to China. The governor of the
House of Strangers – an official in Bensalem charged with looking after
the lost travellers who land there – explains the decline of these other
civilisations. With respect to seafaring, we are told: “As for other parts
of the world, it is most manifest that in the ages following (whether it
was in respect of wars, or by a natural revolution of time), navigation
did everywhere greatly decay”. (BACON 1999 [1627]: 165)
The odd phase ‘by a natural revolution of time’ can be explained by
reference to Bacon’s essay Of Vicissitude of Things, where he explains
that civilizations, and more specifically learning, follows cycles:
Learning hath his infancy when it is but beginning and almost childish:
then his youth when it is luxuriant and juvenile: then his strength of years,
when it is solid and reduced: and lastly, his old age, when it waxeth dry
and exhaust. But it is not good to look too long upon these turning wheels
of vicissitude, lest we become giddy. (BACON 1972 [1627]: 172-3)
There is a historical tendency for civilisations to rise and fall. Civi-
lisations tend to be periodically destroyed either by war or by natural
disaster. The civilisation of Atlantis was destroyed by a flood, and only
Bensalem was spared. Like More’s Utopia, Bacon’s Bensalem benefits
from its long peaceful history, which represents the exception to the
general tendency for civilisations to be destroyed in periodic upheavals.
That Atlantis was destroyed comparatively recently in the Earth’s his-
tory explains what Bacon sees as the Americas’ backwardness. The
governor of the House of Strangers implores his guest to understand
this lack of European style civilisation:
So as marvel you not at the thin population of America, nor at the rudeness
and ignorance of the people; for you must account your inhabitants of
America as a young people; younger a thousand years, at least, than the
rest of the world; for that there was so much time between the universal
flood [of Noah] and their particular inundation [which destroyed Atlantis].
(BACON 1999 [1627]: 164)
262 Sara Osborne
Dialectics
Having considered two theories of the evolution of history both of
which lead – in the end – to a utopia with a long stable history, we
should now consider one in which history is characterised by conflict,
namely the dialectical models of history of Hegelian and later of
Marxist thinkers. Within the field of utopian thought, dialectical models
of history have had the greatest influence on socialist utopias of the
nineteenth century. This may seem strange given some Marxists’ views
on utopian socialists. The early nineteenth-century utopian socialists
Charles Fourier, Henri de Saint-Simon and Robert Owen were
portrayed as well-meaning but naive by 'scientific' Marxist socialists,
because they were ahistorical in their writings and because they did not
recognise the process of dialectics in history. Thus Friedrich Engels
writes in Socialism: Utopian and Scientific (1880):
To all these [utopian socialists], Socialism is the expression of absolute
truth, reason and justice, and has only to be discovered to conquer all the
world by virtue of its own power; as an absolute truth is independent of
time, space, and of human historical development, it is a mere accident
when and where it is discovered. At the same time, absolute truth, reason
and justice are different with the founder of each different school (ENGELS
1993: 27)
Despite the Marxist dismissal of utopianism, in later utopian works
of fiction we can see the influence of dialectics. For example, in Morris’
News from Nowhere we read:
England was once a country of clearings amongst the woods and wastes,
with a few towns interspersed, which were fortresses for the feudal army,
markets for the folk, gathering places for the craftsmen. It then became a
county of huge and foul workshops and fouler gambling-dens, surrounded
by ill-kept, poverty-stricken farms, pillaged by the masters of the work-
shops. It is now a garden, where nothing is wasted and nothing is spoilt,
with the necessary dwellings, sheds, and workshops scattered up and down
the country, all trim and neat and pretty. For, indeed, we should be too
THE PLAUSIBILITY OF UTOPIA: HISTORICAL DEVICES IN UTOPIAN LITERATURE 263
Conclusions
Literary utopias make use of a fictional story in order to comment on
the society in which they are written. In order for this commentary to
be accepted, the story they tell must seem plausible. The reader must
believe that the society described in the utopia is at least in some way
realistic. There are several devices which are employed in order to give
utopias this plausibility. One way to do this is by the use of a scientific
or philosophical theory. However this implies a great risk, as once that
theory is rejected the utopia loses all plausibility.
An alternative is to employ some conception of history. There is of
course a danger that once the use of history becomes overly theoretical
it can be rejected as easily as a scientific justification can be. However,
it is rare that just one historical theory is used to lend plausibility to a
utopia. Instead different aspects of history alongside other methods of
persuasion are used. Furthermore, as we have seen, all these uses of
history bring with them tensions so there is always some aspect of the
use of the historical theory which opens up criticism of that use. The
use of historical justifications is therefore always under debate and there
is less danger therefore that the utopia will be overly reliant on one way
of using history.
One way to use history to lend plausibility to a utopia is quite simple.
The author can show that the situation described in the utopia has ex-
isted before, in an ancient, now lost, civilisation. This adds plausibility
to the story by showing that some aspects of the utopia are taken from
the practices of another society. References can also be made to some
264 Sara Osborne
why write a work of literature which, in effect, calls for reform or rev-
olution in order to bring that state of affairs about?
In their uses of historical devices utopias display numerous tensions.
The plausibility of a utopia depends on how well it recognises and deals
with these tension. Whether it provides a plausible explanation for the
exceptional nature of the utopia, whether its description of a historical
state of affairs is, despite idealisation, acute enough to still have some
value and whether it describes a balance between the inevitability of
progress and the need for action. These factors all have a bearing on the
plausibility of a utopia as more than a merely fictitious account of 'no-
place'.
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266 Sara Osborne
.
ARTE/UTOPIA: LE PROPRIETÀ LATENTI.
UN’INDAGINE SULL’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
Leonardo Pierro
leonardo.pierro@libero.it
––––––––––––
2 B. DE SOUSA SANTOS (1988).
ARTE/UTOPIA: LE PROPRIETÀ LATENTI. UN’INDAGINE SULL’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA 271
––––––––––––
6 P.A. BOLAÑOS (2007: 31).
7 J. BAUDRILLARD (2002: 181).
8 J. BAUDRILLARD (2002: 181-183 passim).
ARTE/UTOPIA: LE PROPRIETÀ LATENTI. UN’INDAGINE SULL’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA 273
Art can provide unique, and often unpredictable, viewpoints from which to
marvel or decry, inspect or challenge scientific ideas and assumptions – in
their words, a rather a different pair of glasses through which to understand
science9.
Questa inadeguata coscienza dell’arte segnerà la propedeutica
artistica del Novecento, con propositi tesi fra l’utopia e il velleitarismo,
tra la conservazione e la reazione. L’interessante saggio di David W.
Galenson, Conceptual Revolutions in Twentieth-Century Art (2009)
evidenzia le opere e la dialettica che gli artisti delle avanguardie ci
hanno trasmesso.
L’analisi dell’autore sulla situazione dell’arte definita innovativa si
sviluppa attraverso il concetto di lettura post-moderna – nell’accezione
del termine usato per descrivere i recenti sviluppi artistici nelle diverse
forme di vita sociale e urbana. Questa lettura critica dell’arte è utile per
comprendere le fondamentali interpretazioni teoriche e stilistiche
dell’arte moderna, come si afferma nell’introduzione al testo:
From Picasso’s Cubism and Duchamp’s readymades to Warhol’s silk-
screens and Smithson’s earthworks, the art of the twentieth century broke
completely with earlier artistic traditions. A basic change in the market for
advanced art produced a heightened demand for innovation, and young
conceptual innovators – from Picasso and Duchamp to Rauschenberg and
Warhol to Cindy Sherman and Damien Hirst – responded not only by cre-
ating dozens of new forms of art, but also by behaving in ways that would
have been incomprehensible to their predecessors. Conceptual Revolutions
in Twentieth-Century Art presents the first systematic analysis of the rea-
sons for this discontinuity. David W. Galenson, whose earlier research has
changed our understanding of creativity, combines social scientific meth-
ods with qualitative analysis to produce a fundamentally new interpretation
of modern art that will give readers a far deeper appreciation of the art of
the past century, and of today, than is available elsewhere10.
Nella lista degli innovatori dell’arte moderna il posto d’onore spetta
a Pablo Picasso, per proseguire poi con altri considerevoli creativi.
La prima opera che voglio prendere in considerazione è Still Life
with Chair Caning, realizzato da Pablo Picasso nel 1912, all’età di 31
anni. Si tratta di uno dei primi esempi di collage in cui alcuni oggetti e
materiali estranei sono applicati alla superficie dell’opera, violando in
questo modo i fondamenti dell’arte tradizionale.11
––––––––––––
9 J. BAUDRILLARD (2002: 181-183 passim).
10 D.W. GALENSON (2009).
11 http://www.cs.waikato.ac.nz/oldcontent/cbeardon/dcollage/collage3/hist.html#
274 Leonardo Pierro
lery-west-21st-street-october-29-through-december-18-2010/
15 http://www.artantide.com/news_Articolo?idArticolo=1396
ARTE/UTOPIA: LE PROPRIETÀ LATENTI. UN’INDAGINE SULL’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA 275
––––––––––––
16 http://www.christojeanneclaude.net/projects/surrounded-islands#.U4ZBIHlZrcs
17 http://www.telegraph.co.uk/culture/art/3671457/Niki-de-Saint-Phalle-The-power-of-
playfulness.html
18 http://www.migmag.co.uk/arts/wp-content/uploads/2012/01/tracey-emin-bed.jpg
19 http://marhaba.com.qa/qma-to-host-first-damien-hirst-solo-exhibition-in-the-middle-
east/#prettyPhoto/0/
20 http://arredoeconvivio.com/arredo-e-design/le-mitologie-arcaiche-di-anish-kapoor/
276 Leonardo Pierro
kosuth_one-and-three-chairs-1965/
22 E.A. SHANKEN (2002: 434).
23 http://blog.leiweb.it/arte/tag/marc-quinn/
ARTE/UTOPIA: LE PROPRIETÀ LATENTI. UN’INDAGINE SULL’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA 277
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the International Congress of Aesthetics (July 9-13, 2007, Ankara), Ankara: 1-6.
––––––––––––
26 Z. BAUMAN (2005: 2).
SOBRE UTOPÍA.
Escuela moderna/Ateneo libertario
(Elisa Franzoi & Massimo Mazzone)
escuelamoderna1@gmail.com
Crisis
Esta, que algunos llaman “crisis”, solo es capitalismo y los anar-
quistas ya habían presentido esta evolución desde el siglo XIX. Nuestro
deseo de conmemorar poco más de un siglo de luchas de anarcosindi-
calismo internacional no es una excusa ni un pretexto: a nuestro parecer
el Ideal no está muerto, en cambio sigue vivo y está demonstrando un
óptimo estado de salud en la praxis cotidiana, mucho más allá del poder
del Estado. El Ideal no es utopía, sino organización; no es un sueño, un
deseo, una esperanza, sino que es una praxis del día a día, un punto de
vista sobre la vida, un verdadero amor fanático por la libertad.
SOBRE UTOPÍA. ESCUELA MODERNA/ATENEO LIBERTARIO 283
¿Qué es la enseñanza?
La enseñanza parece ser transmisión de conocimientos y sabiduría.
Pero ¿qué son hoy las escuelas? ¿Son de verdad aquellos lugares ideales
que siempre declaran ser o son, en cambio, un camino articulado de
domesticación de las personas respecto de los paradigmas intangibles
para el hombre en la sociedad actual, o sea, dicho de otra forma, servi-
dumbre al poder indiscutible del Estado, a la inviolabilidad de la pro-
piedad privada y a la fe? Consideramos que hoy la educación no pre-
tende desarrollar al individuo, sino conformarlo mediante una ley invi-
sible o no escrita: la ley de la tradición. En virtud de su inexistencia
material, de su invisibilidad, dicha ley se apoya sobre la humanidad que
la soporta en su vida como algo que le pesa, como la piedra sobre las
fosas de los muertos. El resultado de este proceso lo observamos cada
día en el desempleo sistemático de las nuevas generaciones para las que
––––––––––––
1 Para conocer la actividad y los proyectos de estos grupos y artistas cf. los enlaces que apa-
Cartel con las actividades y acciones desarrolladas por el colectivo Escuela Mo-
derna/Ateneo Libertario, Madrid 2012.
Enlaces de interés
http://archiwatch.it
http://arquitecturascolectivas.net
http://artecantieri.blogspot.it
286 Elisa Franzoi & Massimo Mazzone
http://autoformato.wordpress.com
http://control-zeta.org
http://cox18.noblogs.org
http://estudioteddycruz.com
http://hackitectura.net/blog
http://juanpablomacias.tumblr.com
http://laminuscula.es
http://michaelkawitz.com
http://propagando.info/
http://straddle3.net
www.1024architecture.net/en
www.alainurrutia.com
www.alasbarricadas.org
www.anarca-bolo.ch/a-rivista
www.ateneoalmargen.org
www.complotsystem.org
www.democracia.com.es
www.elisafranzoi.com
www.escatelier.net
www.escuelamoderna.eu
www.exyzt.org
www.expolis.org
www.germinalonline.org
www.globalproject.info
www.gruppokoine.com
www.hipo-tesis.eu
www.interaccioneselectorales.org
www.karmelobermejo.com
www.lamatraka.es
www.lotperu.org
www.makeatuvida.net
www.martinazua.com
www.massimomazzone.it
www.maurofolci.it
www.mclink.it/n/gal/fnc/zanazzo/artist.htm
www.metalocus.es
www.nicolettabraga.it
www.osservatorionomade.net
www.recetasurbanas.net
www.saledocks.org
www.santiago-sierra.com
www.shigerubanarchitects.com
SOBRE UTOPÍA. ESCUELA MODERNA/ATENEO LIBERTARIO 287
www.skart.rs
www.sosworkshop.it
www.teatrodellacontraddizione.it
www.todoporlapraxis.es
www.unartists.org
www.yliver.com