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CORSO DI STORIA DELLA FILOSOFIA:

INTRODUZIONE AI CONCETTI E AGLI


AUTORI
prof. Francesco Piro

NB: Questa introduzione ai concetti


centrali della filosofia aiuta a leggere il
manuale, non lo sostituisce

1
I. La filosofia: una presentazione
La filosofia non è un sapere specialistico, ma
un’attività di ricerca (i) mirante a trovare criteri per
dare risposta a domande fondamentali, (ii)
mediante il confronto tra argomentazioni.
Sono “domande fondamentali” quelle che rivelano
conflitti profondi di orientamento tra le persone.
Poiché tali conflitti sono spesso svelati dai contrasti
sull’uso di parole come realtà, verità, bene, bellezza, la
filosofia spesso nasce dalla domanda su “che cosa
è” la verità o il bene, cioè tenta di offrire un
concetto preciso di tali termini.
2
Nascita e scopi della filosofia
La filosofia presuppone una società in cui siano
possibili discussioni libere su temi politici,
religiosi, scientifici, estetici, cioé in cui sia
permesso avere punti di vista alternativi.
Una società in cui solo una casta chiusa possegga
la cultura non produce discussioni. La filosofia si
rivolge invece a un’opinione pubblica libera e
suscettibile di interessarsi a discussioni (cioè: colta).
La filosofia presuppone la discussione
pubblica e cerca di renderla produttiva.
3
La nascita della filosofia occidentale
Le condizioni per la nascita della filosofia si sono
verificate per la prima volta nella Magna Grecia
(città greche in Italia e Asia) del VII secolo a.C..
Infatti: (i) vi erano città-stato (polis) autonome
governate da leggi scritte nate dall’accordo tra i
cittadini. (ii) la funzione commerciale di queste
città stimolava l’interesse per tecnica e scienza;
(iii) vi era diffusa la scrittura alfabetica, facile da
usare per conservare i pensieri. Nel V secolo a. C.
la filosofia arrivò anche ad Atene, la città più
potente della Grecia, creandovi scuole durevoli.
4
La filosofia occidentale e le altre
Rientrano nella “filosofia occidentale” tutte le
tradizioni nate dalla filosofia greca: le scuole tardo
-antiche, ma anche la Patristica e la Scolastica
cristiane, i “falasifa” arabo-islamici del IX- XII.
secolo d.C., la filosofia europea moderna.
Esistono riflessioni profondissime sui problemi
etici o metafisici anche nel confucianesimo e nel
taoismo in Cina; nelle scuole sorte dal
buddhismo in varie parti dell’Asia. Ma non si è
creato finora un dialogo profondo tra queste
filosofie e quella occidentale.
5
Le domande centrali della filosofia:
(i) la verità (→logica, epistemologia)
Poiché la filosofia si svolge per mezzo di
argomenti, essa incontra il problema di
distinguere gli argomenti buoni da quelli
cattivi (“sofistici”). Perciò parte della filosofia è
la logica, cioè la teoria dell’inferenza corretta.
Una parte della logica è oggi traducibile in linguaggi
matematici (calcolo proposizionale, predicativo, della
probabilità) ma buona parte di essa resta filosofica,
così lo resta l’epistemologia, la ricerca sui criteri
di correttezza e la metodologia delle varie scienze.
6
Le grandi domande della filosofia:
(ii) l’essere (→ metafisica, ontologia)
Una domanda fondamentale della filosofia è: che
cosa vi sia in comune in ciò che esiste, ovvero
come pensare l’essere. Più specificamente: che
cosa distingua gli enti reali dagli enti illusori, gli
enti primari (“sostanze”) dagli enti secondari
(“accidenti”), gli enti concreti da quelli astratti, se
vi siano enti non-materiali (l’anima, Dio…).
Da Aristotele in poi queste domande costituiscono
la “metafisica” o “ontologia”, scienza
dell’”essere in quanto essere”.
7
Le grandi domande della filosofia:
(iii) Il Bene (→Etica o Filosofia morale)
Vi sono dei principi di orientamento generali a
cui deve ispirarsi il nostro agire? Possiamo scoprirli
autonomamente cioè usando solo la ragione?
Queste sono le domande della Filosofia Morale
(dal latino mos) o Etica (dal greco ethos). La
domanda di fondo (domanda “meta-etica”) è se vi
sia un’unica fonte di valore (il “Bene”) o molti
valori tra loro inconciliabili. Da questa decisione
discendono conseguenze importanti per la prassi. .
.
8
Altre grandi domande filosofiche
- Se la natura sia un sistema unitario e di quale tipo
(Cosmologia, filosofia della natura).
- Se vi sia una Causa o il Principio al di sopra della
natura e se sia conoscibile (Teologia filosofica)
- Quali siano le regole di convivenza umana
migliori o più giuste(Politica e filosofia del diritto)
- Che cosa sia il “bello” (Estetica).e come segni e
immagini possano veicolare il pensiero
(Semiotica, filosofia del linguaggio)
- Come possiamo comprendere mentalità diverse
dalla nostra (Ermeneutica, filosofia della cultura)
9
La filosofia e le altre forme della cultura
Come si vede dalle precedenti domande, la ricerca
filosofica è in continua interazione con altre sfere
della cultura, quali la religione, la scienza, la
politica, l’arte (un metodo per capire
storicamente una filosofia è chiedersi quali
conseguenze essa provochi in queste sfere).
La specificità della filosofia è che essa cerca verità
accessibili attraverso la riflessione e il ragionamento su
esperienze comuni a tutti noi. Ciò ne determina il
potere ma anche i limiti.

10
Potere e limiti della filosofia
Per esempio, un filosofo che proclamasse di
possedere una verità che viene direttamente da
Dio cesserebbe di essere un filosofo, diverrebbe un
profeta o un capo religioso. Un filosofo può
interrogarsi se siano credibili certe pretese della
religione, ma non fondarne una.
Per fare un caso opposto, il filosofo può
discutere criticamente dei presupposti
epistemologici di una teoria scientifica, ma – se ne
ha una alternativa – deve provarla con i metodi
propri della scienza, non con argomenti filosofici.
11
Perché si studia la filosofia?
La filosofia è nel curriculum degli studi perché:
(i) Sviluppa le capacità logiche e critiche, cioè
rende più capaci di riflessione e argomentazione;
(ii) Rende coscienti dei problemi epistemologici
presenti nelle singole discipline, il che è importante
per quanti studiano scienze giovani e complesse;
(iii) Coloro che hanno responsabilità sociali
debbono saper riflettere sui dilemmi morali
implicati nelle loro scelte. (p. es. il medico deve
sapere di “bio-etica”). e la filosofia aiuta a farlo.
12
Perché studiamo storicamente la filosofia?
(i) Non vi è una filosofia definitiva, chi studia
filosofia deve sempre confrontarsi con una
pluralità di punti di vista alternativi.
(ii) Molti di questi punti di vista divengono più
comprensibili se li situiamo nel loro contesto di
nascita, cioè capiamo anche meglio come
potremmo attualizzarli nel nostro tempo.
(iii) Solo attraverso la storia conosciamo le
conseguenze politiche, scientifiche, religiose
artistiche, di una teoria filosofica, dunque il suo
ruolo nel complesso della vita della cultura.
13
Come si studia storicamente la filosofia?
Per l’opera di un pensatore si segua questo filo:
(1) Dati biografici basilari: epoca, nazionalità,
identità politica o religiosa, maestri di riferimento).
(2) La cultura del tempo in cui vive: le
discussioni e conflitti culturali di quell’epoca..
(3) I problemi che il pensatore si pone e come essi
sono collegati alle questioni toccate al punto 2.
(4) Le soluzioni offerte e soprattutto gli
argomenti su cui sono fondate tali soluzioni.
[Per i grandissimi autori, avere conoscenze sui libri
più importanti aiuta ad esporre più facilmente]
14
I. Il pensiero greco e antico
La prima filosofia greca consta di diverse tradizioni
che solo Platone e Aristotele ricongiungeranno:
(i)Vi è una tradizione naturalistica costituita dai
cosiddetti “physiologoi” i quali, dal VII. Secolo a.C
in poi, elaborano concezioni del kosmos come
ordinamento unitario: i Milesii, i Pitagorici,
Eraclito, gli Eleati, gli atomisti.
(ii) L’altra tradizione è la tradizione del pensiero
morale e politico, che non ha interessi
naturalistici: i Sofisti, Socrate.
15
L’eredità dei “physiologoi” (1)
I physiologoi vedono la natura (physis) e i suoi
ritmi come un “tutto” che ha una sola origine
(arkhé) e costituisce un unico ordinamento
(kosmos). Dallo sviluppo di questa prospettiva
cosmologica, nascono domande ulteriori quali:
(i) Il rapporto tra essere e divenire. La filosofia
si divide presto tra quanti vedono il mutamento
come unica legge (Eraclito) e quanti vedono gli
enti che nascono e muoiono come apparenze
mentre il “vero essere” deve essere eterno e
immutabile (Parmenide).
16
L’eredità dei “physiologoi” (2)
(ii) Il rapporto tra essere e pensiero. Come
spiegare poi la nostra capacità di comprendere il
nesso (logos) presente nel Tutto?
I primi filosofi scoprirono presto che l’esperienza
talora inganna e che l’anima deve trovare in se
stessa una guida per conoscere. Pitagora cercò
questa guida nei numeri, Parmenide nel
ragionamento logico. Nacque così il problema di
stabilire perché questo logos interno corrisponda
alla realtà esterna, cioè se e quale sia la radice
unitaria di essere e pensiero.
17
L’altra tradizione: la scoperta dell’uomo

Diffamata da Platone, la tradizione che si chiama


Sofistica era centrata sui bisogni educativi del
cittadino e mirante a diffondere una cultura basata
sulla conoscenza delle cose umane.
Un aspetto antifilosofico era il suo relativismo:
l’uomo, essere mutevole, non può conoscere
l’assoluto ma solo il relativo; non può sapere se
vi siano gli dei, né come è fatto l’universo; non
può stabilire il bene e il male in generale, ma solo
che cosa è utile nel momento dato (Protagora).
18
Socrate
Come i sofisti, Socrate (+ 399 a.C.) è un
pedagogo interessato ai soli problemi morali e che
usa il dialogo come strumento pedagogico. Lo
distinguono però dai sofisti del suo tempo:
(i) il realismo morale, opposto al relativismo:
bene e male sono oggetti di conoscenza.
(ii) l’uso del dialogo come strumento critico per
raggiungere questa conoscenza (“maieutica”);
(iii) la convinzione della superiore importanza
dell’anima rispetto al corpo: “è meglio
subire il male che farlo”.
19
Il processo a Socrate
Per gli Ateniesi, Socrate era un sofista in quanto:
(i) gettava dubbi sulla tradizione religiosa e
fondava la morale solo sulla razionalità.
(ii) usava il dialogo per criticare tesi comunemente
accettate e ne chiedeva una giustificazione, spesso
facendo contro-esempi paradossali (“ironia”).
Sfuggiva ai più che Socrate sperava che la filosofia
potesse salvare la città, facendole ritrovare criteri
condivisi di azione morale. Fu per farlo capire
che Socrate accettò la condanna a morte inflittagli.
20
Platone (vedi Manuale, pp. 5-20)

Platone non è l’unico discepolo di Socrate. Lo


furono anche Senofonte, i cosiddetti “megarici”, i
“cirenaici”, nonché i “cinici”.
Platone fu però il discepolo più geniale di Socrate.
Egli scelse di integrare il messaggio socratico in
una trama più vasta coordinata con stimoli
provenienti dai pitagorici, da Eraclito e da
Parmenide. Egli formò così la prima
prospettiva filosofica sistematica, coordinando
questioni fino ad allora trattate separatamente.
21
Punti di difficoltà dell’eredità di Socrate

Il pensiero di Socrate aveva dei punti critici:

(1)Socrate fu il primo a concepire il sapere


filosofico come una ricerca che intraprende colui
che “sa di non sapere”. Ma come si fa a
riconoscere la verità se non la si possiede già?
(2) Socrate pensava che “dentro di noi” vi sono
valori e ideali che non sappiamo di avere (e che il
dialogo permette di scoprire). Ma come giustificare
la presenza di tali verità nell’anima?
22
La soluzione di Platone: le “idee”
La soluzione di Platone furono le “idee”. L’anima
possiede da prima della nascita i modelli della
verità e li ri-scopre attraverso la ricerca:
reminiscenza
il pensiero ritrova
l’idea negli oggetti sensibili

Quando il corpo vede oggetti triangolari, l’anima


“ricorda” l’idea del triangolo, classifica gli oggetti alla luce
dell’idea (l’idea vale qui come genere) e, inoltre, li valuta
come più o meno perfetti (l’idea vale qui come modello).
23
Conseguenze: (A) l’epistemologia di Platone
La dottrina delle idee ammette il metodo socratico
(induzione, confronto di casi singoli per ricavare verità più
generali) come via verso la verità.
Ma, quando siamo arrivati al mondo delle idee, la
conoscenza inizi a procedere per via deduttiva,
traendo dalle idee (conosciute per intuizione) delle
verità logiche che l’esperienza non può smentire.
Scienza deduttiva tipica è la matematica (qui
Platone riprende i pitagorici). Platone però vuole
estendere a tutta la filosofia il metodo deduttivo..
24
(B) Conseguenze metafisiche

La dottrina delle idee mira a risolvere i due grandi


problemi latenti nelle dottrine dei physiologoi:
Essere/divenire: per Platone, il mondo visibile è
in perpetuo mutamento (Eraclito). Ma le “idee”
sono eterne e sono l’origine del mondo visibile
(Parmenide: l’eterno è più “reale” del divenire).
Essere/pensiero: per Platone, le idee sono
l’oggetto proprio del pensiero ma sono anche la
struttura della realtà visibile. Dunque, il pensiero
può cogliere l’essenza delle cose.
25
(C) Conseguenze antropologiche: il dualismo

Il pensiero di Platone suppone l’esistenza di due


realtà, un mondo “vero” di oggetti del pensiero e
un mondo “apparente” di oggetti materiali.
Questo dualismo permette a Platone di introdurre
una separazione radicale tra l’anima e il corpo.
Il corpo è il “carcere” dell’anima: esso è sottoposto
alla legge del divenire (si ammala, muore…). Per
contro, l’anima è dotata di auto-movimento
(autokinesis) e sopravvive al corpo.
26
(D) Conseguenze religiose

Platone giunge così a una filosofia che cerca di


rivelarci il senso nascosto della realtà, basandosi su
miti tratti dai misteri delle religioni antiche. In un
certo senso, il platonismo svolse il compito di una
religione e infatti, nell’età tardo-antica, esso
divenne la religione della classe colta.
Va detto però che Platone arrivò a queste
soluzioni sulla base di un problema strettamente
filosofico: giustificare l’utilità della conoscenza astratta
(concettuale), spiegare perché essa è utile all’uomo
27
(E) Conseguenze politiche
La teoria delle idee garantisce che vi è un modello
eterno anche della città migliore: quello basato sul
primato del sapere sulla virtù guerriera e di
quest’ultima sul desiderio di benessere materiale.

In Repubblica, Platone vagheggia uno Stato in cui i


filosofi educhino e dirigano i custodi-guerrieri,
vivendo con essi in un regime di comunione di
beni. Gli altri potranno avere proprietà e famiglia ma
non peso nel governo (vai al Manuale, pp. 11-14).
28
(F) I grandi miti platonici

(i) Miti psicologici:


- Il mito della biga alata (“Fedro”)
- Miti su Eros come semidio (“Simposio”)
(ii) Miti sulla conoscenza come via di salvezza:
- Il mito della caverna (“Repubblica”)
(iii) Miti sul destino dell’anima:
- Il mito di Er (“Repubblica”)
(iv) Miti sull’origine delle cose:
- Il mito del demiurgo (“Timeo”).

29
(La biga alata: l’anima e le sue facoltà,
l’analogia anima - città
L’anima si divide a seconda della parte del corpo a
cui è preposta (cervello, cuore, ventre):
- Anima intellettiva: coglie le idee, contempla
- Anima “irascibile”: agisce , è la forza d’animo
- Anima “concupiscibile”: desidera, allo scopo
di nutrire e soddisfare il corpo .
Questa gerarchia dell’anima corrisponde alle tre
classi fondamentali della città: filosofi, guerrieri,
produttori. La città è ordinata se i filosofi guidano
i guerrieri e questi ultimi governano i produttori.
30
Il mito di Eros: come l’anima si risveglia
Eros è un semidio figlio di Poros (ricchezza) e Penia
(povertà). Egli prende di mira le persone
ingegnose, infondendo in loro il bisogno di
completarsi unendosi a persone più belle di loro.
Per Platone, l’anima si risveglia al bene grazie
all’esperienza del bello. Il bello fa trasparire nel
mondo sensibile ciò che è ideale e perfetto. È
naturale che ci si innamori dei bei corpi, ma solo
chi arriva a capire che la bellezza del carattere è
superiore di quella dell’aspetto scopre l’amore vero
.
31
Il mito della caverna: le quattro tappe della
conoscenza (“Manuale”, pp.. 16-18)
(i)Gli uomini che guardano le ombre sul fondo
della caverna sono coloro che assorbono senza
riflettere (eikasia: opinione o immaginazione).
(ii)Gli uomini che portano in giro le statue sono gli
inventori di ipotesi non fondate (pistis: congettura)
(iii) L’uomo che, uscito dalla caverna, stenta ad
abituarsi alla luce è colui che ragiona su singoli
problemi isolati (dianoia: ragionamento).
(iv) L’uomo che arriva a guardare il cielo e il Sole è
colui che abbraccia il tutto ed è in grado di cogliere il Bene
sommo (nous: intelligenza, intuizione). 32
Altri miti platonici
Il mito del demiurgo in “Timeo” spiega
che il mondo visibile nasce da un compromesso
tra un “demiurgo” semi-divino che vuole
raffigurare le idee nella materia e la “necessità”
che esige che la materia sia instabile e che ciò che
nasce muoia.
Il mito di Er spiega che le anime siano
premiate o punite per ciò che hanno fatto in vita.
Dopo un certo tempo, esse dovranno però
ridiscendere nel mondo in nuove figure umane
(trasmigrazione delle anime). 33
Aristotele: il grande enciclopedista antico
(Manuale pp. 21-22)

Aristotele di Stagira (384-322 a.C.) è stato il più


grande allievo di Platone. Ma egli fu anche il primo
rivale del platonismo: il suo Liceo fu in Atene il
grande concorrente dell’Accademia di Platone.

Aristotele fu allievo dell’Accademia fino alla morte


di Platone. Ma rifiutò di seguire il nuovo gerarca
Speusippo, che accentuava il carattere misterico e
religioso del platonismo.
34
Aristotele: naturalismo e empirismo

Aristotele era figlio di un medico. Diversamente da


Platone, egli apprezzava i saperi naturalistici basati
sull’esperienza. La sua filosofia stabilisce:
(i)che la natura è conoscibile attraverso i sensi;
(ii) che non esistono idee innate
(iii) Che noi formiamo i concetti per astrazione,
confrontando tra loro i dati sensoriali.
(iv) che la natura è fatta di enti concreti, corporei.
Aristotele ammette infatti un Dio incorporeo, ma
non un “mondo delle idee” (“Manuale”; pp. 23-24)
35
(A) Logica e metafisica (Manuale, pp. 27-33)
Aristotele fonda queste tesi nel trattato che porta il
nome di Metafisica (in origine il nome significava:
temi da trattare dopo quelli della fisica), trattato in
cui egli si chiede:
Che vuol dire “essere”? Perché diciamo che
una cosa esiste e un’altra no?
Per Aristotele, l’essere si dice in “molti modi”. Il
colore di una rosa è qualcosa, ma non è una entità
a se stante. Il tipo di essere primario sono le
sostanze che sono gli enti concreti autonomi.

36
Concreto contro astratto

Per Aristotele, è concreto l’ente individuale, del


quale possiamo dire “questa cosa qui” (tode ti).
Per contro, il “triangolo”, il “cerchio”, il
“quadrato” non sono enti veri e propri. Sono
concetti (“universali”) attraverso i quali
individuiamo dei tratti che sono comuni a molti
concreti. Essi non esistono direttamente, ma
esistono solo incorporati nei concreti: sono
“sostanze seconde”, non “sostanze prime”
37
Sostanza come individuo e come categoria

Aristotele chiama l’ente concreto hypokeimenon:


“ciò che sta sotto”, in latino sub-stans, sostanza.
Noi spesso denominiamo tali enti concreti
attraverso nomi comuni come cavallo, uomo,
sedia, etc. Questi nomi comuni ci permettono di
differenziare la sostanza come concetto (ovvero
come categoria: concetto fondamentale) dai
concetti di quelle entità che sostanze non sono:
cioè dai concetti di qualità, quantità, relazione,
azione, passione, situazione, che sono le altre
categorie.
38
Proprietà essenziali e proprietà accidentali

Esaminando i diversi generi di sostanza (cavalli,


cani, uomini, sedie, tavoli etc.) ci accorgiamo che
ognuno di essi ha delle proprietà necessarie, che
ci mostrano l’essenza di questi enti. Un cavallo è
necessariamente erbivoro. La scienza umana si sforza
di scoprire innanzitutto queste proprietà essenziali.

Ogni singolo ente concreto ha però anche


proprietà accidentali o mutevoli: il singolo
cavallo può essere giovane o vecchio, essere sano o
malato, essere bene o male addestrato.
39
Potenza e atto
Le proprietà necessarie di un ente sono sempre in
atto, cioè ci sono sempre. Le proprietà
contingenti invece ci sono qualche volta e altre
volte no. Esse sono dunque potenzialità, ovvero
proprietà che si attuano solo a certe condizioni.
Un pulcino può diventare un gallo, ma anche un
arrosto: dipende da come l’ambiente lo aiuta.
(come vedremo meglio, le proprietà accidentali
dipendono soprattutto dalla materia, quelle
essenziali dalla forma di un determinato ente)

40
Dio e il mondo
Nessuna potenzialità si attua da sola. Il pulcino
non nasce da solo, ha bisogno di un genitore; se
cresce, lo deve sempre all’aiuto dell’ambiente etc.
Analogamente, l’universo materiale non può
nascere da solo, ma deve avere una causa esterna,
un motore immobile, che sia atto puro (privo di
potenzialità ulteriori, perfetto in sé). Questo è il
Dio di Aristotele, che ha come ulteriore qualità
l’essere pensiero di pensiero, cioè di pensare gli
enti e pensare contemporaneamente se stesso.

41
(B) La fisica di Aristotele
Ma perché uno stesso individuo naturale può avere
sia proprietà essenziali e necessarie, sia proprietà
accidentali e contingenti?
Per Aristotele, ogni ente reale diverso da Dio è un
sinolo (syn-olon: tutto insieme), cioè un
composto di forma (morphé) e materia (hyle).
(i) La forma è la struttura interna dell’ente e gli
dà l’identità (qui Aristotele riprende Platone).
(ii) La forma però esiste solo quando organizza
la materia (qui Aristotele si distanzia da Platone).
-- 42
Una fisica centrata sui corpi viventi, animati
L’ilomorfismo (hyle+morphé) di Aristotele nasce dai
suoi profondi interessi biologici e zoologici (egli
dedica 3 libri allo studio dei viventi).

Aristotele capisce che ogni essere vivente ha una


forma, ha delle proporzioni interne ben fissate –
proprio come un triangolo o un cerchio – e la
forma non sussisterebbe se il corpo non assorbisse
e perdesse materia di continuo. Un corpo vivente è
il tipico esempio di sinolo (syn –olon: tutto insieme)
43
(Un’ipotesi di interpretazione)
Immaginiamo Aristotele che esamina lo scheletro di un animale,
riconoscendo le funzioni delle parti. Immaginiamo i suoi pensieri:
(1) Questa forma è perfettamente ben fatta come le “idee” del mio
maestro Platone, ma è evidente che essa è fatta per sorreggere
un corpo materiale e per farlo agire.
(2) Questa forma è complicata, non l’avrei mai immaginata senza
farne l’esperienza. Non sono le idee, ma è l’esperienza. che mi
conduce a conoscere le forme.
(3) La forma organizza il corpo e lo rende attivo, ma a sua volta
viene servita dal corpo, lo usa . Generazione dopo generazione,
ogni animale di una stessa specie ha la stessa forma.
(4) Questa forma è però fragile: se la materia si deforma o si
corrompe per qualunque causa efficiente esterna, la forma non
può operare (e il corpo muore).
44
Le quattro cause
Aristotele deduce di qui che in natura vi sono
quattro cause che spiegano i fenomeni naturali:
Causa formale: la palla rotola perché è tonda (la
“forma” è il modo in cui una data cosa è fatta,)
Causa materiale: un oggetto di legno si incendia,
uno di ferro no (la “materia” è ciò di cui è fatta)
Causa efficiente un oggetto può muoverne un
altro (agire) o esserne mosso (patire).
Causa finale: : un animale si muove anche
spontaneamente quando vuole realizzare uno
scopo.(p. es. mangiare).
45
Applicazione della teoria delle cause
Per Aristotele, i cieli (composti da 55 sfere
cristalline) seguono la sola causa formale. La
loro materia è omogenea, dunque esprime sempre
docilmente la forma.
Per contro, le entità materiali terrene
(“sublunari”) si modificano seguendo solo la
causa materiale nonché la causa efficiente (che
è l’azione di un ente materiale su un altro).
Infine le entità viventi (piante e animali) fanno uso
della causa finale, ovvero agiscono per degli scopi
46
I viventi: l’anima e la causalità finale
Per Aristotele, la causalità finale è propria degli
enti che hanno un’anima (psyche). L’anima è
infatti la potenzialità, propria di un corpo dotato di
organi, di agire in modo da preservare a lungo
la forma e anzi trasmetterla (con la
riproduzione). L’anima è perciò “entelechia”,
quell’essere sempre in azione per un fine che è la
caratteristica propria dei viventi.
Nello schema di Aristotele, hanno un’anima anche
le piante e gli animali, non solo l’uomo.

47
(C) Il posto dell’uomo (Manuale, pp. 24-27)
Aristotele definisce l’uomo come uno zoòn cioè
un vivente: un essere fragile che ha bisogno di
agire finalisticamente per continuare ad esistere.
Ogni vivente ha l’anima vegetativa che presiede
agli scambi materiali tra corpo e ambiente
(respirazione, nutrizione etc.).
Gli animali, a differenza delle piante, si muovono e
hanno sensazioni, cioè hanno l’anima sensitiva.
L’uomo ha anche un’anima intellettiva che gli fa
formare concetti a partire dalle sensazioni.
48
Intelligenza teorica e pratica
L’intelletto (nous), la capacità di pensare concetti,
forme senza materia, è la dote che distanzia
l’uomo dagli altri viventi avvicinandolo a Dio.

Già nella poiesis, nella produzione


materiale, vi è un’intelligenza che prende il nome
di techne, abilità a produrre. Anche nella praxis,
nelle relazioni politiche tra gli uomini, vi è
un’intelligenza in atto, la “saggezza” (phronesis).
Infine, allorché l’uomo impara ad amare il sapere
disinteressato, la theoria, nasce l’uso veramente
divino dell’intelligenza, cioè la sophia, la sapienza.
49
L’uomo animale politico
Se l’intelligenza teorica è la più divina, l’uomo non
potrebbe vivere senza le altre due. L’uomo infatti è
un animale politico, che può vivere solo
cooperando con i suoi simili.
Le due grandi istituzioni che l’uomo ha creato
sono: famiglia (oikos) e comunità civile (polis).
- La famiglia è una comunità di diversi per grado
(uomini-donne, padri-figli, padroni-servi) che ha
come scopo la continuità della vita.
- La comunità civile è una comunità di pari grado
(cittadini) che cooperano per beni collettivi (pace,
benessere, educazione dei più giovani). 50
Le virtù etiche e quelle dianoetiche
Non si è buoni membri della polis senza virtù,
cioè senza divenire abitualmente capaci di
prestazioni inizialmente difficili o sgradevoli..
Le virtù fondamentali sono le virtù etiche,
che nascono quando impariamo a stabilire un
giusto mezzo o un equilibrio tra i nostri impulsi
naturali. Coraggio, generosità, e soprattutto
giustizia sono virtù a cui tutti vanno educati.
Altre virtù sono quelle dianoetiche o
dell’intelligenza: abilità tecnica, saggezza, sapienza
Esse nascono dalle doti naturali e dall’esperienza. 51
Etica e politica in Aristotele
Come si vede, in Aristotele esiste una gerarchia di
perfezione, ma anche uno spazio specifico per
ogni diversa forma di intelligenza e di virtù.
Ciò si deve al fatto che Aristotele non ha il
sogno di creare una città retta dai filosofi. Per lui la
costituzione migliore è la costituzione mista: tutti
i cittadini hanno dei diritti di base (e dei doveri:
essere coraggiosi, temperanti, giusti), come nella
democrazia, ma le cariche più alte sono riservate a
uomini esperti e saggi (non ai filosofi, il cui
compito è teorizzare e insegnare).
52
Polis e Kosmos
Possiamo notare che questa logica di integrazione
tra diverse sfere è tipica di tutto Aristotele.
Anche se fondato su una gerarchia (Dio come
perfezione, la materia come imperfezione), il
sistema aristotelico è anche inclusivo: ogni sfera
ha una sua razionalità e le varie sfere debbono
coesistere e collaborare. Questo è il messaggio
conciliante di Aristotele, il quale scrive per un
pubblico nuovo: non più cittadini a tempo pieno;
ma da cittadini che hanno anche una vita familiare
e interessi professionali. 53
II. Il millennio teologico della filosofia
occidentale
Il contesto storico
L’epoca che va dalla crisi dell’Impero Romano
d’Occidente fino alla fine dell’Impero Romano
d’Oriente, chiamata “Medio Evo” dagli Europei, è
un’epoca contrassegnata da un enorme
rimescolamento di popoli, ma anche da un nuovo
fattore culturale: il peso che le religioni vengono
ad esercitare nel trasformare questi popoli in
grandi comunità unitarie: il Sacro Romano
Impero, L’Impero Bizantino, il Califfato Islamico.
54
Le “religioni di salvezza”
Le religioni emergenti in questo periodo sono
universalistiche (si rivolgono a tutti gli uomini)
vogliono fare uscire l’uomo da una condizione di
peccato e gli danno regole che lo rendano gradito
a Dio, dandogli accesso all’altra vita.
Tutte le religioni di salvezza del
Mediterraneo nascono dalla tradizione religiosa
ebraica e ne sviluppano alcuni aspetti: il
monoteismo, il messianismo, la speranza in
un mondo futuro che ricompensi i giusti.
55
Le religioni e la filosofia

Le nuove religioni spesso disprezzano la filosofia e


si fidano soltanto delle verità rivelate (“fideismo”).
Ma prima o poi esse vengono a compromessi con
la filosofia, sia per motivi di inculturazione, sia
per risolvere dilemmi nati dall’interpretazione
delle Scritture.

La filosofia greca, che ha fin da Platone una


problematica teologica, divenne così un elemento
della cultura promossa dalle nuove religioni.
56
Filosofie teologicamente orientate
Fondamentale per questo sviluppo fu il
neoplatonismo, movimento filosofico nato nel
III. secolo d.C. che sviluppò una teologia filosofica
autonoma, all’inizio in competizione con i nuovi culti.

Plotino (205-270 d.C) interpreta il “Bene”


platonico come il “primo Dio”, l’Uno, da cui
emanano tutte le cose. L’anima può essere felice
solo se “risale” all’Uno. Per farlo, non basta la
conoscenza, occorre che l’anima pervenga
all’unione totale con l’Uno, cioè all’estasi.
57
Gli effetti del neoplatonismo

Pur nato in ambiente pagano, il neoplatonismo


influenzò tutto il pensiero medievale. Esso diffuse
il gusto per la mistica, per la speculazione solitaria
“da solo a solo”, e pose nuovi problemi come:
(1) Possiamo dimostrare che il mondo visibile
deriva da un principio del tutto diverso da
esso, ovvero che lo trascende?
(2) Se questo principio è diverso da tutto il resto,
possiamo conoscerlo? Possiamo dirne qualcosa
solo o parlarne solo per negazione?
58
Cristianesimo e filosofia: i “Padri”

All’inizio il cristianesimo fu ostile a tutte le


filosofie pagane con Tertulliano. Poi sposò molte
dottrine neoplatoniche con i “Padri” greci
Origene, Clemente di Alessandria, Gregorio di
Nissa e altri ancora.
Accettando la filosofia, il cristianesimo
ammetteva che il mondo creato da Dio è un ordine
razionale, degno di studio (dunque le scienze
sono buone) e che la Scrittura va applicata
tenendo conto dei dettami della ragione.
59
Fede e ragione: S. Agostino (Manuale, pp. 39-47)

Tra i Padri latini, Aurelio Agostino (354-430 d.C.)


fu colui che sostenne la collaborazione tra Scrittura
(“fede”) e filosofia (“ragione”).
Per Agostino, la ragione da sola finisce nello
scetticismo, cioè finisce per dubitare di tutto. Solo
la fede conforta e dà speranza. .
Ma, senza la ragione, la fede potrebbe
diventare superstiziosa. Occorre perciò integrarle.
Credo ut intelligam, intelligo ut credam.
60
Agostino: il male e la risposta ai manichei
Un esempio di ntegrazione è la teologia
agostiniana del male.
Come i neoplatonici (e contro i manichei)
Agostino giudica il male come una mancanza,
non una sostanza: Gli enti creati sono
necessariamente meno perfetti di Dio, ma l’ordine in cui
sono inseriti compensa e armonizza i loro difetti.
Per Agostino, tuttavia, vi è un Ente che può
produrre il male, cioè peccare. E’ l’uomo, a cui Dio
ha dato il libero arbitrio. Il peccato di Adamo, ha
generato la “caduta” del genere umano e solo la
Provvidenza può porre rimedio ad essa.
61
L’anima e Dio
Per salvarsi dal peccato, l’anima deve “rientrare” in
se stessa. In se stessa, essa trova le verità eterne (le
“idee” platoniche), ma solo quando Dio la
illumina, essa giunge a convincersi della loro
verità e a credere nell’esistenza di Dio.
Agostino dunque vede l’anima non solo
come un soggetto che conosce, ma come un
soggetto che si interroga su se stesso, come
un’autocoscienza. Non a caso, egli scrive il primo
libro autobiografico della storia, le Confessioni.

62
L’anima e il tempo
Tre facoltà caratterizzano l’anima: l’intelletto, la
volontà, la memoria. Se non avesse memoria,
l’anima non potrebbe discutere con se stessa.

Grazie alla memoria, l’anima può conservare il


passato e confrontarlo con il presente e con il
futuro. Solo l’anima ha dunque coscienza del
tempo e del suo scorrere. Il tempo non è una
realtà autonoma, ma una dimensione
dell’anima stessa.

63
La storia e la città di Dio
Oltre all’anima e al tempo, altro grande tema
agostiniano è la storia umana.
La storia nasce dal peccato di Adamo che dà luogo
a una città “del diavolo” dove domina la
prepotenza. Lentamente Dio costruisce la propria
“città di Dio”, la Chiesa. Senza volerlo, la città
del diavolo collabora con la città di Dio (=
Provvidenza). Dio fa sì che passioni cattive
servano a fini buoni: l’antica Roma era viziosa, ma
i suoi vizi la portarono a creare un vasto Impero
adatto a propagare il cristianesimo.
64
Agostinismo e spirito europeo

La cultura europea deve ad Agostino una


concezione dinamica dell’anima che non ha eguali
in altre culture, anche cristiane, e che esalta la
funzione dell’autocoscienza individuale per la
ricerca del bene e della salvezza.
. Lutero, Descartes, Leibniz, sarebbero
impensabili senza Agostino.
Anche l’attenzione di Agostino per la storia
umana e le sue vicende feconderà filosofie molto
successive come quella di Vico o di Hegel.
65
La Scolastica
Si chiama “Scolastica” (in opposizione alla
“Patristica”) tutto l’insieme di tradizioni di
pensiero sorte nel Medioevo nelle “scholae”, cioé
nei centri di istruzione per giovani.

Poiché a quei tempi la classe colta finiva per


coincidere con quella dei preti e dei monaci, si
trattava di solito di “scholae” dei conventi. In
queste scuole, si studiavano dialettica, retorica,
grammatica (trivio) nonché musica, astronomia,
fisica, matematica (quadrivio).
66
La Scolastica “conventuale”
I grandi conventi (Cluny, Chartres etc.) furono
centri di una grande tradizione di pensiero
platonico e agostiniano. Il più grande tra i
pensatori di questa fase è S. Anselmo da Aosta
(1033-1109) , autore tra l’altro della prova a priori
(= a partire dal concetto) dell’esistenza di Dio.
Partendo dalla definizione di Dio come ens quo
nihil maius cogitari nequit (= ciò di cui non può
esservi nulla di maggiore) Anselmo deduce che tale
definizione implica che Dio esista di fatto,
altrimenti non sarebbe il “maggiore” tra gli Enti. 67
La Scolastica universitaria
A partire dal XII. Secolo, nacque però anche un
altro centro di cultura, l’Università. Le prime
università (Parigi, Pavia, Bologna…) nacquero
come corporazioni di giovani che assoldavano
professori per apprendere una professione
(medicina,giurisprudenza). Presto nell’università si
iniziò a fare anche filosofia, con autori spesso
ritenuti pericolosi come i “nominalisti”. Perciò
nel XIII. secolo fu imposto che le cattedre di
teologia e filosofia fossero date a membri di ordini
ecclesiastici, tra cui Domenicani e Francescani.
68
Il ritorno di Aristotele

Il grande evento del XIII. secolo fu il ritorno di


Aristotele e delle scienze della natura. Attraverso le
conquiste di territori prima governati dagli Arabi, i
Latini trovarono e tradussero i testi di medicina,
di astronomia, ottica, matematica, filosofia, che
la cultura arabo-islamica aveva prodotto o tradotto
dal greco (come appunto Aristotele).
L’aristotelismo si diffuse in tutte le università.
Nella Chiesa si ebbero ondate di ostilità verso i
nuovi filosofi aristotelici, sospettati di eresia.
69
L’aristotelismo cristiano di Tommaso
d’Aquino (Manuale, pp. 51-59)
Furono i Domenicani con S. Alberto Magno
(1200-1280) e S. Tommaso d’Aquino (1225-
1274) a difendere l’aristotelismo e le scienze
naturali, scagionandoli agli occhi della Chiesa.
Tommaso considerava Aristotele come il
“Filosofo” che Dio aveva dato all’umanità per
mostrare che cosa può la ragione umana senza la
fede, in modo che i Cristiani sapessero distinguere
bene tra ambiti di fede e di ragione.
70
Fede e ragione: autonomia e integrazione

Tommaso rifiutava le idee innate e crede che


l’uomo conosca la realtà attraverso i sensi e il
processo di astrazione (che per lui è un’attività e
dunque presuppone nell’uomo un intelletto attivo,
naturalmente immortale).

Dunque la ragione è l’unico giudice in campo


naturalistico. A differenza di Agostino, Tommaso
ammette un campo in cui la ragione è autonoma.
71
Le cinque vie
Tommaso rifiuta la prova a priori di Anselmo,
legata all’ipotesi di un’idea in noi innata di Dio. Per
Tommaso la ragione arriva a Dio attraverso la
conoscenza del reale.
Egli elabora perciò 5 vie “a posteriori” per arrivare
a Dio: (1) a partire dal movimento; (2) a partire
dalla causalità; (3) a partire dalla contingenza; (4)
a partire dalla perfezione; (5) a partire dalla
finalità. Tutte hanno un andamento “regressivo”::
vanno da un dato di fatto alle sue condizioni.

72
L’analogia entis
Ma può la ragione farci comprendere che cosa
è Dio (e non solo che Dio esiste)?
Per certi versi, no, perché Dio è al di sopra della
ragione. Solo la fede può stabilire la verità della
Trinità o dell’Incarnazione.
Tuttavia, la ragione può conoscere qualcosa di
Dio per “analogia”, cioè risalendo idealmente la
scala di perfezioni di cui Dio è il vertice. Se gli Enti
hanno un’essenza e un’esistenza indipendenti, in
Dio esse coincideranno. Se gli Enti sono “buoni”
in qualche misura, Dio deve essere la bontà stessa.
73
Universali e analogia entis
La tradizione platonica concepiva i concetti come
“idee” poste sia in noi che in Dio, dunque come
antecedenti le cose stesse (ante rem).
Per i nominalisti (Roscellino, Abelardo….) i concetti
sono astrazioni fatte dagli uomini post rem, non
sappiamo se e come Dio li concepisca.
Per Tommaso, noi conosciamo gli universali post
rem, la regolarità della natura ci induce a stabilire che
essi sono anche in re (nelle cose stesse) e quindi, per
analogia, anche in Dio (ante rem).

).
74
Anima e corpo nell’uomo
Per Tommaso, l’anima è forma sostanziale del
corpo. Questa concezione è anti-agostiniana
perché collega intrinsecamente anima e corpo.
Tuttavia, l’anima umana ha un intelletto
agente che la distingue e la rende padrona del
corpo. Perciò essa è naturalmente immortale
(contro gli aristotelici “mortalisti” come Averroé).
Nello schema tomista, resta però vero che
l’anima umana è incompleta senza il corpo. Di qui
la forte adesione di Tommaso al dogma della
“resurrezione del corpo” nel giorno del Giudizio.
75
III. L’età moderna

L’età moderna ha diverse periodizzazioni (la più


diffusa va dal 1492, scoperta dell’America, al 1815,
congresso di Vienna). Si conviene però che essa
sia l’età della formazione e sviluppo degli Stati
nazionali europei età in cui iniziano alcuni
processi di trasformazione sociale e culturale che
l’Europa esporterà in tutto il mondo: (1)
formazione dello Stato territoriale sovrano (2)
passaggio generalizzato all’economia di
mercato; (3) nascita di una cultura razionalistica
e scientifica, che esalta il “progresso”. 76
Un’età di rivoluzioni
L’età moderna ha conosciuto grandi rivoluzioni
politiche (la Riforma, le due rivoluzioni inglesi, la
Rivoluzione americana, la Rivoluzione francese).
Ma vi sono state anche rivoluzioni più “silenziose”
e però anche più efficaci, come:
(1) La rivoluzione del libro, con la stampa a
caratteri mobili.
(2) La rivoluzione scientifica (Copernico,
Galilei, Newton).
(3) La rivoluzione industriale (il passaggio alla
manifattura e poi all’industria meccanizzata)
77
Come cambia il mondo della cultura
Nell’Europa moderna, nasce una cultura laica
fatta di intellettuali che si rivolgono direttamente
all’opinione pubblica colta. A fianco
dell’Università (spesso rinchiuse in ottiche
conservatrici), nascono le Accademie (centri di
cultura promossi dal mecenatismo dei principi), e
infine la Repubblica delle Lettere. Formatasi
attraverso gli scambi epistolari tra i dotti, questa
“repubblica” riceverà nuova linfa dalla nascita del
mercato editoriale, cioè dai libri e poi (alla fine
del XVII. secolo)dalle riviste.
78
Dal culto degli Antichi alla crisi dell’autorità
I primi intellettuali laici moderni, gli umanisti del
XVI. e XV. secolo, effettuarono la riedizione di
tutto il patrimonio antico ignoto ai medievali. Il
loro culto degli autori antichi aveva uno scopo
pratico: gli Antichi apparivano come delle guide
credibili per la vita politica e morale, che si voleva
emancipare dalla tutela della teologia.
Il vero centro del pensiero umanistico era l’idea
che l’uomo è l’essere che può costruire
autonomamente il proprio destino, idea che via
via corroderà il rispetto per le autorità del passato.
79
La lunga crisi religiosa
Dal bisogno di risalire alle “fonti” nasce anche la
Riforma luterana e calvinista che vuole riportare la
Chiesa alle sue origini ed esige il primato della
Scrittura (lettura diretta del testo da parte del
credente); la riduzione dei sacramenti; la
centralità della fede individuale.
La lotta tra protestanti e cattolici generò in
Europa una serie di guerre civili di religione che
dureranno dal 1517 al 1648. Il risultato imprevisto
fu il diffondersi del dubbio religioso e un sempre
minor potere delle Chiese sulla vita sociale.
80
La grande svolta: la nuova scienza
Anche la scienza moderna nacque dal ritorno a
tradizioni più antiche e non aristoteliche: i pitagorici
(amati da Copernico), Archimede (amato da Galilei),
gli atomisti antichi….
Ma le nuove scienze impararono molto presto a
giustificare le scoperte non in base all’autorità, ma
in base a verifiche sperimentali condotte con
metodi rigorosi (quantitativi, matematici). La scienza
pioniera di quest’evoluzione è la meccanica, che
studia i processi fisici più basilari.

81
La questione copernicana
All’astronomo Nicolò Copernico (1473-1543) si
deve il ritorno dell’ipotesi pitagorica del moto della
Terra intorno al sole (eliocentrismo).
Respinta dalle autorità del tempo, l’ipotesi verrà
difesa filosoficamente da Giordano Bruno (1548-
1600), astronomicamente da Johannes Kepler (1571-
1630) che scopre il moto ellittico dei pianeti,
fisicamente da Galileo Galilei (1564-1642) che
spiega il moto della Terra con una fisica tratta dalla
meccanica: relatività del moto, composizione
geometrica dei moti, principio di inerzia.
82
L’età del dubbio
All’inizio del Seicento, la cultura maggioritaria è ancora
aristotelico-scolastica (ne sono alfieri i Gesuiti, il nuovo ordine
colto della Chiesa).
Una minoranza combattiva di nuovi autori invita a rifiutare le
autorità e delinea nuovi metodi per la ricerca autonoma: Galilei,
con il metodo matematico-sperimentale; ma anche Francis
Bacon (1561-1626), alfiere del metodo induttivo.
Tra i giovani è però anche molto diffuso un dubbio
radicale sul potere dell’uomo di conoscere, lo scetticismo,
espresso da Montaigne e da altri.

83
Cartesio: una metafisica per la nuova scienza
(Manuale, pp. 65-75)
Alla filosofia di Réné Descartes (1596-1649)
spetterà il compito di combattere lo scetticismo,
dando invece fiducia nelle nuove scienze.
L’unicità di Cartesio sta nel fatto che egli
prende sul serio il dubbio. Per lui, tutto ciò che
non sia assolutamente certo, può legittimamente
essere messo in dubbio. Non a caso, il “Discorso
sul metodo” (1637) si apre con una critica
impietosa di tutti i saperi appresi al collegio
(gesuitico) di La Flèche, il migliore di quei tempi

84
Le regole del metodo
(i) Regola dell’evidenza: accogliere come vero
solo ciò che lo è con evidenza (= basato su
un’idea chiara e distinta dell’oggetto).
(ii) Regola dell’analisi: dividere ogni problema in
tante parti quanto è necessario per risolverlo.
(iii) Regola della sintesi: progredire via via dai
problemi semplici già risolti a quelli più
complessi, seguendo un ordine rigoroso.
(iv) Regola dell’enumerazione: ripercorrere tutti
i passaggi fatti e renderli ancora più semplici.
Con tali regole, si può superare il dubbio scettico.
85
E se il mondo fosse un sogno?
E tuttavia anche le regole del metodo potrebbero
essere false. Se il mondo fosse un sogno, se la
nostra ragione fosse fatta per sbagliare, se un
demonietto maligno ci ingannasse ogni volta che
ragioniamo, non ci sarebbe nulla di vero. O no?

No, resterebbe un enunciato ancora evidente:


Io penso, dunque esisto (cogito, ergo sum).
Da questa verità banale, Cartesio riuscirà a trarre
verità fondamentali metafisiche meno banali.

86
Le verità ultime (metafisiche)

(1) Se io conosco la mia esistenza attraverso il solo


pensiero, io sono un’anima e non un corpo
(dualismo metafisico: anima ≠ corpo)
(2) Se in me c’è l’idea di perfezione, qualcuno
deve avermi dato quest’idea e questo Ente, se è
perfetto, deve esistere di fatto
(teismo: certamente esiste un Dio)
(3) Se io trovo che certe idee sono evidenti e
indubitabili, Dio deve avermele date per conoscere
(innatismo: vi sono in noi idee innate)

87
Conseguenze: il vero e il falso
Dio è l’Essere Perfettissimo, dunque non può
ingannarci. Pertanto idee evidenti inscritte nella
nostra mente debbono essere vere. Il mondo
conosciuto attraverso la ragione è il mondo reale.

Per contro, il mondo conosciuto attraverso i sensi


può non essere reale. I sensi servono a darci
informazioni utili per la vita, non a conoscere
la realtà così come essa è.

88
Conseguenze: il mondo fisico, massa e moto
Ma la ragione può conoscere il mondo fisico senza
il contributo dei sensi?
Per Cartesio, sì. Per lui, se ciò che sappiamo a
priori della materia, è che essa è estesa, la materia
non può avere altre proprietà se non di essere
estesa. Massa e moto sono le sole qualità reali e la
natura non è che un insieme di urti e contatti tra
particelle di materia in movimento. Colori, odori,
suoni, non esistono. La realtà dei corpi è solo
massa+moto. La fisica è solo geometria applicata.

89
L’estremismo meccanicistico di Cartesio

La fisica di Cartesio è rigorosamente aprioristica.


Essa nega che possano esistere forze non
deducibili da massa e moto (cioè forze
attrattive, forze elastiche, etc.).
Per Cartesio, tutti i corpi sono macchine,
cioè sono sistemi di corpuscoli con moti interni e
moti verso l’esterno. I corpi animali sono
macchine complesse. Nulla vi è in natura che non
sia macchina.
90
Corpo e anima nell’uomo

Per Cartesio, spiriti, fantasmi, demoni , non


possono esistere. Esistono solo la materia e le
menti, la sostanza estesa e le sostanze pensanti.
Ma come fa l’uomo a essere composto di
anima e corpo insieme? Anima e corpo
interagiscono spesso, per esempio nelle emozioni.
Deve dunque esserci un canale di comunicazione
tra corpo e anima: la ghiandola pineale posta al
centro del cervello. La ghiandola pineale è l’unico
punto in cui si uniscono le due sostanze.
91
Grandezza e limiti di Cartesio
La tesi che un’anima immateriale possa influenzare un
pezzo di cervello e viceversa apparve subito come
un’ipotesi assurda. Perfino cartesiani come Spinoza la
abbandonarono.
Ancora, la fisica di Cartesio iniziò a sembrare
troppo rigida e semplicistica già a fine Seicento, grazie
all’anticartesiano Newton.
Ma la grandezza di Cartesio resta indubbia. Con
lui, l’ideale di autonomia razionale diviene il
centro del pensiero moderno.

92
Il razionalismo dopo Cartesio
La diffusione del razionalismo cartesiano fu rapida
(nonostante l’ostilità dei tradizionalisti), ma subito
apparvero chiari due problemi:
(i) La ragione filosofica e le tradizioni
religiose pre-esistenti possono accordarsi?
Oppure la prima deve procedere in piena
autonomia a costo di contraddire le seconde?
(ii) Come spiegare in modo coerente le
relazioni tra mente e corpo, lasciando da parte la
“ghiandola pineale” cartesiana?

93
Il razionalismo radicale: Spinoza (Manuale, pp.
77-88)
Il ruolo di razionalista radicale, ostile ad ogni
compromesso, fu preso da Baruch Spinoza
(1632-1677). Ebreo di origine spagnola, Spinoza si
formò nella comunità ebraica di Amsterdam, dalla
quale fu scacciato a ventiquattro anni con uno
herem, una scomunica solenne.
Già allora Spinoza aveva sviluppato una
contrapposizione nettissima tra il Dio della
ragione filosofica e il Dio della Bibbia, opera da
lui ritenuta un collage di leggende di tempi arcaici.

94
Il monismo-panteismo di Spinoza

Cartesio aveva definito Dio come “causa di sé


stesso”. Per Spinoza, se Dio può essere causa
immanente di se stesso, può essere anche causa
immanente di ogni altra cosa, cioè può generare
le cose in se stesso. Dio non è un Ente che sta
“sopra” il mondo, ma è la Natura stessa ovvero
la forza che la muove: Dio è la Natura naturans,
le singole cose sono la Natura Naturata.
Dio è per essenza un essere eterno e infinito, ma
l’intera Natura, nel suo corso, è eterna e infinita.

95
La necessità contro il finalismo

Il Dio di Spinoza produce in se stesso le singole


cose seguendo immutabili leggi geometriche
che gli sono connaturate. Dunque, Dio non ha
finalità da realizzare (non ha nulla di cui manchi),
né distingue il bene dal male.
Sarebbe assurdo poi immaginare che Dio
faccia miracoli, perché entrerebbe in contrasto con
se stesso. Nulla è sovrannaturale.
Poiché la natura segue una legalità eterna, tutto è
necessario e nulla potrebbe essere diverso.

96
Pensiero ed estensione, menti e corpi
Il Dio-Natura consta di infiniti “attributi”, sfere di
essere autonome tra loro.
Una di esse è l’estensione o materia in seno alla
quale si generano i corpi, che sono i suoi “modi”
Un altro attributo di Dio è il pensiero. Quando
Dio pensa un dato corpo, cioè ha un’idea di tale
corpo, si forma la “mente” di quel corpo.
Sostanza = Dio (la totalità naturale)
Attributi = Pensiero, estensione (sfere di essere)
Modi = Menti e corpi (singoli atti di queste sfere)
97
La morale come scienza geometrica

Le menti sono sincronizzate con i rispettivi corpi.


Perciò, quando i corpi si combinano o si urtano, le
menti si aiutano o si ostacolano.
Le relazioni tra i corpi si riflettono nelle
menti per mezzo delle passioni, che sono idee
confuse. Le passioni che nascono dalla
cooperazione sono la gioia, l’amore, la generosità.
Le passioni che nascono dal conflitto sono la
tristezza, l’odio, l’invidia. Spinoza dedica a queste
passioni la 3. parte di Etica, il suo capolavoro.

98
La politica
Per Spinoza, i corpi umani tendono a formare un
corpo più grande e potente. Ma una moltitudine
di individui può cooperare solo dandosi delle leggi,
cioè formando uno Stato. Per Spinoza, l’ordine
statuale più naturale è la democrazia, che concilia
cooperazione collettiva e autonomia individuale.
Anche gli Stati non democratici sono da lui
accettati a condizione che almeno lascino liberi i
sudditi di fare uso autonomo della ragione (libertas
philosophandi): infatti solo l’uso della ragione può
vincere le passioni peggiori e rafforzare le migliori.
99
La religione
La religione rivelata nasce dall’immaginazione, non
ha verità. Ma essa è socialmente utile quando
spinge gli uomini a unirsi e amarsi, cioè generi
obbedienza. Per esempio, lo Stato teocratico
fondato da Mosé manteneva unito il popolo per
mezzo di riti e di norme minuziose. I profeti sono
dunque leader politici, non filosofi.
In uno Stato laico, occorre badare che le religioni
predichino solo l’amore, non l’intolleranza e l’odio
teologico, cioè che la religione veicoli un
messaggio morale, non più uno politico..
100
La conoscenza
I gradi della conoscenza umana sono tre:
(1) L’immaginazione, nasce dalla ricezione delle
esperienze sensibili e delle passioni e ci dà idee
“mutile” e “confuse”.
(2) La ragione nasce dalle nozioni che esprimono
nella mente le proprietà comuni dei corpi e
delle menti. Mediante la ragione possiamo avere
“idee adeguate” delle cose.
(3) La scienza intuitiva coglie l’essenza degli
attributi divini e conosce le cose singole come
espressioni di tali attributi.
101
La conoscenza come via per la beatitudine
Chi è arrivato alla scienza intuitiva vede la Natura
come un Tutto e si identifica con essa. La sua
mente diviene un veicolo attraverso il quale Dio
pensa se stesso.
Perciò, chi ha scienza intuitiva ha l’unico affetto
figlio della sola mente: l’amore intellettuale di
Dio. Amare Dio (ovvero la Natura) è dimenticare
la propria mortalità individuale e partecipare
dell’eterno. Spinoza considera dunque possibile la
beatitudine, ma ritiene che vi si possa arrivare con
la filosofia piuttosto che con la fede.
102
Leibniz: un razionalismo conciliante e ottimista
(Manuale, pp. 89-100)
Alternativa rispetto a Spinoza, è la filosofia di
Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716).
Formatosi nella Germania successiva alla guerra
dei Trent’Anni, il filosofo volle usare la ragione
per conciliare i contrasti tra le tradizioni
religiose (un suo sogno era riportare ad unità
cattolici e protestanti) e dunque cercò di difendere
con la ragione le credenze religiose più importanti.
Pur avendo conosciuto personalmente
Spinoza Leibniz ne fu sempre un avversario.

103
Leibniz: la logica e la Caratteristica Universale
Leibniz è stato uno dei maggiori matematici della
storia: scoprì il calcolo infinitesimale (scoperto
già da Newton, che non pubblicò però la sua
scoperta) e il sistema di numerazione binaria.
Fu inoltre precursore del calcolo logico odierno.
Il suo sogno era creare un linguaggio concettuale
che riformulasse in modo calcolabile tutte le verità
scientifiche, una lingua di simboli combinabili
(come quella della nostra chimica) estesa a tutte le
discipline, la “Caratteristica Universale”.
104
L’innatismo “virtuale”
Anche Leibniz credeva nelle idee innate. Ma
l’innatismo leibniziano è diverso da quello
cartesiano: noi non ci accorgiamo di avere idee
innate, lo scopriamo solo retrospettivamente
notando i punti di convergenza tra le diverse teorie
e i diversi linguaggi che l’uomo usa.
Ecco perché per Leibniz è importante confrontare
tra loro le lingue e soprattutto cercare di costruirne
di ancora più precise e adatte al calcolo, in modo da
stimolare l’esplicazione del potenziale della mente.
105
Due tipi di verità: Leibniz contro Spinoza
In metafisica, Leibniz si schiera contro il
“fatalismo” di Spinoza. Per lui, esistono due
diverse classi di verità:
(1) Le verità necessarie, che sono semplici
conseguenze logiche delle nostre idee. Un
enunciato è necessario quando l’enunciato
opposto è impossibile. 2+2 = 4.
(2) Le verità contingenti, che sono quelle il cui
contrario resta possibile. Un mondo fisico
diverso dal nostro è teoricamente possibile.

106
Il principio di ragion sufficiente

Tuttavia, anche delle verità contingenti si può dare


una ragione sufficiente, la quale spiega perché
si verifichi il fatto X e non il fatto alternativo Y.

Per Leibniz, la ragion sufficiente di tutti i fatti del


mondo sta nella scelta di Dio tra i “mondi
possibili”. Dio non voleva soltanto che esistesse
un mondo, ma che esistesse il mondo più
“architettonico”, cioè dotato delle leggi più
semplici e della massima varietà di fenomeni.
107
Il “migliore dei mondi possibili”
A differenza di Spinoza, Leibniz dunque vede il
mondo come un progetto dotato di un fine. Va
detto che Leibniz non lascia molta libertà al suo
Dio. Per lui è moralmente necessario che Dio
segua le norme della razionalità “architettonica”,
che Leibniz presume di poter definire a priori. :
Quanto al male, Leibniz lo vede come il costo da
pagare per realizzare un mondo armonioso.
Secondo la sua Teodicea (1710): il male è
“limitazione”: ogni singolo deve avere aspetti di
passività e imperfezione per coagire con gli altri.
108
Leibniz contro Cartesio: la “forza viva”
Per Leibniz, è falso che la fisica abbia come solo
oggetto la materia estesa. Per lui, la materia
estesa è un “fenomeno” che cela una realtà
più profonda, la “forza”. Per i cartesiani, la forza
di un corpo è data dall’equazione mv (massa x
velocità). Per Leibniz, nelle interazioni fisiche, si
conserva anche una quantità più significativa: mv2.
Leibniz la chiama “forza” ma è ciò che oggi
chiamiamo “energia”. Leibniz è il primo a capire
che l’energia è una realtà più basilare della massa.

109
Le monadi, ovvero gli “atomi vitali”
La “Dinamica” (scienza delle forze) mostra che la
materia non è l’unica realtà. Proseguendo questa
via, Leibniz arriva a una soluzione idealistica del
problema delle due sostanze. Per lui, il mondo
si compone solo di sostanze spirituali, le
“monadi”. Ognuna di queste (infinite) sostanze
percepisce le altre confusamente, come parti di
una massa nello spazio. Ma lo spazio è solo
nell’anima (come in Agostino il tempo). I corpi
sono nella monade che li vede e sintetizzano le sue
infinite “piccole percezioni” sulle altre monadi..
110
L’armonia prestabilita
Non avendo uno spazio comune, le monadi non
possono interagire. Ognuna di esse è “chiusa”,
un piccolo mondo. con un suo “punto di vista”.

Tuttavia, Dio ha dato ad ogni monade un


programma interno che obbliga ognuna a tener
conto delle altre, percependone le azioni dal
proprio punto di vista. Ognuna agisce per conto
proprio, ma secondo un piano di insieme trascritto
in ognuna. Questa è l’armonia prestabilita.
.
111
Le monadi come basi del corpo e dell’anima
Tutte le monadi hanno percezioni e appetiti. Ma
quasi tutte le monadi sono inconsapevoli,
servono solo a creare le combinazioni di forze
attive e passive che sono la base reale dei corpi.
Monadi (tutte) → appetiti → forze → corpi
Alcune monadi sviluppano anche la
appercezione, cioè percepiscono le proprie
percezioni. Queste monadi più elevate sono
chiamate menti e sono dotate di autocoscienza:
Monadi (alcune) → percezione →
appercezione → autocoscienza → intelletto
112
I composti monadici, i corpi viventi
Un corpo vivente è dunque una repubblica di
monadi con una monade dominante, una
sostanza composta fatta di sostanze semplici.
Al suo interno il corpo vivente consta di altri
sotto-sistemi organizzati, è una macchina fatta di
altre macchine all’infinito. Le monadi creano
dunque organizzazioni complesse che mutano nel
tempo, ma che esse possono anche fare rinascere,
essendo immortali. Il mondo voluto da Dio deve
essere tutto vita, senza morte. Questa è la
speranza centrale nel sistema filosofico di Leibniz.
113
La crisi del razionalismo dogmatico
Alla fine del Seicento esistevano ormai molti
sistemi filosofici in concorrenza che
proclamavano di essere gli unici conformi alla
“ragione” (Cartesio, Spinoza, Leibniz etc.)
Ciò generò sfiducia nei poteri della ragione di
stabilire come è fatta la realtà. Con John Locke
(1632-1704) nasce il primo sistema filosofico
empiristico: non vi sono idee innate, la ragione
non consta di idee ma di operazioni, le idee nascono
tutte dai “sensi, le scienze nascono dall’esperienza.
114
Empirismo e scienze: l’età newtoniana
Ciò significa anche che il valore predittivo di una
teoria (che la rende utile tecnologicamente) è più
importante della coerenza sistematica interna,
amata dai razionalisti. La fisica di Isaac Newton
(1642-1727) è meno sistematica di quella cartesiana
(introduce tre diverse cause: massa, moto, forze
attrattive) ma più feconda e perciò vincente.
Nell’età newtoniana, fermo restando il rigore matematico
delle misurazioni, si privilegiò perciò l’esperienza e
l’utilità: nacquero allora la chimica, la biologia, la
botanica, la zoologia…
115
Storia come progresso
Ma se la mente umana apprende dall’esperienza e
costruisce i suoi concetti nel corso del tempo
(come vogliono gli empiristi), allora la mente
umana si modifica, cambia, ha una storia.
I filosofi settecenteschi ispirati da Locke e da
Newton (i cosiddetti “Illuministi”) scoprirono già
questa verità, ma la interpretarono in modo
superficiale: per loro, la mente ha semplicemente
uno sviluppo dal meno al più, un progresso senza
modifiche qualitative. L’uomo era ignorante, a
poco per volta diviene più saggio.
116
Vico: l’idea di una storia della mente umana
(“Manuale”, pp. 101-110)
Giovan Battista Vico (1668-1744) fu il primo autore
a vedere la storia come una successione di
mutamenti qualitativi, cioè di cambiamenti
culturali complessivi.
Questa intuizione del tutto inedita per quei tempi
si deve al fatto che Vico è un anti-cartesiano
integrale che vuole ridare alle conoscenze
umanistiche quel ruolo di guida dell’educazione
dei giovani che Cartesio aveva dato invece alla
matematica e alle scienze naturali.
117
Il verum-factum
Come chiarisce nel De Antiquissima Italorum
Sapientia (1710), Vico ritiene che sapere implichi
saper fare: solo chi può produrre una determinata
cosa ne conosce la struttura. Dunque:
(i) La natura resta inconoscibile all’uomo. La
matematica e la meccanica riducono la natura
alla nostra misura ma non la svelano.
(ii) Al contrario l’uomo può conoscere soprattutto
se stesso e le azioni compiute dai suoi simili.
Ciò di cui l’uomo può avere scienza è l’uomo
stesso.
118
Filosofia e filologia
Ma come si fa a sapere ciò che veramente hanno
pensato gli uomini di altre età? Vico sostiene che
l’unità di filosofia e filologia, cioè di conoscenze
generali e di studio scientifico dei documenti,
possa produrre una scienza nuova, la scienza
delle nazioni secondo il corso del tempo.
La nuova scienza è una scienza critica,
capace di svelare le verità nascoste dietro i miti
che le “borie” degli addottrinati hanno creato,.
Per Vico il popolo ignorante, non i dotti, ha
creato le tecniche, la lingua, insomma la cultura.
119
Le età dell’uomo
Vico intuisce insomma il concetto di “cultura
materiale” e analizza le fasi storiche a partire dagli
strumenti basilari con cui si crea la cultura:
Età degli dei: gli uomini comunicano attraverso
gesti, riti, cerimonie. E’ l’età dominata dai sacerdoti
e in cui i “bestioni” si umanizzano, iniziando a
celebrare matrimoni solenni, sacrifici, funerali.
Età degli eroi: gli uomini imparano a raccontare,
creano la cultura orale fatta di immagini poetiche e
miti, rivestendo di bellezza le gesta dei fondatori di
stati e comunità (gli “eroi”): nascono le prime città.

120
Corsi e ricorsi: la Provvidenza
Età degli uomini: attraverso la scrittura,l’uomo
impara a ragionare e discutere, impara a fare
leggi. E’ l’età della “ragione spiegata”. I plebei
chiedono l’eguaglianza con i patrizi: si formano
le repubbliche e poi i grandi Stati imperiali.
A questo punto inizia però il declino. Volendo
avere ragione di tutto, gli uomini diventano
increduli e “sfacciati”. Come la Roma antica
mostra, la civiltà a questo punto decade e nuove
culture più rozze prendono il sopravvento: è la
Provvidenza stessa a volere questo ciclo.
121
Conclusioni su Vico

La Scienza Nuova (1725, 1730, 1744) di Vico è il


primo passo nel passaggio dai saperi umanistici
alle odierne scienze umane e storico-sociali.
Vico deve moltissimo alla tradizione, in particolare
a Sant’Agostino. Ma egli prende anche idee dai suoi
avversari: ammette con Epicuro una fase “ferina”
dell’uomo, ammette con Machiavelli l’importanza
dei conflitti sociali , copia da Spinoza la tesi che i
documenti antichi confondono storia e mito. La sua
è una sintesi molto feconda di antico e di nuovo.

122
L’empirismo radicale: Hume
(“Manuale”; 111-122)
Il XVIII secolo è l’età della massima diffusione di
ideali razionalistici, l’età in cui i philosophes
illuministici chiedono riforme ispirate alla ragione in
tutti i campi: economia, religione, politica…
Ma è anche il secolo in cui la critica del cartesianesimo
sfocia in una concezione finitistica della ragione.
Lungi dall’essere una via di comunicazione con Dio, la
ragione serve all’uomo per risolvere problemi umani e
ha precisi limiti cognitivi. Questa è una tesi comune ai
due maggiori filosofi settecenteschi: Hume e Kant.
.
123
Hume oltre Locke

David Hume (1711-1776) parte come Locke dalla


tesi che le nostre idee nascono dall’esperienza. Ma
nel suo Trattato sulla natura umana (1740) egli
va oltre Locke: le nostre “idee” semplificano
l’esperienza, le tolgono ricchezza. Noi abbiamo
infinite impressioni contrastanti, le idee che ci
formiamo sono copie sbiadite delle impressioni.
Questo processo è necessario perché noi siamo
esseri finiti che non possono ricordare tutto.
124
Associazioni di idee

Secondo Hume, noi associamo le idee inserendo


tra esse dei legami di somiglianza, contiguità
(spaziale o temporale), causalità.
Le scienze si sviluppano su questa base. La
somiglianza prevale nelle scienze matematiche, la
contiguità e la causalità in quelle fisiche.
Le nostre scienze sono tutte basate sull’aspettativa
che le impressioni future si conformeranno alle
associazioni di idee che ci siamo formati. Su
quest’aspettativa si fondano le nostre previsioni.
125
Il problema della causalità
Per esempio, quando diciamo che A è causa e B è
effetto, ciò significa solo che ci aspettiamo che a
qualunque impressione del tipo A segua nel
tempo un’impressione del tipo B.
Per Hume, questa aspettativa è immotivata.
Seppure ad ogni impressione di tipo A sia seguita
finora un’impressione di tipo B, nulla prova che
ciò sarà verò anche domani. Noi abbiamo fede nel
fatto che la natura segua delle leggi, ma questa fede
non è provata. Essa è solo segno del fatto che noi
uomini siamo “animali abitudinari”:
126
Il probabilismo pragmatista di Hume

Hume ammette tuttavia che, quante più volte


ripetiamo l’esperienza che dopo A arriva B, tanto
più ci apparirà probabile che ciò si ripeta.
Ma ciò non cambia la sua diagnosi di fondo.
Per Hume, la probabilità non è nulla di oggettivo,
ma è soltanto un grado di convinzione. Essa non
ha un significato teorico, ma solo pratico. Noi
uomini dobbiamo prendere decisioni e il criterio
meno imperfetto da noi trovato è la probabilità,
che identifichiamo per mezzo della frequenza.
127
Siamo guidati dalle emozioni
Così come la nostra ragione ci porta a credere che
si diano delle leggi naturali, allo stesso modo
essa ci fa credere che esistano leggi morali stabili.

Ma l’esperienza storica ci insegna invece che le


comunità stabiliscono i loro valori solo sulla base
dell’utilità del momento. Non ce ne accorgiamo a
causa delle nostre emozioni, che ci fanno apparire
naturali i criteri a cui siamo abituati. Le emozioni
sono la base ultima del ragionamento morale.

128
L’emotivismo evoluzionista di Hume e quello
naturalista di Rousseau
Come Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), suo
amico per un certo tempo, Hume è un emotivista:
la morale è figlia del sentimento.
Per Rousseau, vi sono emozioni morali naturali (p. es.
la solidarietà) che l’uomo ha avuto dalla natura e la
società le corrompe. Per Hume, vale il contrario:
l’uomo ha emozioni tra loro conflittuali (orgoglio,
umiltà, odio, simpatia), l’educazione lo aiuta a
produrre un equilibrio tra esse. La passione più
benefica per la vita sociale è la simpatia, la
capacità di sentire l’altro come simile.
129
Conclusioni: l’uomo naturalizzato di Hume
La filosofia di Hume è stata giudicata scettica,
distruttiva nei confronti della “ragione” e dei suoi
poteri, da parte di tutta la filosofia di matrice
kantiana e hegeliana.
Per contro, nel mondo anglosassone, Hume ha
molti eredi, per il suo pragmatismo (tutti i
principi scientifici e morali si giustificano solo per
l’utilità pratica) e per il suo naturalismo. Per
Hume, l’uomo è un essere naturale e le sue
acquisizioni sono tutte figlie dell’evoluzione storica
130
Il criticismo di Immanuel Kant
(“Manuale”, pp. 123-136)
Immanuel Kant (1724-1804) è (con Cartesio) il
filosofo più importante della modernità.
Ciò si deve al fatto che Kant unisce la
capacità di criticare le pretese della ragione (cioè
di proporre un modello umano e finito di
razionalità) con una forte difesa del carattere
costruttivo della ragione stessa. In questo, egli è il
pensatore conclusivo dell’età illuministica, di cui
resta il grande apologeta: Sapere aude! Abbi il
coraggio di servirti della tua ragione!

131
La ragione giudica se stessa
Ma se Kant difende l’illuminismo (e anzi ne
chiarisce l’idea fondamentale: che tutti hanno eguale
diritto di parola e di difesa delle proprie opinioni), perché
insiste tanto sui “limiti” della ragione?
La spiegazione è che la filosofia del
Settecento è piena di conflitti: quello tra
razionalisti (cartesiani o leibniziani) ed empiristi
(lockiani e humiani) o tra seguaci delle morali del
dovere e dell’utilità. Per uscire da questi conflitti,
occorreva stabilire che cosa “può” la ragione.

132
L’approccio “trascendentale”

Per risolvere queste dispute, Kant sviluppò un


nuovo approccio. Egli partì dalle attività che sono
tipiche dell’uomo, preso come soggetto agente,
per domandarsi quali sono le condizioni di
possibilità che danno “diritto” all’uomo di
presumere di conoscere la natura o di stabilire
delle regole morali etc.
Per Kant, tali condizioni di possibilità sono degli
apriori (o dei princìpi “trascendentali”) che, come
vedremo, l’uomo stesso assume e prende per legge.

133
Le domande fondamentali
(1) Che cosa posso sapere? Veicolo dell’analisi: gli
enunciati (giudizi) delle scienze (e le loro
condizioni di possibilità). Libro che ne discute:
Critica della ragione pura (1781).
(2) Che cosa debbo fare? Veicolo dell’analisi: gli
enunciati normativi (massime e imperativi) ..
Libro: Critica della ragione pratica (1787).
(3) In che cosa mi è lecito sperare? Veicolo
dell’analisi: i giudizi di gusto e di scopo. Libro:
Critica del giudizio (1790).

134
Che cosa posso sapere?
La risposta alla prima delle tre domande impegnò a
lungo Kant, prima razionalista e poi “risvegliato
dal sonno dogmatico” da Hume (1764).
Per Kant, gli empiristi hanno ragione a
ritenere che la conoscenza umana si limiti agli
oggetti di esperienza e non vi sia risposta alle
domane della metafisica (l’anima, Dio, etc.)
Ma essi hanno sbagliato nel pensare che la nostra
conoscenza nasca dall’esperienza. Per Kant, la
conoscenza costruisce l’esperienza possibile.
135
Spontaneità ricettiva
Infatti, per Kant è vero che la mente umana non
ha conoscenze innate e non saprebbe nulla
senza ricevere dall’esperienza dei dati.
Tuttavia, se la nostra mente si limitasse a ricevere
dei dati, non potrebbe organizzarli,o comunicarli
ad altri Ogni giudizio determinante(enunciato
scientifico) non espone semplicemente i dati,
ma li inserisce in un sistema di coordinamento
accessibile a tutti gli uomini. Vi è dunque una
“spontaneità” anche nella “ricettività”.

136
I “giudizi sintetici a priori”
Kant lo dimostra chiedendosi che tipo di enunciati
siano “ad ogni azione corrisponde una reazione
eguale e contraria” o “ogni evento ha una causa”.
Possono essere giudizi analitici? No. Un
giudizio analitico è un giudizio puramente logico
che esplicita il contenuto del concetto del soggetto,
p. es. “ogni corpo è esteso”.
Possono essere giudizi sintetici? No,
perché un giudizio sintetico è un giudizio di
esperienza, dunque mai universale e necessario.
Vi sono dunque giudizi sintetici a priori.
137
Gli enunciati della matematica
Per Kant, tutti gli enunciati della matematica
sono “sintetici a priori”. “7+5=12” è un giudizio
universale e necessario, ma è anche un giudizio di
cui abbiamo dovuto fare esperienza la prima volta!
Per Kant, la matematica consta di intuizioni
e queste intuizioni danno vita alle due forme pure
dell’intuizione: lo spazio e il tempo. La
geometria “costruisce” lo spazio, l’aritmetica il
tempo. Lo spazio e il tempo sono dunque in noi, non sono
negli oggetti di esperienza (Estetica trascendentale).

138
Gli enunciati della fisica
Nel caso della fisica, solo gli enunciati
fondamentali (p. es. il principio di causalità o
quello di azione e reazione) sono sintetici a
priori. Per Kant, questi enunciati fondamentali
hanno tutti lo scopo di coordinare le categorie
logiche del nostro intelletto (che sono 12) con le
esperienze. Questo coordinamento richiede degli
“schemi trascendentali” che il nostro Io-penso
usa quando unisce tra loro le esperienze (questa
“misteriosa” operazione viene spiegata
nell’Analitica trascendentale)
139
La differenza tra fenomeni e noumeni
Ora, poiché anche gli “schemi” si appoggiano sulle
relazioni spazio-temporali (per esempio, il
giudizio di causalità presuppone la categoria logica
di dipendenza, ma anche l’applicazione di essa a
una successione temporale), tutti gli oggetti delle
scienze naturali sono spaziali e temporali.
Kant chiama tali oggetti fenomeni e li vede
come l’unica forma possibile di conoscenza
condivisa tra gli uomini. Oggetti di natura diversa
sono pensabili (noumeni), ma non
conoscibili.oggettivamente. 140
Intelletto e ragione
Per conoscere, l’uomo fa uso dell’intelletto che è
la facoltà di giudicare e di sottoporre a regole
universali i fenomeni.
Tuttavia, la facoltà più nobile dell’uomo è la
ragione, la quale pretende qualcosa di più
dell’universalità. Essa pretende la totalità, cioè la
composizione di tutte le conoscenze in un sistema.
Perciò, la ragione – se non è usata solo in modo
logico – tende a superare il fenomeno e a concepire il
noumeno attraverso delle proprie idee.
141
Le tre idee della ragione
Tre sono le idee tipiche della nostra ragione:
l’anima, l’idea della totalità delle nostre esperienze
interiori; il mondo, ovvero l’idea della totalità delle
esperienze esterne; Dio ovvero la totalità assoluta.
Queste idee sono un frutto necessario della
nostra mente.. Ma la ragione si illude di poterne
giudicare oggettivamente, cioè ne tratta il
contenuto come se fosse un fenomeno e non un
noumeno. Quest’illusione è base della metafisica,
criticata nella Dialettica trascendentale.
142
Esito della Critica della Ragion Pura
Nella Dialettica trascendentale, Kant mostra che
l’idea di anima si riferisce a un oggetto
noumenico, perché non possiamo situare
nello spazio il pensiero.
Allo stesso modo, sono noumeniche le “sostanze
semplici” di cui ci parla la cosmologia (la
metafisica della natura).
Infine, anche Dio è al di fuori dell’ambito
dell’esperienza e dunque non si può stabilire
oggettivamente se Dio esista o non esista.
143
Kant e la metafisica: liquidazione o riforma
interna?
Kant sembrerebbe non fare altro che ripetere
risultati già conseguiti dagli empiristi: l’anima, le
sostanze semplici, Dio, sfuggono alla nostra
capacità di conoscenza.
Kant però difende la metafisica dall’accusa di
essere un semplice sogno ad occhi aperti. Per lui, la
metafisica nasce dallo sforzo necessario della
ragione di unire tutto il molteplice in un
sistema. La metafisica non è scienza, ma può
fornire “idee regolative” per la ricerca.
144
Il passaggio alla ragion pratica
Inoltre, se le idee metafisiche non accrescono la
nostra conoscenza, esse possono esser assunte
come postulati nell’azione pratica.
Per esempio, noi non potremo mai
dimostrare che l’uomo può liberarsi dai
condizionamenti materiali e agire per valori più alti
(cioè che è un essere spirituale). Ma possiamo
assumerlo come postulato della nostra azione,
ovvero scegliere di comportarci come se essa fosse
vera. Questa, per Kant, è la base della moralità.
145
La morale del dovere

Per Kant, l’uomo è un essere libero solo se può


seguire la ragione anche quando ciò contrasti con i
suoi interessi e le sue emozioni. Ovvero: l’uomo è
libero solo se la ragione gli può dare dei doveri.
Che cosa è un dovere? Un dovere è un
imperativo che la ragione ci dà non per soddisfare
bene i nostri interessi (questo è l’imperativo
ipotetico: fai x per ottenere y), ma perché fare
quell’azione è un bene in sé, quali che ne siano le
conseguenze: imperativo categorico.
146
La formula dell’imperativo categorico
Tuttavia, la ragione non può darci uno scopo
determinato ma solo darci un criterio:
l’universalità. Se la massima che guida la nostra
azione è valida per tutti gli uomini, allora la nostra
azione è conforme alla ragione: “agisci in modo
che la massima della tua volontà possa valere come
principio di una legislazione universale”.
In pratica: fai azioni esemplari, azioni che
vorresti che tutti facessero. Per esempio: rispetta
tutti gli uomini, non solo quelli che ti piacciono.
147
Virtù e religione
Vi sono casi in cui è facile agire conformemente
al dovere: per esempio se esercitiamo un nostro
diritto che riconosciamo anche a tutti gli altri.
Ma a volte dobbiamo agire per dovere, cioè
andare contro i nostri interessi: dare giustizia di chi
è più debole di noi, rinunciare a un bene che
riceviamo grazie a un’ingiustizia e così via.
Dunque, essere “virtuosi”, seguire sempre il
dovere, non è comodo, non rende felici. Il virtuoso
deve sperare in una vita futura e in un Dio giusto:
questi due articoli di fede sono postulati morali.
148
In che cosa ci è lecito sperare? La terza Critica

La morale e la scienza ci danno dunque due


immagini della realtà differenti: per la morale,
l’uomo ha una dignità particolare, per la scienza è
un meccanismo naturale tra gli altri.
Esiste però anche un terzo modo di cogliere
la realtà, il sentimento. I nostri sentimenti non
sono solo reazioni interne agli stimoli, ma nascono
da giudizi riflettenti, cioè da valutazioni sulla
conformità degli oggetti percepiti a schemi di
armonia, coerenza, conformità a uno scopo.
149
Giudizio estetico e giudizio teleologico
Una prova ne sono i i giudizi estetici. Noi
sentiamo come “bello” un oggetto quando
riscontriamo una armonia tra le sue parti. Bello è
ciò che piace senza interesse. Sentiamo come
“sublime” un oggetto che ci colpisce per la sua
grandiosità, provoca timore e ammirazione.
Un altro tipo di giudizi riflettenti sono i
giudizi di finalità: la scienza non ammette
finalità, ma il sentimento ci dice che il mondo ha
una architettura mirabile e gli organismi viventi ne
sono la parte migliore, l’uomo la più nobile.di tutte
150
Conclusioni: Kant spartiacque

Kant è il filosofo che conclude l’età della


rivoluzione scientifica, iniziata con Cartesio.
Kant dà una chiara giustificazione filosofica della
scienza moderna, dei suoi poteri e dei suoi limiti.
Ma Kant ci dice anche che la scienza non è
l’unica attività essenziale dell’uomo, che l’uomo
è anche moralità e sentimento. Kant apre così una
nuova fase della filosofia in cui il tema centrale è
l’uomo in tutti i suoi aspetti, non la sola
conoscenza..
151
La filosofia post-kantiana: la scoperta della
storicità dell’uomo
La prima metà dell’Ottocento è un’epoca d’oro
della filosofia, in particolare in area tedesca.

Alle spalle di questa fioritura, vi è un dato storico


facilmente riconoscibile: dalla Rivoluzione
Francese in poi l’Europa attraversa crisi terribili: la
Rivoluzione, la Restaurazione, le prime tappe
dell’industrializzazione, le rivoluzioni nazionali e
liberali. Il problema della filosofia è ora trovare il
senso della storia, la logica del suo percorso.
152
Filosofia dello spirito e cultura romantica

La nuova filosofia non parla più agli individui, ma


si sforza di parlare alle collettività (popoli, nazioni
o l’umanità tutt’intera), cercando di individuare le
forze “spirituali” che unificano e danno un
comune destino a questi soggetti collettivi.
Ciò implica una rivalutazione delle
componenti non cognitive dell’uomo: il mito, le
tradizioni collettive, l’immaginazione. Sono i temi e
gli interessi che ritroviamo anche nell’arte e nella
letteratura romantica.
153
Un nuovo “idealismo”
A partire da Johann G. Fichte (1762-1814), la
filosofia tedesca esce dall’agnosticismo di Kant e
fa una scelta metafisica precisa: idealismo contro
“realismo” o materialismo.
Il nuovo idealismo è molto diverso da quello
di Platone. Esso nasce da una scelta morale. Per
Fichte, essere idealisti significa affermare che
l’uomo (anche se non lo sa) ha le forze per guidare
il proprio destino, che la realtà oggettiva è prodotta
da un Io che se la oppone per potere agire.
154
Dall’Io all’Assoluto
In Fichte, la filosofia resta “trascendentale” (come
in Kant) e non metafisica. La tesi che l’Io sia alla
base della realtà oggettiva e se la opponga per
poter agire resta stabilita come presupposto
“trascendentale” di una filosofia dell’azione.
Con Friedrich Wilhelm Schelling (1775-1854) e
Georg Friedrich W. Hegel (1770-1831), si torna
invece a una metafisica vera e propria. L’Assoluto,
l’Infinito è il vero essere, la realtà primordiale, che
possiamo riconoscere speculativamente.
155
Il Dio che si “fa” natura e storia
Come in Spinoza, l’Assoluto di Schelling e Hegel
non ha nulla fuori di sé.. Esso non “crea” il
mondo come il Dio cristiano, ma “si fa” mondo
attraverso una infinita serie di figure che lo
manifestano. Il finito è sempre nell’infinito e
l’infinito si manifesta nel finito.
L’Assoluto si fa innanzitutto Natura, che non
è un meccanismo, ma una serie di organizzazioni
sempre più complesse che seguono un finalismo
inconscio, simile a quello del genio artistico.
156
Due filosofie alternative

In Fichte, l’uomo è pensato come soggetto agente


abilitato a porsi sempre nuovi fini consapevoli. La
storia è pensata come progetto.
Schelling, il più romantico degli idealisti, ribalta
questa concezione. Per lui, l’idealismo ci mostra
l’unità della Natura e ci esorta a ricongiungerci con
essa attraverso il sentimento, l’intuizione, tipiche
dell’arte ma anche del mito e delle religioni. Per
Schelling, l’uomo rischia di allontanarsi
dall’Assoluto se progetta piuttosto che sentire.
157
E una terza….
Hegel, amico e alleato di Schelling nella lotta
contro Fichte, propone una terza soluzione.
L’Assoluto va inteso non solo come sostanza
ma anche come soggetto. L’Assoluto acquisisce
coscienza di sé stesso per mezzo dell’uomo, ma
l’uomo apprende le proprie capacità e il proprio
rapporto con l’Assoluto attraverso la propria storia
La storia è un processo dialettico, in cui
l’Assoluto si sdoppia e si contrappone a se stesso
per poi trovare una mediazione tra gli opposti:
tesi, antitesi, sintesi. 158
Le origini peculiari della dottrina di Hegel
(Manuale, pp. 137-139)
Questa terza soluzione nasce dal desiderio di
Hegel di conciliare tradizione e innovazione,
spirito religioso (cristiano) e scoperta
dell’autonomia del soggetto umano (illuminismo).
I primi scritti di Hegel sono tutti dedicati alla
storia del cristianesimo. Per Hegel, il
cristianesimo cerca di conciliare immanenza e
trascendenza, grecità ed ebraismo. Ma questa
sintesi non è mai definitiva, produce sempre nuove
figure che la sviluppano contrastando le precedenti
159
Contraddizione e superamento (pp. 139-140,
143-44)
La vita appare perciò come “unione dell’unione
e della disunione”, come un processo che crea il
nuovo in contrapposizione al vecchio, ma impone
al nuovo di farsi carico di ciò che resta valido nel
vecchio. Superare (auf-heben) non significa
solo togliere, ma anche conservare.
Su questa base Hegel inizierà a pensare tutta
la storia umana, a partire dalla storia della
coscienza che l’uomo ha di se stesso, oggetto
della Fenomenologia dello spirito (1807).che ci narra
appunto come lo Spirito si manifesti a se stesso. 160
Coscienza, autocoscienza, ragione (pp.140-43)

Inizialmente, l’uomo è solo “coscienza”, cioè


consapevolezza delle cose esterne e fede nella loro
realtà.
L’autocoscienza non è una dote naturale
dell’uomo, ma nasce dalla storia. All’inizio vi è solo
l’autocoscienza del bisogno, del desiderio di
appropriarsi di ciò che ci è utile. Ma, attraverso la
lotta per il riconoscimento, gli uomini si
dividono in padroni e servi. Il servo sconta con il
lavoro il fatto di essere stato sottomesso.
161
Le figure dell’autocoscienza
Ora, mentre il padrone si vede come libero solo in
quanto possiede le cose, il servo apprende a
disciplinarsi, a rinunciare, a sacrificarsi. Il servo
scopre così una diversa e superiore libertà, quella
dell’autodominio. Ecco come nasce la
consapevolezza di essere spirito e non materia.
Le figure tipiche dell’autocoscienza sono
stoicismo, scetticismo, coscienza infelice. In
queste figure, l’interiorità viene contrapposta al
mondo esterno, sentito come irrilevante dal punto
morale (stoici) o conoscitivo (scettici) o religioso.
162
La ragione
L’autocoscienza è soltanto negativa, contrappone
la verità interiore dell’autocoscienza alla verità
esteriore della coscienza. La ragione è invece la
ricerca della loro sintesi: tutto l’esterno deve
essere concepito alla luce di princìpi che a me
appaiono validi. La ragione è la coscienza di
“essere ogni realtà”.
Nella filosofia di Hegel, l’uomo è divenuto
autocosciente ed è divenuto razionale nel corso
del tempo. L’età della ragione è l’età moderna.
163
La filosofia della storia
La “Fenomenologia dello spirito” ci dà un grande
quadro dello sviluppo dello spirito umano. In
questo quadro, è centrale il tema del lavoro. Il
lavoro nasce dalla servitù, ma permette di scoprire
le forze interiori dell’uomo e dunque la sua libertà.
Questo quadro è approfondito nella
successiva filosofia della storia. La storia ha tre
fasi. Nella storia orientale, uno solo (il sovrano) è
libero. Nella storia greca e latina, pochi (i
proprietari) sono liberi. Il cristianesimo apre la
porta alla scoperta che tutti sono liberi. 164
Morale e politica

Ciò non vuol dire che, per Hegel, la libertà


universale possa manifestarsi in forme
direttamente politiche.
Per Hegel, le relazioni socio-politiche
costituiscono lo “spirito oggettivo”, basato su
concrete relazioni di forza. Lo spirito oggettivo
nasce come diritto, fondato sulla proprietà. Ad
esso si oppone la moralità, fondata sull’universale
valore di ogni uomo. Il superamento di questa
antitesi si ha nell’eticità, grazie a tre diverse
cerchie: Famiglia, Società civile, Stato. 165
Hegel politico
L’illusione della Rivoluzione francese era stata di
realizzare politicamente la libertà universale. Ma
questa libertà astratta non può farsi realtà storica..
La libertà concreta si sviluppa invece
all’interno delle cerchie sociali specifiche della
famiglia e della società civile. Quest’ultima è il
“sistema dei bisogni” nel quale ciascuno si fa
strada con il lavoro. Ma, poiché nella società civile
vi sono sempre conflitti, essa va sorvegliata da uno
Stato di funzionari dipendenti da un sovrano.
166
Spirito oggettivo e spirito assoluto

Dunque, la libertà universale non si afferma mai in


un modo totale e definitivo. Lo Spirito oggettivo
richiede che gli uomini si dividano in gruppi
territorialmente distinti (le nazioni) e che questi
gruppi siano governati da Stati monarchici anche
se costituzionali. Anche la guerra è necessaria
(contro Kant e l’idea di pace perpetua) per
selezionare gli Stati più capaci di progredire.
Ma vi è qualcosa di ancora più universale
dello Spirito oggettivo: è lo Spirito Assoluto.
167
Arte, religione, filosofia

Lo “Spirito Assoluto” comprende quelle forme


attraverso le quali l’uomo pensa l’Assoluto e si
pensa come espressione dell’Assoluto stesso.
L’Arte è intuizione dell’Assoluto. Nell’arte vi è non
solo sentimento ma una conoscenza incarnata in
figure esemplari. L’arte primordiale è simbolica,
poi nasce l’arte classica, infine quella romantica.
La religione è rappresentazione dell’assoluto ed è divisa
tra paganesimo, religioni monoteistiche
orientali (ebraismo), cristianesimo.
168
La filosofia
La religione è però solo rappresentazione
dell’Assoluto. La filosofia ne è il concetto.
La Filosofia ha per Hegel una forma sistematica.
Il suo sviluppo (Hegel scrive una maestosa storia
della filosofia) porta a una conoscenza sempre
migliore di quel sistema dei concetti che organizza
l’auto-esposizione dell’Assoluto: l’Idea. L’Idea è
l’Assoluto in sé (Dio “prima della creazione”), la
Natura è l’alienazione dell’Assoluto, lo Spirito il
ritorno dell’Assoluto a se stesso. La filosofia è
dunque autoconoscenza sistematica dell’Assoluto.
169
Hegel “conservatore” o “rivoluzionario”?
Proprio la relazione religione/filosofia creerà il
grande dissidio tra gli allievi di Hegel. Per la
cosiddetta “destra” hegeliana, religione e filosofia
hanno la stessa dignità, sono gemelle.
Per la “sinistra” hegeliana, la filosofia supera la
religione,la sostituisce. Perciò, essa deve contestare
l’”alleanza tra trono e altare” chiedendo uno Stato
laico e liberale. Con il tempo, gli hegeliani di
sinistra arrivano all’ateismo e alla democrazia con
Ludwig Feuerbach e il giovane Marx.
170
La crisi della sintesi hegeliana

Il grande successo europeo della sintesi hegeliana è


di breve durata.
Lungi dall’assestarsi sui risultati già raggiunti,
l’Europa del XIX. secolo vede un intensissimo
processo di industrializzazione e di progresso
tecnologico che apre nuove possibilità di
benessere, ma si intreccia anche con crisi
sconvolgenti sia economiche che politiche (si pensi
al fallimento delle rivoluzioni del 1848, che vedono
sorgere il conflitto tra liberali e socialisti).
171
La lettura ottimista della società industriale: il
positivismo
Lo sviluppo tecnologico favorisce l’ottimismo in
molti. Il positivismo (nato con Auguste Comte,
1798-1857) proclama che la scienza e la tecnologia
possono risolvere tutti i problemi del genere
umano. E poiché il progresso tecnologico richiede
scienziati specializzati in singoli settori, le teorie
generali non servono più: la metafisica, la filosofia
morale e quella politica, vanno sostituite con la
metodologia della scienza (epistemologia), col
calcolo dell’utilità (economia), con la sociologia.
172
La lettura dialettica della società industriale:
Marx
Una lettura opposta è invece quella dei primi
socialisti e comunisti. La grande industria
sfrutta, opprime i lavoratori. L’umanità si divide
sempre più in capitalisti e proletari. Karl Marx
(1818 – 1864) prevede un esito catastrofico del
capitalismo industriale, travolto da crisi e
polarizzazione sociale. Erede di Hegel, Marx
resta convinto che la futura rivoluzione proletaria
può risolvere questa “contraddizione”, creando un
uso alternativo della tecnologia che consentirà il
passaggio al comunismo, “regno della libertà”. 173
La lettura critico-pessimistica: la perdita dei
valori, la massificazione
Vi è però anche un terzo polo. A molti, la società
tecnologica appare come l’emergere di un tipo
deteriore di uomo, l’uomo-massa, che accetta di
essere diretto, organizzato, intruppato, pur di
realizzare obiettivi materiali.
Nasce così una filosofia che si rivolge ai
singoli e li spinge a cercare la liberazione dalle
illusioni indotte dalla società, in forte polemica
con le filosofie ottimistiche della storia,
hegelismo e positivismo, che fanno del singolo
un tassello della macchina sociale. 174
I pionieri: Arthur Schopenhauer (1788-1860)

In questo clima si comprende il successo tardivo


ma duraturo di Arthur Schopenhauer.
Per Schopenhauer, solo l’arte, la compassione,
l’ascesi liberano l’individuo dagli stimoli del
desiderio e della noia, manifestazioni di una
Volontà universale che crea e distrugge a proprio
piacimento le individualità. Per Schopenhauer,
ogni nostro atto di volontà ci intrappola in un
meccanismo che produrrà sempre più dolore che
piacere, più perdita di sé che affermazione di sé. .
175
Sören Kierkegaard (1813-1855)
Ancor più radicale è il danese Kierkegaard. Gli
uomini cercano sempre di sfuggire all’angoscia
connaturata allo scegliere, abbandonandosi alle
soluzioni più comode e impersonali. Per contro,
quest’angoscia va affrontata accettando la
responsabilità di scegliere una forma di vita
basata su una fede non provata (come Abramo,
come i primi cristiani). Kierkegaard è un fideista
cristiano, ma la sua filosofia influenzerà tutti gli
esistenzialisti (religiosi e atei) del XX. secolo.
176
Friedrich Nietzsche (1844-1900)
(“Manuale”, pp. 149-151)
Nietzsche è il più originale tra questi filosofi. Infatti:
(1) la sua critica della società di massa è denuncia
di tutta la filosofia occidentale e del suo
razionalismo morale, che sarebbe origine della
“morale del gregge” imperante.
(2) laddove Schopenhauer e Kierkegaard cercavano
soluzioni in forme molto antiche di religiosità
(buddhismo in Schopenhauer, fideismo cristiano
in Kierkegaard). Nietzsche proclama un ideale
del tutto nuovo: il superuomo (Übermensch).
. 177
Il dionisiaco (“Manuale”, pp. 155-156)
Vi è anche in Nietzche una forma di religiosità del
passato da recuperare: lo spirito “dionisiaco” del
paganesimo greco. Per Nietzsche, che era un
grecista eminente, lo spirito dei greci oscillava tra
due forme di religiosità: quella apollinea che
celebra l’armonia e la grazia, quella dionisiaca che
scatena i sensi e fa partecipare al dolore e alla
gioia.degli altri. La tragedia greca è il frutto puro
dello spirito dionisiaco, ma ogni arte partecipa del
dionisiaco (anche quando è apollinea).
178
Socrate e il razionalismo morale
Ad aver ucciso lo spirito dionisiaco è stato Socrate:
Socrate impersona la luce della ragione (cioè del
discorso che vale per tutti) contro il caos delle
passioni.
Ma, per Nietzsche, solo gli impulsi, le passioni,
permettono il godimento estetico della vita. Ne La
nascita della tragedia (1872), Nietzsche esalta il
romanticismo (esemplificato dalla musica di Richard
Wagner) come un ritorno al dionisiaco contro il
gretto razionalismo prevalso con Socrate.

179
La lotta contro la “morale del gregge”
Negli scritti successivi, Nietzsche, sempre più
critico verso la società del suo tempo, estende la
sua critica del socratismo al cristianesimo:
questo “platonismo per il popolo”, ha diffuso una
morale del “risentimento” rivolta contro coloro
che amano e godono la vita, imponendo a tutti il
lavoro, l’obbedienza, il conformismo (come per
Hegel, per Nietzsche il cristianesimo è la religione
dei servi, ma per Nietzsche esso non emancipa, ma
asserve tutti). La democrazia e il socialismo
sono figli di questa stessa logica di “risentimento”..
180
Dio è morto: il nichilismo

La società di massa è figlia del cristianesimo, ma


non riesce più a crederci: essa è divenuta troppo
scientifica e scettica per credere in un Dio. Dio è
morto. Ma il suo posto non è stato preso da altri
valori: lo spirito europeo è divenuto nichilista,
esacerbando il germoglio di nichilismo già latente
nella tesi socratico-platonica (e cristiana) che il
mondo visibile non ha valore in sé ma è degno di
amore solo perché lo ha fatto Dio. La metafisica
ha creato il nichilismo.
181
Il superuomo e la volontà di potenza
(“Manuale”, pp. 152-55)
Nel Così parlò Zarathustra (1883-85), Nietzsche
pone perciò un’alternativa radicale: o l’uomo
diviene un “ultimo uomo” nichilista che si limita a
lavorare e consumare o deve impegnarsi a
costruire qualcosa di più di sé stesso. “L’uomo
è una corda tesa tra la scimmia e il superuomo”.
L’uomo nascondeva dietro valori fittizi (Dio,
il Bene) la sua volontà di potenza. Il superuomo
sceglierà i suoi valori (transitori) in funzione
dell’espressione della propria volontà di potenza.
182
La “fedeltà alla terra” e l’eterno ritorno
Oltre ad essere capace di costruire valori transitori
e sperimentali, il superuomo resterà “fedele alla
terra”, cioè amerà e non disprezzerà la materialità
e la corporeità, comprendendone le potenzialità e
la ricchezza.
Infine e soprattutto, il superuomo abbandonerà la
concezione lineare del tempo come successione
che deve portare da qualche parte (al progresso o
alla salvezza), vedendolo come un eterno ritorno
di occasioni e possibilità.
183
L’eredità di Nietzche nel Novecento
Nonostante la sua precoce morte in manicomio,
nel buio della follia, Nietzsche diviene rapidamente
un autore di culto ai primi del Novecento.
Ma egli lascia un’eredità terribile. Moltissimi
ne leggeranno l’opera come esaltazione
dell’aggressività, dell’imperialismo (“volontà di
potenza”), della diseguaglianza sociale, della
“spietatezza verso i deboli”: in breve, il
superuomo diviene il mito politico dell’età dei
totalitarismi fascista e nazista.
184
L’altro Nietzsche
Vi è però anche un’altra lettura di Nietzsche, che
non dimentica che Nietzsche nasce come filosofo
dell’arte, del “dionisiaco”.
Tutta la filosofia di Nietzsche incita a
sperimentare nuovi modi di espressione delle
forze profonde che sono in noi. La “potenza”
che Nietzsche ci incita a perseguire non è potere
sugli altri, ma capacità creativa.
È questo il Nietzsche che ispira le avanguardie
artistiche del Novecento e filosofi come Gianni
Vattimo e Gilles Deleuze. 185
La filosofia dopo Nietzsche
Con la critica nietzscheana, si chiude l’età delle
filosofie sistematiche che cercano di costruire un
discorso generale sull’uomo e sul suo destino.
Nietzsche ne è in parte l’ultima espressione, in
parte la critica e la demistificazione.
La filosofia però non muore: essa perde la
sua forma sistematica, ma ciò le consente un
dialogo intenso con le scienze umane
(evoluzionismo, etno-antropologia, psicologia,
psicoanalisi, linguistica…) del XX. secolo..
186
Continuità e rotture
La filosofia del Novecento ha perciò una
profonda venatura anti-metafisica. Ma essa
riprende anche i classici in una veste nuova.
Vico e Hegel sono ancora al centro delle
discussione dei filosofi che si interrogano sulla
metodologia delle scienze storiche (storicismo).
Cartesio, ma anche Hume, ispirano la ricerca della
fenomenologia sulle evidenze primarie della
coscienza, sulla vita interiore, sul modo in cui
ognuno di noi dà un senso all’esperienza (in
dialogo con la psicologia).. 187
Filosofie attuali e attualità della filosofia
La filosofia kantiana ha molteplici eredi ed è anzi
contesa tra quanti ne continuano il lato
costruttivistico (filosofia delle forme
simboliche) e quanti enfatizzano invece il tema
della finitezza (esistenzialismo, ermeneutica).
Kierkegaard e Nietzsche (ma anche Marx),
influenzano l’esistenzialismo nella sua lotta
contro l’alienazione e la spersonalizzazione.
Se la filosofia resta una parte viva del dibattito
culturale del Novecento, “vivi” e presenti restano
perciò i suoi classici. Ecco perché vanno studiati.
188

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