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PANTOLOGIA — SCIENZE, LETTERE ED ART! VOLUME TRENTESINO FIRENZE Proprietsltterana. DIREZIONE DELLA NUOVA ANTOLOGIA ‘ Vis Son Gao. 9835 1375 DELLA POESIA POPOLARE RUMENA. pple ale Ronisor, dante Strate de acer, NDCC LXV! Ales, ‘Dacehé si comincid a rieonoscere che 1a storia. del popoli non uo tutta contenersi nella narrasione delle vicende massime, che Pitt visibilmente decidono delle sorti loro nel mondo, e gl ingegat si yolsero a ricercare curiosamente, appo ciascuno di essi, Ie operaziont pit semplivi del viver privato, le singolarit& dei co- stumi, le manifestazioni minute doll’ indole, 1a poesia popolare fa vendicata dal disprezzo, in cul s'era fino allora giaciuta, e,in tutti { eultl presi d’ Europa, divenne oggetto di ardentissimo stu- dio. Fu detto, non senza ragione, che i canti di un popolo, natt 18 dove I opportunita li fa nascere, e por opera d’ uomini, i quali, ignari dei rafinamenti dell'arto, altra cura non hauno che di esprimere nella natural forma del verso e del canto Je sensa~ ioni e i moti degli anim{ loro, trasmessi poi di generazione in ‘generazione, porgano a' tempi pli Jontant una fedel dipintura det ssuol eostumi e delle eue vicissitudini, e, con viverza quale non si trova nelle opere dei culti scrittor!, narrino le sue glorie, le ivie, i dolori, Che se tali canti, per esser loro, lo spazio di lun- ‘ghi secoli, mancato il suggello dolla scrittura, e per essere ac ‘caduto talvolta che le genti nuove vi facessero alcun mutamento, fine di adattarli a nuove etd e nuovi casi," non sempre pud * Si sono taal nelle poche parole rumene,elpartate qua iy eg dia- ‘nti con eat alters ylor foveucn dl lcae lelre Del rele grabarumena (avortgrats on si pod dacorere) soo conforms, ne ala regions elimoogen, bala oon, quasi og silo ba I a8. * Heoslnie muta det Hoguagl,e fate che pupolo el suo canta forme slihe saluseo man mapo lo nuove, reedon mola dill asngnae tempo precan del loro primo appatire. Queso lenlo. eosnuals lavoro wader ona pb lar parece moderao ua eats, del uneate el eliza a 6 DBLbA PORSIA POPOLARE ROMENA. dirsi con certozza a qual tempo e a quali avvenimenti si riferi- scono, pure rado é che manchino in tutto que segni, per cui é dato 2 uno sfirito acuto e indagatore di ristabilire la verita delle cose: @ in generale pud dirsi ch’ esst caratterizzano un popolo ‘assai meglio ehe dell’ uomo (per gfovarmi qui di un celebre detto) non faccia Jo stile. Cosi che non 6 meravigliare so womini egregi e di rara dottrina vi spesero Intorno diligentissime cure, ‘@ se l'attensione degli studios! fu dai cantt di quet popoli princ!- ppalmente attirata, presso eui eran pid scarsl gli altri maggiori ‘monumenti dalle lettere e delle arti. Spesso, per si fatto studio, sl vide compluta o corretta la storia, od anche risolutamente ‘smentita, quando, di rincontro ai plausi di narratori cortigiani € ‘venduti, sl produsse il grido del popolo soflerente ed oppress. Ma, se tale studio sommamento importa allo storico ed all psleologo, ncn importa meno al poeta, cui sara anzi di singolar siovamento I'usoir talvolta dai confini dell’arte @ lasciare 1a compagnia del soleani maestei, por venire a respirare I'aria fro- soa e viva della natura. Spesso vedra, con sua meraviglia, colte ‘i primo piglio da un rustico intelletto quelle bellezte, che a uf eittadino, 0 eortigiano, per nessuno sforzo e armegaiamento @'ingegno vien fatto di recar sulla carta, Vedra come 1a natura fnsegni agli uomini ad esprimere con efficacia e con grasia sen timenti pensieri; come, con piecioli mezai, essa produca mas- simi effettl; some, con la sua scorta, parole e concetti si adeguin fra loro: e vedendo questo, pud darsi che gli si faccia manifesta la differenza ch’ é tra arte buona ¢ arte cattiva, e gli si dilegui tun tratto fl mal gusto, troppo comune a questi giorni, di pira- midar la meate verso Je navole, o di sgangheraria in acrobatiche prove. Tanto parm! sia da augurare a certi facitori di versl, no- stri e stranieri, { quali, per una cotale malinconfa, che hanno in corpo, di voler parere siogolarl, per cosa del mondo non s'ac- concerebber¢ a recare nei loro scritti una frase semplice e plana, ‘un pensiero schietto e spontaneo, né si vergognano di riuscire a dirittara triviali, purehé nutran lusinga di potere, in qualche ‘modo, scoter la fibra infingarda det loggitori. Facendo all’ arte znon 80 che strana applicazione di principit democratict, ostentan costore di avere a noia ¢ @ disiegno ogni autorité dl ammaestra- ‘menti e di regole, anche quando, non V'arbitrio di anguste menti, ‘ma eo It venga porgendo lo stesso buon gusto, la stessa ragione. Né so veramenta perch@ i cosi fatti abbiano a chismarsi realist, quasi a far credero che, scioltis dalle pastoie della scuola, essi, DELLA POESTA POPOLARE RUMENA. % ‘gecchini della banca di Dio. Ua altro seicento ci sta sopra; ma i stro di galanteria, son morti da un pezzo. ce ieee Pastor inequali modulasur arundine carmen. 8 BULA PORSIA POPOLARE ROMENA, I gran fa'ti pot della privata edella pubbliea vita, { cast mni- serevoli, Io forti opere, i delitti, 1o vendette, le guerre sostenute in difesa della patria, i sovvertimenti ole tirannie, le glorie ¢ le vergogne, danno forte incitamento agli animi, e fanno si che la poesia di un popolo s*alai dal tono della lirica a quello del- Vepica. ‘Laspetto ela disposisioue de’ luoghi esereitano dal canto oro sulle fantasie do'eantor! popolari un'azione, di cui va simil- ‘mente tenuto gran conto. Altro ¢ il coloramento, dird cos, della fantasia di un montanaro, altro il coloramento della fantasia di chi tragga la vita sulle larghe pianure: e dagli aspetti diversi della natura esterna, e dalle diverse fogge di counettimenti ¢ di simbolismi , che spontaneamente si formano negil spiriti somplici, nasce una diversa e propria mitologia. Quanto pid I] paese saré variato di piaaure e di monti, di selve e di laghi, di terre uber- ‘tose e d'infeccnde, tanto pitt facilmente s* empieran di fantasmat Je menti, tanto pit namerost saran gli stimoli, tanto pit varii { | richiami ehe le provocheranno a rispondere. B allora & gioght ru: nosi si popoleranno di danzator’ immortalé, @ le selve sarsano iene del sonar del Pani, e avranno eerulee Naiadi i fonti ed { laghi, @ nelle grotte nasceran dal connubio della terra e del fuoco ‘mostri orrendi e terribili. Supponete un tratto la Grecta mutata i planta da quella ch’ell’&, rasi i suoi monti, rase Te selve, tutto il suolo ivellato a piano, e, qual che si fosse In potenza la fecondita delle menti cho le erearono, le argive fole non an drebbero a gran pezza vostite di quello splendore di bellezza,, obe ai vati della presente eta fa riehiamare con desiderio 1 remotis- simi tempi, quando Gonscie le mol Sure, le nub, e la titania lampa For dell umana gente. La Rumenia é parte formata dl vaste e fertili planure, dove si raccolgono sbbondantissime méssi, ed errano innumerevoli greg- gi, parte di aspre montagne, rott da procipiai altissimi, @ co- perte di selve antiche, avviluppata, non offese mai dalla scure 0 al fuoco, Inowmerevoli flami ¢ torrenti si dirivano d’ ogni banda, fe concorrono verso il Danohio, qa e 14 spargendosi in laght ¢ in maremme. Dalla riva dol elassico Danubio sino all’ ardue cime de’ monti Bucegi, che sono un ramo inflesso dell’ Alpi bastarni- che o carpaticie, il paese muta e rimuta di aspetto, tenendo die- DELLA POESIA POPODARE RUMENA. 9 ‘ro al cereali la vite, alla vite il pino, il frassino, il carpino, Velee. TI popolo rumeno si tiene, ed 8, checshé altri ne dica, gene- rato da quogli antichi coloni, che tratti, seeondo che narra Eutro- pio, da tutte le provineie dell’orbe romano, furono da Traiano stanziati in Dacia, quando, I’ anno 103 dall' tra volgare, questa contrada divenne parte dell" Impero, ¢ { suot abltatori furono 1a maggior parte uccisi od espulsi. B da credere che in quell’ accolta di varie genti, che lo storico gid nominato dice infnita, predo- minasse I" elemento italieo, e ne porge argomento il linguaggio parlato dat discendenti loro, il quale, sebbene imbastardito molto, per l'ingramignarvist d' infiniti vocaboli slavi, magiarl, tarot € grecl, mostra tuttavia chiaramente d’ essersi separato da quel ‘ronco medesiio, da cui si separarono Ie lingue neo-latine, o ro- ‘mane; ed é fra queste dai flologt debitamente annoverato. Ta ‘Rumenia propriamente detis comprende i due principati di Val- Jachia e di Moldavia, ed @ cinta intono dalla giogaia dei Car- Pati, dal Dannbjo e dal Pruth, oltre il qual ultimo fume ating, per piceiol tratto, le rive del Mar Nero: ma Rumeni anco sl tro- Yano numerosissimi in Bessarabia e in ‘Transilvania, e, a sparst grappi, sino nell’ Albania, nella Macedonia, nell’Illiria. Il po- polo vi é, pressoché per intero, dedito alla cultura dei campi © alla pastorizia, e lascia esercitar di buon grado agli stranieri, ‘Hon pure le maggiori industrie, ma le pit umili arti meccaniche. UL Rameno ¢ d’ indole mite e riposata, Iaboriosoe sobrio, di cuore aperto e facile alla confdenza: una delle particolaritd del suo eax rattero, che magziormente s' avverte dagll stranieri, é un certo abito di tranquilla melanconia, il quale fa si ch’ egli rifugga da ‘gai manfera di epassi immoderati o chiassos!, @ rado si scosti dalla devenza. Mal s' avviserebbe tuttavia chi volesse percid giudi- carlo d animo troppo umile e rimesso: una storia gloriosa di pia che tre secoli, durante i quali i popolo rumeno si vede (per non parlare delle guerre ch'ebbe perpetie contro ai Polacchi ¢ agli ‘Ungheresi) tener testa alla potenza del Tarchi, vincertl a pitt ri- pprese, attraversarsi come un baluardo all irrompere loro verso il ouor dell" Europa, e salvare insomma, se non intera, ma pur di poco menomata, I'indipendenza nazionale, una tale istoria sar rebbe, a parer mio, prova euffaiento del contrari. Il paose, i costumi, Ie tradizioni, le grandi glorie, le grandi sciagure erano tali da metter per tempo in grado il popolo ru- meno d’avere una poesia nazionale: esso I'ebbe, e i stoi canti, 10 ‘DELLA PORSIA POPOLARE RUMENA. pr bellezza ¢ per varieta, non temono di venire al paragone con quelli di qualsivoglia altro popolo, La sola raccolta che no sia stata finora pubblicata fa messa Insieme, oF sono pareechi anni, dal sig, V. Alexandr, egregi ‘ittadino, non men che valoroso poeta, il quale dice tuttavia dt ‘eredere che s2 ne potrebbe ragunare un numero molto maggiore, Quosti canti egli li divide in quattro specie, Ie quall hanno cis- souna il proprio nome. I Cénlecile bdtrinerci (eanti vecchi) sono Teggende e ballate, in cui si narrano avventure di eroi, di pastori, i banditi, aicune inventate e qualche volts ailegoriche, altre vere. Ve m'hs di molto lungho, ¢ divise in pid parti; e vi si tro- ‘yano descrizinl bellissime, ancorché brevi, e narrasioni stapende. TL monte e la valle, il bosco e la piantra, fa notte, I’ alba, vi son dipinti cén tre o quattro versi, legati fosieme da, una rima co- mune, cosi che si stampano nella mente del lettore con une i pronta sola, Le pugne dei forti, le corse vertiginose do’ cavalli ‘sono oecasione di meravigliose ipotiposi. Vengon poscia le doine, ‘che sono i canti pit ainati dal popolo, ¢ formano parte indispen- sabile d ogni suo spass0, « Doina, doina, dolee eanto, » dice ap- ppunto una di queste popolari poesie, « quand’ io ti ascolto non me ne andtoi pid... Soffiano i zefiri di primavera, ed fo canto la doinau» softs 1a tramontans I'inverno, ed io canto ta doing, chiuso in casa, e ne abbellisco I miei giornt e le nottl... E som- pre canto la doina, sospiro la doina, vivo in compagnia della doina, » IL sentimento, di cui la doina pit spesso s' inspira, @ il dora, {1 quale & un certo non s0 che tra la Sehnsucht @ 1a Weh- ‘mth dei Tedeschi, anzi & a dirittura tutta una famiglia di senti- ment, fasi in un elemento comune di melanconia. «Il rimpianto di un bene perduto, il dolore che ne viene dalla sua mancanza, Ja speranza ai riacquistarlo, il desiderio d’ una felicita non pro- vata ancora, 'ebbrezza che ne aecompagoa il possedimento,» tutti ‘questi sentimenti, dice il signor Cratiunescu,' possono entrar nel dora, stato dell anima, che non si pud definire, e quasi nemmen descrivere. Né della doina & tenero solo il popolo minuto, ma ne fanno loro diletto anche le lassi pli colte, giacohé i poeti letterati ‘amano ancor essi di esprimere in quella forma gll afletti loro ¢ i pensieri, e sempre ve n’@ qualchedana in voga, In quale s' ode Syolere uelle private aduussae, st pubblicl glardil e nel café Essa é sempre accompagnata a un' aria, ¢ in quest’aria la mnusica umena prende il suo earattare pitt specifico e proprio, pel quale * ta pou rownain copra se hans natinau, Pats, 8h, DELLA POESIA POPOLARE RUWENA. ut si diversifes in sommo grado dalla musica di qualsivoglia altro popolo. Le colinde sono specie di canti sacl, talvolta dialogati, soliti a recitarsi a Natale, a Capo d’anno, a Pasqua, non sonza, tn corto apparato dl vestimenti e di attrezz, cosi che pare di scorgervi come un emabrione delle nostre rappresentaaioni sacre. a hore! finalmento sono specie di canzoni a ball, allegro, con- dite spesso d'un po'di satira, e qualche volta anche un po'libere. ‘A questo quattro specie se no potrebbe aggiungere wus quinta, ‘quella ci dei canti magic, eot quali si eompiono o si disfanno opere di malia, numerosissimi ancor ess, e molto important pei riscontsl eho vi sl trovano con superstiziont dl altri popoll, cost do’ modernt come degli antiché tempt. Pacciamoct ora ad esaminare un pot pit: da vicino il volume del signor Alexandrl, e vedlamo quali ricoherze di poesia vi st inehiudano. amore ha grandissima parte nella vite del popolo rumeno, enon é forse altra lingua nel mondo, ebe, quanto Ia sua, ab- bondi di teneri e graziost appollativi, da farsene ricambio gl in- namorati. Come difendersi da quel dolce © possente affetto, se tutta la natura a'@ pionat «I carl Amorini, come uovelletti in festa, cantan per tutto, sui prati, si campi, e su per i monti solitarl, Gli Amori pitt grandicelll st appostano sulle vie maestre ‘come malandrini;{ pit plesini stan pet sentierl. Passano, senza lordarsi, le pozzanghere, @ s'attaccano al garzoni; passan per acqua sonza atfogare, ¢ si mettono a’ pann! delle fsnciulle; pa san pel fuoco e non si squagliano, © ladroneggisno pit che mai.» (Dojna axvt)* Né minacce ne latitudine potranno far si che una fancialla rinunaliall'amor suo: essa dirk alla madre: « Fiorisce Ia vite{n esta, e quando, d'autunno, mette fuori il fruto, viene Jo stornello a bezalcarla, Yo son florita da fert, e i! mfo seno non ha ancora portato frutto, @ m'arde un gran faoco. » (Hora x1) * Vil nave chorus atin, algae I vorabolo rumonooertamente deri. + Sistora lettre als mente gue vers, dove Anacreons,rssoniiato i sto ‘wore aun nid, co arn oa covata dl Amor chew sta dentro: ‘Un Amorino mete gle piame, otro gid quae so gsro 8 foo, Uaraliroal'uovo git pect a sent Avr un eoufisopgolar&” Amori: Teredteal earno | mor gat eres salt pot (Wersine dl Coste) 42 Se Ia passione pad tanto in una timida fanciulla, che non potra ne’ giovani ardentit Improbe Amor, quod non umana pectora cogts? alte quali parole faccia dire & un frato, non nato alla vita au- stera del chiosiro, « T’ardan le flamme, o bosco, e ti abbatia la seure; brucino gli albori tuoi come la mia anima brucia;..1m'apran Ja via a vedere la mia diletta, cole che ho amata sin dalla mia fancinllewea. Non abbia luogo in terra e Dio benedetto percota chi m'ha volutofeato,e m’ha separato da lei» (Doina v1) Amore non porta rispeto ai capellicanuti, estende egualmenta sa tutti, iovani © vecchi, il suo impero. « Ti dia! elie vidi io mal, la, sulla colling di Vaslui? una fanctullae un veechio, il quale & let shiedeva {1 miele del sono, » La funciulla to schernisee, ma il veeehio: « Tu non hai gindizio, Egliuola mia! quel che osehio vede anima vuole. » (Hora tm) La bellesza fa questi ed altri niracoli. « Soto un albero fronzuio siede una yecchia stizz0sa. Lrerba intomo @inaridita; quel che prima era verde ora & ap- passito: quel ete prima era dolee ora é amaro; quel che prima ra glocondo ora @ triste! Sul prato verde passa una fancialla flrita, eon un seguito di farfalle. Riaverdisee quel ch era appss- sito, si fa dolee quel ch'era amaro, quel eter triste diventa aio.» (Hora xaz) Sela bellezza pud tanto sulle cose insensbill, immaginatevi pot che cosa abbia a fare ne’ cuori umani. Alla osteria di Stancuzza la geote accorre come stregata. « Il vino & buono, e grance & la misura; 1 valorosi aseiugano’ mezzine so- pra mectine; nen han euore d'andarsene, ed ivi li coglie la notte, Cai passa. si ferma; quanti la vedono danao di volta: bevono, votan la borsa; ma per Dio, nessun se ne pente, Chi 8 venuto eon quattro buoi so no torna con dues chi giunto a eavallo parte con la sella in ispalla; chi 6 giunto a pledi beve quanto ha indosso, ese ne va via nudo, con un buon augurio. » (Hora xxiv.) Amore & ingegooso ed astuto, e insogoa mille arti a’ suol seguadi, « Lelizza, amor mio, bocosforita! Quando sara sabato, legaalla tua treecia un flo di seta gialla, e mandalo fuori della Gnestra. To verrd, elo trerd pian plano, o ta usciral, o faremo insieme allamore, » (Hora xxxtx) A cui non si svegliera lingegno, © chi vorré pit farsi trattaner daglt ostacoli, quando due labbra di ese gli dicano: « So vuoi avermi per moglie, se vuoi che cf fac- siamo compagnl, tl dard bact seavi, tt dard da gustare dole Pom. Due pomi maturati all'ombra, con due fontane dolei di latte, che il sole non ha vedute, su cut il vento non ha sofito, ‘Due pomi rotonii, lavati eon la rugiada, con la rugiada dei flori DELLA POESIA POPOLARE RUMENA, ‘DELLA PORSIA POPOLARE ROMENA, 8 raccolta sull’ora di mezzanottet » (Doina xv.) Ma amore non & ‘senza amaro, dice il proverbio; e { sospetti, le gelosie, i disprezz Te vane aspettative, spargono di spine | suol eampi forti« Abime1 ‘meschina me, fratel mio Costantino! i eattiva la febbre, & poggio I'amore | La febbre ti mette il golo nell’ ossa,, ma amore AL toglie il giudizio, ma 'amore ti abbrucia, e t empie d’una pena covente... Abitné, fratello caro, io svengo come Ja rugiada sul flore, como la spuma del mare, quando il sole superbo Ia Deve. Scavamni una fossa ul rezz0, che il cuore mi si scbianta di affanno. » (Doing xv1it) Aver pasienza! come si fa ad aver pa-_ ienzs quando I'snima & in tumalto, quando il sangue ribollet Per non poterne avere Leandro passa ogni notte d’ Europa in ‘Asia; Lelca, non meno accesa di amore, ma men valorosa, im- ppreca al fiume che Ia separa dall’amante. « Olto,' plociol Olto, ‘i si esauriscano i fonti, i cespugli vi erescano, per modo ch’ io posta passarti a piedi. Olto, flume maledetto, perehé ne vai cost torbido, perché acceler il corso al pari di uno Zmeo,? e impedi- sci il passagzio al mio Nizrut Assottiglia le tue acque, impove- el { tuoi gorghi. che io ti vegza I clottoli del fondo. Quando ppassano le fanciulle, lava loro { pledi.. Vento, va a dirgli che son cattivi glindugi, che Leicuaza é divorata dal doru, e che il ‘suo eampo rimane non dissodato, Vieni , o Nizau, fanciullo; per- cché fai tu aspottaro 'amata? TI basilico s'& annerito, il rosa ino @ ingiallito, © Leica piange, Leica si laments, e appassisce com'essi! » (Doina xurx.) Udite come un povero amante deluso si duole della sua sorte: raramente, cred? Io, la passione ha tro- vato pit semplici, e a un tempo stesso, pid vere e commoventi parole. « Foglia verdo di noceinolo,* io avevo una innamorata pie- cing, @ Ia Tasciai crescere, perch® mettesse giudizio, Ma, dacché la lascial, 8 cressinta, © a preso marito. Povero me, che pec ato! Meno male so fosso andata a stare tro vllaggi lontano, ma 6 fatta sposa nella terza casa dopo la nostra. Esco faori ¢ Ia vedo, © mi sento morire, Batro in casa, e sento la sua voce, © ‘un dorwerudele mi prende, Ahi, mamma mia dolee, mi si spexza + Fame che sapara i grande dati peclaValachia. se geal stl | qoa,scondo i ppolro credo, fa conn raph dla fogre.Pgwrann aaa frequent nel ‘an om aloe alee cheat seme di Zaeo, edn oral veloc loro, salmeat ch so 6 generals da un Zino 13 fala cretion et eal remect ports he tel oot bi flor dex 1a toga sempre sea tal plat, ce posaolearalertconvenga fn qules tod lsongeta, Can, quodo el paca di Braviy at aeglie Ia fog dl plao, © a ‘erin; quando Bll la fogs di qual, que oes, o dus erb adres, 4 DELLA PORSIA POPOLARE RUMENS, {i cuore! © tu non alleggerisci la mia pena, dicendomi che il mondo & granie, e che nel mondo di faneiulle ve ne son molte, che m{ darebbero retta volentieri , e farebbero tatio quel eh {0 ‘olessi per allenire il mio dolore. Ah, mamma mia, mamma cara! ‘tu non eapisei che cosa sia cid ch'io voglio! sei veechia, non credi! Il mondo é grande, © non vedi che di cento e di mille una, sola mi piace. Grande @ il cielo, e le stelle son molte, ¢ ve n'ha ai pli grandi © di pit pieeine; ma, per quanto sien luminose, non ve n'8 una bella come Lizza! » (Doina uxv,) It dolore del- Vabbandono é, con molta vagherza, espresso nel canto allegorico dolla tortorells. « AMltta tortorella; oh poverina, poverina lei! E rimasta soletta; oh poverina, poverina lei! Vola tristamente nella solitudine; oh poverina, poverina lei! Pit morta che viva. La sua vita é un Iamento; altro compagno non cerea. Passa pel bosco verde, ¢ par che nol voggs, Vola, vola, fin che la portan Yali, e mai non posa in verde ramo; ma, se talvolta posa, gli & sovra un arido tronco, o sovra una roecia, e non beve e non man- Bia. Dove scorge aoqua fresea In intorbida © passa; quando sco- ro un cacciatore gli va incontro volando. » (Doina xxii.) Quanto affetto{ che veritd, che garbot Tl Rameno, franco d’animo e ge- ‘neroso, ba in orrore V’ingratitudine © la perfidia dovangue le ‘trovi, ma le stima meritevoll d’ogni maggiore abbominazione quando le ineoatra negli amanti. La fanciulla, con bugiarde pro- messe tolta alla casa patorna, quando si vede negletta e tradita, leva la voce a imprecazioni terribili, dove, insiem con lel, motte i poeta tutta Y'anima sua, « Non hai tu compassione? mt hai tolta a'miel genitori, m'hai trascinata in questi orvidi boschi! Faccia Dio che il mio desiderio si adempia! Possa tu andar tanto finohd divenga schiayo de'Turehi, con eatene a’piedi, con manette ai polsi! Ti colga Ia mia aflizione dove é pid aspra la via Inciampi i tuo cavallo, ti travolga col capo allo ingit, ti svelga la man ritta, Ia siniswa ti feanga, ti laceri eof denti, Ti piangano i tuoi genitori: ammogliati nove volte, ed abbi nove Sgliuoll; ammo- gliati un'altra volta ancora , ed abbi una figtiuola cola... Quando tu piangerai psssino essi fischiando, ed essa, eon le palme delle ue mani, ti porti acqua torbida ed amara,e tu ne bova, ne bova sempre, pensando alla mia maledizione ! » (Leggende e ballate, v1.) La fodelta, per contrario, é lodata e glorifcata in una leg- fonda, Ia quale ha moltiriscontri nelle navelle popolarl di altri Daesi, « C'era una volta un garzone, altero e forte come il dei boschi, su per la cima dei mont. Egli prese per mogl DELLA POESIA POPOLARE RONEN. 18 fanciulla del suo villaggio, una ramena amata da tutit, con un viso dolee e 1uminoso, con wit corpo tenero e pleghevole come il flore del prato. » Il giovane & costretto a partir por la. gaerra ; sma, prima dl pors! in viaggio, lascia alla cara sposa un anello, il quale, s0 mai avverri che arragginisea, sara certo sogno della sua morte, Ella gli di in cambio un fazzoleto orlato d'or0, quando loro si squagl, sara segno similmente della sua morte, Ti giovane parla, ma sendo pooo dopo in un bosto, oo" suoi com: ‘pagni, gli si mostra il fatal sogno, ‘Torna precipitosamente indie- fro, e, per via, incontra un forte (voinic,' il quale gli narra come la diletta sna sposa sia stata dal padre di lui gettata in uno Stagno, « Tient, » risponde egli,« o valozoso, il mio eavallo, me- nalo a mio padres e s'egli ti domanda di mo, digli che sono an~ dato alla rivadell'sequa, in su, echo mi vison gettato dentro, per andar a trovaro Ta fanciulla che ho amata. Tl padre, pentit, fa asciugar lo stagno, e trova i due glovani abbracciat!, coricatt sul limo giallo, tutta due eon faccia serena, come se fossero vivi.» Son essi splendidamonto sopolti, © « da lui naeque wn pino verde e robusto, il quale si sparse per la chiesa, e da lei una vite flassaosa e forita, che si stese intorno, © s' abbraccié col ino.» (Leggende e lalla, vit) Pape Fpl stewed ee dl velo go- {loro pensieri. Heco due brevi cant, nell" un det quali si am- rmonisce le fansiullo di ben guardare a cui dan retta, nellaltro {insegaa a non unirsi con persona di troppo diverss eondizione, ‘ loge pera argo il suo. » 7 6 DELLA POESIA POPOLARE ROMENA. al sole ¢ quando all’ ombra. Un giorno egli la vide nascondere fra Je palme il riso lagrimoso, si che gemendo le disse: — Che &, ‘Anicuzza mis dolce Gli occhi tuoi beli son fatti come bragia dal pianto: forse t’& venuto a noia il lungo attendere che m' tial fat- to! — No, mio diletto, non é cid; Dio men guardi! Spargo queste lacrime per an terribi flagello, ch’ é eaduto sul nostro villagaiot Sappl, fratello, che un Mirsae' é venuto da Bugeae, e metto a ferro ¢ fuoco Ia terra. S'é formato qui presso al villaggio, sotto ‘una gran tenda di feltro, ¢ chiede, sicuro della sua forza, quanto gli viene in fantasia. Da clascun uomo pretende diect zecehini Yenetiani, éa efascuna casa un agnello e una giovenca grassa, ¢ per ogni notte una vergine, —Ehi, Anfeuzza, mia cara, facela Al Signore il piacor suo! ta non darti travaglio alcuno, Fa bol- lire del latte in una caldala, e me ne prepara un bagno; pot stro- Picciami Je earni con foglie di basilieo, tanto che mi si amoral ‘un po’ questo foco, Mi recherai poscia vesti nitide e belle, eucite ‘on refe bian:o, o le mie armi splendenti al per del sole, e chia- eral dal prato il cavallo compegno delle mie prodezze antiche, fl quale plange ogni qual volta mi vede, e s'io gli dico che muoto, non mi vuol credere! — Doncila si bagna nel latle, sl stropiccia col basilico, veste nitidi pannt, monta. a cavalo, e come appena @ in sella, grida ad altissima voco: — Rimanti sana, o sorella, ‘come una bella violeta in un blechiere.E tu, Soimo, che annitr @ non eredi el mio male, fo vo' vedere come ta voll, quando mi passa per la mente fl pensiero di porre in torra la testa del tar- ‘taro! Soimo nitrisee allegramente, e si lancia al corso come un lepre, come an levriere, come I uozello, come la folgore: in un baleno @ alla tenda di Crim Hogea. — Ben venuto, cane Doncila; se hai in meate di recarmi una fanciulle, recami tua sorella, chi non desidero altra.— Io ti conduco un’ altra sposs, pitt bella, pit degna, che, se ti da un baclo, povera la tua vital — Chi é mai costei, Donci at e dov’é, ch'io la veggat — Vedila qui, alla mia cintarat vedi quanto é bella, quanto é sottile ¢ lucente, Tu hai a udire che dolze vocina sa mettere, quando la voglia la fruga se znon che marzia I uomo vivo, ¢ taglia il capo a un bagaglione ‘tuo pari. — Abimé, ahimé, Doncila, io non ho chiesta si fatta Sposa: tornatene pur eon essa, ché, oxi stesso, io mi parto da vol. — No, m2} voglio che ai facsian le nozze, © ho giurato che s'abbiano a far ogi, — Balens in aria il ferro, vola il capo del po dian bod Tartar Tempo eb it eonio San Marco avers ors ntti Levante ‘DBLLA POESIA POPOLARE RUMBNA. a tartaro E Doneila ritorna e dice ad Anicuzza: — Pover' uomo znon ha fortuna, gli ho condotto una vergine, e con un bacio solo gli ha manglato la testa! — » (Leggende e bollate, x2c1x) ‘Non é eredibile qual goverao facciano de'loro nemici questi eroi, per rinomanza bensi, ma, per valore, non punto inferior! ai cavalieri della Tavola Rotonda. I ‘Tartari ei Turchi soprattutto, di cui le canzoni non parlan mai altrimenti che con tono di derisio- ne, cadono a fesel, come l'erbe del campo mietute dalla falce, sotto il ferro tagliente dei voinict, Uno dl costoro, perfetta figura, di cavaliere errante, abile cosi nell’ arte del canto che, alla sua ‘ove, « risonano i montl, si adunano i falehl, si destano i boschi, sospiran le fronde, ammiccan le stelle, e si sofferman nel loro viaggio,» getta I'armi in terra, 0 sfida alcuni valorosi banditi, i cui egli ha vinto il eapo, a sollevarle, se possono. Vi si provan eostoro, ma torn vane ogni loro fatioa: » nessuno pud sollevar ‘quell’ armi da terra, quell’ armi vestite d’oro, incinte di ferro. » Un altro, fatto prigione dai Tartari, rompe { suoi Incci, fa dol nemici orrenda strage, e, tornato in patria, « simile a un sole che risealda e fa maturare, di marito alle fanciulle senza curarsi doi Tartari, edifa monasteri da sorvir di ripari in tempo 4’ in- cearsioni, ¢ del eavallo nero e veloce ne fa un suo fratello. » A ‘questi paladini non mane nemmeno I’ amore pet cavalli loro, i ‘quali, eresciuti al buio, ¢ veloel al corso pitt della folgore, han sentimento e ragione, © spesso soccorrono di consiglio i loro st orl. vvGia prima che al governo dei Prine nazionall suzcedesse quello dei Fanariotti, eran cominciati per 1a patria rumena i tempi del gran decadimento, dal quale primamente la risollevd Yeroismo di Tador Viadimirescu. Dimenticate le gloriose tradi- siout degli avi, principi e magnati si piegano a far con lo str niero vergognosi trattatl, nei quali poco o nessun risguardo si hha alla salute e all’ onor della patria, ma molto al privato van- taggio; © di padri e difensori suol divengono nemlci e tiranni. ‘Del brutto mutamento fu ancor esso partecipe il clero, e da iné in poi il popolo asservito, oppresso, spogliato, non avendo cui ricorrere, né a cul raccomandarsi, cadde in tanta miseria ¢ in ‘tanto avvilimento, che son poche storie nel mondo che del pari ci porgano esemplo. Miserando 6 lo spettacolo che presenta il ppaese sotto.il governo det Fanariotti. Costoro, non principi, ma fittaiuoli, dovendo pagare alla Porta, da cul riconoscevano la si- gnoria, fl preazo della investitura, non hanno altro pensiero né 8 DELLA PORSIA POPOLARE RUMENA. altra sollesitadine che di ammassare, nel breve tempo del loro arte il debito, per assicurarsi !’ opulenza ‘altra, A rendere ee eens ae kee aee ar ea Set fries oun esrenser hie mtg er dolo a rere di pa La vita diviene, in tal condizione di eee oes es pe ate dione emigra ia Russi, in Aveta, in Bulgeria Di quel cho 1- hing wilted dieaan Berets eae ‘Pei campi uomini, donne e fanciulli che menavan gli aratri. Bssi wr ap lao i gas ma St Nhat lye ene fate iene ee Bitar Van aruoyie anne ae ee Uist ts fog cath pre at i as te ais statocinaia! Dg anal nee Strole doit ces wenwee sees ‘ail afonnty, bro eas oboe yon cane Pes ts treras rca no vere a ans ‘Non confrostar la tua borsa alla mia, giaeché ta non hai che la ‘meno un carro tratio da quattro buoi: e non ti si conviene di far DULLA PORSIA POPOLARE RUMENA. 9 rattamento a un par mio. — Fhi, ricco, signorello, so tn pos- edi quet beni, io non t' invidio perd; ché essi somigliano i tor~ Fente det monti; oggi corre ed allaga, domani vien meno ed & fsciutto, Se lai torme di pecore, lai anche torme di fastidit, che, ove sono i mansueti greggi, son anche pid fameliei i lupl, — Ebi, {apino, ebi, meschino! fo ti avrei compassione, s@ tu non fossi anime invidioso e malvagio.—Ebl, rievo, signorello, non farti remico alle mfo parole, ehé io non ti voglio né ben né male, € non ho che far teco. Tu hai un carro con otto buoi, io ho un bravo fovallo. Ta hai denarl da vagllare, zecehini da seminare, io non tho che una mannaia, la quale mi é buona sorelia; ma la rie- chezaa che tu ammucchi in una estate, iome la guadagno in una sera, giacehé la mia mannaia @ incantata, ¢ il suo taglio di fino acefaio, ¢ quando si volge in aria, cascano i riechi in terra Bhi, ste, ei, taverniere! reca una vadra di vino di Cotnar, ¢ non Garti pensier dello scotto, ché il povero, quando fa altrui tratta- mento, versa il sangue e paga. » (Leggende ¢ ballate, x1¥) “Ho detto come gli uomini, ehe non si sentivano I’ animo di- sposto a servire, spesso prendesser I'armi, esi gettasser nel bo- Sebi, e quivi, sffratellandost insieme pareccht, complessero le proprie o le altrut vendetta: e in generale pud dirsi che, a for- mare gli aiduehl rament, la carita di patria @ Y'amor della giustizia abbiano avuta pia parte che, certo, non si vegga essere flcaso per i bandit di altri paesi, Molti gon di costoro, i quali, ‘orudelissimi at riccht prepotenti, si mostrarono umani agli op- pressi e ai poveri e spesso largirono questi lo riecherze tolte ‘a quogll altri. Bujor, fra tatti,@ ricordatissimo pel suol beneSicli, lacanzone racconta che, essendogli domandato in giudizio dove ‘avesse nascosti i suoi tesorl, coi quali si sarobbe potuto riscattar facilmente, rispondesse: «Li ho nascosti nel boseo. affinché $0 ne giovino i povert, e sl provvegzano di vaccho o di buoi. » L'in- sopportabile tirannide del ciaooi 8 la cagione che, plit di spesso, spinge gli uomint valorosi alla strada, e non é vero bandito cht ‘non pone ogai studio ¢ tutto il suo valore a nuovere agli oppres: sorl e ai venditori dolla patria e del popolo. Le due brevi canzoni che trascrivo, mostrano chiaramente di qual odio fossero fatti og: sgetto | cioco. « Foglia verde di canna vuota, m’ineontrai eon un Giocot, Buon viaggio, © rameno, — Grazie, razza d'un cane, ~ ‘Bhi, marrano, tu sei briaco. —Latra a tua posta, cane dal bel ‘ollare: oggi non ho per anche rotto il digiuno, — Bhi, vil- Yano, mal villano, lascia fare che ti accomoderd fo, quando saré 30 DELLA PORSIA POPOLARE RUMENA, tompo di pagar imposta. — Via, va, ilo di un eane; se mt capiti fra unghie, ti torr ln pelle, e ne {ard custodia elle mie Pistole eal io scioppo, porebé il vento non It mpotver, non If srrugginisca la piogzia, ed occhio non Ii vegga » (Doing xxi). + Corvo, otratalcorva, che pur gracchi al solet ‘al ta fancy hai ta setot oti rode i! desiderio del boseo verde! —E.ho fame € ho seta, e ho desiderio del bosco verde. Volenterifarei un per Sto di cuor strappat! dal potti, berrelsangue dl pagan Mon: ere fogio di quorcin, e Dorset sangue di tartaro. Mangerel nolo delle ap, e berel sangue di eet. « (Daina xxrt} Bojor domandato de’ suo! deltt, rispoade: « Uomo non eels wal’ sa ho rota os ml ie 2 ‘non sho le ragioal dal date al bandito non re stare pe dr csi, onste, Gan, nat dl obi prospla oc ssa fare il malandriao per Indinazion di natura, « toglic, samen Pagamento, gli agoelll af pastori, gi stallon! ai montanart, a ey ce a Boori.» Un altro valorosofraneamente confesa di non avere in. elioasione per I agricoltura, ed seats nato per fare i bandit Quando fo avovo sett’anoi, portavo via, senua pagarl, git agnelli al pastori; quando n' avovo diciotto, assagziavo il vino sera fresco, ¢volevo sapere se sl stava bene ia eantina, @ so Trostesn ora bella; quando ne avevo vent, accorclavo delle este 1 Turehi ed i Gri» (Daina xvas) Mai bandit dl valore dt Brido hanno sempre avuto questo privilegio di dar nea fantasia alle genti del popolo,o pi forse alle donne cho agli uomini. Quel Gianal, che sbbiam nominato di sopra, a faceva corres dete tutte Jo fanetulle doi paesi, poi quali passava, ela canzone ricotda le Jnfnite eb’ etboro poi a dolorsi della lor sort, « Quante ne ha Amato, tanto no ha trade, o lsoite in abbandono, gravide det figliuli suoi.» piosiolllndri e dovtinall,invece, son diepres- ‘ti, il suprrbo aiduco si vedrebbe acai mal vlentien! meseo in mazzo con quelli. Caratteristiea Ia lamentazione che fa a ‘moglie di un ladruncolo di questa fat. «Il marto eho tol ora glovane¢reco: aveva denari o anelle de rlemprione le ani, ma, vedeto on po'ehe dsgrasia! ora. ttta roba abate Non pas) oa settiass, lo asiispparoo, elo gettaron nel fo rimasi a planguran- S'egil fosce slate uu baud valoreso, a ort mia aon mi parva mata, ma ons oho * Ue oon so miiere di poo ent ta ire dal gemma, dove trl gav li scala DELLA PORSIA POPOLARE RUMENA. 3t ‘un povero Iadro, © questo mi 8 grave. » (Doina vir.) Ma la vita dei gran banditid troppo aspra e difficile , perché ognuno si senta i farla. Udite Ia canzone: « Foglia verde di cicoria, quando vidi venir Ja stato, corcal la densa foresta per ivi por la mia casa, ceroai zecchini da farne vesti e gioielli a’ miei figliuoli e alle mie sorelle, ma non trovai se non picciole monete , buone solo a far pondenti e collane per lo mie Innamorate. Bistrizza, aequa, mon- tana, Bistrivza, torrente superbo, perché ti fai ta Danabio, e torbido gonfi, e non mi lasci passar di 1a, con Ta mia buona lama, alla cintura? Berohé non mt laset uscire un po' pit 14 nella valle, ‘osi che 1o mi apposti sulla via, sulla via per dove pessano i ‘gregyi ed 1 efseai? Da eingue giorni, o fratello, me ne sto pian ‘ato sul mio cavallo, con le mani sulle pistole, con gli occhi vOlti alla valle. Guardo © guardo, so mai ventura non capitl, ma guardo e aspetto invano, e intanto mi si spezzano i flanchi pel carico dell’ arma, per il peso de’ mfet peceati. O cavallo mio dalla picciola unghia, conducimi novamente sotto alle volte della fo- rests, dove I" ianamorata mia coglie more; conducim nella Valle seeca, si ch’ io vi aspetti la notte, e-ritenti che cosa possa il mio schioppo. Abimé, abimé, sole rotondo, sti pit sollecito a tra- ‘montare, ché m'e venuto a nota il Jango salire, il lungo sender ‘salir dalla valle alla collina eon la mano sul jatagan, lo scendere dalla collina alla valle con le mani sulle pistole! » (Doina xxvitt) Bella ed esatta dipintura della vita del bandito porgono le dae leggende intitolate Codreanul e Siefanisza. Codreanul, il ro della foresta, toglie con frode i cavalli ai viandanti, ruba gli agnelli dal greggi, mangia © beve a ufo, amoreggia con I'ostessa, fa strage de'soldati che lo voglion pigliare , cade nelle lor mani, ‘trova, modo di scappare, e torn libero e sano a'suoi boschi.— Ste: faniaza Voda banchotta in compegaia dei signori della sua corte. li occhi ai lat son Assi sulla sorella del famoso bandito Mibul, ch’ egli ha rapita, e del oui amore si strugge. La invita a riem- pfergll la coppa e a cantaro, ed ella mesce ecaata: » Foglia verde i quercia, ho un fratel valoroso, ¢ temo del suo furore; ho un signore che amo, © a cui do tutti i miei pensieri, Ahimé! como ho a fare ad essere in grado a tatti e due, a rendermi piscenta la vitat » Il signore ordina a’ suo cortigiant di trovarst tutti in armi all’alba del di seguente, essendo suo desiderio di andare a cac- cia nel boseo di Cobiu, stanza del temuto Mibu. Si fa secondo il voler suo: la cavaleata parte allo spuntar del giorno, ¢ al tra- monto del sole @ nella valle di Coblu, Quivi il principe incontra 32 DELLA PORSIA POPOLARE RUMENA. tun pastore, a cui chiede se conosca il faggio di Mibul, so possa condurvelo. Quogli risponde di si, a patto che fl principe lasct lo sue genti a guardia del gregge. S'internano tutt'a due, sena’al- tra compagaia nel bosco, e giant! al famosofaggio, il pastore getta {i mantel e improvvisamente si seopre per lo stesso Mibil, ar- mato da capo a pied. Egli rimprovera al privcipe il ratto di sua sorella, la illesta convivensa con lel, © mostrandogli come si rebbe in poter suo di togliergli Ia vita, pure gli fa grazia, e gli 4 facolta dl tornarsene sano e salvo. Si commuove i} principe a fanta gonerosité,e salutando Mibul col nome di fratello, gli promette di tir la sorella in isposs, e furla compagas della sua vita, Ymmodiatamente dopo icfoeor nel’ ordine degltodiatt vengono i Greci, i quall veramente non si pud negare che in molti modi zon abbian noeiuto alla Rumenia. Ad essi é per To pid serbata nelle leggende Ia bratta parte di traditori, ad esst 8 imputato di iapondere con nera ingratitudine al maggior benofel. Tl famoso Codreanul, di cui s'@ detto pi addietro, fatto prigione, e condotto alla presenza del principe, vedendo che questi @ gid per piegare ai consigli d'un suo greco cortigiano, @ punlrlo di morte, cast favella: « Altezza, non daro ascolto ai Greci, perchd ti sard da Joro consumata la vita. II Greco & una fiera maligna, il Greco & tuna lingua velenosa, il Greco 6 una peste, che penetra insino a Yossa. » Nella leggenda di Volean, altro famoso bandito, un ‘greo0, « servitore antico od amato, » vende il suo padrone ai Tar- chi per dies! borse di moneted'argento, o undiel di monete dor; ‘ma, Indi a poco, paga con la vita il suo tradimento, Fra le rolte leggende care al popolo, bellissima & quella che narra il modo con cui fa edificato il monastero d'Arges, uno dei mi- liort monument! dell'arto ramens. Negru Voda, accompagnato da nove maestri muratori,e dal famoso Manoli, eecellente sovra ‘tutti gli altri, cerea un luogo da fondarvi un monastero, che fac- cia fede af pid lontani nepoti della sua Jiberalita © potenzs. ‘Tro- vatolo, « { maeetri sollesitamenta tendono gil spaghi, misuran ares, eavano il suolo, lavorano senza posa, alzano il muro; ma opera del giorno rovina 1a notte. Cosi il secondo, cosi il terz0, eos il quarts giorno lavorano indarno 1 Si maraviglia il sigoore, @ Ii rimprovera, o si adira, ¢ li minaccla di soppelliel vivi nelle fondamenta, Quel gran maesiri, operai ¢ murator!, tremano la Yorando, lavorano tremando, un lango giorno d’ estate, dal mat. tino alla sers. E Manoli cessa dal lavoro, e si sdraia, ed ha un DELLA PORSIA POPOLARE RUMENA. a sogno; pot, destatosl, parla in tal modo:— Nove gran maesti, ‘operai e muratori, sapote quel eh'fo ho sogoato dormendot ho sentito una voce dal elelo dive che ognt nostro lavoro sara distratto Ia notte, fino a tanto eh non facciam voto di murar viva quella dello nostro mogl,o delle nostre sorello, che domant, al’ albs,, prima si presenti « portar Yusata vivanda al mario o al fratello. Cosi che, se volets condurre a termine questo santo monastero, che rimanga per memoria, giuriamo, serbando tutti secreto, saerticare ¢ dl marar viva la prima sposa, ola prima sorella,che i sl presenti domani allo spuntar del giorno, — Ea eoo0 all'alba, Manoli si sveglia, ¢ sale sui ponti della fabbriea, guarda gi nel campo, lungo la via. Quando, abit che vedet cbt veniva per quellat la sposa sua, il for del eampo! Bila se no veniva a por- fargli Ia vivanda e il vino. Quando Manali la vido gli si avviluppd 4 cuore, cadde in ginocehio, o disse piangendo: « Manda, Si- nore, un diluvio; forminsi torrenti e famane, che trattengano Ja mia diletia, la trattongano nella valle, la facciano voltar strada.» Tl Signore s'impictosisco, ascolia Ja sua proghiera, adana le nuvole, oscura il cielo, e rovescia sulla terra. una plog. ia spamegzionte, che corre in torrenti o in Gumane, Ma I'20qua non vale a trattenere la. valorosa donna, che viene innatzi, e si avvicina pid sempre. Manoli 1a vodeva, ¢ gli scoppiava il tore, @ novamento s'inginocshiava, © novamente progava: « Fa, o Si. ‘nore, sollsre un vento, che motta a nado | pint, spezz! i pioppi 4 meté, sottovolga { mont, cacct indietro la mia dileta, la tragga fuor della valle.» Il Signore s'impletosisce, ascolta la sua pre ghiera, @ sofa un vento sulla terra, che spezza {piopp 4 pint, sottovolge i monti, ma non ha foraa di rineeelar Ana in- dietro. Hila veniva, veniva vacillando, ma pur si appressava, ‘ma pure, misera lei! giungeva. gran macstt, operat ¢ mura orl, come lebbero scorta, st rallegraron tutti, Mano turbato, 4a bacid, @ Ia tolso in brecsio; sali le szale, e a pose sul muro, Sscherzando le disso: «Sta, mia cera, non aver paura, perché Yogliamo seherzare, o vogliamo murarti.» Ana eredeva, ¢ rideva allegramente. 2 Manoli, sospirando, comtnei) a tirar sail muro, © a complere il sogno. Saliva il muro, © gi le toccava il eollo del piede, gla i polpacci delle gambo: oh, poveretta, poveretta Jeil Ed lla rideva, e diceva: « Manoli, Manoll, ehi, maestro Manoli! bast lo scherup, ché comincia a parermi brutto, Manoll, Manoli, eli, maestso Manolii il muro mi stringe, mi frango il tenero corpo.» Ma Manoli taceva, e lavorava, o I muro cresceva, ¢ la ‘oe XXX — Stl 1875, 2 m4 RELA PORSTA POPOLARE RONENA. chiudeva gi sino al collo del piede, sino sf polpacci, sino a fian- chi, sino al sono. Ed ella, poyerina, piangeva forte, e diceva ‘¢ Manoli, Manoli, ebi, maestro Manoli! il muro mi stringe, iL latte mi geme dal seno, il muro frange 1a creatura ch’ io porto nel grembc.» Manoli scoppiava, @ lavorava, e il muro cresceva, @ Ia chiudeva gid sino ai flanchi, sino al seno, sino alle labbra, sino agli o:chi, tanto che, poverina, la non si vedeva pit, @ solo ‘Manoli, Ma- noli, ehi, sluestro Manoli! troppo mi stringe il muro; mi si spe- ggne la vita. » Lungo I’ Arges, sopra la bella riva, se ne vien Ne- gru Voda a far riverenza a quel monastero, a quel fastoso edifizio, di cui nonsi vide mai l'eguale. Lo mirava rallegrandost il signore, e cosk diceva: « Maestri muratori, o vot diect gran maestri, pone+ tevi la maxo sul petto ¢ ditemi il vero, sareste voi da tanto di farmi un altro monastero, che rimanesse per memoria, molto pitt Tuminoso e pitt bello di questo? » Allora quel gran maestri, ope- rai e muratori, stando su per i pouti e per il tetto, si allegra- rono, s*inorgoglirono @ risposero: « Sa tutta la terra non si trovano operai e muratori, gran maestri come noi! Sappi che nol potremmo, quando che sia, costruire un monastero, da ri- maner per memoria, molto pit luminoso e pit bello di questo! » ‘Li aseolta Il signore, e sta un poco sopra pensiero; poi ordina di toglier Je scalo, a fine cho quet muratori, quet dieei gran maestri yperiscano e rimangano a marcire lassi peri ponti e per il tetto. “Avvisarono [ maestri,econ lamino leggiere di legno si fecero ali {a volare, Poi si Isneiaron nell’ aria, ma eaddero in terra, © ca dendo si rappero i corpi. E il povero Banoli, il maestro Manolt, nel punto che stava per lanciarsi anche lui, udi uscir fuor del muro une vooo dolorosa, una Yoce amata, che diceva gemend «Manoli, Manoli, ehi, magstro Manolil il muro Geramente mi stringe; il latte mi geme dal seno ; mi si frange in corpo la mia, creatara, mi si spegne la vita! » Udendo queste parole, si smarri tutto Manoli: gli si ottenebrarono gli cechi, 1a terra gli gird in torno, gl girarono intorno le nubi, e dal ponte, ¢ dal!’ orlo del tetto, merlo precipiti!| E che fa veduto formarsi nel punto ov" el cade? una fontana silenziosa con pos acqua, con acqua salsa formata di lacrime,» (Leggende e ballate, xuvit.) [Abbiam veduto, discorrendo dello canzoni d’amore, come volen- ‘ier! { posti popolarl fazcian uso dell’ allegorla. Fra le leggende ve n'é una, intitolata Eroulean, Ia quale, sotto specie di una storia amore, sembra che ricordi la seoperta dell’ soque minerali di DBLLA PORSIA POPOLARE ROWENA. 3B Mebadia, Je quali, a tempi romani, erano sacre ad Ereole, e por- tavano il suo nome. Ereul Ereulean va in traceia della pi gicui- nella ¢ selvaggia di tre sorelle, che all’ alba del giorno se ne son ite: I'una verso il maro, sopra una bella splaggia; Y'altra al di Tadi nove monti, ne’ boschi canuti; la terza verso la Cerna," den- tro un sasso, dove piange nell'ombra, Trovato il suo ritiro, Eren- Jean la invita a uscir dalla pletra; ma ella: « Come vuoi ta ch'io ceca dalla pletra, se sono ignuda tutta © ho paura del sole... ho paura che mi beva la vitat» Ereulean Ia rassicura, e spacca i sasso, ed e020, a un tratto si mostra al mondo « una tenera fanciulla, bianea ed igauda, viva e bella, dolce e fresca, col ca- ppelli d'or sparsi gitt per lo spalle, » Erculean se la stringe al petto, Ia culla fra le braccia, e al rezzo, in Tuogo riparato dal sole, le fa un letto di fori spuntati al lame delle stelle. (Leg- gende e ballate, V.) TLe leggende speaso si chiudono con alcuna considerauione morale, fatta dal poeta: alire volte questi invita { suot uditori fad ammirare insleme con Jui la generositi ¢ il valore del suo roe, 0 a plangerne la mala sorte: talvolta ancora s* accomiata senraltro da quelli, o promette loro altri canti. « V"ho detto una ‘eanzone antica, ms un altro palo ne ho in seno. Se gli animi vo- stri sono inchiol al bene, fo vi dird anche quelle. » Giacchd ho toecato delle considerazioni morali, stimo oppor- ‘tuno di recar qai una Doina, dove st ragiona della diversa con- izione dell’ eta verde e della vecchiezza. « Fiorellino, florettot ‘quando fo ero al mio tempo felice, avevo tre innamorate, facevo all'amore con tutte e tre. Usa in cimadella collina, un’altra glit nella valle, e un’altra a mezza costa, Dacché ho fatto I eapelli anuti, le fancialle m? han voltato le spalle. Salgo ill monte; cht mi cbiamat la morte, la qual vuole ch’ fo badi a lei. Scendo nella valle; eh ride di met la morto, che git ml coglte, L'albero, quando invecchiato, mettilo al fuoco; I’ uomo, quando é invee- chiato, scavagli la fossa, eh’ ei vi riposi dentro. Mesehino, me- ‘schinot L' uomo, quando @ giovinetto, crede facilmente di dover vyivere quanto Ia terra, ¢ la vita dell’ uomo é come il fiore dot campo. S'apre fl mattino, appassisee durante il giorno, la sera non é pid. » (Doina LxvIL) ‘Abbiamo sin qui diseorso delle leggende, delle doine, delle ore; ci riunane a dare ust oesbiata alla colinds, 0 ai canti ma- gici. Le colinde sono eomposiziont piuttosto lunghe, con le quali, o8 Mabudi. * Pleo fase che iF 36 DILGA PORSIA POPOLARE RUMENA, st calebrano i gran fatti della storia di Cristo e dei Santi, o st ‘angurano altrai i beni della terra, e le benedizioni del cla. Le pial importanti son quello che si sogliono recitare o cantare nelle Heorrense del Natale, de'anno nuovo e della Pasqua, Per darne uun'idea al letore, basterd riportar qui quella, che, la viglia di Natalo, si va recttando per le ease da compagnie di fanciulli, { ‘quali giran le vie vestiti da Re Magi e da pastori, e recando, ale 2afa sovva una pertica, una gran stella di carta pinta. Fra an verso e Fattro, dal principio alla fing, &intercalato il ritornello: andidi fort, il quale & detto in coro da tutta la brigata, men- troché i versi, che forman senso, vengono recital da un solo. «Levatov, levateri, o gran signori levatevi, rument agricaltrl; veo vonire { cantort di colinde, { quali, sull'ora di mezsanotte, quando il gallo canta, vi recano un Dio, che vi libera dal male, tun Dio nato testé, vestito di gigi, il Dio vero, sole di splendens tissima luce, Levatevi, lovatovi, gran signori; levatavi, rument ‘agricolto’, perché in clelo 8 apparsa una stolla q'imperatore, tuna stella di Incentissime chiomo, la quale é annunaio di folictti, Ecco che florisce il mondo, e ringiovanisce la terra: cantano le tortorello nel bosch, alle finestre le rondini, e un bel colombo & Yorto dal!’ Ossidente, recando nel beeco an fore bianco, evi ai pposa a capo del letto, © vi augura di vivere molt’ anni flic, di fiorir come il melo, e a inveochiare com’ ess0, » Non credo cho in Tessaglia o in Coleo arte magica fosse in tanta credenza ¢ In tanto onore, quant oggi si vede in Ramenta, dov'ossaé esercitata sotto a tutte le sue forme, dalla goezia ¢ dalla mantic sino alla farmaveutica o alla bascanetica. Le zingare in generale, cosi le giovani, come le veechie, sono adilette a quost‘arta, da cul, non avendo esse per solito altro mestiere, trag. {ono il sostentamonto, Dello coso ch elleno pretendono a saper fare, ¢ delle quali soa veramento dal volgo tenute capaci, sarebbe troppo lange la lista: bast il dire che una strega dl mediocre Virti o sapienza pud con acconci beveraggi suscitare o spegner® 4a passion d'amore, travolger lo menti, assopir la memoria, o, con osseerazioni e scongiurl, far volar Ta gente per aria, trar di Sotterra i tesor, richiamar Jo animedel morti, oscurare il eelo, formare ‘fami, ec. ec. Hage te carminibus promititeeloere mentes Quas velit, aut alts duras immittereexvas Nocturnos cist Manes; mugire videbis ‘Sub pedibusterram ef descendere montibus ornas. DELLA PORSIA POPOLARE RUMENA. a7 rao numerose é la suppelletile dellarte loro, e Je verghette Brule sel eer uo fo spill, i batufoli di capelli, le ossa di nottola, vi han parte prin- cipale, ¢ vi operano cose mirabili, Queste maliarde, o streglie che fi voglian dire, all’esercizio dell'arte magica, propriamente detta, ‘accompagnano quello della medicina, la quale, tuttavia, ancor ‘essa, pid che nella virta di certi semplii, si fonda nella potenza egli scongiuri, in cul le persone del volgo hanno pit fede che anon in tutta la materia medica moderna. Di queste formule di seongiuro ve a'ha un subisso, contro ill mal occhio, contro gli spiriti maligoi, contro il morso delle serpt, ee. Eecone un palo: ‘0 spiriti maestri, nemici degli uomini, signori del vento, par Aroni della terra che volate per l'aria, radeto l'erba, camminate sull’ onde, andatevene in Inoghi remoti, nelle paludi, nef deserti, dove il prete non suona la campana, e la fanciulla non balla, “Andatevene in bocca al vento, percotote nel carchio della terra ‘Vscite dalla mano, dal pied, dal corpo, e sparite in alto dentro tuna nuvola. Dato la sanita all” uomo, perehé una spada ai fuoco vi colpisce. »— « Sotto il verde, nel bosco, é una piccola fontana, nella fontana una plotruzra frodda e azzurrina, e sotto a quella ppletruzia un serpentello coi denti d acciafo. I denti feriscon la pelle, Ia pelle tiene alla earne, Ia carno all’ osso, e un fulmine ‘velenoso passa pel corpo, Ba, come dalle niuvole escono { falmini Tnconti, cosi dall'oss0, dalla carne, dalla pelle, escano i mali | morsi dei denti di accisio di quel serpentello, che sta sotto alla, a » nella picciola fontana, all’ombra dei selvaggl arbo- ‘Passate cosi a rassegna lo varie specie dl eanti, onde st for- “mia 1a poesia del popolo rumeno, una questione s'a‘faccia spon- " taneamente allo spirit, Com’ & che quella poosia noa si alzd dal ‘grado della lirica a quello dell’ epica, mentre larga materia di feroiche gestae di guerre glriose si ofriva ai pooti, © mentre vi pervenne quella di popoli vicini asssi men favoriti delle qua- Titd dell ingegno, ¢ la cul storia non & a gran pezza cosi abbon- dovole e variat * Questo punto vorrebbe troppo pitt larga discus- sione che qui non sia conceduto di fare: ad ogni modo si pud dir ‘con certezza che le ragiont del mancamento non sono da ricercare ‘in una propria limitazione o impotenza dell’ ingegno rumeno, 1a * Pvinsipsmente Meebo, Ved ta Battaptia ai Kestowy, ropsodin elt dl avn. Rees ¥ 88st Ponsta ForoLane ROWENA, cui attitadine al’ epica é anzi assal ben dimostrata daglt avanal ai antic ‘dell imps rica, , reg, che, pit particolarmente, son proprii di tal gonere. La fantasia vi st mostra viva, ma non sbriglista; le immagint vi son convententi e belle pressoché sempre, Vandatura libera e pronta; le passient non manoan gia di vigore, ma si tengon sempre lon. {ane dall eccessivo, © nel pensicro ¢ nell’ espressione si seorgo ‘soupre quel sentimento dal condevente edell'adéquato, cho troppo i spesso manea nelle pagine de’ nostri versoggiatori. Tnsomma, fale qual é, parm (e cosi parra fors’ancho al lettore) che la pos. sia popolare rumena possa essere degaamento annoverata fra i ‘Mtoli, che, gli é gid qualche tempo, vanno attirando I attensione dell Europa sovra un paese troppo a lungo, e troppo ingiusta. ‘mente, secondo che ben dice il signor Alexandri, abbandonato dimentcato sul confine d? Oriente. A. Gran.

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