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INDICE

o La nascita del deserto (leggenda araba)

o Il cammello e la formica (racconto arabo)

o Haina (fiaba araba)

o Mille e una notte (fiaba araba)

o Il leone ingrato (fiaba africana)

o Il terribile guerriero (fiaba africana)

o I due orfani e la mucca (fiaba araba)


La nascita del deserto (leggenda araba)

Molti secoli fa la terra era verde e fresca. Era percorsa da

migliaia di ruscelli, gli alberi erano ricchi d’ogni genere di frutta e gli

uomini, che ignoravano il male e non conoscevano la guerra, vivevano

felici.

Allah aveva detto agli uomini: “Questo bel giardino è vostro e vostri

sono i suoi frutti. Dovete però agire sempre con giustizia, altrimenti

lascerò cadere un granello di sabbia sulla terra per ogni vostra azione

malvagia e un giorno questo verde potrebbe anche sparire”.

Per molto tempo gli uomini si ricordarono di questo monito. Ma un

brutto giorno due uomini, che si contendevano il possesso di un

cammello, litigarono. Appena fu pronunciata la prima parolaccia, Allah

fece cadere sulla terra un granello di sabbia così minuscolo che nessuno

se ne accorse.

Ben presto i due litiganti vennero alle mani; allora gli uomini si

accorsero che si stava lentamente accumulando un mucchietto di sabbia.

Chiesero perciò ad Allah di cosa si trattasse e Allah rispose che era il


risultato della loro cattiveria e ricordò loro il suo monito: ogni volta che un

uomo commetteva una cattiva azione, un granello di sabbia scendeva ad

aggiungersi agli altri e forse un giorno la sabbia avrebbe coperto la terra.

Gli uomini si misero a ridere e pensarono: “Anche se fossimo

estremamente cattivi, ci vorrebbero milioni di anni prima che questa

polvere leggera copra la nostra terra e ci possa danneggiare”.

Così iniziarono a combattere gli uni contro gli altri, tribù contro tribù,

finché la sabbia seppellì campi e pascoli, cancellò i ruscelli e spinse le

bestie lontano in cerca di cibo. In questo modo nacque il deserto e da

allora le tribù vagarono tra le dune, vivendo in tende, aiutate solo dai

cammelli per i lunghi spostamenti, e si portarono nel cuore l’immagine

della terra perduta.

Anzi, perché non dimenticassero Allah volle che ogni tanto si presentasse

ai loro occhi l’immagine delle piante e delle acque scomparse. Per questo

chi cammina nel deserto, vede talvolta cose che non ci sono ma, quando

tende le braccia per toccarle, la visione svanisce. Sono come i sogni ad

occhi ad aperti e la gente li chiama miraggi.

Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Allah ci sono ancora

ruscelli e palmeti, e la sabbia non può cancellarli ma li circonda come il


mare circonda l’isola. Questi luoghi si chiamano oasi e là gli uomini si

fermano per trovare acqua, cibo, riposo ricordando le parole di Allah: “Non

trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito”.


Il cammello e la formica

Una volta un cammello, mentre attraversava la steppa, vide ai suoi

piedi nell'erba una minuscola formica. La piccolina trasportava un grosso

fuscello, dieci volte più grosso di lei. Il cammello restò un bel pezzo a

guardare come la formica si dava da fare, poi disse:

- Più ti guardo e più ti ammiro. Tu porti sulle spalle, come se niente

fosse, un carico dieci volte più grosso di te. lo invece non porto che un

sacco, e le ginocchia mi si piegano. Come mai?

- Come mai? - rispose la formica, fermandosi un momento. - Ma è

semplice: io lavoro per me stessa, mentre tu lavori per un padrone.

Si rimise il fuscello sulle spalle e riprese il suo cammino.


Haina
Una bellissima fanciulla di nome Haina, fidanzata con un bel giovane

del suo paese, un giorno andò raccogliere legna nel bosco con le sue

amiche. Mentre raccoglieva i rami secchi, vide a terra un mortaio d’oro.

Subito pensò di prenderlo perché era molto bello e prezioso e lo mise da

parte per portarlo a casa: aveva in mente di venderlo e di ricavarne tanti

soldi. Quando fu l’ora di fare ritorno a casa, lo prese e si accorse che era

molto pesante. Decisa nel suo intento, s’incammino’ con le amiche ma

faticava molto a tenere il passo. Le ragazze cercarono di dissuaderla dal

suo intento, ma lei a tutti costi volle portarlo con sé. Rimase sempre più

indietro e, ad un certo punto, non vide più nessuno e si trovò da sola.

A questo punto dal mortaio uscì un diavolo che le disse di volerla sposare

e le ordinò di seguirlo nella sua casa tra le montagne. Quando il fidanzato

si accorse che non Haina non era tornata, partì alla sua ricerca, ma nel

bosco non c’era alcuna traccia di lei. Camminò in tutte le direzioni finché

arrivò alle montagne dei sette colori e chiese alla prima montagna se

avesse per caso visto la sua ragazza, ma questa gli rispose di no. Poi

chiese alla seconda e poi alla terza e così via, ma ne’ la montagna gialla,

ne’ quella arancione, ne’ quella rossa, ne’ quelle di altri colori avevano
notizie da dargli. Fu la montagna marrone ad informarlo che la sua

ragazza era stata portata a casa del diavolo, nella montagna nera.

Aggiunse però di fare molta attenzione perché se il diavolo l’avesse

riconosciuto, se lo sarebbe mangiato. Allora il giovane prese una pelle di

mucca, si travestì per non farsi riconoscere e salì sulla montagna nera.

Vide la ragazza stava che pettinando i capelli del diavolo. Di nuovo fece

ritorno alla montagna marrone. Questa gli consigliò di prendere molto

sale e un ago; infatti il diavolo non sopportava il sale e con l’ago avrebbe

potuto ucciderlo. Il giovane tornò alla montagna nera e vide il diavolo che

si era addormentato, allora gli buttò il sale negli occhi, prese Haina e

fuggì. Quando il diavolo si svegliò, sentì i suoi occhi bruciare urlò dal

dolore, poi si rese conto che la ragazza non c’era più e corse come un

pazzo fuori dalla montagna. Vide i due fuggiaschi all’orizzonte e cercò di

raggiungerli; quando fu vicino a loro, il giovane buttò dell’altro sale che

mise ancora una volta il diavolo in difficoltà. Quando ebbe finito il sale,

gettò l’ago e il diavolo morì. I due giovani tornarono finalmente al loro

paese, si sposarono e vissero felici e contenti.


Mille e una notte, favole dal mondo arabo.

Il re Shahriyàr deluso ed infuriato per il tradimento della moglie

concepisce un odio mortale per l'intero genere femminile. A causa di ciò

egli ordina al vizir, che è anche il padre di Shahrazàd, di condurgli una

vergine ogni notte: avrebbe passato la notte con lei e la mattina seguente

ne avrebbe ordinato l'esecuzione. La strage continua per tre anni finché

Shahrazàd bella, saggia e coraggiosa non si offre di passare la notte col re

dicendo al padre: "O rimarrò in vita, o sarò il riscatto delle vergini

musulmane e la causa della loro liberazione dalle mani del re e dalle tue".

Shahrazàd, per non essere messa a morte dal vendicativo re, per

mille e una notte, tiene desta la curiosità del sovrano con i suoi racconti

straordinari, ora incatenati l'uno all'altro come anelli di una collana, ora

rinchiusi l'uno nell'altro come in un sistema di scatole cinesi. Quando

Shahrazàd smette di raccontare, il re Shahriyàr ormai ha dimenticato per

amor suo l'antico odio per le donne; il tempo e la fantasia l'hanno

riconciliato con la vita. Shahrazàd ha salvato se stessa e ben più di mille e

una fanciulla.

Questa la storia-cornice: una storia di per sé straordinaria, che offre

Shahrazàd all'ammirazione di lettori, imitatori, poeti ed artisti. Shahrazàd


è diventata per l'occidente la regina-madre di tutte le odalische che hanno

popolato da secoli le letterature europee, le gallerie d'arte e i palcoscenici

dei balletti.

Per il mondo arabo Shahrazàd è il simbolo della forza

dell'intelligenza, del fascino della parola, del potere di seduzione e in

questo senso Shahrazàd rappresenta tutt'altro che il modello dell'odalisca

sensuale e passiva, caro all'immaginario occidentale. In realtà essa è una

donna attiva, abile, astuta, artefice della propria salvezza e di quella delle

altre donne, capace di suscitare amore nel sovrano e di conservare vivo in

lui questo amore.


Il leone ingrato

Molto tempo fa, in un piccolo villaggio, viveva un leone.

Disturbava continuamente la gente del villaggio e uccideva chiunque

passasse vicino alla sua capanna.

Il re del villaggio allora indisse una riunione straordinaria. In essa tutti i

cacciatori del villaggio decisero di andare in cerca del leone e di ucciderlo.

Costruirono anzitutto una capanna molto resistente, dove

potessero rinchiudere il leone prima di ucciderlo.

I cacciatori riuscirono poi a catturare il leone e lo rinchiusero nella

capanna in attesa di punirlo senza pietà.

Il giorno dopo, un uomo stava passando vicino alla capanna: il leone lo

supplicò di aprire la capanna e di farlo uscire. L'uomo all'inizio resistette,

ma poi cedette alla continua implorazione del leone e aprì la capanna.

Appena il leone usci fuori si avventò sul'uomo cercando di ucciderlo.

Questi pregò il leone di risparmiarlo, ma inutilmente.

La gente che passava di là informò il villaggio di quello che stava

succedendo.
L'uomo e il leone raccontarono la loro versione dei fatti. Molti

patrocinavano la morte dell'uomo, molti altri imploravano clemenza.

Passava di là un lupo, che viveva nelle vicinanze del villaggio, e si fermò

ad ascoltare la controversia. Chiese poi le diverse argomentazioni.

L'uomo raccontò al lupo che il leone nella capanna stava soffrendo: lo

aveva supplicato di aprire la capanna per poter uscire. Così aveva fatto,

ma il leone dopo essere uscito aveva cercato di ucciderlo.

Il lupo ascoltò molto attentamente il racconto dell'uomo.

Il lupo, animale molto saggio e intelligente, disse che non gli erano chiari

i termini della controversia, per cui proponeva una dimostrazione.

Consigliò di tornare alla capanna per verificare sul posto l'accaduto.

Allora l'uomo tornò alla capanna, aprì la porta e il leone vi entrò; il lupo

chiese di riportare la porta nella posizione originaria. L'uomo e il leone

dissero che era chiusa ermeticamente: l'uomo allora chiuse la porta con il

lucchetto, cosi ché il leone non potesse uscire.

Il lupo parlò al leone e gli disse:

«Sei un ingrato: una persona ti ha aiutato a uscire dalla capanna e tu

volevi ucciderla. Perciò tu rimarrai nella capanna e vi morirai, mentre

l'uomo andrà via libero.»


L'uomo poté andarsene, mentre il leone rimase dentro la capanna a

soffrire.
Il terribile guerriero.

Un bruco strisciò dentro la tana di una lepre, durante la sua assenza;

si accomodò bene nell’angolino più buio, poi rimase ad aspettare. La

lepre, appena tornata, vide una striscia sul terreno e poiché non capiva

chi potesse averla lasciata chiese a voce alta chi ci fosse a casa sua. Il

bruco, spavaldo, rispose di essere un terribile e forte guerriero. La lepre

tremando dalla paura, scappò via dalla tana, lamentandosi tra sé: “Che

cosa può fare una come me, contro uno che dice di essere un terribile

guerriero?” Per la strada incontrò lo sciacallo: – Amico sciacallo, mi faresti

un grande piacere? – Di’ pure, amica lepre. – Vieni a casa mia e cerca di

parlare con la bestia feroce che l’ha occupata. Lo sciacallo acconsentì e

arrivati all’ingresso della tana, gridò forte: – Chi c’è nella casa della lepre?

Il bruco rispose immediatamente: – Io sono il guerriero, figlio del capo

guerriero del Paese-che-non-esiste; io schiaccio il rinoceronte e ballo sul

corpo dell’elefante; io sono invincibile! Lo sciacallo, udita questa risposta,

si tirò indietro più svelto che poté e disse alla lepre: – Io non posso fare

niente contro un simile guerriero. – E scappò via. La lepre, più sconsolata

che mai, andò in cerca del leopardo e lo pregò di andare a parlare con

l’animale che aveva occupato la sua tana. Il leopardo accettò volentieri,

ma, quando fu arrivato davanti alla tana ed ebbe udito la risposta del
bruco nascosto, disse piuttosto avvilito: – Se costui scaccia il rinoceronte

e l’elefante, schiaccerà pure me! E se ne andò. Cercando di non far vedere

che aveva paura. Allora la lepre andò in cerca del rinoceronte: – Nella mia

casa c’è un guerriero feroce; perché non vieni a parlargli, tu che sei tanto

forte? Il rinoceronte, che era piuttosto vanitoso, andò subito alla tana

della lepre e gridò, più forte che poté: – Chi sei tu, che occupi la casa della

mia amica lepre?

Il bruco, senza scomporsi, rispose: – Vieni, vieni, rinoceronte! Io sono il

guerriero, figlio del capo guerriero del Paese-che-non-esiste! Io schiaccio

al suolo tutti i rinoceronti che incontro e ballo sul corpo dell’elefante!

Il rinoceronte rimase veramente male: poi, per giustificarsi, disse alla

lepre, con un tono di voce molto basso: – Ha detto che può schiacciarmi al

suolo? Allora sarà meglio che me ne vada! La lepre, più avvilita che mai,

rimase a guardarlo mentre si allontanava. Poi, in gran fretta, se ne andò

dall’elefante: – Tu, elefante, sei ormai la mia ultima speranza! Vieni a

parlare con il feroce guerriero che ha vinto il rinoceronte e che minaccia di

ballare sul tuo corpo. L’elefante guardò la lepre dall’alto della sua

imponente statura e disse: – Amica lepre, non ho alcuna voglia che

qualcuno balli sul mio corpo, anche se si tratta del più valoroso guerriero

di tutta la foresta! Ti saluto, amica! E se ne andò, maestoso e tranquillo,


lasciando la povera lepre afflitta e triste. In quel momento, passò di lì un

ranocchio e, vedendo la lepre in quelle condizioni, le domandò che cosa

fosse accaduto. – Se tu sapessi… – borbottò la lepre. – Per disgrazia, la

mia casa è stata occupata da un guerriero così terribile, che ha saputo

vincere lo sciacallo, il leopardo, il rinoceronte e l’elefante! – Ma guarda! E

chi è mai questo guerriero? – Dice di essere il figlio del capo guerriero del

Paese-che-non-esiste! – Guarda, guarda! Ho proprio voglia di andare a

vedere questo terribile personaggio, che ha vinto tutti gli animali.

Così dicendo, il ranocchio con pochi balzi si avvicinò all’ingresso della

tana e chiamò forte: – Chi c’è dentro la casa della mia amica lepre?

E il bruco, che avendo vinto lo sciacallo, il leopardo il rinoceronte e

l’elefante era sicurissimo di impressionare anche un misero ranocchio,

disse con la solita voce spavalda: – Ci sono io, il più valoroso dei guerrieri,

figlio del capo guerriero del Paese-che-non-esiste! Ho vinto tutti gli

animali selvaggi, ho schiacciato il rinoceronte e ho ballato sul corpo

dell’elefante! Il ranocchio, che era intelligente e non si lasciava intimorire

dalla minacce, balzò nell’interno della tana e senza alcun indugio si

diresse verso l’angolo dal quale proveniva quella terribile voce, e intento

diceva: – Benissimo! Ecco un avversario degno di me.

La lepre incredula guardava piena di ammirazione il ranocchio.


Quando il bruco se lo vide davanti, cominciò a tremare e, con un filo di

voce, sussurrò: – Calmati, ranocchio, sono soltanto un bruco!

Allora il ranocchio lo portò fuori. Tuttavia l’avventura era stata così

divertente, che nessuno fece del male al bruco. La lepre si vergognò un

pochino, ma poi pensando alla paura che avevano provato gli animali

molto più forti e più grossi di lei, si consolò e disse al ranocchio:

Grazie, amico ranocchio; tu sei stato l’unico fra tutti gli animali della

foresta che ha osato sfidare il pericolo per me, sei stato avveduto e

coraggioso ed io ti sarò sempre grata e riconoscente. Poi guardò il bruco e

cominciò a ridere pensando ai suoi timori infondati e si ripromise di non

fargli del male. Del resto, il ranocchio lo aveva preso sotto la sua

protezione.

Tutta la foresta rise di questa storia per molto e molto tempo.


I due orfani e la mucca

Un cacciatore aveva sposato una donna che non poteva avere figli,

decise allora di sposarne una seconda che gli diede due gemelli. Purtroppo

la donna morì e la prima moglie, molto invidiosa dei due bambini cercava

ogni pretesto per sbarazzarsene. Un giorno il cacciatore ritornò dalla

caccia con due pernici, la moglie disse che non erano sufficienti per

sfamare tutta la famiglia e convinse il marito ad abbandonare i figli nel

bosco. L’uomo insieme ai figli, lasciò anche una mucca e raccomandò loro

di sgozzarla non appena fosse diventata bella grossa.

I due fratelli si nutrirono con il latte della mucca, crescendo così sani e

robusti, ma la mucca non ingrassava e essi decisero di chiedere consiglio

ad un corvo. Il corvo li pregò di piangere nella cavità dove stavano i suoi

piccoli per poterli far bagnare e per ringraziarli avrebbe dato loro

l’opportunità di sgozzare la mucca. Volò fino al macello, con il becco prese

un po’ di grasso e lo spalmò intorno alle narici della mucca. Quando i due

fratelli videro questo grasso, sgozzarono la mucca, la scuoiarono e

divisero la carne in quattro parti. Attirato dall’odore del sangue fresco, si

fece avanti un leone e pretese la sua parte. I due fratelli gli lanciarono la

testa, ma il leone pretendeva di più, gli lanciarono una parte, ma il leone

non si accontentò e furono costretti a lanciargli l’intera mucca. Il leone


non era ancora sazio e ormai rimanevano solo i due fratelli. “Scannatevi”

disse il leone “il più forte mi getterà il perdente”. I due lottarono a lungo,

ma nessuno vinse, ambedue caddero esausti ai piedi del leone. Questi li

infilò nella pelle della mucca e li abbandono lungo la strada che portava al

mercato.

Passò un cammello, sentì gridare i due fratelli e chiese loro che li avesse

chiusi lì dentro. “Il leone“ risposero i due fratelli. “Il leone è troppo forte,

non posso liberarvi” replicò il cammello e tirò innanzi.

Passò un mulo, stessa domanda, stessa risposta, anche lui si rifiutò di

aiutarli. Cosi pure un asino. Solo un riccio che cavalcava una gallina non

ebbe esitazioni e sfoderata la sciabola squarciò la pelle di mucca

restituendo la libertà ai due fratelli. Quando il leone ritornò e trovò la pelle

vuota chiese a tutti gli animali chi fosse stato a liberarli. Tutti negarono,

tranne il riccio che con orgoglio ammise di averlo fatto. Il leone lo sfidò.

Raccolse attorno a sé tutti i grandi animali e li dispose uniti per la

battaglia. Anche il riccio riunì tutti i piccoli insetti che pungono: api,

vespe, zanzare, ma non li mostrò. Quando iniziò la battaglia, i grossi

animali punti da sciami di insetti, fuggirono e il leone fu il primo a

rientrare nel suo covo. Il riccio lo inseguì, prese una piuma della gallina

che cavalcava e la piantò davanti alla tana del leone.


Ogni volta che il leone guardava fuori, vedendo la piuma, pensava che il

riccio fosse ancora lì e non uscì più fino a morire di fame.

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