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o 2005, GIW.

Laterza & FigiJ,


~r la Traduz.Il>ne, l'Jmroduz.ione Francisco de Vitoria
~ I~ No[~ di Carlo Galli

Prima Mizione 2005 De iure belli


Traduzione., Introdw..ione e i\ot.e
di Carlo Galli
Con testo latiJw aIronie

• Editori !AtervJ
Introduzione
di Carlo Galli

Proprietà ieueraria riservata La Re/eelio' de iure belli che il domenicano Francisco


Gius. Laterza & Figli Spa,
Roma·Bari de Vitoria (1483?-1546) tiene il 19 giugno 1539 a Sala-
manca, dove ha cattedra di Prima Theologia dal 1526, è
Finito di stampare
nel febbraio 200:5 la diretta prosecuzione della Releelio de Indii', pronun-
PoJigrafico Dehoniano . ciata intorno alI o gennaio dello stesso anno, e risulta es·
Stabilimento di Bari
~r conto delJa
sere la penultima, in ordine cronologico, delle tredici
Gius. Laterza & Figli Spa Releeliones che conosciamo (sulle quindici complessi-
CL ZO-7S00-S ve), che hanno luogo dal Natale 1528 (De poleslale ci-
ISBN 88-4Z0-7S00-0
vilt) allO luglio 1540 (De magia)'.

l La Releclio è una lezione solenne, ovvero conferenza o disserta-


zione originale, tenuta davanti all'intero corpo docente, diversa quin-
di dalla Leclurll, che è invece l'ordinario commento di un testo auto-
riale davanti agli studenti,
2 F. de Vitoria, Releclio de lndis. La questione degli Indio!, a cura
di A. Lamacchia, Bari, Levante Editori, 1996. La strena dipendenza
del De iure belli dal De Indis è evidente anche per il fatto che in alcu-
ni codici e in akune edirioni questa Re/l'Clio è indicata come De In-
dis, sivt! de iure belli Hispanorum in barbaros, re/l'dio posterior.
J Sul contenuto delle Re/ediones, e sulla loro cronologia, dr. A.
Lamacchia, Frandsco de Vilona e l'innovazione moderna del 'Didllo
delle genli'; Introduzione a Vitoria, Re/ectio de Indis. La questione de-
gli Indios, cit., pp. IX-XCIV: XXIX, nonché U. Horst, Lehen und Werke
Frana"sco de Vi/odas, in F. de Vitoria, Vorlesungen. Vo/leerrecht, Poli-

v
Le due Relecliones, De Indis e De iure belli (d'ora in stico, ha fatto esperienza aParigi, ai tempi dei suoi studi
poi DIB), segnano un importante momento di elabora- e del primo insegnamento come bace1liere alla Sorbona
zione, da pane di Viroria, di un sapere teorico-pratico (1510-1523); se dall'erasmismo, combattuto dai france-
- cioè morale, giuridico e politico, iscriuo all'interno di scani spagnoli, egli si libera ufficialmente nel 1527,elen-
un orizzonte teologico - che intende collocarsi all' altezza candone gli errori teologici nella ]unla di Valladolid (pus
delle sfide politiche del tempo: cioè delle grandi questio- essendo stato il destinatario, l'anno prima, di una lettera
ni con cui si apre l'età moderna, che vede mettere in di- dello stesso Erasmo che a lui si raccomandava, e pur
scussione la tradizionale equivalenza -logica e categoria- avendone assimilato l'universalismo)4, rispetto al nOm1-
le, se non politica ed effettuale - fra Europa, cristianesi- nalismo volontaristico (di cui c'è forse traccia in forma di
mo, civiltà, umanità. Dal XVI secolo in poi, infatti, la res- qualche influsso scotistico) la sua posizione consiste in
publiCll christiana è sempre più chiaramente solo una par- una diretta ripresa del testo di Tommaso: sotto la dire·
te del mondo (è questo il primo effetto della scoperta del- zione del suo maestro Pietro Crockaert (Petrus de Brus-
l'America); di fatto, né il papa né l'imperatore sono più i sellis) egli cura, nel 1512, l'edizione a stampa della Se-
vertici della legittimità politica e spirituale (com'è mo- eunda Seeundae. Per tutta la vita Vitoria interpreta e svi-
strato dal formarsi degli Stati); il cristianesimo divide in- luppa, commentandolo direttamente all'Università
vece di unire (che è quanto emerge dalla Riforma). Que- (benché gli statuti di Salamanca prevedano ancora la let-
sta situazione può essere affrontata - nello sforzo di ci- tura delle Senlenliae di Pietro Lombardo)', i.l razionali-
condurvela - attraverso le categorie intellettuali e politi- smo strutturale e metodologico di Tommaso, divenendo
che elaborate all'interno della respubIiCIJ chnsliana; op- così il caposcuola autorevolissimo - già in vita è definito
pure può essere ricompresa attraverso l'immaginazione Sacrae Theologiae reslauralor- del ramo domenicano di
di nuove vie, grazie alle quali si possa costruire e legitti- quel variegaw rinascimento intellettuale spagnolo, la co-
mare un nuovo ordine politico interno e internazionale:
siddetta Seconda Scolastica, che (solo per fare qualche
si trana, nell'ambito teorico, dd eazianalismo moderno, nome) attraverso Domingo de SolO, Melchiorre Cano,
e, nell'ambito storico, dell'ordine degli Stati e dello ius
Bartolomeo da Medina, Bartolomeo Carranza, Juan de
publicum europaeum, che nasce con le paci di Westtalia
(1648-1649) e che muore nella prima metà del XX seco-
lo. L'opera di Vitoria è un lertium genus: è cioè un esem- • Su Erasmo e Vitoria, dr. L. Legaz y Lacambra, Horizontes Jd
pio di una innovazione non statualistico-razionalistica, a penSIJmiento ;uridiro. Barcdona, Bosch, 1947, pp. 19'-198. Notizie
cui l'autore giunge disponendo in modi originali i mate· sulla lettera di Erasmo theatogo cuiti4m hispanico sorboniro si trovano
in T. Urdanoz, lntrtXiua:ion biogrtifica a Obras de Francisco de Viton"a.
riali intellettuali offerti dalla tradizione antica e cristiana. Releceiones lea/Qgicas, Madrid, Biblioteca de Autores Cristianos,
Vitoria deve confrontarsi in primo luogo col nomina- 1960, pp. 14 e }o-},.
lismo, di cui, insieme aU'erasmismo umanistico e ireni- , Sul commemo di Viloria alla Summa, distimo per anni accade-
mici (dal 1'26 al 1540) e per argom~ti, cfr. Urdanoz. Introducd6n
biograficd, CiI., pp. 76·78; cfr. F. de Viloria, Commentarios Il la Secun-
tl"le. Kirche, a cura di U. Horst, H.-G. Justenhoven, J. Stuben, Stutt- da Secundae de Santo Tomds, a cura di V. Bdtran de Hereilia, Sala-
gan-Berlin-Koln, Kohlhammer, 1997,2 voU., I, pp. l}-99. manca, Biblioteca de Te61ogos Espailoles, 1932-1952,6 vaU.

VI VD
Mariana, Luis de Molina culmina, il secolo successivo, 1.1. Questo titolo di possesso dell'America da parte del-
con Francisco Suarez. Animata dai domenicani e dai ge- la Spagna è negato da Vitoria non solo in De Indir (2, 4
suiti, la Scolastica spagnola è non solo la risposta cattoli- e 5) ma, già dal 1532, dalla prima Relectio de potertatae
ca alla Riforma, in termini di oggettività opposta alla sog- Eccleriae (V, 2), in coerente applicazione di quanto egli
gettività, di razionalismo opposto al voiomarismo, ma è ha sostenulO fino dalla Retectio de poterlate civi/i (6 e 9);
anche il veicoio di una modemizzazione e di una cazio- qui, sulla base di una ripresa diretta di Aristotele (se-
nalizzazione dei pensiero europeo che, passando attra- gnalamente della tesi dell'uomo animale politico) e di
verso la ripresa non solo di Tommaso, ma anche di Ari- Tommaso (la teoria della lex naturalirl, Vitoria sancisce
stotele e del diritto naturale antico, stoico e ciceroniano, la naturale perfezione delle comunità umane, ossia il
ha potenti effetti anche in ambito protestante, in Melan- fatto che il potere politico (potertar temporalir, e quin-
tone, Althusio, Grozio, Leibniz, Wolff6. di più che la sola iurirdiclio), in quanto funzione neces·
saria all' esistenza delle varie comunità di popoli in cui
1. La questione americana' - ossia )'esigenza di dare una
l si articola l'umanità, è VOIUIO da Dio (ivi, 8) ed è del rut-
forma al rappono fra Vecchio Continente e resto del lO secondo la legge di natura, il che rende erroneo pen-
mondo - viene affrontata, a ridosso del descubrimienlo, sare che la sua legittirnazione risieda nell'autorità del
ancora all'interno di categorie largamente improntate al- pontefice o nell'adesione di re e popoli alla religione cri-
l'uruversaUsmo medievale: lo dimostra la bolla Intercoe- stiana, o nell'assenza di peccato. Anzi, nella prima Re-
tera divinae (1493) con cui papa Alessandro VI Borgia tectio de potertate Eccleriae (IV), VilOria sostiene che an-
- in analogia con quanto ha fatto iccolò V nel 1454, con che la potertar rpin'tuotir (la religione, distinta dal pote-
la bolla Romanur Ponti/ex che concede al Ponogallo tut- re politico) è in sé naturale, e che quindi si trova anche
ti i regni dell'Africa - assegna le zone d'influenza mon- presso gli infedeli e nell'Antico Testamento, benché
diali spartendole, con la raya, fra pagna e Ponogallo Cristo istituisca ex novo quella perfetta, ossia quella
(modifiche alla linea-spostata di 370 leghe a ovest-ven' meglio disrinta dal potere temporale, cioè il cristianesi-
gana pattuite fra le due potenze l'anno seguente, col trat- mo. L'indipendenza reciproca delle due poterlater si-
toro di TordesiUas). TI presupposto è ancora la leoria me- gnifica insomma che per Vitoria il papa non è dominus
dievale che vede il papa dominur orbir (e l'orbir coinci- orbir, e che quindi non può legittimare il dominio poli-
dente in linea di principio con lo rerpublica chrirtiana), tico di un principe su terre vecchie e nuove.
legittimato quindi a donare a un re cristiano sia il domi- Queste tesi - peraltro non nuove: sono infatti tomi-
nio di tecre e uomini privi di signoria sia il compito di stiche, 'ma sono già presenti. in forme diverse, anche in
proteggere l'opera ecciesiastica di evangelizzazione. Bernardo di Chiaravalle' - implicano che la ierocrazia
gregoriana (e bonifaciana) venga criticata; e infatti in
DIB e in De lndir Vitoria polemizza contro i decretalisti
(o M. Villcy, La !ormtuiQ"e del pensiero giundico moderno (1975).

Milano,)aca Book, 1991, pp. 295-J06; cfr. anche C. Schmin, Il nomo!


dell4 terro nel dinuo int"nazionale dello «jU$ publicum europoeumll 7 Bernardo di ChiaravaUe, De comlderali()n~ad Eugen'-um,lI, VI,
(1950), MiI.no, Adelph;, 1991, p. 128. 9·11, mPL 182, coli. 747·748.
Vli IX
e i canonisti, o li utilizza in modo parziale: è il caso di Convento di Santo Stefano, in cui si vieta ai teologi di
Nicola de' Tedeschi (il Panormitano), di una gloria dei Salamanca di trattare ulteriormente questioni politiche
domenicani come il teologo Silvestro Mozzolino da americane. Lettera rivelatrice di quanto le tesi di Vito-
Prierio, o di teologi trecemeschi come Agostino da An- ria - benché esposte con grande prudenza - siano re-
cona, autore di una Summa de ecc/esiashca potestate che putate potenzialmente pericolose, dato che per il resto
Vitoria cita nella Re/ecJio de Indir (2, 4). Naturalmente, Carlo V ha grande stima del domenicano, tanto che il
Vitoria critica anche i giuristi imperiali (Accursio e Bar- 31 gennaio del medesimo anno 1539 (oltre che in altre
tolo, fra gli altri) che sostenevano da altro punto di vi- occasiom) gli ha ufficialmente sottoposto alcune que-
sta l'imperfezione politica delle società, bisognose di es- stiom rdative all'amministrazione dd battesimo agli In-
sere legittimate dall'imperatore, signore dd mondo (De dios, su cui si dividono i francescani, i domenicani, gli
lndir 2, 2). Ciò significa che Vitoria vede ormai matura agostiniani, e sulla questione della loro schiavitù; e che,
la vicenda politica degli Stati europei, delle grandi mo- ancora nel 1545, a Vitoria viene propostO di partecipa-
narchie come delle repubbliche, anche se, ovviamente, re al Concilio di Trento come teologo imperiale (ma de-
non aderisce a nessuna delle due concorrenti strutture ve rinunciare per motivi di salute)9.
categoriali moderne -la sovramtà assoluta dd principe, Estraneo ai partiti fìJopapali e fùoimperiali, Vitoria
e il contratto legittimante e fondante dd popolo. non è certo uno spirito laico: infatti, anche il Concilio di
on a caso, quindi, il partito curialista spinge Sisto V Costanza (1414-1418) ha negato lapotertar direcla in lem-
(1585-1590) a mettere all'Indice le Relectioner; e non a pora/ibur del papa; e, d'altra patte, benché nella Re/ecJio
caso nd 1608, durante la polemica fra Paolo V e Gia- de potertate Papae et Conci/ii (534) avanzi una conce-
como I d'lnghilterra, il giurista di curia Francisco de la zione non assolutistica né autocratica del papa (ai limiti
Pena pone in dubbio l'autenticità vitoriana (e quindi del conciliarismo, almeno per quanto riguarda l'assenso
l'autorevolezza) delle Relectioner, proprio perché anti- - dichiarato non indispensabile - del pontefice alla con-
papali". E non a caso la tesi che il papa non è dominur vocazione dd Concilio), egli è un esplicito fautore della
orbis - che fa venire meno un importante concetto uti- potestas indirecta: il papa «non è un sovrano temporale,
lizzato dal re di Spagna, insieme al diritto di scoperta, ma ha nondimeno potestà sulle cose temporali in ordine
per legittimare il proprio dominio in America - vale a alle spirituali», nel senso che «può ordinare le cose tem-
Vitoria anche la temporanea ostilità di Carlo V, testi- porali com'è opportuno per quelle spirituali» (De lndir
moniara dalla lettera dellO novembre 1539 al priore del 3,9). TI che lascia ampio spazio all'azione dd pontefice:
in particolare, gli consente appunto di affidare Dd un so-
• L. Perena, li testo de/ill «Re/ectio de Indis». Introdu1.ione storico- vrano cristiano la protezione dello sforzo della Chiesa di
/i/ologicil, in Vitoria, Re/eclio de [ndis. lA questione degli Indios, cit.,
pp. XCV·CX1X: XCV; Id., Estudio preliminar. LA tesis deltz poI. dimimica, evangelizzare i pagani, e anche di escludere ogni altra po-
in Francisco de Vitoria, Re/ectio de iure bellI; o Pa1. dinamica. Escueltz tenza se il papa pensa che una presenza pluriIna di Stati
Espanoltz de IIJ Pa1.. Primera generaci6n, a cura di L. Perena, V. AbriJ,
C. Badero, A. Garda, F. Mascda, Madrid, Conseto Superior de Lnve·
stigaciones Cientificas, 19812, pp. 29-94: 81. ';l Urdinoz, Introducci6n biografica. ch .. pp. 41-45 e 53-57.

x Xl
cristiani sia di danno alla propagazione della fede. Così il occupazione dd territorio e alla sottomissione al re di
dominio spagnolo in America pare a Vitoria riconduci· Spagna (ivi, 3,5-7), fatra salva la moderazione dei vinci-
bile, benché indirerramenre e solo in parre, alla donazio- tori e il bene dei vinti.
ne papale, interpretata in senso non ierocratico. Ma tutte queste clausole, eventualità e fattispecie, del-
Ma i modi per legirtimare il possesso spagnolo del- la guerra giusta contro gli Indios- motivata da Vitoria sul-
l'America sono soprarrurro alrri. Benché infarti Vitoria la base del diritro naturale e delle genti - valgono per lo-
sostenga nel De Indis (1 e 2) cb,e né il titolo della scoper- ro (con l'eccezione della religione) in modi e misure non
ta, né l'estraneità alla fede o il suo rifiuto. né la condizio- diverse che se si trattasse di crisùani~ una concessione a
ne di peccato, né la scarsità di raziocinio degli Indios giu- differenze culturali sta forse nel fatto che fra le cause di
stificano il dominio spagnolo, o tolgono agli Indios la guerra giusta c'è in Vitoria anche la «ingerenza umanita-
qualifica di legittimi signori e padroni de11oro territorio, ria» contro la tirannia dei loro governanti che consento-
capaci di potestos e di dominium come ius utendi re (la no l'uccisione degli innocenti, cioè i sacrifici umani e}'an-
proprietà), nondimeno egli afferma (ivi, 3) che il re di tropofagia; in ogni caso, però, non è legittima l'occupa-
Spagna si può richiamare ad alcuni giusti titoli per soste- zione permanente del territorio dei vinti (Dc Ind.s 3,
nere la legittimità del suo dominio americano. A parte 14)10. Cerro, sia pure in via subordinara (ivi, 3, 17), Vito-
una eventuale loro libera scelra di essere governati dal Re eia avanza l'ipotesi chegli Indios, data la loro primitiva.
Carrolico o di allearsi a questo (ivi, 3, 15-16), se gli Indios rozzezza, siano quasi (ma non dci tutto) incapaci di auto-
privano gli Spagnoli del diritto naturale di transitare per governo, così che il dominio spagnolo può essere legitti-
le loro terre (ivi, 3, 1) e di commerciare equamente con
mato anche dal precetro della carità, ossia dell'aiuto del
più forre verso il più debole (e quindi dall'utilità degli In-
loro (un diritto che nasce dalla universale disponibilità
dios stessi). La teoria giusnaturalistica aristotelico-catto-
dei beni comuni, e dalla cognotio degli uomini tra di 10-
lica e l'universalismo che ne consegue prevedono sì l'u-
fO, espressa da Vitoria - in De lndis 3, 2 - attraverso la
guaglianza dei popoli, ma anèhe la differenza di gradi di
negazione del derro plaurino nell'Asinona «bomo homi-
civiltà (oltre che l'esclusività della vera religione); né Vi-
ni lupus» che sarà poi ripreso da Hobbes nella Dedico del toria si fa un problema dell'ovvia asimmetria pratica fra
Dccive), e se ostacolano la Chiesa cattolica nel suo dirit- Europei, che di quell'universalismo sono i soggetti attivi,
to di predicare (ma non di forzare alla conversione), o se e Amerindi, che ne sono oggetto! l,
perseguitano i convertiti; se insomma vulnerano il dirit-
to naturale e il dirirro delle genti - o il dirirro della Chie-
IO Si veda anche il frammento finale, scoperto nel 1929, della Re-
53, di origine divina. alla evangelizzazione, che non è in
lec/io de temperan/ia (1537) -la cui Quinta Cone/urio è rivolta contro
contraddizione con la uguaglianza di dirirro naturale fra antropofagia e sacrifici umani -; trad. it. in Vitoria, Re/mio de Indù.
i popoli, daco che ovviamente questa non implica, per Vi- La questione degli Indior, cil. pp. 98-116.
11 T. Todorov, La conquirta dell'America. 1/ problema dell'«altro»
toria, l'uguaglianza delle religioni -, allora gli Indios
[1982], Torino, Einaudi, 1992, p. 182, sostiene che Vitoria fornisce la
commettono ingiustizia, e sono passibili di punizione, prima giustificazione moderna del colonialismo; sono critici anche L.
ossia possono essere oggetto di guerra giusta, fmo alla Ferra;oU, La conquista delle Amenche e la dellrina de/la rovranità degli

XJl XlII
1.2. Benché Vitoria non entri apertamente nelia valuta· Nelle )unlas di Burgos del 1512 i teologi dichiarano
zione se nel caso americano ricorrano veramente le sin· che gli indigeni americani sono uomini naturalmente li-
gole fattispecie che legittimano la guerta giusta - dato beri, e pertanto soggetti al dominio politico, non dispo·
che è primariamente interessato a defInire criteri gene- tico, del te di Spagna. In quella citcostanza sono elabo-
rali -, la sua posizione è che il dominio spagnolo in rati i testi dotttinali di un giurista e consigliete del te co-
America è legittimo, anche se non per i titoli che comu- meJuan de Palacios Rubios, e di un teologo di Salaman-
nemente si avanzano, mentre sono probabilmente ille- ca come Matias de Raz, autori rispettivamente del De in-
gittime molte delle fotme di quel dominio. La sua posi- sulis oceani e del De dominio regum Hispaniae super In·
zione si inserisce quindi all'interno dell'ostilità dei do- doso La logica di queste opere è ancora interna all'impo-
menicani verso le concrete configurazioni, di fatto
stazione ierocratica della bolla Inter coe/era (e governa
schiavistiche, della presenza spagnola nelle Indie; un'o-
anche la bollaSublimis Deuscon la quale nel 1537 Paolo
stilità che si manifesta anche nel catdinale Caetani, ge-
nerale dell'Ordine, il quale, commentando la Seronda III riconosce agli Indios la piena umanità - in virtù del-
Serondae, ticonosce agli Indios di essete legittimi poso l'unità del genere umano -, e la possibilità che questi, in
sessori delle loro terre l2 ; e che a Salamanca si nutre dei quanto esseri dotati di ragione e di anima spirituale, ab-
resoconti dei missionari, e anche della cronaca più re- biano la salvezza eterna se evangelizzati)14. Così, con lo
cente, come si rende evidente nella lettera di Vitoria del strumento teologico-giuridico del requerimiento - ela-
1534 all'amico domenicano Miguel Arcos, in cui egli borato a partire da quanto teorizzato a Burgos -, agli In-
stigmatizza, sia pure con prudenza verbale, la sangui- dios viene imposto di riconoscere la signoria del ponte-
nosa conquista del Perù, avvenuta l'anno prima, con lo fice, e conseguentemente del re di Spagna, e di accettare
sterminio della nobiltà inca e con la messa a morte, no· la predicazione e la conversione. Ancora su queste basi,
nostante una conversione forzata e il pagamento di un nel 1513 vengono tedatte da Fetdinando il Cattolico le
enorme riscatto in oro, del re Atahualpa lJ. Leyes de Indias che introducono il sistema dell' enco-
mienda, la quale prevede pet gli Indios non la schiavitù
Sta/i, in 500 anni di solitudine. La conquista dell'AmeriCIJ e il diritto in· pura e semplice ma certo la cessione del lavoro in cam-
/er1tt14ionale, Verona, Bertani, 1994, pp. 439478: 444; Id., La sovranità bio della protezione e della istruzione religiosa dell' en·
dci mondo moderno. Nasà/a ecrisidelloS/atonazionale, Roma-Bari, La-
terza 1997, p. 16; H. MechouJan, Vi/oria, père du droi/ in/erna/ional?, comiendero spagnolo. Applicate con fetoce avidità dai
in A. Truyol Serra, H. Mechoulan, P. Haggenmacher, A. Ortiz·Arcede coloni, queste leggi ebbero effetti devastanti sulle popo·
la Fucnte, P. Marino, J. Verhoeven, Adualité de la pensée juridique de
Franàsco de Vitona, Bruxelles, Bruylant, 1988. pp. 15-17; G. Tosi, La
Icona della guerra giusta in Francisco de Vi/ona, in M. &attola (a cura
dO. Figure della guerra. LA nflessione su pace, conflitto egiustizia tra Me- de Vitoria, in ..Angclicum», 1970, pp. 3-43; Lamacchia, Francisco de
dioevo e prima età moderna, Milano, Franco Angeli, 2003. pp. 63-87: Vitona e l'innovazione moderna, cit., p. L; la lettera si legge in Vitoria,
82·84. Relcc/io de [ndiI. lA questione degli Indios, cit., pp. 137·139.
12 Lamacchia, Francisco de Vitoria e l'innovazione moderna, cit., \4 L.N. McAlister, Dalla scoperta alla conquista. Spagna e Porto-
p. L1X. gallo nel Nuovo Mondo 1492-1700 (1985), Bologna, li Mulino, 1986,
I) RA. lannarone, La maturazione delle idee coloniali in Francisco p. 126; Urdanoz, lntroduccion biogrdfica, cit., pp. 51·52.

XIV xv
lazioni assoggettate, e risultarono nel medio periodo dei coloni che si risolvono nel genocidio e nella deva-
controproducenti per la sressa Corona di Spagna, alla srazione del Nuovo Mondo, e che quindi lo privano di
quale le rerre appartenevano. Invano - dal punto di vista parte dci suo valore economico 16 .
pratico del miglioramento delle tragiche condizioni di
vita degli Indios -tentò di porre rimedio a queste prati- 2_ e il papa non è dominus orbis, e se non lo è neppure
che Carlo V, nel 1543 , con le Leyes nuevas 1'. l'imperarore, ciò implica che la legittimirà del parere ri-
Vitoria - benché, lo si ripete, sia più attento al rigo- siede presso i popoli, e quindi, in Europa, negli Srari. Ma
re dell'argomentazione che non agli effetti pratici del pur riconoscendo questo processo, Vitoria non lo inter-
proprio discorso - si situa quindi in una posizione di· preta in senso pienamente moderno. È infatti estraneo-
versa da quella ufficiale, sia dalle sue versioni più equi- e non solo per ovvi motivi cronologici - all'idea raziona-
librate sia da quella dell'umanista e cronista regio Juan listica, che si formalizzerà con Hobbes cenr'anni dopo la
Ginés de SepUlveda, che nel Demacrales aller, sive de iu- sua morte, che lo Stato (in Vitoria, civi/as o respub/ica;
sii belli causis (1547; ma il testo circola manoscritto ne- mentrestatus, ncl significato politico~istituzionale, com-
gli anni precedenti), tearizza, restando in un contesto pare una volra sola, in DIB IV, TI, 9) sia un astifieio co-
aristotelico, la subumanità degli Indios (homunculz), la struito da uomini uguali tra loro per farne l'unica fonte
loro natura servile e la liceità della guerra di conquista di autorità e di ordine politico sovrano in un contesto di
Contro di loro, per evangelizzarli ma anche per schia- disordine naturale; ed è estraneo - anche in questo caso,
vizzarli. Piuttosto, la posizione di Vitoria ispira. pur non non solo per motivi accidentali (il nome di Machiavelli
coincidendovi del tutto, quella di Bartolomé de Las Ca- non ricorre) - anche rispetto all'altra modalità di legitti-
sas (che con Sepulveda avrà a Valladolid una celebre mazione dello Staro moderno, cioè all'idea machiavellia-
controversia nel1550-155J): questi, nella sua postuma na, e in seguito della Ragion di Stato, che la politica sia
Historia de las Indias, propugna tesi ancora più mode- essenzialmente volontà di parere, e che il fine dello Sta-
to non sia il bene comune, ma l'ampliamento: un'idea a
rate, che prevedono una penetrazione pacifica degli
cui la Seconda Scolastica oppone la dottrina politica del
Spagnoli nel Nuovo Mondo, la costruzione di fattezze
principe cristiano!7.
solo in zone pericolose, e l'attribuzione agli Indios del-
Gli Stati sono riconosciuti come una realtà nuova so·
la qualifica di sudditi liberi di Sua Maestà Cattolica.
Tanto Vitoria quanto Las Casas, ciascuno a modo suo,
l' Urdlinoz,lntroducaon biografiCa, cit., pp. '7·60; cfr. anche G.
potrebbero essere definiti alleati di fatto del re di Spa- Guozzi, Introduzione a ld., La scoperta dei selvaggi. An/ropowgia e c0-
gna (benché divergano dalle resi ufficiali della Corona lonialismo d4 Colombo a Didero/, Milano, Principato, 1971, pp. 1-19,
sul possesso delle Indie), almeno in quanro convergono parto pp. )·6; testi di $epUlveda ivi, pp. 29·34, e di Las Casas ivi, pp.
con il suo tentativo di mettere riparo a quelle pratiche 72-77. Sull' aristotelismo come quadro complessivo delle prime inter-
pretazioni degli Amerindi, cfr. S. Landucci, Jfi"/mofi t i selvaggi 1580·
1780, Bari, Laterza, 1972, ca".ll, pp. 93 sgg.
l'SuUa situazione degli Amerindi cfr. O.E. Stannard, Olocausto 17 Q. Skinner, Le origini del pensiero poli/ico moderno (978),
ameneano. La conquista del Nuovo Mondo (1992), Torino, Bollati Bo· voI. II, L:età della RJjorma, Bologna, UMulino 1989, cap. V, parto pp.
ringhieri,2001. 199·268.

XVI xvn
lo in quanto rendono impraticabili i sogni neomedievali nale pactum subiectionis fra le comunità e il sovrano, che
di Carlo V: il pensiero politico tli Vitoria Don è una rivo- sarà previsto io seguito anche da Molina (De iUSlilia el
luzione ma una razionalizzazione della tradizione, so- iure, 1593-1600)'9; in ogni caso, per Vitoria (DIB II, 3)
prattutto del tomismo e del diritto romano. Dal primo, la Iransialio è nella quasi totalità dei casi irrevocabile, al.
che a sua volta si rifà a Paolo, Vitoria trae la convinzione meno quando si tratra di governi legittimi, cioè che agi-
che il potere politico - e in particolare il potere di puni. scono in vista del bene comune e attraverso le leggi - al.
re con la morre - esiste, in quanto funzione, iure divino le quali anche i re, che pure le fanno, devono obbe.
(De poleslale civili 6), e che quintli, a patte la differenza tlienza (De poleslale civili 21 e DIB IV, I, 8): non c'è io
del soggetto legislatore (Dio e gli uomini), vi è analogia Vitoria il rex IegibuJ SOlulus. Su queste basi, l'assetto tli
funzionale fra legge tlivina e legge umana (ivi, 16-17), co- politica interna previsto da Viroria è organico e gerar-
sì che anche quest'ultima obbliga in coscienza (DIB II, 1 chico: come si vedrà (ullra, S 5.1), Don c'è io lui intlivi.
e IV, 1,.5). La spinta all'oggettività che deriva a Vitoria dal dualismo politico ugualitario - benché ciascun uomo
tomismo non giunge certo a fargli sostenere che la strut· sia imago Dei -, dato che soggetti della politica sono i
tura razionale del mondo - il tlisitto naturale (lex nalu· popoli-nazione (le genles) e le comunità politiche (re-
ralis), a cui è dovuta anche l'esistenza del potere politico spublicae) COD i loro principes, ma c'è anzi una conce.
che pone la lex humana - sia autoooma da Dio e dalla lex ziooe tliseguale della società e dell'accesso alla capacità
aeterno, ossia che sussisterebbe «ersi Deus non daretur» politica e alle relative responsabilità (DIB IV, I, 7). l:u.
come, oltre che in Grazio, si può leggere, implicitamen- guale dignità dell'uomo, cetto presente, noo è declina.
te, anche io Gabriel V:izquez, in Molina, in Roberto Bel- ta, nei
. tertnini
, tli. uguali diritti civili e politici dell'uomo,
lannino l8 ; e tuuaviaè assente, in tui,l'interpretazione so- ne In un auteDUca prospettiva cosmopolitica20.
lo punitiva del detto paolina «Ilon est potestas nisi a
Dea», che è invece propria di Lurero. 19 SuJ comra.tto in Vìtoria si vedano V"tlley, LAformozjone, ci[., p.
Se )a poter/ar, cioè il potere in quanto funzione in- 302 e G. OestreJ.ch, Stona dei dinl/i limoni e de/le libntlÌ fondamen-
trinsecamente necessaria alle società, viene da Dio e al tali (1951), Roma-Bari, Lalerza, 2001, p. 35.
20 L'opinione che si possa parlare di dirini umani in Vi[oria è in-
contempo dal diritto naturale, per Vitoria l'auclorilas,
vece p~te. in E. ~ni. Frandsco de Vitono nell'interpretazione di
cioè il potere di comando legittimo e reale, viene inve- Cari Schml/l, m S. Blolo (a cu.ra di), L'universalitlÌ dei dirilli umani e
ce dal popolo che attua una transiatio auctoritatis verso ti penIiero aùtlono del '500. Torino, Rosen~rg & Sellier, 1995. pp.
il principe - è questo un elemento romanistico, in quan· 139-147: 146; cfr. anche A. Lamacchia, Francisco de Vitoria: j din·lli
um~ni ne/~ ~~/~II'o de lndis, ivi, pp. 105-137; L. Baccelli, 11 portico-
to implica un evidente rinvio alla Lex regia de imperio-, de:
/a.n.s"!l:! ~mll~, Ro~a, Carocci, 2000, pp. 37 sgg., vede in Vitoria i
così che egli può sostenere «creat respublica regem» ~lr.. t~l ~~dl~I~Uali ~naJtzzati a legittimare la conquista. Che in Vitoria
(De poleslale civili 8)_ Questa Iransialio non è certo un l dlflm mdlvlduali non siano centrali è lesi di I. Trujillo Pé:rc:z Fran-
contratto individualistico, un moderno pactum unionis; asco de Vitoria. TI din~to alltJ comunicazione e i confini delltJ s~cialilà
U1~ana, Torino. Gia~pi.cheUi, 1999, pp. 195 sgg. Si può sosrenere, di-
semmai è più consono al pensiero di Vitoria il tradizio- stinguendo con Mamam fr.. soggetto moderno e persona che Viloria
è'pr~rsore dei diritti delle gem~ e deUn persona, più che'di quelli lai-
CI dell uomo: cfr. V. Ferrone, ChIesa cal/ollea e modernitlÌ. Lo scoperta
III Villey, ÙJ formavone, cit., p. 299. dei din~tj dell'uomo dopo /'esperienZJJ dei lotalitansmi, in F. Bolgiani,

xvm XIX
Dal punto di vista storico-politico, poi, Vitoria vede la suoi discepoli come teologi imperiali - Domingo de Sa-
politica europea dominata dal conflitto fra due Stati cri- lazar e Domingo de Soto -, alIa chiarificazione dogma-
stiani, in rapporto ambiguo con l'Impero turco. AssIste tica e organizzativa operata dal Concilio di Trento. Di
cioè alle controversie territoriali fra Spagna e Francia ri- fatto contro Lutero è rivolta tutta la secunda quaestio
guardo al possesso della Borgogna, di Mil~o, di Nal'Oli principali< ddIa seconda Releclio de poleslale Ecclesiae,
(ve ne è più di una traccia in DIB); ai tentatiVI francesI di sul significato dd sacerdozio gerarchico; e antiIulerana
impedire l'egemonia spagnola in Europa, attraverso due è la stessa lesi politica di fondo di Vilorio, che cioè il po-
alleanze (nd 1528 e nd 1536) tra Francesco I di Francia lere politico è legittimato solo dalla legge divina, natu-
e Solirnano il Magnifico; agli sforzi di Carlo V di chiama- rale e razionale, e la sua fonna autoritativa solo dalla
re a raccolta l'Europa cristiana contro la minaccia turca Iranslalio dd popolo (benché Vitoria, evidentemente,
(1a pace di Cambrai nd 1529 e la Conferenza di Bologna preferisca che il principe sia buon cristiano).
nd 1530, l'anno in cui a Roma Gemente VII incorona Tale lesi infatti è rivolta (De Indis 1,2) oltre che con-
Carlo V imperalore dd Sacro Romano Impero); nonché tro alcune posizioni ufficiali delle gerarchie cattoliche
alle sconfitte militari che posero fine allenlativo spagno-
- sia quelle ierocratiche, benché non esplicitamente ci-
lo di ricacciare l'Impero lurco fuori dallo spazio politico
lale, sia quelle legale alle dispute sulla povertà di Cristo
europeo; non vede. invece, il divampare in Francia delle
(il vescovo di Armagh - Armachanus -, criticala da Vi-
guerre civili di religione, la cesura da cui ha origine, poli-
loria già ndIa Re/eclio de poleslale civili) -, anche con-
ticamente,la piena modernità". Davanti a questi scena-
ri europei la posizione di Viloria - quale appare anche in tro i Poveri di Lione e i Valdesi, e contro Wycliffe,la cui
due lettere dd 1536al coneslabiledi Castigliazz-è di nel- tesi «Q}ul1us est dominus civilis, dUffi est in peccato mor-
lo rifiuto sia della politica di polenza sia delle vessazioni tali» è stata già condannala dal Concilio di Costanza;
alle popolazioni: egli propone un equilibrio pacifico fra ma, negli anni in cui scrive Vitoria. vale anche come
le potenze crisùane europee, in chiave anriturca, fonda- confutazione di quelle posizioni protestanti per le qua-
lO sul principio che le controversie devono essere decise li è legittimo solo il porere di chi è in stato di grazia. In
in buona fede e con volontà di pace. verità, l'ambito protestante conosce al riguardo teorie
molteplici, e anche contraddittorie; in generale, muo-
3. Aperto avversario della Rifonna. Vitoria contribuisce vendo dallo dottrina dei due regni dello stesso Lutero
indirettamente, attraverso la partecipazione di alcuni (Sul/'aulontà sewlare, 1523) - secondo la quale il pote-
re politi<!o è da accettare come uno dei modi, quello
V. Ferrone, F. Margion8 Broglio (8 cura di), Chiesa CilIlOIiCil e moder- coercitivo e quello punitivo, con cui Dio governa gli uo-
nil•. Atti del Conwgno de/kl Fondavone Michek Pellegrino, Bologna,
li Mulino, 2004, pp. 17-147,65 e SO. mini, l'altro essendo quello spirituale e interiore della
11 Un inquadramento storico d~'.epoca in ~ matura il ~~si~ro grazia e della libertà -, si teorizza a volte, già con Me-
di Vitoria è in Perefia, Es/udio preliminar. LA /em de la /Xlz dinamIca, lantone, la reciproca autonomia istituzionale delle due
ciI., pp. 29-52. .
:u Le due lettere, dd novembre e del dicembre, si leggono in V,- sfere, spirituale e temporale, ma di fatlo, poiché in linea
toria, Relec/io de iure belli, a cura di L. Pereòa, cit., pp. 289·296. di principio entrambe vengono fatte derivare da Dio, si

xx XXI
rende forremenre dipendenre il porere politico da quel. intende fornire un discorso più ragionato e meno bra·
lo religioso, com'è il caso di Zwingli, e come accade nel· chilogico.
la Ginevra di Calvino2.'.
Comunque sia, si può dire che come tra le cause di 4.1. Le tesi fondamentali che Vitoria espone nel De iure
guerra giusta non c'è, per Vitoria, la differenza di reli- belli riguardano la liceità, la titolarità, la causa, i fmi e i
gione, così questa non sta neppure tra le giustificazioni modi della guerra. E le sue posizioni sono, in sintesi, che
del diritto di resistenza (ammesso, in ambito tomistico), la guerra è lecira ai cristiani (1); che il suo principale pro·
Non è un'autonomia della politica in senso moderno· tagonista è la comunità politica O il suo principe (II); che
razionalistico, ma certamente è una via per la sua laiciz- essa è lecita solo per una giusta causa, cioè se la guerra è
zazione (nell'ottica di una sua intrinseca limitazione), la risposta a un torto subìto (III, 4) e mai per amplia.
ben lontana dalla costruzione luterana dell'interiorità mento di potenza O per gloria del principe (III, 2 e3); che
come riserva critica verso il potere. il principe - per dirirto naturale (sulla base del principio
romanistico «vim vi repellere licet»; I. 1) e per autorità
4. Per passare - una volta delineato il quadro più ge- dell'intera umanità (IV, n, 5) -la conduce sia in forma
nerale in cui si colloca - a esaminare il De iure belli, pri- immediatamente difensiva sia in forma anche offensiva ,
ma di tutto si deve considerare che questa Releclio si come sanzione della lesione del dirirto naturale e delle
presenta come un ampliamento e una chiarificazio· genti 0,2); che il fine della guerra giusta è quindi la dife·
ne non solo di quanto già trattato nella Lectura del sa e la conservazione della comunità politica e del suo be-
1534 sulla guerra a commenro della Secunda Secun- ne comune, il recupero delle cose ingiustamente sottrat-
dae", ma soprattutto nella Re/eclio de Indis. Infarti, te dai nemici, la punizione di questi in quanto il vincito-
poiché il possesso spagnolo dell'America è legirrimabi. re è giudice del vinto (IV, I, 2 e 5), e il ristabilimento del-
le come esito di una guerra giusta, su di questa Viroria la pace e della giustizia (passim, ma con chiarezza sinte-
tica in IV, n, 5); i modi e i limiti della guerra- cioè la mi-
nuziosa casistica di liceI e non liceI non solo nello ius ad
bellum (IV, I) ma soprarturto nelloius in bello (IV, II), per
2j Sul pensiero politico riformato, e suDa sua complessità, utili
quanto riguarda le uccisioni di colpevoli e innocenti du-
punlualizzazioni in A.E. Baldini, 1/ pensiero politico. idee Teorie Dot-
In"ne, Torino, Utet, 1999, voI. n, pp. 55·98.
rante e dopo la guerra, gli espropri e le riparazioni di
24 Cfr. F. de Vitoria, Quaerlio de bello (commentario del 1534 al- guerra e i tributi, i cambi di regime, la presa come pri-
la Quaes/io XL della Secunda SecunMe), in Vitoria, Re/cclio de iure gionieri o ostaggi di donne e bambini,la distinzione fra
belli, a cura di L. Pereii.a, cit.• pp. 209-261 (ivi, pp. 263-285, si legge
anche la Quaestio de seditione, Lectura del 1536); cfr. anche Vitoria, combattenti e civili innocenti (contadini o chierici e let·
Comenlarios a iB SecunM Secundae, cic, tomo I, 1932, pp. 190-201 teratD, l'obiezione di coscienza, i 'danni collaterali' -sca-
(commento alla Quaestio X, aa. 8, 9, lO), [rado il. in Vitoria, Re/caio turiscono da queste finalità.
de lndis. lA questione degli Indio!, ci!., pp. 115-134. DlB rielabora
questo materiale, ampliandolo e sislematizzancloio, ~za apportarvi Secondo Vitoria la guerra - scandalo inevitabile fra i
sostanziali variazioni. cristiani (DIB IV, II, 5), mentre contro i pagani è una ne·

XXll xxrn
cessità imposta dalla loro aggtessività (IV, II, 3 e 5) -è un pro ratione voluntas», in cui si riconoscono giovanili in·
tapporto fra entità politiche, non fra teligioni: la guetra fluenze scotistiche (cfr. De potestale civili 16)26.
giusta non è guerra santa, né una guerra ideologica. E. La posizione di Vitoria nella storia della dottrina dd-
nonostante le sue durezze, non è neppure rivolta ad an- la guerra giusta27 si basa su fonti classiche e canoniche:
nientare la società nemica, a sterminare popoli (ultra, S soprattutto Agostino, nd cui Contra Faustum viene ac·
5.2), o all'incremento di potenza dei vincitori. Insomma, certata la compatibilità fra guerra e fede cristiana, con·
anche se la guerra va considerata come intrinseca - ra- tro le posizioni terrullianee di pacifismo integrale; il De-
tione peccati - alla condizione dell'umanità, né il suo ini· cretum Cratiani (II, 23), in cui si raccolgono fonti ro-
zio né la sua prosecuzione né la sua conclusione sono da mane e patristiche, nonché canonistiche, sull'argomen-
affidarsi a ciechi riflessi naturali, agli automatismi dd t028 ; e Tommaso, che nella Secunda Secundae (q. 40, 1-
gioca di potenza, alla mera valutazione utilitaristic3. o al- 4) sistemarizza la materia, facendo della guerra un pec-
la nuda tragicità dell'eccezione; anche la guerra deve col- cato contro la carità, e ponendo fra le cause della guer-
locarsi all'interno della civiltà evolutasi attraverso la re- ra giusta appunto una culpa da punire, con retta mten·
ligione, /'idea di giustizia, la morale razionale, il diritto zione (inoltre, Tommaso tratta in quella sede anche que-
delle genti e la politica rivolta al bene comune dd singo- stioni canonistiche come la liceità della guerra per i
)0 tatoe dell'umanirà intera-cioè una politica chevuo· chierici, e dd combattimento di domenica). La produ-
le la pace, anche se a volte attraverso la guerra giusta. zione dei canonisti e dei legisti sulla guerra giusta (Rai-
lus ad be/lum e ius in bello sono dedotti, in Vitoria, da mondo di Peiiafort, Bartolo di Sassoferrato, Giovanni
un combinarsi, che si vuole non contraddittorio, tra fe- da Legnano), abbondante e articolata ma non innovati-
de e ragione, tra Scrittura e Aristotde, tra Padri e Dotto· va, è poi nota a Vitoria attraverso la Summa di Silvestro
ri della Chiesa, tra il Digesto e il Decretum Craliani, tra Mozzolino da Prierio. La formulazione standard della
giuristi, canonisti, decretalisti e teologi; Vitoria utilizza la guerra giusta - ad esempio, quella data dal canonista e
tradizione con libertà, e fa dire ai testi a volte più e a vol- generale dei domenicani Raimondo di Peiiafort nella
te meno eli quanto essi intendano2', all'interno di una sua Summa (1240) - teorizza il divieto di guerra per gli
strategia argomentativa che tende a recuperare quanto è
26 Cfr. DIB (V, U, l, sull'uccisione degli adolescenti da parte dei
possibile della tradizione, a sistematizzarla e ad armo· vincitori; ma cfr. anche ivi, m, 4.
nizzarla in una sorta eli razionalismo critico cattolico 27 R Régout, LA doct,,,,e de la guerre juste de S. AugUJ/in à nOI

aperto alle esigenze nuove; ma quando c'è insanabile di· flJurr, Paris; Pedone, 1934; EH. Russdl, The JUII War in Ihe Midd/e
Ages, Cambridge, Cambridge University Press, 197'; G. Minois, LA
scordia fra Scrittura e ragione Vitoria non esita ad ab· Chiesa e la guerra. Da/la B,bbia al/'èrd atomica (1994), Bari, Dedalo,
bracciare la prima riconoscendovi l'imperscrutabile co· 2003, pp. 221-227; nello specifico su DIB si vedano Urdanoz, In/n;.
mando di Dio, sulla base del principio volontaristico «sit ducci6n a la Re/ecdon segunth, in Obras, cito pp. 727-810, H.-G. }u-
slenhoven, F,anaJco de Vi/oria ZU Krt~fI6 und Fn'eden " Koln Bachem ,
1991, e Tosi, LA teoniJ Jtl14 guerra giusliJ, cit.
28 ln Corpus ium uznonici, I, Lipsia, Tauchnitz., 1879, collo 889-
v Perena, lJ les/o, cit., p. CXVIJ. %5.

XXlV xxv
ecclesiastici, la giusta causa (ossia lo stato di necessità), la carità, non tratta direttamente della retta intenzione
la esclusiva fmalità del recupero dei beni o della difesa e sottrae la guerra alla giurisdizione della Chiesa. L~
della patria, l'obiettivo genetale della pace, la retta in- guerra è giusta sulla base di considerazioni razionali del
tenzione e l'assenza di odio e di vendetta, e l'obbligo tutto immanenti alla struttura oggettiva - naturale e
che la guerra sia condotta SOttO l'autorità della Chiesa storica - della condizione umana.
per quanto riguarda le questioni di fede, e altrimenti Inoltre, egli è innovativo soprattutto perché modifi-
sotto l'autorità dci principe29. Portatore di posizioni in ca il contesto di diritto internazionale all'interno del
certi punti simili a quelle di Vitoria è anche Alonso To- quale si dà la guerra giusta. Watti (De Indi! 3, I), Vito-
stado, teologo conciliarista e canonista spagnolo del XV na as~ume le gente! (e non gli homines, come pure suo-
secolo, professore a Salamanca, per il quale il «bellum nava il testo di Caio -lnslituliones I, 2, l - che egli ci-
iustum» è «iustitiae executio», e durante la guerra giu- ta) come soggetti dello ius genlium (anzi, dello «ius in-
sta - per ottenere riparazione di torti e restituzione di ter gentes»),2 su un piano di parità (alla quale non è for-
cose asportate - si può fare contro il nemico ogni cosa se ~tranea una perdurante suggestione erasmiana) ga.
tranne che mancare alla veritàJO (ma questo consequen· ranura dall'unità ddl'umanità, creata e redenta d~ un
zia1ismo è appunto soggetto a limitazioni, in Vitoria). unico Dio (tuttavia, lo si ripete, l'uguaglianza fra i po_
Tuttavia, Vitoria innova rispetto alla tradizione per· poli non è uguaglianza fra le religioni - infatti, anche se
ché sposta l'asse della trattazione della guerra giusta VIeta la guerra santa, Vitoria affenna il diritto dei cri-
dal livello morale della culpa - presente, con toni par- stiani alla ~angeli~~zione missionaria -. e non è nep-
ticolarmente aspri, in Bernardo di Chiaravalle che ve- pure uguaglianza dt livello fra le civiltà). Soprattutto, in
de nella guerra giusta la punizione dei malvagi, un precedenza (De poleslale ciVili 21) Vitoria ba fatto dello
«malicidio» (De Laude novae mililiae, 4), mentre il De- iUIgentium un complesso di norme positive derivante
crelum Craliani articola la guerra nella direzione della «ex paeto et condicto inter homines» dalla noturalir ra-
definizione giuridica di specifici nemici, interni ed lio, ossia dal diritto naturale razionale - che in DJB IV
esterni, della società cristiana}1 - a un livello giuridico. II, 7 e 9 è menzionato anche come «ius divinum aut (et)
Ciò è evidente da varie motivazioni: Vitoria prevede naturale». Quindi. ancora una volta, non c'è un dominus
come causa di guerra giusta la iniuria accepta dal nemi·
o~bis, pap~ o imperatore che sia; c'è, invece. uno iUI gen.
/rum che m De Indi! (J, 3) è defmito come originantesi
co, e non il peccato; non discute la guerra a partire dal-
dal «consensus maioris partis totius orbis», e che in DIB
(IV, I, 5) si "presenta come «auctoritas totius orbis»H.
29 Minois, La Chiesa e 14 guerra, cit., p. 223; Urdanoz, Introduc-
d6n al4 Relecd6n segundd, in Obras, cil., p. 7'7. )2 J.M. K~lly, Stona del pensiero giuridico ocadenta/e (1992), Bo-
)0 E. Nys, IntroducJion a Francisco de Viloria, De Indis et de iure logna, ~ Mulmo, 1996, p. 2'~~ sostiene che questo lennine può esse-
belli RelecJiones, Washington, Camegic lnsutulion, 1917, pp. 9-53: 17. ~e cons~derato come la dcsçnZJone deUe relazioni di fatto esislenti fra
)1 Minois, LA Chiesa e la guerra, cit., p. 186 (su Bernardo); cfr. an- l popoli, e non come sinonimo di un ordinamento normativa
che A. Melloni, I «nemim di Gravano, in G. Ruggieri (a cura di), I )) AJ. riguardo cfr. V. Carro, La «communitas orbis» y kJs ~IIJJ del
nemici de/kJ crisJianità, Bologna, TI Mulino, 1997, pp. 105·122. derecho mlernaaonal, Palcncia, Merino, 1%2.

XXVI XXVII
Nonostante questa teoria dd patto che coinvolge II, 2 essa integra il diritto naturale che colloca lo ius ad
l'intera umanità, in DIB il nesso fra ragione e consuetu- bellum nelle comunità politiche perfette, estendendolo
dine non è paritetico come sarà in Grazio, e pende più in certi casi anche ad alcune imperfette; in IV, II, 8 si
dalla parte della ragione naturale". Eppure, in questo parla di urus, ma insieme a ius); la forza normativa del
testo Vitoria sembra modificare leggermente la posizio- diritto delle genti deriva, più che dalla consuetudine,
ne di Tommaso - il quale, per reagire alla positivizza- dal fatto che questo prodotto umano incorpora in sé
ziODe consuetudinaria dello ius gentium propugnata da j'aequitas (o iustitia) che è l'essenza dd diritto natura-
giuristi e canonisti, ha istituito &a ius genlium e diritto le'6. Insomma, Vitoria fa un uso critico e razionale dd
naturale un rappotto per cui il primo, pur distinto in li- diritto naturale, come fondamento oggertivo e guida
nea di principio da quello, viene di fatto a sovrapporvi- dello iUI gentium storicamente evolutosi. Che ci sia o no
si del tutto quanto a funzione fonclativa rispetto agli isti- p~e~a continuità fra Tommaso e Vitoria, sul rappono fra
tuti giuridici positivi (Summa the%gica I, q. 79, a. 12)-; dm~to naturale e diritto delle genti", pare chiaro in
infatti per Vitoria lo ius gentium è un diritto positivo vi- ogm caso che il materiale tomistico (e quello della tra-
cino al diritto naturale, e da questo originato, che i po- dizione giuridica e canonistica) è qui ri·oriemato verso
poli daborano avendo questo come fondamento e svi- una direzione giuridica.
luppandone la razionalità lungo il corso storico della ci- Insomma, Vitoria fa delle genles i protagonisti for-
viltà (DIB IV, I, 5 e IV, II, 3). Così, il diritto delle genti malmente paritari delle relazioni internazionali - sono i
non è solo prodotto della consuetudine (cioè non è so- popoli-nazione ad avere diritti e doveri in relazione a
lo «ius inter gentes»), ma non è neppure del tutto iden- q.uei beni naturali che sono la tranquillità e la pace, os-
tico al diritto naturale: è «quasi necessario alla conser· Sia il bene comune dell'intera umanità (IV, I 4) -' è
vazione» di questo". In ogni caso, il termine-chiave rite quindi all'interno dei popoli-nazione che, insi~e alla
(<<SeCondo le consuetudini») compare in DIB una volta S?Cietà, cresce naturalmente il potere politico; sono es-
sola, e anche consuetudo vi è menzionata poche volte (in SI a daborare, sul fondamento della ragione naturale il
diritto delle genti; sono i popoli-nazione, in reciprdca
comunicazione fra loro e come parti di un'unica uma.
nità (la t<oria della cognatio), a costituire l'auclorilas di
)4 ulla questione di quanto le tarde RtkctiontI anenuino il (re-
lativo) positivismo o convenzionalismo dei Commm/ari a Tommaso questo mondo. Lo ius gentium è anche la fome di legit-
del 1'27 e del U35. C: sulla divergenza interpretativa fra il d.isconti·
nuista Urdinoz (Introduro6rt a fH I"Jù, in Obral, cit., pp. "1-565)
e il continuista L. Perttia (El conctplo del tkrecho del genleI in Fran.
cilCO de Vilona, in «Revista Espanola de Derecho intemacionabt, )6 Ivi, p. 14 (Quaeslio LVII, a. 3 ad2).
1952, pp. 603·628), cfr. Lamaechia, Francisco de Vilorùl e l'innova- ' -/oormazlone,
" Viliey, LM . CII.,
. pp. 307·.315 sostiene decisamente la
vone modnna, cit., pp. LXXXHJCXXVllI; cfr. anche Skinner, Le ongini, distanza ~ Vitoria da Tommaso. L'innovazione di Vitoria rispetto a
cit., voI. [l, pp. 217·227, nonché Trujillo Pé.rez, Frt1ffcUCO tk Viloria, Tommaso e ~tenuta anche da A_ Truyol-Serra, De la notion Iradi/io-
cit., pp. 159 sgg. ne/k du droll tkl genI lÌ '" notion moderne du droll inlern41ional pu-
"Vitoria, u,menlariol,cit. voI. li, p. 16 (Quaesllo LVll, a. 3 ad4). bile, in td..c: Supplement», 1987, pp. 73.91.

xxvm XXIX
timazione dell'azione dei principi, che trova conferma propugnata dalla giurisprudenza di orientamento cat-
nel diritto naturale (diverso, quindi, e ancora più fon- tolico (tra gli altri, Rommen e Giacon). In modo parti-
dativo): i principi con la guerra giusta (e solo dopo che colare,la cultura spagnola della metà del XX secolo, lai-
siano state esaurite le opzioni non violente: DIB IV, I, 6) ca e cattolica, vede nella Seconda Scolastica, e in Vito-
pongono infatti rimedio alle ferite che i malvagi arreca- ria, un importante e originale contributo della Spagna
no alla giustizia, cioè al diritto narurale dei popoli di vi- all'identità europea: il IV centenario della sua mnrte,
vere in pace, cercando di distinguere sempre fra mno- nel 1946, è per le autorità spagnole l'occasione per rom-
centi e colpevoli, fra civili e combattenti (DIB, IV, Il, I). pere, promuovendo anche istituzionalmente la Vitonil-
RenazJsance, l'isolamento internazionale in cui la scon-
4.2. ì;: questa costruzione razionale, universalistica e fitta delle potenze dell'Asse ha lasciato la Spagna". In-
pluralistica al contempo, oggettiva e tendenzialmente fme, è a studiosi spagnoli, laici e religiosi, come Vicen-
egualitaria, a fare di Vitoria - secondo una vulgata che te Beltran de Heredra, Luis Alonso Getino, Teomo
risale a Grozio - il padre del moderno diritto interna- Urdanoz e Luciano Pereiia, che si devono le edizioni
zionale, e a determinarne la fortuna, anche e soprattut- critiche delle opere di Vitoria, Commentari e Releclio-
to nel XX secolo. A patte la fama e la rilevanza in età nes (dr. ullra, ala alleslo).
moderna - non solo in Spagna, ma in Europa: benché Così, ancora nel 1975 in un testo di riferimento co-
coinvolto nelle critiche della cultura francese (sia gian- me lA formazione del pensiero giuridico moderno di Mi-
senista sia gallicana) alla Seconda Scolastica, è citato, tra chel Vtlley, si legge: «siamo debitori a Vitoria delle coor-
gli altri, da Bacone e da Grozio, da Selden (che ne.com- dinate del diritto internazionale: è lui che ha stabilito i
batte la tesi della libertà di commercIo) e da Connng -,
dalla metà dell'Ottocento viene recuperato, dapprima JI Fra i testi-chiave che hanno costruito la fortuna contempora-
in ambito anglosassone, come iniziatore del diritto in- nea di Vitoria si vedano almeno: E. Nys, u droit in/ema/ioMI.us
ternazionale moderno e propugnatore della libertà dei prùuipes, les /héodes, les fai/s, Bruxdles, Weissenbruch, 19122 , 3
mari; dalla fine dell'Ottocento Vitoria gioca poi un ruo- voU., pp. 59-60, 234·240 del I vol.; A. Vanderpol, Lo doctrine SCOM-
stiqu~ du Droi/ fk gu~, Paris, Pedone, 1919 (con la trad. francese
)0 sempre crescente nella reazione giuridica universali- delle due R~kctiones giuridiche e di moho materiale Storico); C.
stica concro il nazionalismo: grazie a un belga come Er- Barda TrelIes, Francisco de Vi/oniz ~/ l'&ale mod",,~ du Droi/ in/er-
nest Nys, a un americano come James Brown Scott, a na/ional,. Paris, Hachette, ~ 928; ) .B. ~~t, Th~ Sp~nish Conap/ion 01
In/erna/tona/ Law. Franasco d~ VI/Orni and hls Low of Na/ions,
uno spagnolo come Camilo Barda Trelles, a un tedesco Oxford-London, Clarendon.MuHord, 1934 (con (rado ingJese delle
come Paul Hadrossek, Vitoria diviene, per la cultura due Reiediones giuridiche, del De po/es/a/edvili e di parte del De pc-
europea dei primi decenni del XX secolo, un grande /~s/a/e Eccknlze prio,); C. Giacon, La Seconda Sco4lS/ica. Igrandi com.
menta/on° di San Tomma1O: il Gae/ano il Fe"arese il Vi/ona Milano
giurista internazionalista moderno, nonché un impor- Bocca, 1944; H. Romme:n, Lo Stato n;1 pensiero c;"olioo (1935), Mi:
tante teorico del diritto coloniale, e uno dei padri della lano, Giuffrè, 1959; P. HlIdrossek, Leben und Wt7ke d~s Frandscus de
Società delle Nazioni; inoltre, soprattutto dopo la fine Vi/Dna, in De Indis recente' inven/is e/ de iurebe//i Hispanorum in ba,.
della seconda guerra mondiale, egli entra nel novero de- baros, a cura di W. Schii{zel, Tlibingen, Mohr, 1952, pp. XI-XXX; G.
van Hecke (a cura di), L'Espogn~ ~t /alo,ma/ion du droi/ des gens mo-
gli autori coinvolti nella rinascita del diritto naturale, de",~, Louvain, Peelers, 1988.

xxx XXXI
principi per cui gli Stati devono rispettare reciproca- vicenda storica di questa. Per Schmitt, invece,l'universa-
mente le loro sovranità, non ingerirsi negli affari inter- lismo è una malattia - individualistica e liberale, e poi so-
ni degli altri Stati, ammettere la libera circolazione da cialista - interna allo Stato, che lo mina e lo distrugge, e
un territorio all'altro di persone e di merci, e la libertà non certo un'alternativa politica praticabile: la politica è
di predicazionej riconoscere la libertà dei mari e dei fiu- per lui la concretezza particolare (e polemica), e non la
mi inte:~azionali e i diritti degli ambasciatori; proteg- giuridificazione universale. delle relazioni interumane.
g~r.e I. cIvili m caso d! guerra. E questo senza parlare dei La posta in gioco, per il cattolico (sui generis) Schmitt, è
diritti delle popolazioni indiane dell' America [...). So- ben più che la precisione storiografica, che la restaura-
no t~~i princìpi, questi, che vediamo al giorno d'oggi ri-
zione dell'immagine di un autore su cui sono state passa-
badltl dalle Nazioni Unite [...). Vitoria applica a questo
te successive mani di vernice che hanno reso irriconosci-
nuovo ramo del diritto la regola poeta suni servanda, il
bile la pittura originaria: è sottrarre il cattolico Vitoria al-
che consente di introdurre come nuova fonte di diritto
i trattati internazionaIDY9.
la genealogia dell'universalismo liberale e socialista.
La prima mossa di Schmitt consiste dunque nel cri-
4.3. Una forte contrapposizione a queste interpretazioni ticare quanto in Vitoria vi è di freddo e obiettivo: per
attualizzanti (cerro, non direttamente a Villey) viene da Schmitt, Vitoria è troppo neutralizzante, e la sua consi-
Cari Scbrnitt, il quale nel 1950, e quindi a ridosso delle ce- derazione paritetica di Indios e Spagnoli lo rende ester-
lebrazioni del 1946 per il quattrocentesimo anniversario no alla politica del suo tempo; insomma, Vitoria, in
della motte, dedica a Vitoria un denso capitolo del Nomos quanto propugna un universalismo egualitario, non ra-
della lemi'O. Per Schmitt rettificare la comprensione vul- giona nei termini politici concreti di amico-nemico. Al
gata di Vitoria, e opporsi alla sua trasformazione in un contrario, Schmitt valorizza in Vitoria gli elementi di di-
«mito politico», è decisivo: infatti, la pretesa che esista un suguaglianza che egli conserva nel proprio pensiero: in
mo rosso che unisce il cattolicesimo alle potenze liberali primo luogo, l'idea di 'missione' evangelizzatrice volu-
e socialiste implica che la ricostruzione schmittiana della ta dal papa, che legittimerebbe l'impresa spagnola in
politica internazionale moderna in termini di nomos di America (poiché questo aspetto del pensiero di Vitoria
~eterminazione spaziale, di differenza tra Europa stat~a­ si fonda sulla poleslas indirecla del pontefice, che alme-
lizzata e resto del mondo, cioè di iuspublicum europaeum, no dalla metà degli anni Venti è criticata da Schrnitt, è
SIa ptlva d! fondamento (owero sia solo ideologico-pro- chiaro che questi pur di contrapporsi alla vulgata è di-
pagandlstica); oppure implica che il mondo delle sovra- sposto anche a contraddirsi). Ma più in generale la con-
nità statali sia deI tutto tramontato, e sostituito da istitu- cretezza di Vitoria consiste per Schmitt nel fatto che egli
zioni e apparati categoriali universalistici, già presenti è «un monaco spagnolo» ancora legato alla spazialità
nella tradizione moderna, ma alternativi alla principale politica concreta della respubl,,:a chrisliana, dalla quale
deriva una netta contrapposizione all'Islam, una teoria
)9 Villey, LA/ormozione, cit., p. 309. ben determinata della guerra giusta, e un universalismo
40 Schmitt,1/ nomos, cit., pane 11, cap. 2, pp. 104-140.
specificamente cattolico.
XXXII
XXXlll
· Per Vitoria, sostiene Scbmitt, il libero commercio no, ma anche rispetto all'internazionalismo cattolico e
C1~ntra in r~altà nel m~dievale i~s peregrinandi, mentre :oncreto di Vitoria, in fondo premodemo. Insomma,
d}vema tutt altra cosa LO mano 31 prmestanti come Gra- Schmitt, pur distinguendo fra la concretezza medievale
ZIO o ai capitalisti inglesi e americani dell'Ottocento che di Vitoria e la propria concretezza moderna, tende a sot-
argomentano a favore del libero commercio contro il tolineare che entrambe le 'concretezze', benché diverse
mercantilismo degli Stati europei, che Vitoria neppure fra loro, si situano agli antipodi dell'universalismo astrat-
conos~eva. Inoltre, per Vitoria la guerra giusta è anche l ,ma in realtà discriminatorio, che sotto le vesti giuri·
offensiva, mentre quella moderna è solo difensiva: infat- dico-morali del diritto internazionale a dominanza indi-
ti, le logi.che 'ginevrine' - per Schmitt, di origine Imera- vidualistica persegue fmi politici di distruzione dei vin-
na.- d1Sltnguono fra aggressore e aggredito, facendo del ti/colpevoli. Un pensiero 'situato' quello di Schmitt, il
pnmo un criminale in senso penale, passibile non solo di quale, dopo le due sconfitte della Germania nel XX se-
p.unizione ma anche di discriminazione morale e ideolo- C lo, e dopo che in entrambe le circostanze è stata fa~ta
g~ca, e. t:asformando quindi la guerra giusta in un'azione valere contro la dirigenza politica tedesca un'istanza gIU-
dl.p~lizla. Al contrario, il nemico, per Vitoria, non è un ridica penale, tenta di ddegittimare i vincitori e di rilan-
c~lmmale f~ori ~aU'u~anità, ma, pur essendo colpevole ciare la propria teoria della politica come organizzazio-
di una specifica mfrazlOne allo ius gentium conselVa di- ne di 'grandi spazi' e non come universalismo (Schmitt
gnità e diritti; è un nemico concreto, e non ~n nemico as- non riconosce mai la qualità di Grossraum alle sfere di in·
soluto. In g~erale, per Schmitt, Vitoria non può essere fluenza bipolare generate dalla seconda guerra mondia-
decontestualizzato dalla respublica chrisliana, alla quale 1e'1). Schmitt cerca quindi non tanto di annettersi il pen-
dopo tutto conttnua ad appartenere idealmente ed esi- siero di Vitoria, ma, definendo quest'ultimo a sua volta
stenzialmente: la sua fortuna è in realtà il frullo di estra- 'situato', di sottrarlo a quelli che per Schmitt sono i mor-
polazioni, da parte di anticristiani edi antispagnoli, di te- lali nemici della Germania, dell'Europa, dello Stato.
SI nate.LO ~n onzz~nte intracristiano e intraspagnolo. L'interpretazione di Vitoria diviene così per Schmitt
Qwndl, Schmm giunge a riconoscere che Vitoria uno dei baricentri di una guerra intellettuale intorno al-
pur ~eorico della guerra ex fusta causa, ha nd propri~ l'essenza della politica moderna.
pen~lero tanta 'concretezza' da giungere in realtà a una
~eorta non discriminatoria dello iustus hortis. Certo uno 5. Scontata la 'parzialità' di Schmitt - anche se qui at-
lustus borlis medievale, tipico di una guerra intracrisria. teggiata come obiettività storiografica -, è bene lasciar·
na" diverso quindi dallo iuslus hOSlis della piena moder- si provocare, con la dovuta attenzione, dalle sue tesi.
nIta :"estfalta~a che riconosce solo la guerra fra Stati eu-
ropeI. In ogm caso, l'internazionalismo protestante li_ <41 C. Schmin, L'unità del mondo eal/ri .saggi (1951-1962), Roma,
berale esocialista - di Norimberga e dell'Onu _ è per Pellicani, 200}}j Id., La ron/rappo.sitione pl4nelaria tra Oriente e Oc-
Schmnt In forte e drammatica discontinuità rispetto non adente e 14 .sua .s/ruttura .s/orica (1955), in E.)Ungcr, C. Schmin, II no-
do di Gordio. Diarogo.su Oriente e Oca·dente ne/iJJ .s/on"a del monda,
solo allo iur pub/icum europaeum pienamente moder- Bologna, UMulino, 2004', pp. lJ t-t63.
XXXiV XXXV
AI di là dei giudizi di valore, sembra difficile che, al. nlllrsi dei diritti umani come fondamento tanto del di·
meno dal punto di vista della storia del pensiero politi. ntto interno quanto del dirino internazionale - che è il
co, la modernità possa essere fatta coincidere con lo svi- tipico portato della rivoluzione francese, ma che assu-
luppo lineare di un diritto naturale orientato sui diritti me senso politico solo dalla metà del XX secolo - han-
umani, che da Vitoria passando per Grozioe Kant giun. no contribuito sia l'daborazione giusnaturalistica cat·
ge alla Cana dell'Onu. Questo disegno - per accatti. l \ica, che ha origini prestatuali e non individualistiche,
vante che possa essere - manca di consistenza storica- quanto quella laica, di fatto nata dentro la moderna VI'
in età moderna il diritto naturale - che in ogni caso no~ cenda dello Stato; ma entrambe le distinte tradizioni
nasce solo in ambito ecclesiastico. e che anzi si nutre so- ~iusnaturalistiche si sono potute contrapporre alla po:
prattutto di fonti antiche, e poi umanistiche, e quindi litica statocentrica in nome dei diritti umani - divenun
riformate, e mfine razionalisriche e illuministiche _ vie- un'idea universalistica - solo al prezzo di una forte tr3-
ne catturato dalle logiche della statualità, e solo all'in. formazione del rispettivo materiale intellettuale tradi·
temo dello Stato, sia pure in forte tensione rispetto a es- zionale, ossia tanto del paradigma poLitico moderno
so, si ripresenta come fondamento dei diritti umani in- quanto del giusnaturalismo cllttolico.
dividuali. Insomma, il potere politico moderno si razio- In quest'ottica, si tratta di esaminare più davicino il
nalizza molto più perché passa attraverso la mediazione pensiero di Vitorill, per discernervi quello che Luis Le-
dello Stato e della sua potenza che non perché si confor. gaz y Lacambra nel 1947 definiva «lo medievale y lo
mi immediatamente al diritto naturale; all'interno dello modemo»4J, e soprattutto per coglierne logiche, strut·
Stato, sarà l'individuo - che si concepisce come porta- Lure, e implicazioni.
tore di diritti - a farsi valere perché lo Stato si raziona-
lizzi ulteriormente, trasformandosi in Stato di diritto. E 5.1. È, quella di Vitoria, una teologia morale-giuridica,
non solo il diritto interno, ma anche quello internazio- razionalmente mediata e atteggiata. on c'è in lui il SI'·
nale, in età moderna, è molto più statualistico cbe giu- /ele Ibeologi! di Gentili (anche se questo era rivolto con-
snaturalistico - è diritto di Stati, cioè iUI publicum eu- tro un presunto comandamento dell'amore verso i Tur·
ropaeum -; benché il diritto naturale sia frequentemen. chi , che in Vitoria sicuramente è assente)44 da cui
. ha ori-
te invocato come origine di ogni giuridicità, in Gentili gioe la moderna politica internazionale. C'è, lOvece, se
in Grozio e in Vattel, è infatti ovvia la progressiva s(a~ non un si/eie iurisconsu/ii! certamente l'affermazione
tualizzazione delle relazioni internazionali e della guer-
ra, che sarà non a caso il problema di Kant"'. AII'affer- e assolutismo (1963) Milano, Giuffrè, 1979, nonché: R Kosdleck, Cri-
tica iJJuminista ecris;' de/la società borgheu (1959), Bologna, li Mulino,
1972.
..2 Sulla moderna inflessione sratalistica dci diritto narurale si veda ..} Legaz y Lacambra, Horilontes cit., pp. 19'·211; l'autor~ so-
R. Tuck, War(md Peace. Politica/ Thought and the lnternationaJ Order stiene che Vitoria non è mooemamente statualista, ma è un fLIosofo
/rom Grotius to Ka'!t, Oxford Unjversity Press, Oxford 1999; sul nes- morale scolastico, e che proprio per questo è adano ai tempi in cui la
so fra potenza e raglon~ com~ chiave di ricostruzion~ della storia d'Eu- modernità roUassa.
rop~ cfr. B. De Gjovan~i, ~filosofia e /'Eut'OfJ4 moderna, Bologna, Il 44 A. Gentili, De iurt belli libri tres (I612), libro l, cap. J2, in C.
Mulino, 2004; sul nesso mdlVlduo-Statodr. R. Schnur, Individualismo Calli (a cura di), Gu~a, Roma·Bari, Laterza, 2QO...t, p. 60.

XXXVI XXXVII
(De Indis, Introd. 8) dell'esigenza cbe, nella fase storica I litica e della guerra dalla religione è assicurata; ma ciò
in cui il diritto internazionale (ius genlium) deve aprir- non implica per nulla una loro autonomia dalla morale
si al Nuovo Mondo - il cbe lo rende un diritto ancora ttlzionale, ovvero non implica che il diritto possa essere
in fien° -, i teologi intervengano inelicando i principi 1I11permeabile alla giustizia e al elirino naturale: l'esi-
morali su cui il dirino internazionale deve basarsi. Que- M-nza eli Vitoria è cbe la razionalità della vita pratica
S(Q è precisamente quanto fa Vitoria in DIB, che non è non sia solo fonnale, e ciò lo fa appunto argomentare in
solo una teoria giurielica dello ius belli (sia come ius ad I rmini eli 'giustizia' che escludono il positivismo nel-
bellum sia come ius in bello), ma è ancbe una teoria mo- l'ambito interno e il convenzionalismo (sia antico-ro-
rale della guerra - «in moralibus» defInisce Vitoria il mano sia moderno) nell'ambito internazionale.
proprio ambito eli riflessione (DIB l, 2; TV, I, 6) -, fon- Così, questa presenza della giustizia nella politica
data. implicitamente ma saldamente, sull'idea di giusti- o n è in Vitoria un'eccezione, l'irrompere nello spazio
zia4 ', ossia sull'oggettività dd bonum totiuIorbis. sul- litico chiuso dello Stato moderno di un Valore che,
l'ordinato vivere e prosperare delle genti (DIB I, 2), cbe n i casi estremi del «diritto ingiusto»"6, fa saltare l'au-
è un fine e un dovere proprio perché è al contempo un tosufficienza del djritto positivo: anzi, è una fondazione
diritto (anche se il termine in quanto tale è assente), o che è anche normalità e norma, è un'essenza irrinuncia-
almeno una possibilità reale di felicità terrena, scritta bile sia della politica sia del eliritto. E come non si trat-
nell'essenza dell'umanità. Di fatto, le tesi eli fondo di ta di irruzione straordinaria, così non è neppure una so-
DIB sono mutilare se non vengono comprese a partire vrapposizione di ambiti fra morale e politica: si tratta
dall'idea che esiste la giustizia. cioè un ordine morale e piuttosto, in Vitoria, di una distinzione che non è estra·
razionale del mondo - del quale Dio è in ultima istanza neità, ma che anzi presuppone una continuità fondati-
l'autore -, che l'umanità conosce come diritto naturale va. Questa continuità è insomma consentita da un ordi-
oggettivo e al quale collabora sviluppandol0 storica- ne dell'essere -la giustizia, appunto - che non conosce
mente come dirino delle genti, mai elivesgente dal elirit- cesure assolute e catastroficbe fra i diversi ambiti della
to naturale: è a questa giustizia ben fondata cbe riman- pratica (morale, diritto, politica, guerra): né il nicbili·
da lo ius belli. Se la politica interna - cbe pone il clisitto mo originasio del Moderno, o in ogni caso la perenne
positivo, e lo amminisrra - può e deve conformare le esposizione della sua ragione alle logicbe della potenza,
proprie costruzioni alla giustizia, anche ]a politica in· né le graneli contrapposizioni che organizzano la politi-
ternazionale, e anche la guerra, può e deve atteggiarsi in ca moderna - il dualismo fra diritto privato e diritto
modo razionale e morale. La diretta autonomia della pubblico, fra diritto interno e diritto internazionale, fra
soggetto e Stato - sono presenti in Vitaria con la carica

.., Al riguardo si veda D. Deckers, GerechligJuù und Rechi. Eine


bistonrch-kntuche Untersucbung der Gerecbtigkeitslehre de, Franci- 46 H. Ho&nann, Introduzione alla filosofia del d,ritto e de/la poli-
sco de Vùor,a (1483-J.546), Frciburg (Schwciz), Univcrsitatsverlag, tica (2000), Roma·Bari, Laterza, 2000, pp. 123·128 (con riferimento
t991. alle lesi di G. Radbruch),
XXXVUI XXXIJ(
al tempo stesso costruttiva e distruttiva che manifesta. dunque in Vitoria un rifiuto pratico - non però teori·
no nd versante razionalistico della modernità: più che 0-47 _ dell'obiezione di coscienza, un rifiuto che non na-

in termini di fronti conllinuali, egli argomenta in termi. da vessatoriostatalismo assolutistico, da cedimenti di


ni di ambiti, fra l'uno e l'altro dei quali c'è comunica. Vitoria alla Ragion di Stato o al probabilismo gesuitico,
zione e analogia. ma anzi dall'idea che la politica è un ordine autonomo in
E infatti fin dall'inizio DIB si fonda sull'analogia fra 4uanto incorpora in sé, fm dalla propria origine e in ogni
il privato e il pubblico (Il, 1-2; ma si veda anche il ri- ua articolazione, la giustizia; e che solo per questo mo-
corso all'analogia fra diritto matrimoniale e diritto di Uva è legittimata. Questo atteggiamento deriva dunque,
guerra in IV, I, 8), nonché fra l'interno e l'esterno (I, 2; lo si ripete, da una con iderazione dell'individuo che
m,4 e 5; IV, I, 2, 5 e 7; IV, il, 5). Una trasposizione, che non ne fa - insieme allo Stato e in concorrenza con esso
genera una sistematica «analogia domestica», che è re. il centro assoluto della politica: non a caso, la libertà dei
sa possibile dall'esistenza di un terreno comune, ap- ingoli (non invece quella delle gentes) non è per Vitoria
punto dalla giustizia. Il che implica che Vitoria sia estra. un diritto naturale, ma un bene accidentale (DI B IV, il,
neo tanto alla distinzione moderna fra nemico e crimi.
nale quanto anche alla discriminazione tardo-moderna
n In generale, non è attraverso il singolo (né, dd resto,
come si è detto, attraverso lo Stato) che si legittima la po-
dd nemico/colpevole come criminale collocato fuori litica, per Vitoria, ma attraverso la complessiva articola-
dell'umanità (il che non vale, per lui, neppure per i Tur.
zione, priva di cesure e di contraddizioni assolu~e~ dd·
chi): il nemico/colpevole vinto è passibile di punizione
l'ordine politico; così, se normalmente non .sono l sm~o­
proprio in quanto condivide col vincitore un terreno
li cittadini a essere chiamati a capire se SUSSistono le glU·
comune, che è la comunità pan-umana della giustizia.
Me cause di guerra, devono esserlo i governanti, COD la
Questa, certo, è Stata da lui vulnerata, ma potrà anche
massima severità e con la più gsande attenzione (DIB IV,
essere reintegrata, attraverso la punizione del torto.
1,6·7). E proprio perché sono essi a dover esercitare la
Per quanto riguarda il rapporto tato/individuo, poi,
è da notare che Vitoria non seme in modo drammatico la
responsabilità, non è opportuno che i sudditi abbracci-
loro contrapposizione; anche in questo caso, c'è eviden- no la morale della convinzione. Insomma, neI caSI nor-
temente una distinzione, che non genera però confljtti mali è prescritta l'obbedienza dd singolo; e solo in casi
assoluti. La disposizione razionale e secondo giustizia eccezionali in cui il comando politico è palesemente con·
dell'ordine politico interno elimina le occasioni di con. trario alla Jegge di natura, cioè alla morale e alla giustizia,
flitto; tranne che nel caso in cui il singolo sia del tutto cer- è lecita la disobbedienza; e chi decide l'eccezione è il sog·
to che la guerra è ingiusta (un caso quasi solo teorico, in getto singolo, certo: ma dello scarso valore po~itico .reale
realtà), l'ubbidienza in buona fede alle autorità legittime che Vitoria dà a questa riserva interiore è test1mOOlanZa
assolve in coscienza il soldato di basso rango, nei casi il fatto che l'esempio di comando ingiusto addotto in
- questi sì frequenti e realistici - di incertezza sul sussi-
stere di una giusta causa di guerra (DIB IV, I, 7-8). C'è '17 Minois, lA Chinll e III gUerTlI, cit., p. 282.

XL XLI
DIB IV, I, 7 è la guerra sanra islamica, e la messa a morte lO (anche con la punizione di chi la viola) ma che nes-
di Gesù. sun peccato può dawero distruggere, perché è dopo
È quindi l'arreggiarsi razionale del carrolicesimo lurro Dio a esserne l'autore. TI che esclude l'ammissibi-
- cioè l'affermazione di una conrinuirà deIJ'ordine del- lità, e ancbe la sensatezza, di una posizione del tipo «fiat
l'essere e deIJ'assenza di drammatiche cesure tra gli am- lustitia pereat mundus»; giustizia e mondo si coappar·
biti dell'esperienza - a far sì che in Vitoria non ci siano né tengono: insieme, sono appunto l'ordine (giusto) del-
la moderna politica assoluta né il suo interno deuterago- l'essere. é il formalismo né il nichilismo hanno spazio
nista, il soggerro libero e uguale; che la politica non ab- nel pensiero di Vitoria. Che ha il proprio limite, sem-
bia a che fare con la costruzione delJa forma di un irresi- mai, nd risultare di fano, una volta che si siano svilup·
stibile potere sovrano ma con la sostanzialirà di un bene pate le dinamiche politiche delJa piena modernità, mol-
comune gerarchicamente atteggiato e fondato. in ultima to più un dover essere morale che una teoria politica ef-
istanza, sul diritto naturale; e che quindi, conseguente- ficace o una teoria giuridica effettuale. E un dover esse-
mente, il potere e la guerra non si legittimino se non at- re, per di più, meno radicale di quanto sarebbe neces-
traverso la teoria del bene comune, di ciascuno Stato e sario.
deIJ'umanità intera (DIB IV, I, 5), e in quesro trovino il
loro fine e illaro limite intrinseco. 'Bene comune' è in- 5.2. Come appunto si vede da un'analisi che cerchi di
fatti il nome politico deIJ'ordine dell'essere (come 'giu- comprendere le modalità d'azione della nozione di giu-
stizia' è il suo nome categoriale). Da tutta la discussione stizia sull'impianto teorico della guerra giusta.
in DIB IV appare chiaro che il bene comune non giusti-
fica qualsivoglia prassi bellica; anzi, in De poleslale dviii 5.2.1. Si è già detto che la guerra è in Vitoria un fatto
13 - oltre che in DIB IV, I, lO e IV, II, l - Viroria afferma giuridico (è uno ius); è infatti valutata in relazione a un
che la guerra, anche giusta, non può produrre un male dirino naturale che è in sé razionale e astorico ma che è
maggiore di queIJo a cui pone rimedio. anche storico nella sua realtà evolutiva di ius gentium;
Lo spazio politico di Viroria è quindi in realtà una un dirirro che quindi non è solo formale e convenzio-
sorta di respublica chrisliana liberata da molte angustie nale ma anche una realtà concreta. Ciò significa cbe la
e da molti dogmatismi (soprattutto, non ierocratica), e guerra giusta non si qualifica solo a partire dalla giusta
dilatata a inglobare anche le genles non cristiane, a cui causa -l'iniuria accepta -, in senso universalistico, ma
egli estende lo nozione di iuslilia e di bonum commune. che esiste un asperro 'siruato' del pensiero politico di
E questa attitudine cattolica a tematizzare la continuità Vitoria, che lo orienta. Questo aspetto consiste nella
razionale deIJ'ordine deIJ'essere ciò che consente a Vi- percezione di due differenze, che modificano il suo uni·
roria di essere universalistico eppure capace di operare versalismo, senza annullarlo: la differenza tra civiltà e
differenze, rigoroso eppure non consequenzialista all'e· harbarie (ossia fra Europa e America) e quelJa tra cri-
stremo, e in grado di temperare la giustizia con la pru· stiani e infedeli (ossia il conflitto fra Europa e Islam). La
denza: infatti, la giustizia è un bene che va salvaguarda- prima - già esaminata - è meno importante della se·

XLll XLIIl
conda, quanto alle sue conseguenze sulla teoria della na certezza per quanto riguarda il divieto dell'uccisione
guerra giusta (altro discorso vale per la pratica: è infat- di donne e bambini, e alla fme, benché con un ragiona-
ti evidente che l'universalismo è asimmetrico, e che di mento faticoso e tortuoso e con concessioni a un'inter-
fatto se ne possono giovare solo gli Spagnoli). Ma se, in pretazione volontaristica di Dl 20, 13, poi corretta, an-
ogni caso, con gli Indios è almeno possibile la pace, in- che per quanro riguarda l'uccisione degli adolescenti.
vece, coi Turchi c'è, secondo Vitoria (DIB IV, n, 3), Insomma, la differenza fra guerra intracristiana e guer-
«guerra perpetua» (nozione che precede quindi il più il- ra contro i Turchi, indubbiamente sussiste: evidente-
lustre concetto antitetico di .:pace perpetull»L cioè una mente è un retaggio dd passato di inimicizia costante
guerra che nasce dall'esperienza storica della continua fra Impero oltornano (inteso come potenza politica, più
aggressione islamica contro gli Stati cristiani (e dunque che come religione islamica) e Stati europei; un reraggio
non dalla natura, né dalla religione); una guerra assolu- che Vitoria condivide con la stragrande maggioranza
ta, senza tregua e senza quartiere. Ciò implica differen- degli intellettuali europei suoi contemporanei.
ze di trattamento del nemico vinto (ivi, IV, n, 5): se nel La concretezza di Viroria, ossia la caratteristica spe-
caso della guerra fra Stati cristiani il vincitore, a guerra cificamente cristiano·cattolica del suo universalismo,
fmita, può uccidere tutti i colpevoli, ciò di fatto signifi- colloca la sua teoria della guerra giusta in una zona me-
ca giustiziare coloro che harmo responsabilità della
dia fra paciftsmo e sterminio cbe - a parre il caso dell'I-
guerra ingiusta; od caso dei Turchi, invece, si possono
slam - non conosce "estraneità radicale fra popoli eu-
uccidere «tutti quelli cbe possono portare le armi, pur-
ropei ed extraeuropei che è propria dello iur publicum
ché si siano macchiati di colpa» (il che significa tutti i
europaeum. E che non conosce neppure la criminaliz-
militari, anche catturati prigionieri). La colpa da puni-
re fra i cristiani sta presso i capi (ivi, Conclusioni: «nd-
zazione discriminatoria del nemico propria della tarda
la maggior parte dei casi, fra i Cristiani tutta la respon- modernità.
sabilità è dei principi»); fra i pagani sta invece anche nei Da alcuni punti di vista Schmitt ha quindi ragione
singoli combattenti. Analoghe differenze si registrano nel segnalare che l'universalismo di Vitoria non coinei·
poi sulla riduzione in schiavitù dei prigionieri, consen- de con quello moderno; ma non ha ragione nelle con-
tita all'esterno, verso i Turchi, ma non all'interno, verso seguenze che trae da queste caratteristiche dd pensiero
i cristiani (ivi, IV, n, 3). Eppure, Vitoria (D/B, Conclu- di Vitoria, che non rendono il domenicano un monaco
riom) nega che la guerra giusta - anche quella perpetua medievale, ma semmai una figura di pensatore che
o assoluta - sia rivolta contro i popoli/nazione, contro estende alle novità del dercubrimienlo un paradigma
le genter e le rerpublicae (che sia una guerra totale con- tradizionale - quello deUa giustizia, cioè dell'ordine ra-
tro le società, diremmo oggi), e meno che mai contro la zionale dell'essere, di radice divina e poi di elaborazio-
sostanza biologica del nemico: la guerra di sterminio ne umana -, modificandolo e trasformandolo in un mo·
(l'uccisione dei non colpevoli) è vietata sia fra i cristia- dello di regoIazione delle relazioni internazionali su-
ni (IV, n, 5) sia contro i Turchi (IV, n, l e 5) - con pie- scettibile di importanti sviluppi futuri.

XLIV XLV
5.2.2. Ma quel modello è anche ricco di problemi, che la dal combinarsi storico e artificiale di ragione e po-
non stanno tanto in ciò che vi è ancora di medievale in tenza, dallo ius publicum europaeum. Vitoria sa bene
Vitoria (come ammettono anche i suoi estimatori mo- che spesso la guerra fra cristiani è condotta, in buona
dernizzanti), né in ciò che in lui vi è di moderno (come fede, come bellum utrimque iustum (DIB IV, II, 9) sia
invece sostiene Schmitt). I problemi stanno proprio nel- per quanto riguarda i sudditi (che hanno l'obbligo di
l'impianto oggettivo della giustizia. obbedienza in re dubia) sia perfUlO per quanto riguar-
e risultano, come diretta conseguenza, alcuni trat- da i principi (per una invincibile ignoranza, che tutto
ti peculiari e problematici nella dottrina della guerra scusa, o per un esame erroneo, benché accurato, delle
giusta. il primo dei quali (DIB IV, I, 2 e 5; IV, II, 5) è che cause di guerra). on ci sono, però, in Vitoria, le con-
- in linea con la dottrina tradizionale - il vincitore/giu- seguenze convenzionalistiche - che lasciano la questio·
sto si trova ad essere il giudice del vinto/ingiusto, e ad ne della colpa alla coscienza personale dei principi, e
avere il diritto/dovere di punirlo (non è contemplata, che giustificano la guerra a partire non dalla giusta
perché ininfluente sotto il profilo teorico, l'ipotesi che, causa ma dallo iuslus hOSlis, cioè ne fanno una faccen-
nella pratica, il vincitore sia il responsabile di una guer- da di Stati, un bellum utrimque iustum all'interno del-
ra ingiusta: il giudizio di condanna resterehbe in ogni lo ius publicum europaeu,,"8 - che la modernità matu-
caso invariato). Che il principe che conduce una guerra ra ha tratto tanto dalla crescente difficoltà a definire la
giusta sia iudex in causa propria ha effetti di grande du- iusto couso, quanto dalla catastrofica violenza implicita
nella pretesa che la guerra sia giusta (cioè un'esecuzio-
rezza sulla conduzione della guerra e sulla gestione del-
ne di una sentenza) da entrambe le parti. Per Vitoria,
la pace, ma non produce, in Vitoria, ('effetto devastan-
in una guerra deve essere sempre distinguibile, in linea
te di uno stato di natura a tal punto anarchico che se ne
di principio, chi ha ragione da cbi ha torto, in modo
debba a tutti i costi uscire: a differenza di quanto è pre-
univoco e cerro: e quindi non può esistere, in quanto
visto da Hobbes, per Vitoria è indiscutibile che esista
sarebbe assurda, una guerra giusta da entrambe le par-
realmente la trama ordinata della giustizia a sostenere ti (DIB III, 2 e IV, I, 6 e 9), e dunque gli hostes non
l'umanità, e a garantire l'univocità, la non contradditto- possono essere, modernamente. oequoliter iusti. E non
rietà e la non distruttività, del concetto di guerra giusta. c'è nemmeno il probabilismo gesuitico col suo sostan-
La giustizia è oggettiva, non soggettiva; e ciò significa ziale filoassolutismo: Vitoria sa bene che giustificare la
che essa esiste univocamente anche se i principi errano guerra attraverso la mera probabilità che il principe
nell'attribuirsela ciascuno per sé. che la dichiara abbia ragione - e non attraverso la cer-
La distanza fra Vitoria e la modernità piena è tutta tezza morale e razionale della iusto causo - sarebbe
qui: nel fatto che il domenicano non può far discende- fonte di guerra senza fine (DIB IV, I, 6) perché, a dif-
re dal cumulo di errori soggettivi dei principi l'assun- ferenza della verità e della giustizia, la ammissibilità del
to, su cui si fonda la politica moderna, che la giustizia
naturale è assente - o poco o per nulla rilevante - dal· 48 E. de Vattel, udroi/ des Genr (1758), libro m, cap. 12, in Gal.
l'orizzonte delle relazioni interstataJi. e che va sostitui- li (a cura di), Guerra, dt., pp. 96-98.

XLVI XLVII
5.2.2. Ma quel modello è anche ricco di problemi, che ta dal combinarsi storico e artificiale di ragione e po-
non stanno tanto in ciò che vi è ancora di medievale in tenza, dallo ius publicum europaeum. Vitoria sa bene
Vitoria (come ammetrono anche i suoi estimatori mo· che spesso la guerra fra cristiani è condotta, in buona
dernizzanti), né in ciò che in lui vi è di moderno (come fede, come bellum utrimque iustum (DIB IV, II, 9) sia
invece sostiene Schmitt). I problemi stanno proprio nel- per quanto riguarda i sudditi (che hanno l'obbligo di
l'impianto oggettivo della giustizia. obbedienza in re dubia) sia perfmo per quanto riguar-
Ne risultano. come diretta conseguenza, alcuni trat- da i principi (per una invincibiJe ignoranza, che tutto
ti peculiari e problematici nella dottrina della guerra scusa, o per un esame erroneo, benché accurato, delle
giusta. TI primo dei quali (DIB IV, I, 2 e5; IV, II, 5) è che cause di guerra). Non ci sono, però, in Vitoria, le con-
- in linea con la dottrina tradizionale - il vincitore/giu- seguenze convenzionalistiche - che lasciano la questio-
sto si trova ad essere il giudice del vinto/ingiusto, e ad ne della colpa alla coscienza personale dei principi, e
avere il diritto/dovere di punirlo (non è contemplata, che giustificano la guerra a partire non dalla giusta
percbé ininfluente sotto il profilo teorico, l'ipotesi che, causa ma dallo iustus hoslis, cioè ne fanno una faccen-
nella pratica, il vincitore sia il responsabile di una guer- da di Stati, un bellum utrimque iustum all'interno del-
ra ingiusta: il giudizio di condanna resterebbe in ogni lo ius publicum europaeunt'8 - che la modernirà matu-
caso invariato). Che il principe cbe conduce una guerra ra ha tratto tanto dalla crescente difficoltà a definire la
iusta causa, quanto dalla catastrofica violenza implicita
giusta sia iudex in causa propria ha effetti di grande du-
nella pretesa che la guerra sia giusta (cioè un'esecuzio-
rezza sulla conduzione della guerra e sulla gestione del-
ne di una sentenza) da entrambe le pasti. Per Vitoria,
la pace, ma non produce, in Vitoria, l'effetto devastan-
in una guerra deve essere sempre distinguibile, in linea
te di uno stato di natura a tal punto anarchico che se ne
di principio, chi ha ragione da chi ha totto, in modo
debba a tutti i costi uscire: a differenza di quanto è pre-
univoco e certo: e quindi non può esistere, in quanto
visto da Hobbes, per Vitoria è indiscutibile che esista sarebbe assurda, una guerra giusta da entrambe le par-
realmente la trama ordinata della giustizia a sostenere ti (DIB III, 2 e IV, I, 6 e 9), e dunque gli hostes non
l'umanità, e a garantire l'univocirà, la non contradditto~ possono essere, modernamente, aequa/iter iusti. E non
rietà e la non distruttività, del concetto di guerra giusta. c'è nemmeno il probabilismo gesuitico col suo sostan-
La giustizia è oggettiva, non soggettiva; e ciò significa ziale filoassolutismo: Vitoria sa bene che giustificare la
che essa esiste univocamenre anche se i principi errano guerra attraverso la mera probabilità che il principe
nell'attribuirsela ciascuno per sé. che la dichiara abbia ragione - e non attraverso la cer-
La distanza fra Vitoria e la modernità piena è tutta tezza morale e razionale della iusta causa - sarebbe
qui: nel fatto che il domenicano non può far discende- fonte di guerra senza fme (DIB IV, I, 6) perché, a dif-
re dal cumulo di errori soggertivi dei principi l'assun- ferenza della verità e della giustizia, la ammissibilità del
to, su cui si fonda la politica moderna, che la giustizia
naturale è assente - o poco o per nulla riJevante - dal- .8 E. de Vand, Ledroil deI GenI (1758), libro DI, cap. 12, in Gal·
l'orizzonte delle relazioni interstatali, e che va sostitui- li (a cura di), Guerra, cit., pp. 96-98.

XLVI XLVll
diritto può stare da entrambe le parti: e infarti in caso I resenta tanto la propria volontà di esistenza politica
di incertezza sostiene che la guerra sia illecita (DIB IV, quanto il mondo intero.
I, 8). Solo la certezza della giusta causa, e quindi del Questo immediato cortocircuito fra particolare e
torto altrui, è fonte di legittimità della guerra. universale si attua in Vitoria perché la giustizia è po.
Insomma, la consapevolezza deUa problematicità la da una parte come universale presenza fondativa
pratica della definizione corretta di guerra giusta (DIB del mondo della pratica, come bonum IOlius orbis, ma
IV, I, 9) agisce in lui solo in via prudenziale e non di prin- dall'altra è interpretata, al contempo, come il prodot-
cipio, cioè come riconoscimento di una umana debolez- to dell'azione politica concreta dei singoli principi,
za che deve indurre a comportamenti moderati, e non che combattono la guerra giusta per difendere il par-
come una caratteristica strutturale e oggettiva della ma· ticolare bonum del loro Stato. Per Vitoria non c'è
dema politica statualizzata: la guerra giusta da entrambe quindi comraddizione fra la universalità razionale del-
le parti (per ignoranza e buona fede) sarà anche fre- la pace e il fatto che essa sia resa efferruale dall'auto-
comprensione utilitaristica del proprio bonum da par-
quente di fatto (DIB IV, II, 9), ma, per Vitoria, non esce
te di ciascuno Stato. Il conflitto politico moderno - ge-
dal suo s/alus di impossibilità logica e morale. La guerra
nerato dalle logiche della sovranità, capaci di attrarre
deve poter essere sempre giudicata moralmente, e il bel-
l'universalità della ragione nel proprio campo gravita-
lum ius/um essere distinguihile dal bellum inius/um. zionale e di sconvolgere l'ordine del mondo, striando-
Questo primo tratto problematico della dottrina lo con confmi che sono anche barriere alla comunica-
della guerra giusta, originato dall'oggettività della giu- zione razionale e alla uguaglianza morale degli uomi-
stizia, ne determina uo altro: il vincitore/giusto è pane ni - gli pare quindi poter essere risolto e superato gra-
in causa e al tempo stesso deve essere sopra le parti, e zie alla sua visione della 4<pace dinamica»"9, ossia gra-
comportarsi Don come un accusatore ma come «un giu· zie all'assunto, cristiano e umanistico, che la giustizia
dice che siede fra le due comunità politiche, quella che può sì essere sempre offesa e ferita, ma la sua trama
subì l'offesa e l'altra, che la fece» (DIB, Conclusiom). ordinativa non può mai essere del tutto lacerata: il che
L'impianto argomentativo di Vitoria, fondato sulla og· lo pona a ipotizzare una pace che consiste in un con·
gettività della giustizia, compona insomma l'assenza di dnuo agire riparatorio (in un susseguirsi di guerre giu·
una istituzione terza e super partes - che per Vitoria po. ste) ad opera dei singoli principi. Mentre la pace per
teva essere solo il papato e quindi sarebbe suonata co· Kam ha caratteristiche radicali di necessità razionale
me ierocratica -, e implica che al singolo principe si che implicano, anche quando si configura provviso-
chieda di essere coinvolto nel conflitto e al tenlpo stes- riamente come federazione di Stati, che la ragione del·
so di astrarsene, in una posizione superiore. Come si è
visto, un principe che per il proprio Stato combatte una 49 Pereii.a, Estudio p"/iminor. Lo lesis de ~ po1. dimimiC/l, cit., p.
64; analoghe considerazioni in M. Scauola, GU~Q giusta eordinedel·
guerra giusta è autorizzato non solo dalla propria sin- /o giuslizio nello dal/n·na di Domingo de Sala, in $cartola, Figure de/i4
golarità ma anche dall'intera umanità (DIB IV, I, 5): rap- guerra, cit., pp. 89·110.

XLVlll XLIX
lo Stato debba spogliarsi delle proprie logiche parti- siero cattolico cbe, attraverso percorsi più o meno tor-
colaristiche, la pace di Vitoria, invece, riposa sull'as- tuosi (una tappa ne è Rosmini nd XIX secolo, e un'al-
sunto della giustizia come fondazione oggettiva della tra ne è Maritain nel XXj ma ovviamente si possono
politica, e sull'assenza, quindi,. della contraddizio~e, di moltiplicare e diversificare gli esempi e i tragitti), giun-
principio fra particolare e unIversale, fra s~atualJta e gono a liberare l'universalismo cattolico e la sua teoria
pace. Si dirà che Vitoria non ha ancora. pIena espe- della dignità umana dalle ipoteche gerarchico-ecclesia-
rienza dei tratti nichilistici dd mondo poliuco moder- stiche del 'regime di cristianità', e si conciliano con la
no; e ciò è vero; ma è anche vero che in ogni c~so teoria dei diritti umani, pur senza condividerne l'indi-
l'impianto complessivamente oggettivo e f~ndauvo vidualismo e illaicismo, com'è appunto avvenuto con il
dd suo pensiero è, necessariamente, meno r~dicale ?e1 oncilio Vaticano II. È proprio la mancata coincidenza
razionalismo moderno, tanto nella costruzione artlfi· del pensiero di Vitoria con la vicenda del razionalismo
ciale dello Stato particolare (Hobbes) quanto nell'da- moderno ad averne permesso la ripresa e la rielabora-
borazione dd dovere della pace universale (Kant). zione in polemica con lo iUI publicum europaeum, sia
nella fase (la seconda metà dd XIX secolo) dd recupe-
6. Vitoria non è un autore 'premodemo', cioè parzial- ro IJberale"', sIa quando (nella seconda metà dd XX se-
mente arretrato rispetto agli standard dd razionalismo colo) la vaIorizzazione di Vitoria è stata uno dei contri-
laico (che peraltro giunge a maturità un secolo dopo la buti della cultura cattolica all'umanesimo giuridico po-
sua morte); piuttosto, le sue posizioni sono un esempio st-totalitaflO e al nuovo diritto internazionale _ quello
di modernizzazione dd pensiero politico cattolico, e delle dichiarazioni dei diritti e dell'Onu.
sooo sviluppate, e SvUuppabili, secondo direttrici pa- Ciò è per alcuni versi una forzatura: il domenicano
rallde - e quindi non coincidenti - rispetto alle vicende spagnolo vuole 'modernizzare'la dottrina morale catto-
della modernità 'laica', che ruota intorno allo Stato e al lica applicandola alle rdazioni internazionali e spostan-
soggetto. Quella di Vitoria è una modernità a sc.arso tas- done il baricentro dal rapporto pontefice/imperatore e
so di secolarizzazione: il trascendente non 51 e ancora da qudlo pontefice/Stati al rapporto giustizia (mora-
mutato in trascendentale. né il teismo in deismo, e Dio, le)/Stati, ma è estraneo al problema dd rapporto dialet-
più che garanzia, è ancora il fondamento dell'ordine tico fra la volontà di potenza dello Stato (il fulcro dd mo-
dell'essere e della sua razionalità oggettiva. Dal punto do moderno di intendere il diritto internazionale) e i di-
di vista spaziale, poi, il uovo Mondo non è, per lui, oc· ritti universali dei singoli (che a loro volta costituiscono
casione di una rivoluzione concettuale e politica - mo- il centro della modalità contemporanea). Tuttavia, il suo
dernamente centrata sulla differenza e sull'equilibrio pensiero internazionalistico, nd quale la dignità dell'uo-
fra spazio europeo, spazio libero extraeuropeo, e mare mo è ben presente, non è incompatibile con la successi-
libero - ma viene inseri(Q in una sorta di estensione oriz-
zontale della rerpublica christiana. '0).8. Scott, in TbeSJN11ti1b uJ1taplion, cit., dedica un capitolo a
Vitoria è insomma l'artefice di una delle linee di pen- Tbl' /ibni1/mn o/Viloria (cap. XIII, pp. 275-280).

L LI
va teoria dei diritti umani. Anzi, è stato riscopeno pro- nire rigorosamente limitata quanto allo ius ad be//um, e
prio perché suppona una reale esigenza di pace, dopo severamente regolamentata quanto allo ius in betlo'l.
che Ja modernirà ha rrasfonnato la guerra fra gli Stati in i tratta però di teorie che sono state anche COntesta-
una guerra contro le società e contro l'umanità, e ha con- ~e e combarrute, dentro e fuori la Chiesa; in primo luogo,
dotto lo ius pub/icum europaeum in un vicolo cieco. In nome del principio che nella dotrrina della guerra giu-
Se ciò è vero per il pensiero internazionalistico di Vi· sta sopravvive l'idea di una Chiesa ancora 'costantiniana'
toria, per quanto riguarda specificamente la teoria della e 'tridentina' che, senza essere più potere politico diret.
guerra giusta, che pure strutturalmente ne dipende, vi s0- to, conserva un rapporto privilegiato con i poteri politi-
no da fare considerazioni parzialmente diverse. eI con- CI, da Cli non prende a sufficienza le distanze, e in base
resto rardo-moderno del XX secolo, dominato dalla alla considerazione che per ottenere la pace vale più la
guerra fredda, e nell'affacciarsi, all'inizio del XXI seco· promozione della giustizia che non l'elaborazione di una
lo, di una realtà per molti versi post.moderna, quale quel. leoria della guerra giusta; in secondo luogo perché le dot-
la globale, che segue la fIne del comunismo, la tematica lrine?ella guerra giusta sono di farro impraticabili, per la
della guerra giusta ha fatto una decisa ricomparsa: ora co- caslsuca quasI barocca a cui danno origine, e per le con-
me guerra di resistenza e di liberazione, ora (più spesso) traddizioni in cui incorrono (non è facile dettare nonne
morali su chi si può uccidere nelle attuali forme di com-
come tentarivo laico (dal punto di vista della salvaguar.
battimento, o su quanto si può torrurare)'2. E si tratta di
dia dei diritti umani, interpretati in senso soggettivo e de-
teorie per certi versi lontane da quella di Vitoria, quanto
mocratico) e carrolico (all'interno del comandamento
a presupposti storici, teorici e politici: si pensi solo al fato
dell'amore per il prossimo, e come specificazione del to che oggi esistono istituzioni internazionali che in linea
quinto comandamento) di giudicare la minaccia della teorica sollevano gli arrori politici dall'obbligo di essere
guerra nucleare, di delineare le condizioni che rendono giudici in causa propria. Ma, anche se la storia le ha rese
moralmente legittimo ricorrere alla guerra e di determi- più smaliziate, alle teorie della guerra giusta sono imma-
nare (e limitare) che cosa sia lecito nello svolgimento di nenti due rischi, interni anche al pensiero di Vitoria.
questa; guerra giusta, infme, è anche quella, più propria-
mente defmibile 'legale', che si svolge su mandato del· ,. M. Wa..lttr, CUet'Tr gius/~ ~ tng'us/~. Un dISCOrso mO"lk con
l'Onu, quando ne occorrono le condizioni (autodifesa di ~U11lplifi..C8v.'oni s/'!rU:!'~ (19n). Napoli, Liguori, 1990; sulla piena
uno Stato aggredito, o intervento umanitario). In gene- rongnllta ~ .Virana ns~to alla posizi~ della Chiesa sulla guerra
gIUsta, ~ di Pio xn sulla guern. atomica, dr. Urdanoz ln,rodua:i6" Il
rale, la ripresa della tematica della guerra giusta sta a in- /o R~kcri6". s~gund4, in OhriU, cit., pp. 727·810: nO-757; si veda ano
dicare che non è più legirtimatala guerra come diritto di ch~ ~/«h1~11tO della Chiesa Ca//olica, Città del Vaticano, Libreria
sovranità, come naturale espressione sulla scena interna- Edunce Vatlc~na, J 99~, ai punti 2302·2317; sulle problematiche in.
lerne alla t~(>na cattohca della guerra giusta dr. Minois. La Chiesa e
zionale della potenza politica degli rati; e che la guerra ltJ guerra, CIl., pp..:S37-591.
- in età nucleare - è di farro quasi del rutto illegittima, e '2 Un eso:nPio ~ queste contnlddizioni è dato da M. 19natieff,

in ogni caso deve essere considerata un'eccezione, e ve- The .'essn EVIl Pollttcal E/hiCI In 1m Age 0/ T~" Edinburgh Uni.
verslry Press, 2004.

Lll
Llli
li primo dei quali è di restare al di qua di una efficace orbis; nelle sue pagine risuona l'invito alla moderazione,
comprensione della guerra: infatti, per quanto sia coe- unito alla preoccupazione che tutte le potenze bdlige·
rente. generOSO e per certi versi lungimirante il tentati~o ranti reputino in buona fede di essere nel giusto; ma que-
vitoriano di teorizzare la guerra giusta, e per quanto sia sti segnali di acutezza intellettuale e di spirito pruden-
anche 'concreto' cioè inserito nelle logicbe politicbe del ziale non bastano a far sì cbe la sua teoria della guerra giu-
suo tempo, la pr~cupazione di a~c~lare un gi~?izio sta, come in fondo ogni altra, non rischi di trasformare la
sulla guerra subordrna fatalmente a se l eSigenza (pIU Ull~ «pace dinamica» in una «polizia perpetua»".
le ai fmi della pace) di comprendere le cause strutturali Così, l'assunto centrale della teoria della guerra giu-
della guerra, i suoi rapporti - in tutta la compl~ità del sta - di Vitoria, ma anche di quelle più vicine a noi nel
loro articolarsi - con le condizioni sociali e con I SlstemJ tempo-, owero che sia possibile ancbe se non facile giu-
politici ed economici. E assume, q~di, ~a connota- stificare il male (la guerra), nonnarlo e limitarlo, a fm di
zione astratta, solo morale, cbe rende difficile fame le ba- bene, cioè di pace, corre il rischio di non risultare quello
si per un ordine giuridico concreto e~ efficace. . che vuole essere, cioè un discorso critico sulla guerra, e
Un altro limite, opposto, delle teone della guerra gIU- di rovesciarsi invece nell'opposto. ossia di essere attrat·
sta consiste invece proprio Dd fatto che possono essere, ta nella logica della potenza politica e di rivelarsi infine
appunto come pensiero morale, fin trop~ attive politi- un discorso della guerra, un'ennesima giustificazione
camente; che cioè possono mtrodurre nell o~dme m(~r­ dell'antica schiavitù del conflitto annato, una funzione
nazionale forti elementi di instabilità, propno a pamre di autoleginimazione interna - per di più. inconsapevol-
dall'idea che esista una giustizia oggettiva, oggi odIa for- mente - al nicbilismo occidentale, ormai planetario.
ma dei diritti umani da rispettare, le cui violazioni vanno Quindi, anche per chi è insoddisfatto delle tautolo·
automaticamente perseguite. Una simile idea, infatti, gie del 'realismo' politico, e per cbi all'opposto vede
consente a rigore una guerra non solo difensiva, ma ano l'interpretazione giuridico-universalistica delle rdazio·
che offensiva, come guerra umanitaria o anche come ni internazionali sempre più largamente smentita daJ
guerra preventiva (bencbé quest'ultima fattispecie non corso dei fatti, la dottrina della guerra giusta non può
sia presente in Vitoria, il quale non ac~et~a che vengano essere che un complemento - e non un momento cen-
puniti i torti prima cbe vengano cOmpl~lI: DIB IV, II, I). trale - nello sforzo di pensare la guerra: cioè può espri-
Si dirà cbe oggi la difesa della glUstlzta e affidata, almeno mere la tensione a condannare la guerra, a lirnitarne gli
in teoria non ai singoli Stati ma ad un'istituzione supe, orrori, ma è anche. aJ tempo stesso, una dimostrazione
partes c~me l'Onu, il cui obiettivo è garantire sia i ~tti di quanto profondamente le istanze giuridicbe e mora-
umani sia le sovranità statuali; ma sono le stesse lOgIche li di pace siano, loro malgrado, esse stesse esposte alla
della guerra giusta a non escludere il rischio cbe una po-
tenza preponderante si senta legittimata a punire le offe- " D, Zolo, l rignori ddla paa. Una cn/iC/J d~l glabalirmo giun"Ji·
se alla giustizia ovunque nel mondo si p~esent1no. V,ltO- co, Roma, Carocci, 1998; Id., Chi dic~ umam~à. Gue"a, dinì/o ~ ardi·
ria teorizza, è vero, l'impossibilità che esLSta un dommus ne globale, Torino, Einaudi, 2000.

uv LV
guerra, polemiche e polemogene. L'idea - largamente
condivisibile - che sia moralmente doveroso razionaliz- ota al testo
zare e pacificare la politica internazionale, e accedere a
forme di cooperazione fra le nazioni, non può coinci-
dere, oggi, con la teoria della guerra giusta; semmai, il
compito che ci attende è considerare la giustizia, più
che come metro oggettivo della guerra giusta, come
processo di emancipazione reale dell'umanità dalle in-
giustizie che costituiscono la trama ddJe rdazioni inter-
nazionali: un processo che si fonda sulla comprensione
della storia e dci contesti concreti più che sull'a prion°
della giustizia; un processo, infIDe, al quale può a volte
non essere estranea la violenza, legittimata, però, più
che da astratte istanze morali, da puntuali esigenze con- otizie sulla vicenda testuale di DIB sono in L. Pereiia
tingenti. E~tudlO prelimil1ar La tesis de la paz dil1amica, in F. d~
Eppure, Vitoria parla anche a noi, il che lo rende un Vltor:a, Relectio de iure belli, o Paz dil1amica. Escuela
classico. E non solo per il suo ruolo intellettualmente Es[!al1ola de la Paz. Primera gel1eraciol1, a cura di L. Pe-
cruciale agli inizi della modernità e per la forza dd suo ri- rena, V. Abril, C. Baaero, A. Garda, F. Maseda, Ma-
torno nd momento dd declino di questa, ma anche per drid, Conselo Supenor de Investigaciones Cientifìcas
il suo senso ddJa realtà, che gli consente di spalancare 1981', pp. 29-94: 81-94. '
una finestra, che ci riguarda da vicino, su guerre di po- Le Relectiones sono circolate manoscritte fino alla
poli accecati, su principi ingannati dalle proprie ideolo- prima ~dizione 1a.tina, a cura di]. Boyer, Lione, 1557; a
gie, e su cattivi consiglieri che non voglioDo o nOD sanno questa e seguJta, m fone concorrenza l'edizione a cura
capire le ragioni dd giusto e dd tono. Inoltre, la serietà di A. Muiioz, Salamanca 1565. '
delle sue teorizzazioni - soprattutto. che non esiste un . Dopo alcune edizioni dd xvn
e dd xvmsecolo, non
dominus orbis. e che le genti non possono avere altra tu· lI1nO~~tlVe, nel XX secolo la prima edizione critica-a lun.
tela che se stesse - è quanto meno di monito a chi. oggi, go utilizzata, soprattuno in ambiro anglofnno - delle due
si investe del compito di esercitare la guerra giusta, per- Re!ecltOl1es, Dell1dis e DIB, appare nd 1917 nei Classics
chéin ogni caso valuti il peso e lacogenza delle dure con- olIl1tematiol1al Law (Washington, Camegie Institution
dizioni (di rigore morale, di buona fede, di coerenza, di ~ 917), con Introductiol1 di E. ys (pp. 9-53 l; il testo latin~
moderazione) che questa impone ai vinti ma anche ai c procurato da H. F. Wright (DIB si legge alle pp. 268-297)
vincitori, agli 'ingiusti' ma anche ai 'giusti'. e la traduzione inglese da].P Bate (pp. 163-187)1. '

. I Altre infIUttlci induzioni ingJesi sono qudJ~ d.iJ.B. Scott, TiN


Spamrh eonupllOn ollnl"'lal,onal uw. Francisco d~ V,/onQ tlnd hir

LVII
Discussa e poco utilizzata è invece l'edizione critica 1997,2 voli., con un saggio introduttivo di U. Horst Le-
complessiva di L.G.A. Getino, Relecaimes leologicos ben und Werke Francisco de Vilorias, pp. 13-99 (le ~tre
del maeSiro fra, Francisco de Viloria, Madrid, Asocia- RelecllOnes sono tralte dall'edizione Urdanoz 1960).
cion Francisco de Viroria 1933-1935,3 voli. ,. S, traduce da questa edizione, seguendone le lezioni,
DIB - in un testo critico nuovamente stabilito, con I tnterpunZJone e ~uasj sempre gli'a capo', e correggen-
traduzione spagnola - si legge poi alle pp. 811-858 di do alcune.mende. tipografiche; le parentesi acute e gli al-
Obras de Francisco de Viloria. Relecciones teologicos, a tn segm diaCfltlCI- presenti nel testo latino ma non nel-
cura di T. Urdanoz, Madrid, Biblioteca de Aurores Cri- la traduzione, sulJ'esempio dell'edizione ;edesca _ se-
srianos, 1960. gnalano le presumibili integrazioni (autorizzate dal Mae-
Buona anche l'edizione di Leçons sur les Indiens el s~ro) .di dis~epoli di Vitoria, o le divergenze tra i testi ori-
sur le droil de guerre, a cura di M. Barbier, Genève, Li- ginali, o le mtegrazioni dei curatori.
brairie Droz, 1966. Per le note si è fatto riferimento alle edizioni Pereiia
Infme, DIB ha trovato la sua fonna per ora definiti- 1981 e Horst-]ustenhoven-Stiiben 1997, semplificando
va in F. de Viroria, Releclio de iure belli, o Pax dinamico. moltissimo, e integrando qualche dato mancante.
Escuela Espanola de la Pax. Primera generacion, a cura La sigla PL seguita da un numero indica i volumi del-
cU L. Perciia, V. Abril, C Baciero, A. Garcia, F. Mase- la Palrologia Lalina curata daJ.-P Migne; si aggiunge la
da, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Cien- menzIOne delle colonne a cui si riferisce il brano citato.
tificas, 1981' (prima ed. 1967); è una ecUzione critica
nuova, con apparato di note e traduzione spagnola, che CG.
tiene conto tanto dei due cOcUci (di Palencia e di Valen-
cia) che tramandano DIB quanro delle due ecUzioni a
stampa cinquecentesche.
DalI'edizionePereiia 1%7-1981,coo la correzione di
alcune sviste o lezioni dubbie, è tratto infine il testo lati-
no (a cui si affianca la traduziooe tedesca) di De Indi< e
cU DIB (quest'u1timosi legge alle pp. 542-605 del vol.lI),
raccolto in Francisco de Vitoria, Vorlerungen. V6lker-
rechi, Poli/ik, Kirche, a cura di U. Horst, H.-G.]usteo-
hoven, J. tiiben, Stuttgart-Berlin-K6ln, Kohlhammer,

uw o/NQtions, Oxford-London, Clarendon.Mulford, 1934, e j Poli·


tical W,ittngs, a cura di A. Pagden e J. Lawrance, Cambridge.New
York, Cambridge UniversilY Press, 1991 (trad. di sette delle tredici
Rd«aonn).

Lvm
De i ure belli
Praeludiurn Premes a

Quia possessio et occupatio provinciarum illarum bar- Poiché il possesso e l'occupazione delle terre dei barbari
bara rum. quos Indos vacant, videntur tandem maxime chiamatiIndiani sembrano dopo tutto poter essere legit.
iure belli posse defendi, ideo postquam in prima relec· tlmatl pnmanamente sulla base del diritto di guerra, mi è
tione disputavi late de tirulis, quos Hispani possunt parso opponuno - dopo che nella prima dissenazione ho
praetendere ad alias provincias, sive iustis, si~e iniusus, discusso ampiamente i titoli, giusti e ingiusti, in base ai
visum est de iuce belli brevem utique disputatlonem ha- quali gli Spagnoli possono pretendere quelle terre _ trat.
bere, ut superior relectio absolutior videatur. Sed quia lare brevemente il dirino cfj guerra, per dare maggiore
temporis angustia compressi non poterirnus hic tracta- completezza alla precedente dissertazione. Ma poiché
re amnia, quae in hac materia dispurari possent, ideo per ristrettezza di tempo non potremo in questa sede par.
non licuit extendere calamum pro amplitudine et di· lare di tutto ciò di cui su questo argomento si può trana.
gnitate materiae, ideoque salurn dicemus, quanturn re, non ci è stato possibile estendere il lavoro quanto sa.
temporis brevitas patieeur. !taque salurn norabo propo- rebbe stato richiesto dall'ampiezza e dall'imponanza del-
siriones in hac materia cum brevissimis probationibus l'argomento e della materia; perciò parleremo solo quan-
abstinens me a multis dubiis, quae hac disputatione lO lo consentirà la !imitatezza del tempo'. E così mi !imi.
conferei possent. terò soltanto ad annotare le mie tesi su questa materia
con dimostrazioni brevissime, e mi asterrò da molti dub~
bi che potrebbero essere avanzati in questa discussione.
Tractabo autem quatuor quaestiones: Tratterò, in ogni caso, quattro questioni:
Prima an omnino Christianis siI /icitum be/la gerere. La prima, se in generale sia leci/oai Cristlamfare lo guerra.
Secunda, apud quem sii iusta Due/ori/as oul gerendi aut La seconda, chi abbia l'auton"tà di condu"e o di di-
indicendi bel/um. chiarare la gue"o.
2 J
Tenia, quae possint el debeant esse C/Jusae iuSli bel/i. La terza, quali possano e debbano essere le C/Juse di una
guerra giusta.
Quarta, quid et quantum liceol aristionis contra suos La quarta, che cosa ai Cristiani sia ledto fare, e in qua·
hosles. le misura, contro i nemici.
Hae eront quaestiones principales. Saranno queste le questioni principali.
QuaesLio prim.. Prima quesLione
An omnino Christianis e in generale ia lecito
sit licitum bella gerere ai Cristiani fare la guerra

l. <Exponirur sensus huius quaestionis.> l. Si espone il senso della questione.


2. LiceI Christianis militare el bella gerere. 2. Ai Cristiani è lecito l'esercizio delle armi, e fare la guerra.

I. Qu:mrum ad primam posset videri, quod omnino I. Per quanto riguarda la prima questione, potrebbe
bella smt mterdicta Christianis. Prohibitum enim vide- sembrare che le guerre siano del tutto interdelle ai Cri-
tur elS se defendere, iuxta illud: Non vos defendentes, ca- stiani. Infatti, ad essi sembra sia proibito difendersi, se-
TlSstmt, sed date /ocum irae (Rom 12,19). Et Dominus in condo il dellO di Paolo (Rom 12,19): «non vendicatevi,
eva.n~elio: Si quis te percusserit in Ul10m maxi!lam~ proe- carissimi, ma lasciate che agisca la collera divina». E il
be dII el a/teram. Et in eodem capite: Ego aulem dico va- Signore nel Vangelo dice: «se qualcuno ti percuote nel-
b~s non resistere ma/o. Et: Omnes, qui occeperint g/o- la guancia destra, porgigli anche )'altra», e nello stesso
dtum, gladio penbunl. capitolo: «io vi dico: non resistete al male» (Mt5, 39); e
inoltre: «tutti quelli che ptendetarmo la spada periran-
no di spada» (MI 26, 52).
Ad hoc satis videtur responderi, quod omnia hacc Sembra sufficiente rispondere che lUtti questi non so-
sunt in consillo, non autero in praecepto. Satis enim ma- no comandamenti ma esortazioni. È infatti già abbastan-
za disdicevole che tulle le guerre intraprese dai Cristiani
gnu~ ~conveniens est, si bella omnia, quae a Christianis
siano contrarie alle esonazioni di Cristo redentore.
SUSClplUntur, ~int Contra consilium Christi redemptoris.
Comunque sia,l'opinione di tutti i dottori è contra·
In COntraCium tamen est sententia omnium docto.
ria, e così anche la consuetudine delia Chiesa universale.
rum et usus in universali ecclesia receptus. Omnes enim Tutti infatti dimostrano in molteplici circostanze che la
demonsrrant in muJtis casibus esse licita bella.
guerra è lecita.

6 7
. Pro qua~tionjsexplicatione notandum, quod licet Per chiarire la questione si deve notare che, mentre
ltlter ca~o.li~os s~tlS conveniae de hac re. Lurnerus ta- fra i cattolici c'è consenso al riguardo. nondimeno Lu·
~en, ~w nihil rcliquit incontaminatum, negar Chrisria- tero _ che corrompe tutto - nega che ai Cristiani sia le·
ms e.nam ~dve~us Turcas licere arma sumere, innixus cito prendere le armi, anche contro i Turchi; egli si fon-
t~~ ~ loclS sc~pturae supra positis, tum etiam, quia di- da sui passi della Scrittura sopra citati e inolrre dice: «se
Cit. ,SI ~urca.e Invadan! chrir/i(Jnitatem~ ilio est va/untas i Turchi fanno guerra alla cristianità è questa la volontà
D~I) ,CUI rerzs/ere non "~et. In qua [amen re non ira po_ di Dio, a cui non si può resistere»I , Ma su questo pun·
[un ~mp~~ere Gem:ams hominibus ad arma paratis si- lO non è stato in grado di farsi obbedire, come invece gli
cut In. allis dogmatlbus. Et quidem Tertullianus non è riuscito per le altre sue opinioni, dai tedeschi, uomini
adeo Vldeturabhorrere han c sententiam. Nam in libro pronti alle armi. Anche Tertulliano sembra non ripu-
f?e corona ,!UllllS dlsputat, ao in [mum Christianis mili- diare questa opinione, dato che nel suo libro De corono
tla convenJat. Et tandem profecto in iIIa opinione vide- militis si chiede se il servizio militase si adatti in gene-
rale ai cristiani'. E in definitiva sembra persistere nella
tur pe~erare, ut C~ristiano militare interdictum pu-
tet, CUI, rnqult, nec llllgare qurdem liceat.
tesi che esso sia vietato al cristiano, al quale, dice, «Ilon
è lecito neppure portare qualcuno in giudizio».
2. Ma, lasciate da parte le opinioni altrui, la mia rispo-
2. Sed relictis extraneis opinionibus respondetur ad
sta alla questione sta in questa sola conclusione: ai Cri·
qua~~on.em per urucam conclusionem taJem: LiceI
stiani è ledto prestare servizio militare, e fare la gue"a,
Chmtloms militare et bello gerere.
Questa conclusione è dimostrata da Agostino, in
. Probatur haec conclusio ex Augustino in multis 10-
molti passi. Infatti, egli ne offre una brillante dimostra-
CIS. Nam et Contro Foustum et Libro LXXXIII quoestio-
zione in Contra Faustum, nel Liber LXXXIII quaestio-
num et De verbis Domini et 22 Contra Manichaeos et in num, in De verbis Domini, e ancora in Contra Mani·
sermone De puero centurionis et in epistola Ad Bom/a- chaeos (libro 22), nel sermone De puero centurionis e
ctum hanc conclusionem diserte adstruiL
nella lettera a Bonifacio'.
E questa conclusione è dimostrata, come appunto fa
Et probatur, ut probat Augustinus, ex verbis Ioannis Agostino, a partire dalle parole di Giovanni Battista ai
b.ar ustae : :v.eml~em con~tiatis, nemin; iniuriam feceri. soldati: «non fate violenza ad alcuno, non fate ingiusti-
tlS. Ergo st, IJlqwt Augustlnus, Christiana disciplina om- zie ad alcuno» (Le 3, 14). Quindi, dice Agostino, «se la
ntnO bello eulporet, hoc potius comilium solutis petentl' dottrina cristiana condannasse completamente le guer·
bus '~ evangellO daretur, ut abicerent arma seque mllitiae re, il Vangelo darebbe, a coloro che lo richiedono per la
ommn~ s~btraherent, Dictum est autem cis: 'Neminem propria salvezza, il consiglio di abbandonare le armi e
concutlatls) contenti estote stipcndiis vestris!', di sottrarsi del tutto alla vita militare. Al contrario, si di·
ce loro 'non fate violenza ad alcuno, e accontentatevi
delle vostre paghe'»4.

8 9
Secundo probatur ratione sancti Thomae II-II, q. 40, In secondo luogo, quella conclusione è dimostrabil~
a. 1: Licet uti armis et stringere gladium adversus male- secondo l'asgomento di san Tommaso (Ila lIae, 2<.L' I): e
factores et seditiosos cives et interiores, secundum illud: lecito impugnare la spada e usare le arrm contro I delin-
Non sine causa gladium portato Minister enim Dei est quenti e icittadini sediziosi all'interno, sulla base del det-
vindex in iram el: qui male agito Ergo etiam licet uti gla· lodi Paolo (Rom 13,4) «l'autorità pubblica non per nul:
dio et armis adversus hostes exteriores. Unde principi- la potta la spada: essendo minima di Dio punisce chi
bus dictum est in psalmo (82, 4): Eripite pallperem el opera il male». Quindi è an~he lecito servl:-'~ della spada
egenum de manu peccatoris liberale. e delle armi contro i nemici esternI. PerelO e stato detto
ai principi nei Salmi (82, 4) «salvate il povero e il mendi-
co e sottraerdi alle mani degli iniqui»,
Tertioin legenaturae hoclicuit, ut patet deAbraham, ,In terzo luogo, la guerra fu lecita nella legge di natu-
qui pugnavit contra quatuor reges (Cen 14, l-17).ltem ra come dimostra Abramo che combatté contro qual-
in lege scripta, ut patet de David et de Machabaeis. Sed tr~ re (Cen 14, 1-17); e anche nella legge delle Scrittu-
lex evangelica nihil imerdicit, quod iure naturali licitum re come dimostrano Davide e i Maccabei. Ma la legge
sit, ut sanctus Thomas eleganter tradit l-II, q. 107, a.ulL dd Vangelo non vieta nulla che sia ammesso dalla legge
Unde etiam dicitur lex liberlali< (lac l, 25 et 2, 12). Ergo naturale, come spiega con eleganza To~maso ~Ia llae,
quod licebat in lege naturae et scripta, non minus licet in cvn ultimo articolo); è per questo che e deftruta «leg-
lege evangelica. Et quia de bello defensivo revocati in ge deÌJa libertà» (lac 1,25 e 2, 12). Quindi ~iò che era
dubium non potest, quia vim vi repellere licet (ff. De ill- lecito nella legge naturale e nella legge sc:ltta ~ leCito an:
sti/ia et iure, l. Ut vim). che nella legge evangelica. E, inoltre, e lecito perch~
non si può dubitare della guerra dif~nsiva, dato che «e
lecito respingere la violenza con la vIOlenza» (D,g. I, l,
3: De iustitia et iure, legge Ut vim).
Quarto etiam probatur de bello offensivo, id est in In quarto luogo, ciò si può dimostrare vero anche a
qua non solum offenduntur, sed ubi petitur vindicta proposito della guerra offensiva, cioè di quella guerra
pro iniuria accepta. Probarur auctontate Augustini Li- nella quale non soltanto si subisce offesa, ma SI perse-
bro LX.XX111 quaeSlionllm et habetur capite Dominlls gue anche la punizione ,di un'~~fesa. in prece.denza n,ce-
(23, q. 2): Iusta bella solent definir;, quae IIlcisCl/ntllr vuta. Lo dimostra I autonta dI Agostmo (L,ber
iniurias, si genI vei civitas p/ec/endo est, quae ve! vindi- LXXXIII qllaestionum), e il canone Dominlls: «si è ~li­
care neglexit, qllod a suis improbe factllm est, vel redde- ti defmire 'giuste'le guerre che vendican? ~e IngtUStlZle,
re. quod per iniuriam ablatum est. come quando si deve imp~rtire una pun~zlone a ~n po-
polo o a una città che abbIano omesso di pe,:,egulfe un
atto ingiusto dei propri concittadini o dI restitUIre qual-
cosa ingiustamente sottratto»'.

IO Il
Quinto probatur etiam de bello offensivo, quia bel. In quinto luogo, che anche la guerra offensiva sia le·
lum etiam defensivum geri commode non potest, nisi cita è dimostrato dal fano che neppure la guerra difen·
etiam vindieerur in bostes, qui iniuriam iam feceront siva può essere condotta convenientemente se al con-
aut conati sunt facere. Fierent enlm hostes audaciores tempo non si puniscono i nemici che hanno arrecato of-
ad iterum invadendum, nisi timore poe.nae dererreren. fesa, o che l'hanno tentata. Se infani non fossero distol·
tue ab iniuria. ti dal recare nuovamente offesa dal timore di una puni-
zione, i nemici diventerebbero sempre più baldanzosi e
propensi ad un nuovo attacco.
Sexto probarur, quia finis belli est pax et securitas rei lo sesto luogo, lo dimostra il fano che il fme della
publicae et <Augustinus inquit De verbi, Domini et Ad guerra sono la pace e la sicurezza della comunità politi-
Bomfocium. Sed non potest esse securitas in re publi. ca, come afferma Agostino (De verbis Domini; Epistula
ca,> nisi hostes coerceantur ab iniuria metu belli. Esser ad Bomfadu",r). Ma non ci può essere sicurezza in una
enim amnino iniqua condicio belli, si hostibus inva- comunità politica se i nemici non sono costretti, dalla
dentibus iniuste rem publicam solum liceret rei publi. paura della guerra, a non recare offesa. Sarebbe infatti
cae avertere hostes nec posser ulterius persequi. una condizione di guerra del turto iniqua per una co-
munità politica ingiustamente invasa dai nemici, se le
fosse lecito soltanto respingerli e non potesse prosegui·
re ulteriormente le ostilità.
Septimo probatur ex fIne et bono totius orbis. Pror. La settima dimostrazione deriva dalla fInalità, e dal
sus enim orbis consistere in felici sratu non posser, im- bene di tutto il mondo. lnfani, il mondo non potrebbe
m~ esser rerum omnium pessima condicio, si lycanni avere alcuna condizione di felicità - e anzi ogni cosa si
qUldem et latrones et raprores possent impune iniurias troverebbe in gravissima condizione - se proprio i ti-
facere et opprimere bonos et innocentes nec licerer vi. ranni, i briganti, i saccheggiatori, potessero impune-
cissim innocentibus animadvenere nocenres. mente arrecare le proprie offese e opprimere i buoni e
gli innocenti, e non fosse lecito a questi prendere a loro
volta misure contro quelli.
Ultimo probatuc, quia. ut saepe dicrum est, in mora- Infine, l'ultima dimostrazione deriva dal fatto che
libus potissimum argurnentum est exemplurn sancto- - come spesso si è detto - in ambito morale una prova
:um et bonorurn. Sed fuerunt multi taJes, qui non salurn importantissima è data dall'autorità e dagli esempi di
In. bello defensivo tutati sum patriam resque suas, sed uomini santi e buoni. Ma appunro molti di questi non
etIam bello offensivo prosecuti sum iniurias ab hostibus solo hanno difeso la propria patria e i propri beni con
acceptas vel et.iam anematas, ut pater de Ionalha et Si- una guerra difensiva, ma hanno anche perseguito con
una guerra offensiva i torti ricevuti o tentati dai nemici,
come appare chiaro da Gionata e Simone (l Moch 9, 38)

12 13
mone l Mac 9, qui vindicaverunt mortem Ioannis fra- che vendicarono la morte di Giovanni loro fratello con-
tris sui comra filios Iambri. Et in ecclesia Christiana pa- tro i figli di Jambri. La Chiesa cristiana lo dimostra con
tet de Constantino Magno et Theodosio Maiore et allis Costantino il Grande, con Teodosio I, e con altri famo-
c1arissimis et christianissimis imperatoribus qui multa
J
sissimi e cristianissimi imperatori, che condussero mol-
bella utriusque generis gesserunt cum haberem a con-
J
le guerre di entrambi i tipi, avendo nei propri consigli
siliis doctissimos et sanctissimos episcopos. Ergo non vescovi santissimi e dottissimi. Quindi non si può dubi·
est dubitandum de conclusione. tare di questa conclusione.
Quaest..io sccunda Seconda questione

Apud quern sit iusta auctoritas Chi abbia l'autorità eli fare
ineliceneli ve] gereneli bellurn o eli elichiarare la guerra

l. BelIum defensivum quilibet polest suscipere, etiam ho. 1. Chiunque può intraprendere una guerra difensiva, anche
mo privatus. un privato.
2. Quadiber res publica haber auctoritatem indicendi et in- 2. Ogni comunità politica ha l'aucorirà di dichiarare e di
ferendi bellum. condurre la guerra.
J. Eandem auctoritatem habent quantum ad hoc principes J. I principi hanno a questo riguardo la medesima autorità
sicm res publica. che ha una comunità politica.

l. Pro qua sit prima propositio: Bellum defensivum qui- l. Su tale questione la prima tesi è la seguente: chiunque
/jbel polest susa"pere, etiam homo pn·vatus. può intraprendere una guerra dIfensiva, anche un privato.
Haec patet. aro vim vi repellere licet (ff. ubi supra). Ciò è evidente: infatti, «è lecito respingere la violen-
Unde hoc beI1um quilibet potest gerere sine aUCloritate za con la violenza» (Vig. I, 1,3). Pertanto, chiunque può
cuiuscumque alterius, non solurn pro defensione pro- condurre una guerra siffalla, senza avere bisogno del-
priae personae, sed etiam bonorurn suorurn. l'autorizzazione di chicchessia, per difendere non solo
la propria persona, ma anche i propri beni.
. Sed circa istam conclusionem dubitatur primo, an A proposito di questa conclusione nasce tuttavia un
lflvasus a latrone aut inimico possit repercutere invaso- primo dubbio, se cioè colui che è aggredito da un bri-
rem, si posset fugiendo evadere. gante o da un nemico possa colpire l'aggressore anche
se potrebbe invece salvarsi con la fuga.
Et archiepiscopus quidem respondet, quod non, I.: Arcivescovo' lo nega, e afferma che questo com-
quia iam non est defensio cum moderamine incul- portamento difensivo non rientra nei limiti della legitti-
patae tutelae. Quilibet enim tenetur se defendere , ma difesa. Ciascuno infatti è tenuto a difendersi recano
quantum potuerit, cum minimo detrimento invasoris. do per quantn è possibile il minor danno all'aggressore.
16 17
Si ergo. resistendo oportet aut occidere aut graviter vuJ- Se quindi per resistergli deve ucciderlo o ferirlo grave-
nera~e mvasorem, potest autem se liberare fugiendo, er- mente, mentre potrebbe aver scampo nella fuga, questa
go VIdetur, quod teneatur. Sed Panormitanus, c. O/im, opzione pare obbligatoria. Ma il Panormitano" (cap.
De res/ilulione rpo/iatorum, distingui t: Si enim invasus Olim, De restitutione spoliatorum) distingue: se l'aggre-
magnum dedecus subiret fugiendo, non tenetur fugere, dito subisse un grande disonore col fuggire, allora non
sed potest repercutiendo iniuriam repellere. Si enim vi è obbligato, e può respingere l'offesa restituendo il
non faceret iacturam famae aut honoris, ut monachus colpo. Se invece l'aggredito non macchi~. ~on la fuga il
ve1 ruscicus invasus a nobili et foni viro, tenetur fugere. proprio nome o il propno onore - com e il caso di un
monaco o di un contadino assalito da un uomo nobile e
forte - allora è tenuto a fuggire.
Banolus autem in lege prima ff., De poenis, et in le- Barrolo (commento alla prima legge De poenis; alla
ge Furem, De sicariis, indistincte tenet, quod licet se de- legge Furem, De sieariis) affenna però che in ogni caso
fendere nec tenetur fugere, quia fuga est iniuria (llem è lecito difendersi, e che non si è obbligari a fuggire, POI-
apud Labeonem ff., De iniu'lis). Si autem pro rerum de- ché la fuga è essa stessa un ingiusto danno (ltem apud
fensione lidtum est armis resistere, ut patet in dicto ca- lAbeonem, De iniuriisp. Ma se è lecito resistere con le
pite O/im et in capite Di/eclo. De senlenlia excommuni- armi ad un'aggressione contro i propri beni, com'è evi-
calionis, lib. 6, ~rgo multo magis pro iniuria corporali, dente (cap. Olim già citato; e anche cap. Dileeto, De sen-
quae multo ffialOr est quam rerum iactura (L In servo- tentia excommunicationis, VI)\ molto di più sarà lecito
rum, De poenis). Haec profecto potest probabiliter sa- resistere al fine di difendere se stessi da un danno per-
cis sustentari, maxirne cum iura avilla hoc concedant sonale, che è più grave di un danno alle cose (Dig. 48,
ut patet in dicta lege Furem. Auctoritate autem legis ne~ 19, lO: legge In servorum, De poenis). Questa opinione
ma peccat, quia leges dam ius in foro conscienciae. Un- può essere osservata con sufficiente sicurezza come am-
de si iure naturali non liceret occidere pro defensione missibile, sopratturto quando le leggi civili pennettono
rerum, videtur, quod iure civili faetum sit licitum. Et simili comportamenti (com'è evidente dalla citata legge
hoc revera viderur licere seduso scandalo non salurn Furem). Infatti, chi agisce secondo l'autorità della legge
laico, sed eciam clerico et religioso viro. . non pecca, poiché le leggi danno giustificazione nel fo-
ro della coscienza. Di conseguenza si mostra che, anche
se la legge di natura non consentisse di uccidere per di-
fendere la proprietà. questa uccisione sarebbe resa leCI-
ta dalle leggi civili. E senz'altro è permessa non soltan-
to ai laici ma - se non ne deriva scandalo - anche al chJe-
rici e agii uomini di religione.
2. Secunda propositio: Quaelibet res publiea babet aue- 2. Seconda tesi: ogni comunità politica ha l'autorità di di-
tO'l/atem indieendi et inferendi bellum. chiarare e di condu"e la guerra.
18 19
Pro probatione est notandum, quod diffetentia est Per dimostrare ciò è da notare che su questo punto c'è
quantum ad hoc inter horninem privatum et rem publi· differenza fra la persona privata e la comunità politica. In-
camo Quia privata persona habet quidem ius defenden· fatti il privato ha certo il diritto di difendere se stesso e i
di se et sua, ur dictum est. sed non habet ius vindicandi propri beni, come si è detto; ma non ha il diritto di vendi~
iniurias, immo nec repetundi ex intervallo temporis res care le offese e neppure di reclamare, dopo che è trascor·
ablatas. Sed defensio oportet, ut fiat in praesenti, quod so un certo lasso di tempo, le cose rubate. È necessario che
iurisconsulti dicunt in continenti. Unde transacta ne· la difesa venga fatta contro un pericolo in atto - ossia, co-
cessitate defensionis cessar causa belli. Credo (amen, me dicono i giuristi, in continenti'. Pertanto, una volta
quod per iniuriam percussus posset statim repercurere, passata la necessità della difesa, cessa anche, per un priva·
etiam si invasor non deberet ultra progredi. Sed ad vi- to, la causa di guerra. Credo però che colui che è stato in·
tandam ignom.iniam passero verbi gratia qui colaphum giustamente offeso possa restituire il colpo, sul momento,
accepit, gladio statim repercurere. non ad sumendam anche se l'aggressore non dovesse proseguire il suo attac-
vindictam, sed, ur dictum est, ad vitandam infamiam et co. Inoltre, per evitare la vergogna e il disonore, colui che,
ignominiam. ad esempio, ha ricevuto uno schiaffo può rispondere sul
momento con la spada, non per vendicarsi ma - come si è
appunto detto - per evitare infamia e disonore.
Sed res publica habet auctoritatem non solurn de- Ma la comunità politica ha l'autorità non solo di di-
fendendi se, sed etiam vindicandi se et suos. Et proba- fendersi, sì anche di vendicare sé e i propri cittadini. E
tur, guia, ur Aristoteles tradir 3 Politicorum, res publica ciò è dimostrato dal fatto che, come dice Aristotde (Po-
debet esse sibi sufficiens. Sed non posset sufficienter litica li), la comunità politica deve essere autosufficien·
servare bonum publicum. si non posset vindicare iniu· te. Ma non potrebbe adeguatamente salvaguardare il be-
riam et animadvertere in hostes. Fierent enim ipse ne pubblico se non potesse punire le offese e prendere
promptiores et audaciores ad inferendum maluro, si misure contro i nemici. I quali diventerebbero ancora
possent boe impune facere. Et ideo necessarium est ad più pronti al male e più audaci alle offese, se potessero
commodarn rerum moralium administrationem, ut agire impunemente. È quindi necessario, per un ade·
haec concedatur auetoritas rei publicae. guato governo delle faccende morali, che questa autorità
sia concessa alla comunità politica.
3. Tertia propositio: Eandem auctoritatem habent quan· 3. Terza tesi: I principi hanno a questo riguardo la mede-
tum ad hoc principes sicul res publica. sima autorità che ha una comunità politica
Haec est expresse Augustini (Contra Fauslum): Ordo, Questo è espressamente il parere di Agostino (Con·
inquit, naturaliJ paci accommodatus hoc poscit, ut susci· tra Faustum XXII, 75): egli afferma che <d'ordine natu-
piendi belli auctoritas atque consilium apud principes rito rale, destinato a produrre la pace fra gli uomini, richie-
de che l'autorità di fare la guerra, e la capacità di giudi·
care al riguardo, stiano od principe».

20 21
Et catione probatur, quia princeps non est nisi ex . E ciò è anche dimostrato dalla ragione, poiché un prin-
electione rei publicae. Ergo gerit vicem et auctoritatem CIpe rrae la propria origine solo da una scelta della comu-
illius. Immo iam ubi sunt legitimi principes, tota aucto- nità politica. E quindi fa le veci di quella, e agisce in nome
ritas residet circa ilIos, nec sine illis aliquid aut bello aut della sua autorità. Anzi, dove già ci sono principi legitti-
pace geri potest. mi, l'autorità si trova interamente presso di loro, né senza
di loro si può condurre alcun affare di guerra o di pace.
<Sed tota difficultas est, quid sit res publica et Ma tutta la difficoltà sta nella questione: che cosa sia
qui-s- proprie dicatur princeps.> Ad hoc breviter re- 'comunità politica', e chi ne possa essere detto propria-
spondetur, quod res publica proprie vocatur perfecta mente 'principe'. A ciò in breve si risponde che la co-
communitas. Sed hoc ipsum est dublUm, quae sU per- munità politica è propriamente defmita comunità per-
fecta communitas. fetta. Ma proprio questo è l'oggetto del dubbio, cioè
quale sia la comunità perfetta.
Pro quo notandum, quod perfectum est, cui nihi! A tal fine si noti che perfetto è ciò a cui nulla manca
deest, et imperfectum, cui aliquid deest; quod totum est e imperfetto ciò a cui manca qualcosa; poiché una tota~
pecfectum quid. Est ergo perfecta co~munitas aut res lità è qualcosa di perfetto. Quindi è una comunità politi-
publica, quae est per se unuro totum, m qua n~n est al- ca, o una comunità perfetta, quella che è in se stessa un'u-
terius rei publicae pars, sed quae habet propnas leges, nità e una totalità, ossia che non ha in sé alcuna parte di
proprium concilium et proprios magistratus, quale est un'altra comunità politica ma ha invece proprie leggi, un
regnum Castellae und Aragoniae et alli similes. proprio consiglio e proprie magistrature, come ad esem-
pio i regni di Castiglia e Aragona, e altri simili.
ec enim obstat, quin sint plures principatus et res E nulla asta a che esistano parecchi principati e co-
publicae perfecrae sub uno principe. Talis ~rgo res pu- munità politiche perfette SOtto un unico principe. Tali
blica aut princeps illius habet banc auctorltatem. Sed comunità politiche, o i loro principi, hanno l'autorità di
hoc ex ipso dubitari merito potest, an si plures huius- dichiarare la guerra. Ma a tale riguardo si può giusta-
modi res publicae habeant unum communem doml- mente avere i! dubbio se parecchie comunità politiche
nuro aut principem, an possint inferre bellum per se Sl- slffatte, che hanno un signore o un principe comune
ne auctoritate principis superioris. abbiano in se stesse il diritto di fare la guerra senza l'au~
torizzazione del principe superiore.
Ad quod respondetur, quod sine dubio possunt, ut E ~ispondo che certamente la possono fare, proprio
reges, qui sunt subiecti imperato,ri, pos~un~ ~vicem c?me I re, che sono soggetti all'Imperatore, possono far-
belligerare non exspectata auctorlt~te pnnclpl~ ~upe­ SI guerra tra loro, senza attendere l'autorizzazione del-
rioris, quia, ut dictum est, res publica debet slbl esse l'Lmperatore. Poiché, come si è già detto, una comunità
sufficiens nec tamen sufficeret sibi sioe ista libertate et politica deve essere sufficiente a se stessa, e, priva di ta-
facultate. le libertà e facoltà, non lo sarebbe.

22 23
Ex quibus sequitut, quod alli teguli seu ptinci~, Da ciò consegue che gli altri principi di rango mino-
qui non praesunt rei publicae, non possunt bellum m- re, ossia i principi che non sono a capo di una comunità
ferre aut gerere, quernadmodum dux A1banus aut co- politica, non possono dichiarare e condurre la guerra,
mes Beneventanus. Sunt enim panes regro Castellae et proprio come il duca d'Alba o il conte di Benevento. In-
per consequens non babent perfectas res publi~as, sed fatti, sono parte de! regno di Castiglia e di conseguenza
truncatas. Sed est notandum, quod curo haec smt ma- sono a capo di comunità politiche non perferre ma mao.
803 ex parre aut iure genti~ aut h~ano. c.onsuer~d? che. Ma si noti che, poiché questa materia è in gran par-
potest dare facultatem belli gerendl. Unde SI quae CtV!- te regolata o dal dirino delle genti o da un diritto uma-
ras aut princeps ohtinuit antiqua consuetudme 1US. ge~ no, la consuetudine può dare loro la facoltà di fare la
rendi per se be1lum, non est ei neganda haec auctorttas, guerra. E quindi, se una qualche città oppure un pelo.
etiam si alias non esser res publica perfecta. cipe hanno ottenuto per antica consuetudine il diritto
di condurre autonomamente la guerra. non deve essere
loro negata questa facoltà, anche se da altri punti di vi.
sta non costituiscono una comunità politica perfetta.
Item etiam necessitas hanc licentiam et auetoritatem Inoltre, anche lo stato di necessità potrebbe conce-
concedere posset. Si enim in eodem regno una civitas dere questo permesso e questa facoltà. Se infatti all'in-
aliam oppugoatet ve! aliquis ex ducibus <alium. du- terno dd medesimo regno una città ne assalisse un' altra,
cem> et rex negligeret aut non auderer vrndlcare ~~u· o uno dei duchi assalisse un altro duca, e il re trascuras-
rias illatas, posset civitas aut dux, qui passus es.t tmu- se di punire le aggressioni, o non osasse farlo, la città o il
riam non salurn se defendere, sed eriaro bellum mferre duca che hanno patito l'offesa potrebbero non solo di-
et a~imadvertere in hostes et malefactores et eriam ~c­ fendersi ma anche fare guerra e prendere misure cont.ro
cidere nisi defendere commode se posset. Non enJm i nemici e gli ingiusti offensori, e anche ucciderli, se non
hostes' abstinerent se ab iniuria, si illi. qui passi sunt fossero praticabili altre vie per difendersi. Infatti i nemi.
iniuriam contenti essent solum defendendo se. Qua ra- ci non desisterebbero dall'aggressione se coloro che ne
ciane co~ceditur eriaro privato homini, quod possit vin: sono vittime si limitassero a difendersi. Per lo stesso mo-
dicare inimicuro, si aliter non patet ei via se defendendl tivo è lecito anche ad un privato punire il nemico, se non
ab iniuria. ha un'altra via per difendersi da un'offesa.
Haec sinr satis de bac quaestione. E ciò basti, su questa questione.

24 25
Quaestio tertia Ter7..a quesùone

Quae po sit esse ratio Quali possano essere la ragione


et causa belli e la causa eli una guerra

l. Causa iusti belli non est diversitas religionis. 1. La differenza di religione non è causa di guerra giusta.
2. 00 est iusta causa belli amplificatio imperli. 2. L'ingrandimento del dominio politico non è giusta causa
di guerra.
3. Non est iusr.a causa belli gloria propria aut aliud com- 3. La gloria personale dd principe, o un altro suo vantag-
modum principis. gio, non è giusta causa di guerra.
4. Una sola est causa iusti belli, scilicet iniuria accepta. 4. Una soltanto è la causa di una guerra giusta, cioè aver ri-
cevuto un'offesa.
5. on quae1ibet et quanr.avis iniuria sufficit ad inferendum 5. Non un'offesa qualsiasi, né di qualsivoglia entità, è suffi-
bellum. ciente a dare inizio a una guerra.

Quae quaestio magis conducit ad hanc disputationem Tale questione tocca più da vicino la presente con-
barbarorum. troversia sui barbari.
1. Pro qua sit prima propositio: Causo iusti belli non est 1. A questo proposito, la prima tesi è questa: /o diffe-
diverritar religionis. ren1.ll di religione non è causa di gue"a giusta.
Haec probata est prol.ixe in proxima relectione, ubi Ciò è stato distesamente dimostrato nella preceden-
impugnamus quartum titulum, qui praetendi posset ad le dissertazione (De Indz:r), dove impugniamo il quarto
possessionern barbarorum, quia scilicet nolunt recipere titolo ID base al quale si potrebbe pretendere la conqui-
fidem Christianam. Et est sententia sancti Thomae II- sta dei barbari, che cioè non vogliono accogliere la fede
II, q. 66, a. 8 et sententia communis doctorum, et nescio cristiana. E questa è anche l'opinione di san Tommaso
aliquem, qui conrrarium sentiat. (Ilo Iloe, LXVI, 8), nonché opinione diffusa dei dotto-
ri; e non conosco chi pensi in modo contrario.

26 27
2. Secunda propositio: Non est iusta causa belli amplifi. 2. Seconda tesi: J.;ingrandimento del dominio politù:o
non è giusta causa di guerra
calia imperii. . .'
Et haec ex se notior est, quam ur probatlone mdl- Ciò è di per sé troppo noto perché ci sia bisogno di
geat, quia alias esser acque. lusta causa b:lli
~x utr~que dimostrarlo; in caso contrario, infatti, entrambi i con~
pane, et sic essent omnes LOnoc~tes. Mi~abile ~t. Ex tendenti avrebbero ugualmente una giusta causa di
qua iteruro sequitur. quod non licer ~cldere illos, et guerra, e così sarebbero tutti innocenti. Che cosa stu-
implicar eontradictionem, quod esser IUstum bellum et pefacente! E ne consegue poi che non sarebbe lecito uc-
non liceret occidere illos. cidere il nemico, il che implica contraddizione perché si
tratterebbe di una guerra giusta e al contempo non sa-
rebbe lecito uccidere i nemici.
3. Tertia propositio: ec etiam est iusta. causa belli gi<>- 3. Terza tesi: non è giusta causa di guerra neppure la gi<>-
ria propria aut aliud commodum prmaplS. ria personale del pn'ncipe, o un altro suo vantaggio.
Haec etiam patet. Nam princeps debet et bellum et Anche ciò è evidente: infatti il principe deve indiriz-
pacern ordinare ad bon~ commune rei publicae nec zare la guerra e la pace al bene comune della comunità
publicos redditus propna glorIa aut commodo erogare politica, e non può spendere le pubbliche entrate, e tan-
et multo minus cives suos penculis exponere. Hoc erum to meno esporre al pericolo i propri cilladini, per la pro-
interest imcr regem legitimum et ryrannum. aro ty- pria gloria e il proprio vantaggio. Infarti, questa è la dif-
rannus ordinar regimen ad proprium quaestu~ et (000- ferenza che intercorre fra un re legittimo e un tiranno:
modum, rex autem legitimus ad bonum publicum, ut questi orienta il governo al proprio guadagno e vantag-
tradit Aristoteles 4 Politicorum, c. lO. gio, mentre quello lo rivolge al pubblico bene, come di·
ce Aristotele (Politica IV, lO).
Itern habet auclOritatem a re publica. Ergo debet uti Inoltre, il principe trae la propria autorità dalla co-
illa auetoritate in bonum rei publicae. munità politica, e quindi deve servirsene per il bene di
questa.
Itern leges debent esse nullo privato commodo, sed Allo stesso modo, le leggi debbono essere infonnate
pro communi uwitate civi~m conscnp(ae~ ur habetu~ «non al vantaggio di alcun privato ma alla utilità comu-
d. 4, c. Erit autem lex (ex ISldoro). Ergo ellam lex bell, ne dei cilladini» (Isidoro, Etymologiae' , in Decretum
debet esse communi utilitate, et non propria pnnclpls. Cratiani II, 4, 2: Erit autem lex). Quindi anche la legge
della guerra deve essere rivolta all'utile comune, e non
a quello del principe.
!tem in hoc differunt liberi a servis, quia domini Inoltre. gli uomini liberi sono diversi dagli schiavi
utuntur servis ad propriam utilitatem et non ad perché i padroni si servono degli schiavi per l'utilità pro-
utilitatem servorum. Liberi autem sunt propter se pria e non per la loro; mentre invece gli uomini liberi non
solos, non propter alios. Unde quod principes abu· esistono per altri, ma per sé. Di conseguenza, che i prin-

28 29
tamur civibus cogendo eos militare et pecuniam in bel~ cipi abusino dei cittadini, costringendoli a prestare il ser-
lo conferre non pro publico bono, sed pro privato VIZl~ militare e a ~ontribuire con denaro alla guerra, non
commodo, est cives servos facere. per il bene pubblico ma per il loro vantaggio privato si-
gni1ìca che trasformano i cittadini in schiavi. '
4. Quarta propositio: Una solo C/Jusa iusli belli esi, scili- 4. Q~a~a tesi: una soltanto è la ClJusa di una gue"a giu+
cet iniuria accepta. slal ct.?e..aver ncevuto un'offesa.
Haec probatur primo ex auctoritate Augustini (li- . CIO e provato in primo luogo dall'autorità di Ago-
bro LXXX1Il quaeslionum) dicenris hoc manifeste. Et stino (Liber 1.J!-XX11I quaeslionum)2, che lo dice espres-
est determinatio sancri Thomae II-II, q. 40, a. 1 et om- samente. Ed e .Ia poSIZIone di san Tommaso (I/o lIae,
nium doctorum. XL, 1) e dI tUtti I dottori.
Et ratione probatur, quod bellum offensivum est ad E anche la ragione lo dimostra, perché la guerra of-
vindicandam iniuriam, ut dicrurn est. Se<! vindicra esse fenSIva, come SI è detto, è rivolta a vendicare le offese
non potest, ubi non praecessit iniuria. Ergo. Ma non può esserCI. ven d etta se pnrna
. non CI. sono sta~
.
le colpa e offesa. Pertanto, la tesi è dimostrata.
Item non maiorem auetoritatem habet princeps su· ln?ltre, ~ principe non ha sugli stranieri un'autorità
per extraneos quam supe:r suos. Sed in suos non pot~t maggIOre di quella che ha sui propri sudditi. Ma contro
gladium stringere, nisi faciant iniuriam - ergo neque In t Uesu n~n ~uò impugnare la spada, se non arrecano of~
esa. Q~~dl neppure lo può COntro gli stranieri.
exrraneos.
Et confirmatur, ut supra dicrurn est, ex Paulo (Rom E CtO ~ confermato da quanto in precedenza si è ri-
13,4) de principe: Non sine C/Jusa glodium porlal. Mim· portato di Paolo sul potere del principe (Rom 13, 4):
s/er enim Dei est vindex in iram ei qui male agito Ex qua .non per nulla porta la spada. Essendo ministro di Dio,
constat, quod adversus eos, qui nobis non nocent, non pUnIsce ch, opera il male». Da ciò risulta che non è le-
licet ita gladio uti su per eos, cum occidere innocentes CU? m;pu~are le ~~i COntro chi non ci arreca danno,
prohibirum sit iure naturali. Omitto autem, si fort I>OIche UCCIdere g~. mnocenti è proibito dalla legge na-
Deus aliud praeciperet; ipse enim est dominus vitae el lurale: TralaSCIO l'POlesi che Dio eventualmente co-
mortis er posset pro suo libito aliter disponere. mand, m modo speciale qualcosa d'altro; Egli è infatti
sIgnore della vita e della morte, e potrebbe a Suo arbi-
lno disporre altrimenti.
5. Quinta propositio: Non quaelibel el quanlavis iniurlO 5. Q~in.ta tesi:non un'offesa qualsiasi, né di qualsivoglùJ
sufficit ad inferendum bellum. entlt~: ~ su,/ficzente a dare inizio a una guerra.
Haec probatur, quia nec etiam in saeculares et CIO e dunostrato dal fatto che anche COntro i civili i
naturales et populares licet pro quacumque culpa connazionali e i citt~dini di condizione popolare, n~n
poenas atroces inferre, ut mortem aut ex~ium <~ut possono essere applicate per quaJsiasi colpa pene dure
confiscationem bonomm. Cum ergo quae m bello geo come la marre, "esilio e la confisca dei beni. E poiché
30 31
runtur omnia sint gravia et atrocia, ut caedes,> incen- luttO. ciò che si ~a ~ guerra è grave e duro _ stragi, in-
dia , v~tationes etc., <non licet pro levibus iniuriis bel- cendi, d~a..stazlont -) non è lecito perseguire COn la
lo pe.rsequi auctores iniuriarum,> quia iuxto mensurom guerra :"1e responsabile di offese lievi, dato che «la
delieli debel esse plagarum modus (DI 25, 2). sed se- modalita delle punizioni deve essere giustamente com-
cundum gravitatem delietorum. Ergo non pro qua- misurata al d~tto» (DI 25,2). ma lo si deve punire se-
cumque culpa ve! iniutia licer inferti bellum. condo la gravita della sua colpa. Quindi, non è lecito fa-
re la gu~r:a per punire ogni tipo di colpa o di offesa_
Et haec satis de ista quaestione_ E CIO e sufficiente per questa questione.
Quarta questione
Quaestio quarta
I parte
I pan;
Che cosa sia lecito in una guerra giusta,
Quid et quan~ liceat
e in quale mi ura
in bello IUstO

. f e necessaria sunt ad 1. In una guerra giusta è lecito fare tuttO ciò che è necessa-
l bello iusto licet aroma acere, qua . bI·· rio per il pubblico bene e la sua difesa.
1. n . d defensionem bom pu ICI.
bonum publicum et a rrutaS vd pre· 2. In una guerra giusta è lecito inoltre recuperare tutte le co-
bello iusto etiam licet recuperare res pe se sottratte, o il loro controvalore.
2. In
tium illarum. .' im nsam belli et om- 3. lo una guerra giusta è lecito rivalersi, sui beni dei nemi-
Licer occupare ex boOl~ ~osu~ pe ci, delle spese di guerra e di tutti i danni ingiustamente
3. nia damna ab hostibus tnlUste illata. arrecati dai nemici.
. . beIl' . uae sunt necessaria ad 4. li principe che conduce una guerra giusta può fare tutto ciò
4 Potest princeps IUSU I o.roma, q h ·b che è necessario per ottenere pace e sicurezza dai nemici.
. d et securllatem ex oso uso .
haben .u~ pac~.. b hostibus acceptam et pUnire S. È lecito punire il torto ricevuto dai nemici, e punirli per
5. Licet vtndicare U1Iodu~~~. offese di questo tipo.
illos pro huiu~m i Imuros. d bellum iustum sufficiat. 6. Primo dubbio: se a rendere giusta la guerra sia sufficien-
6 Primum dublUffi, utruffi a te che il principe creda di avere una giusta causa.
. . utet se habere iustam causam.
quod prmceps ~ t an subditi teneantur examinarc 7. Il secondo dubbio è se i sudditi siano tenuti a esaminare
7. Secundum dublU~ es , ilitare nulla diligentia super hacr la causa della guerra, o se possano prendere le armi sen-
causam vel an possmt m za farsene un problema.
adhibita. Q ·d f . nduro --t cum iusta cau 8. II ter.lO dubbio è su che cosa si debba fare quando la giu-
- d b' t· U1 aCle . . ." ,
8. Terubellum ub.lu: ~~ est cum ex utraque parte sunt f"J, stizia della causa della guerra è dubbia, cioè quando da en-
sa t
I d Ula . . .". bbi1;> trambe le parti ci sono ragioni verosimili e ammissibili.
tiones apparen.tes et pro a ~it esse bellum iustum ex 9. li quano dubbio è se possa esistere una guerra giusta da
9. Quartum dublum est, an pos entrambe le pani.
utraque parte.. ui ex ignorantia secutUS t IO. il quinto dubbio è se chi - si tratti dd principe o dd sud·
10. Quintum dublUm,. utrum q . . . de iniustitia bel dito - per sua ignoranza ha partecipato ad una guerra
bellum iniustum, SI postea consment et

34
35 I
li, utrum teneatur restituere - sive loquamur de principe, giusta si accorge in segujto delJa sua ingiustizia sia tenu-
sive de subdi[Q. to a restitujee ciò che ha preso.

l. Pro qua sit prima propositio: In bello iusto licet om- 1. La prima tesi al riguardo è: in una guerra giusta è le.
nia facere, quae necessaria sunt ad bonum publicum et ad cito fare tutto ciò che è necessano al pubblico bene e alla
de/ensionem boni publici. sua d/fera.
Haec nota est, cum ilIe sit fmis belli defendere et È una tesi già nota, dato che il fine della guerra è di-
conservare rero publicam. Item haec licent hominibus fendere e conservare la comunità politica. E ciò è pari-
privatis, ut probatum est - ergo multo magis publico et menti lecito ai privati, come si è dimostrato. E quindi a
principi. maggior ragione è lecito a una persona pubblica e al
prmclpe.
2. Secunda propositio: In bello iusto etiam licet recupe-
2. Seconda tesi: in una guerra giusta è leàto inoltre recu-
rare res perditas vel pretium illarum ad unguem. perare tutte le cose sottratte o il loro controvalore preàso.
l
Haec enim nocior est, quam ur indigeat probacione.
Anche questa è troppo nota per aver bisogno di di.
Ad hoc enim ve! infertur ve! suscipitur bellum. mostrazione. È infatti questo il motivo per cui viene in-
trapresa o iniziata una guerra.
3. Tertia propositio: Licet occupare ex bonis hostzbur im- 3. Terza tesi: in una guerra giusta è lea'to rivalers~ sui be.
penram belli et omnia damna ab hortibur iniurte illata. ni dei nemia: delle spese di guerra e di tutti i danni il:.
giustamente arrecati dai nemici.
Haec patet, quia ad omnia haec tenentur hosres, qui E ciò è chiaro, perché i nemici che hanno commes-
iniuriam fecerunt. Ergo principes possunt omnia illa ac· so ingiustizia sono tenuti a tutto questo. Quindi i prin-
cipere et bello exigere. cipi possono prendersi tutte queste cose, ed esigerle con
la guerra.
ltem si quis esser legitimus iudex utriusque partis ge Inoltre, se ci fosse un giudice legittimo sopra entram-
rentis bellum, potesr condemnare iniustos aggressore. be le parti belligeranti potrebbe condannare gli ingiusti
et a-u-crores belli, non salurn ad restituendas res abla aggressori, responsabili della guerra, non solo a restitui.
tas, sed etiam ad resarciendum impensam belli et omnill re le cose sottratte ma anche a rifondere le spese di guer-
damna. Sed princeps, qui getit iustum beUum, habet _ ra e tutti i danni. Ma il principe che conduce una guerra
in casu belli tanquam iudex, ut statim dicemus. Er~n giusta ha come giudice se stesso, per le cose che riguar.
etiam ilIe potest omnia illa ab hostibus exigere. dano quella guerra, come si è appena detto. E quindi può
anch'egli esigere dai nemici tutte le riparazioni.
Item, ut dicebamus, licet homini privato, cum onn E ancora, come dicevamo, è lecito a un privato, quan-
potest alia via, occupare Offine debitum a debitore - Cf do non può fare altrimenti. impossessarsi di tutto ciò che
go etiam principi. il debitore gli deve. E quindi è lecito anche al principe.
36 37
4. Quana propositio: Potest enim princeps iusti beLli om· 4. Quana tesi: il principe che conduce una guerra giusta
niol quae sunI necessaria ad habendam pocem et securi- può fare tutto ciò che è necessario per ottenere pace e sicu-
la/cm ex hostibus, pula diruere orcem et a/ia amnio, quae r/!Wl dai nemici, ad esempio distruggere una fortev.a efa·
ad hoc exspeclant. re tutte le altre cose che banno ottinenlJl con questo fine.
Probatur, quia, ut supta diximus, finis belli est pax. Lo dimostra il fatto che, come si è detto, il fine della
Ergo gerenti bellum licenr aronia, quae necessaria sunt guerta è la pace. E quindi a chi f.la guerta sono lecite tU[-
ad securitatem et pacern. te le cose che sono necessarie alla sicurezza e alla pace.
Item tranquillitas et pax computanrur imer bona hu- Inoltre, la tranquillità e la pace sono annoverate fta i
mana. Unde nec summa etiam bona fadunt statum feli· beni dell'uomo; quindi, neppure i beni più alti rendono
cem sioe securitate. Ergo hostibus rurbantibus tran- una situazione felice, se non c'è la sicurezza. Perciò è le·
quillitatern rei publicae llcer vindictam sumere ab illis cito punirei con mezzi appropriati, i nemici che disturba-
<per media convenientia. Ttem contra hostes intraneos, no la tranquillità della comunità politica. Parimenti, è le-
hoc est contra malos cives, licer haec omnia facere - er- cito fare tutto ciò contro i nemici interni, ossia contro i
go etiam contra hostes extraneos. Antecedens pareto Si cattivi cittadini: quindi, anche contro i nemici esterni. Il
quis enim in re pubLica fecit iniuriam civi, magistratus presupposto è evidente: se qualcuno in una comunità po-
non salurn cagir auclacero iniuriae satisfacere iaeso, sed litica fa ingiustizia a un cittadino. il magistrato non solo
etiam si rimetur ab ilio, cogitue dare fideiussores aut re· obbliga l'autore dell'offesa a tendere soddisfazione alla
cedere a civitate, ita ut vicetur periculurn ab ilio. pane lesa; ma, se vi è motivo di non fidarsene,lo costrin·
ge anche a presentare un mallevadore, o ad allontanarsi
dalla città, pet eliminare il pericolo che da lui deriva.
Ex quibus patet, quod parta victoria et recuperatis Da ciò risulta evidente che, una volta raggiunta la
rebus licet ab hostibus exigere obsides, naves, arma et vittoria e recuperati i beni, è lecito esigere dal nemico
alia, quae sine fraude et dolo necessaria sunt ad reti· ostaggi, navi , armi, e le altre cose che sono necessarie
nendum bostes in officio et vitandum ab illis pericu· - in buona fede e senza animo fraudolento - a far sì che
lum.> i nemici osservino i propri doveri, e ad evitare che sia·
no ancora pericolosi.
5. Quinta propositio: Nec tantum hoc licet in bello iusto, 5. Quinta tesi; non solo in una guerra giusto sono lecite
sed babita vieloria el recuperatis rebus et pace eliam el se· tutte queste cose, ma - una volta ottenuto lo vittorio, re·
curitate habita licet vindicare iniuriam ab hostibus accep· cuperati i beni, stabilita /o pace e anche /o sicur/!Wl - è le-
tam et punire illos pro huiusmodi iniuriis. cito punire il lorto ricevuto dai nemict~ e punirii per offe-
se di questo tipo.
Pto cwus ptobatione notandum, quod ptinceps non Per dimostrare ciò si deve notare che il principe ha
tantum habet auctoritatem in suos, sed etiam in extra· autorità non soltanto sui propri sudditi, ma anche sugli
neos ad coercendum illos, ut abstineant se ab iniuriis, et stranieri, per costringerli ad astenersi dalle offese; e ciò

38 39
hoc iure gentium er orbis totius aucroritate. !mmo vi- avviene secondo il dirino delle genti, e con l'au(Qrizza-
derur, quod etiam iure naturali, quia videtur, quod ali- zione di tutto il mondo. Quindi sembra che ciò valga
ter orbis stare non posset, nisi esset penes aliquos vis et anche secondo il diritto naturale, poiché pare che il
auctoritas deterrendi improbos, ne bonis noceant. Ea mondo non potrebbe sussistere altrimenti, se qualcuno
aUlem, quae necessaria sunt ad gubemationem et con- non detenesse la forza e l'autorità di minacciare i mal-
servationem orbis, sunt de iure narurali. ec alia ratio- vagi affinché non nuocciano ai buoni. Del resto, ciò che
ne probari potest, quod res publica iure naturali habeat è necessario al governo e alla conservazione del mondo
auetoritatem afficiendi supplicio et poenis cives suos, rientra nel diritto naturale. È questo l'unico modo at-
qui sunt rei publicae perniciosi. Quodsi res publica hoc traverso il quale si può dimostrare che una comunità
potest in suos, haud dubium, quin hoc possit orbis politica ha, in virtù del diritto naturale, l'autorità di
in quoscumque perniciosos homines, et hoc non nisi menere a morte e punire i propri cittadini che le arre-
per principes. Ergo sine dubio principes possunt puni· cano danno. E se una comunità politica può fare ciò
re hostes, qui iniuriam fecernot rei publicae; et omnino conuo i propri cittadini, non v'è dubbio che il mondo
postquam bellum rite et iuste susceptum est, hostes ob- possa farlo contro tutti gli uomini pericolosi; e ciò non
nom sunt principi tanquam iudici proprio. <Et confLr- è possibile se non attraverso i principi. Quindi certa-
matur haec. Quia revera nec pax nec tranquillitas, quae mente i principi possono punire i nemici che hanno re-
est fmis belli, aliter haberi potest, nisi hostes malis et cato offesa alla comunità politica; e soprattutto dopo
damnis afficiantur, quibus deterreantur, ne iterum ali- che una guerra giusta è stata intrapresa secondo gli usi
quid tale comminane> e secondo giustizia, i nemici si trovano assoggettati al
principe giusto come al proprio giudice. E ciò è dimo·
strato dal fatto che, in verità, né la pace né la tranquil-
lità - i fini della guerra - possono essere ottenuti a1ui·
menti che col colpire con punizioni dure e dolorose i
nemici, che ne siano spaventati e ne vengano distolti dal
commettere nuovamente tali delitti.
Et etiam probatur et confinnatur auctocitate bono- E ciò è dimostrato e confermato anche dall'autorità
rum, ut supra dictum est de Machabaeis, qui gesserunt dei buoni, come si è già detto a proposito dei Maccabei,
bella non solum ad recuperandas res amissas, sed eriam che hanno fatto guerre non solo per recuperare le cose
ad vindicandas iniurias. Et idem fecerunt christianissi- che avevano perduro ma anche per punire le offese ri-
. . .
mi prmclpes. cevute. E la stessa cosa hanno fatto anche principi cri-
stianissimi.
Et primum non tol1itur ignominia et dedecus rei Inoltre, non si cancellano la vergogna e il disonore del-
publicae profligatis tantum hosdbus, sed etiam se- la comunità politica solo con lo sconfiggere i nemici, che
curitate poenae afflictis et castigatis. Princeps autem devono anche essere puniti e castigati da una sanzione

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non solum res alias, sed honorem et auetorit3tem rei certa. E il principe non deve difendere solo le altre cose,
publicae defendere haberur. ma anche l'onore e il prestigio della comunità politica.

6. Sed ex omnibus supra dictis oriunrur multa dubia. 6. Ma da tutto ciò che è stato detto nascono molti dub-
Primum est circa iustitiam belli, utrum vide/icet ad bel- bi. Il primo riguarda la giustizia della guerra, se cioè a
lum iustum su/fidat, quod princeps putet se habere iu- rendere giusta la gue"a sia su/fidente che il prindpe cre-
stam causam. da di avere una giusla causa.
Ad hoc sit prima propositio: on satis est hoc sem- A questo dubbio, rispondo con questa lesi: non sem-
per. pre dò è su//idente.
Probatur primo, quia in aliis minoribus causis ve1 E lo dirnosrra, in primo luogo, il fatto che in altre cau-
negotiis non sufficit principibus ve1 privatis, quod cre- se minori non è sufficiente- com'è noto - né ai principi
dant se iuste agere, ut notum est. Possunt enim vincibi- né ai privati credere di essere dalla parte dd giusto: pos-
titer errare et affectate. Et ad acrum bonum non sufficit sono infatti errare, per loro colpa e a causa delle loro pas-
sententia cuiuscumque, sed requiritur sententia sapien- sioni. E per giudicare buona un'azione non basta il pa-
tis, ut patet 2 Ethicorum. reredi uno qualsiasi, ma si deve ricorrere all'opinione del
sapiente, come sta scritto (Aristotde, Etica II, 6).
Item sequitur alias, quod essent bella iusta ex utra- Inoltre, in caso contrario ne conseguirebbe che ci sa-
que parte. Communiter enim non contingit, quod prin· rebbero guerre giuste da enttambe le parti. Infatti, di so-
cipes gerant bellum mala fide, sed unusquisque putat se lito non càpita che i principi facciano guerra in malafe-
habere iustitiam in alium. Et sic omnes bcllantes essent de, ma anzi ciascuno crede di essere nel giusto rispetto
innocentes, et per consequens neutri exercirui liceret all'altro. E così rurti i belligeranti sarebbero senza colpa,
occidere alium ex altero exercitu. Et etiam alias Turcae e di conseguenza a nessuno dei due eserciti sarebbe leci·
et Saraceni gererent iusta bella adversus Christianos. to uccidere qualcuno dell'altro esercito. E così anche le
Putant enim obsequium praestare Dea. guerre dei Turchi e dei Saraceni contro i Cristiani sareb-
bero giuste: infarti credono di obbedire a Dio.
Secunda propositio: Oportet ad iustum beltum ma Seconda tesi: perché una guerra sia giusta è necessa-
gna diligenlia eXilminare causas belli el audire raliones no molla attenzione neil'esaminare le cause della guerra,
adversan'orum, si ve/int ex aequo el bono disceplare. e ascoltare le ragioni degli avversari, se questi vogliono di-
scutere della giustizia e delw bontà delle cause di guerra.
Omnia enim sapientem, ut ai! comicus, verbis [j commediografo dice infatti: «è bene che il sapiente
prius experiri aportet quam armis. Et oportet consu- faccia ogni tentativo con le parole, prima di passare alle
lere probos et sapientes viros et qui cum libertate Cl nrmi»'. Ed è bene chiedere il consiglio cli uomini onesti e
sine ira aut odio loquantur. Haec propositio mani sapienti, che parlino in libertà, e senza ira né odio. Questa
festa est. <Nam curo in rebus moralibus difficile si. lesi è evidente. Infarti, dato che nelle questioni morali è

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verum et iustum attingere, si negligenter ista tracten· difficile attingere il vero e il giusto, se queste discussioni
tur, facile errabitur, nec talis error excusahit auctores - vengono condotte con negligenza sarà facile cadere in er-
maxime in re tanta et uhi agitur de periculo et calami- rore; e gli autori non potranno esserne scusati - soprat-
tate multorum, qui tandem sunt proximi et quos diIi- tutto data l'imponanza ddJ'argornento, che implica peri-
gere tenemur sicut nos ipsos.> colo e calamità per molti uomini, che infine sono il nostro
prossimo, e che dobbiamo amare come noi stessi.
7. Secundum duhium est, on subditi teneontur exomi· 7. Il secondo dubbio è se i sudditi siano tenuti a esamina-
nore causam vei an possint militare nulla diligentia super re la causa della gue"a, o se possano prendere le armi sen-
hoc adhibita, quemadmodum liclores exequi possunl sen- za farsene un problema, come i littori possono dare esecu·
tentiam iudicis sine olia examinatione. zione alle sentenze del giudice sen1.ll più esaminarle.
De hac quaestione sit prima propositio: Si subdilo lntorno a questo dubbio la prima tesi è questa: se il
constat de iniustitia belll~ non licet ei militare etiam de suddito è certo che la guerra è ingiusta non gli è lecito
praeceplo principis. prendere le armI; nemmeno se il principe glielo comanda.
Patet, quia non licet interficere innocentem in nullo E ciò deriva con chiarezza dal fatto che non è lecito
casu quacumque auctoritate. Sed hostes sunt innocen- uccidere un innocente, qualunque sia l'autorità che lo
tes in casu. Ergo non !icet interficere illos. ordina. Ma in questo caso i nemici sono innocenti. E
dunque non è lecito ucciderli.
ltem principes peccant inferendo bellum in ilio casll. Inoltre! i principi! in quel caso, peccano se dichiara·
Sed non salurn, qui male agunt, sed qui consentiunt, di- no guerra. Ma «non solo quelli che fanno il male! sì an-
gni suni morle (Ram 1,32). Ergo milites etiam mala fi- che quelli che vi consentono, sono degni di morte»
de pugnantes non excusantur. Item non !icet interfice· (Rom 1,32). Quindi, anche i soldati che combattono in
re cives proprios mandato principis - ergo nec extra· mala fede non sono innocenti. Parimenti, non è lecito
neos. uccidere i propri cittadini per semplice ordine del prin-
cipe; e quindi neppure gli estranei.
Ex quo sequitur corollarium, quod etiom si subditi Ne segue come corollario che anche i sudditl~ quan·
habeanl conscienliam de iniusla causa belli, non licei il- do hanno certezza che la guerra è ingiusta~ non possono
lis sequi bellum - sive errent, sive non. prendervi parte, che si sbaglino o no.
Patet, quia omne, quod non est ex /tde, peccatum est E ciò è chiaro perché «ciò che non procede dalla fe-
(Rom 14,23). de è peccato» (Ram 14, 23).
Secunda propositio: Senatores et duces, breviter om· Seconda tesi: i senatori e i comandantt: e in breve tut-
nes, qui admittuntur ad consilium publicum vel principis, li colora che sano ammessi al consiglia pubblico a al con-
debent et tenentur examinare causam iusti belli. siglio del principe, sono strettamente tenuti a esaminare
la causa di una gue"a giusta.
Patet haec, quia quicumque potest impedire pericll E ciò è chiaro, dato che chiunque possa impedire il

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lum et damnum proximorum, tenetur. maxime ubi de pericolo e il danno del prossimo, è obbligato a farlo, so-
causa mortis agitur et maiorum malorum. quale est in prattutto quando si tratta di morte e dei più grandi ma-
bello. Sed tales possunt consilio suo et auctoritate cau- li, come appunto càpita in guerra. Ma costoro, con illo-
sas belli examinantes avertere bellum, si forte iniustum ro consiglio e la loro autorità, esaminando le cause del-
est. Ergo tenentur ad hoc. la guerra possono evitarla, nel caso sia ingiusta; e quin-
di sono tenuti a questo esame.
Item si negligentia istorum bellum iniustum gerere- Inoltre, se per negligenza di costoro si combattesse
tur, isti viderentur consentire. lmputarur enim alicui, una guerra ingiusta, sembrerebbero aver dato il loro
quod potest et debet impedire, si non impediat. consenso. Chi può e deve impedire una certa cosa, in-
fatri, ne è responsabile, se non l'impedisce.
!tem, quia solus rex non sufficit ad examinandas Ancora, non basta che il re da solo esamini le cause
causas iusti belli et potest errare magna cum pernicie di una guerra giusta; può infatti sbagliarsi, con grande
multorum. Ergo non ex sola sententia regis, immo nec danno per molti. Quindi, la guerra deve essere decisa
ex sententia paucorum, sed multorum sapientium de- sulla base del parere non del solo re, né di pochi, ma di
bet geri bellum. molti uomini sapienti.
Sit tenia propositio: Alii minores, qui non admittun- Terza tesi: la popolazione di rango inferiore, che non
tur nec audiuntur apud regem neque a consi/io publico, è né ammessa né ascoltata presso il re o presso il consiglio
non tenentur examinare causas belh sed possunt creden- pubblico, non è tenuta ad esaminare le cause della guer-
tes maioribus licite militare. ra, ma le è lecito prendere le armi sulla base della fiducia
nelle autorità superiori.
Probatur primo. quia nec fieri potest nec expediret Lo si dimostra in primo luogo col fatto che non è pos-
reddere rauonem negotiorum arduorum et publicorum sibile né sarebbe opportuno rendere ragione a tutti i po-
omnibus de plebe. polani di faccende difficili che riguardano la politica.
Item, quia homines inferioris condicionis et ordinis, Parimenti, uomini di condizione e ceto inferiore, an-
etiam si intelligerent iniustitiam belli, non possunt che se comprendessero l'ingiustizia ddla guerra, non
prohibere et sententia eorum non audiretur. Ergo fru- potrebbero impedirla, e il loro parere non sarebbe
stra examinarent causas belli. Non est dubiuffi. ascoltato. Quindi esaminerebbero invano le cause della
guerra. Su ciò non v'è dubbio.
<Item. quia eiusmodi hominibus. nisi contrarium Inoltre, a uomini di tal sorta. se non hanno notizie
constiterit, sufficiens argumentum debet esse pro iusu- certe in senso contrario, deve bastare come argomento
Ua belli, guod publico consilio et auctoritate geratur. a favore della giustizia della guerra il fatto che essa è de-
Ergo non est opus illis ulteriore examinatione.> cisa per autorità di un pubblico consiglio. E quindi non
hanno bisogno di operare ulteriori esami.
Quarta propositio: Nihilominus possent esse talia ar- Quarta tesi: nondimeno, à possono essere tali dimo-

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gumenta et indidtJ de iniustitia bel/i, quod ignorantia non strazioni e indizi che lo guerra è ingiusta, che lo loro igno-
excusaret etiam huiusmodi aves et subditos militantes. ran1,l1 non può essere scusata neppure nei cittadini di ce-
to basso e nei sudditi chiamati alle armi.
Patet, quia posset esse ista ignorantia affectata et E ciò è chiatO dal falla che lale ignoranza polrebbe
pravo studio adversus hostes concepra. essere artificiosa. e coltivata con volontà malvagia nei
confronti dei nemici.
Item alias infiddes excusarenlur in belJum sequen· Inoltre, in caso contrario gli infedeli sarebbetO scusa-
res principes suos, et Christianis non ticeret illos reper· ti nd seguire i loro principi nelle guerre, e ai Cristiani non
curere, quia cenum est, quod credunr se habere iusram sarebbe lecilo colpirli a lotO volta, poiché è certo che
causam belli. quclli credono di avere una giusta causa di guerra.
Irem, quod alias excusarentur milites, qui crucifixe· Allo stesso modo, in caso contrario sarebbero giu-
runt Christum ex ignorantia sequenres edictum Pilati. stificati i soldati che crocifissero Gesù per ignoranza.
obbedendo all'eelillo di Pilalo.
Iran excusaretur populus ludaeorum, qui persuasus E sarebbe giustificala anche il popolo ebraico, che per-
a maioribus ciamabal: Tolle, tolle, crucifige eum (Io 19, suaso dai suoi maggiorenti gridava: «prendilo, prendilo,
15)! Quae omnia non SunI concedenda. Ergo. crocifiggilo!» (Iov 19, 15). Ma tUlle quesle conseguenze
non sono ammissibili. Quindi, la tesi è dimostrata.
8. Tercium dubium esI: Quid faàendum est, cum iusta 8. li terzo dubbio è: che cosa si deve fare quando la giu-
causa belli dubia est, hoc est, cum ex utraque parte sunt stizia della causa di guerra è dubbia, cioè quando da en-
rationes apparentes et probabiles? trambe le parti ci sono ragioni verosimili e ammissibili?
Ad quod sit prima proposicio: Quoad ipsos principes Su ciò questa è la prima tesi: per quanto riguardo i
videtur, quod si quis illorum est in legitima possessione, prinai"; sembra che se qualcuno di loro esercita un legit-
quod manente dubio non possit alter bello repetere. timo possesso, un altro non possa reclamarlo con la guer-
Exempli gratia, si rex Francorum est in legitima pos· ra, fin tanto che permangono dubbi.
sessione Burgundiae, etiam si est dubium, an habeat ius Ad esempio, se il re eli Francia è legiltimamenle in
ad illam, non videtur, quod imperaror noster possit ar· possesso deUa Borgogna, benché sia dubbio se ne abbia
mis repetere neque e contra rex Francorum. il clirillO, non sembra che il noslro Imperatore la possa
reclamare con le armi; né, in caso contrario, lo potreb-
be il re di Francia.
Haec probarur, quia in dubiis mdior est condicio Quesla lesi è dimoslrala dal falla che nei casi dubbi
possidentis. Ergo non liceI expoliare possessorem illum è favorila la siluazione di chi è già in possesso dd bene.
pro re dubia. E quineli non è lecilo privarlo di ciò che possiede, sulla
base di un dubbio.
Irem si res ageretur coram iudice legitimo, num- Allo stesso modo. se il caso venisse trattato davanti a un

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quam in re dubia spoliaret possessorem. Ergo dato, giuclice legittimo, questi, in una faccenda dubbia non
quod ille princeps, qui praerendit ius, sit iudex in illa esproprierebbe il possessore. E quincli ammettendo'che il
causa, non potest spaliare lidre possessorem dubia ma· principe che rivendica il proprio cliritt;sia anchegiuclice in
nente. quella causa, egli non può legittimamente espropriare il
possessore, fin tanto che permane un dubbio.
!tem in rebus et causis privarofum numquam in cau- , In.olt.r~, n~lle faccende e neUe cause fra privati non
sa dubia licet spoliare possessorem <1egitimum> - ergo e mal lecltn, In una causa dubbia, espropriare illegit-
nec in causis principum. Leges enim sunt principum. Si ~o possessore. E dunque non si può neppure nei ca.
ergo secundum leges humanas non licet spoliare pos- SI dei principi, poiché le leggi sono fatte dai principi.
sessarem , ergo merito patest obici principibus: <Potere Se. qumdJ se.cnndo le leggi umane non è lecito espro-
/egem. quam ipse tuleris! Quod enim quisque iuris in pnare ch, gta ~nde del pos~esso, allora si può ben op-
alios s/aluil, ipse eodem iUTe uti debet.> porre al prtnCtpt il detto: «e ben chiara la legge che tu
stess~ hat emanato!». Infatti, «il principio giuridico
che aascuno ha stabilito per gli altri deve valere anche
per lui stesSO»2.
ltem alias esser bellum iustuffi ex utraque parte Parimenti, se così non fosse la guerra sarebbe giusta
<etc., et bellum numquam componi posset. Si enim in da entrambe le pani, e non potrebbe mai trovare una
causa dubia licet uni armis repetere, ergo alteri defen- soluzione. Infatti, se in una causa dubbia fosse lecito a
dere. Et postquam unus recuperasset, posset iterum uno prendere le armi, lo sarebbe anche all'altro difen-
alius reposcere, et sic numquam esser fmis bcllorum dersi. E dopo che l'uno fosse venuto in possesso cii ciò
cum pemicie et calamitate populorum.> che rivendicava, l'altro potrebbe nuovamente reclamar.
lo per sé, e così le guerre non avrebbero mai fine con
danno e calamità per i popoli. '
Secunda propositio: Si civitas vel provincia, de qua Seconda tesi: se la città o la provincia sulla quale c'è
dubitaluT, non hahet legilimum possessorem, ut si deser· un dubbIO non ha un possessore legittimo - come ad
ta essei morte legitimi domim: et dubitalur, an haerer SI/ esempio ~~ ~esta ~acante per la morte del signore legitti-
rex Hispaniae aut rex Galiorum, nec potest certum scirJ~ mo - e ~l e znc~rtl se lo successione spetti al re di Spagna
<iure> videtw; quod si unus velit componere et divider<' o al re d, Franaa, e non lo sipuò sapere con certezzo, sem-
et compensare pro parte, quod alter tenetur recipere con· bra conforme al diritto che, se uno dei due contendenti o[
dicionem, etiam si vi sit potentior et possit <armis> lo· Ire una compOSIZIOne con una spartizione e una equa com-
tum occupare, nec haberet iustam causam belli. pensazione, l'altro sia obbligato ad accettare queste con.
dizioni, anche se è più potente per forzfl militare e può oc-
cl~pare c~n le armi tutto il territorio; e che non abbia quin.
dI una giusta causa di guerra.

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Probatur, quia alius non facit illi iniuriam m pari Lo dimostra il fano che il primo non reca offesa al-
causa pelendo aequalem panem. l'altro, chiedendo una pane uguale di un bene, in una
causa in cui entrambi hanno uguali diritti.
Item in privatis in re dubia non liceret totum occu- Parimenti. ndle cause &a privati non è lecito pren-
. ...
pare - ergo neque 111 caUSlS pnnclpum. dersi l'intero bene, quando c'è un dubbio. E quindi noo
lo è neppure nelle cause fra principi.
Item esset bellum iustum ex utraque parte. Item iu· Inoltre, in caso contrario la guerra sarebbe giusta da
stus iudex non totum alleri tribueret, sed dividere!. Er- entrambe le pani. E, ancora, un giudice giusto non at-
go etc. tribuirebbe per intero il bene conteso all'una o all'altra
parte, ma lo dividerebbe. Quindi la tesi è dimostrata.
Tertia propositio: Qui dubitat de iure suo, etiam si pa- Terza tesi: colui che dubita del propno diritto - anche
cilice possideat, tenetur examinare causam diligenter et se non esercita il dominio in seguito ad una gue"a - è te-
pactfice audire rationes alterius partis, siforte possit cer· nuto ad esaminare diligentemente la questione, e a ascol·
tum scire pro se ve! pro alio. tare pacificamente le ragioni dell'altra parle, per vedere se
mai possa raggiungere una certezza, a favore proprio o
dell'allro.
Hacc probatur, quia alias non bona fide possideret, Lo dimostra il fatto che, in caso contrario, colui il
qui dubitans negligeret scire veritatem. quale pur dubitando trascurasse di conoscere la verità
non eserciterebbe il proprio dominio in buona fede.
ltem in causa matrimoniali. si quis etiam legitimus Allo stesso modo, in una causa matrimoniale se qual-
possessor incipit dubitare, utrum haec uxor sit sua nee· cuno, pur essendo legittimo titolare di un diritto. inizia
ne, certum est, quod tenetur rero examinare - ergo ea· ad avere dubbi se una cena donna è sua moglie o 00, è
dem ratione in allis causis. certamente tenuto ad esaminare la cosa. E quindi. per
la stessa ragione, si è tenuti anche in altre cause.
Item principes sunt iudices in propriis causis, quia Inoltre, i principi sono giudici nelle proprie cause,
noo habent superiores. Sed cenum est, quod si quis poiché non hanno autorità superiori. Ma è certo che, se
cootra legitimum possessorem opponat aliquid, iudex qualcuno eccepisce alcunché contro chi è titolare di un
tenetur examinare illudo Ergo etiam principes in re du· possesso legittimo, il giudice è obbligato a esaminarlo.
bia tenentur causam suam examinare. Perciò anche i principi in un caso dubbio sono tenuti ad
esaminare la propria causa.
Quarta propositio: Examinoto causa, quontumdiu ra· Quarta tesi: una volta che la questione sia stata esa-
tionobiliter perseverai dubium, legitimus possessor non minala, fino a quando permane un ragionevole dubbio il
tenetur cedere possessione, sed potest /icite retinere. possessore legittimo non è obbligato a cedere ciò che pos-
siede, ma può legittimamente conservarlo.

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Patet primo, quia iudex non tenet{ur}spoliare. Ergo La tesi è chiara, in primo luogo perché il giudice non
nec ipse tenetur cedere - nec in toto nec in parte. è tenuto all'esproprio. E quindi neppure il possessore è
tenuto a cedere il possesso, né dci tutto né in parte.
ltem in causa matrimoniali in re dubia non tenetur, Ancbe in una causa di matrimonio, in caso di dubbio
ur habetur in c. Inqujsitjom~ De sententia excommum"· non si è tenuti a rinunciare al proprio dirittO (come si vede
cationis, et in c. Dominus, De secundis nupliis, - ergo nel cap. Inquisitiom: De sententia excommunicationis e nel
nec in allis causis. Et Adrianus expresse (in Quodlibelis, cap. Dominus, Desecundis nupliis). E quindi non si è tenu-
q. 2) tenet, quod dubitans licile pOIeSI rellnere rem pos- ti neppure in cause d'altro tipo. E Adriano (Quodlibela 2)
sessam. sostiene espressamente cbe colui cbe ha un dubbio «può
lecitamente trattenere presso di sé la cosa posseduta»'.
Haec quoad principes in re dubia. E questo è tuttO, per quanto riguarda i principi, in
caso di dubbio.
Sed quoad subditos in dubio belli iusti Adrianus Ma per quanto riguarda i sudditi in caso di dubbio sul-
quidem (Quodlibelis, q. 2, ad primum argumenrum la guerra giusta proprio Adriano (Quodlibela 2, primo ar-
principale) dicit, quod subditus dubitans de iustiria bel- gomento principale) afferma cbe il suddito cbe dubita dci-
li <, id est, utruro causa, quae a1legaruf, sit sufficiens, ve! la giustizia della guerra - cbe è incerto, cioè, se la causa cbe
simpliciter, an subsit causa sufficiens ad indicenduro viene addotta sia sufficiente, owero se semplicemente sus-
bel1um>, non potest licite ad imperium superioris roili· sista una causa sufficiente a dichiarare la guerra - non può
tare. Quod probat, quia runc subditus non operatur ex lecitamente prendere le armi al comando delle autorità su-
fìde.ltem, quia exponit se periculo peccandi mortaliter. periori. E lo dimostra sostenendo cbe allora il suddito non
Idem videtur tenere Silvester (v. bellum I, S 9). agirebbe in buona fede; e ancbe cbe in tal modo si espor-
rebbe al pericolo di commettere peccato mortale. Della
stessa opinione sembra Silvestro (voce bellum, l, § 9)4.
Sed sit quinta proposmo: Primo non est dubium J Ma questa è la quinta tesi: in primo luogo, non c'è
quin in bello delemivo liceal subditis in re dubia milita- dubbio che in una guerra difensiva sia lecilo ai sudditi in
re et sequi principem suum in bello, immo quod tenean- caso di dubbio prendere le armi e seguire il loro prinàpe
lur sequi; sed eliam de bello offensivo. in gue"a, e che anzi Sil1110 tenuti a seguirlo; ma ciò vale
anche in una guerra offensiva.
Probatur primo, quia princeps nec palese semper La si dimostra in primo luogo col fatto che il princi-
nec debet reddere rationes subditis. Et si subditi non pe non può né deve sempre rendere ragione ai sudditi.
possent militare, nisi postquam scirem iustam causam E se i sudditi non potessero fare la guerra se non dopo
belli, res publica periclitaretur vehementer <et patere· avere conosciuto la giusta causa della guerra, la comu-
tuc iniurias hostium>. nità politica sarebbe in grave pericolo, e soffrirebbe le
offese dei nemici.

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!tem in dubiis tutiOt pars sequenda est. Sed si sub- Inoltre, nel dubbio si deve seguire l'alternativa più
diti in casu clubii non sequerenrur principem suuro, ex· certa. Ma se i sudditi in caso di dubbio non seguissero il
ponunt se periculo prodendi hostibus rem publicam, loro principe, si esporrebbero al rischio di consegnare al
quod multo peius est quam pugnare contra hostes cum nemico la propria comunità politica, il che è molto peg-
dubio. Ergo debent potius pugnare. gio che combattere contro i nemici restando in dubbio.
Quindi, i sudditi devono, piuttosto, combattere.
Item manifeste paret, quod lictar tenetur exequi sen· Allo stesso modo, è del tutto evidente che illittore è
tentiam iudicis, etiam si dubitet, an sit iusta. Contra· tenuto a dare esecuzione alla sentenza del giudice, an-
rium est enim valde periculosum. che se è in dubbio se sia giusta. L'agire comrario, infat-
ti, è molto pericoloso.
Item aperte videtur hoc dicere Augustinus (Contra Inoltre, la stessa cosa sembra dire chiaramente Ago-
Maniehaeos): Iustus si/orte etiam sub rege sacrilego mi- stino (Contra Maniehaeos): «se per caso il giusto porta le
litet, reete potest eo iubente belÙJre, si quod ei iubetur vel armi agli ordini di un re sacrilego, può a buon diritto fa-
non esse contra Dei praeceptum <certum est vel utrum re la guerra al comando di quello, tanto che quello che gli
SII, eertum non esI> (23, q. 1, c. Quid eulpatur). Ecce Au- viene comandato non vada con sicurezza contro i co·
gustinus expresse definivit, quod si non est certum, id mandamenti di Dio quanto che ve ne sia il dubbio»' (ve-
est si dubium est, an sit conera Dei praeceptum, quod di anche Decretum Cratiani II 23, 1,4, cap. Quid eulpa-
subdito licitum est bellare. ec Adrianus -se expeilire tur). Ecco quindi che Agostino ha apertamente dichia-
potest ab illa Augustini auetoritate, quarnvis in omnem rato che- se l'ordine del re non va senz'altro contro i co-
partem vertat. Sìne dubio enim conclusio nostra est de- mandamenti di Dio, ma la cosa è soltanto dubbia - è le-
terminatio Augustini-. cito al suddito fare la guerra. E Adriano non può sottrarsi
a questa autorevole affermazione di Agostino, anche se
la rigira da tutte le parti. Senza dubbio la nostra conclu-
sione coincide con la posizione di Agostino.
Nec valet dicere, quod talis debet tollere dubium et E non vale affermare che il suddito deve togliersi il
formare sibi conceptum et conscientiam, quod bellum dubbio, e formarsi un'opinione e una certezza sulla giu-
sit iustum. Nam stat, quod moraliter loquendo non pos- stizia della guerra. È chiaro, infatti, che dal punto di vi-
sit sicut in allis dubiis. sta morale ciò non è possibile, come in altri casi dubbi.

Adrianus autem videtur errasse in hoc, quod pu- Adriano sembra essersi sbagliato, in questa circostan-
tavit: Si dubito, an hoc bellum sit iustum princi- za, perché ha creduto che se ho dubbi se questa guerra sia
pi ve1 utruro sit causa iusta huius belli, quod sta- giusta per il mio principe. o se sia giusta la causa di que-
tiro consequirur: Dubito, urrum liceat mihi ire ad hoc sta guerra, ne consegue immediatamente che ho dubbi
bellum necne. Fateor en101, quod nullo modo liceI sulla liceità, o meno, che io partecipi aquesta guerra: pro-

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facere contra dubium conscientiae. Et si dubito, utrum dama infatti che in nessun modo è lecito agire contro un
liceat mihi facere hoc necne, pecco, si faciam. ed non dubbio di coscienza; e che se sono in dubbio se mi sia le-
sequitur: Dubito, an sit iusta causa bdli. Ergo dubito, cito fare una tal cosa, o no, pecco se la faccio. Ma dal fat-
an liceat mihi -bellare- vel militare in hoc bello. Im· to che io sia in dubbio se esista una giusta causa per una
mo oppositum sequitur. Si enim dubito, an be11um sit guerra non consegue che io debba essere in dubbio se mi
iustum, sequitur, quod ucet mihi ad imperium princi· sia lecito fare la guerra o prendere le anni in questa guer·
pis mei militare, sicut non sequitur: Lietor dubita t, an ra. Anzi, ne consegue l'opposto. Se infatti sooo in dubbio
sententia iudicis sit iusta. Ergo dubitat, an uceat ci cxe· se la guerra sia giusta, ne consegue che mi è lecito pren·
qui sententiam. Nibil omnino valet conscientia, immo dere le armi su ordine del mio principe. Allo stesso modo
scit, quod -tenerur exequi. Et idem est de hoc dubio: dal dubbio dellittore se la sentenza del giudice sia giusta
Ego dubito, an haec sit uxor mea. Ergo teneor ei red· non consegue il dubbio se gli sia lecito eseguirla. La co-
dere debitum.- scienza non gioca qui alcun ruolo; anzi, illittore sa che è
tenuto a dare esecuzione alla sentenza. E lo stesso vale per
questo dubbio: «sono in dubbio se questa donna sia mia
moglie; quindi sono tenuto a darle ciò che le è dovuto».
9. Quartum dubium est, an possit esse be/lum iustum ex 9. li quartn dubbio è se una guerra possa essere giusla do
utraque parte. enlrambe le parli.
Pro quo sit prima propositio: Su/usa ignorantia ma· La prima tesi al riguardo è: a parte i casi di ignoran·
nifestum est~ quod non potest contingere. lO, è evidente che non può accadere.
Quia si constat de iure et iustitia utriusque panis, Infatti, se vi è certezza del buon diritto" della giu-
non ucet in contrarium bdlare, nec offendendo nec de· stizia di entrambe le parti, non è lecito far la guerra al-
fendendo. l'avversario, né d'attacco né di difesa.
Secunda propositio: Posila ignoranlia probabilifacli Seconda tesi: dola una ammiSSIbile ignoranZil dei fal-
aut iuris potest esse ex ea parte, qua est vera iustitia, bel· ti o del dirillo, la gue"a può essere giusla in sé, per la par-
lum iustum per se; ex altera autem parte bellum iustum, te presso cui sia la vera giuslizia; ma anche dall'altra par-
id esi excusalum a peccalo bona fide. te può esserci una gue"a giusta, cioè una gue"a che la
buona fede non rende un peccalo.
Quia ignorantia invincibilis excusat a toto. Item ex Infatti un'insuperabile ignoranza assolve completa.
parte subditorum saepe potest contingere. Dato enim, mente. Inoltre, ciò può accadere spesso ai sudditi. Po·
quod princeps, qui gerit bellum iniustUffi, sciret iniusti· sto infatti che il principe che conduce una guerra in-
tiam belli, tamen, ut dictum est, subditi possunt bona giusta sia consapevole dell'ingiustizia della guerra, tut·
fide sequi principem suum. Et sic ex urraque parte sub· tavia, come si è detto, i sudditi possono seguire in buo·
diti licite pugnant, ut notum est. na rede il loro principe. E così da entrambe le parti i
sudditi combatterebbero legittimamente, come è noto.

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IO. Ex hoc sequitur quintum dubium, ulrum qui ex IO. Da ciò consegue il quinto dubbio: se coilli - che si
ignoran/io secutus est belium iniustum, si pos/ea consti· tralli del principe o del suddilo - il quale per sua igno-
teri/ ei de iniustitia bel/i, utrum tenca!ur restituere - si· ranza ha partecipato a una guerra giusta, accortosi in se-
ve Ioquamur de principe, sive de subdito. guito dell'ingiustaia di questa, sia tenuto a restituire ciò
che ha preso.
Pro qua sit prima propositio: Siquidem habebal pro- Qui la prima tesi è questa: se aveva ammissibili ra-
babilitatem de iustitia belli, lenelur adveniente <notilio gioni per creder~ alla giuSlizio d~l'" guerra, non app~na
de> iniustiJia res/i/uere ablata, quae nondum consum· ha certeua della sua ingiustiz.ia è tenuto a restituire le r0-
psit, id est, quanlum faclus est locupletior; non autem, se che ha preso e che non ha ancora distrullo, ovvero le
quoe iom conrumpsli. cose che lo hanno reso più neco; ma non è tenuto a n/on-
dere ciò che ha dislrullo.
Quia regula iuris est, quod qui non esI in culpa, non Infatti è regola di diritto che «chi non ha colpa non
debel esse in danno, sicut qui bona fide fui! in convivio deve subire pena»; come colui che in buona fede ha par·
lautissimo furis) uhi scilicet res furtivae consumptae tecipato a un ricchissimo banchetto offerto da un ladro,
sunt, non tenetur restituere, nisi forte quantum domi nd quale sono state consumate vivande rubate, non è te-
consumpsisser et in prandio suo communi. Si autem du· nuto alla restituzione se non eventualmente nella misura
bitavit de iustitia belli secutusque est aucwcitatem prin~ di ciò che avrebbe consumato in casa propria, in un pa-
cipis, Silvester (in v. bellum I, S 9) dicit, quod tenetur sto ordinario. Ma se invece già aveva dubbi sulla giusti-
de omnibus, quia mala fide pugnavit. zia della guerra, e vi ha partecipato per ordine del prin-
cipe, Silvestro (voce bellum, l 59) afferma che è tenuto
a rendere tuno, perché ha combattuto in mala fede.
Sed sit secunda propositio: Nec isle lenelur de con· Ma la mia seconda tesi è che neppure costui è tenuto
sumptis sicut nec olius. a restituire ciò che ha consumato, come non lo è l'altro.
Quia, ut dictum est, Iicite etiam et bona fide pugna· Infatti, come si è derto, ha combattuto lecitamente e
vito Sed esset verum, quod Silvester dieit, si revera du- in buona fede. Ciò che affenna Silvestro sarebbe vero se
bitasser, an liceret ire ad bellum, quia iam facit contra questi avesse realmente dubitato sulla Iiceità della pro·
conscientiam. ed est notandum, quod stat, quod beI- pria partecipazione alla guerra, perché in tal caso egli
lum sit iusrum per se et illicitum et iniustum per acci- avrebbe agito contro i dettami della propria coscienza.
denso Stat quidem, quod quis habeat ius ad recuperan- Ma si deve notare che può essere che una guerra sia
duro civitatem ve! provinciam et tamen ratione scanda~ giusta in sé e al contempo illecita e ingiusta secondo le
li fiat prorsus illicitum. Cum enim. ut supra diximus, circostanze accidentali. Può essere, insomma, che qual-
cuno abbia diritto a riprendersi una città o una provin-
cia, e che tuttavia la cosa sia senz'altro illecita, per lo
scandalo che comporta. Infatti, poiché, come abbiamo

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bella geri debeant pro bono communi, si ad recuperan- detto, le guerre devono essere fatte per il bene comune,
dum unam dvitatem necesse est, ut sequantur maiora se per riprendere una città la comunità politica va ne-
mala in re publica - U[ vastatio multarum civitatum etc.. cessariamente incontco a mali più grandi - devastazio-
irritatio principum. occasiones novorum bellorum _, ne di molte città, ecc.. provocazione dei principi, occa-
non est dubium, quin reneatur talis princeps cedere iu- sione di nuove guerre -, non c'è dubbio che quel prin-
re suo et abstinere se a bello. ClarissUnum est <, quod cipe è tenuto a rinunciare al proprio diritto, e a astenersi
si rex Gallorum, verbi gratia, haberet ius ad recuperan- dalla guerra. È chiarissimo che se, ad esempio, il re di
dum Mediolanum, ex bello autem et regnum Galliae et Francia avesse diritto di riprendersi Milano, ma se dal-
ipsa provincia Mediolanensis paterentur inroleranda Ia guerra il regno di Francia e la stessa provincia di Mi-
mala et calamir3tes graves. non licer ci recuperare, quia lano soffrissero mali intollerabili e gravi calamità, non
bellum ipsum aut fieri debet ve! propter bonum Galliae sarebbe lecito riprendere la città, perché questa guerra
aut Mecliolani. Quando ergo e contrario utriusque ma- deve essere fatta per il bene della Francia o di Milano.
gna mala ex bello futura sunt, non potest bellum iustum E penanto quando, al contrario, dalla guerra derivino a
esse>. entrambe grandj mali, la guerra non può essere giusta.
Quacstio quartn Quarta queslione

\I pars Il parte
Quantum liceat Quale sia la misura del lecito
in bello iusto in una guerra giusta

1. Primum dubium et bonum profecto, an liceat in bello in- 1. TI primo dubbio, e più importante, è se in guerra sia leci-
terficere innocentes. to uccidere gli innocenti.
2. Secundum dubium est, an liceat saltem spoliare in bello 2. TI secondo dubbio è se, in una guerra giusta, almeno sia
IUsto Innocenles. lecito espropriare gli innocenti.
J. Teroum dubium est, dato quod non liceat interficere J. TI terzo dubbio è, dato che non è lecito uccidere i fan-
pueros et innocentes, an saltem liceat ducere illos in cap- ciulli e gli innocenti, se almeno sia lecito trarli in prigio-
tivitatem. ma.
4. Quartum dubium est, utrum saltem obsides, qui vel tem- 4. TI quarto dubbio è se almeno gli ostaggi che il nemico ha
pore indutiarum vel peracto bello ab hostibus recipiuntur, inviato, durante una tregua o a guerra terminata, possa-
inter/ici possint, si hostes fidem fregerint. no essere uccisi, nel caso che i nemici non mamengano la
parola data.
5. Quintum dubium est, an saltem in bello liceat inter/ice- 5. TI quinto dubbio è se almeno sia leciro in guerra uccide-
re omnes nocentes. re tutti i colpevoli.
6. Sextum dubium est, an liceat ùlter/icere captivos, suppo- 6. TI sesco dubbio è se sia lecito uccidere i prigionieri, nel-
sito etiam, quodfuerunt nocenles. l'ipotesi che siano stati colpevoli.
7. Sequitur septimum dubium, utrum omnia capla in bello 7. TI settimo dubbio, poi, è se tutte le cose prese in guerra di-
/tant capientium et occupanlium. vengano proprietà di coloro le hanno prese e le detengono.
8. Octavum dubium est, utrum liceat imponere victis hosti- 8. L'ottavo dubbio è se sia lecico imporre tributi ai nemici
bus tributa. VLntl.
9. Nonum dubium est, an liceat deponere principes hostium 9. li nono dubbio è se sia lecito deporre i principi dei ne-
et novos constiluere vel sibi retinere pn·ncipatum. mici, e costituirne di nuovi, o annettersi il principato.

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Circa aliam etiam quaestionem sunt multa dubia, vi- Anche circa l'altra questione vi sono molti dubbi; la
delicet quaestio erat, quantum liceat in bello iusto. questione era quale sia la misura del lecito in una guerra
giusta.
1. Primum dubium et bonurn profecto, an liceat in bel- 1. TI primo dubbio, e più importante, è se in guerra sia
lo inter/icere innocentes. lecito uccidere gli innocenti.
Potest probari, quod sir-. Primo, quia filii Israel in- Si può dimostrare di sì. In primo luogo perché i figli
terfecerunt infantes, ut patet Ios 6, 20-21, in Iericho et d'Israele uccisero i bambini a Gerico (los 6, 20-21), e poi
postea Saul interfecit in Arnalec pueros - utrumque ex anche Saul uccise i fanciulli in Amalec, in entrambi i ca-
auctoritate et mandato Domini, ur habetur 1 Sam 15,8. si per autorità e comando di Dio (l Sam 15,8). Ma «tut-
Quaecumque autem scripta sunt, ad nostram doctrinam to quello che è stato scritto, è stato scritto per nostro amo
scripta sunto Ergo etiam nunc, si beUum sit iustum, lice- maestramento» (Rom 15, 4); quindi anche ora, se una
bit interficere innocentes. guerra è giusta, è lecito uccidere innocenti.
Sed de hoc dubio sit prima propositio: Numquam li- Ma su questo dubbio la prima tesi è questa: nOI1 è
cet per se et ex intentione interficere innocentem. mai lecito uccidere /Jinnocente in quanto tale, e intenzio-
Probatur primo Ex 23,7, ubi dicitur: lnsontem et iu- nalmente. Lo dimostra dapprima l'Esodo (23, 7): «tu
stum non occides.' non ucciderai l'innocente e il giusto».
Secundo probatur: Fundamentum iusti belli est In secondo luogo, la si dimostra col fatto che, come
iniuria, ut supra dictum est. Sed innocens nihil malum si è detto prima, il fondamento di una guerra giusta è
fecir. Ergo <non licet bello uti contra illum>. l'offesa. Ma l'innocente non ha commesso alcun male.
Quindi non è lecito fargli guerra.
Tertio probatur sic: Non licet in re publica pro de- In terzo luogo, la si dimostra perché in una comunità
lictis malorum punire innocentes. Ergo etiam nec pro politica non è lecito punire gli innocenti per i delitti dei
iniuria malorum non licet interficere innocentes apud malvagi. Quindi neppure fra i nemici è lecito uccidere
hostes. gli innocenti, neppure per i torti compiuti dai malvagi.
Quarto, quia alias esset iam bellum iustum ex utra· In quarto luogo, perché in caso contrario la guerra
que parte <seclusa ignorantia>. Patet, quia etiam inno- risulterebbe giusta da entrambe le parti, in una circo-
centibus liceret se defendere. Et confirmatu! totum stanza diversa dall'ipotesi dell'ignoranza. È infatti evi-
hoc, quia Dt 20, 13-14 mandatur filiis Israel, ut cum vi dente che anche agli innocenti sarebbe lecito difender-
ceperint civitatem, alios quidem interficiant, parcant si. E tutto ciò trova conferma, perché è stato comanda·
autem mulieribus et parvulis. to ai figli d'Israele (Dt 20,13-14) di uccidere pure i ne-
mici, quando prendevano con la forza una città, ma di
risparmiare le donne e i bambini.
Ex quo sequitur, quod etiam in bello contra Turcas Ne consegue che neppure nella guerra contro i Tur-
non licet interficere infantes. Patet, quia sunt innocen- chi è lecito uccidere i fanciulli. È chiaro, infatti, che so-

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teso Immo nec feminas. Patet, qula, quamum ad be1lum no innocenti. E anzi neppure è lecito uccidere le don-
spectat, praesumuntur innocentes, oisi forte constet de ne. È chiaro, infatti, che per quanto riguarda la guerra
aliqua femina, quod fuerit in culpa. è da presumersi siano innocenti, tranne che non vi sia la
certezza che qualche donna sia colpevole.
<Item idem videtur iUcllcium de innoxiis agricolis Parimenti, il medesimo sembra il criterio per giudi-
apud Christianos, immo de alia gente togata et pacifica, care, nelle guerre fra i cristiani, dei contadini inermi, e
quia omnes praesumuntur innocentes, nlsi contrarium anche di altri, come i pacifici letterati, poiché sono tut-
constaret.> ti da presumere innocenti, se non c'è la certezza del con-
trario.
Secundo sequitur, quod non licet imerficere pere- Ne consegue, in secondo luogo, che non è lecito uc·
grinos neque hospites, qui sunt apud hostes, quia pIae- cidere i viaggiatori stranieri e gli ospiti che si trovano fra
sumuntur rnnocentes. i nemici, poiché si presume siano innocenti.
Tertio sequltur idem de clericis et religiosis, nisi con· In terzo luogo ne consegue la medesima cosa per gli
stet de contrario vel inventi fuerint actualiter pugnantes uomini di Chiesa e i religiosi, se non si ha la certezza del
in bello. Non dubito de hoc. contrario, o se non sono stati sorpresi sul fatto a com-
battere in guerra. Su ciò non c'è dubbio.
Secunda propositio: Per accidens autem etiam sàen- Seconda tesi: tuttavia incidentalmente, anche se con·
ter aliquando licet interficere innocentes, puta cum OppU- sapevolmente, è lecito in certi casi uccidere innocentl~ ad
gnatur arx aut dvitas iuste, in qua tamen constat esse esempio quando, nel corso di una guerra giusta, si assedia
multos innocentes, nee possunt maehinae solvi vel alia te- una fortezza o una città nella quale pure si sa che ci sono
ia vel ignis aedi/iciis subicl~ quin etiam opprimantur in- molti innocentI: e non si possono sparare i cannom: né si
nocentes sicut nocentes. possono lanciare altri proiettili o appiccare il fuoco agli
edifiCl~ senza che si travolgano anche degli innocentJ~ in-
sieme ai colpevoli.
Probatur, quia alias non posset geri be1lum contra Ciò è dimostrato dal fatto che in caso contrario non
ipsos nocentes et frustraretur iustitia be1lantium <, si· si potrebbe far guerra contro gli stessi colpevoli, e sa-
cut, e contrario, si oppidum oppugnarur iniuste et iuste rebbe frustrala la giusta causa di chi fa la guerra; allo
defenditur, licet mittere machinas et alia tela in obses- stesso modo, nel caso contrario, se una città è ingiusta-
sores et in castra hostium, dato quod inter illos sint ali- mente aggredita e giustamente si difende, è lecito rivol·
qui pueri aut innoxll>. gere i cannoni e gli altri proiettili contro gli assedianti e
contro gli accampamenti dei nemici, anche se in essi si
trovano alcuni fanciulli o degli inermi.
Sed esI considerandum, quod paulo ante dictum est, Ma bisogna considerare ciò che è stato detto poc'an·
quod oportet cavere, ne ex ipso bdIo sequantur maiora zi, cioè che si deve evitare che dalla guerra derivino mali

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mala quam vitenrur per ipsum bdlum. Si enim ad vic- superiori a quelli a cui la guerra pone rimedio. Infatti, se
toriam parum confert expugnare arcem aut oppidum, ai fini della vittoria poco impona espugnare una fortez-
ubi est praesidium hostium et sunt multi innocentes, za o una città fortificata in cui si trova un presidio di ne·
non videtur, quod liceat ad expugnandum paucos no- mici insieme a molti innocenti, allora non sembra lecito
centes occidere mu1tos innocentes subiciendo ignem per sconfiggere pochi colpevoli uccidere molti innocen-
vd rnachinas. quibus opprimantur innocentes cum 00- ti, appiccando il fuoco o sparando i cannoni, che posso-
centibus. Et tandem numquam videtur licitum oppri- no colpire innocenti e colpevoli. Insomma, non pare mai
mere innocentes etiam per accidens et praeter inrentio- lecito uccidere innocenti, neppure incidentalmente e
nem, nisi quando <ad> bellum iustum expedit et geri ininrenzionalmente, se non quando giova alJaguerra giu-
alitet non potest, iuxta illud Mt 13,29-30: Sinite crerce- sta, e quando questa non può essere condotta in altro
re ziuznio, ne eradicetis simul et tritù:um.' modo, secondo il detto (Mt 13,29-30) «1asciate crescere
la zizzania, per non sradicarla insieme al grano».
Sed cuca haec potest dubitari, an liceat interficere in- Ma a questo proposito ci si può interrogare se sia Le-
nocentes, (J quibus tamen futurum imminel perictllum, ut cito uccidere quegLi innocenti dai quali tuttavia deriverà
puta fùii Saracenorum sunt innocentes, sed timendum un luturo pericolo; come, ad esempio, i figli dei Sarace·
merito est, ne facti adulti pugnent contra Christianos. ni sono innocenti, ma ci sono buoni motivi per temere
Et praeterea etiam cagati puberes apud hostes etiam che, divenuti adulti, combattano contro i Cristiani.
praesumuntur innocentes, sed isd postea accipient ar· Inoltre, anche i giovinetti adolescenti che stanno fra i
ma et pugnarent contra Christianos. Quaerituf, an liceal nemici sono presunti innocenti, ma questi poi prende-
taler interficere. ranno le armi e potrebbero combattere contro i Cristia-
ni. Si chiede re ria lecito uccidere cortoro.
Et videtur, quod sic, quia per accidens etiam licet in- Patrebbe di sì, poiché in via accidentale è lecito an-
terficere alios innocentes. Item Dt 20,13-14 praecipitur che uccidere degli innocenti. Così (Dt 20, 13-14) viene
fùiis Israel, ut cum expugnaverint aliquam civitatem, in· comandalO ai figli d'Israde che, quando espugnano una
terociant omnes puberes. on autem est praesumen· città, uccidano lUtti gli adolescenti. Ma non si può pre-
dum, quod omnes sunt nocentes. Ergo. sumere che questi siano rutti colpevoli. Quindi sembra
lecito.
Respondetur tamen ad hoc: Licet fortasse posset Ma a ciò si deve tuttavia rispondere così: anche se for·
defendi, quod in tali casu licet eos interficere, ta- se si può sostenere che in qud caso è lecito ucciderli, cre-
men credo, quod nullo modo licet, quia non sunt do nondimeno che non sia in alcun modo lecito, poiché
facienda mala, ut vitentur etiam alia mala maiora. non si deve fare il male per evirare altti mali maggiori. Ed
Et intolerabile est plOfecto, quod occidatur aliquis è proprio intollerabile che qualcuno venga ucciso per un
pro peccato futuro. Et primum sunt multa alia re· peccato futuro. E in primo luogo vi sana molti altri ri-
media ad cavendum in futurum ab illis, ut captivi- medi per guardarsi, per il futuro, da qudli, come la pri-

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tas. exilium etc. Item non licet hoc in propriis civibus: gionia. l'esilio, ecc.; e inoltre come non è lecito uccidere
occidere aliquem pro peccato futuro. Ergo non licet in i propri cittadini per un peccato futuro così non lo è nep-
extraneos. Non dubito de hoc. Vnde sequitur, quod si· pure nei riguardi degli stranieri. Su ciò non ho dubbi. Ne
ve iam parta victoria, sive cum actu bellum geritur et consegue che se - una volta ottenuta la vittoria. oppure
constat de innocentia alicuius et milites possunt eUffi quando ancora la guerra è effettivamente ln corso - si ha
liberare. tenentur. la certezza dell'innocenza di qualcuno. e i soldati posso·
no liberarlo, vi sono tenuti.
Ad argurnentum autem in conuarium respondetur, All'argomentazione contraria si risponde che quella
quod illud facrum fuit ex speciali mandaro Dei, qui indi· misura era stata presa dietro comando speciale di Dio,
gnatus contra populos illos voluit perdere omnino. sicut che indignato contro quei popoli li volle far scomparire
misit ignem in Sodomam et Gomorrham, qui devoravit del tutto, allo stesso modo in cui inviò contro Sodoma
tam nocentes quam innocentes. Ipse enim erat dominus e Gomorra il fuoco, che consumò tanto i colpevoli
omnlum, nec istam legem voluit esse in communi. quanto gli innocenti. Egli era infatti il Signore di rutti gli
uomini, ma non volle certo che questa legge divenisse
una regola generale.
Et ad illud Deuteronomii (20, 13·14) posset eodem E a quel brano del Deuteronomio (20, 13·14) si po·
modo responderi. Sed quia illic dara est lex belli com· trebbe rispondere allo stesso modo. Ma poiché lì si è vo·
munls in Offine tempus futurum. potius videtur, quod il· Iuta stabilire una legge generale di guerra, che deve va·
lud Domlnus dixit, quia revera omnes puberes -repu· lere per ogni tempo futuro, sembra piuttosro che il Si·
tantur- in civitate inimica nocentes et non possunt di· gnore abbia fatto quell'affermazione perché davvero
stingui innocentes a nocentibus. Et ideo omnes possunt tutti gli adolescenti in una città nemica vengono ritenu-
occidi. ti colpevoli, e non si possono distinguere i colpevoli da·
gli innocenti. E quindi possono essere tutti uccisi.
2. Secundum bonum dubium est, an liceat saltem spo· 2. U secondo importante dubbio è se, in una guerra giu-
bare in bello iusto innocentes. sta, almeno sia tedto espropriare gli innocenti.
Ad quod sit prima propositio: Certum est, quod licet A questo riguardo, la prima tesi è: certamente è Le·
spollare illos bonis et rebus, quibus hostes usuri sunt ad· cito espropriarli di quei beni e di quelle cose di cui i ne·
versum nos <.ut armis, navibus, machinis>. mici si serviranno contro di no~ come arml~ navi. can-
nOni.

Patet, quia alias victoriam consequi non possemus. È chiaro infatti che altrimenti non potremmo conse-
!mmo etiam licet accipere pecunias innocentium et guire la vittoria. Anzi, è anche lecito prendere denaro
comburere et corrumpere frumenta et occidere equos, dagli innocemi, bruciare e distruggere i raccolti, ucci-
et ita opus est ad debilitandas hostium vires. Non est dere i cavalli: così è necessario, per indebolire le forze
dubium de hoc. del nemico. Su ciò non c'è dubbio.

72 73
Ex quo sequitur corollarium, quod si bellum sit per- Ne consegue come corollario che se vi è una guerra
petuum, [icet indifferente, spoliare omnes, 10m innocen· perpetUIJ è lecito espropriare tutti senza distinzione, sia gli
les quam nocentes, quia ex opibus suorum hostes o/uni innocenti sia i colpevou; poiché i nemio' con le ricchezze
bellum iniustum et e contrario dehilitantur vires eorum, dei loro cittadini alimentano la guerra ingiusta, e, al con-
si aver eorum spoliantur. trario, se i loro o'lladini vengono espropriati, le loro for-
ze vengono indebolite.
Secunda propositio: Si bellum satis commode geripo- Seconda tesi: se la guerra può eHere condoIla abba-
test non spoliando agricolas aut alios innocentes, non vi· stanza efficacemente senza espropnare i contadini o altn'
detu" quod liceat eos spoliare. innocenti, sembra che non SIa lecito espropnarli.
Hoe tenet Silvester (in v. bellum 1,5 IO), quia bel- È questa la posizione di Silvesrro (v. bellum, I 5 IO),
lum fundarur in iniuria. Ergo non licet iuce belli inter- poiché la guerra ha come origine un rorto. Quindi a
fiecce innocenres neque spaliare, si aliunde polest com- norma dd dirino di guerra non è lecito né uccidere né
pensare iniuria. lmmo addit Silvester, quod eriam si fue- espropriare innocenti, se il torto subìto può essere ripa-
rir iusta causa spoliandi innocentes, quod transac[Q bel- rato in altro modo. Anzi, Silvestro aggiunge che, anche
lo tenetur vietor restitue re illis quicquid superest. se ci fosse stata una giusta causa per espropriare gli in-
nocenti. una volta che la guerra sia finita il vincitore è
tenuto a restituire loro tuno ciò che è rimasto.
Sed hoe non puto esse necessarium, quia, ut infra di- Ma questo non lo credo necessario, perché, come si
ceme, si iuce belli faetum <sit>. omnia cedunt in favo- dirà oltre, se l'esproprio è fano secondo il dirino di
ccm gerentium iustum bellum. Unde si I.icite sunt cap- guerra tutto va a favore di coloro che combattono la
t3, puto, quod non teneantur ad restirutionem. Dictum guerra giusta. Pertanto, se questi beni sono stati presi
tamen domini Silvestri pium est et non improbabile. lecitamente, credo che i vincitori non siano tenuti a re-
sutuirli. Tuttavia, la tesi di Silvestro è ricca di pietà cri-
stiana, e non inammissibile.
Spoliare autem peregrinos et hospites <, qui sunt Ma non è in alcun modo lecito spogliare i viaggiato-
apud hastes>, oisi constet de culpa illorum, nullo mo- ri stranieri e gli ospiti che si trovano fra i nemici, se non
do licet, quia illi non sunt de numero hosrium, sed po- si è certi della loro colpa, poiché quelli non sono da an-
tius reputantur innocentes. noverarsi fra i nemici, e sono piuttosto ritenuti inno-
centi.
Tenia propositio: Si hostes nolunt restituere res iniu- Terza tesi: se i nemici non vogliono restituire i beni in-
ria ablatas et non possit, qui laesus est, aliunde commode giustamente sollratll; e chi ha subìto il torto non li potes-
recuperare, potest undecumque satisfactionem capere se recuperare in altro modo con /aaHlà, questi può pren-
- sive a nocentibus, sive ab innocentibus. dersi soddisfazione da un'altra parte, sia dai colpevoli sia
dagli innocenti.
74 75
Ut si latrones Galli fecerinr praedas in agrum ili- Se ad esempio dei briganti francesi saccheggiassero
spanorum et rex Francorum nalit cogere illos ad resti· i campi spagnoli e il re di Francia, pur avendone il po-
tutionem, cum possit, possunt Hispani auctocitate sui tere, non li volesse costringere alla restituzione, gli Spa-
principis spaliare mercatores Gallos aut agricolas quan· gnoli con l'autorizzazione del loro principe possono
turncumque innocences. QUi3 licet forre a principio res espropriare i mercanti o i contadini francesi, benché in~
publica aur princeps Gallorum non fuerit in culpa, iam nocenti. Perché, benché forse all'inizio la comunità po-
est in culpa, quia neglegit vendicare, ur ait Augustinus. litica di Francia o il principe dei Francesi non fossero
quod improbe a suis factum est, et princeps laesus patest colpevoli, ormai lo sono, dato che, come dice Agostino,
ex amni parte satisfactionem accipere. Unde litterae «omettono di punire i propri cittadini per ciò che han~
marcharum aut represaliaruffi, quae a principibus in no fatto di male"" e il principe che ha subito il torto
huiusmodi casibus conceduntur, non sunt amnino iniu- può prendersi soddisfazione da qualsiasi parte. Pertan-
stae, quia per negligentiam et iniuriam alterius principis to, le lettere di corsa o di rappresaglia che in siffatle cir-
concedit laeso suus princeps, ur possit recuperare bona costanze vengono concesse dai principi non sono com·
sua etiam ab innocentibus. Sunt autem periculosae et pletameme ingiuste, perché, a causa della negligenza e
praebenr occasionem rapinarum. dell'ingiustizia di un altro principe, a chi ha subìto il toro
to il suo principe concede di poter recuperare i suoi be~
ni anche dagli innocenti. Ma sono pericolose, e danno
occasione a rapine.
3. Tertium dubium: DOlO, quod non liceol inlerficere 3. Terzo dubbio: dolo che non è lecilo UCCIdere ifonciul-
pueros et innocentes, on sal/cm liceal ducere il/aJ in cap- li e gli innocentz~ se almeno sia lecito trarli in prigionia.
tivitatem. Su ciò, questa è la prima tesi: è lecito trarli in prigionia,
Ad hoc sit prima propositio: Eodem modo licei du- 01medesimo modo in cui è lecilo espropriarli, poichéliberlà
cere il/os in captivi/atem, sicu! licet spaliare il/os, quia li· e prigionia sono da annoverarsi/ra i beniacaaentali.
ber/as et captivitas inter bona fortunae reputan/Uf. Pertamo, quando la guerra è di tipo tale che è lecito
Unde quando bellum est talis condicionis, quod li- espropriare senza distinzione tutti i nemici e imposses~
cet spaliare indifferenter omnes hostes et occupare om- sarsi di tutti i loro beni, è lecito anche trarre in prigio-
nia bona illorum. etiaro !icer ducere in captivitatem Offi- nia tutti i nemici, colpevoli o innocenti che siano. E da-
Des hostes, sive nocentes, sive innocentes. Et cum bel· to che la guerra contro i pagani è appunto di tal fatta
lum adversus paganos sit huiusmodi, quia est perpe· - poiché è perpetua, e i nemici non possono mai rende~
tuum et numquam satisfacere possunt pro iniuriis et re soddisfazione delle offese e dei danni procurati -, è
damnis illatis, ideo non est dubitandum, quin liceat et quindi fuori di dubbio che sia leciro trarre in prigionia
pueros et feminas Saracenorum ducere in captivitatem. anche i fanciulli e le donne dei Saraceni. Ma poiché
Sed quia iute gentium viderur reeeptum, ur Christian i sembra che sia entrato nel diritto delle genti il principio
inter Christianos non Rant servi, in bello quidem inrer che i Cristiani non riducono in servitù altri Cristiani,

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Christianos licet, si ita opus est ad fmem belli <captivos sembra lecito in una guerra fra Cristiani - se è necessa-
ducere etiam innocemes, ur pueros et feminas, non qui· rio ai fini della guerra - prendere prigionieri anche gli
clero in servitutem, sed ur pro illorum redemptione pe· innocenti. come i fanciulli e le donne; e non per farne
cunias recipiamus, licitum esser. Quod tamen exten- degli schiavi, ma perché possiamo acquisire denaro dal
dendum non est ultra quam belli necessitas postulet; loro riscano. E questa pratica, tuttavia, non deve essere
consuetudo legitirne belligerantium obtinuit>. estesa al di là di ciò che è richiesto dalla necessità della
guerra; lo ha sancito la consuetudine dei legittimi belli-
geranti.
4. Quartum dubium est, utrum saltem obsides, qui vel 4. TI quarto dubbio è se almeno gli ostaggi che il nemico
tempore indutiarum vel peracto bello ab hostibus rea- ha invia/o, durante una tregua o a guerra terminata, pos-
piuntur, interfici possint, si hostes fidem [regerint. sano essere ucds~ nel caso che j nemid non mantengano
la parola data.
Respondetur per unicam conclusionem, quod si ab- Si risponde con una sola conclusione, che se gli
sides alias sini de numero pula nocentium, qui tulerunl ostaggi provengono da un gruppo di colpevoli che, ad
contra arma, interfiei <iuTe> possunt in hoc casu. Si au- esempio, in passato hanno imbracciato le armi: in tal ca-
tem sini innocentes, ex supro dictis constai, quOti inter/i- so possono a buon diritto essere ucdri. Ma se sono inntr
ci non possunt. Non est dubitandum de hoc. cent~ da quanto si è detto poc'anzi emerge che non pos-
sono essere ucasi. Su ciò non vi è dubbio.
5. Quintum dubium est, an saltem in bello iusto liceat 5. TI quinto dubbio è se a/meno, nella guerra giusta, sia
interfieeTe omnes nocenles. lecito uccidere tutti i colpevoli.
Pro responsione notandum, quod bellum geritur Per rispondere si deve notare che la guerra viene fat-
primo ad defendendum nos et nostra, secundo ad recu- (a in primo luogo per difendere noi e le nostre cose, in
perandum res ablatas, tenio ad vindicandum iniuriam secondo luogo per recuperare le cose sottratte, in terzo
acceptam, quarto ad pacem et securitatem paranclam. luogo per punire l'offesa ricevuta, in quarto luogo per
procurare pace e sicurezza.
His suppositis sit prima propositio: In ipso actua" Sulla base di questi presupposti, la prima tesi è che
conflictu proelii vel in impugnatione vel de[ensione civi- durante l'impeto del combattimento di una battaglia, o
tatis licet indifferenter inter/ieeTe omnes, qui contra pu- durante un assalto oppure una dIfesa di una città, è lecito
gnon!, et, brevi/eT, quamdiu res est in periculo. uccidere indistintamente tutti i nemici combattentz: e, in
breve, che è lecito finché lo situazione è in pericolo.
Hoc patet, quia aliter bellum bene gerere non pos- Ciò è chiaro, perché i combattenti non potrebbero
sent be1lantes nisi tollendo ornnes in contrarium bel- condurre bene la guerra in altro modo, se non toglien-
lantes. do di mezzo tutti queUi che combattono contro di loro.
Sed totum dubium est, an habita iam scilicet victo- Ma il cuore del dubbio è se, ottenuta ormai la vitto-
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ria, utrum liceat interficere omnes hostes, qui arma tu- ria, ~ia lecito uccidere tutti i nemici che hanno preso le
temnt, ubi iam nullum est periculum ab hostibus. Et vi- armi, anche se dai nemici non proviene più alcun peri-
detur, quod sic. Naro, ut supra dictum est, inter prae- colo. E sembra di sì. Infatti, come si è detto sopra, fra i
cepta, quae Dominus dedit Dt 20, unum est, quod est comandi che il Signore ha dato (Dt 20,10-(4) ce n'è uno
notandum, quod expugnata civitate hostium interfice- che d~~ essere notato, e cioè che, una volta espugnata
rentur omnes habitatores illius. Haec sunt verba illius ~na citta neImca, se ne devono uccidere tutti gli abitan-
100: Quando aeeesseris ad pugnandam dvitatem, offeres ti. Queste sono le parole di quel passo: «Quando ti av-
ei primum pacem. Si autem reeeperit et aperuit tibi por· vicinerai a una cirtà per assalisla, proponile prima la pa-
tas, cunetus populus, qui in ea est, salvabitur et seroiet ti· ce. Se l'accetta e ti apre le porte, tutto il popolo che la
bi sub tributo. Sin autem noluent et roepent rontra te abita sia salvo, e ti sia tributario e soggetto. Ma se rifiu-
be//um, oppugnabis rontra il/am. Cumque tradiderit Do- ta la pace, e intraprende COntro di te una guerra, com-
minus Deu! tuus il/am in manu tua, percuties omne, quod battila. E quando il Signore tuo Dio te la darà nelle ma-
in ea est generis masculini, in ore gladii absque mulieri· ni passa a fù di spada cutti i maschi che sono in essa, ma
bus et infantibus. non le donne e i bambini».
Sed sit secunda propositio: Habita vietoria et rebus E questa è la seconda tesi: raggiunta la vittoria e mes-
iam extra periculum positis licet inter/ieere nocentes. sa al sicuro la situazione, è ledto ucddere tutti i colpevoli.
Prohatur, quia non solum ordinatur ad recuperan- Lo dimostra il fatto che la guerra ha come proprio fi-
das res perditas, sed etiam ad vindicandum iniuriam. ne non solo recuperare le cose sottratte ma anche puni-
Ergo -pro iniuria praeterita- licet interficere auetores re un'offesa. Quindi a causa dell'offesa passata è lecito
mlUnae. ucciderne i responsabili.
Item hoc licet in proprios cives malefacrores - ergo Inoltre, è lecito agire così contro i propri concittadi.
etiam in extraneos, quia, ut supra dictum est, belli prin- ni che hanno compiuto delitti; quindi, è lecito anche
cipes iure belli auetoritatem habent in hostes sicut legi- contro gli estranei, poiché - come si è detto in prece-
timi principes et iudices. denza - i principi che fanno guerra hanno, per diritto di
guerra, autorità sui nemici, come se ne fossero i princi-
pi legittimi e i giudici.
Item, quia licet in praesentia non esset periculuro, ta- Iofme, è lecito perché, nonostante sul momento non
men in futururo securitas non haberetur. vi sia pericolo, nondimeno in futuro non si avrebbe si-
curezza.
Tertia propositio: Solum ad vindicandam iniuriam Terza tesi: se Il fine è solo que//o di punire le offese,
non semper licet inter/ieere omnes noeentes. non sempre è ledto uccidere tutti i colpevoli.
Probatur, quia etiam inter cives non liceret, si etiam Lo dimostra il fatto che anche fra i cittadini, se fos-
esset delictum totius civitatis, interficere omnes se commesso un delitto da parte di un'intera città non
delinquentes, nec in communi rebellione liceret sarebbe lecito uccidere tutti coloro che se ne sono ~ac-

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perdere totum populum. Vnde et cum simili facto chiati, e che neppure nel caso di una ribellione di mas-
Theodosius ab Ambrosio -.- ab eccles.a est proh.bltus. sa è le~it~ distrugge.re un intero popolo. E quindi per un
Esset enim hoc contra publicum bonum, quod tamen fatto simile TeodoslO fu allontanato, da Ambrogio, dal-
est finis belli et pacis. Ergo etiam non licet occidere om- la Chiesa. S. tratterebbe infatri di un comportamento
nes nocentes ex hostibus. comrario al pubblico bene, che è invece il ftne della
guerra e della pace. Quindi, neppure fra i nemici è leci-
to uccidere tutti i colpevoli.
Oportet ergo habere rationem iniuriae ab hostibus Pertanto si deve valutare la misura dell'offesa rice-
acceptae et damni ilIati et aliorum delictorum et ex. hac vuta dai nemici, del danno arrecato e degli altri delitti
consideratione procedere ad vindictam amni 3trootate e da q.uesta vaJutazione si deve procedere alla punizio~
et inhumanitate seclusa. In hoc enim proposito Cicero ne, eVitandosi ogni atrocità e ogni disumanità. E infatti
De ojfidis air, quod animadverten~um est in obnox~'os~ a questo proposito Cicerone afferma, in De officiis (II,
quantum aequi/ar et humanitos potlon/uf. Et S~~s~u~: 5), ehe «SI devono prendere misure eontro i colpevoli,
Maiores, inquit, nostri religiosissimi mortaies nthtl VlctlS per quanto lo consentano la giustizia e l'umanità». E
eripiebant praeter iniuriae licentiam. Sallustio dice: «1 nostri antenati, uomini piissimi, non
sottraevano ai vinti nulla se non la libertà di recare of.
fesa»2.
Quarta propositio: Aliquando licei el expedil inler/i- ~uarta tesi: in alcuni CIlsi è anche lecito e opportuno,
l

cere omnes nocentes. ucadere lulli i colpevoli.


Probatur, quia etiam bellum gcrirur ad pariend~ 10.dimostra il fatto che la guerra è fatta perché ne
pacem. Sed aliquando obtineri securitas non potest, s. scarunsca la pace. Ma in certi casi la sicurezza non può
non opprimancur omnes hosres. Et hoc .max1ID.e ~d~rur essere ottenuta se non attraverso l'eliminazione di rutti
contra infideles, a quibus numquam ullis condiclornbus i nemici. Quesro sembra essere soprarrutto il caso della
pax spectari potest. Et ideo unicum remedium est om- guerra contro gli infedeli, dai quali non ci si può mai
nes tollere, qui contra arma ferre possunt. dummodo aspettare una pace, a nessuna condizione. E penanto
iam fuerint in culpa. Et ita intelligendum est praecep- l'unico rimedio è eliminare tutti quelli che possono por-
tum ilIud DI 20, 13. tare le anrn, purché si siano macchiati di colpa. È così
che deve essere interpretato il precetto di DI 20, 13.
Alias autero in bello contra Christianos non puto, Ma nd caso di una guerra fra Cristiani non credo che
quod hoe sit licitum. Cum enim neeesse sit, u~ veniant ciò sia lecito. Poiché è infatti inevitabile che si produ-
scandala et bella inter principes (MI 18, 7), s. semper cano scandali e guerre fra i principi (MI 18, 7), se il vin-
vietar interfieeret adversarios orones, esset magna per· citore uccidesse sempre tutti gli avversari ciò sarebbe
nicies generis humani <et Christianae religionis et orbis m?lt.o dannoso per il genere umano e per la rdigione
cito in solitudinem redigerelUr nec bella pro bono pu- Cristiana, e presto tutto il mondo sarebbe ridotto a un

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blico, sed in publicam calamitatem perdite geteten- deserto; e le guerre risulterebbero non condotte per il
tur>. Oportet ergo, ut pro mensura delicti sit plagarum pubblico bene ma, rovinosamente, per la pubblica ca-
modus <nec ultra progrediacur vinclicta>. lamità. Occorre dunque che <d'entità delJe pene sia
commisurata alla colpa» (Dt 25, 2), e che la vendetta
non si spinga oltre.
In quo etiarn habenda est consideratio, quod, ut s~­ A questo riguardo si deve inoltre considerare che
pra dictum est, subditi non tenentur oec debent eX~l· - come si è detto prima - i sudditi non hanno né il do-
nare causas belli, sed possunt sequi principem suum '? vere né il diritto di giudicare le cause delJa guerra, ma
bellum, contenti auctorirate principis et publici ~onsl. possono seguire iliaco principe alla guerra, acconten-
ili. Unde pro maiore parte, licet ex altera parte Sll beI- tandosi delJ'autorità sua e del consiglio pubblico. Quin-
lum iniustUffi, tamen milires, qui veniunr ad belIum et di, anche se la guerra di una delJe due parti è ingiusta,
pugnant aut defendunt civit3tes, ex utraque pane ~unt nondimeno i soldati che vengono alla guerra e combat-
mnocentes. Unde cum iam vieti sunt et non est pencu- tono, o che difendono le città, sono per la maggioranza
lum ab iIlis, credo, quod non licet ilIos interficere, nee innocenti dall'una e dall'altra parte. E quindi, quando
unum quidem ex illis, si praesumitur, quod bona fide sono vinti e non sono più fonte di pericolo, credo che
venerunt in proelium. non possano essere uccisi, neppure uno solo, se si pre-
sume che siano scesi in battaglia in buona fede.
6. Sextum dubium est, an liceat interficere captivos sup- 6. Sesto dubbio: se sia lecito uccidere i prigionieri, nell'i-
posi/o eliam, quod/uerint nocenles. potesi che siano stati colpevoli
Responderur, quod per se loquendo nihil obstat, Si risponde che, a rigore, nulla osta a che coloro che
quin dediti aut captivi in bello iusto, si fuerinr noc~t~, si sono arresi o sono stati fatti prigionieri in una guerra
internci possinr - servata [amen aequitate. Sed qwa m giusta, vengano uccisi, purché siano stati colpevoli, e
bello multa iuce gentium constituta sunt, viderur recep- fatta salva la giustizia. Ma poiché in guerra molte rego-
rum consuetudine, ur captivi habita victoria et peri culo le sono istituite per diritto delle genti, sembra ormai ac-
transeunte non inrerociantur, nisi forte sioe profugae. colto come consuetudine che i prigionieri, una volta che
Et servandum est istud ius gentium eo modo, quo inter sia stata conseguita la vittoria e sia passato il pericolo,
bonus viros servatum est. De deditis autem non lego non vengano uccisi, tranne che non siano dei rinnegati.
oec audio talem consuerudinem. <lmmo in deditioni· E questa regola del clisitto delle genti deve essere ri-
bus arcium civitarum solent, qui se dederunt, cavere si- spettata, come tradizione consolidata fra persone civili.
bi condicionibus, ur salva sint capita et salvi mittantur, Ma per coloro che si sono arresi non leggo né sento che
sia in uso una tale consuetudine. Anzi, nelle rese delle
fottezze delJe città coloro che si arrendono sono soliti
tutelarsi ponendo condizioni, cioè che sia loro rispar-
miata la vita e vengano lasciati andare salvi, evidente-

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scilicet veriti, ne si simpliciter et nullis condicionibus mente temendo, se si arrendono semplicemente e senza
dedantur, interficiantut. Et hoc a1iquoties factum legi. conclizioni, di venire uccisi. E leggiamo che qualche vol-
muso Unde non videtur iniquum, ut si oppidum nihil ca· ta ciò è avvenuto. Pertanto non sembra ingiusto che, se
vendo dedatur, mandato principis aut iudicis a1iqui, qui una città fortificata si arrende senza condizioni, alcuni,
fuerunt nocentiores, occidantur.> che siano stati più colpevoli, vengano uccisi per ordine
del principe o di un giudice.
7. Sequitut septimum dubium, ulrum omnia capla in 7. Settimo dubbio: se lulle le cose prese in guerra diveno
bello/ianl capienlium eloccupanlium. gano proprielà di coloro che le prendono e le delengono.
Ad hoc sit prima propositio: Non esi dubilandum, Su ciò questa è la prima tesi: non vi è dubbio che lui·
quin amnia capta in bello iusta usque ad sulficientem sa· to quanto viene preso in una gue"a giusta. fino al pieno
tisfactionem rerum ablatarum per iniuriam et etiam im- ammontare del valore delle cose sottratte ingiustamente.
pensarum belli/ianl occupanlium. e anche delle spese di guerra, divenga proprielà di chi le
detiene.
Nec indiget probatione ista conclusio, quia ilIe est fi· Questa conclusione non ha bisogno di dimostrazio-
nis belli. Sed seclusa consideratione restitutionis stando ne, poiché è questo il fine della guerra. Tuttavia, una
in solo iure belli distinguendum est-o Nam- capta in volta esdusa la restituzione, restando strettamente al di-
bello aut sunt mobilia, ut pecuniae, vestes, aurum, aut ritto di guerra si deve distinguere. Infatti le prede di
immobilia, ut agri, oppida, arces etc. guerra sono o beni mobili (come il denaro, i vestiti, l'o·
ro) o beni immobili (campi, città fortificate, fortezze).
Quo supposito sit secunda propositio: Mobilia qui· Ciò premesso, questa è la seconda tesi: secondo il di·
dem iure gentium omnia fiunt occupantium. eliam si ex- rillo delle genli lulli i beni mobili divengono propnelà
cedant compensationem damnorum. degli occupanli, anche se eccedono l'ammonlare dei dan·
ni di guerra.
Hoc patet ex lege Si quid bello et lege Hosles ff., De Ciò è evidente dalla legge Si quid bello e dalla legge
captivis, et capitulo lus gentium, d.l, et expressius Inst.• Hosles, de caplivis' e dal capitolo lus Cenlium, prima
De rerum divisione, S /Iem ea, quae ab hoslibus, ubi di· distinzione', e più espressamente dalle /nsliluliones (De
citur, quod iure gentium quae ab hostibus capiuntur, rerum divisione, S /Iem ea quae ab hoslibus)', dove si di·
statim nostra fium, adeo ut etiam liberi homines in no- ce che secondo il diritto delle genti ciò che prendiamo
stram servitutem deducantur. Et Ambrosius l. De pa- al nemico diviene subiw nostro, tanto che perfmo gli
triarchis dicit, cum Abraham occidit qumtuor reges uomini liberi diventano nostri schiavi. E Ambrogio in
(Cen 14), praedam quidem fuisse Abrahae victoris, De Palriarchi!" dice, quando Abramo uccise quattro re
quamquam recusaverit accipere. Et habetur 24, q. 5, C. (Cen 14), che il bottino era di Abramo in quanto vinci·
Dical. tore, benché egli abbia rifiutato di prenderlo (anche in
Decrelum Craliani 1123, 5, 25: capitolo Dical).
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E[ confirma[ur auc[ori[a[e Domini Dt 2D, 14, ubi de Lo conferma anche l'autorità dd Signore (DI 2D,
civitate expugnanda dieit: Omnem praedam exercitui di- 14), là dove Egli dice, sulle città da espugnare: «distri-
vides et comedes de spoliis hoslium luorum.' Hanc sen- buisci la preda fra il tuo esercito, e cibati dd bottino dei
tentiam tener Adrianus in quaestionibus De restitutione tuoi nemici». Ques[O è il parere di Adriano nelle que-
(q. speciali De bel/o) e[ Silves[er (in v. bel/um, S l e' 9), stioni De reslilulione (questione speciale De bel/o)7 e di
uhi dicit, quod qui iuste pugnavit, non tenetur restitue- Silves[ro (voce bel/um SS l e 9), là dove dice che chi ha
re praedam. Er haberur 24, q. 2, c. <Si de rebus. Ex quo combattuto una guerra giusta non è tenmo a restituire
infert, quod capta in bello iusto non compensantur eum il bottino. Anche il Decrelum Craliani (ll 23, 7, 2: Si de
debilo principali, ullenel eliam archidiaconus 23, q. 2>, rebus) sostiene che <<le prede di una guerra giusta non
c. Dominus nosler. l,a [ene[ Bartolw in dicta lege Si quid rientrano nd computo principale delle riparazioni di
in bello. Et hoc intelligetur, etiam si hostis sit paratus sa- guerra», com'è anche opinione dell'Arcidiacono (23,2,
tisfacere de damno et iniuria. Quod tamen limitat Sil- 2: Dominus nosler)·. È questa anche la posizione di Bar-
vester, et bene, quousque domini aequitati sit sufficien- tolo, nd commento alla citata legge Si quid in bello'. E
(er satisfactum de damno et iniuriis. 00 enim est in· ciò deve intendersi anche se il nemico è disposto a ri-
telligendum, quod si Galli destruerent unum pagum aut parare i danni e le offese. Tuttavia Silvestro pone, ara·
ignobile oppidum Hispanorum, quod licet Hispanis, gione, un limite, che cioè il signore offeso non vada ol-
etiam si possint, praedari [o[am Galliam, sed pro modo tre un'equa soddisfazione, sufficiente a ripagarlo dd
et quantitate iniuriae. danno e delle offese. on è infatti da intendersi che,
nell'ipotesi che i Francesi disttuggano un solo borgo o
una miserabile città fortifica'a in Spagna, sia lecito agli
Spagnoli, anche se lo potessero, saccheggiare tutta la
Francia; ma deve esserci proporzione rispeno alla mi-
sura e all'entità dell'offesa.
Sed ex hac de[erminatione sequirur dubium, an li- Da questa precisazione deriva un dubbio, se sia lea··
ceal permittere mi/itibus dvitatcm in praedam. lo abbandonare una cillà al saccheggio dei soldo Ii.
Responderur et si, [ertia propositio: Hoc de per se non Si risponde con questa terza tesi: dò di per sé non è
esI il/icilum, si necessarium esi ad bel/um gerendum velad illecito, se è necessario a condurre la gue"a o a spaventa-
delerrendos hosles vel ad accendendum mililum animoso re i nemici o ad infiammare gli animi dei soldati.
Ira dici[ Silvester (S lO). Sicut etiam lice[ incendere Così sostiene Silvestro (S ID). E allo stesso modo è
civitatem ex rationabili causa. Sed quia ex huiusmodi lecito incendiare la città, se ve ne è un motivo ragione-
permissionibus sequuntur multa saeva et crudelia mala vole. Ma poiché da simili concessioni derivano - com-
praeter omnem humanitatem. quae a barbaris in militi· messi da soldati simili a barbari - molti mali atroci e cru-
bus committuntur - innocentium caedes et cruciatus, deli al di là di ogni umanità, come stragi e torture di in·
virginum raptus, matronarum srupra, templorum spo- nocenti, ratti di vergini, stupri di donne, spoliazione di

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lia -, ideo sine dubio sine magna necessitate et causa Chiese, senza dubbio è ingiusto distruggere una città,
maxime civiratem Christianarn perdere iniquum est. soprattutto cristiana, senza una grave causa che lo ren-
Sed si ita necessitas poscit, non est illicitum, etiam si da necessario. Ma se lo richiede la necessità non è ille-
credibile sir, quod milites aliqua huiusmodi debent per- cito, anche se è probabile che i soldati commetteranno
petrare, quae tamen duces prohibere tenentur. alcuni atti di quel tipo, che i comandanti, però, sono ob-
bligati a proibire.
Quarta conclusio: His omnibus non obstantibus non Quana conclusione: nonostante tutto dò, non è led-
licet militibus sine auctontate pnndpis aut duds praedas to ai soldati saccheggiare o incendiare senza autoriu.a1i~
agere aut incendia lacere, quia ipsi non sunt iudices, sed ne del principe o del comandante; in/atti essi non sono
executores, et alias tenentur ad satisfactionem et restitu- giudici ma esecutori. In caso contrano sono tenuti a/la n'-
tionem. parazione e alla restituzione.
Sed de bonis et rebus immobilibus est maior diffi- Ma per i beni e le cose immobili la difficoltà è mag-
cultas. Sed sit quinta propositio: Non est dubium, quin giore. Tuttavia, al riguardo la quinta tesi è: non vi è dub-
liceat occupare et tenere ogrum et arces et quantum ne- hio che è lecito impadronirsi durevolmente di terre e /or-
cessorium est ad compensationem damnorum. <Puta si tezze, e di quanto è necessario a compensare i danni. Ad
hostes diruerint arcem nostram , incenderunt civitatem , esempio, se i nemici hanno distrutto una nostra fortez-
siJvas aut vineas aut oliveta, licebit occupare vicissim za, hanno incendiato una città, boschi, vigne, oliveti,
agrum hostium aut arcem aut oppiclum et tenere. Si sarà lecito impadronirci, a nostra volta, di un territorio
enim licet capere compensacionem ab hostibus pro re- dei nemici, o di una fortezza, o di una città fortificata, e
bus ablatis,> certum est, quod iure divino aut naturali teneru. Se infauj è lecito prendersi una riparazione
non plus licet hanc dispensationem accipere ex rebus compensatoria dai nemici per le cose che ci hanno por-
mobilibus quam immobilibus. tato via, e certo che secondo il diritto divino o naturale
questa riparazione non deve awenire in misura mag-
giore dai beni mobili che da quelli immobili.
Sexta conclusio: Etiam ad paranJam securitatem et Sesta conclusione: per garantire la sicurezza e per evi·
vitandum periculum ab hostibus licet occupare aut tene- tare pericoli dai nemici è ledto impadronirsi durevolmen-
re arcem aliquam aut dvitatem bostium necessariam ad te di qualche/ort= o àttà dei nemici, necessarie alla no-
de/ensionem nostram <aut ad tol/endam hostibus occa- stra d,fesa o a togliere ai nemici occasioni per nuocere.
sionem, unde possint nocere>. Settima conclusione: ugualmente - per le offese a"e-
eptima conclusio: Etiom pro iniuria i/iota et nomi· cote, e a titolo di pena, ossia di castigo - è lecito sanzio-
ne poenae, id est in vindictam, licet pro qualitate iniurioe nare i nemiCl~ secondo la qualità del torto che ci banno
acceptoe multare bostes parte agri aut etiam bac ratione fatto, privandoli di una parte del loro temiorio, o, per la
occupare arcem aliquando aut oppidum. medesima ragione, in certe circostanze anche impadro-
nirsi di una /ort= o di una àttà fortificata.

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Sed hoc debet fieri cum moderamine, et non quan- Ma ciò deve avvenire con moderazione, e non sulla
rum arma possunt. Et si necessitas et ratio belli postu- base di quanto è consentito dalla potenza militare. E se
let, ur maior pars agri hostium occuperur aut quod plu- le necessità e le ragioni della guerra richiedono che sia
res civir3res capiantur. oponet, ur compositis rebus et presa una parte maggiore del territorio dei nemici, o un
peraero bello restiruantur tantum retinendo. quanrum maggior numero di città, è necessario, una volta che la si-
sit iustum pro impensatione damnorum et impensarum tuazione si sia calmata e la guerra sia finita, che vengano
ct pro vindieta iniuriae - servat3 3Ulem bumanit3re et restituite, e che venga trattenuto soltanto ciò che è giu-
aequitatc, quia poena debet esse proportionara cwpae. sto al fine di riparare i danni e le spese, e di punire l'offe-
Et iotolerabile esset, quod si Galli agerent praedam in sa - in ogni caso sulla base di principi di umanità e di giu-
pecora Hispanorum ve! incenderent pagurn unum, stizia, poiché la pena deve essere proporzionata alla col·
quod licear occupare torum regnum Francorum. pa. E sarebbe intollerabile, se i Francesi predassero ar-
menti spagnoli o se incendiassero un solo villaggio, che
fosse lecito impadronirsi di tutto il regno di Francia.
Quod autem hoc titulo liceat occupare aut partem Ma che a questo titolo sia lecito impadronirsi o di
agri aut aliquam civir3rem hostium, parer ex ilio Deute- una parte di territorio o di una qualche città dei nemici
ronomii, uhi datur licentia in bello occupandi civitarem, è chiaro da quel luogo del Deuteronomio in cui si dà il
quae pacem recipere noluerit (Dt 20,10-12). permesso, durante una guerra, di impadronirsi di una
cirtà che non ha voluto accertare le offerte di pace (Dt
20, 10-12).
Item. quia malefactores nostros licer punire hoc mo- Allo stesso modo, è lecito punire così chi agisce ma-
do, puta privando illos aut aree aut domo pro rei quali- le all'interno di una comunità politica, ad esempio pri-
tate - ergo etiam extraneos. vandalo di una fortezza o della casa, secondo la qualità
personale del reo. E quindi è lecito punire anche chi sta
all'esterno.
ltem superior princeps et iudex legitimus posscr Inoltre, un principedi rango superiore e un giudice le-
commode multare auctorem iniuriae toUendo civitatem gittimo potrebbero tranquillamente sanzionare il re-
aut arcem ab 00. Ergo etiam princeps, qui laesus est, sponsabile di un'offesa, privandolo di una cirtà o di una
hoc poterit, quia iure belli factus est tanquam iudex. fortezza. Pertanto, anche il principe offeso lo potrà, poi-
ché per diritto di guerra egli è diventaro come un giudice.
Ttem, quia imperium Romanum hoc modo et titulo Infine, l'Impero romano fu aumentato e ingrandito
auctum et amplificatum est, occupando scilieet iure bel· in questo modo e a questo titolo, cioè con l'occupazio-
Li civitates et provincias hostium, a quibus iniuriam ac- ne per diritto di guerra delle cirtà e delle province dei
ceperant. Et tamen imperium Romanorum tanquam iu- nemici dai quali Roma era stata offesa. E tuttavia l'Im-
stum er legitimum defenditur ab Augustino, Hierony- pero romano è difeso, come giusto e legittimo, da Ago-

92 93
mo, Ambrosia et sancto Thoma et ab aliis sanctis doc- stino, Girolamo, Ambrogio e san Tommaso, e da altri
roribus. santi dottori.
Immo posset videri approbatum a Domino ae re- Anzi, può sembrare che lo stesso nostro Signore e
demptore nostto Iesu Cbristo in ilio loeo: Reddile ergo, Redentore, Gesù Crislo, lo approvi, là dove dice: «re-
quae sunt Coesaris, Coesari erc., et -a- Paulo, qui Cae- stituite dunque a Cesare ciò che è di Cesare» (M122, 21;
sarem appellavit (Acl 25, IO-Il). Admonet nos potesta- Le 20,25), ecc.; e Paolo, che si è appellato a Cesare (Acl
tibus sublimioribus subditos esse et principibus subdi- 25, 10-11; Rom 13, l e 7), ci ammonisce di essere sono-
tos esse et tributa persolvere illis (Rom 13, 1,7). Qui messi ai poreri supremi, e ai principi, e di pagare loro i
omnes eo tempore habebant aucroritatem ab imperio tributi. Tutti questi poteri, a quei tempi, traevano la lo-
Romano. ro validità dall'autorità dell'Impero romano.
8. Octavum dubium esr, utrum liceat imponere vict/I ho- 8. L'ottavo dubbio è: se sia lecito imporre tnbuti ai ne-
slibus Iribula. mici vinti.
Respondetur, quod sine dubio liceI, non solum ad Si risponde che senza dubbio è lecito, non solo a ri-
compensandum damna, sed etiam -ratione- poenae et parazione dei danni, ma anche a titolo di pena, e per pu-
in vindictam. Haec satis patet ex supradictis et ex ilio nizione. È chiaro abbastanza da ciò che si è detto in pre-
Deuteronomii (20,10-11) <,ubi dicit, quod postquam cedenza, e da quel passo del Deuleronomio (20, 10-11)
ex iusta causa accesserint ad expugnandum civitatem, si che dice che, quando gli Ebrei si avviano verso una città
r~~perint eos et aperuerinr portas, cunctus popuIus, a espugnarla per giusta causa, se vengono accolti e se si
qUi m ea est, salvabitur et serviet illis sub tributo. Et hoc aprono loro le porte tutto il popolo della città verrà ri-
ius et usus belli obtinuit.> Non est dubium. spanniato, e sarà servo degli Ebrei come tributario. E
ciò è divenuto dirino di guerra, e consuetudine. Su que-
sto non vi è dubbio.
9. onum dubium est, an liceal deponere principes ho- 9. il nono dubbio è se sia lecito depo"e i principi dei ne-
stium et novos constituere vel sibi retinere prinàpatum. mia: e costituirne di nuov/~ o annettersi il pn·ndpato.
Ad hoc sit prima propositio: Hoc non passim et ex Su ciò la prima tesi è che non è lecito farlo comune-
quacumque causa belli iUSIi licei facere. mente, né per qualsivoglia causa di gue"a giusta.
Haec patet ex dictis. Nam poena non debet exce- Ciò risulta evidente da quanto si è detto. Infatti la
dere quantitarem iniuriae, immo poenae sunt restrin- pena non deve eccedere la grandezza dell'offesa; e anzi
gendae et favores ampliandi. Quae non solurn est re- le pene vanno diminuite, e le clausole di favore vanno
gula iuris humani, sed etiam naturalis et divini. Ergo ampliate. E questa è una regola non solo del diritto
dato, quod iniuria iliata ab hostibus sit sufficiens cau- umano ma anche del diritto naturale e divino. Quindi,
sa belli, non semper erit sufficiens ad exterminationem posto che l'offesa arrecata dai nemici sia causa suffi-
status hostiJis et ad depositionem legitimorum et natti- ciente di guerra, non sempre sarà sufficiente perché
venga annientato lo Stato nemico e perché vengano de-

94 95
ralium principum. Hoc enim esset prorsus saevum et posti i principi legittimi e naturali. Questo sarebbe in-
inhumanum. fatti del tutto crudele e disumano.
Secunda conciusio: Non est negandum, quin ali- Seconda conclusione: non si può negare che in alcu-
quando contingant legitimae causae vel ad mUlandum ne circostanz.e si diano cause legittime per un cambio di
principatum vel ad mutandos principes, et hoc multitudi- regime politico, o per una sostituzione dei principt~· e ciò
ne et atrocitate damnorum et iniuriarum, vel maxime a causa della quantità e dell'atrocità dei danni e delle oJ
quando aliter securitas el pax ab hostibus obtineri non po- fese arrecate, o soprattutto quando non vi è altro modo
test et immineret grande pen·culum rei publicae, nisi hoc per ottenere dai nemici sicurezza e pace, e quando la co-
fieret. munità politica andrebbe incontro a un grande e immi-
nente pericolo se ciò non avvenisse.
Hoc patct. Si cnim licet occupare civitatem ex cau- Ciò è chiaro. Se infatti è lecito impadronirsi di una città
sa, ut dictum est, ergo occupare civitatem et tollere per una causa, come si è detto, è lecito anche impadronir-
principem. <Et eadem est ratio de provincia et princi- si di una città e eliminare il principe. E per la stessa ragio-
pe provinciae, si causa maior contingat.> ne è lecito farlo per una provincia, e per il principe della
provincia, se si presenta una causa di maggiore rilievo.
Sed notandum circa septimum et octavum dubium, Ma intorno ai dubbi settimo e ottavo si deve notare
quod aliquando, immo et frequenter non salurn princi- che talvolta, e anzi spesso, non soltanto gli stessi princi-
pes ipsi, sed etiam subditi, qui revera non habent cau- pi - ma anche i sudditi - che in verità non hanno una giu-
sam iustam, tamen bona fide gerunt bellum, ita, in- sta causa, tuttavia fanno la guerra in buona fede; con una
quam, bona fide, quod excusantur ab amni culpa, puta buona fede tale, dico, da essere esenti da ogni colpa, co-
cum facta mediocri examinatione ex sententia et consi· me ad esempio quando la guerra viene fatta dopo un di-
Lo sapientium geratur bellum. Et cum nemo debeat si- screto esame delle circostanze, dopo aver sentito il pare-
ne culpa punici, in tali casu, quarnvis liceat victori recu~ re e il consiglio dei saggi. E poiché nessuno deve essere
perare res ablatas et forte impensam belli, tamen sicut punito senza avere commesso una colpa, in tal caso- seb-
non Lcet parta victoria quemcumque interficere, ita nec bene sia lecito al vincitore riprendersi le cose sottratte e,
iniustam satisfactionem accipere nec exigere in rebus eventualmente, farsi rifondere le spese di guerra - come
temporalibus, quia ornnia talia fieri non possunt nisi no- non è lecito una volta ottenuta la vittoria uccidere qual-
mine poenae, quae in innocentes cadere non debet, ut sivoglia persona, così non lo è neppure pretendere e esi-
rnanifestum est. gere un'ingiusta riparazione in beni materiali; tali cose,
infatti, possono essere fatte solo a titolo di punizione, e
questa non deve colpire chi è innocente, com' è evidente.

96 97
Conclusiones Conclusioni

Ex his omnibus possunt componi pauci canones et re- Da rutto ciò possono venire derivate alcune poche nor·
gulae belligerandi. me, o regole di guerra.

Primus est: Supposito, quodprincipes habent auctonla- La prima è: dato che i principi hanno l'autorità di
tem gerendibellum, primum omnium debent non quaerere fare la gue"o, in primo luogo non devono cercare occa·
occasiones et C/lusas bell,: seti. si/ien' polest, cum omnihus sioni e cause di gue"o, ma «se è possibile. desiderino
cupumt pacem habere, ut Paulus praecepit Rom 12, 18. stare in pace con tutti», come insegna Paolo (Rom 12,
18).
Debet autem recagitare. quod alli sunt proximi, Si deve inoltre considerare che gli altri sono il pros·
quos tenemur diiigere sicut nos ipsos, et quod habemus simo, che siamo tenuti ad «amare come noi stessi». e
nos omnes unum communem Dorninurn, ante cuius tri- che tutti abbiamo un solo comune Signore davanti al
bunal debemus reddere rationem omnes nos de actibus cui tribunale siamo tutti obbligati a rendere ragione dd-
nostris. Est enim ultimae immanitatis eausas quaerere et le nostre azioni. È infatti manifestazione di estrema bas-
gaudere, quod sint ad interficiendum et persequendum barie cercare motivi - e goderne - per uccidere e per·
homines, quos Deus creavi t et pro quihus Christus mor- seguitare gli uomini, che Dio ha creato e per i quali Cri-
tuus est. Sed coactum et inviturn venire oportet ad ne- sto è morto. Al contrario, è necessario che un principe
cessitatem beIJi. giunga alla guerra messo alle strette e suo malgrado, co-
me a una necessità.
Secundus canon: Con/lato iam ex iustis causis bello Seconda norma: quando ormai è scoppiata una guer-
aporlel illud gerere non ad perniciem gen/is~ contra quam ra per giuste cause, è necessario condurla con la finalità
non tanto di danneggiare il popolo contro cui si deve com-
98 99
be/londum est, sed od consecutionem iun"s sui et defen- ballere ma di conseguire il proprio dirillo e di difendere
sionem patrioe, ut ex ilio bello pax a/iquando et securitas lo. propria patria, così che da quella guerra st' ottengano
consequatur. una buona volta pace e sicureUJl.
Tenius canon: Parta vietOrta et completo bello opor- Terza norma: ottenuta lo vittorta e portata a termine
tet moderate et modestia Christiana victoria uti. Et opor· la guerra, è necessario approfittare dello vittoria con ma·
tet vietorem existimare se iudicem sedere inter duas res derazione e con cristiana modestia. Ed è necessario che il
pub/icas: alteram, quae loesa est, alteram, quae iniuriam vincitore concepisca se stesso come un giudice che siede
fecit, ut l10n tanquam accusator sententiam ferat, sed tan- fra le due comunità polItiche -l'una, che subll'offesa e
quam iudex satis/acial quidem faesae, seti, quanlum /ieri l'altra, che la fece -) non perché giunga a emanare una
poterit, sine calamitate rei publicoe nocentis, et maximel sentenza come accusatore sl perché come giudice dia, cer-
quza ut in plurimum, praecipue inter Christianos, toto to, soddisfazione alla parte lesa ma, per quanto sarà pos-
culpa est penes principes. Nam subditi bona fide pro prin- sihile, col minimo di danno della comunità politica col-
cipibus pugnant. <Et est periniquum, quod poeta ah: pevole, soprallullo dato che nelw maggior parte dei casi
fra i Cristiani tulla Wresponsabilità è dei principi. In/at-
ti i sudditi comballono in buona fede per i principi. È
quindi molto ingiusto ciò che dice il poeta,
Ut quicquid delirant reges, plectantur Achivi> «che di ogni follia dei re subiscano le conseguenze
gli Achei»'.
Et sic tota haec disputatio, quam de Indis suscepi- E così è conclusa tutta questa trattazione sugli In-
mus disputandam, finita est ad laudem Dei et proximo- diani, che abbiamo intrapreso per discuterla, in lode di
rum utilitatem. Dio e per utilità del prossimo.

Explicit relectio secunda de Indis reverendi admo- Termina la seconda dissertazione sugli Indiani del
duro patris fratris Francisci de Vitoria magistri eruditis- molto reverendo Padre fr. Francisco de Vitoria, Mae-
simi, quam habuit Salamanucae anno Domini 1539, 19 stro dottissimo, che egli tenne in Salamanca l'anno del
die Iunii, ad laudem omnipotenris Dei et beatissimae Signore 1539, il 19 giugno, in lode di Dio onnipotente
virginis Mariae matris eius et ad eruclitionem proximo- e della beatissima Vergine Maria, Sua Madre, e ad am-
rum nostrorUffi. maestramento del nostro prossimo.

Fr. Ioannes de Heredia fr. Giovanni di Heredia

100 101
Note

Premessa
J La Re/ectio durava circa due ore.

Prima questione
I M. Lmero, Resolufiones disputationu11l de indulgentiarum virlu-

le (1518), Weimarer Ausgabe. 1883, voI. l, p. 535.


2 Terrulliano, De corona, cap. Il (PL 2, coli. 91-92).
J I lesti di Agostino sono, rispettivamente: Contra Faustu," Mani-
chaeum, libro XXll. cap. 75 (PL 42, col. 448); De diversiI quaestioni-
bus LXXXIII, quaest. 31 (PL 40, coli. 20-21); De ve,bis Domini (oggi
noto come Senno 82), cap. 19 (PL 39, colI. 1904-1905); Contra Fau-
sIu11I Moltich. XXII, cap. 74 (PL 42, col. 447); Ad Marce//inum (Epi·
st. 138), cap. 2 (PL 33, coU. 531·5J2); Epistola ad &ni/acium (Epist.
IB9; PL33, col. B55).
~ Ad Marcellinum, di., coLI. 531·5J2.
, Agostino, Quaestiones in Heptoteucum, libro VI, lO (PL 34, colI.
780-781); Deeretum Cro/iorri, 23, 2, 2.
(, Epist. ad Sonl/aàunI, cit., col. 856.

Seconda questione
Antoninus Florentinus, Summa Sacrae Theologiae, II. 7, 8, S l"
I
2 icolaus de Tudcschis, Ccmmentaria Pn"mae Partis in Secundum
Decreta/ium ubrum, 17 (commento a Decreta/esGregoriiIX, n,l3, J2).
} Banolo di Sassoferrato, In secundam Digesti Novi partem, com-
menti a Dig. 48, 19, l; a Dig. 48.8,9; a Dig. 47. IO, 15.

IOJ
4 D«re/. Gregorii IX, Il, 13, 12; Uht'r JeX/Ul D~cre/altum, V, Il,6.
, Sul posto, sul momento.

Terza questione
l lsidoro, Etymologiarum llve On'gznum libn' XX, Il, IO e V,21
(PL 82 col. I J1 e col. 20J).
2 Agostino, Qua~j/, zn f-l~p/a/eucum, cit., col. 781.

Quarta questione. [ parte


l Terttlzio, Eunuchus, TV, scena VU, v. 789.
2 La prima dtaz. è da Dis/icha Ca/onis: brtws s~n/~n/ùl~, 49; la se-
conda è da Dtg. 2, 2 (rubrica).
I Le prime citu. sono da lJ«re/aks Gregom IX, V, 39, 44 c: IV, 21,
2; la seconda è da Adriano V1, QU4~j/lOn~s Juodmm quod/ilN/iC4~
(1522).2.
• Silvestro Prierio, Summa summarum (1518) l, ad IJQ«m. Indici
, Agostino, Con/ra Faus/um Maltich. cil., col. 448.

Quarta questione. 11 parte


l Agostino, Quo~s/. In H~p/a/nlCUm, cit., coU. 720-721.
2 Sallustio. Coniura/io CA/ilina~, 12,3-4.
J Dig., 49, 15,28 e Dtg. 49,1.5,24.
4 Dea. Gral I, 1,9.
'Ins/l/u/tones2, I, 17.
6 Ambrogio, De Abraham. I, 3 (PL 14, col. 427).
7 Adriano VI, Quot!S/iones in IV Sen/en/i4rum De sacramento P«-
ttI/en/i4e: de res/l/u/tQn~.
8 Guido da Baisio, Rosan"um, Ieu in Decre/Qrum vo/umen u,m-
men/an"a (1508), in commento a Dea: Gra/. il 23. 7,2.
.. 83nolo di Sassoferrato, In secundam Diges/i Novi parlem, dl.,
commento a Dlg. 49, 15,28.

Conclusioni
I Orazio, Epir/ukte, I, 2, 14.
Indice dei nomi'

Abril, v., Xn, LVII-LVUI. Banolo di Sassoferrato, x, XXV,


Accursio, x. 19,89,103-104.
Adriano VI,55,57,89, 104. Bartolomeo de Medina, VIl.
Agostino da Ancona, x. Bate.].P., LVII.
Agostino d'lppona, xxv, 9, 11, Be.Uannino, R., XVIII.
13,21,31,57,77,93,95,103- Beltrlin de Heredfa, v., VTIn, XXXI.
104. Bernardo di Chiarovalle, IX e n,
Alessandro VI, VIII. XXVI co.

Allhusio,J., VIII. Berti, E" XlXn.


Ambrogio, 83, 87,95. 104. Biolo, S., xlxn.
Bolgiani, E, XIxn.
Antoninus Florentinus, 17. 103.
Bonifacio l, 9.
Arcos, M., XIV.
Boyer,J.. LVII.
Aristotele, VIII-IX, XXIV, 21, 29, 43.
Armachanus, XXI. Caetani, T. de Via, XIV.
Atahualpa, XIV. Calvino, G., XXII.
Cano, M., VII.
Baccelli, L.. Xlxn. Carlo V d'Asburgo, X-XI, XVI,
Baciere, c., xn. LVII-LVIII. XVIII, xx.
Bacone, E, xxx. Carranza, B., VII.
Balclini, A.E., XXUn. Carro, v..
XXVlln.
Barbier, M., LVIJl. Cicerone, 83.
Barda Trelles, c., xxx, XXXln. Clemente VII, xx.

* Non sono indicizzati Francisco de Vitoria, per la frequenza con


cui ricorre nel lesto, né i personaggi biblici. Le pagine qui indicate si
riferiscono al testo della lraduzione italiana.

107
Conring, 1-1., xxx. Kant, L, XXXVI, XLIX-L. Paolo di Tarso, XVIII, 7,11,31,95. Sota, D.. de, VIl, XXJ.
Costantino I il Grande, 15. KeUy,j . M.. XXVlIn. 99. Stannard, D.E.. , XVI.
Crockaen, P. (Perrus de Brussd- KoseUeck, R., XXXVIln . Pena, E de la, x. Sluben,j., VIn, LVIIl-LIX..
lis), VU. Pereiia, L., xn, xxn. XXlln, :C(Jvn, Suarez, E. VIIl.
Lamacchia, A, Vn, xvn, XVo, xxvutn, XXXI, xuxn, LVII-UX..
Deckers, D., XXXVllln. XIXn, XXVlIln. Petrus de Brussellis, vedi Croe- Teodosio 1,15,83.
Dt: Giovanni, B., XXXVln. Landucci, S., xvlin . kaen. P. Terenzio, 104.
Las Casas, B. de, XVI, XVlln. Pietro Lombardo, \'11. Tertulliano,9,IOJ.
Erasmo da Ronerdam, Vil e n. Lawrance,j., L\1I1n . Pilato, 49. Todorov. T.. , xlUn.
Legazy LacambOl, L., VHn, XXXVII Pio XII, L1Dn. Tommaso d'Aquino, VIJ-IX, XXV,
Ferdinando II il Cauoliro, xv. en. XXVlIJ e n, XXiX e n, Il,27,31,
Ferrajoli, L., XIlIn, Xl\'n. Le:ibniz, G.W.. , \111 . Radbruch. G.• XXXIXn. 95.
Ferrone, V., XI.xn, xxn. Lmero, M., XVIII, XXI, 9, 103. Raimondo di Peiiafon, xxv. Tosi, G.. XIvn, XXvn .
Francesco l di Valois, xx. Raz, M.. de, xv. Tostado, A.. , XX\'I.
Machia\'e11i, N., )(\11. ~I, R, xx"n.. TrujiUo Pérez. I.. , XlXn, XX\'1IIn.
Gaio,xxvu. Margiorta Broglio, E, xxo.. Rommen, H.. XXXI e n. Tru)'01 Serra. A, XI\'o, XXlXn.
Galli, C, xxxvnn, XLvnn. Mariana,].. de, \'11-\'111 . Rosmini, A., u. Tuck, R., XXX\1n .
Garcia, A., XO, LVII-LVW. Marino, P.. , Xl\·n. Ruggieri, G., XX\1n.
Genrili, A., xxxvr, XXX\11 e n. Maritain,j., XIxn, u . Russd, EH., XX\'n. Vrdanoz. T., \<11n, XIn, X\-n, XVlIn,
Getino, L.G.A, XXXl, LVIll. Maseda, E, Xn, l,VII-LVIII. XXVn. XX\1n, XX\'Inn, XXXI, Ulln,

Giacomo l, x. McA1isrer, L..N., XVn. alazar, O. de,lOO. L\111-L1X .

Giacon, C, XXXJ e n. Mechoulan, H., XlVn. Sallustio, 104.


Mdamone, F. ,\<111, XXl. Vanderpol, A, XXXln .
Giovanni da Legnano, xxv. Scauota, M., X1\'n, xuxn.
Melloni, A., XX\'In. Vanel, E. de, XXXVI, XLVIIn.
Giovanni di Heredia, tOI. Sch.ud. W. XXXUl. Vazque.z, G., XVW.
Girolamo, 95. Migne,J.· P.. ux. Schmitt, C, VIUn, XXXllen.Xxxm·
Minois, G . , XXVo, XXVln, XLln, Verhoe...co,)., XI"o .
Gliozzi, G., XVlln. XXXIV, xxx\'e n, XLV·XL\'I. Villey, M., VIUn, XVlJJn, XIXn,
L1un. Schnur, R., XXX\'lln.
Grozio, V., VIII, XViU, XXV"" xxx, Molina, L. de, VIII, )(\'IIJ.)(JX.. XXIXn. XXXI, XXXJJ e n..
XXXIV, XXXVi. Scou,j . B., XXX, XXXln, Lin. Lvnn.
Mozzolino da Prierio, S., x, XX", Selden.J.• xxx.
Guido da Baisio, 89, 10..t , Walzer, M., L1l1n.
55.61.75.89.104. Sepwvttia, J. Ginés de, X\1. xvlJn. Wolff, Ch., VlII.
Had.rossek, P., XXX, XXXln. Muiloz, A., LVII. Silvesrro Prierio, vedi Mozzolino WriWtt, I-I.E. LVII.
Ila8Renmacher, P., XIVTl. da Prierio, S. Wycliff.J .• XXI.
Niccolò V, VIII. Sisto V,x_
Hecke, G. van, XXXln . Nicola de' Tedeschi ( icolaus de
Hobbes, Th., XII, XVII, XLVI, L. Skinner, Q.. , XVlln, XXVlIln. Zolo, D., L1Vn.
Tudeschisl, x, 19, lOJ. Zwingli, 11.., XXII .
Hofmann, i I.. , XXXlXn. Nys, E., XXVIn, xxx, xxxm.
Solimano il Magnifico. xx..
Ilol'Sl, V . , vn, VIn, LVIll-UX.
Oeslreich, G., XlXn .
lannaronc, RA, XlVn . Orazio,l04.
Ignatieff, M., 1.I11n. Ortiz-Arce de la Fueme, A,xlvn.
lsidoro di Siviglja, 29, 104.
Pagden, A., LVllln .
jUnger, E., xxxvn. Palacios Rubios,j . de, xv.
Juslenhoven, H.-G., VIn, XXVn, Paolo DI, xv.
LVllI·L1X. Paolo V,x.

108
Indice del volume

Ln1rociuzionc di Carlo Galli, v

ola al testo LVII

DE IUHE llELU

Premessa 3

Prima questione
Se in generale sia lecito ai Crisliani fare la guerra 7

Seconda questione
Chi abbia l'autorità di fare o di dichiarare la guerra 17

Terza questione
QuaJi possano essere hl ragione e la causa
di una guerra :n
Quarta questione. I parte
Che cosa sia lecito in llna hl'lJcrra giusta,
e in quale misura 35

111
Quarta questione. n parte
Quale sia la misura dcI Iccito
in una guerra giusta 65

Conclusionj 99
Nole 103
Indice dci nomj 107

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