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DELLA VITA
D I
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- ROVERETO
ì PER LUIGI MARcHESANl _
IMP- REG. STAMP
M. DCC--XCV
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'(111)‘,
ſi .è _c H I: L EG G`E.
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('VII‘-) fl
Io mi sono proposto di …consíderarc ñíl .
mio Autore in tutti. i punti di vista-sut~
,to i quali può esser--considerato -un :Lo-'
mo, un uomo-c‘ha fu filosofo e letterato,
fu cortLglano e 'mini‘strq, e ch’ ebbe molte_
amicizie; che dalle maldttz’e ſu *vessa-to,
. dall’ invidia e dalle Per’secuzionì,` fu‘nopñ
` presso, e quindi dall’ aura prosperw della.
7 ‘ fortuna al' Più alto ‘colmo innalzato'3 per
. csser poi' rapidamente condotto agli. orrori
d’ una Morte violenta Le `crudele. In“.ogni
x
luogo* io l’ ho seguitato, .enon monaci”
Corte che nel~ suo gabinetto ,` partecipando
z*- 4‘ q_ , (.-îdef
JL41"“ A’ \| .(A
`ſ"
Prw…"
_bene’çiiupochí fogli ) mi'è venuta alle mani
d’An‘ommo‘ autore‘haliano’, uſcita“il’ì ‘Vin‘e’l ,
gia-.dai tpjrchj di_ Pietfó Bafl’aglia l’ſiannpffius,
e‘ ſtampata unitamçnte( alle Vite ' di Quinto
" Ortenſio ìOratote ,'--Idi Maróo ‘Catou'e , *UU
Servio Sulpizio , che la precedono .x1
ziofi letterati defidereranno forſe m quella,
[ſita maggior lor‘dííre, piîr èhíafezîàz è "mag-Î
gior copia di critica, che è’l’anima,` a .veç
r0 dire, ,di fimüi componimenti. Il diſegno
` v PrÒpoſtofiÎdafl’xAumx-e‘, che non hei-*fabto in
, ogni coſa.` che' ſeguitar quelle-del Lipfip, 1—,
le cui opinioni tutte è pur lígio, è aſſat o
diverſo dal mio. ` ’
'ar
7 (-’ VIII )
_ de’ suoi Studj ,‘ .esaminandone il `metodo,
notomizzando le_ ,opere sue, e chiamando—
le talvolta' ancora-‘a, ñsindicato. H0 `vo—
luto finalmente entrar nel suo cuore, per
leggermi , se mi. fosse. possibile ,` qual »ve
ramen‘te fosse il .sèsttemu’` suo filosofieo‘,
quale la;` sua religione, quali, i suoi pen
sàmenti sull’ anima, umana, e -sulla futu~
:tao-vita. Hb' creduto potere in molte coe
`èe--difenderlo , censurarlo in'moltealtrea'
in 'quel, modo. che .lo scarso mio intendi-ñ@
mento ‘voleva- , ‘sempre però lontano da..
ogni _spiritodyzî'presunzzionL . ,‘ ,
Io-ho proccurato di. fuggire-` in quest’
opera mia quel difetto, nel quale è trop
po facile incorrere chi scri‘ve _la storia
ſ ’dilquailche ’gi-und’ Uo`ma ; *veglie dir lla-
Sove‘rehia, parzialità
souo inſi errore} e parmi,
d’ esserci s"~i0abba~
“riuscitol non
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/ ì ' Quando Marco s’ accinse a‘ quest’ Ope—
` ra, era già avanzato negli anni, com’ egli
confessa, e la sua memoria s’ era di mol-.ñ
to infievolita, sì però che, Siccome dimen—`
ticavasi facilmente le cose di fresco inte
se, ` ricorclavasi però quelle. da. lui' udite
in. sua gioventù, come se le avesse ap
prese in quel punto. (a) Con tutto ciò,
il Cav. Tiraboschi, in vista di tanti pas
si, di tanti e sì diversi Autori ,r tutti
d’ uno stile uniforme, seben di .vario ar—
gomento, ha dubitato non forse la me
moria, che sarebbe, stata in lui prodigio
sa' anche in vecchiezza ,. abbia tradito
l’ Autore in sul più. bello della sua im—
presa, cui poi per non. lasciar imperfet—
ta, supplisse, ,all’uso degli storici, col
suo, ponendo in bocca de’ diversi autori
quel tanto, ch’ egli supponeva che' per
avventura avrebbon detto. (b) Io non enq
' ‘ trerò
( a) Nam qaacumqae apud illam aut puer ,
aut juvenís depoſui, quaſi recentia ED’ modo
anolita fine cuniì’atione profert. At ſi qua ille'
intra proximos amzos corn/mſi, fia pei-did” EJ’
amiſit, ut etiam ſi ſzzpius mgerantur, toties
tanquam nova audiam . Itaque ex memoria,
inantum vobís ſatis ſit ſapere/I . Controv.
ib. I. in '13"1‘oem.` ‘ _‘ '
( b ) Stor. della Letterat. Ital. Tom. Il. Lib.
I. Cap. III. p. 121.
r5
'trerò giudice in questo affare, il quale
è altresì estraneo al, mio scopo, ’ma chi
Vuol legger su ciò le difese di Marco Se—
neca, consulti il Saggio Apologatico dell’
Abate Lampillas, (a) e meglio ancora
la celebre opera del Chiarissimo Abate
Andres, dell’ Origine, progressi ,. e Stato
attuale d’ ogm) Letteratura'. (b)
’Insino a tanto che Lucio sì? applicò all'
eloquenza, ebbero felice 'riuscímento le
sue fatiche, e a’ tempi di Quìn-tiliano leg
gevansi le sue oraz'ioni e controversie,
nelle quali oltre alla copia del dire, (c)
nn’ energica evidenza ammii‘avasi nel di—
pinger le cose, come lo stesso Fabio ci
attesta, adducendo in esempío una con—
troversia di lui. (d) Questo studio però
quel
av—
-l .i L , › ` 21./
b ‘i ch’
’ B
i"
. 27
all’ età~ sua, nè un grande esempio, nc‘:
un gran rimprovero. (a)
Seneca si dilettava assai della conversa—
zione di Demetrio, e anche ne’ suoi viag
gi lo voleva a compagno, poichè più pro
fitto traea dai discorsi di questo cencioso,
che non da quelli de’ Porporati. (b)
Finalmente per ultimo ricorderem Pa
pirio Fabiano, che il quarto vien collocato
da Seneca nel ruolo degli Scrittori di co—
—“ se
28
se filosofiche , dopo Cicerone, Asìnio Pol*
lione, e Livio: che anche questi due ul—
timi aveano scritto libri di filosofia . (a)
Il suo stile era eloquente ed elegante,
anche alla. dilicatezza nauseosa del seco—
lo . (b) ‘
Seneca tutto immerso nello studio della
sapienza, colla scorta di sì ’valenti mae—
stri, non cercò già solamente di coltivare
“lo spiríto, e di far acquisto 'di molta dot
trina che sterile rimanesse ed inutile al
cuore e ai costumi , Siccome l’ oro nello
scri no dell’ avaro; ma con quell’ impeto'
meîesimo con cui si abbandonò alla filo
sofia, sì diede anche a moderar le passio—
[ni, ed a purgare gli affetti. In 'ciò di
grande utilità gli furono Atalo e Sozione.
Quando sentiva Atalo scagliarSÌ contro i
vizj e gli errori del secolo, e la mattez
za delle cose superflue, commendando la
castità, la sobria mensa, la mente incon—
tami
( a ) Epiſt. C. ,
( b ) Si retmtiorem qua-ris ( haben ) Fabia
num diſertum EQ’ elegantem, Oratíonis etiam
ad noſtrum aflidium nitida. Ep. LVIII.
Avea ſcritto apirio un libro delle coſe civili,
che non piacea gran fatto a Lucilio, e che
Senecaegregiamente difende. Vedi Epiſt. C.
ì .
29
taminata non solo dai piaceri `vietati, ma
inutili; Seneca uscía dalla scuola della
povertà innamorato, e si dava ‘tosto a co
reggerela gola, e il Ventre; (a) In som—
ma non solamente tutti i precetti appro—
vava di Atalo, ma gli metteva anche in
pratica. Egli è ben vero altresì ,. che en
trato quindi nel mondo, e datosi al vive—
re cittadinesco, buona parte abbandonò de’
saggi propositi, conservandone nientedime— -
_no alcuni per tutto il tempo della sua
Vita.. f,
- ‘-Con—
/
(‘a ) Muttos tibi dabo, qui uou amico ſed ami—
eitia caruerunt. Hoc non ate/ì uccidere , cum
animos in ſocietatemjhaueſia cupiendi par vo
-luutas traliit. Ep.
( b ) Qui ſe ſpeä'at, propter hoc ad amici
tiam venit , male eogit‘ai . . . . Qui muffa
utilitatis aflumptnsfeÎ/l, tandiu placebit, quam
diu utilis fuerit. ai: r'e flor'entes amieorum
turba-eircumſedet; circa everſos iugeus ſolitu
dv ejÌED’ inde amici fugiunt, ubi probentur.
Sapixbns . . . habere amicum vult . . non ob hoc
ut habeat qui' fibi agro affideat , ſuemrrut i”
uiucula conieñ'o, vel inopi: ſed ut habe-at ali
quem, cui ipſe agro affideat , quem ipſum
circumventu/m hofliii cuflodia liberet. Ibid.D
1
33 .
Non iscegliere ad amico colui che sia
bersaglio delle tumultuanti passioni e vi
ziose,. perciocchè i vizj, siocome le cose da
morbo infette contaminan le prossime col
lor contatto, essi pur si diffondono. (a )
Prima di Sceglier l’ amico , rifletti bene'
s’egli-talez sia che ti convenga, scelto poi
che tu l’ abbia, a lui ti abbandona senza
nser
E per—
( a uicuu ue fueriut
Ù)wQuales.qu. ſa ientes, pares erunt
LXXIX.P
(,b ) Ergo uirtutes inter ſe parer ſunt, EJ’ ope
ra uirtutum , Es’ omnes homines quibus illa
contigere. Ep. LXVI.
( c ) Poteram reſpondere quod Epicurus ait, ſa.
pientem —ſi in Phalaridis tauro peruratur, ex
clamaturum: Dulce cſi, ED’ ad me m‘l pertiuet .
Ep. LXV]. ~
4?v
malvagio privo non è di nessun vizio;(a)
’ed altri simíli dogmi in gran numero ch’
jo tralascio per non infastidire chi legge ,
e che dalla scuola dì Zenone derivano,
della Setta stoica primier fondatore . (b)
Che
,
( a ) Qui "malus efl. nullo vitia caret. Lib. IV.
` Cap. XXVLDe Benef.
(b) Senec. Ep. LXXXIII. Lipſ. Manuduft.
ad Stoic. Philoſ. Lib. IÌI. Bruch. Hifi:. Crit.
Phil. P. II. Lib. II. Cap. IX.
Alcuni di queſtí dogmi però, o paradoffi che
fi voglian chiamare , che ſuperficialmente con—
fiderati , o ſciocchi appajono od empj, n01
ſono per avventura in tutto, chi voglia
confiderargli ſecondo l’ idea che aveano gli
ſtoici della natura dell’ anima umana , e vo—
glia dar loro una ſpiegazion più benigna,
come potrebbe moſtrarſi con qualche eviden—
za, ſe uefito ne fofi'e il luogo. Seneca cer
to
niuns’ paradoſſo
o riva adſtoíco
un biſo’
ì e er o falſo,
di dimoſtrare,
nè tanto
maravíglioſo , uanto a primo aſpetto aPPañ
riſce. Quorumx paradoxorum ) rmllum effe
-falſum, nec tam mirabile quam prima facie vi
detur, cum ”ohm-is approbabo . Ep. LXXXVII.
Vedi pure Agatopiſto Cromaziano dell’Iflo
ria e dell' Indole d' ogm' Filoſofia . Vol. IV.
Cap. LX.
Ciò per altro fece con zelo maraviglioſo Giu—
ſto Lipfio ( Manuduü'. ad Stoit:. ,/thl. Lib.
III. ) della Setta Stoica adoratore Sovrano,
e pri
43 ’
Che se gli altri argomenti mancassero
a provar Seneca amatore. o seguace' della
setta stoica, il dichiarerehbe la cura ch’
ei prende di difenderla dalle accuse che le
venivano opposte. S’imputava, ad esem—
‘ 'l ` P107
x’
v 54 .- _
‘bia' corpo, (a) Se il sapìent'e possa-gìova‘r
ſi'aIP‘àltrO'sapiente, (b) se la sap’ienza es—
sehdó uh bene , …ed avendo corpo ,— anche‘
’il sapere ‘síá un bene edghbia corpo. (c)
Se le Vírtù- sìeno animali, (d) con altre
\ Î_-Î-....J I. . " " ..l .:k-jeep.:
M\
53 ,
‘v‘remrrió- Per conto alcuno o cangiare ,` 0‘
dissentire dai loro decreti: ma noi' inscom
pagnia dei' hostri maestri ne andiamo in
‘traccia', (o) ~ ` 'é ' r
l.
' , , . gg ' l
ì"
6t
'Amava dunque Seneca la setta stoica;
come la migliore dell’ altre tutte, e come
la più conforme alla maniera sua di pen
’care, ma non n’era ‘SChÌaVO per conto al
cuno, come abbiamo veduto .
Dell’ altre sette era pure a meraviglia
informato, ne meditava gli autori, e gli
volgea a suo profitto, e fra` questi Epi—
CUI‘O medesimo, ſondator d’ una setta la(
piùppposta di tutte alla stoica, almeno
in apparenza. Io ho in costume, scriveva
egli a Lucilio, inviandogli a meditare _una
massima d’ Epicuro ,‘ di passar talora ne—-`
gli altrui accampamenti, non qual fug
gìtivo, ma come esploratore. (a)
Lodava il buono in tutti gli autori di
qualunque, setta essi fossero, perchè ama—
va di vero cuore la scienza, e non istu—
diava per ostentazione o per fasto; Il che
parrà a talun cosa nuova, che imbevuto
della lettura e delle massime pregiudicato
di Dione, e d’ altri che Dione han segui—
tato, ha in conto il nostro Seneca d’ uo
mo che nell’ apparenza più tosto che in
altro ,
. … ’55
'cal-imminenti ninna-,COSA il potea dislrar—
re , rod` _essergli di niolestia…›Non ,il fremi
to e` il clamor delle genti, non il fracasso
de’ cocci-li,- non il martellare de’ fabbri-ja)
~- mario e@ ol nanna, . Il’, Nè,
*12“- Émn‘ r " "-h."
'l 1 (v "` ?fw-.fla
-` '
. 1 — ~ ì J 7
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69
e dispaiate letture , divorando in picco]
tempo, una quantità' prodigiosa di libri. (a)
Assomigliava Seneca egregiamente co—
storo a que’ viaggiatori che scorrono molti
' paesi, senza trattenersi' che brevi_momen—
ti in ciascheduno, e che perciò fanno mol—
te conoscenze, ma niun vero amico. .(b) `
Siccome la quantità e varietà de’ cibi in
luogo di nutrire aggrava e imbratta lo
stomaco , e lo indebolisCe; così la diver
sità delle letture infiacchisce l’ intelletto ,
e lo confonde , in luogo d’ invigorirlo ed
illuminarlo. (c)
La quantità, e diversità delle idee e
delle cognizioni, si distruggono appena.
acquistate, enon lasciano niuna imprese
' e 3 g : none
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DI LUCIO ANNE'O SENÈCA
LIBRO sɑconno:
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9° '
altri, poi col falso pretesto di ribellione,
insleme con Agrippina esiliata nell’ Isola.
Ponzia . ( a~)
Claudio divenuto Imperadore, conosciu- -
ta l’innocenza delle due Sorelle, le richia—
mò alla corte, le restitul in tutti i lor
beni, e in quel grado le colloco che si
conviene a Principesse del sangue. Ma.
perciocchè Giulia era vezzosa e bellissì
ma, così era molto ben veduta e distinta
dall’ Imperadore, il quale si trovava spes—
go con lei,e v“della. sua compagnia mostra—
va trar maggiori' compiacenza, che-ad uno
Zio non si conveniva. Oltre a ciò era Giu
lia piena di nobil fierezza , onde non sa
pea per conto alcuno piegarsi a certi ri—
guardi, e a certe sommissioni che Messa—
lina esigeva da tutti: la quale mossa per
u’na parte da geloso timore non forse Clau
dio di temperamento incostante si risol—
veSSes di sposar Giulia, lei sipudiando, e
da fierissimo‘ odio per l’ altra nel credersi
poco curata e disPrezzata: giurò di per
derla, il che troppo ben le riusci co’suoi
maneggi, facendola accusar d’ adulterio ,
e senza processo formale , Senza esame di
sorta
94
uomo chiaro in Sapere. `( a) Ora sarebb’
egli stata opera buona , e tale' da- coprir
le molte .malvagità che" ‘Agrippin‘a commi*
se ,"il richiamar dall’ esilio un vile adul—
`tero , l’ innalzarlo alla’ dignità, il dichia—
rarlo mòderatore‘* d’Î-un_ ` giovinetto - Princi—
pe'? Poteva qUesta essere al pubblico co—
sa’ gra-dita? Lascio 'al mio, lettore l’ inca
-rico di dar quel peso ch’ egli crede si ine—
ri-t'ino,'- a queste mie 'riflessioni, edi :quin
di decidere _se Seneca fu per colpa reale
bandito ,~ o :non più -tosto per la " scellera—
tezza di. Messalina, 'cuidovea essere* odio
so un uomo delzcaratñtere'del- :nostro `filo—
sofo-, il 'quale già m’ affretto di-seguitare
“nel lu’ogo 'della sua relegazionè. - ²
Questox-fu l’ I-sola di Corsio’a , paese a
‘ que’ tempi orrido e poco fecondo , privo
di tutto' ciò che alle delizie contribuisce
della Vita', e che appena quel ’produceva
‘ch’ era necessario al sostentamento de’ Suoi
" i "'t *abi
, ..ſ‘ ~ 51.‘,
"1 " ` ' . i , ' .
' ’
.. \
.i - _
‘ (* ar) At Agrippinu ne‘malis tantum fatinaríbus
innateſſceret, veniam exilii pro Aimëo Seneca ,
fimul Przeturam impetrat, lxtum'în pubſícum
rata, 0b claritudintm ſtudíorum ejus. atque
Damítíi pueritía tali magi/tro adoleſceret. Ibid.
- i ‘95
abitatori . `( a) L’ ari-a per se s‘tessa mal
sana, lo era anche più per la niuna cul—
tura delle campagne, che si vedean nude
con orrore e deserte. (b)
In temPo di State, era quivi il ,calore
molesto ed insopportabile. (c) Gli abita-ñ‘
tori eran barbari e truci all’ ultimo segno ,
e il linguaggio loro‘ era un misto fra il
Ligure e il Greco, avendo perduto l’ uso
del patrio , nel conversar co’ Greci e co’
7 Ligu
> \
‘ſ\
\
9.9
ra di'quell’Isol’a, de’ quali alcuni ancor -
ci rimangono , se pur que’ nove che si
leggono son tutti suoi; e non è improba
F bile affatto, come conghiettura il Lipsio,
(a) ch’ein in Corsica alcuna componesse
di quelle Tragedíe che sono nelle mani di
tutti sotto il nome di Seneca, e Singolar
mente la Medéa: comecliè varie sieno le
opinioni degli eruditi intorno al vero Au
tore , o agli Autori di quèste Tragedie ,
come vedremo; ora~ osservazioni facendo_
sulla natura del mare, sul suo flusso e
rifiusso, sull’ origin de’ tuoni e de’ fulmi
ni, de’ venti, e delle nevi, apparecchian—
do per avventura i materiali per quella
grand’ Opera che poi compose delle Nata-4
rali Ricerche, di cui parleremo a suo
luogo. (b)
g2 Ma_
\l
:oo \
› '.- .'3.;...‘
‘
i ~ \ /
‘0.4! .
armi), ,(41) Intendimento .è dell? Autore di
çonsolzar :Polibio della morte di un Fratel-7.
10;.dgz,lui;svisceratameMe amato. Gli proñ.
vafçlunqpe non dover egli dolersi d’ una
gççççsità a cui tuttì'cbe nascono `van sog—
getti, 1gg; yëſapdràf_ pulſe: il Mondo.,stesso_
una-ſſ,voita;_,che,zè.vanq e senza frutto il
dolo‘re ; ` che gli, uomini nati sononalle af-z
flizionizedzalle. sventure. Che, il `morto
fr;a,tqlló,,se dopo _questahy’ è un altra vi—
ta', (non può volere ;il ,suo dolore‘, e se
tutto colla- morte -finisçe , non-può sentir—
lo . Che egli, .Rolibio ,; occupando la cari
ca -luminosa ’difîlibertoe favorito _di Cesaó,
re, ,dovea dar “un esempio di costanza e
di fortezza agli altrizfratelli, che teneva
nozglizocchi in .lui :,fisfl. Passa quindi a
consigliarlo, per distraere l’ animo suo~ dal
dolore, di rivolgersiz agli studj; che tanto
egli. amava , e ne’ quali s’ era procacciata
17 Mortalità; assicurandolo che ilfsuono
me earebbe celebreſra i piùiillustri insino
a; tanto chefossero _inpnoije le lettere, e
chefclurasse la potenza della Latina, e del—
la Greca lingua la venustà . (Avea Polibio
tradotto dal Greco in prosa latina Omero,
,-…._.….......... _ . .....….…e dal
*fl— T
j '105
e dal .Latípo PUOSZÎSTBCHAVÎÎSÌIÌQ. ) Il
consiglia‘ altresì fa; .compor ſavoir-atte', ge—
nere
tati-i diRomani
poesía `Scrittori
inzcuilnon c’eranoeserci-z
. .Final. çhxeljnioſtſiiî.
esempj adduce. ,di ,uomini ;‘346 ,,copÎ'Vi—L;
rile cor` gio, sop’ rtaztehave'an, le dis'gPa-L
zie,…e. _ra “que‘sti quello atesep, di Clan-z,
dio Imperatore ,;d,iñ;cui.ptesse un elogio sì]
' grande »che al .maga-;LW Ema-.che. .il Lazio;
abbia avuto _.sarebbe, spyercbio ,z perche fall’i
Umana. ;Fqnflizion ,Superiore .* Eccp _in iácorñ‘,
cio il contenuto
ragionenolmentelzha quest’QPuecolö',
_molto be,"
dato ſidi, ,glieſidiz
re_,aí._tut‘ti coloro-.cliefiçlel ,carattere ‘morale,
Seneca ,hanno-z fatto; parola:. l xi-iser-,ñ`
bcxemO. al Quarto :Lier › le.) nine z íífles—'
sioni lcb’ …egli ci :ba pbbligati ,d’iſ rë.',,. è
con_ migliori auspidj,_,passeretnd a' ‘d'arcon-x
to dÎ un altra Opereteta,…qual eläÈC'onsoó
lazione a Marcíd.*,,ſcqi 'non siarnoz però
sicuri che fosse__dà ',uízcompóstà in ésilio,
com‘echè vi sia luogo 'di `sospetta1'ló, per
ciò che vedremo .‘ A meglio però inten
dere e gustar questo editto, alcune noti—
zie storiche son neçessarie , cli’ io stimo
da me q'ui doversí pl'emettere.< ` z
Era Marcia figliuola, di quel Creníuzio
Cordo‘ 'famosoStorico, `che fu accusato dai
Bate-liti' di Seiano;,.7( consolí\_eSSendo Cor
l
106 ` y `
nelio Cosso, e Asinio Agrippa ) per 'aver
chiamati nella sua Storia Bruto e Cassio’
gli ultimi de’ Romani, (a) e perchè non x
avea lodati‘, come "si Credea convenire ,
Cesare
chè e Augusto
Auguſisto udita Imperadori: (b) questa
avesse leggere come
storia, e" non se ne_ fosSe lagnato. Questez
erano le ragioni apparenti' onde accusare~
Cremuzio; ma' il vero motivo si ſu l’ odio
fierissimo che' Seianoîa lui portava , per'
certe parole poco avvedutamente da Cor—r
do dette in suo dispregio. Tiberio riface
va ’il `Teatro ìdi Pompeo ch’ era stato‘ ab
brucciato, ſiove "ſu ' collocata‘la statua del
suo fav‘orito
esclarnò: oh' ’seianójf'Co'rdo
adesso 'sſſì‘che il inTedtro
veggendola
è ro
vinato! (c) Questo e più altri detti con
,- éímili Vennero alle orecchie di Seíano , e
tanto *bastò "a quest” uomo prePotente e
*" .crudele~ per farlo risoly‘efe a vendicarsi di
Corda . Cordo sì difese 'assai bene in Se
‘ “ " ‘ nato,
'110
zio, che furono avidamente accolti da tut
ti. (a)
Marcia era maritata, ed* avea‘avutì fi
gliuoli , fra quali Metilio, che sul fiore
degli anni, e quando dava di. se le mi-z
glíori speranze, morì. Era bello della per
sona, di -costumi incorrottí a tale, che fu
innalzato all’ onore ddl Saçerdozío . (b)
Era marito, e avuto ‘avea due figliùole .
(c) Amava la Madre con tale svisceratez
za.a che quantunque avesse tutte le qua
lità e tutto il coraggio onde riuscir valo
roso soldato , ed innalzarsi in questa car
fiera ai primi onori, mai non volle~ pi
’ gliar—
‘L
r
114
nere perseguitato ’dalla cattiva fortuna, e
d’ essere sedotto daiv mali esempj d’ un
secolo molle e vizìoso: fa comparire Cor-s
do medesimo , il qual dall’ alto de’ Cieli
la figliuola consola , facendole conoscere
quanto più invidiabile sia erpiù sicuro
lo stato presente del figliuolo, che non
era il passato, mentre vivea. ` .
Quest’ Opuacolo, ove si eccettuí qual
che difetto’
petizione nellacede
,l non condotta,
punto eperqualche
soliditàri—
e
varietà di ragioni, e per certa unzione
degna di miglior Culto che non era il par
gano, a quello bellissimo diretto ad El
Via- ‘o , ( ' ſ r o
~ ' E a
T
…117'
Finalmente_ dà compimento al; trattato ‘
coli"introdur Dio. medesimo che se-.qstessò
gìustifica contro-le querele degli stólti., che
spiega qual 'Sia la- vera fBEatitsudin de?
bu'oni, qual la vanità de’ beni terre’stri,
che esort‘a' i suoi ‘eletti ~,alla pers-,avel'anza`
ed alla fortezza.. b * J 1- '
~ x La ‘morale e i- preoetti di 'questo Opu—
scolo- sono utili e'sagg‘i.; e l’ opuchlo stes— ,
s'o ichiamar Potrebbesi degno’ d’ un'ÎCri-ó
sfiano filosofo, seL l’ introdurre la suprema l
Divinità che esorta i buoni, oaso che tol—
ler'ar non possano le dfsgrazie , a_ darsi
morte, guastasse ogni oos'a ,- re non
.ſacesse ,chiaramente conoscere , che-la .sa—.
pienza lumana se. ri'schiarata non `venga.
dai ' lumi che l’ unica e ,vera Cattolica 'Re
ligione ‘cií porge, è “Una‘ sapien‘Za tenebro—
sa e chimerica , è una perenne fonte ,di
fallacie e d’ errori.. ~ ./
Ma mentre .Seneca così, utilmente_ 0c”
cupandosi negli Scritti che abbiamo accen—
nati, e in moltialtriforse cheil tempo
ha distrutti, fortemente e _tranquillamente
sosteneva il suoesílio, si apparecchi-ava
in Roma‘una rivoluzione di cose molto a
lui favorevole, e a .tutti gradita.
eraEra morta,
statav cagioncome
del sisuomeritava, colei "dir
esílio', voglio ch’
h 3 - r' ~ Mesñ’
;18
MeSsalina, la quale. .a tale stravaganza
avea portati i suoi eccessi , (che giunse ,
com’ è detto, a sposare pubblicamente Sì
lio , vivente l"Imperador suo marito .
Rimasto vedovo l’imbecille e stupido
Claudio ,ì conoscendosi Îche `il celibato non
era per un uom sensuale, ed avvezzo ad
esserè governato in ogni cosa dalle Mogli,
qual‘eracegli; i ,Libertí suoi che regge—
van 1"ImPelîo, si díerono a pensare-'qual
Compagna meglio .a lui convenisse, opiù
tosto_ :ai lor fini , e. divisi erano nella
scelta .- ’ - \ ' '
› Molte donne vi concorrevano, ,e ciascu—
na o 'per bellezza, o» per nobiltà-, o per
ríoóhezza, degna cnedevasi di quest’ onore .
* Ma due fra l’ altre si distìnguevano,
Lollia Paulina, e Giulia
sta era*spalleggiata Agrippina.quella
da Pallante,v Qne—
'da Calisto, prepotentiñLiberti, e v² era.
chi ne proponeva anche una terza; e cia
scuno. Ita-‘ragioni recava vonde il matrimo—
nio-protegger da lui proposto. (a) x':…
Lollia Paulina era matrona bellissima ,
di nobiltà cospicùa, di ricchezze immen
- »ſiac ` _4' - ` . Be
` . L.. , i . . l r
,‘. A *"r
, l "9
se (a) ereditate dall’ Avo M. Lollio, uom
consolare, e governatore rapace di molte
Provincie , ajo di Caligola , di cui guastò
il cuore , e vendette a caro prezzo la
grazia’ che poi perdette',` divdlgando ipiù
gelosi segreti del principe ai popoli, e ai
re stranieri . (.b) ` '
Era costei maritata a Memmio Regolo
uom consolare, poi toltagli a forza da Ca
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129
V I T* A
l
LlBRO TERZO..
(a)InNer.
*3?
scordanti le ,sue inclinazioni. Confessava
egli però la sua debolezza , e diceva che
amava la virtù, la sapienza, la sobrietà,
ma che nOn era ben fermo ancora in es—
se, e che ſaceano se non sul suo cuore,
almen sopra i suoi sensi qualche impres—
sione le vanità pazze del secolo. (a) Fu
a questa occasione ch’ egli dettò il trat—
tato ,
Ma
' (laxioon.
Dion. Lib. LX. Svet. in Ner. Ca P’
155
fra i numi si esamina ques-ta _inchiesta,
prende il poeta motivo in persona degli
Dei stessi di mettere in derisione la Still-2
pidezza , la smemorataggine , la voce r0
ca, 1a- crudeltà, e gli altri difetti, e de
litti di Claudio . Fatto in Cielo il processo,
per universale sentenza vien discacciato,
e mandato all’inferno, ma nell’ inferno
Siccome in Cielo, non che per Dio, nè si
Vuol pur riconoscer per uomo, e vien
beffeggiato e maltrattato come una be
stia. (a) .
Lunga cosa sarebbe il dar qui un estrat—`
to compiuto di questa satira, ch’è una
delle più mordaci, ma. nel tempo stesso
delle più salse, e ingegnose, e ove fra
la prosa campeggíano de’ bellissimi tratti
in versi, i quali gustar non si possono
che nell’ originale linguaggio. (b) i
Rico
( a ) Anche Gallione fratello di Seneca l’ avea
con Claudio, e all’ occafione che dopo la
ſua morte fu queſto Principe annoverato fra
li Dei, dicea ch’ era ſtato bensì aſſunto in
ielo, ma tiratovi ſu con un uncino. Dion.
Lib. LX.
( b ) Vedi fra gli altri gli Elogi che ne fa il
Camerario.- De Erud. Comp. pag. 182, e il
Vavaſſore, il quale queſto Opuſcolo di gran
tratto nntepone, ai Ceſari di Giuliano . edi
il lib. di lui, De Ludrim diffioae pag. 246.
x56
Riconosciuto Imperadore Nerone, reca
tosi inSenato, fece un discorso che molto
piatque va que’ Padri, e che ’in lor _ril
svegliò molte lusinghiere spera’nze. Dlsse
fra le altre cose, ch’ egli volea mantenere
’l’ autorità_ e la maestà del Senato', la di—
sciplina ed -union de’ soldati , che ab—
borrirebbe le discordie civili, le violenZe,
le vendette: che in somma il suo goVerno
modellato sarebbe su quel d’ Augusto.
Così fu gradito in Senato questo discor—
so composto da Seneca, `che per suo de—
creto fu scolpito in una colonna d’ argen
to , aCCÌOCChè ciascun anno alla creazione
de’ novelli consoli si leggesse .p (a)
E infatti, come in quel discorso pro—
metteva di essere, tal fu Nerone ne’ pri—
mi anni del suo gOVerno.- Era liberale,(b)
‘ cle—
i:
152 ,
ſosse , e dagli altri’Imperadori così did
sprezzato, che Caligola solea chiamarlo la
pecora d’oro. (a.)` i _ i .
Fece pur morir di stento In prlgione
Narciso , con sommo dispiacer` di Nerone,
al quale era caro per l’ uniformità de’ vi
zj che in lui si trovavano, cioè la prodi
’galità con l’avarizia , che però nell’ Im—
peradöre non erano ancora scoperte . (b)
Nè quì sarebbono terminate le stragi , se
'Burro e Seneca non si fossero opposti.
Avean fatto insieme lega virtuosa di
mantenere per quanto era in loro, l’ in—
nocenza e, la giustizia del Principe, se—
condandolo in quelle cose ch’erano oneste‘
0 almen non nocevoli al pubblico bene; e
di bpporsi con tutte le, forze loro al fu—
* rore e alla tirannia d’ Agrippina . (c) 1 -
`Ma eostei divenuta superba allo scor—
gere che buona parte delle sue imprese
\ felicemente riuscivale ,, un giorno mentre
saliva in trono Nerone ad ascoltare gli
.Ambasciatori di Armenia , comparve in
Senato disposta di porsegli accanto, e co
sì al pubblico mostrare ch’ essa unitamen
’ te
\\‘
`
163
te ai figliuolo goverpava l’ Impero; Tutti
all’ insolita cosa rimaser sorpresi, e non
ardivano pur d’ aprir bocca, stando in os
servazione dell’ esito di questa novità. Ma
Seneca trovò un saggio espediente, consi
gliando ’Nerone di levarsi incontro alla
Madre ,- quasi per segno di rispetto, ri
mettendo con qualche pretesto ad, altra
giornata l’udienza: il che fece eli, e
per tal fog ia sotto il velo della È liale
pietà, il ecoro dell’ Imperatore e dell’.
Impero fu,salvo. (a) f ñ
Una tal c0sa cominciò a disgustar Ne—
rone della Madre , perchè non potè a
meno di non penetrare nelle ambiziose
sue mire: ma una certa natural soggezio
ne , il rispetto, la gratitudine , sentimen—
ti, cui non avea potuto ancor rinunziare,
gli ne facean con sofferenza sopportare il
giogo.
D’ altra parte Seneca e Burro avean
procurato sin quì d’ intertenerlo con as-ñ .
satempi giovanili ed innocenti, mentr es—
’ sì intanto alla ubblica felicità coopera
vano con. savie eggi, facendo amministrar
la giustizia , e coraggiosamente opponen
l 2 ‘ dosi
7
ç a ) Id. Ibid. Sifil. in Ner.
164
dosi‘ai furíosi tentatividell’avverso parti
to: Roma da molto tempo non era stata
tanto felice . Predominava nell’ Impera
dor la passione di guidar cavalli, e di
cantare la sera a cena , accompagnandosi
colla cetra come farebbe 'un buffone. Que—`
sti esercizj non piacevano punto a Seneca
e a Burro, perchè gli reputavano indegni
d’ un Monarca Romano, ma non potendo
in tutto vietargliene, e temendo, non egli
stanco d’esser nelle voglie sue 'contraria
to, di scuotere s’avvisasse un giogmtrop—
po pesante: il secondarono in parte , e
facendogli conoscere la sconvenevolezza di
cantare alla mensa , fecero in Vaticano
chiudere un luogo spazioso, 0V" egli p0
tesse a suo,talento, lontano dagli 'occhi
' p del popolo, guidar la carretta e sfogarsi .
_'Ma egli ch’ era_ ambizioso e pareagli d’ es
sere un cocchier peritissimo, non si con-l
tentò d’ esser solo ammiratore di se me—
desimo, e de’ testimonj volle che lo ap
plaudissero. Bisognò dunque compiacerlo,
e fu. rotto il chiuso, ed introdottovi il
Popolo: a che Seneca tanto (più volentieri
aoconsentì , quanto‘sperava che Nerone la.
sconvenienza vedesse ‘di servir di spetta
colo e di divertimento ad un vil popo
laccio, e se ne disgustasse. Ma. la bisogna
andò
ſ 165
andò altram'ente che, non ~immaginava i]
filosofo . Perciocchè il popolo che ama nel
Principe le proprie sue inclinazioni, man—
dava …al cielo i viva e gli ap lausi, e
Nerone _tanto più pavoneggian osi, più.
s’innamorava di un esercizio in cui gli
parea di riuscir con tanta eccellenza. (a)
Oltracciò amava molto Nerone la tavo—
la, e la compagnia de’ giovani suoi pari,
co’qualiv spesso s’innebriava e folleggiava.:
i precettori
questex oose, suoi gli permettevano
o indifferenti tutte
0 non dannose
almeno alla Repubblica, per tenerlo lon—
`tano dalle azioni violente e crudeli, alle '
quali, se creder vogliamo ad un antico
commentatore di Giovenale , Seneca avea
purtroppo `Scoperto esser egli` inclinato,
onde soli‘to era dire ai suoi più intimi
amici, che se Nerone cominciasse a guz
stare il Sangue umano, mai non. se ne
sarebbe saziato . (b) E Svetonio ci‘ narra
che Seneca la notte appresso ch’ein ft}`
eletto a Precettor di Nerone, fece un so— _
gno in cui gli parea di aver per discepo—
lo non già Nerone , ma‘Caligola , il qual
l 5 ì sogno
` 4
, - 17!
invaghirlo della 'virtù e della moderazio—
ne , che n01 poterono mai, almenojl ri-í
trassero da molti eccessi crudeli, o `sospe-
sero quelli, cui egli si abbandonò poi che
’ scosso ebbe ogni freno.`
Figu‘randoci Seneca e Burro‘ come cu
stodi e precettori di Nerone, non dobbia—
mo -da essi quello pretendere, che a buon
diritto pretenderemmo da‘ un Ajo di pri
'Vato `Signore , dal 'cui arbitrio: assoluto‘,
ove saggiamente ’secondato sia dai Genito
ri, tutte le azioni dipendono dell’allievo.
Nerone ‘era allievo di Seneca e Burro,
ma era un allievo sovrano nel cui ;Cen
no era la sorte non men di tutto l’im—
pero che de’suoi maestri: il volere urtare
di fronte le sue passioni, oltre' che sareb
be stato uno sforzo pericoloso alla vita de’
suoi Consiglíeri, sarebbe stato anche inu
tile e -sciocco . Certo che non tornava a
gloria d’ un Imperatore Romano, il‘ vederlo
gittar il tempo a vcondurre una carretta,
a cantar vestito da buffone in sui teatri,
a gir intorno sconosciuto la notte con gio
. * ñ vma—
-.
` 1
(a)Id.L.C.
\
‘ I??
emoli, ( a) per le quali tutte cose si ri—
solvette di farlo perire . Perchè però stes—
se occulto il misfatto, fece mescer veleno
somministratogli da Locusta, nell’ acqua
che Britannico solea bere a cena, il qual
ſu di tanta efficacia, che il principe infe—
lice , poco appresso ch’ebbe quest’ acqua
presa, cadde semivivo a terra.
Gli astanti rimaser stupiti e spaventati
a un tale evento, non .sapendo bene in
dovinare donde ciò procedesse. Agrippina
però ed Ottavia non s’ ingannarono, e fe:
cer chiaramente v a Nerone conoscere ch’
esse ben vedevano donde procedeva il gran
“ colpo, nè della fata] certezza in cui era
no le ritrasse il r'ivolgersi_ ch’ egli si fece
* m ' loro,
m»
l7.9
cogliere con molta cortesía e distînzion‘e
Tribuni, Centurioni, e i Signori più qua
lificati di Roma. Ciò saputo Nerone, en..
trato \in sospetto non forse costeiſqualche
novità meditasse pericoIOSa alla sua sicu—
rezza, la privò de’ soldati e delle guardie
che a lei come a Madre dell’ Imperatore
_- si convenivano, ‘e perchè potesse veder
meno gente, la fece uscire di corte, e le
assegnò per abitazione la casa di Antonia.
sua ‘avola, ov’ egli andavala a Visìtar qual
che volta guardato molti Centurioni ,
e freddamente abbracciatala, si partiva.
Gli amici di lei, al mancar della sua for
tuna e potenza, come avviene di tali ami—
ci, si dileguarono, e la povera A rippina
un tempo sì piena di orgoglio e i fasto,
non era più Visitata che da alcuue donnic—
ciuole,~ le quali anch’ esse non si sa bene
se il ’facessero per amore, o Più tosto per
curiosità , e per la soddisfazione di scor—
gerla umiliata e avvilita: il che par più
probabile . ( a )
Non sarà dispiacìuto a Seneca e a Bur—
ro , di veder allontanata dalla Corte que—
sta Donna malvagia, i cui infiussi nel
m 2 gover
k.
185 ‘
reggere alla sua bellezza,e all’ardor che
sentiva, e non fu_ 'avara a lui ‘di favorix
ma quando'il vide nell’ aniorosa pania in;
vescato, e sì, da non poterne più es’cire,
mutò allora contegno, , mostrò- ritrosíe z
scrupoli, rimorsi, pentimenti: dicea che
troppo essa amava il marito , che troppo
era amata da lui, ch’ era crudeltà il ’far
gli torto, tanto più che Nerone'i suoi
affetti dividea con una vile liberta, dove
Ottone lei unicamente avea c'ara. Che nel
marito erano entrati sospetti, che non ~si
volea provocarlo, e ,simili cose. Chi a_ suo
gran danno, alle amorose frenesie fu her-»
saglio, sa troppo bene come irritino amo—
re, ostacoli e gelosie. Tal fu del‘ Monarca
Romano. Egli riguardò da quindi innanzi
'Ottone‘ come rivale, e d’ amicis’simo che
gli era, gli divenne nemico. Cominciò a
trattarlo freddamente, poscia ‘a non ain—
metterlo più alla sua conversazione, e fi—
nalmente l’ aVrebbe anche ñ ucc’iso , se Se
neca ch’ era amico di Ottone, 'e sernpre
;in guardia per frenar gl’ impeti naturali
del faroce suo allievo, non gli avesse fat
to comprendere quanto pericolo fosse e
quanta crudeltà nel 'privar di vita un in—
nocente, 'Uno de’ primi Signori di Roma,
e ch’era stato suo amico. E scorge-ndo.
egli
186
egli che il Principe per l’ eccesso della
passione, era di moderanza incapace, gli
propose più tosto di allontana'r Ottone da
Roma , col dargli il governo di ,qualche
Provincia, che cos‘i liberolsi vedrebbe e
senza delitto, dalla presenza dell’ odiato
rivale ..Più che le .Saggiev riflessioni di
Seneca, piacque l’espediente a Nerone,
il quale inviò il marito di Poppéa gover—
natore in Lusitania ( Portogallo ) ov’ egli
ben Consapevol che il ,suo era più tosto
esilio che governo, adoperò con molta giu
stizia e prudenza, e si vendicò in segui—
to dell’ ingrato Monarca. (a)
Poppéa Sabina come `vide allontanato il
marito, tutte sue mire rivolse, niente a.
meno che a divenire Imperatríce, e però
tenea sempre più fermo Nerone ne’ lacci
suoi, alternando dolcezze e ripulse. Ma
due forti ostacoli ancor s’opp‘onevano a’
suoi arditi disegni: l’uno’ era Agríppina,
Ottavia l’ altro. Disperava Poppéainsino
a tanto che vivesse' la prima, di poter
mai divenir 'moglie a Nerone. onde il
tor—
( a ) Síphilin. in N’ero‘n. .L
189
le cose sareb’bon passat-e più innanzi, (a)
se Seneca d-i ciò informato, e pien dìor..
tore, non aveSSe a lui prontamente invia
ta Atte imponendole dirgli, che la Madre
già si era vantata dell’amore incestuoso del
gliuolo, e che i soldati non sarebbono
per tollerare lungamente un Principe sì
profano, e sl empio. (b)
Non è da dubitare che-Atte , la quale
amava di- cuor Nerone, spaventata del
suo e del proprio pericolo , non Soddisfañ-~
cesse assai bene al carico impostole: onde
in grazia del nostroSeneca, si ritrasse
1’ Imperator da un eocesso che "fa innorriq
dir la natura. ' *
Perchè egli intimidito per una parte
dall’ imbasciata di Atte, e tormentato per
l’altra dai continui artifiziosi rimproveri
di Poppéa Sabina ch’ egli amava con en~
- tu
1
196 ' ,
le fra le altre cose dicea che Agerino da
sua Madre inviato ad ucciderlo , s’ era
trovato con l’ arme: ch’essa quindi s’ era.
da se medesima uccisa per il rimorso d’un
tanto misfatto fall-hole; che l’ avea più
volte istigato a levar i donativi ai solñ
dati, alla plebe le mance , a rovinar
molte illustri persone . Ch’ era stata essa.
cagione di tutti i delitti commessi nel re
gno di Claudio, e quindi per il ben pub
blico estinta. Conchiudea finalmente , che
d’ esser salvo appena credeva, e d’ esserlo
non godeva . p,
Niuno diè fede a ciò che in questa let
tera si 'narrava, e molto _meno a quello
che più stava a cuore che si credesse, che
Agrippina ciò è a dire avesse mandato il
liberto aduccidere un Imperadore, dife—s
so sempre e guardato .dalle milizie.
‘ Con tutto ciò il Senato non fu lento a
ordinar supplicazioni e rendimenti di gra
zie agli Dei per il pericolo scampato da.
Nerone, cui fu innalzata una statua, e
il giorno natal di Agrippina ſu fra gl’ in—
~ſausti riposto . Quando l’ Imperadore ri—
tornò a Roma, gli furono incontro le tribù.
e il senato in gala, e procissioni di gio
vani e di donzelle: e il popolo s’ammon—
:ava per-,vederlo passare, quasi facesse da
una
, . ’9?
?una conquìsta ritorno, o andasse ad un'
trionfo: a tale era giunta la schiavitù e
l’ adulazione. (a)
Ho voluto narrar questo tragico fatto
con qualche estensione, accíocchè ogni mio
leggitore chiaramente veder potesse la par-`~
te ch’ ebbe in esso il nostro Seneca , su
di che parlar dovrò lungamente a suo
luogo . i
Veggendosi Nerone libero . dalla sogge~
r Zion d’ Agrippina, ch’ egli odiava ad un
tempo e temea, conosciuto a-prova che i
più orrendi delitti, non che tollerati.in
Roma , erano ancora` approvati, fatto più
baldanzoso, più‘che mai' si abbandonò all’
:impeto delle sue feroci passioni. Quindi
a misura che questo mostro scuoteva ogni
freno, anche il creditm e la deferenza a
Seneca veniva scemando . Pure il nostro
filosofo n’ ebbe ancor, tanto da impedire
in Roma un orribil macello. Poco dopo
la morte di Agrippina, si 'vider diversi
prodigi ’che da Tacito' s_0n descritti. (b)`
n ‘3 Nero- .
`
( a ) Sifilin. in Neron.
199
questo ripudio, come abbiam veduto più
sopra, e Burro Prefetto de’ Pretoriani ir
ritato potea con un solo .suo cenno far
'costar caro a Nerone l’insulto che si me—
ditava di fare_ ad Ottavia. Tanto ,bastò
perchè si risolvesse la morte di Burro, e
I’ occasíone venne opportuna , poichè i
modi ,violenti poteuno essere pericolosi.
Giacca Burro ammalato d’angina, o d’ alñ’
tro male che gli`avea enfiate le fauci.
Nerone spesso' lo visitava, e quasi fosse
dolente del pericolo a cui era condotto il
Prefetto, gli disse che volea mandargli
un medico il quale avea tal rimedio che
l’ avrebbe sollevato e guarito. ‘Venne il
medico il quale 'gli unse la gola con olio
avvelenato, che poco appresso il fece m0
rire. Burro s’avvide del tradimento, poi— ~
chè a Nerone'venuto a vederlo e del suo
stato chiedentegli, rivolta con orrore al— '
-trove la faccia, sto i0 bene, rispose, qua
si volesse dire che la morte era per lui
una felicità, perchè della vista il libera
va d’ un Principe scellerato e crudele‘. La
morte
virtù, dimaBurro
non uomo
peròl pien di valore
da ogni taccia eimdi
mune, come osserver'emo a $110 luogo, fu
di universale rincrescimento, e per la me
moria de’ meriti suoi , e per il para one
`n q. - e’
l
.200
de’ due suoi successori, l’ uno buono ma
debole , l’ altro scellerato e famoso per le
sue lìbidini. (a) ›
Ma se la morte di Burro a tutti spiac-x
,que, diede‘ altresì l’ ultimo crollo all’ au
torità di Seneca, sempre sostenuta sin quì
dal Prefetto, che operava con lui di con
certo . Un filosofo' amatore 'e predicatore
,della virtù, altre forze in se non avendo,
*o capo che il sostenesse, dovea cadere ne*
cessariamente in dispregio e in odio a Ne
rone. Oltraociò gli amici e i ministri dell’
Imperatore , ch’ eran la feccia di Roma ñ,
come a dire , Petronio, Vatinio, Tigelli
no, Aniceto, Pittagora, SPoro, Senecione
ed altri, dovean vedere in corte con* di—
spetto un uom virtuoso, la cui condotta.
era un continuo rimprovero de’ lor costu—
mi, e che una volta o l’ altra con quell’
ascendente che ha la virtù anche "sui cuor
più corrotti, potea far ravvedere il Prin
`cipe, e -condurlo anche-a punirgli. Però
dopo la morte di Burro , furono costoro
intorno al Monarca dicendogli, ch’ egli i
suoi maggiori imitasse pendii'igersi’làene;
fl . , ie..
210
-. Quest’ Operetta , com’ è detto , è- man
cante, ed alcuni ne’ tempi andati credetter
compierla e perfezionarla, ai frammenti
-unendola d’ un altro Opuscolo, d’ argomen—
to affatto diverso , e che tratta del Ozio
~o del
9”
ſ1 vede il lavoro quando ſono ſuperate le -
’ ”
difficoltà, e che tutto è aggiuſtato e poſto
‘ ’ ”
a ſuo luogo, reſtando occulta la maggior
”
arte della fatica, e dello ſtudio ſpeſo in
”
uggire gli errori. In quella guiſa, che
a’
,Veggendofi una fabbrica quando è bella e
” terminata, non fi conſiderano le malage—
~ ”
Volczzeygll intoppi, e le ſpeſe nel fare
”
gli ſterri.; nel cavar l’ acque, nel ettare
” i fondamenti,nel condurre i materia i, nel
s* collocar le porte, nel pigliare i lumi, nel
ſttuar le ſalite; nè altri vſ1 ricorda delle
”
” piante , dei diſegni, dei modelli, degli ar—
” gani , de’ ponti, delle centine, e di mille
” altri ordigni e ’lavorj neceſſari. Ma pur
” ueſti tanto, o quanto ii ve gono, perchè
” s opera in pubblico . Così ?offeſo vedute
” le preparazioni, gli ammanimenti, i reper—
” .torj , gli ſpogli, i luoghi imitatí,' le pon—
” derazioni, le correzioni,i riſcontri, i vol
” garizzamenti degli Autori, le bozze, le
” cancellature, le coſe prima elette e poi ri—
” fiutate, che per avventura ſarebbe più com—
” patito~ chi' mette in luce le ſue fatiche da
” certi ſeveri e indiſcreti cenſori, che non
” [facendo mai coſa alcuna , le fatte dagli al`
2’ tri ſempre mettono a ſindacato . ec.
- 211
o del **Ritiramento del Saggio:. di cui di
sgraziatamente ‘non ci rimangono che po—
chi capitolj . Sembra pur che in quest’
Opera» Seneca difenda se stesso dalle ac
cuse che ~forse gli si faceano, d’ essemi
ritirato dalla Corte di Nerone, cui più
non potea giovare Per conto alcuno, onde
darsi alla contemplazione, e ai filosofici
studj . In ciò che ci rimane di questo
scritto , prova' egli due cose. mio. che
può il saggio, senza mancare a se stesso,
sin da’ primi suoi anni menar vita ritira
ta, e tutta rivolta a perfezionare se stes—
. so , e ad istruirsi : 2do. che può altresì
senza taccia, dopo aver passati ~gli anni
migliori alla pubblica utilità involto negli
affari, quasi in porto sicuro .quindi riti
rarsi a vita, tranquilla, continuando a gio
vare al pubblico , se non con l’ esempio
delle proprie azioni, con quel non meno
utile ’de li scritti. Mostra quindi non esser
questa ttrina nè contraria ai precetti
degli stoici, nè tampoco agli esempj , c0
mechè una delle COSe che incu'lcano, sia
che l’ uomo sino alla morte esser debbe
in azione, ed essere d’ utilità non agli
amici solamente, ma ancora ai nemici.
Non contraria’ ai precetti, poichè il `filo
sofo anche nel Gabinetto, anche in letto,
o z. può '
212
può altrui giovar cogli scritti che istrui—
scano , che correggano , 'che innamorino
della virtù: non contraria agli esempj ,
perchè Cleante, Crisippo, Zenone visser
rivata vita, e tuttavia più assai giova
rono alla Repubblica, che molti conquista—
tori che molti esimj ministri non-fanno.
Oltracciò , de’ casi ai danno in cui debbe
il saggio alla quieta vita rivolgersi, e so—
no, o quando la Repubblica è a tal giun—
ta di corruzione che più non ammetta
rimedio, 0 quand’ egli non v’ abbia'più
nè autorità, nè favore; o quando inferma
sia la sua sanità; e in questa triplice si
tuazione era appunto il nostro Autore
negli ultimi anni della sua vita.
Una però dell’ Opere” che più fanno
,onore al filosofo, e che più utili sono a
leggersi, e la cui morale è più pura e
sincera, è il suo Trattato dei Beneficj,
ad Ebucio Liberale diretto, e in sette li—
bri diviso. Fu quest’ Opera in Toscana
lingua tradotta dall’ elegantissimo Bene-*
detto Varchi , esimio fiorentin letterato.
Fu scritta certo regnante Nerone, poi—
chè al primo libro di essa, con disprezzo
si parla di Claudio, il che non si sareb
be fatto sotto il suo\Impe,ro. E Siccome
è di qualche estensione, così fu per av—
`
ven
\
.,
E
e 213
ñv'entura da lui dettata, quando 'sì trova-c‘
va già sciolto dai legami cortigianeschi .
Dopo essersi in sulle prime lagnato dell’
ingratitudine, vizio tanto frequente e sì
grande , si propone di scrivere de’ Bene
ficj, i quali considerar non si debbono o‘
valutare in se medesimi, ma nell’ animo
di chi gli fa. Dimostra poscia quali sieno
i Beneficj a chi gli fa convenienti, ed uti
li a chi gli riceve; come fardebbansi, e
ciò di buon cuore, subito, senza esitare.
_Alcuni palesemente, valtri in segreto, tutti 'l
218
costui com’ 'è detto Prefetto dell’ armata
di Miseno ) che da lui avea avuti figli
uoli, da lei insidiosamente nascosti, ( s’ era
dimenticato Nerone d’ averla poc’ anzi co
me~sterile ripudiata)v e che di queste co—
se` avea avuto convincentissime prove, e
che però la confinava nell’ isola Pandate—
ria: .ove poco appresso wall’ età di venti
-avnni barbaramente ſu uccisa . Si fecero
_quindi in R’oma, 'secondo era ccstume,
offerte é ringraziamenti agli Dei per tal
Successo. (a) ' .
- ”Ecco il fine di questa sventurata Impe—
ratrice, che non ebbe* un sol raggio di
gioia, dal primo momento che aperse gli
occhi alla luce. Perdette il primo ma
i‘íto ch’ ella amava teneramente , per
essere sposata a Nerone. che sempre l’eb
be in odio: e in disprezzo . Le furono, a
cosr
( a ) Lib. XVI.
… , 225
zie; il ,virtuoso vieppiù s’ accende della
virtù, il libertino arrossa, s’ egli è pos—
sibile, delle viziose sue inclinazioni. Vi
‘s’ impara l’ amor de’ suoi simili , l’ osse—
quio al Principe, -la venerazione agli Dei.
Le dolcezze si mostrano dell’ amicizia,
della beneficenza e dell’ altre rirtù socia—
li. 'Felice chi di questa lettura sa inna
morarsi , e più felice ancora chi sa gio
varsene! A1 secolo in‘ cui viveva, ed alla
setta ch’ein più amava, si doneranno al—
cune quistioni frivole in cui Seneca si
diffonde più del dovere, sebben ad ogget—
to di censurarle; alcune inopportune ar
utezze, e non convenienti alla dignità
dell’argomento che trattasi; un certo di
slogamento, dirò così, di periodi, brevi ,
saltellanti, ineguali, il che è comune an
che alle altre opere.sue; qualche repeti—ì
zione, e qualche disordine: poichè tutti
questi difetti compensati sono ad usura ,
dai pregi eminenti che in queste epistole
s’ ammirano , e più ancora dal frutto che
se ne può trarre. i -
Quell’ Opera però che tutte corona le
Opere del nostro Autore, e che mostra
la varietà e la vastità della sua~ dottrina,
sono i sette libri delle Naturali Ricerche,
diretti al suo amico Lucilio, i quali con
P- z ,5,36
226
siderati saranno come maravigliosi ,'v( che
che mostri sentire' in contrario, il per al
tro dottissimo e giudiciosissimo Padre Da—
niello Bartoli ) (azQ ove giudicar si vo
gliano, com’ è dovere, colle cognizioni di
que’ tempi in cui furono scritti , v`e -colle
opinioni che allor -correvano in argomenti
fisici e meteorologici, che appunto intor—
no al fatto delle meteore questifsí-aggí—
rano. E' opinione». del Lipsio ez-d’ altri
eruditi , che in queste materie abbiaìSeñ
neca per avventura superato_Aristotile,
e fu osservato che molti ritrovati che si
spacciano per invenzioni moderne , non
erano a Seneca affatto ignoti. Fu quest’
Opera scritta dal nostro filosofo negli ul-ñ`
timit‘empi della sua vita,,(comechè forseì
molti materiali in pronto egli avesse sin
dall’ epoca del suo esilio, come osservam—
mo) parlando egli al libro sesto d’ un
terremoto che scosse la Campania, e ciò
sotto_v il consolato di Virginio e di Mem
mio, cioè due anni prima della sua mor—
te. Troppo lungo io sarei se di quest’
’ opera .dar. volessi un estratto benchè im
pe l'
/ſi r -` i ’ — /
› -\ ' ‘ ‘ i i
z( a Geografia traſportata ot Morale . Cap.
. la Modem: pag. 273.
; 227
perfetto. Tratta egli in essa dell’ arco ce.;
leste , de’ parelj , de’ folgori , degli SPec..
chi, delle proprietà dell’ aria, dell’ origin
de’ tuoni, e de’ fulmini, de’ fonti e de’
fiumi; della grandine, delle nevi, del ge
lo, de’ venti, de’ terremoti, e finalmente
delle comete. In ogni Sua ricerca adduce
le più probabili opinioni degli altri, pro—
duce quindi la sua, adornando la ‘severità
delle materie con ameni racconti, con ri
ilessioni morali, e cm esempli adattati. ~
Questa fu l’ ultim’ Opera, di quelle al—
meno che sono a noi pervenute, che l’ Au
tor nostro compose, e ben si pu‘o dire di
lui, quel che del Cigno da’ poeti si can
ta , che vicino a mori-re, più dolce ed ar—
moniosa manda fuori la voce: poichè ap—
punto le opere ultime del filosofo sono
ancora‘ le più pregiate , _per ingegno, per
dottrina, e per si‘ncerità di morale .
Veniamo ora a quell’ evento luguhre;
che colmò la misura di tutte le scelIèra
tezze
iſirſinperodell’ infame uno
Romano Nerone, che maggiori
de’ suoi tolse all’
PROEMIO.
Lrnno QUARTO.“
\
z5° A
qual ultimo_ quanto studio posto' avesse il
nostro Lucio, ci mostrò ad evidenza nelle
dotte ed elaborate sue Osservazioni inter
no ad Orazio, (a) il Chiar. Cav. del S.
R. I. Signor Clementino Vannetti, cessato
a questi gſhrni di vivere con universa-leî.
rammarico, e con danno grandissimo delle
buone lettere e del buon gusto. r
Che s’ egli censurò talvolta alcun passo
di 'Ennio, di Cicerone, o di Virgilio, della.
qual cosa, come di enorme delitto l’accusa
Aulo Gellio con molta impudenza: (b)
chi è che vo lia condannare uno scrittore
del merito e dell’autorità di Seneca, di
ciò che veggiam vfarsi tutto giorno ;enza
biasimo, anzi con ~lode, da ogni scrittore
qua
ì ²53
fu in Corte, le sue ricchezze.- divennero
immense , nè debbon recar maraviglia ,
solo che si consideri chi era allora un Im
peratore Romano, e chi esser dovesse un
primo ministro.
Sono celebri dunque `gli orti, i censi ,
le ville, e le ricche suppellettili di Sene
ca, ricordateci da Suilio in Tacito , da
Dione, da‘ Giovenale , e dal /medesimo
Seneca. Erano molte le Ville sue , e fra
queste debbon ricordarsi 1a- Nomentana, (a)
l’ Albana, e la Baiana, delle` quali parla
egli apesse A volte con compiacenza. (b),
Sappiam ch’ ei possedeva anche oltremare,
e singolarmente in Egitto., (c) forse per
muni cenza della materna sua Zia, che
avea passati tanti anni in quella Provin
cia, col marito che n’ era Prefetto. (d)
Seneca in Somma era ricchissimo , ma le
sue ricchezze non gli possono esser d’ ac
cu
l
25? ſi
che queste cose scriveva ad tm suo ami--v
co , che avrebbe potuto vergognosamente
smentirlo deriderlo se fossero state fal—
se? Credi, dunque agli altri, e credia
mo a Tacito che ,ce lo dipinge com’ uom
parco e sobrio, (a) e a S. Girolamo che
lo* dichiara uom di continentissima vita. (b)
Non potrà dunque esser sobrio e vir
tuoso chi è ricco , quando egli troppo
amore non porti alle ricchezze , e qualor
sia alterare
ſiza disposto la
al filosofica
bisogno asua
rinunziarle, sen
indifferenza?
Ecco una delle condizioni poste da Sene
ca medesimo al ricco sapiente, (c) e da
lui esattamente osserVata nella spontanea
cessione ch’ egli volle far de’ suoi beni al
Monarca , allorché. sospettò non forse i
.suoi beni, alla tranquillità sua filosofica
fosser d’ inciampo. (d) Ma Seneca, dico
no alcuni, che tante pregiate cose scrisse
r della
ñ 265
la greca lingua la venustà; (a) le quali
lodi appena moderate sarebbono, se riVOl
te fossero ad Omero, e Virgilio medesimi:
ma si possono odorar senza noia e sdegno
gl’ incensi , ch’ egli all’ Imperator Claudio
offerísce , di clemenza lodandolo , (b) nel
tempo stesso che avea sagrificato alla mor
te tante innocenti vittime; di vigilanza
instancabile e non mai interrotta al gover—
no del suo Impero, quando la maggior
sua occupazione eran Ia tavola, le baga—
sce e simili infami intertenimenti, le al
tre cure abbandonando alla moglie inde na
e ag ’
( c ) Cap. XXXV.
267
pedestrì, che se‘ nota altronde non fossecî
chiaramente la sna innocenza, dalle sue
parole parlebbeçi reo di qualche enorme
delitto? (a) ~ .z
Quest’opuscolo in somma fa torto gran
de all’ Autore, percìocchè in esso , oltre
la più vile adulazione , si scorge altresì
una bassezza ed un abbattimento d"ani
mo che niente .corrispondç ai sentimenti
generosi, magnanimi , eroici , che si leg—
gono nell’altro bellissimo ad Elvia, e scrit—
to pur dall’ esilio. Poichè dove in queste
assicura la Madre , ch’ egli è lieto e con—
tento nel suo esilio per quelle cose me—
desime per le quali un altro s‘arebhe sta
to infelice; (b) in quello a Polibio gli
scn— ~
U uVu
Seneca non pretende-vano meno, che la
uñu.u -
9.78 . -
che non si voglia' .s'eScñvèreñ alla' conghiet—
tura di’ Tacito,` ~n0n ?poki-em però dalla
‘ faccia di. colpa e-d’ingratitudine aásólvere
quel famososilenzio e *quel guardo-:Non
si trattava &meno che-della morte ;di Agrip—
Finardi colei finalmente, .che ‘quantunque
scelleratiSsima donna,’era îstata p'ur quel
la che avea Seneca vrichiamato dall’ e’silio ,
fattolo Pretore, ed istituto? diîNerone', e
-il .suo Silenzio era pur troppo secnonzun’
approvazione , -una ’condisoendenza 'almeno
all’ orrendo; misfattoí', e Burro che aperta*
mente `ksuggerì i mezzi‘ onde operarlo‘, e
'ch’ egli pure. 'dovea ad;Agrippina 'la' ~sua
_ dignità‘, è più reo ancora di Seneca. -,~-:~
Nerone*era uomo crudele è vero ;vera
uomo violento, in una-v Parola era ,un-.mo.—
stro‘; ’macera. pien (ii-paura', e non ad ?al-'
t’roí’fine avea fatti chiamai:~v SenecaeBur—
ro , che per-intender_ qual fosse il lor pa
rere, ²e come credessero .'dh’ ei -oondur si
dovesse nella suapircostanza'. Perchè dun—
que *Seneca non polea proporre, veggendo
in Pericolo di morte la sua …benefattrice ,
‘ ~ un
P
283
la Madre, si rise di tutto quello che si
Volle :far credere , cioè che il naufragio
d’ Agrippina fosse nato dal caso, e ch’es—
5a ?avesse Spedito il Liberto ad uccidere
ilÎfi-gli-uoloi (a,-) e- pur `dopo ciò, Roma
e il Senato corser fe$tosi ,ad incontrare il
parricida_ Monarca che tornava da Napoli,
e lo colmarono di quegli onori, che a unv
›.’I`ito"e ad'` un -ìTraiano‘ "sarehbono sta‘ti so
.V‘erchiió Qualunque riflessione si faccia,
per quanto ei' inediti questo evento in
ogni sua circostan'za , non ‘potremo assol-ñ
i ver di colpa il Silenzio di Seneca., -ñe p0—- a
treni 'dire -cÒn Cicerone quicquid . . . . .
attigerìs,‘ulcus est. (b)
* Voglio anche credere, ( il che non è
però certo) che un' consiglio più mite in
torno ad Agrippina,~ non fosse stato am—
messo 'dall’infuriato, ed isbigottito Nero
ne. Che importa? Seneca però col pro'porlo
avrebbe compiute le parti' d’uomo grato
ed onesto, e di precettore zela-nte , e sa
- * ~ ì ’ rebbe
Ì
289'.
Ma presentemente non v’ha uomo alcu
no di erudizione anche mediocre, che creda ì .
autentiche quelle lettere, che pur ancora
si leggono, Ase però sono quelle medesime
che a’ tempi si leggeano di S. Girolamo.
Lo stile rozzo e plebeo , e niente confor—
me a quello. degli autori supposti, ,ed
eguale Siccome nelle proposte così ancora i , A
nelle risposte, sì che chiaramente opera si .'
manife‘stano d’ uno scrittore medesimo, pal~` ’
cuni fatti --in- esse che .alla verità s’ 0p
pongon‘o dellaimpostura‘.-
unarsolenne storia,_le caratterizzano
i per
- ~
Ma come mai S.Girolamo autor sì colto,
e di tanta ,dottrina e critica, avea per le—
gittime quelle lettere? Si osservi che il“
Santo non dice d’ averle vedute e lette,
ma Solamente che 's’ aveano e si leggeano
per molti, 0nd’ egli altro esame non aven—
do premesso ,cfu per avventura dallaffipoñ`
polar tradizione ingannatot,
7 Anche S. Agostino, ,nellasua epistola
decima quarta a Macedonio, di queste let—
tere fa `\menzione , ma altrove , :come è
detto, Scrive che Seneca non volle mai
ricordare i Cristiani,
alla costumaſſnza anticae (per
ella’non
sua opporsi
patria ,
lodandogli, nè al proprio cuor, ripren
'_ t 'i deinſi';
290
dendog‘li. (a) Il che mostra che que—
sto santo VescO'VO di 'tal guisa scritto non
avrebbe , ove creduto avesse canoniche
quelle lettere , nelle quali d’ altro non
parlas—i che de’ Cristiani, e della Religione
Cristiana.
Ciò che ’diede motivo a fabbricar que
sta impostura, ſu , come comunemente si
crede, una Storia della Passione di‘ Pao
lo, scritta sotto 'il nÒme del Pontefice Li—
no , che viveva ai tempi in cui vissero
appunto gli Apostoli Paolo e Pietro, al
qual ultimo succedette nel Pontificato. In
questa storia che ancor si conserva, e che
citata viene dal Cardinal Baronio, (b) e
dal Fabricio, (c) si scrive che Seneca era
molto amico di Paolo, in grazia della di—
vina Scienza che in lui scorgeva. E non
potendosi con e550 lui intertener di pre—
senza , suppliva colle lettere vicendevoli ,
mercè delle quali fruiva Seneca de’ dolci
colloquj di Paolo, e si giovava de’ suoi
consiglj . Ma il Baronio , il Fabricio ne’
citati luoghi, ed altri osservarono , che
- que
~`
3°?
,Seneca che tante» belle nozioni ci ha date
dell’ immortalità dell’anima umana, e del—
la sua felicità dopo morte (dell’ uom giù.
- sto parlando) ecco che tutto ad. un tratto
ci annunzia’che la teoria dell’ immortalità
dell’anima è solamente un bel sOgno; (a)
e che tutte le cose che ci‘ vbngonoanedi
cate d’una vita futura sono fantasie de’
Poeti. Che chi compiagne un morto, può
compiagnere ancora chi non—è" nato . Che
la morte 'non è nè un bene nè un male.
Poichè o bene 0 male solamente può es—'
sere ci‘o che è, ma il nulla, non può
andare alla fortuna soggetto, e non— può
misero esser colui che in nulla si conver—
tisce. ‘(b) Che la conseguenza della mor
u 2 ’ i - te
l
` 513 ‘
chè- non credo 0.1.17 egli giugnerà_ a per
suadere coloro nelle cui vene scorre 'seda
tonìl sangue,‘e _che canti contro i pregiu—
dicj , non cedono ,che vcostret‘tì dalla Per
spicuità fed evidenza delle ragioni; (0)‘
_~Ma i0 credo che basti, oltre . ad un
animo ben dísposto, l’accíñgersi alla let
tura dell’ opere (li-_Seneca colla ferma per—
suasione ch’ egli ſu Pagano , che scrisse
cogli errori infelici del Paganesímo, co’
quali. anche morì , come dal sagrificío ‘ap
parisceehe negli ultimi momenti della sua
vita egli fece a Giove Liberatore . Allora
non si potrà a meno di non trar da que- ~~
Stalettura maraviglioso profitto. z
Niuno, seconclo a me pare, meglio (lie
de nel segno, a questo- `proxposíto giudi
cando , del famoso 'Erasmo di Roterdam,
i] qual disse, che ,- ove si leggan le opere
di Seneca come d’ autore crístiano , pa—
ganescamente egli scrísse, ove al contrario \
› come
/\
_,
514 i .
come libri (Ti pagano autor sì considerino,
par che un cristíano abbia scritto. (a)
L’ utilità per altro maggiore che dalla
lettura dell’ Opere di Seneca può derivar
si, è, s’ io mal non _conosco, nella scienza
Ae’çostumi, che le` scuole Etica appel
lano. Scrive egli con tanta. verità , con
tanta' forza con tanto calore della` be—
neficenza, àell’ amor coniugale, del per
dono delle ingiurie, dell’impiego del tern
po,` che è quasi impossibile che a ‘un
cuor 'bene inclinato che legga, non s’ at—
tacc-hi un somigliante entusiasmo :' con ciò
moátrando ch’ egli `è persuaso e convinto
di ‘quanto scrive, il chè è a vero dire il
modo più acconcio‘di convincere e persua—
dere anche gli altri. (b) ,, Se Cicerone ,
l ,, scri
( aPo)efia.
Franceſco
Volum.Quadrio`
111. pag.
Stor.
47. e. R ag . d’ o gn i
( b ì Dan. Geor . Morhofius,` Polyhìſt. Litter.
Li .,1V. Cap. 'II, Paragr. Vlll. pag. 881.
Altre ſtravagnnti opinioni ſu ciò, legger fi
poſſono nel Fabricio, nel Morofio, nel Gim—
' ma, nel Quadrio, in Nicolò Antonio, negli
' atti degli Eruditi di Lipfia dell’ anno 1702. ,
e in più altri. t
32?
Io, porrò fine a questo argomento col
giudicio d’ un modesto e sensato scrittor
moderno spagnuolo, il qual parmi che a
queste proposito abbia dato nel segno.
,, Abbia dunque, dic’ egli, Seneca il
”u u vu u u vu u vu
suo luogo fra tragici antichi, ma l’ ab
bia cjuale gli si compete, di gran lun—
ga inferiore a quello che con tanto di—
ritto occupano i tre padri del Greco
Teatro. Di quanti hannor lette le su’e
Tragedia, pochi disapproveranno più… di
me quello stile declamatorio, quell’ aria
pedantesca, quella superfluità di parole
e di sentenze , quell’ affettazione e ri—
cercatezza, e quella vana ostentazione
uu
di spirito, che sono a Seneca sì fami
,, gliari, e che non lascianq leggere senza
,, qualche sorta di sdegno, gli stessi passi
,, da me e da altri più celebrati. Io non
,, dirò mai, che-quelle tragedie si debba
,, no contare fra le composizioni dramma
,, tiche di buon gusto, e che Seneca s’ab—
,, bia a riputare un eccellente. Tragico,
,, ed a proporsi per Maestro di teatrale
,,,, Poesía; ma credo
asserire senzaſi nondimeno
timore di poter
d’ incorrere nella
,, taccia di parzialità, che in quasi tutte
~,, le Tragedie dette di Seneca, ma singo
,, larmente nella Medéa , nell’ Ippolito,
x 4 , ,, nella
528 .
,7 nella Troade', si vedono tragiche situa—
77
zioni, tratti d’ ingegnoso dialogo, espres—
u uguuqvquü
ou
sioni d’ ardente e nobile passione , alti
e sublimi pensieri, vere e profonde senó.
tenze,'e bellissiníi versi; e i0 pen
so -che quelle tragedie debbano tenersi
lontane dalla mano de’ _giovani poeti,
e studíarsi da formati drammatici; la
ampollosità e gonfiezza delle espressio—
ni, e la continua affettazione d’ ingegno
uu
corromperanno 1 giovani poeti, singo—
o”
larrnente in questi dl , quando sì paz
vuvu u ”u ugflg
zamente si corre dietro alla -filosofia e
allo spirito; ma irpassi ben condotti,
i sodi pensieri, i nobili sentimenti, le
vere e non'volgari sentenze, e le giu
ste e sublimi espressioni, saranno di
gran giovamento ad un maturo e giu
dizioso Poeta. (a)
In quanto allo stile in generale dell’
Opere di Lucio Annéo Seneca, di cui ci
resta a parlare per ultimo, gravi acCuse
a' lui furon date, e non a torto per av
ventura, e in ciò quasi tutti gli scritto—
ri fortunatamente s’ accordan’o di qualche
nome . ,
E
( a ) Abate D. Giovanni Andres. dell' Origi
ne progreſſi e ſtato attuale d' ogni Letteratura(
Tom. Il. Part. I. pag. 272. a ſeg. \’
/
329
E primamente , per ciò che all’elocu
zione si aspetta, quanto sia egli lontano
dall’eleganza e purità Ciceroniana, e da
quel~nobile giro e maestoso, di_ per se
stesso ognun vede, e molti critici già di..
mostrarono, fra quali in ispezieltà Dcsi
derio Erasmo , nel suo Giudicio Èopra
l’ Opere di lui. ~
Il carattere dello stile di Seneca è .il
fiorito e l’arguto, le quali qualità mede
sime
generelode
loro,meritano ed approvazione
ove usate sieno aſſ temponele
luogo e con sobrietà. Ma queste necessa
rie limitazioni par che non fossero cono
sciute, o non volute conoscer da lui. Per
ciocche gli ornamenti e le figure sono al—
.lo stile, come alle vivande il salele gli
aromati, che le condiscono e le perfezio-`
nano, se con mano parca e giudiciosa vi
sieno sparsi, ma le guastan qualora git
tati a larga mano vi sieno e senza modo.
Seneca di conCettini brillanti, di antitesi,
di contrapposti mai non si sazia anche al—
lora, che. la severità dell’argomento meno
il comporta: piace in sulle prime alìlet—
tore colpito da que’ lampi d’ ingegno, ma
il troppo lume poi quindi l’abbarhaglia e
lo stanca. Oltraccíò Seneca per dar più
,ñ risalto al suo ingegno, non contento d’ ave):
l [ ~ detto
35°
detto una cosa in una maniera, quella
stessa in diverse altre ripete, onde il leg
gitore che nell’ opere d’un filoso‘fo si pro—
ponea in piccol tempo di fare profittevole
viaggio e lungo cammino, si trova con
sua ncia d’ essere dopo molta lettura p0
co inoltrato: onde egregiamente ebbe a
dire il Malebranchio, che *Seneca il più
delle volte era simile ai ballerini, che
dopo essersi molto, agitati, sempre ritor
nano donde s’ erano dipartiti. (a) E per
addur un esempio solo, in prova di quan—
to dico, tra i molti che si potrebbono di
l'eggieri, leggasi il capitolo sedicesimo del
primo libro dell’ Ira, ove racconta che
un soldato, di l'ito’rno- da un’ espedizione_
in cui avea smarrito, senz’ avvedersene ,
un suo compagno, presentatosi a Gneo
Pisone suo Generale, questi veggendolo
solo, reo lo credette d’ avere ucciso il
compagno, e montato in collera, senza
conceder tempo a cercare l’ uomo smarri
to, comandò ad un centurione che tosta—
mente il facesse morire. Ma mentre s’ ap
parecchiavan le cose al supplicio, il corn
pagno del condannato comparve, onde il
cen
. 33?
*Perchè conchiuder'em finalmente , che le
Opere" di Seneca, messe non saran nelle
mani di que’ Giovanetti che non hanno an
cora il gusto formato colla lettura assídua
de’ Classici Latini, quali sono senza ecce—
zione Marco Tullio, Salustio, Cesare, Li—
vio, Cornelio Nipote, ec. e tanto più ri
gorosamente si proibirà loro la lettura di
Seneca, quanto questo scrittore più per—
nicioso può essere al buon gusto che non
sarebbono i Plinj , i Taciti, e tali altri,
appunto perch’ egli più spesso abbonda di
que’ vizj amabili e dolci, che incantano
gl’ inesperti, e all’ imitazion gli strascina,
come avveniva ai tempi di ñQuintiliano,
in cui molti contenti di aver imitato Se—
neca in ciò’che in lui condanniamo, an—
davan fastosi quasi altrettanti Seneca fos—
sero, e si difendevano colla sua autori—
tà. (a) Ma que’ Giovani al contrario che
avran formato e assicurato il buon ’gusto
colla lezione de’ buoni e sinceri scrittori,
leggeran Seneca anche perciò ch’ein ser
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ED ULTIMO LIBRO.
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DELLE MATERIE
'_PIÙ INTERESSANTI
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AEM—it”. Operetta di celebre moderno autore
lodata 306.
S. Agoſtino giudica che Seneca propenso fosse
ai crístianí 220. Non crede canoniche le api;
stole fra S. Paolo e Seneca 289.
'Agrippina, Notizie della sua Vita 120. Sito ca
rattereClaudio
123. Diventa sposa di Claudio 125. 127.
In-
duce a richiamar Seneca dall'esilio l,
Quai, motivi a ciò la splgnessero 129.‘ Il fa ,
Pretore 130. 0diava la filosofia 145; Fa avve- ` \
lenar Claudio 152. Crea Burro Prefetto de’Pre- ’
toriani 160. Dominio ch' ella prende sopra Ne—
rone ivi e ſeg. Fa avvelenare Giunío Silano `
Proconsolo d’Asia 165. 'Fa morire Narciso 162.‘
Si presenta in Senato e vuol sedere accanto
all’ Imperatore ivi. Sue colpevoli condiscen—
y 3 denze
54s . ~
denze verso di lui 174. Sue minacce al mede—
simo 175.
dizione Cercada di`
fattale un farai im partito
astrologol, e sua178. Pre—
risp0$ta
ì. ivi .p È allontanata Per ’ordin So’v'rano dalla cor
te 171). ,È— abbandonata da tutti iui ,-;È accusata
di ribellione 181.‘ Si ‘difende e torna in grazia
del figlio 183. Ultimi sforzi per cattivarsi l'af
fetto di lui, e staccarlo da Poppóa 188. 'Peri—
colo' ch’e'ssa cÒrre-della vita‘*-'l‘90’-.- Ne scampa
192. Ne sospetta l’Autore 193._ Invia un suo
liberto a Nerone ad informarlo del corso pe
ricolo ivi. Èuccísa 194. Ultime sue parole im'.
V r ‘ze-ro :lo .Alfieri Sig. Conte Alésandro lodato 218.
Andres Sig. Abate Giovanni ÎSua Opera lodata ;5.
e 318. suo bel giudicio intorno alle‘ tragedie
di Seneca 327. - - r -
Annéo Novato figliuolo maggiore di M. Ann.
Seneca. È adottato da Giunio Gallione . Notizie
della' sua vita-5. Suo motto intorno a ‘Clau
_ dio 155. - ~ --v `
Annéo Mela figlio di M. Ann. Seneca. Pregi del
suo carattere e sua’ mortery.
Anieeto liberta prefetto dell’ armata di Miseno
' Aio_ di Nerone 145. Insegna a Nerone il modo
di far perire ‘Agrippina .191.- Uccide Agrippina
ì 194. Si-finge adultero di Ottavia 217.
Antonino Marco Imperatore _. Suo 'centimento in—
torno alla passione dell’ Ira 78. È uno de’ più
~famosi campioni dello stoicismo 304.
' Apol
543'
Apollìnare Sidonio . Suo sentimento intorno all'
autorendellè così dette Tragedie digSeñneca 324.
.Aristotile. Suo sentimento intorno all’ Ira 78.'—
Atalo filogoſo stoico maestro di Seneca, elogi.
della sua dottrina' 23. , ,~ . ~
Alte .liberta amata da Nerone 172. Impodisce per
ordin di Seneca il sacrilego incesto dell’ImPe
ratore 189. r
Aula Gellio. Sue accuse
neca 148, 241, 250”
impudenti contro dii Se
E
Einnetcío censurato XIV. AccuSa Seneca di ma—
terialismo 311.
y 5 _ Elvio
346 ‘ ,
Elma vmoglie di M. Ann. Seneca. Vita ed elogi
. di questa matto-na 4..
Erasmo ,di Roterdam . Suo giudicio intorno agli
vécrittí di Seneca 313. _Ne ha rilevati iv difetti
della latin'ità 329. - . i ,
N t
Q
Quintiliuno M. F.,Sue accuse di Seneca 148. 302.
320. 332. 333. 334. Sue lodi 148. 316.
S.
a:
552
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Pag. VIII. pref. lin. 23 di Seneco “di Seneca
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