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MIZR é uno strumento di divulgazione Direttore responsabile:

interna che presenta studi Mauro Cerulli


sul Martinismo, la Libera Muratoria
e lo Gnosticismo. Comitato scientifico:
Fabrizio Fiorini
La raccolta (che non ha periodicità Luizio Capraro
ed é riservata ai soli membri della Arrigo Gareffi
Associazione Culturale MIZR) Antonino Bonanno
non é in vendita
e può essere stampata in proprio
Vincenzo Malatesta
scaricandola gratuitamente.
Grafica:
Pertanto non può essere Sofia Beatrice Malatesta
considerata una testata giornalistica
o un prodotto editoriale ai sensi
della legge n. 62 del 07.03.2001. www.mizr.eu

Apis - Editoriale “Si sedes non is” Pag. 1

Maathor - Il Giuramento Pag. 8

Hathor Go-Rex - Gabriele Pag. 20


d'Annunzio, tra poesia e occulto

Mizar - Gli Yezidi Pag. 30

Seraphita - L’Ouroboros Pag. 42

Apis - Sufismo e Massoneria: Pag. 54


il filo rosso della tradizione

ADM - Il Gallo: simbolo di lotta Pag. 66


tra luce e tenebre

Hyperion - Antonio Canova: Pag. 78


bellezza, forza, saggezza

Calendario Operativo 2017 Pag. 92

Anno 3 - n. 11 - estate 2017


EDITORIALE
Apis

SI SEDES NON IS

A Roma, presso i giardini di Piazza Vittorio, si trova uno strano ed affascinante monu-
mento: la Porta Alchemica (detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta dei Cieli), edificato
tra il 1655 e il 1680 da Massimiliano Palombara, marchese di Pie-
traforte (1614-1680), nella sua residenza, villa Palombara, sita
nella campagna orientale di Roma sul colle Esquilino oggi, ap-
punto adiacente a Piazza Vittorio. Ci siamo già occupati,in uno
dei numeri precedenti, della interessante figura del marchese Pa-
lombara, dei suoi rapporti con Francesco Maria Santinelli e della
Porta Magica; ma ciò che ci interessa sottolineare nel presente
editoriale è che, tra gli innumerevoli simboli ed iscrizioni che si
possono leggere sulla porta, ve n’è una che recita: “SI SEDES
NON IS” e che si trova proprio sulla soglia della Porta.
Si tratta di un palindromo improprio, nel senso che non
è esattamente leggibile in modo identico da sinistra verso destra
e da destra verso sinistra, ma la lettura nei due sensi completa la frase e fornisce ulteriori spunti
di riflessione sul significato profondo di questa frase ermetica.

Il motto può essere letto, infatti, da sinistra a destra (Si sedes non is = Se siedi non vai)
e da destra a sinistra (Si non sedes is = Se non siedi vai). Dunque l’ammonizione, il motto ini-
ziatico lasciato alla posterità da Massimiliano Palombara, è il seguente:
SE SIEDI NON VAI, SE NON SIEDI VAI.

1
Secondo la Tradizione i simboli presenti nella Porta Magica indicherebbero la corretta
procedura per la fabbricazione dell’Oro Alchemico, che, come sanno coloro che seguono una
via Iniziatica Tradizionale, corrisponde al raggiungimento di
un determinato stato di coscienza (oro) partendo dal livello
ordinario di dormiveglia dell’individuo profano (piombo);
dunque per il conseguimento dell’Opera il Palombara ci in-
vita a seguire il principio di “ANDARE SENZA SEDERSI”,
ricordandoci, al contempo che“SE CI SI SIEDE NON SI VA”!
Tale ammonimento è stato (ed è tuttora) ampia-
mente disatteso da coloro che presumono volersi occupare
di Spirito e da diversi “Ordini Iniziatici Tradizionali” che fre-
quentemente, essendosi“seduti”, hanno smesso di“andare”
ovvero di progredire. La Tradizione non è un qualcosa di sta-
tico, di cristallizzato, di immobile, poichè se così fosse Essa
diverrebbe nient’altro che un “mito incapacitante” e più che
di “tradizione” dovremmo allora correttamente parlare di
“dialettica della tradizione” come acutamente osservava
Massimo Scaligero in “Iniziazione e Tradizione” (ed. Tilopa,
Roma, 2° edizione, 1983); ma una tradizione imbalsamata, un artifizio dialettico dei valori tra-
dizionali non può interessare a nessuno che sia interiormente sano e già quando ero giovane
trovavo patetici certi convegni di “studi tradizionali” durante i quali poche persone se la rac-
contavano tra loro ricordando con malinconica nostalgia quanto era bello il mondo antico e
quanto orribile sia, di contro, il mondo moderno privo di qualunque apertura verso il Sacro e
caratterizzato da una“inversione dei valori e dei simboli”dalla quale è stata partorita la attuale
società degenerata. Tutto ciò, credetemi, oramai non interessa più a nessuno poiché il passato
appartiene alla morte e non torna più. Se un iniziato, infatti, non coglie lo spirito dei tempi e
non si adatta ad esso“cavalcando la tigre”(come raccomandava proprio uno dei massimi“pen-
satori tradizionali” del XX secolo, ovvero il barone Julius Evola, il quale però a
mio modesto avviso non seguì molto bene tale sua esortazione) egli non otterrà
alcun risultato: in una parola, egli sarà un iniziato “sterile”, incapace perciò di
trasmettere ad altri (ricordiamo che traditio, ovvero “tradizione”, è termine deri-
vante dal verbo tradere ovvero “tra-
smettere”, “consegnare”,
”tramandare”) i contenuti ideolo-
gici, spirituali, culturali, conoscitivi
che egli ha acquisito. Erronea-
mente diversi personaggi, anche
assai stimabili sul piano personale, ritengono
che sia giusto mantenere una certa“mentalità
da catacombe”che era logico attuare in
epoche nelle quali gli Ordini Iniziatici
Tradizionali venivano perseguitati
dall’ordine costituito (chiesa,
stato, istituzioni giudiziarie) ma
che oggi sarebbe assurdo e
controproducente mantenere.
Certo il motto evangelico
(Matteo) “Nolite dare sanctum
canibus, neque mittatis marga-

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ritas vestras ante porcos, ne forte conculcent eas pedibus suis, et conversi
dirumpant vos", ossia: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le
vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino"
è ancora validissimo e deve sempre essere tenuto presente, ma è indi-
spensabile coniugarlo con il “SI SEDES NON IS” che dà il titolo al pre-
sente editoriale.
Oggi è necessario comprendere che la divulgazione è un dovere
per due ordini di motivi: il primo è determinato dall’urgenza dei tempi,
dall’implosione imminente (che è sotto gli occhi di tutte le persone in-
telligenti) della società occidentale, il secondo è relativo all’enorme
quantità di personaggi discutibili (per usare un eufemismo) che, appro-
fittando della superficialità insita in alcuni veicoli divulgativi e dell’in-
genuità di diversi “cultori di scienze esoteriche” agiscono come dei veri
e propri “acchiappa-citrulli” instillando nelle coscienze concetti falsi e
decisamente contro-iniziatici, sapientemente miscelati con poche e se-
lezionate (ed innocue per i loro fini) verità. Non voglio essere ingrato
verso i miei Maestri e verso coloro che mi hanno preceduto, ma ho il
dovere e la necessità di essere chiaro fino alla brutalità: ho avuto l’onore e la fortuna di entrare
a far parte, giovanissimo, di un Ordine molto antico ed importante e ciò è stato, ovviamente,
decisivo per il mio sviluppo interiore; ma tanto poco “IS”si applicava in tale Ordine che
quando, per un misterioso disegno del Fato, io ne ho assunto la guida, mi sono trovato a dover
affrontare un problema che sembrava che nessuno si fosse posto, ovvero che siamo nel XXI
secolo e non più nel XVIII!!! Analogo atteggiamento rivolto al “SEDES” è quello di coloro che
ritengono lecito e doveroso il mantenere in ristrette conventicole “occulte”prive di qualunque
collegamento con il mondo circostante quella Conoscenza che dovrebbe, viceversa, essere
messa generosamente a disposizione del genere umano. Un Rituale della Libera Muratoria
Egizia (Filiazione del Rito di Memphis) recita infatti:“Non permettere mai che noi ci fuorviamo,
donaci la Forza, illumina con la Tua Gnosi gli uomini che sono ancora nelle tenebre dell’igno-
ranza, i Fratelli della nostra Razza, Tuoi figli! Noi crediamo in Te e Ti rendiamo onore. Possiamo
noi, Liberi Muratori dei Templi di Memphis, camminare verso Te, nella Via e nella Luce, perché

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l’Uomo che Ti appartiene possa godere la Tua Santità e la Tua
Luce, così come Tu gliene hai dato il potere”.
Dunque appare evidente che gli Iniziati debbano rivol-
gere la propria attenzione non solo ai propri Fratelli di Via, a
coloro cioè che condividono il medesimo percorso, ma a
TUTTI gli appartenenti al genere umano, ivi compresi coloro
che, appunto, vivono immersi nelle tenebre dell’ignoranza,
poichè anche essi sono “Fratelli della nostra razza e figli del-
l’Essere Supremo”. In tal senso il generoso tentativo di divul-
gazione di alcuni Maestri - quali Rudolf Steiner, Gèrard
Encausse (Papus), Renè Schwaller de Lubicz, Massimo Scali-
gero - deve essere oggetto della più profonda gratitudine e
deve ingenerare un desiderio di emulazione da parte di coloro
che hanno a cuore l’evoluzione spirituale dell’umanità.
Ecco,Costoro hanno certamente tenuto presente l’ammonimento scolpito nella Porta Ermetica
“SI SEDES NON IS”. Spesso, negli ormai quaranta anni che ho trascorso nello studio e nella
pratica dell’esoterismo, ho, viceversa, riscontrato una inquietante“avarizia”da parte di coloro
che hanno conseguito reali conoscenze spirituali e ciò deriva, con tutta evidenza, da una pre-
occupante mancanza di amore e di compassione verso il prossimo, mancanza che rappresenta
un indicatore negativo del reale progresso spirituale conseguito da costoro. Io, con tutti i miei
limiti ed i miei difetti, ho sempre tenuto a mente l’affermazione di Rudolf Steiner: “Chiunque
abbia un pezzetto di verità in tasca ha il dovere morale di spartirla con gli altri”.
Ovvio che la Verità debba essere concessa gradualmente e solo a coloro che si dimo-
strano realmente (e non a chiacchiere) inte-
ressati a riceverla: in questo occorrono
saggezza ed equilibrio ed è necessario ricor-
dare sempre che un Iniziato deve miscelare
sapientemente Solfo e Mercurio ovvero Sag-
gezza e Compassione in quanto la Saggezza
(Solfo) senza Compassione è crudeltà e la
Compassione (Mercurio) senza Saggezza è
stupidità. Papus affermava che un po’ di Luce
non si nega a nessuno e che, ad esempio,
l’Associazione Martinista non può essere ri-
fiutata se correttamente richiesta. Ciò può
comportare, inevitabilmente, l’ingresso nei
perimetri iniziatici di individui non degni; ma
se una Istituzione Iniziatica è davvero sana ci penserà poi l’Eggregoro ad eliminare gli intrusi
e delle loro successive calunnie ed esternazioni non ci si deve più di tanto curare, poiché i
Mondi Superiori non tengono conto né delle chiacchiere del social, né di eventuali “perizie”
farlocche, nè delle bassezze del genere umano. Se io fornisco ad una persona un’opportunità
e tale persona ripaga la mia generosità con il male, non è un mio problema ma un SUO pro-
blema in quanto, in questo genere di cose, il karma (la cui esatta traduzione italiana dal san-
scrito è “AZIONE”) è inesorabile e colpirà violentemente il reo senza che io debba muovere
neppure un dito: perciò a che vale coltivare rancore, risentimento, dispiacere, nei confronti di
coloro che tradiscono? Piuttosto essi andranno sinceramente compatiti per il male che attirano
sulla loro stessa testa!
Dunque il motto“IS”va sempre coniugato con il celebre“Festina Lente”ovvero“Affrettati
Lentamente”. Dobbiamo dunque procedere con decisione e con prudenza secondo l’esorta-

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zione di manzoniana memoria “Adelante Pedro si puedes con juicio”(I Promessi sposi cap.XIII),
ma non dobbiamo assolutamente sederci restando in passiva, immobile contemplazione per-
chè non è questo che ci è richiesto!
Vorrei anche dire che il “SI SEDES NON IS” o, se preferite il “SI NON SEDES IS”, va
doverosamente applicato anche nel campo della propria esistenza
individuale ovvero in quella che può essere definita con il ter-
mine di“vita privata”. Certamente la“normalità”è un’aspira-
zione legittima ed è non solo giusto ma anche doveroso
ricercare un equilibrio, una stabilità, una tranquillità economica e sociale per la
propria esistenza. Tuttavia la “normalità” può frequentemente determinare una ten-
denza al “SEDES” ed è necessario ricordare anche che la “normalità” difficilmente è in
grado di stabilire un contatto autentico con l’autentica esperienza spirituale. La comoda
tranquillità della vita borghese è, per mia esperienza, nemica dello Spirito Assoluto e non
dovremmo mai dimenticare l’intelligente affermazione di Carlos Castaneda.“L’uomo di cono-
scenza è un guerriero”. L’essermi messo una divisa addosso in giovanissima età e l’averla in-
dossata fino a pochi mesi fa mi ha, a mio avviso, impedito di adagiarmi su tutta una serie di
comodità come aveva saggiamente previsto quel Maestro che mi consigliò di intraprendere
tale carriera. Del resto non posso fare a meno di notare che la maggior parte dei più importanti
Maestri degli ultimi secoli o non hanno avuto figli o da tali figli hanno avuto esclusivamente

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dei grandi dispiaceri: Papus, il cui unico figlio è stato a sua volta
un grandissimo Iniziato, rappresenta un’eccezione; ma poi ci
ha pensato il nipote a ristabilire tale regola! Vi prego, carissimi
lettori, di non iterpretare tali mie parole come un suggeri-
mento a vivere “on the road” o a non procreare; ma coloro che
il Fato designa come Depositari di un Lignaggio Iniziatico deb-
bono uniformarsi a regole differenti (e più severe) rispetto agli
altri: tali individui non sono assolutamente “superiori” a nes-
suno, io ad esempio, non solo non mi sento “più” ma vi assi-
curo anzi che per molti aspetti mi sento assai “meno” rispetto
a voi soltanto che, per motivi che non ho mai completamente
compreso, sono stato chiamato a ricoprire una funzione di-
versa (e, vi assicuro, assai ingenerosa) rispetto alla vostra e di
ciò devo NECESSARIAMENTE tenere conto.

Dunque il “NON SEDES” è altrettanto importante


dell’IS e se per voi può valere come regola generale per me in-

di “ANDARE” può farlo soltanto in un modo: uccidendomi! n


vece deve valere come regola assoluta: perciò, se qualcuno coltivasse l’aspirazione di impedirmi

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IL GIURAMENTO
Maathor

“Tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato in cielo,


e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto in cielo”.
Matteo (16,19)

Consideriamo innanzitutto che, se la Libera Muratoria è aperta a tutti, comunque il singolo


bussante è innanzitutto un “chiamato che ha risposto”: se ha talento e qualificazioni, allora è
colui che risponde ad una “vocazione” in perfetta sintonia con “Colui che chiama”- lo si dica
Dio, o Allah, o Grande Architetto dell’Universo, o che s’impieghi qualsiasi altro termine con
il quale la nostra pochezza umana cerca di definirlo. Come vedremo, è proprio questo il punto
che rende sacro e inviolabile qualsiasi impegno che il libero muratore decide di assumere verso
gli altri e, soprattutto, verso se stesso.

Se è vero che sia la Promessa che il Giuramento sono atti essenziali della Libera Mura-
toria, allora dobbiamo necessariamente domandarci quale sia il loro fondamento. La risposta
è insieme semplice e davvero temibile: come pratica antichissima dell’umanità, tanto la
Promessa quanto il Giuramento sono obbligatoriamente sanzionati da un’Autorità
Superiore all’uomo, una Trascendenza capace di giudicarlo.

Sul “Prometto” dirò solo pochissime parole: questo termine esprime la nostra
volontà di assumerci la responsabilità personale di precisi ed inderogabili impegni
morali presi all’atto di formulare la“Promessa Solenne”. Questo è un dovere d’onore
verso noi stessi e verso tutti gli altri Fratelli, a cui si resta intimamente e profonda-
mente legati a livello energetico e spirituale da una catena di unione che si perde nella
notte dei tempi.
Nei due assi della croce, la Promessa pare attestarsi sulla parte orizzontale, che corri-
sponde alla vita qui ed ora, sul quaternario del visibile; mentre il Giuramento si fissa certamente
all’asse verticale, quello che ci porta verso il Mondo Superiore, meta della Libera Muratoria
Spirituale.

Cos’è un Giuramento

Nella vita profana è ormai generalizzata la triste


abitudine di non dare valore alle parole, con una non-
curanza che non mettiamo neppure nella scelta di una
cravatta, di un film o di un aperitivo. Purtroppo le re-
sponsabilità morali sono concetti abbastanza vaghi ed
indefiniti, oggi, e così ci riempiamo la bocca di parole
che non abbiamo meditato e che non sappiamo vera-
mente a chi dedichiamo, lasciandole lì a evidenziare -
episodicamente - una totale mancanza di consapevo-

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lezza e di volontà miste ad un certo superficiale disinteresse.
Qualche volta, dunque, i comportamenti assunti sembrano dimostrare che la“formula”
dei giuramenti sia stata sì udita, ma chiaramente non ascoltata e non certo assimilata. In-
somma, è palese che in alcuni casi non si è riflettuto abbastanza“sulla gravità dell’atto”e sugli
“obblighi” assunti.

Il Giuramento è un atto solenne a cui partecipano tre soggetti:


- un giurante terreno, attivo, che invoca la potenza sovraumana;
- un testimone terreno, passivo, che attesta l’assunzione di responsabilità del
- giurante;
- una Entità metaumana, che garantisce l’atto e che verrà poi eventualmente
- sollecitata, con l’exsecratio, a punire l’eventuale spergiuro (exsecratio deriva
- dal lat. exsecrari, a sua volta formato da sacer ‘sacro’ col prefisso privativo ex-
- ‘fuori’’. L’ exsecratio significa dunque far uscire dal sacro: con questa azione si
- richiede solennemente alla Entità garante trascendente una severissima condanna,
- accompagnata da orrore e ripugnanza nei confronti del responsabile di azioni
- abominevoli).

Se però riconosciamo che anche nella Promessa Solenne intervengono questi tre sog-
getti, allora essa corrisponde in sostanza ad un Giuramento. La scelta di sostituire il termine
Giuramento con il sinonimo Promessa Solenne, dunque, risulta essere solamente un mero arti-
ficio di convenienza, poichè sui Piani Sottili essi sono la stessa cosa.
Nel proseguo utilizzerò quindi indifferentemente le due parole senza che ci sia più
alcun distinguo.

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Il termine Giuramento deriva dal latino tardo iuramentum, connesso a iurare ed impa-
rentato con Jus, la“Legge Divina”: questo sancisce che un giuramento è inviolabile davanti agli
uomini e agli Dei. Quest’atto contiene in sè un
principio di Verità, di Ordine e di Giustizia - di
Maat, cioè - per cui va mantenuto indipenden-
temente dalle sue conseguenze.
Non confondiamo la Giustizia con le
leggi o col diritto.
Themis era figlia di Urano e di Gaia, cioè
del Cielo e della Terra. Da lei nacquero le Ore:
Eunomìa, l’ordine giusto; Dìke, colei che indica, che
dice; ed infine Eiréne, la pace definitiva. Dìke, fi-
glia di Themis, mostra che la Giustizia non è un
qualcosa di laico, di umano, che divide ciò che è
permesso da ciò che non lo è, ma nasce da un
ordine superiore, voluto dagli Dei: è un “ac-
cordo”, una “consonanza”, una pax celeste. Pen-
siamo ora allo jus jurandum, il giuramento:
anch’esso in tutta evidenza implica una Parola di Potenza, vincolante, definitiva ed irreversibile.
Perchè è un “accordo” con l’Alto Mondo Invisibile.
Gli dei sono uomini immortali, gli uomini sono divinità mortali, così riassumeva Esiodo.
Perciò Themis è l’essenza del dovere, è propriamente il “dover essere”, accada ciò che sarà.

Questo è il Giuramento. Farò ciò che ho detto, accada ciò che sarà.

Abbiamo visto che il Giuramento è l’atto e la formula con cui si invoca la divinità a te-
stimone della verità di quanto si afferma, richiamando su di sé (o su persone o cose care) la
punizione divina nel caso in cui sia pronunciata menzogna, o si manchi alla promessa, agli
impegni, al voto.
Pronunciato con voce vigorosa e ben udibile, l’atto del Giuramento è sempre accom-
pagnato da gesti rituali (in vari contesti: alzando o stendendo la mano, posandola sulla croce,
sul proprio cuore o su un libro considerato sacro).
Il Giuramento può essere compiuto con rito semplice:
- «Maestro Venerabile: - “Fratelli miei, i nostri Lavori sono sospesi.
- Separiamoci giurando di rispettare la Legge del Silenzio”.
- Tutti: - “Lo giuro!”»;
oppure attuato con rito solenne:
- «Maestro Venerabile: - “Signore, ripetete con me la formula del Giuramento e
- poi dite “Lo Giuro!”.
- Io, ..., in presenza del Supremo Artefice dei Mondi e di questa Rispettabile
- Assemblea di Liberi Muratori, prometto e giuro, sul mio onore di uomo libero,
- solennemente e sinceramente...”, ecc.»

La formulazione di un impegno o di una promessa fatta invocando Dio implica


l’assoluta importanza dell’atto che si compie, perchè è una dichiarazione solenne - data
con la forza di un Rito - con cui si afferma la verità di quanto si proclama e la sincerità
della promessa: chiamando a testimone la divinità, poi non si può più tornare indietro
e diviene irrevocabile l’enunciazione della volontà di adempiere agli obblighi espli-
citati, cioè di mantenere quei comportamenti che si dichiarano legati all’Ente che

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il giurante considera sacro (nell’ambito libero-mura-
torio è sempre l’Essere Trascendente Generatore per
eccellenza, il Supremo Artefice di Tutti i Mondi,
Grande Architetto dell’Universo).
Noi abbiamo assunto impegni prendendoli
“liberamente”e“spontaneamente”, ma in sostanza
è dalle mancate Promesse che ci arrivano dei segnali
di una pericolosa profanizzazione, che rischia di
svuotare di ogni significato questa Istituzione, con-
ducendola a declassarsi ad associazione qualsiasi.
Ed allora, perchè le parole che abbiamo prima
ascoltato e poi pronunciato il giorno della nostra ini-
ziazione, in certuni, diventano poi suoni vuoti?
Quando il protagonismo si sostituisce alla ricerca di
un miglioramento interiore (e dunque non si lavora più “a gloria ed onore dell’Ordine”, ma alla
glorificazione e all’adulazione del proprio ego ed alle illusioni che ciò comporta), a costoro il
Giuramento sembrerà soltanto un passo antiquato del rituale, da prestare unicamente perchè
così è scritto e previsto in quel particolare momento.
Guardiamoci intorno: quanti profani col grembiulino lavorano seriamente per il proprio
sviluppo spirituale? Hanno davvero capito cosa debbono fare come Liberi Muratori? Hanno
compreso che questa Istituzione ha sue proprie regole, generate non ha valenze esteriori e
profane, ma da necessità assolute, interiori, spirituali, strettamente collegate con la compren-
sione iniziatica di chi si è, dove si è, cosa significa lavorare?
Scusatemi se ora metterò qui tutta una sfilza di aggettivi (ognuno assolutamente da
meditare) che descrivono la necessità di tale Lavoro su di sè. Esso è: basilare, prioritario, capi-
tale, vitale, essenziale, imprescindibile, indispensabile, sostanziale, legittimo, fondamentale, giusto,
vincolante, determinante, evolutivo, identificativo, maturo, umile, puro, secco, semplice, severo, crudele,
amorevole, cardinale, preziosissimo...
E, soprattutto, sacro.

Il Giuramento - dal punto di vista iniziatico, l’unico in fondo che conti davvero - coin-
volge l’uomo nella sua totalità, anima e spirito, razionale ed irrazionale, limitato ed illimitato,
presente e futuro. Coinvolge tutta la vita e le relative
scelte. Con quel gesto simbolico si compie un sa-
crificio rituale (dal latino sacrificium, sacer + facere,
“rendere sacro”), decidendo che ciò che ci si è impe-
gnati a conseguire, e a rispettare, e far rispettare,
verrà da noi adempiuto puntualmente.
É, dunque, il proprio legarsi al sacro con un
atto sacro.
Il suo tradimento rappresenta la colpa più
grave verso se stessi e verso il Mondo Invisibile chia-
mato a testimonianza.
Lo spergiuro compie, perciò, una azione che
lo condanna senza appello.

Perchè non è solo importante cosa si giura: è


immensamente importante a chi si giura.
Si può perfino giungere a dire quanto si vuole, nelle banalità, e poi cercare di mante-

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nere ciò che si aveva preannunciato... Ma, se si giura, è necessario ricordarsi ciò che si sta fa-
cendo, perchè quanto si pronuncia non sono parole che si possono gettare al vento, dei suoni
senza senso rivolti al nulla: giurando, si pronuncia e si
fissa un legame indissolubile, un qualcosa che si de-
posita, di propria libera volontà, nei Mondi più alti. Nel-
l’Invisibile.
È a Lui che si giura, mai ad un uomo. Sempre.
Ciò che si dice, allora, diventa irreversibile, asso-
luto e conclusivo.
Non è perciò possibile permettere che qualcosa
vanifichi il proprio giuramento, perchè saremo annientati
noi stessi. Per questo motivo, quando si giura, occorre es-
sere pronti a dare il proprio sangue pur di non rinnegarlo;
è necessario essere coscienti che potremmo morire per di-
fenderlo, ed essere effettivamente disponibili a morire -
senza alcun tentennamento, senza rimpianto - piuttosto
che cedere allo spergiuro. Non è una farsa, non è una ipocrisia, non è il brano di una recita a
soggetto, declamato perchè in quel preciso momento del rituale è previsto il farlo. E non è nep-
pure legato alla qualità del lavoro che quella particolare assemblea è capace di compiere.
Con questo atto sostanziale si mette la propria anima in quelle parole, e di conseguenza
tutta la nostra vita.
Poi, non potremo mai più tirarci indietro, perchè il Giuramento Libero-Muratorio c’im-
pegna in maniera definitiva, anche qualora si decidesse di abbandonare l’Istituzione: gli im-
pegni assunti saranno vincolanti per tutta la nostra esistenza! Da ciò si deduce che la promessa
che ci siamo incisa profondamente nel cuore non potrà mai essere cancellata. Se lo facessimo sa-
remmo indegni di definirci uomini, perderemmo la nostra dignità, il rispetto altrui e di noi stessi.
La Promessa implica dunque dei doveri; farvi fronte o meno dipende esclusivamente
dalla nostra coscienza alla quale dobbiamo inevitabilmente rendere conto.

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Il Giuramento pone dei limiti alla nostra libertà?
Ciò dipende esclusivamente da noi, dalla nostra coscienza e dalla nostra ragione. Cosa
intendiamo per libertà? È la volontà di compiere o non compiere determinati atti, azioni. Di
adottare o meno certi comportamenti, sia quelli che ci squalificano e che recano danno alla no-
stra elevazione spirituale, sia quelli che ci fanno onore. La libertà di (fare o non fare) è figlia e
sorella della libertà da (vincoli o catene che ci impediscono di perseguire la virtù).
Libertà come diritto, o come dovere? Ebbene, se si può rinunciare ad un diritto, più dif-
ficile è rinunciare ad un dovere. «La libertà – scrisse Mazzini - se non è considerata come un dovere
rigoroso da conquistare, da preservare e sviluppare, è destinata ad avere una pessima sorte».
Ancora una volta, la libertà vera la si conquista praticando il V:.I:.T:.R:.I:.O:.L:.

Il Giuramento, come Azione definitiva, viene fissato nell’intimo di ognuno di noi dalla
nostra Parola fortificata dalla Volontà. Ecco perchè il Giuramento andrebbe spesso riletto e
meditato, sviscerato nei suoi contenuti più nascosti o velati, che sono tutti molto più di semplici
parole...
Il neofita assume, in assoluta sincerità, un impegno con se stesso e con l’essere divino,
cosmico e personale, che ha invocato quale garante. Tradirlo equivarrebbe spegnere definiti-
vamente la Luce che ha ricevuto e ripiombare nelle tenebre, perchè il Giuramento suggella
un’alleanza cosmica che si è impegnato a mantenere per tutta la sua esistenza. Per questo an-
ticamente il testo del Giuramento veniva dato al bussante prima, e lui lo doveva meditare,
quindi ricopiare su una pergamena (triangolare); poi, dopo averlo pronunciato in Tempio, doveva
firmarlo con tre gocce del proprio sangue ed infine inviarlo all’Alto per mezzo del Fuoco, raf-
forzando in tal modo sui Piani Sottili il proprio impegno sacro ed indelebile.
Io sono del tutto certo che è così che dovremmo fare anche oggi...

Sulla pena dello spergiuro

In ogni Istituzione libero-muratoria il Giuramento dice in sostanza le stesse cose.

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Ritorniamo quindi alla sorgente, per riscoprine insieme tutta la potenza. Il testo ripor-
tato è del Mizraïm di Venezia, 1788:
“Io, ......, in presenza del Supremo Artefice dei Mondi e di questa Rispettabile Assemblea
di Liberi Muratori, prometto e giuro, sul mio onore di uomo libero, solennemente e sinceramente, e
senza alcuna restrizione mentale, di giammai rivelare alcuno dei Misteri e dei Segreti della Libera
Muratoria che stanno per essermi confidati; di mai scriverli, tracciarli od inciderli, né di formare alcun
disegno attraverso il quale essi possano essere svelati, sotto pena di aver la gola tagliata, il cuore strap-
pato, le viscere lacere, di essere disonorato e di vedere il mio nome trascritto in perpetuo sulla Colonna
d’Infamia, dopo che il mio corpo sia stato seppellito nella sabbia del mare affinché il flusso ed il riflusso
mi trasportino in un eterno oblio.
Prometto e giuro di considerare tutti i Liberi Muratori come miei Fratelli, di proteggerli, di
assisterli e di aiutarli nei loro bisogni, tanto fisici che spirituali.
Faccio giuramento di fedeltà al Maestro Venerabile in carica e a tutti i suoi ufficiali al fine di
conservare nel mio cuore la Fraternità, la Mutualità e la Solidarietà che si debbono reciprocamente
tutti i Figli della Luce, alla di cui catena inalterabile che ci lega ai Maestri Passati oggi vengo ad
unirmi.
A partire da questo momento, io diffonderò gli insegnamenti che avrò ricevuto, affinché una
piena Luce rischiari la strada degli Uomini, dei miei Fratelli e questo senza distinzione di classe so-
ciale, di colore della pelle, di religione o di nazione.
Io mi sforzerò di dare l’esempio di tutte le virtù, sacrificando qualsiasi desiderio di onore,
qualsiasi ambizione o vanità. E questo non per orgoglio sterile, ma al solo fine di ispirare a tutti il
desiderio di acquisirle.
Io praticherò la Fraternità umana in tutta la sua ampiezza, per dimostrarne i benefici. Io
sarò il sostegno del debole, l’avversario dell’ingiustizia, opponendomi a qualsiasi violenza immeritata,
da dovunque provenga, sia che essa si indirizzi al corpo che all’anima.
Ed in questo che il Supremo Architetto di tutti i Mondi mi sia di aiuto, così come i Simboli
viventi che tocco con la mano”.

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In sintesi, si giura che il proprio comportamento sarà sempre dettato dalla squadra
della rettitudine e che non supererà i limiti tracciati dal compasso consacrato, puntato verso
il proprio cuore.
Come possiamo sgretolare la forza, annientare la saggezza, deturpare la bellezza di un
impegno così profondamente umano da cogliere in poche parole tutta l’essenza dell’umanità?
A chi facciamo del male, se non a noi stessi, sostituendo alla solennità di un giura-
mento la pompa di una frettolosa falsità, o una superficiale attenzione? Perché tradire un’idea,
un modo di pensare e vivere che dovremmo aver abbracciato per amore della virtù e ripu-
gnanza del vizio? Stiamo facendo a noi stessi ed agli altri quello che non vorremmo ci fosse
fatto... ed allora, tutti noi, qualsiasi grado rivestiamo, qualsiasi funzione
ricopriamo, proviamo a ritornare con la mente, anche e soprattutto
dopo anni, alla Riflessione iniziale, ai suoi messaggi ed ai suoi in-
segnamenti, a cosa significhi essere “libero e di buoni costumi”.

In ogni società spirituale non esiste nulla che non sia


spirituale. Questo assioma sottointende che non solo i Rituali,
ma anche che nessun regolamento, costituzione, frase, uso, nè
tantomeno azione, sono pensati e voluti riferendosi, o degradan-
dosi, al piano profano. É vitalmente necessario rendersi conto che
costituisce uno sbaglio clamoroso assegnare a gesti, a parole, a prin-
cìpi un significato che non sia strettamente iniziatico e che, dunque,
tutti noi dobbiamo porre una grande attenzione affinchè questa lettura dia-
bolica si imponga ed inquini strisciantemente l’Ordine Muratorio. Per i neofiti, questo è un
aspetto di difficile comprensione, abituati come sono alle logiche della vita secolare.

Anche nella formula del Giuramento dobbiamo sforzarci di s-velare cosa c’è dietro ad
ogni parola, soprattutto a quanto alludono le pene: in altri termini, cosa ci succederà in caso
di spergiuro significa capire cosa ci accadrà sui Piani Sottili. Per esempio, avere la gola squar-
ciata implica in primo luogo l’interruzione del flusso del Respiro: contenendo in sè il Fuoco
(resPYRo), le conseguenze sul piano spirituale mi sembrano ovvie.

Sulla Tradizione

Una parte del Giuramento si riferisce anche alla fedeltà come obbedienza “consa-
pevole”. Ci si riferisce in questo caso alla fedeltà alla Tradizione Unica e Perenne, velata-
mente richiamata.
Questa fedeltà implica e riassume una serie di obbligazioni irrinunciabili: dalla costante
partecipazione ad ogni attività volta alla formazione e mantenimento dell’Eggregore (che sot-
tointende l’esserci ad ogni tornata, salvo casi di vera forza maggiore), alla difesa della Tradizione
incarnata in quell’Ordine iniziatico; dall’adesione ai princìpi impliciti o esplicitati in quel par-
ticolare grado (ogni grado ha un suo specifico Giuramento, che ne contiene il fondamento),
al mantenimento del segreto sui lavori compiuti, e così via.
Nessun aspetto della vita di un Libero Muratore sfugge al Giuramento, e così dev’essere!
Noi Liberi Muratori promettiamo sul nostro onore e sulle tre Grandi Luci (Squadra, Compasso
e Libro Sacro) di adempiere ai doveri nei confronti della famiglia, della patria e dell’umanità.
Di essere tolleranti, di ricercare sempre la giustizia. Promettiamo di amare i nostri Fratelli e di
aiutarli con consigli ed azioni. Promettiamo di pensare ed agire in nome del rigore morale, del-
l’altruismo, dell’evoluzione spirituale, della compassione e, sempre, nella verità: tutto ciò, come
può essere in contrasto con le leggi del Paese che ospita l’Istituzione?

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In sostanza, quindi, promettiamo di considerare sempre la nostra parola di Libero
Muratore come il giuramento più sacro!

Occorre dunque pensare a ciò che andiamo incontro, a ciò che diamo di noi in sacrificio,
alle forze che ci impegnamo di legarci per la vita.
Occorre dire le parole che esprimono la nostra volontà.
Occorre confermare con l’azione quanto abbiamo solennemente promesso: ecco al-
lora che il compasso sul cuore e la mano sul libro sacro ci devono accompagnare in ogni nostra
scelta da qui alla nostra morte.
Queste tre parole - Pensiero, Parola, Azione - intervengono in vario modo nel Giu-
ramento. E, quando esse sono perfettamente equilibrate e allineate, ecco allora che il giurare
diventa un atto magico, creativo e definitivo.
Imparando chi siamo attraverso il V:.I:.T:.R:.I:.O:.L:., potremo confermare con la mas-
sima consapevolezza e forza ciò che abbiamo giurato nella nostra iniziazione - in breve, di
spiritualmente trans-formarci - e di crescere poi in Amore per ribadirlo in ognuno dei gradi
successivi, quando verrà la loro ora.

Ti avverto, chiunque tu sia.


Oh, tu che desideri sondare gli Arcani della Natura,
se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi
non potrai trovarlo nemmeno fuori.
Se ignori le meraviglie della tua casa,
come pretendi di trovare altre meraviglie?
In te si trova occulto il Tesoro degli Dei.
Oh, uomo conosci te stesso

Oracolo di Delfi n
e conoscerai l’Universo degli Dei.

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GABRIELE D’ANNUNZIO
TRA POESIA E OCCULTO
Hathor Go-Rex

“Non ho più nome né sorte


tra gli uomini; ma il mio nome
è Meriggio. In tutto io vivo
tacito come la Morte.
E la mia vita è divina”.
[Gabriele d’Annunzio, Le laudi. Alcyone]

Gabriele d’Annunzio nasce il 12 marzo 1863 a Pescara, ter-


zogenito di Luisa de Benedictis, moglie di don Francesco
Paolo d’Annunzio. Già all’età di nove anni, quando la
priora del convento di Ortona, congiunta della madre,
gli lesse la mano, rimase affascinato dalla chiromanzia
e tale fu l’evento scatenante in lui l’interesse per il
mondo occulto che lo accompagnerà poi tutta la vita,“mi
prese le mani, me le voltò; e si mise ad esaminare i segni nell’una
e nell’altra palma, mentre su le sue labbra vedevo disegnarsi
parole non proferite. aguzzava ed eludeva la mia smania di sapere” scrive il
poeta nel ‘Libro segreto’, raccontando l’importante episodio che segnerà per
sempre il corso della sua esistenza. Il fascino che su di lui ebbero i misteri è assai noto e traspare
palesemente sia dalle sue opere che dai simboli, le scritte, gli amuleti disseminati in ogni parte
del Vittoriale, il complesso di edifici e giardini a Gardone di Riviera sulle sponde del lago di
Garda, costruito dal poeta e sua dimora.
Fin dai tempi degli studi collegiali, d’Annunzio manifestò quasi in modo ossessivo l’in-
teresse per materie quali simbologia, astrologia, alchimia e numerologia; molti sono gli aneddoti
che si raccontano riguardo le sue molteplici superstizioni, soprattutto verso il numero 13: in-
nanzitutto mai faceva sedere alla sua tavola tot commensali ed evitava accurata-
mente di scrivere tale cifra sostituendola con la formula 12+1.
Il vate era noto anche per il suo assiduo uso di talismani, nonchè per
la credenza nel potere iettatore o portafortuna delle persone e degli oggetti
a cui spesso attribuiva la causa delle nefaste o favorevoli vicissitudini; la pie-
tra prediletta, e che non mancava di portare sempre con sè, era lo smeraldo
il cui colore verde è ricco di significati esoterici: in primis rappresenta la ri-
generazione, direzione e fulcro di ogni cammino iniziatico, percorso da lui
stesso intrapreso. L’interesse del poeta per le scienze occulte, da sempre evi-
dente, si paleserà tuttavia per la prima volta con chiarezza nella stesura di
un articolo per il quotidiano romano ‘La tribuna’ intitolato La Santa Kabbala e
con il quale rivelerà la sua ampia conoscenza di tali dottrine.
L’eclettismo d’Annunziano, affiancato alla sua natura curiosa e all’alternanza tra fede e
scetticismo, lo portò a frequentare chiaroveggenti e spiritisti ricercando esperienze extra-sen-
soriali, ma è soprattutto nelle sue opere, trasudanti d’inquieta creatività, che possiamo scorgere
l’interesse del poeta ad i misteri escatologici dell’anima, indagine che lo manterrà sempre in
conflitto tra la scelta di appagare i desideri corporei o la via spirituale; egli cercherà nella per-

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sonale palingenesi l’anelata porta di accesso ai misteri, in un percorso di studio di varie e antiche
filosofie, perlopiù dottrine basate su di un principio metempsicotico e sul doveroso ritorno del-
l’anima nel quaternario quale metodo di espiazione, rettificazione e autocoscenza di se stessa,
“com’è fatta quest’anima, così forte, così inferma, così piccola, così grande, che cerca le secrete cose e
contempla le più alte? Come è dunque fatta questa che tante sa dell’altre cose e non sa come ella sia
fatta?” scrive il poeta nel ‘Libro segreto’, passando l’intera esistenza nel tentativo di svelare tale
mistero. Nell’opera sopracitata il vate fa inoltre riferimento ad un luogo oscuro da cui scaturisce
la sua creatività notturna, e di come soleva destarsi nel cuore della notte ebbro di genialità poe-
tica e con l’impellente bisogno di trasferirla in versi; denomina lo stato di sonno terzo luogo
quale canale d’accesso alla trascendenza e dove attingere, secondo d’Annunzio, alla creatività
occulta. Il mondo onirico non è tuttavia descritto dal poeta solo come porta di collegamento
con il regno spirituale, ma anche quale allegoria dello stato dormiente in cui l’anima si trova
nel quaternario e da cui deve risvegliarsi, immagine che ritroviamo ad esempio nei versi de
‘L’ulivo’: “Tu nel tuo sonno hai valicato l’acque lustrali, inceduto hai su l’asfodelo senza piegarlo; e
degna al casto ulivo Biancovestita come la Vittoria, alto raccolta intorno al capo il crine, premendo con
piede àlacre la gleba, a lui t’appressi”, nelle cui figurative acque lustrali si cela il passaggio di pu-
rificazione necessario all’anima per compiere il cammino di reintegrazione; l’asfodelo, fiore as-
sociato agli inferi, al lutto, simboleggia la caduta nella materia quale morte dell’anima, tale fiore
tuttavia è anche simbolo di malinconia, di immortalità e di rimpianto, qualità e sentimenti di-
rettamente collegabili alla nostra parte animica imprigionata nella materia e da cui potrà libe-
rarsi solo attraverso una necessaria trasformazione, una rettificazione dal suo stato di errore,
ignoranza ed egoismo.
Interessante è inoltre analizzare l’opera poetica che d’Anninzio scrisse nel periodo di
cecità dovuto ad un grave infortunio durante un’azione bellica e nel quale vedrà palesarsi
un’impensato sviluppo creativo. Tale condizione di infermità ulteriormente aggravata dalla per-
dita temporanea degli organi visivi, condurrà il poeta a vivere un’esperienza a suo dire mistica
sperimentando la così detta“apertura del terzo occhio”, esperienza che traspare chiaramene nel-
l’opera il ‘Notturno’ composta in quel frangente, e nei cui versi si palesa una trascendente cono-
scenza intuitiva nell’alternarsi di estasi e profonde inquietudini,“ora il mio corpo è in una cassa,

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disteso e costretto. Ieri il mio spirito si squassava come una grande
aquila presa in una tagliola. Oggi è raccolto, attento, sagace”scrive
il d’Annunzio quasi a voler raccontare come la situazione di
degenza, immobilità e cecità in cui si trova costretto lo abbia
condotto ad un risveglio mistico da cui scaturiscono un sus-
seguirsi di senzazioni, immagini e simboli,“nell’inferno del mio
occhio bendato […] la visione assume un’intensità così cruda che
faccio uno sforzo per non gridare di spavento e di dolore. Folgori
di folla mi traversano il cervello. Ho l’impeto di strapparmi l’oc-
chio dall’ orbita per non più vedere. Sono nella notte, ma la mia
notte è di fiamma e travaglio” scrive, parole da cui si evince
che l’occhio a cui allude non è corporeo, ma una finestra
sull’ignoto da cui scaturiscono forze sconosciute e indoma-
bili; “l’anima non fugge ma è tutt’ora appresa alla ferita come
alla foce lo splendore che nella raffica si spicca e si rappicca, cessa
e si riattiva, si piega e si risolleva, non tenuto se non da un le-
game invisibile che la volontà di ardere rende più forte della
tempesta” descrive, riferendosi forse all’anelito, alla spinta bruciante che fa tendere ogni anima
alla ricerca della sua origine celeste;“con gli occhi bendati cerco di vedere. Con la fronte che mi duole
cerco di comprendere” continua palesando quindi tale inferma condizione per quello che ormai
è diventata, un’ opportunità di entrare in contatto con il suo Sé spirituale.
D’Annunzio crebbe con un’educazione cattolica impartita dalla madre e dalla zia, rife-
rimenti alla cristianità si palesano infatti in parte dei suoi scritti. Il suo interesse religioso tuttavia
non si limitò al cristianesimo, ma spaziò; il vate finì per definirsi un mistico asserendo che pro-
prio il misticismo può far cogliere l’Unità che sta alla base di ogni culto, concezione sincretica
delle religioni espressa chiaramente nelle parole:“tutti gli idoli adombrano il Dio vivo, tutte le fedi
attestan l’uomo eterno, tutti i martiri annunziano un sorriso, tutte le luci della santità, fan d’un cor
d’uomo il sole, e fan d’ascesi, l’oriente dell’anima immortale”, scritta incisa alla base di una serie di
sculture in legno rappresentanti santi e angeli che troviamo nella stanza delle religioni del Vit-
toriale.
Fu l’interesse per l’occulto a spingerlo verso lo studio di molte antiche dottrine quali ad

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esempio quella egizia o quella greca, ma a catturare mag-
giormente la sua curiosità furono tuttavia le filosofie orien-
tali, in special modo quella induista i cui aspetti si mostrano
talvolta nelle sue opere: “il pensiero degli Indi è magico, la lor
preghiera è magica, taluna lor parola è magica” spiega il poeta
nel ‘Libro segreto’.
Come scrive Carlo Gentile nel suo libro sul vate:
“D’Annunzio non ha risparmiato alcun mezzo per snaturarsi” e
sarà proprio l’ossessiva ricerca volta a penetrare i misteri a
spingerlo verso stimolazioni estreme sia legate al sesso che
all’uso di stupefacenti, in un’indagine spasmodica del pia-
cere e dell’eccitazione fino all’apice della loro esaltazione,
cercando nel vizio e nei paradisi artificiali una porta per la
trascendenza come se l’anima, nel raggiungere il disgusto
della carne, possa operarne il capovolgimento“dopo la mal-
vagia ebrezza, dopo il torbido letargo dato dalla estenuazione del
corpo e del narcotico pericoloso, il risveglio ingenuo e terribile
come la resurrezione di Lazzaro in non so quale pittura di un
‘primitivo’ […] la carne non è più carne ma è l’orlo di un potere
interiore” scrive d’Annunzio negli epistolari raccolti al Vit-
toriale, e ancora “Tristezza atroce de la carne immonda quando la fiamma del desìo nel gelo del di-
sgusto si spegne e nessun velo d’amor l’inerte nudità circonda! [...] Tristezza immensa de la carne bruta
quando nel petto il cor fievole batte lontano e solo come in una tomba!” scrive nel suo ‘Intermezzo di
rime’, in’ Poesie Teatro Prose’ quasi a voler esprimere la falsità, l’inganno e la frivola caducità insita
negli effimeri e terreni piaceri della carne e la tristezza che ne consegue per l’anima che in essi
mai si soddisfa.
Seppur calvo e minuto, vuoi per la notorietà letteraria, vuoi per le capacità seduttive, il
vate fu da sempre attorniato da una moltitudine di amanti, muse alimentanti il già risaputo
morboso rapporto con il sesso nonchè il suo genio poetico. La passione per le donne e i senti-

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menti contrastanti da esse suscitati traspare in
ampia misura nelle sue opere come ad esem-
pio in ‘Versi d’amore e di gloria’ ove dalle parole
“o bei corpi di femmine attorcenti con le anella di
una serpe agile e bianca, pure io non so dà vostri
allacciamenti ancora sazio liberare il fianco” si
evince chiaramente il paragone della donna
quale serpente tentatore dei vizi carnali ai
quali il vate non riesce a resistere. Tali debo-
lezze tormenteranno l’animo del poeta fino
alla fine dei suoi giorni mantenendolo sempre
in bilico tra i piaceri sensibili e la spinta alla
loro trascesa come si svela da alcuni versi del
‘Poema paradisiaco’ in cui scrive”Non pianger
più. Torna il diletto figlio a la tua casa. È stanco
di mentire. Vieni; usciamo. Tempo è di rifio-
rire[...]”, riferendosi chiaramente all’anima e
alla sua condizione di infelicità dovuta alla ca-
duta nella materia “Ti dirò come sia dolce il sor-
riso di certe cose che l’oblìo afflisse[...]”
intendendo per oblio l’annebbiamento dovuto
agli inganni del mondo materiale dove il Sè
più profondo s’inerpica nella ricerca, quale
unica strada verso la liberazione ma ancora in-
certo nel sottostare a un’ignoranza che lo
rende incapace di distinguere apparenza e verità“Bisogna che tu sia forte; bisogna che tu non pensi
a le cattive cose...[...] Tutto sarà come al tempo lontano. L’anima sarà semplice com’era”spiega il poeta,
ben consapevole ormai che l’anima potrà tornare allo stato originario di purezza solo in seguito
a una lunga lotta contro i vizi e l’egoismo di cui è schiava e proprio attraverso la materia ritrovare
la sua essenza divina. Il vate riesce a intuire, grazie al suo esasperato attaccamento ai piaceri
sensibili, che i corpi sono solo l’involucro dello Spirito, dei sigilli su cui svolgere un duro ma
inevitabile lavoro volto a mutare la visione meramente esteriore delle cose, “Non cerca oggi il
mio spirito l’occulto simbolo al suo dolor laborioso, ma attonito si placa in un riposo profondo, quasi
in un divino indulto” continua sempre nel suo ‘Poema paradisiaco’, in ‘Versi d’amore e di gloria’, in
questi versi pare descritto il momento di pace nel ritorno del-
l’animo al suo stato originario di comunione con il divino.
Altro interessante riferimento ai tormenti dell’animo nel quater-
nario, possiamo coglierlo nelle strofe di ‘Maia’, in ‘Laudi del cielo
del mare della terra e degli eroi’:“Sonno delle città terribili, quando dal
fiume accidioso (ove si stempra tra la melma e il pattume la polpa dei
suicidi fosforescente come su i salsi lidi il viscidume delle meduse morte)
sorgono le larve diffuse della caligine tacente con mille tentacoli molli
che sfiorano tutte le porte e palpano i miseri e i folli, il ladro e la venere
vaga, l’ebro dalla bocca amara l’orfano dall’ossa contorte assopiti sopra
REGGENZA ITALIANA la fogna, mentre s’amplia e s’arrossanei fumi la chiara finestra del sa-
DEL CARNARO piente che indaga e del poeta che sogna!” e in cui chiaro si deduce il
riferimento al sonno, ossia lo stato di torpore indotto dal “fiume
accidioso” e quindi all’accidia che, nella morale cattolica, altro non
è che la negligenza nell’esercizio della virtù necessaria alla rein-

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tegrazione dell’anima e indicata dal vate come la
“polpa dei suicidi” ossia la morte della stessa. Interes-
sante è anche il riferimento alle“larve astrali”, al loro
nutrirsi di sofferenze umane e all’ignoranza vigente
negli individui incapaci di trarre insegnamento dal
dolore, prerogativa di chi segue un percorso interiore
essendo l’iniziato conscio di poter reindirizzare tali
energie in modo costruttivo. L’utilizzazione delle
“Larve” quali residui psichici umani, forme pensiero,
energie vaganti, invisibili, disperse ma riarmonizza-
bili, si esprime in questi versi “mentre s’amplia e s’ar-
rossa nei fumi la chiara finestra del sapiente che indaga
e del poeta che sogna!”palesanti il contatto del vate con
tali forze e l’utilizzo delle sofferenze come mezzo
evolutivo e di rettificazione. Tale concetto ridonda nei
suoi scritti come ad esempio nell’inno ad Hugo, in
‘Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi’: “La vit-
toria è nel grembo dell’alba fecondata dal sogno del forte.
O Spirto, vinceremo noi l’immite elemento, e la morte in-
forme che in fiumi d’oblio i solchi profondati agguaglia”
scrive facendo chiaro riferimento agli inganni della
materia e dei sensi, “L’un sotto il giogo dell’uomo si curverà come giumento; l’altra si farà bella del
canto che eterna il cuor degli eroi. L’inno del divino ordine sorgerà dal grido rauco, dal fragor della
battaglia”continua, mostrando su di essi la vittoria e la battaglia interiore necessaria a tale fine,
“E la bianca rondine che vola verso l’eternità, la Speranza del giusto, farà il suo nido nelle fauci inerti
del Destino”verso in cui chiara è l’allegoria dell’anima purificata e liberata (la bianca rondine) at-

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traverso l’espiazione e la risoluzione del karma (farà il suo nido nelle fauci inerti del
Destino).
Che la vita del poeta fu intrisa da una componente iniziatica si evince,
oltre che dalla sua produzione letteraria, anche dalla risaputa seppur controversa
adesione alla massoneria, cui fu elevato al 33° grado honoris causa del RSAA dal
Supremo Consiglio di Piazza del Gesù; il poeta venne iniziato anche all’Ordine
Martinista, dove raggiunse il grado di Filosofo Incognito con il nome iniziatico di
Ariel, psudonimo con cui si firmò in alcuni epistolari.
L’interpretazione delle sue opere - nelle quali ridondano chiaramente riferimenti alle
simbologie massoniche, esoteriche, alchemiche e ai cicli lunari strettamente legati all’operatività
della tradizione martinista - va quindi attuata attraverso uno studio archetipale approfondito
poichè ogni suo scritto cela significati e insegnamenti ben più profondi di quelli meramente
letterari.
“Guarda il cielo di settembre.
Nell’aria lontana
il viso della creatura celeste che ha nome Luna,
con una collana sotto il mento sì chiara che l’oscura,
pallido s’inclina e muore...”
Ma dice Ermione, non lieta non triste:
“T’inganni. Quella ch’è sì chiara è la falce dell’Estate,
è la falce che l’Estate abbandona morendo,
è la falce che falciò le ariste e il papapevo e il cíano
quando fioríano per la mia corona vincendo in lume il cielo e il sangue;
ed è la faccia dell’Estate quella che langue nell’aria lontana,
che muore nella sua chiaritate sopra le acque tra il giorno senza fiamme
e la notte senza ombre, dopo che tanto l’amammo,
dopo che tanto ci piacque;
e la sua canzone di foglie di ali di aure di ombre di aromi di silenzii e di acque

[Il novilunio - Gabriele d’Annunzio] n


si tace per sempre”

29
Tawûsê Melek, più conosciuto come Melek Taus
GLI YEZIDI
Mizar
“In Principio Dio
creò la Bianca Perla
emanandola
dalla propria eccelsa Essenza”

Inizio del Mishefa Resh

Introduzione

Gli Yezidi o Yazidi (in curdo, Êzidî) sono un gruppo etno-reli-


gioso del più ampio gruppo curdo, connotato da specificità antro-
pologiche sue proprie, in primis spicca la loro religione nota come
Yazidismo che ha origini tanto antiche da presentare all’analisi su-
perficiale caratteristiche sincretiche; in essa sono infatti confluite
usanze e apparati rituali dello Zoroastrismo, dell’Ebraismo, dell’Islam,
del Cristianesimo, del Mitraismo, dello Gnosticismo, nonché diversi
elementi delle Religioni Antico-Mesopotamiche, che sono così confluiti
stratificandosi nel tempo in questa ibrida e tuttavia particolare e specifica
entità.
Secondo un’errata etimologia il termine Yazidi derive-
rebbe dal nome del califfo omayyade Yazid I (680-683 E.V.), ma
più probabilmente esso proviene dal medio-persiano, pahlavi,
yazd, cioè “angelo”.
Il gruppo antropico Yezida in quanto tale è costituito, se-
condo stime, da circa 6/700.000 persone che vivono in larga preponderanza nell’attuale Iraq,
soprattutto nei dintorni della città di Mosul; con una significativa presenza anche in Siria e Tur-
chia.
Comunità minori, ma rappresentative, sono sparse tra l’Iran, la Georgia e l’Armenia,
a cui si aggiungono alcuni rifugiati
in Europa, di cui significativo è il
gruppo residente in Germania.
La regione geografica in cui
storicamente si sviluppò la comunità
degli Yazidi è da loro stessi definita
Ezidkhan, oggi è un’entità geografi-
camente incerta comprendente al-
cune aree dell’Iraq del nord, nella
provincia di Nineveh.
Il villaggio di Lalish è la loro
città santa, in questo villaggio è in-
fatti ubicata la tomba del riformatore
religioso Shaykh ‘Adi ibn Musafir al-
Umawi, nato nei pressi di Baalbek
(Libano) intorno al 1070 E.V. e dece-
duto nel 1162 E.V., egli è considerato

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non solo un santo carismatico ma anche una diretta manifestazione del Demiurgo Tawûsê
Melek, a costui è dovuta infatti in gran parte l’attuale struttura del corpo religioso Yezida.
La lingua di questo gruppo etnico è il curdo del
nord, o Kurmanji, in cui è anche scritto il loro libro
sacro, il Mishefa Resh, perlopiù vergato nei carat-
teri del persiano occidentale; esistono anche mi-
noranze residenti nell’area turca che utilizzano
per la scrittura
comune i carat-
teri latini.
Nella regione
corrispondente
all’attuale Iraq, gli
Yazidi, che pur possono vantare una storia di circa 4.000 anni,
furono sovente perseguitati da altri gruppi etno-religiosi nu-
mericamente preponderanti e guidati da intenzioni egemo-
niche. Anche gli ultimi anni hanno visto passare su queste
popolazioni, dapprima il tentativo di arabizzazione condotto
dal regime autoritario di Saddam Hussein, più recentemente
la radicale persecuzione condotta degli integralisti del Calif-
fato dello“Stato Islamico di Iraq e Siria”(ISIS) che proprio nei
confronti di questo gruppo etnico ha perpetrato nel 2014 il massacro di Sinjar ove furono
uccise diverse migliaia di Yezidi.

Religione Yezida

Gli Yezidi si possono ritenere monoteisti, giacché postulano un Dio supremo creatore
dell’Universo, Kheude, mentre Sette Sante Entità sono preposte al governo dei mondi. Queste
sublimi entità sono anche conosciute
come “I Sette Misteri”, gli Heft Sirr.
La Eptade ha come figura premi-
nente Tawûsê Melek, più conosciuto
come Melek Taus o l’Angelo Pavone.
Melek Taus fu inviato sulla terra
per far nascere la vita dal caos primor-
diale e agire quale messaggero tra
l’uomo e Dio. Il primo essere umano
era stato creato senza anima, così
Melek Taus soffiò in lui il respiro della
vita. Poi volse Adamo verso il Sole,
simbolo del Creatore Supremo, che
gli yazidi – come gli antichi mesopo-
tamici – adorano tuttora.
Tawûsê Melek è stato spesso iden-
tificato e confuso con il Satana delle
religioni del libro, invero ciò è dovuto
oltre al fatto che talvolta negli antichi
scritti il supremo spirito compare con tale nome, invero e maggiormente per alcune similitudini

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teologiche che tuttavia, a ben guardare, devono farlo assimilare maggior-
mente al Demiurgo Gnostico, piuttosto che all’Avversario delle grandi
religioni monoteistiche.
Gli Yezidi attribuiscono infatti a Tawûsê Melek la reggenza delle
potenze incorporee nel loro complesso e non ad una fazione anta-
gonista dell’Unico Dio, certo, in funzione demiurgica molte poten-
zialità ed azioni esplicano la funzione “resistente” del creato ma ciò
va inteso più in senso cosmico che etico-morale.
Ecco come la denominazione di “adoratori del diavolo” risulti decisa-
mente inappropriata e perlopiù attribuitagli dai musulmani arabi per mar-
ginalizzarli e isolarli dalle comunità maggioritarie.
Va da sé come questa denominazione affascinò molti occidentali dandone una imme-
ritata risonanza.
Il Supremo Dio creatore è definito, secondo la loro tradizione, come agente sin dall’ini-
zio dei tempi mediante l’azione di altre due ipostasi metafisi-
che, Sheikh Adì e Sultan Ezid, costituenti una Trinità simile a
quella degli Alawiti, nel complesso il Supremo Dio è un Dio
lontano avendo demandato il governo del tutto all’Eptade, di
cui il Sommo Tawûsê Melek è la prima emanazione.
Secondo il Kitéba Cilwe, il“Libro dell’Illuminazione”, che
contiene il verbo di Melek Taus, gli eventi che accadono nel
mondo sono determinati dalla sua stessa decisione e non sono
valutabili secondo i canoni degli umani incarnati.
Va precisato, ma in questo risiede un grande mistero,
che una delle ipostasi supreme, Sheikh Adî, si confonde spesso nelle narrazioni degli inizi del
tempo con lo stesso Demiurgo-Pavone.

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Si consideri questo brano tratto dal “Libro dell’Illuminazione”:
“Io ero presente quando Adamo vivenza nel Paradiso, come quando Nimrod
scagliò Abramo nelle fiamme. Ero innanzi all’Altissimo quando mi disse:
Tu sei il Potere ed il Signore della Terra,
l’altissimo, il compassionevole,
mi conferì sette mondi e il trono del cielo”.
In questa fede ci sono numerosi altri aspetti arcaici
che ne fanno una delle più antiche esistenti, come il suo ca-
lendario risalente a 6.756 anni fa, quasi 5.000 prima di quello
cristiano o gregoriano, e quasi 1.000 prima del calendario
ebraico.

Apparato Cosmo-Mitologico

La narrativa della creazione degli Yazidi è abbastanza


differente da quelle del Giudaismo, del Cristianesimo e del-
l’Islam; in essa l’Altissimo dapprima creò Tawûsê Melek da se stesso, dopo le altre sei potenze
disincarnate ed ordinò al primo di non sottostare ad altri enti.
Quindi l’Altissimo creò ulteriori enti incorporei cui ordinò di portare polvere dalla Terra
con la quale formò il corpo di Adamo, al quale insufflò l’alito di vita con il suo respiro.
Istruì quindi gli enti incorporei di piegarsi innanzi ad Adamo, questi obbedirono ad ec-
cezione di Tawûsê Melek.
Tawûsê Melek osservò infatti:
“Come posso io sottomettermi a un altro essere!
Io promano dalla tua illuminazione
mentre Adamo è fatto di polvere!”
A questa risposta l’Altissimo lo elogiò e lo costituì sommo tra tutte le potenze e suo
vicario in Terra, per questo motivo gli Yazidi lo riconoscono quale espressione di Dio in Terra,
onorandolo ogni primo mercoledì del mese di Nisan (Aprile), giorno in cui si ritiene essere

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stato creato, oltre che a individuare l’inizio dei tempi e quindi il capodanno degli Yezidi.
Nella più autentica interpretazione Yezida, l’ordine di sottomettersi e piegarsi ad
Adamo, fu dato dall’Altissimo unicamente per met-
tere alla prova Tawûsê Melek, infatti solo colui che è
pienamente consapevole del proprio ruolo e posi-
zione è degno della funzione a cui è demandato
dall’Altissimo.
Questo atteggiamento è definito come: “la
Consapevolezza del Sublime”, Zanista Ciwaniyê, chi
ha testimoniato e chi riconosce questo evento mitico
crede in lui.
Rilevante anche nel calendario religioso la fe-
stività di tre giorni che cade nel mese di dicembre la
cui celebrazione principale prevede il pellegrinaggio
alla tomba di Shaykh Adi; durante le celebrazioni i
fedeli si immergono nelle acque di un fiume, lavano
le statue raffiguranti Melek Taus e accendono centi-
naia di lampade verdi sulla tomba del santo. Nel
corso della cerimonia viene anche sacrificato un bue.
Particolare poi la credenza circa l’origine della
loro stirpe, gli Yezidi deriverebbero infatti non dalla progenie di Adamo ed Eva bensì dal figlio
diretto di Adamo, Shehid bin Jer.
Questa è la narrativa: prima che Adamo ed Eva si unissero per la prima volta, Tawûsê
Melek li incoraggiò a provare se riuscissero a riprodursi senza unirsi fisicamente.
Egli li invitò a mettere i propri umori e fluidi vitali in due giare che vennero accantonate
per alcuni mesi, quando furono prelevate e aperte, mentre la giara con i fluidi di Eva conteneva
vermi ed insetti, quella con i fluidi di Adamo espose un bellissimo bambino, lo Shehid bin Jer.
Questo bimbo, conosciuto anche come il Figlio della Giara, crebbe e sposò una Houri,
una “Vergine del Paradiso”, divenendo il capostipite degli Yazidi.
Da ciò discende anche il fatto della stretta endo-
gamia dell’intero gruppo etnico, considerandosi figli di
Adamo è vietato contrarre matrimonio al di fuori della
comunità stessa, non sono neanche ammesse le per-
sone convertite, il gruppo è infatti definito per esclusiva
discendenza di sangue.
Gli Yazidi sono per lo più monogami, anche se, in
alcuni rari casi, ai capi è concesso avere più di una mo-
glie. I bambini vengono battezzati alla nascita; la cir-
concisione è una pratica diffusa ma non obbligatoria.
Le istruzioni funerarie prevedono che subito dopo
la morte i defunti siano deposti con le mani giunte in
tombe a forma conica.
Presente negli apparati dottrinali una forma di
reincarnazione delle anime, simile a quella di un vicino
gruppo etnico locale, quello degli Ahl-e-Haqq,“Il Popolo
della Verità” o Yarsani.
Gli Yezidi pensano che il corpo sia come un “ve-
stito che le anime indossano”, kiras guhorìn, per espe-
rire la dimensione più materiale dell’esistenza.

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Una progressiva realizzazione dell’anima verso le potenze spirituali è possibile in ra-
gione di una serie di reincarnazioni, le quali per beneficiare di una progressiva
reintegrazione dovevano avvenire all’interno della comunità Yezida.
Esistono due testi che raccolgono in buona parte la tradizione Yezida, la
loro composizione è dei primi anni del XX secolo, questo fa pensare
che siano stati collazionati proprio per i primi ricercatori occiden-
tali che studiarono tale gruppo etno-religioso intorno a quegli
anni, cionondimeno raccolgono abbastanza fedelmente i più im-
portanti elementi caratterizzanti di questa religione, essi sono:

- Il Kitêba Cilwe o Libro della Rivelazione;


- Il Mishefa Resh o Libro Nero.

Buona parte della tradizione è stata per secoli, ove non millenni, tra-
smessa oralmente e così ci sono pervenuti gli inni Qawls, orazioni che re-
centemente sono state ordinate in raccolte per l’uso rituale.
Questi inni presentano una difficoltà interpretativa diretta abbisognando
spesso da storie esplicative dette ciroks, in esso spesso compare l’ascesi attraverso le sfere pla-
netarie, in numero di sette, per raggiungere la Luce e la liberazione.
Insomma, in chiusura di questa sintetica disamina, si può sostenere che il culto del
Demiurgo-Pavone oltre a contenere elementi propri di molteplici religioni, mostri chiaramente
come alcuni di essi siano decisamente risalenti e incardinati su un substrato Gnostico-Antico
Babilonese.

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Il Complesso funerario di Shaykh ‘Adi ibn Musafir al-Umawi a Lalish

Questo luogo è considerato il punto in cui Melek Tawus, l’Angelo Pavone, è sceso sulla
terra per mettere ordine nel caos.
Sulla parete di pietra del cortile esterno di Lailish campeggia un talismano con un ser-
pente nero che, si racconta, tentò secoli fa di convincere gli yazidi ad abiurare la loro fede per
convertirsi all’islam. Si dice che i serpenti neri possedevano poteri magici e perciò non dovevano
essere uccisi.
I fedeli baciano con riverenza sia le piramidi stellate che i piedritti del portale d’accesso
al tempio interno prima di oltrepassare la soglia sacra senza calpestarla. Entrati nell’antico com-
plesso, c’è una pozza scura ricavata nel pavimento di pietra che rappresenta il Lago di Azrael,
l’Angelo della Morte. Gli yazidi credono che Azrael lavi la sua spada in questa vasca dopo essersi
impadronito di un’anima. Al di là della vasca si apre una sala funeraria, con sciarpe appese sulle
quali alcune donne yazidi stanno intrecciando nodi (quando si fa un nodo e si esprime un de-
siderio, questo si avvererà quando il nodo stesso sarà sciolto da un altro fedele). Dal salone, at-
traverso una tortuosa scala in pietra, si scende in una grotta sotterranea con dell’acqua che

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scorre, nota come Sorgente di Zamzam,
proibita ai non yazidi. È qui – dove de-
vono venire in pellegrinaggio almeno
una volta nella vita – che gli yazidi rice-
vono il battesimo.
Superato un’arco di pietra, si entra
nel cuore sacro del tempio: la tomba di
Sheikh Adi, antica di nove secoli. Fu lui
a codificare le varie credenze yazidi, e
viene venerato come santo, come incar-
nazione dell’Angelo Pavone e come uno
dei principali giudici delle anime
umane.
Dalla cripta di Sheikh Adi si accede
in una lunga camera di pietra scura in
cui si conserva olio d’oliva in antiche an-
fore di argilla. Le olive vengono raccolte
nelle colline circostanti e torchiate a Lalish; l’olio serve per i rituali religiosi e alimenta le lam-
pade. Nelle pietre ci sono alcuni fori che rappresentano l’ingresso sia al cielo sia all’inferno.

Esistono tre caste cui tutti gli yazidi appartengono: quella più elevata degli sheikh (sa-
cerdoti) assistiti dalle feqrayyat,“suore” nubili o vedove, dedite alla cura dei complessi sacri. Le
altre caste sono i pir (anziani), e i murid (discepoli) cui appartiene la maggior parte degli yazidi.
L’appartenenza sia alla casta sheikh sia alla pir è ereditaria e si dice collegata spesso a doti spe-

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ciali. Ogni loro famiglia, per esempio, possiede una certa capacità di guarigione, mentre alcune
sono in grado di curare morsi di serpente, follia, febbre, cefalea,
artrite, e così via.
All’interno della casta sheikh si trovano i kochek (“veggenti”) che
godono di doni spirituali come la chiaroveggenza. Essi hanno la
capacità psichica di diagnosticare le malattie e conoscono il de-
stino di un’anima una volta staccatasi dal corpo del defunto.
All’apice della struttura sociale troviamo il Mir, il principe so-
vrano temporale degli yazidi, e il Baba Sheikh, il capo religioso
della comunità. Entrambi i capi appartengono alla casta sheikh, i
cui membri discendono dai Sei Grandi Angeli che hanno assistito
Tawûsê Melek. Essi officiano circoncisioni, matrimoni, funerali,
battesimi e quelle feste religiose (la più importante delle quali è
la Festa dei Sette Giorni, che si tiene i primi di ottobre: i devoti cre-
dono che durante il suo svolgimento i sette arcangeli, Tawûsê
Melek compreso, visitino il santuario di Lailish) che svolgono un
ruolo chiave nella fede yazidi e che hanno radici antichissime, con
evidenti correlazioni anche con il culto persiano del dio solare
Mitra (a Lailish, ogni au-
tunno, alla Festa dei Sette
Giorni si sacrifica ritual-
mente un giovane toro).

Da ciò l’importanza
di studiare dettagliata-
mente le usanze e le ri-
tualistiche della popola-
zione Yezida, al fine di
avere materiale utile alla
ricomposizione di signi-
ficative tradizioni di-
menticate, cosa peraltro
fatta dal nostro serenis-
simo don Leone Caetani
che proprio nel lontano
1894 passò, durante il
suo quarto viaggio di
studio, alcune giornate a Sinjar accompagnato da esponenti di questo gruppo etnico. n
L’OUROBOROS
Seraphita

“Pellegrino. Cosa cerchi?”


“Cerco chi sono e che scopo ha la mia vita”
“Pellegrino. Dove cammini?”
“Cammino in me, cammino attorno a me e cammino sopra di me”
“Pellegrino con chi cammini?
“Cammino con tutto il mondo”.
(Pellegrinaggio a Santiago di Compostela)

“Fa di un uomo e donna un cerchio;


quando avrai congiunto testa e coda otterrai la tintura vera”
(detto ermetico)

Il secondo scrigno, che custodiva il sarcofago del re Tutankhamon (XVIII dinastia), era
impreziosito dalla prima e più antica immagine occidentale dell’Ouroboros, il serpente che si
nutre di se stesso. L’antico testo funerario egizio, chiamato“Il libro arcano degli Abissi”, riporta,
infatti, l’incisione di una figura divina mummiforme, circontata da due serpenti che si mor-
dono la coda. Essi sono la raffigurazione del dio Mehen (il cui nome significa “colui che è ar-
rotolato”), il benefico Dio-Serpente posto a protezione della barca solare di Ra.

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Anche nelle pagine sgualcite ed odorose
di antico del Papiro di Dama-Heroub (XXI di-
nastia), si può osservare il dio Mehen nella
forma di un Ouroboros: esso circonda la rap-
presentazione di Horus bambino, all’interno del
disco solare sorretto dal Leone Akhet.
Un ulteriore elemento significativo, in-
fine, si trova nell’opera “Hieroglyphikà”, redatta
da Orapollo, uno scrittore egiziano di Nilopoli.
Tale coppia di volumi in lingua copta, non an-
teriori al IV secolo d.C., fu elaborata nel tenta-
tivo di recuperare la misteriosa scrittura egizia
di cui si erano perse le tracce, e che sarebbe
stata decodificata solamente in epoca succes-
siva da Champollion. Orapollo dà una descri-
zione accurata del serpente che si nutre di se
stesso, quale simbolo egizio per descrivere il
Mondo, l’Universo e l’Unità di tutte le cose: “Quando vogliono scrivere il Mondo, pingono un
Serpente che divora la sua coda, figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del Mondo.
Certamente questo animale è molto grave per la grandezza,
si come la terra, è ancora sdruccioloso, perchè è simile al-
l’acqua: e muta ogn’anno insieme con la vecchiezza la
pelle. Per la qual cosa il tempo facendo ogn’anno muta-
mento nel mondo, diviene giovane. Ma perchè adopra il
suo corpo per il cibo, questo significa tutte le cose, le quali
per divina provvidenza son generate nel Mondo, dovere ri-
tornare in quel medesimo”.
La simbologia dell’Ouroboros appare quindi,
sin da subito, molto antica e pregna di significati.

rivare in nome Ouroboros dal greco οὐροβόρος (οὐρά


Lo studioso Louis Charbonneau-Lassay fa de-

“coda” e βορός“divorante”). Vi è poi un secondo possi-


bile etimo, legato alla tradizione alchemica, dove Ou-
roboros significherebbe “re serpente”. In lingua copta,
infatti, Ouro significa “re”, mentre Ob, in ebraico, si-
gnifica “serpente”. Comunque sia, tale simbolo appar-
tiene a moltissime culture, in tutte le epoche.
A partire dall’Antico Egitto, infatti, l’Ouroboros raggiunse poi i Fenici, i Greci e la
Roma Imperiale, arricchendosi via via di significati sottili. Venne assunto da confraternite
gnostiche, tanto che alcuni movimenti cristiani delle Origini (Alessandria d’Egitto II-III se-
colo) ne ricordarono le fattezze col pro-

greco ὄφις, ofis,“serpente”) ed anche i Na-


prio nome: gli Ofiti, ad esempio (dal

asseni (dall’ebraico nâhâsh, “serpente”).


Essi attribuivano a questo animale fa-
coltà demiurgiche e, spesso, lo assimila-
vano al Cristo. Gli gnostici, infatti,
meditarono moltissimo sul serpente

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dell’Eden: disubbidendo ad un imperativo divino, infatti, e man-
giando la mela, venne rotta dall’uomo la condizione di ubbidienza
statica al demiurgo. Il serpente assunse così il ruolo di Logos
Pneumatico: la condizione post-edenica diventa movimento, di-
namicità, dove maschile e femminile devono riscoprirsi in una
differente condizione di equilibrio consapevole. Il serpente
gnostico aveva destato nel cuore dell’uomo edenico il desiderio
di conoscenza.
Ben diversa sarà la versione cristiana. Lo stato del ser-
pente, animale senza arti, in perenne contatto con la terra, gli
farà associare proprietà ctonie e un carattere demoniaco ed in-
fernale. Nel racconto biblico il serpente diventerà il vero respon-
sabile della caduta, ruolo negativo assente in altre tradizioni. Il
serpente, simbolo delle forze telluriche, nel cristianesimo non mo-
strerà più l’energia nascosta della terra capace di portarci alla cono-
scenza e a Dio.
L’Ouroboros, dalle confraternite gnostiche, divenne poi uno dei simboli
più alti della tradizione alchemico erme-

genetico (dal greco πάλιν, palin, “di nuovo”


tica. Nella sua accezione di simbolo palin-

e γένεσις, génesis,“creazione, nascita”, ovvero


“che nasce di nuovo”), esso rappresentò il
processo alchemico della Grande Opera.
La sua raffigurazione circolare richiamava
il ciclo costante ed ininterrotto di trasfor-
mazioni, distillazioni, condensazioni ne-
cessarie alla purificazione della materia per
ottenere l’oro. L’Ouroboros venne così
spesso rappresentato dall’intreccio di un
drago alato superiore (simbolo della Mate-
ria volatile) con un serpente inferiore (il re-
siduo fisso).
Nicolas Flamel, alchimista francese
del 1300, scriveva: “Osservate bene questi
due draghi, perchè sono i veri princìpi della fi-
losofia (Gnosis), che i savi non hanno potuto
insegnare ai loro figli. Quello posto in basso e
privo di ali è detto fisso e permanente, o uomo.
Quello posto in alto è il volatile, la cupa ver-
gine nera. Il primo sarà chiamato zolfo, caldo
e secco. L’altro verrà chiamato argento vivo,
freddo e umido. Quando si sono uniti e,
quindi, trasformati nella quintessenza, pos-
sono vincere tutte le cose metalliche massicce,
dure e resistenti”.
Spesso tale raffigurazione venne
resa anche da due serpenti, uno nero e uno
bianco, simbolo della dualità in cui vi-
viamo e da cui dobbiamo riuscire a disgre-

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garci ricomponendoci poi in un equilibrio
perfetto e consapevole (solve et coagula).
Uno dei detti alchemici è che “chi ha l’oro
genera l’oro”. L’Opera alchemica appare
quindi non come una trasformazione
netta e completa, un unico passaggio dal
nero, al bianco, al rosso, bensì come un
processo interiore continuo di trasforma-
zioni (la circolarità dell’Ouroboros), dove
ininterrottamente passiamo attraverso
piccoli stati di disgregazione e successiva
condensazione. L’oro di cui si parla è
quindi celato nel nero: la pietra occulta del
V.I.T.R.I.O.L., nascosta nello strato più
buio delle interiora terrae, è la Materia
Prima da cui iniziare la Grande Opera.
Tale Materia si troverebbe ancora in uno
stato scomposto e disequilibrato, profon-
damente impuro e, solo attraverso le quat-
tro fasi alchemiche (riscaldamento,
evaporazione, raffreddamento e condensa-
zione), la si trasformerebbe nell’oro puro,
realizzazione della Grande Opera. Quel-
l’oro si trova quindi già in noi, nascosto,
imperfetto, Materia Prima da trovare e da
cui partire.
Un’antica raccolta di scritti greci
del XI secolo richiama un trattato dall’al-
chimista Cleopatra, con la più antica raffigurazione di Ouroboros collegato alla Grande Opera.

(da χρυσός, khrusos, “oro” e ποιεῖν, poiein, “fare” ), inserendovi l’immagine di un Ouroboros,
Ad Alessandria d’Egitto nel IV secolo, infatti, Cleopatra redigeva la“Chrysopoeia di Cleopatra”

metà bianco e metà rosso, che circoscrive la scritta ἒν τὸ Πᾶν (En to Pàn), ossia l’”Uno (è) il
Tutto”, oppure “Tutto (è) Uno”. Nella stessa pagina, riprodotta qui accanto, si notano poi un
alambicco, simboli alchemici e scritte che spiegano ulteriormente il significato del doppio ser-
pente. Di particolare interesse sono i tre anelli concentrici. Il cerchio centrale riporta i simboli
dell’argento (mezzaluna) e dell’argento aurificato (semicerchio radiante). Nel primo anello
leggiamo“Uno (è) il Tutto; e per lui il Tutto e in lui il Tutto;
e se non contiene il Tutto, il Tutto è nulla”, nel secondo
cerchio, poi, “Il Serpente è Uno, colui che ha il veleno con
le due composizioni”. Il richiamo a Plotino è evidente: il
filosofo greco, nato nel 204 d.C. a Licopoli (in Egitto),
insegnava che“Tutto è ovunque e tutto è uno e uno è tutto”,
concetto ripreso successivamente da Eraclito “Tutte le
cose sono uno”. Sottolineo qui l’etimologia di veleno,
concetto così significativo da essere inserito in uno di
quei cerchi. Dal latino venenum, alla pari del greco phar-
makon, il veleno è quella sostanza capace, per la sua
forza penetrante, di mutare la proprietà naturale di una
cosa. Per intendere succo nocivo, infatti, i Latini dove-

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vano aggiungervi la parola malum. In
greco, poi, pharmakon significava medicina
o veleno, quindi con la doppia accezione.
Un’altra raffigurazione di Ouroboros al-
chemico si ritrova nel Synosius, un mano-
scritto attribuito a Sinesio di Cirene (370
s.C.) e oggi andato perduto. Le immagini
riportate vedono l’Ouroboros nella veste di
un drago, di cui zampe, corpo e testa sono
di color rosso-verde. Si nota poi un drago-
Ouroboros inciso nel libro di Lambsprinck
“La pietra filosofale”, immerso in un bosco
nell’atto di mordersi la coda.
Nell’antico manoscritto arabo Kitab al-
Aqalim, infine, si vede un esempio dell’al-
chimia islamica, ispirato ai geroglifici
egizi: un serpente intento a nutrirsi di se
stesso, che circonda i quattro elementi ge-
neratori del cosmo.

Nell’Ouroboros, quindi, si
può intuire l’idea del-
l’eterno ritorno, della ci-
clicità delle cose. L’inizio
coincide con la propria fine,
che è nuovo inizio di un altro
ciclo e così, all’infinito. Come si vede nella
decima lama dei Tarocchi, la Ruota, la vita
viene generata dal moto rotatorio contrario di due cerchi. L’uomo nasce da questo movimento,
dalla Ruota del Divenire che galleggia nell’oceano del caos ed è sostenuta dai due alberi mae-
stri, di altrettante piccole imbarcazioni. Essi sono i due serpenti, uno maschio e
l’altro femmina, le due correnti vitali, quella mobile (rosso) e quella sensibile
(verde). Un Hermanubi (dio greco-egizio nato dalla fusione di Hermes
e Anubi), aggrappato alla Ruota, regge un caduceo mercuriale
mentre, dall’altra parte, un mostro con tridente viene spinto
verso il basso in questa
“giostra”. Vengono così
rappresentate le energie
benefiche e costruttive e
gli agenti di distruzione, a
cui dobbiamo resistere.
Gli opportuni paralleli di
questa Ruota fatidica, in
cui si trovano disgregati gli
elementi simbolici del-
l’Ouroboros, e le rappre-
sentazioni degli Ouroboroi
fino’ora visti sono lasciati a
ciascuno.
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Nel serpente perennemente agganciato alla propria coda vi si può leg-
gere, poi, un richiamo alla dualità
della realtà (bene e male, maschile e
femminile...). La dinamicità del sim-
bolo suggerisce, infatti, la ricerca co-
stante di equilibrio dei due opposti, in
un movimento dinamico di continuo
lavoro tra interno (la nostra interiorità)
e l’esterno (il quaternario). La chiusura
ermetica fra ciò che è dentro e ciò che
è fuori, “en to pan” (Uno (è) il Tutto) ci
suggerisce che, fuori da esso, vi sia il
Nulla. Il Nulla coincide allora con il
Tutto, e ci permette di affermare che,
all’interno dell’Ouroboros, poiché c’è
il Tutto, vi sia anche il Nulla, in cui
l’Ego si discioglie.

La rappresentazione dell’Ourobo-
ros avviene, come visto, soprattutto
tramite la figura di un animale che, per
le sue caratteristiche, ha avuto da sempre una fortissima valenza simbolica.
Il serpente, infatti, animale sacro, ad esempio, in molte popolazioni del
Nord e Centro America, simboleggiò spesso la rinascita, proprio per le sue par-
ticolarità fisiche: la muta della pelle garantisce infatti un ciclico di rinnovamento
continuo. Tale rinascita avviene equilibrando, come detto, le diverse energie, me-
ditazione di cui anche la lettera ebraica Samek può diventare un lon-
tano riferimento. La Samek, il cui significato è “sostegno”, richiama il
sentiero tracciato, quello da seguire. Ci invita a meditare sulla“fine che
è innestata nel principio”. Il suo numero è 60, il numero della totalità.
La Samek rappresenta tutti i nostri attaccamenti, le passioni, la ruota del destino,
sempre in movimento. Essa è il destino, ciò che è circolare, ciò che mette in ten-
sione la corda dell’arco. É il ronzio del filo stesso, il sibilo del serpente. Alcuni
hanno visto nella forma di questa lettera
quella dell’Ouroboros. Wirth la inserisce
nella 15° lama, il Diavolo, poiché essa è la
15° lettera dell’alfabeto semitico, ma nel suo
libro “I Tarocchi” sottolinea come questo ac-
costamento con l’Ouroboros non sia giusti-
ficato “se i Tarocchi fossero vecchi quanto i
caratteri alfabetici”, poiché la Samek primitiva
è, invece, una tripla croce.
Nell’Ouroboros vi si può vedere iscritto il
ciclo del tempo, delle stagioni, dei mesi. In
alcune rappresentazioni antiche, infatti, lo si
vede suddiviso in 12 parti, per raffigurare
simbolicamente il senso dello scorrere del
Tempo, l’eterno ciclo della vita. Il testo gno-
stico Pistis Sophia, ad esempio, mostra il

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disco solare come un drago che si mangia la coda, suddiviso in 12 parti.
Inoltre, notiamo come talvolta il dio Saturno, ossia il greco Chronos, venne
rappresentato come un vecchio che tiene nella mano destra una falce e
nella sinistra l’Ouroboros (sottolineo che la sini-
stra è la mano passiva).

L’Ouroboros ha in sé il senso di Conoscenza, di-


venendone anche il Protettore, il Guardiano. Perciò fu spesso posto
ad impreziosire i battenti delle porte di cattedrali e chiese: nel suo
mordersi la coda la parola gli era impossibile, rendendolo perciò il
silenzioso custode dei segreti celati all’interno di quei maestosi libri
di pietra.

Albert Einstein diceva che “Ogni cosa che puoi immaginare,


la natura l’ha già creata”. Viene spontaneo chiedersi, quindi, se vi siano in natura esempi di Ou-
roboroi, che abbiano potuto in qualche modo influenzare la nascita di questo simbolo. L’im-
magine del serpente che si nutre di se stesso, infatti, è così diffusa che secondo Jung potrebbe
essere un archetipo della psiche collettiva.
Il leggendario hoop snake americano, un serpente che prende in bocca la coda e rotola

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come una ruota alla ricerca di prede, avvistato di re-
cente in Minnesaota, Wisconsin e British Columbia,
non costituisce una prova documentata certa. Diffe-
rente, invece, la fotografia scioccante di uno studio
scientifico sul caso. Pare infatti, che il fenomeno possa
presentarsi in serpenti tenuti in cattività. Trattandosi
di animali a sangue freddo, qualora la temperatura
della teca fosse eccessiva, l’animale cadrebbe in stato
di forte stress e due sarebbero le gravissime conse-
guenze: uno stato di forte confusione e disorienta-
mento, ed una grande fame, che li farebbe azzannare
la prima cosa che gli si muove davanti, ossia la propria
coda. I denti dei serpenti sono orientati all’indietro
per impedire la fuga alla
preda catturata e pertanto,
una volta morsa la propria
coda, non potrebbero fare
altro che continuare ad ingo-
iarsi, non potendo più riget-
tarla. L’ultimo caso recente
documentato è quello di un
aspide, che si è autodigerito nel 2015, presso il museo
Calimera, a Lecce.

Archetipo collettivo o simbolo derivato dall’os-


servazione della Natura, esso non perde di pre-
gnanza. Mi sono chiesta il perchè della scelta di
utilizzare due serpenti intrecciati, come simbolo. La
Fenice, ad esempio, rinasce dalle proprie ceneri, per-
tanto anche in essa risiedeva il concetto dell’eterno ritorno. Gli antichi egizi furono, infatti, i
primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne qualcosa di diverso, cioè la
fenice, in cui motto era “Post fata resurgo” (dopo la morte torno ad alzarmi).
Perchè, allora, l’Ouroboros?
Io credo che in esso vi sia molto altro, al di là delle considerazioni da me scritte sopra.

Mi chiedo, allora,“Cos’è, per me, l’Ouroboros?”

Lo cerco in me, perchè il simbolo mi deve parlare


con la sua voce sottile, con le sue parole segrete. Il simbolo
mi deve aprire delle porte che sono nascoste e rivelare ciò
che ho già dentro.
Lo contemplo, contemplo questo muto intreccio,
contemplo la forma e la figura, ne ascolto i colori, ne as-
saggio la forma, ne annuso i movimenti, mi faccio Ouro-
boros. Divento io quel simbolo, affinchè esso rieccheggi
nelle mie profondità cieche e sorde, superi le barriere cere-
brali ed ignoranti della mia grettezza, della mia superbia,
della mia saccenza.
Ascolto muta e immobile.

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Non penso.
Accolgo ciò che mi arriva dentro. Come un buddista zen dipingo in
me il mio Enso, Cerchio dell’Illuminazione, e contemplo l’infinito. Cerco
di usare altri occhi per vedere, altre orecchie per ascoltare.
E non parlo, perchè è solo nel mio silenzio che nascono parole,
quelle parole, parole diverse, antiche e potenti.

“Come chiudendo gli occhi, invece,


dovrai cambiare la tua vista con un’altra,
risvegliare la vista che tutti possiedono
ma pochi usano. […]
… chi vede si deve applicare alla contemplazione,
per rendersi congenere ed affine alla cosa contemplata.
Nessun occhio, infatti,
ha mai visto il sole senza diventare simile al sole,
né un’anima può vedere la bellezza senza diventare bella”.
[Plotino, “Enneadi”] n

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SUFISMO E MASSONERIA,
IL FILO ROSSO DELLA TRADIZIONE
Apis

Tra tutte le Religioni, l’Islam è, probabilmente, quella ove è più netta la distinzione tra
due parti complementari che possiamo definire exoterismo ed esoterismo. Secondo la termi-
nologia araba esse possono essere definite rispettivamente come ESH-SHARIAH, ovvero la
strada maestra aperta a tutti ed EL-HAQIQUAH, la verità interiore, riservata ad un ristretto
numero di persone, iniziate in virtù delle proprie personali qualificazioni, da un Maestro spi-
rituale. Il grande mistico e Sufi spagnolo Ibn Al Arabi le paragonò alla scorza ed al nocciolo
ove, ovviamente, per arrivare al nocciolo del frutto, bisogna prima assimilarne la scorza.
Nell’Islam con il termine Shariah si definisce tutto ciò che rientra essenzialmente nel-
l’ambito della religione ed, in particolare, l’intero“Corpus”sociale e legislativo che, si badi bene,
nel mondo islamico rientra essenzialmente nell’ambito della religione poiché il legislatore è
di norma un dottore Coranico (Ulema). Viceversa la Haqiquah rappresenta la conoscenza pura,
la quale trasmette alla Shariah il suo significato superiore e profondo e perciò la sua autentica
ragione d’essere.
L’esoterismo islamico comprende, oltre alla Haqiquah, la Tariqah (via o sentiero) ovvero
i mezzi che permettono di raggiungere la Conoscenza pura. La Tariqah è spesso paragonata
al raggio della circonferenza che la congiunge al centro. Nell’Islam Tariqah è anche definita
una Confraternita mistica, l’insieme delle quali forma appunto la circonferenza o ruota, es-
sendo ogni Confraternita un singolo raggio. Perciò, come dice lo Sheik Al-Alewi,“nessuna ruota
può girare se un singolo raggio si spezza”. Tale concetto è espresso in modo mirabilmente poetico
ne “Le Mille ed una Notte”: “La verità non è in un sogno ma in molti sogni, beato colui che sogna
molti sogni”. Ciascuna Confraternita è, cioè, depositaria di una particolare interpretazione
della Verità e perciò tutte le Confraternite Mistiche sono ugualmente valide e degne di rispetto.
Un vero Maestro spirituale islamico, infatti, non definirebbe mai la propria Confraternita come
superiore alle altre, ma direbbe semplicemente che nella propria Confraternita
viene insegnato uno dei possibili metodi per congiungersi
all’Altissimo.
Il Sufismo rappresenta, per il vero credente nell’Islam la
quintessenza dell’esoterismo mussulmano: in Arabo esso si defini-
sce AT-TASAWWUF che significa semplicemente nella traduzione
letteraria “vestirsi di lana”(SUF) dal momento che i primi Sufi
indossavano solo vesti di lana pura. Tuttavia sono proposte anche
altre possibili origini del termine“Sufi”poiché in Arabo la parola Su-
fiya vuol dire anche“purificato”ed alcuni studiosi, come ad esempio
il Guenon ed il Burkardt, mettono in relazione il termine “Sufi-
smo”con il Greco Antico“Sophia”, ovvero sapienza. Si noti come
i Turchi Ottomani, conquistata Constantinopoli, traslitterarono
Hagia Sophia (la Chiesa della Santa Sapienza) con la parola
Aya Sufiya, rendendo cioè la lettera sigma greca con la
lettera sad.
La corrente mistica Sufi nasce, in pratica, agli inizi
dell’Islam, ma viene istituzionalizzata solo a cavallo tra X° e XI°

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secolo dell’Era Cristiana con i cosiddetti Teo-
rici ovvero Abu Said, Huywiri, Al-Sarray e
Qushairi. Nel XII° secolo sorsero infine i
primi grandi Ordini di Confraternite, le già ci-
tate Tariquah. Inizialmente i Maestri (Shaykh)
riunivano attorno a sè dei discepoli che an-
davano da un luogo ad un altro alla ricerca
dell’insegnamento spirituale; in seguito fu-
rono fondati centri di preghiera, chiamati za-
wiya ove si praticava essenzialmente il dhikr,
la meditazione sufica correlata dalle pratiche
di respirazione e postura di cui parleremo più
avanti. Una volta ammessi ad una zawiya i
membri erano tutti considerati fratelli
(kouan) e tutti sullo stesso piano di ugua-
glianza. Particolare importanza nella Confra-
ternita riveste la figura del Maestro, tramite il
quale il praticante Sufi si connette con una
catena di unione fino al Profeta MUAM-
MHAD. La venerazione nei confronti del Maestro ricorda molto il cosiddetto Guru Yoga pro-
prio del Buddismo Mahayana. Da notare che la propensione alla attività interiore ed alla pratica
del Dhikr è insita nell’Islam in virtù del noto detto del Profeta (Haydith), secondo cui la Guerra
Santa (Jihad) si dividerebbe in dieci parti: una è quella che si combatte contro i nemici della
religione, le altre nove quelle che si combattono contro se stessi.
Il senso ultimo del praticante Sufi è di congiungersi attraverso l’insieme delle pratiche
(definite con il termine di viaggio nella notte) allo Spirito Universale (Ar-Ruh) detto anche In-
telletto primo, che rappresenta la prima delle Manifestazioni che discendono da Allah. Tale
Spirito è, cioè, il Mediatore tra l’Essere divino e l’Universo incondizionato e viene spesso pa-
ragonato al Calamo supremo (Al-Qualam) con cui Dio registra tutti i destini sulla Tavola custo-
dita, corrispondente all’Anima universale. Si noti come alcuni autori Sufi, tra cui il celebre Abd
al Karim chiamano lo Spirito universale anche “Spirito Santo” e lo paragonano al volto di Dio
(Wayh Allah). Le analogie con la Cabala ebrea sono, in tal senso, veramente impressionanti e
starebbero a confermare che il Sufismo, come d’altronde la stessa Cabala sul versante ebraico,
sia la risultante di un incontro tra Islam e Neoplatonismo, con particolare riferimento alle dot-

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trine espresse da Plotino e Giamblico.
Tra le principali Confraternite Misti-
che, oltre che la Qadiri e la Shadhiliya, una
particolare attenzione va riservata alla Ma-
wlawiya, fondata a Konya in Turchia dal cele-
bre mistico e poeta Djalal al din Rumi. Tale
Confraternita, potentissima durante l’Impero
Ottomano (arrivò ad estendersi fino a Bel-
grado), contempla tra le proprie pratiche la
famosa danza cosmica, che ha dato ai suoi
membri il nome di Dervisci Ruotanti. Tale pra-
tica consiste, attraverso una danza circolare,
nel rinnovare l’atto della Creazione (o meglio
della Emanazione da Dio) con il braccio de-
stro rivolto verso l’alto a congiungersi, ap-
punto, con l’Essenza dell’Altissimo e quello
sinistro rivolto verso il basso per trasferire
l’Energia Divina nel mondo del manifestato.
I Dervisci furono popolarissimi nel mondo
islamico: purtroppo, dopo la presa del potere da parte di Kemal Pascià (Ataturk), tutte le Con-
fraternite, compresa la Mawalawiya, abbandonarono la Turchia per rifugiarsi in questo caso in
Egitto (ove, come vedremo, approderà il Massone e Martinista Guenon dopo la sua conver-
sione all’Islam).
L’identificazione dei Sufi con il Principio Primo fu, talvolta, non capito ed osteggiato
dall’Islam ortodosso, tant’è vero che uno dei primi maestri Sufi Al-Hallaj venne messo a morte
a Bagdad nel 992 d.c. per avere proclamato “Io sono la Verità” ovvero “Io sono Dio e Dio parla per
Mia bocca”. Tale affermazione non voleva affatto essere blasfema, poiché il Maestro intendeva
dire che Egli, essendosi riconnesso con il Principio Primo Creatore, era divenuto un tutt’uno
con Esso.
Il Sufismo, pur rimanendo sempre fedele ai precetti esteriori dell’Islam (i cinque pilastri,
ovvero l’affermazione dell’Unità Divina, le cinque preghiere quotidiane, il digiuno
purificatore del Ramadan, il pellegrinaggio alla Mecca, la decima destinata ai po-
veri) si sforzò sempre, tuttavia, di trascendere l’ambito del culto esteriore: attra-
verso l’estinzione delle umane passioni (Fana) e l’applicazione del puro Amore
per tutti gli esseri (Mahabba) il praticante Sufi giunge ad uno stato ove rico-
nosce ciò che Schuon, con felice espressione, definisce “Unità Trascendente
delle Religioni”. Ciò può essere conseguito attraverso la gnosi (Irfan) che viene
considerata dall’Islam al rango di una vera e propria scienza: scienza della co-
noscenza del Principio Superiore Creatore che viene conseguita dal saggio
attraverso la dimensione del cuore (Qualb). La gnosi, secondo l’Islam, con-
cerne i doveri dell’uomo verso se stesso, verso il mondo e verso Dio.
Quanto di ciò sia sorprendentemente analogico rispetto
ai principi Massonici, anche un giovane apprendista
può notarlo. Il saggio Sufi impara a superare le appa-
renze esteriori o meglio a trascenderle e difatti Rumi
dice “La verità è indipendente dalle forme esteriori! Essa
brilla nella bettola, nella Moschea e nella Chiesa! Inoltre la
religione del cuore, che sola ha valore, non è monopolio di
nessun Credo in particolare. In verità tutti i Credo sono un

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unico Credo!”. E ancora: “Che fare o Mussulmani? Io non so proprio chi sono e non riesco a darmi
una identità! Non sono né un Cristiano né un Giudeo né un Mussulmano! Non sono né d’Oriente né
d’Occidente, non né della terra né del mare…..ho accantonato le dualità, ho visto che i due mondi
sono uno solo!”.
Prima di passare ad analizzare le relazioni tra Massoneria e Sufismo, non possiamo
fare a meno di alcune precisazioni: purtroppo da alcuni anni
si assiste, nell’ambito Islamico Ufficiale soprattutto Sunnita,
in reazione alla marea montante dal fondamentalismo, ad
una forte presa di distanza, se non ad una forte condanna
nei confronti del Sufismo e delle Confraternite. Tale stagione
fu inaugurata nel 1986 (1407 dell’Egira) da un polemico
scritto di Hajj Shaykh Abdur Rahnam, al secolo l’italiano Pa-
squini, direttore del Messaggero dell’Islam, che è l’organo uf-
ficiale delle associazioni islamiche in Europa. In tale scritto,
dal titolo paradigmatico “Il Sufismo non è l’Islam”, l’influente
personaggio arrivò a definire “Pattume proveniente dal Dia-
volo” le dottrine sufiche. In conseguenza di ciò i vari Palazzi
e Pallavicini, capi storici dei Mussulmani convertiti di nazio-
nalità italiana, si trovarono in notevole imbarazzo dal mo-
mento che la loro adesione all’Islam, come per gran parte
degli Italiani convertiti, era passata attraverso lo studio di
Renè Guenon. Ben diverso l’atteggiamento degli Italiani non convertiti, cioè dei figli o nipoti
di famiglie mussulmane trasferite in Italia a seguito di eventi storici come, ad esempio, la ca-
duta dell’Impero ottomano, del Regno dell’Afganisthan o dell’Impero Persiano: in tali cerchie,
infatti, la venerazione per il Sufismo e per i suoi nobili Maestri è stata sempre mantenuta inal-

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terata. Viene da chiedersi: forse chi giunge all’Islam, non
essendo nato Mussulmano, vuole mostrarsi più zelante
degli altri ovvero più realista del re? Costoro dovrebbero
ricordare che l’Islam è sempre stato fucina di tolleranza
e che, quando i loro antenati europei perseguitavano gli
Ebrei Sefarditi in Spagna e Portogallo, questi trovavano
asilo e protezione in Turchia, in Siria ed in Egitto. L’Islam
è tolleranza e amore non prevaricazione e fondamenta-
lismo.

Veniamo dunque al punto che maggiormente ci


interessa: esiste una relazione, un collegamento tra Sufi-
smo e Massoneria?
Il primo aspetto da considerare è il seguente: in
un testo massonico inglese del 1726 “The Grand Mystery
Laid Open” vi è un curioso passo in cui alle due domande
(“come è chiamato Dio”? “Chi fu il primo Massone”?) viene
risposto “Laylah Illallah” ovvero non vi è altro Dio che
Allah, il primo dei cinque pilastri dell’Islam, precedente-
mente citato. Il noto esploratore e massone inglese Sir Richard Burton, lo scopritore del lago
Tanganika in Africa, scrisse: “Il Sufismo è stato il genitore orientale della Massoneria”.
Ora, senza pretendere di voler formulare un parere definitivo a proposito della “vexata
quaestio” sulle origini della Massoneria, possiamo però analizzare alcuni punti
per giungere poi ad alcune conclusioni.
1)- É nota la derivazione della Massoneria dalle gilde dei costruttori medioe-
vali. Tali gilde penetrarono in Inghilterra al tempo del Regno di Aethelstan (894-
939); in quello stesso periodo operava in Spagna il maestro Sufi Ibn Masarra e
soprattutto era attivo un altro grande maestro Sufi Dhu’l-Nun, fondatore della
Confraternita dei Costruttori Dervisci, detti anche Dervisci Carbonari. Lo stesso
Dhu’l-Nun era detto“il Nero” per le sue origini nubiane. Ora è noto che in Eu-
ropa si sviluppa, nello stesso periodo, il cosiddetto Ciclo Arturiano o Ciclo del
Graal, di cui uno dei principali interpreti fu il trobadour Wolfan Von
Eschembach. Si noti, innanzi tutto, che le parole di passo, ovvero di ri-
conoscimento della confraternita Sufi dei costruttori, era composta di
tre lettere T R B, cioè le fondamentali lettere del termine trobadours.
Ora Von Eschembach, nel suo “Parzifal”, parla dell’origine del Graal,
la sacra coppa ove venne raccolto il sangue della Passione del Cristo,
come di una pietra caduta (lapis exillit) dalla corona di Lucifero. In
più egli parla anche di un misterioso Firefiz (che non compare
in nessun altro romanzo del Graal) nero e fratellastro di Parzifal,
concepito dal padre durante un viaggio in Oriente, precisa-
mente a Costantinopoli. Si noti l’analogia con la pietra nera
custodita alla Mecca e caduta dal cielo (K’aaba) ed il maestro
nero Dhu’l-Nun sopra citato. Inoltre è notissima la relazione
tra trobadours, Fedeli d’Amore e Templari, come magistral-
mente spiegano Guenon ed Evola rispettivamente ne “L’Eso-
terismo di Dante” ed “Il Mistero del Graal”.Tornando alla
Confraternita Sufi dei Costruttori, oltre alla parola di Passo
T R B, essi usavano anche una parola segreta: A B L. La let-

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tera A, ovvero la araba Alif, era simboleggiata da una squadra, la lettera Beth da un livello e la
lettera Lam da una fune che essi definivano come “la corda che tutti insieme ci connette in una
unione”. Tali rapporti sono già di per sé sorprendenti, ma le cose non finiscono qui.
2) - La leggenda, ma anche alcune autorevoli opere di studiosi qualificati, afferma che i
Templari, dopo la persecuzione subita da parte di Filippo il Bello, si sarebbero rifugiati in Scozia
sotto la protezione del Re Robert Bruce ed avrebbero trasmesso alcuni insegnamenti segreti dai
quali originerebbe almeno parte della dottrina esoterica della Massoneria che perciò risulterebbe:
° nella sua forma esteriore figlia delle Corporazioni medioevali dei Costruttori;
° nella sua forma interiore esoterica derivata direttamente dai Templari.
Ora, L’Ordine Templare ebbe frequenti contatti in Oriente con la setta ismaelita degli
Hasan-Shish, conosciuti in Europa con il nome di “Assassini” ma, in realtà, la traduzione let-
teraria è“Seguaci di Hasan”, il figlio di Ali, cugino e genero del Profeta, cioè i seguaci dell’Imam
nascosto, colui che detiene l’insegnamento occulto e la parola celata! Peraltro i due Ordini
avevano gli stessi colori, il Bianco ed il Rosso, ed intrattennero rapporti strettissimi oggetto di
sospetti sia da parte cristiana che da parte mussulmana. Possiamo dire che le due Confraternite
si riconobbero in un unico denominatore: la Operatività esoterica, al di là delle differenze este-
riori di culto. Negli atti processuali dei Templari si fa riferimento esplicito alla adozione di riti,
gesti, parole e toccamenti magici estranei all’insegnamento di Santa Romana Chiesa. I Templari
furono cioè, in ultima analisi, accusati di eresia. Analoghe difficoltà ebbe la Setta Ismaelita, i
cui membri furono perseguitati e dispersi. Si temeva forse, da parte dei poteri costituiti, la
creazione di un “Nuovo Ordine Spirituale”, che unificasse l’Oriente e l’Occidente nel segno
di una superiore fraterna tolleranza? Ricordiamo anche che molte confraternite Sufi ebbero
contatti e lavori comuni con la Confraternita degli “Assassini”. Inoltre diverse Corporazioni
Muratorie (parliamo ovviamente di Massoneria Operativa) parteciparono, nel XVI secolo, alla
costruzione della Moschea Suleymaniya di Istambul, operando a stretto contatto con la già
citata confraternita dei Costruttori Sufi.
3) - La più recente storia dell’Ordine Muratorio rivela un certo numero di indizi im-
portanti a partire dalla affiliazione alla Massoneria nel 1864 del celebre Maestro Islamico,
l’Emiro Abd el-Kader in una Loggia Egiziana all’obbedienza del
Grande Oriente di Francia. Nella sua “Lettera ai Francesi” (1855)
l’Emiro auspicava una unificazione fraterna di Cristiani e Mus-
sulmani nel nome di una Superiore Visione Spirituale. Altra figura
importante fu lo Sheikh Elish El Kebir della Confraternita Sufi
Chadhilyya a cui Guenon dedicò l’opera “Il simbolismo della
Croce”. Il Guenon rivelò poi di avere ricevuto dallo Sheik fonda-
mentali insegnamenti sul simbolismo muratorio della Squadra,
Livella, Triangolo e Compasso e di aver verificato sorprendenti
analogie tra il lavoro muratorio e l’operatività delle Confraternite
Sufi quale, ad esempio, la necessaria presenza di almeno sette
confratelli per la pratica del Dhikr. Potremmo, a questo punto
chiederci: perché Guenon aderì formalmente all’Islam? Perché si recò in Egitto? Le risposte a
tali quesiti sono, a questo punto, facilmente desumibili da quanto finora detto.
4) - Il Massone tedesco J.B.Kerning (1774-1851), nel suo testo “Lettere dell’Arte Regia”,
dà la seguente interpretazione dei segni, dei toccamenti e delle prese massoniche: si tratterebbe
di metodiche magiche di provenienza orientale, attraverso cui l’Operatore giungerebbe ad una
“rivificazione del sé”, cioè al ottenimento di uno stato di Risveglio Spirituale raggiungibile at-
traverso un ritmico ripetersi dei segni e dei toccamenti e delle prese in questione, associati ad
una verbalizzazione delle parole di passo. Tali tecniche sono, ad esempio, abbastanza comuni
nel Buddhismo Tantrico, il cosiddetto Tantrayana, ovvero il veicolo del diamante folgore, il metodo

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più veloce, secondo il Buddhismo, per raggiungere l’Illuminazione.
In tale insegnamento il discepolo, iniziato da un Maestro qualificato
alla pratica di una Divinità Tantrica (Yddam) si identifica con tale
Divinità e, attraverso la ripetizione di mantram o sillabe (dette seme)
nonché grazie alla assunzione di determinate posture e di parti-
colari gesti delle mani (mudra), ottiene il risveglio interiore.
Nel 1924, a Lipsia, venne pubblicato uno strano libro dal titolo
“Die Praxis der alten Turkischen Freimaurei” ovvero “La pratica ope-
rativa della antica Massoneria Turca”. Tale opera venne recensita
nel 1928 dalla celebre rivista esoterica italiana Ur, precisamente
da “Arvo”, al secolo il Duca Giovanni Colonna di Cesarò, in-
fluente uomo politico italiano degli anni venti dello
scorso secolo (Ministro delle Poste del primo governo Mussolini, fu
liberale antigiolittiano e poi oppositore del regime fascista al quale, peraltro, non
perdonò mai il Concordato con il Vaticano) e autorevole membro della Società An-
troposofica italiana, discepolo diretto di Steiner ed autore di una interessantissima
opera sulle origini occulte di Roma. L’autore del testo, recensito da Arvo, era Rudolf
von Sebottendorff, massone e membro della Società Esoterica del “Vril”(contrazione
dell’acrostico “Vitriolum”, ovvero "Visita Interiorae Terrae Rectificando Invenies Occultam
Lapidem Veram Medicinam"), la quale ebbe una parte assai rilevante nella propensione verso
l’occultismo del nascente nazional socialismo, compresa l’adozione del simbolo solare dello
Swastika e della bandiera dai tre colori: Bianco, Rosso e Nero cioè le tre opere alchemiche.
Affinché ci si possa rendere conto di come stanno le cose, riportiamo un pezzo del ri-
tuale descritto dal von Sebottendorff, ove si fa riferimento ad un lavoro della Confraternita
Sufi diretto dallo Sheik Mehemed Rafi, maestro dell’Autore. Il Maggiore degli sceicchi presenti

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assume la presidenza e designa un Sorvegliante, un Economo ed un
Corriere, quindi esclama:
- “Miei Fratelli, siamo al coperto, siamo riforniti, siamo serviti.
- Il sole brilla, apriamo il cielo.
- Fratello Corriere hai tu la chiave?”.
- “Venerabile Maestro io sono la I”.
- “Fratello Sorvegliante, hai tu la chiave?”.
- “Venerabile Maestro io sono la A”.
- “Fratello Economo, hai tu la chiave?”.
- “Venerabile Maestro io sono la O”.
- “Miei Fratelli senza la chiave non vi è conoscenza.
- Io sono Acqua, Fuoco e Bilancia e voi chi siete?”.
- “Noi siamo il Nero, il Bianco, il Rosso, il Rosa e La Pietra”.
Al che il Maestro così conclude l’apertura dei lavori:
- “Santa è la nostra scienza! Proferiamo che non esistono degli dei
- al di fuori di Dio e Muhammad è il Profeta di Dio”.
Successivamente l’autore passa alla descrizione di alcuni eser-
cizi interiori della Confraternita, che prevedono tre tipi di prese: al collo, al petto, e al ventre,
con l’associazione delle vocali I A O, che vanno fatte vibrare interiormente, dovendo, il prati-
cante, identificarsi con esse e assumere le energie cosmiche legate a tali suoni. Si badi che ciò
viene comunemente praticato nella cosiddetta magia Runica, originaria dell’Europa setten-
trionale, ove le Rune, ovvero le lettere dell’alfa-
beto Norreno, vengono associate a determinate
forze o elementi, ad esempio UR = terra, LAF =
acqua, FA = fuoco etc, ed assumendo posture cor-
rispondenti alle Rune stesse, il loro suono viene
fatto vibrare, dall’operatore, in modo che egli si
identifichi (cioè si impossessi) con le forze della
Terra, dell’Acqua, del Fuoco etc. E qui ci fer-
miamo. É, credo, del tutto superfluo aggiungere
che, quando Hitler prese il potere, il testo di von
Sebbottendorff e tutte le altre sue opere sparirono
in tempo reale dalle librerie. Si noti anche che il
von Sebbottendorff, che acquisì la cittadinanza
turca, fu in rapporto con Dumezil e Corbin, due
dei più grandi studiosi di Religioni di tutti i tempi.
Notiamo, altresì, che alcuni moderni recensori
dell’opera di von Sebbottendorff, compreso il
Mutti, nella prefazione dell’edizione Arktos, si af-
fannano a negare che, per antica Massoneria, si
possa intendere la Muratoria attuale che“nulla ha
a che vedere con la vera Tradizione”(secondo il classico canovaccio di coloro che Scaligero definiva
“Evolomani”), insomma, come a dire, che il colore rosso nulla ha a che vedere con il Rosso!”.

Concludendo, si può dunque ragionevolmente affermare che il Sufismo ha certamente


avuto influenza su diversi aspetti del Lavoro Muratorio o, per meglio dire, tra questi due Sog-
getti esistono diversi punti in comune poiché, ciò che appartiene alla Tradizione, è Tradizione
essa stessa, come il Fratello Guenon amava dire. In definitiva la Massoneria è un grande vei-
colo, una summa degli insegnamenti tradizionali ove convergono aspetti provenienti da diverse

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dottrine, ma con l’unico scopo di portare l’uomo alla elevazione spirituale in modo che egli
contribuisca al miglioramento del mondo in cui vive.
In questo momento particolare rivolgiamo dunque un amorevole pensiero ai nostri Fra-
telli Islamici passati e presenti che assieme a noi lavorano per edificare Templi alla Virtù e per
scavare oscure e profonde prigioni al vizio.n

BIBLIOGRAFIA

Arabi I.“Il libro della Estinzione nella Contemplazione” Ed. SE.


Bianca M. - Di Luca N.“Le Radici Esoteriche della Massoneria” Ed. Bastogi.
Brunelli F.“Principi e Metodi di Massoneria Operativa” Ed. Bastogi.
Burckhardt T.“Introduzione alle Dottrine Esoteriche dell’Islam” Ed. Mediterranee.
Corbin H.“L’Uomo di Luce nel Sufismo Iraniano” Ed. Mediterranee.
Corbin H.“Storia della Filosofia Islamica” Ed. Adelphi.
Di Luca N.“Massoneria: Storia, Miti e Riti” Ed. Atanor.
Evola J.“Il Mistero del Graal” Ed. Maditerranee.
Filippani P.“Ismaeliti e Assassini” Ed. Thot.
Guenon R.“Scritti sull’Esoterismo Islamico ed il Taoismo” Ed. Adelphi.
Guenon R.“Simboli della Scienza Sacra” Ed. Adelphi.
Guenon R.“Studi sulla Massoneria” Ed. Basaia.
Guenon R.“L’Esoterismo di Dante” Ed. Atanor.
Macale M.“Massoneria e Cammino Iniziatico” Ed. Bastogi.
Mutahhari M.“Gnosi e Sufismo” Ed. Atanor.
Ponsoye P.“L’Islam e il Graal” Ed. Veltro.
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Stoddart W.“Il Sufismo” Ed. Atanor.
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Von Sebottendorff R.“La Pratica Operativa della Antica Massoneria Turca” Ed. Arktos.
Von Sebottendorff R.“Prima che Hitler venisse” Ed. Arktos.
Von Eschembach W.“Parzifal” Ed. Utet

65
66
IL GALLO:
SIMBOLO DI LOTTA TRA LUCE E TENEBRE
ADM

Il simbolismo animale ha avuto un ruolo fondamentale per l’uomo


che, in passato, ha rappresentato anche una forma di totemismo: presso le
antiche civiltà, a differenza della nostra, tutto era circondato da sacralità e
ogni essere vivente, animali compresi, era messo in relazione all’aspetto
divino e, come tale, oggetto di culto.
La zoolatria era già presente prima del 3000 a.C. e rimase un fulcro
culturale-religioso, anche quando l’uomo iniziò ad avere una presa di posi-
zione differente nei confronti delle divinità antropomorfe.
Gli animali sono strettamente legati
anche al sovrannaturale: le tradizioni magico-
esoteriche, quelle massoniche e quelle alchemi-
che ne hanno fatto grande uso, soprattutto come
allegorie per esprimere concetti ben più profondi e celati.
Lo stesso è avvenuto nella pratica magia nera (con tutte
le sue sfumature) e in ambito demonologico, o nella
chiaroveggenza, spesse volte a scopo divinatorio.

Tra gli animali maggiormente rappresentativi nella


simbologia esoterica ricordiamo il GALLO simbolo di
Mercurio, o Hermes, od Ermete, rappresenta emblema-
ticamente il Mercurio dei Saggi della tradizione alchemica.
L’iniziando (nella Libera Muratoria) ne fa la sua
conoscenza nel Gabinetto di Riflessione. Annuncia
quindi la luce che sta per ricevere e ne è il segno esoterico.
Il Gallo è simbolo solare in quanto è l’annunciatore del sole che sorge, allude al risve-
glio delle forze ed incita all’azione, ed è anche simbolo della ri-
nascita, e quindi del rituale di iniziazione. Se esaminato insieme
alla Clessidra, simbolo dell’assopimento, del lento morire e
dell’inerzia, raffigura il ciclo perenne ed immutabile della vita.
Esso col suo canto, annunciante il sorgere della Luce,
mette in fuga le forze delle tenebre. Così durante
l’iniziazione avverte l’iniziando che, dalle tenebre
in cui è avvolto il suo essere, perverrà ad una Luce
che farà chiarezza nella sua anima.
Nel mondo greco l’immagine del gallo si riveste
di un profondo significato simbolico. La lunga
consuetudine dell’uomo antico con questo
animale si manifesta maggiormente nella
sfera del sacro, in cui il gallo presenta molte-
plici valenze simboliche. È consacrato al sole, indicatore del tempo e sor-

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gente di vita, perché ne annunzia il sorgere, come tale non annunzia solo il giorno ma anche
fautore della nascente luce della vita. Il naturalista Eliano riferisce che il gallo è amico di
Latona, madre di Apollo e Artemide, rispettivamente divinità solare e lunare.
L’attenzione con cui il gallo vigila sul pollaio e aspetta il momento opportuno
per lanciare il suo canto annunciatore dell’aurora, ispirò il simbolo della vigilanza alla
quale si richiama una storia di adulterio e castigo: quella di Efesto, Afrodite e Ares.
Ma il gallo fu consacrato universalmente anche agli dei bellicosi, questo perché
la sua combattività nel difendere il pollaio ha ispirato il simbolo del guerriero. Questo vo-
latile, che provvede a fecondare le galline del pollaio, fu considerato anche uno degli em-
blemi della potenza virile e procreatrice. Consacrato ad Asclepio (semidio istruito alla
medicina), divenne simbolo della medicina, di Attis (paredro di Cibele) ed Ermes (a questa
divinità i Greci lo sacrificavano quale simbolo della lotta),il messaggero che percorreva i tre
livelli del cosmo, dagli inferi fino al cielo. Gli astrologi, sostenevano che al sorgere del
giorno ricevesse dal pianeta Mercurio un influsso positivo, riservato solo al sacro volatile
Il gallo, dunque, annuncia il giorno, la vita e segna quindi il brusco passaggio
dal sogno alla realtà.
Tra le caratteristiche che i Greci attribuiscono al gallo non manca neppure una sorta di

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indole materna, benché l’animale sia famoso
per la sua lascivia. Alla morte della gallina il
gallo si sostituisce a lei in tutto, si immede-
sima tanto che non canta più e ne cova
anche le uova, consapevole di svolgere un
ruolo del tutto femminile.
I feroci leoni lo temono non riescono
a sopportare la sua vista, animale uso a fu-
gare le tenebre sbattendo le ali e a chiamare
a gran voce l’aurora, e perciò fuggono.

Nel mondo cristiano un ampio sim-


bolismo del gallo si sviluppa soprattutto
nell’innografia, pur essendo documentato
anche nell’esegesi ai passi biblici che regi-
strano allusioni al volatile. Ambrogio di Milano è in tal senso l’autore più rappresentativo. Nel
suo inno “Ad galli cantum” sviluppa un nuovo simbolismo del gallo, attribuendo all’animale il
valore di Cristo-Luce. L’autore, raccogliendo l’eredità classica, considera l’animale messaggero
del giorno, sentinella della notte, luce che guida i viandanti nelle tenebre. Egli fissa l’attenzione
sugli effetti prodotti dal canto del gallo, circondati da un alone di magica energia: “il canto del
gallo è potenza. Il cielo si sgombra dall’oscurità e con la luce cessa la forza del male e della violenza”.
Questo canto è il segnale dato alla stessa“Pietra della Chiesa”, l’apostolo Pietro, affinché
sappia purificare la colpa commessa: Gesù gli disse: “In verità io ti dico che questa stessa notte,
prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. Anche qui, in questo famoso episodio, il gallo
rappresenta l’annuncio della Luce che illuminerà drammaticamente la colpa - il tradimento

Medicina Sanità

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70
oramai consumato - in modo tale da non poter esser più occultata.

Il gallo acquista il significato di rappresentare la fine della notte e la speranza del nuovo
giorno. È col ritorno della speranza che termina realmente la notte in tutte le sue manifesta-
zioni. S. Ambrogio si dilunga sul significato di questa spirituale utilità, consistente nel fatto
che tale canto annuncia il passaggio dalla notte al giorno, dal negativo del peccato al positivo
della salvezza. Infatti sveglia, ammonisce e consola nel momento in cui Lucifer excitatus oritur
e il cielo si inonda di luce. Il canto del gallo annunzia la speranza a coloro che soffrono nel
corpo e nello spirito.
Così il gallo, messaggero del giorno e della vita, diventa nell’ interpretazione ambro-
siana simbolo di Salvezza, vera vita dell’uomo. È la cristianizzazione del significato di “annun-
zio”, già presente nella tradizione classica.

71
Anche l’uso di mettere un gallo sui campanili delle chiese
non è casuale.
La vera origine di quest’uso va ricercata
piuttosto nelle idee generali e negli usi del
tempo. Nell’antichità gli agricoltori possede-
vano un pollaio, non solo per procurarsi il cibo
con le uova e qualche volatile, ma non secon-
dariamente per avere dei galli vivi che, avendo
il vantaggio di svegliarsi al più piccolo rumore,
diventavano utili guardiani; inoltre, destandosi
alle prime luci dell’alba, sembravano annun-
ciare il giorno nascente e svegliavano tutta la
casa. Per queste ragioni la terza vigilia della
notte (fra le due e le sei) era chiamata “canto
del gallo”. A questo alludeva Gesù nell’annun-
cio del rinnegamento, e per questo il gallo è divenuto il simbolo
della vigilanza.

Il legame col Sole è testimoniato anche nella religione mi-


traica. Il sesto grado di iniziazione era detto “Eliodromo“, il cui dio protettore era il Sole: Elio-
dromo precedeva il dio solare, era la stella del mattino, Lucifero, che con la torcia sollevata
preannunciava l’astro diurno; era “Cautes” che preannunciava l’inizio del giorno ma anche
della primavera.
L’animale fantastico evocò anche il simbolo del cristiano pervertito e degli eretici, men-
tre i magi ne elogiavano il sangue color pece (Sangue di Saturno), che diluito diventava più
splendente del cinabro. Gli attribuivano la buona riuscita delle pe-
tizioni presso i potenti, virtù terapeutiche e poteri di amuleto con-
tro le stregonerie.

Ma il gallo presenta anche un altro simbolismo: “Abraxas” sim-


bolo, più che divinità. Questo strano essere ibrido sembra essere il
simbolo stesso della Gnosi La testa di gallo si riferisce sia alla sua
fecondità generativa ma anche ad una fecondità allegorica: quella che viene associata con
l’azione del sole sulla terra. La testa di gallo di Abraxas infatti può far riferimento al Sole-Bene,
mentre i piedi di serpente presumibilmente fanno riferimento all’Ade, alle Tenebre-Male e
quindi Abraxas rappresenta anche la grande dicotomia che è possibile rilevare in tutte le reli-
gioni. Il sole e la luna, in antiche e moderne teologie, e il bene e il male.
Simbolicamente la testa di Gallo è legata come già detto sopra al mattino e al Sole.
Esso è il cambiamento fra una fase di ignoranza (notte), ad una fase di conoscenza (giorno).

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Al canto del gallo non sta bene farsi trovare ancora
immersi nel sonno della ragione, per non ri-
schiare che il torpore e l’inebriamento delle
emozioni ci conducano a testimoniare il
falso, su ciò che in realtà siamo, o do-
vremmo essere.
Le gambe rappresentano l’elevazione
e la possanza: il fondamento su cui si regge
tutta l’opera umana. Esse sono, per ovvia
constatazione, il basamento o piedistallo ne-
cessario, per elevarsi e tendere al cielo; se
salde a terra permettono all’uomo di proten-
dersi verso l’alto, è attraverso di esse che traiamo
forza dall’elemento terra, ma che subiamo anche la forza
dell’elemento aria.
Possiamo vedere anche i tre elementi zoologici che compon-
gono Abraxas (serpenti, tronco umano, e testa di gallo), come la ne-
cessaria cooperazione fra l’elemento inconscio-atavico ( la forza
sessuale del serpente nella sua duplice natura di elevazione ed ab-
battimento), l’elemento conscio-razionale (il corpo umano e l’ordine
con cui sostiene gli strumenti di dominio e difesa), e l’istanza divina solare che armonizza,
trasmuta ed eleva gli elementi inferiori, ma necessari.
Abraxas e Mithra, nella ghematria greca, avevano pari valore (365), ed entrambi gode-
vano di un simbolismo solare che si avvicina strettamente al principio del “sole di giustizia”,
ovvero al Cristo-Logos. In particolare al nome Abraxas, il valore numerico delle lettere che lo
compongono è pari a 365, ed inoltre le sue
sette lettere sono fatte corrispondere ai sette
pianeti. La parola di potenza Abrach o
Abraxas sarebbe poi divenuta, nella sua vol-
garizzazione, la formula magica cabalistica
per eccellenza: Abracadabra. Lo scudo che
tiene in mano questa figura ha inciso il
nome di YHWH (nell’egitto alessandrino:
IAO). Questo nome alludeva al
Grande Vecchio nell’uomo, ed
era un IO allargato, un’al-
lusione al Sé superiore.
Spesso i due nomi
erano fusi: IAOABRA-
XAS. Questa parola
verrebbe dall’ebraico
“abrech ad habra”, che si-
gnifica “invia il tuo fulmine
fino alla morte”. E qui po-
trebbe essere celato uno dei più
grandi misteri del cristianesimo esoterico, a
parte il mistero della resurrezione del corpo
di luce. Ma potrebbe anche essere un ter-
mine gnostico per identificare l’energia ful-

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minante Kundalini, suggerita dalla doppia energia serpentina delle due gambe dell’Abraxas.
Non a caso il termine ebraico per fulmine “barach” ha a che
fare con l’ebraico“beracha-benedizione”e con l’arabo“ba-
rachà” che indica l’investitura iniziatica e la trasmissione
dell’influenza vibrazionale dal maestro all’allievo. In re-
altà, la trasmissione di poteri avviene solo allorché un
fascio di energia elettro-magnetica investe l’asse cere-
bro-spinale. Non prima. E Abraxas potrebbe essere
quell’energia ormai liberata nell’essere umano. Il Dio tra-
sferisce tutti i suoi poteri all’uomo, e l’uomo diventa Dio: Osiride diviene Horus.

Un importante mosaico raffigurante sempre il Gallo lo troviamo nel pavimento della


basilica di Aquileia, risalente al IV secolo, rappresenta uno straordinario esempio di arte musiva

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paleocristiana ed è il più vasto di tutto il mondo cristiano occidentale. Si estende infatti per
760 metri quadrati ed è diviso in dieci tappeti figurati. Particolarmente interessante risulta una
scena riproposta per due volte, nell’aula nord teodoriana e nell’aula sud, con una piccola va-
riante, quella del gallo e della tartaruga in lotta. L’interpretazione cristiana vede simboleggiata
in questa lotta l’eterna contesa tra il Bene ed il Male. Può sembrarci strano ma la tartaruga,
animale mite e silenzioso, veniva considerato un simbolo del male. Il suo nome infatti deriva
dal greco“tartarouchos”, da cui il latino“tartaruchum”, cioè “abitante del Tartaro”, abitatore degli
Inferi, delle tenebre e quindi essere demoniaco. Le abitudini dell’animale d’altra parte favori-
rono questa connotazione negativa in quanto l’animale vive in letargo durante i mesi freddi
e, quando ha paura, si ritrae nel suo carapace.
Il gallo, invece, pur essendo un animale dalla vivacità aggressiva, ha il compito
di cantare al sorgere del sole per annunciare un nuovo giorno è la venuta di Cristo,
“luce del mondo”, (come ampiamente discusso sopra). Nell’aula nord, alle spalle
dei due animali, il musivarius ha posto una colonnina recante una piccola anfora,
quale premio per il vincitore. L’anfora, secondo gli usi pagani, doveva contenere
un olio prezioso. Ricordiamo a questo proposito le anfore panatenaiche, colme di
vino sacro, che venivano date in premio agli atleti vincitori nelle gare in onore di
Athena Parthenos in Atene. La versione dell’aula sud, invece, vede sostituito all’anfora
un sacchetto di denaro, su cui è appena distinguibile una cifra : – CCC. Anche questa cifra va
letta in modo simbolico riferita alla Trinità ( – = infinito, CCC = Trinità, e quindi infinita Trinità).
Questa iconografia potrebbe derivare dal culto pagano del dio Mithra ed è veramente insolita
nell’arte a contenuto cristiano. In ogni caso il premio offerto al vincitore allude al dono della
vita eterna che il cristiano riceverà se sarà riuscito a vincere il male combattendo il peccato.
Simile è l’interpretazione in chiave gnostica che vede simboleggiata ancora una volta
nel gallo la luce che però allude a dio Padre, al Figlio ed alla Chiesa derivata da Lui per ema-
nazione, mentre vede nella tartaruga
l’oscurità propria della materia e del-
l’uomo peccatore. L’anforetta sulla co-
lonnina sarebbe contenitore di qualcosa
di prezioso, probabilmente lo spirito. Il
particolare dell’aula sud è un rifacimento
di quello dell’aula nord teodosiana ed
appare molto più impreciso e trascurato.
Quest’ultimo fu realizzato in ricordo del
Concilio di Aquileia del 381, presieduto
dal vescovo Valeriano e da Ambrogio di
Milano e che si tenne proprio in que-
st’aula. In questa occasione fu debellata
definitivamente l’eresia ariana, già con-
dannata nel Concilio di Nicea nel 325 e
che aveva determinato aspre lotte tra
Cattolici ed eretici. Si ritene che il gallo
rappresenti Cristo che annuncia la resur-
rezione con la quale vince le tenebre
della morte. Altri ancora credono che il
gallo possa simboleggiare il mondo oc-
cidentale, caratterizzato da ritmi di vita
frenetici e dinamici, ma al tempo stesso
fragile e tendente all’aggressività. La tar-

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taruga invece simboleggerebbe l’Oriente
saggio, dai ritmi lenti che favoriscono
la meditazione e lo sviluppo delle
teorie filosofiche. In questo caso la
contrapposizione tra i due animali
nasconderebbe il desiderio di
unire questi due mondi.

Concludiamo con una breve


storiella che possa essere lo spunto
per una riflessione sull’importanza di
questo animale:
“Nei tempi dei tempi il sole non esisteva. In cielo splendevano soltanto la luna e le stelle.Ora
avvenne che un giorno l’emù e la gru, facendo una passeggiata, cominciarono a litigare, tanto che la
gru infuriata, corse verso il nido dell’emù, afferrò una delle grossa uova e la scagliò con tutta la sua
forza verso il cielo.Lassù l’uovo cadde sopra una catasta di legna e si ruppe. Il tuorlo giallo colò sul

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legno e lo accese, cosicché tutto il mondo fu rischiarato da una luce viva, fra lo stupore generale.
In cielo dimorava uno spirito buono; vide quale aspetto magnifico aveva
il mondo illuminato da quella luce radiosa e pensò che sarebbe stato bello ac-
cendere ogni giorno un fuoco simile.
Così ogni notte, con l’aiuto dei suoi servi, radunò una gran quantità di
legna. Quando il mucchio era quasi pronto mandava fuori la stella del mattino
per avvertire la gente sulla terra che presto sarebbe stato acceso il fuoco.
Tuttavia non tardò ad accorgersi che quel segnale non bastava, perché la
gente che dormiva non lo scorgeva. Pensò che occorreva qualche strepito per annunciare
l’arrivo del sole e destare i dormienti, ma non sapeva a chi affidare il delicato inca-
rico.Una sera, udendo echeggiare la risata del gallo esclamò: “Ho trovato!”
Chiamò il gallo e gli spiegò ogni cosa. Da allora, ogni alba, allo scolorirsi della
stella del mattino e allo spuntare del nuovo giorno, il gallo ride per destare i dormienti
prima che si alzi il sole.
Se i gallo non ride, lo spirito non accende più il fuoco e la terra ritorna nel buio.”
(tratto da una leggenda dell’Oceania) n

Gallo - Basilisco

77
ANTONIO CANOVA:
BELLEZZA, FORZA, SAGGEZZA
Hyperion

Antonio Canova nacque a Possagno nel 1757, in un periodo che incarna il pieno Rococò
e da lì a poco la prorompente ondata illuminista, che attraverso i valori di libertà, uguaglianza,
fratellanza avrebbe rimestato i valori usurati dell’ ”Ancien Régime”per rinnovare la società dalle
fondamenta, dando una scossa fenomenale alla considerazione e al concetto di uomo.
La riconsiderazione del modello di relazione umana, il concetto di ricerca e la messa in di-
scussione delle certezze barocche, la scoperta e riscoperta delle civiltà classiche creano un tumulto,
una rottura col vicino passato ormai insanabile, la necessità di nuova linfa che evidenzi le dif-
ferenze, che stranamente trova specchio in quell’antichità che pare sopraggiungere in aiuto
ogni qual volta l’umanità sembra aver perso i propri punti di riferimento.
Tutto mutava nella società, nel mondo nuovo, o meglio nella rinata Europa, che risorge
come la Fenice dalle ceneri della Rivoluzione diffondendo ovunque quei principi massonici,
rigorosi e solidali, e ormai imprescindibili. Dopo secoli di cieca sottomissione, la fiamma della
libertà e della consapevolezza non poteva più essere espressa e nascosta da un eccesso di fron-
zoli ed esasperati virtuosismi, sconvolgenti artefatti e teatrali messe inscena. C’era la necessità
di un ritorno ad un ordine armonico globale che attraverso la semplicità, l’aurea relazione
delle parti, la proporzionale e simmetrica linea e la sobrietà compositiva si levasse il cumulo
di oro zecchino per restituire la conoscenza e la speranza.
Sotto la forte e appassionata ala Winckelmmanaina, giovani come Jacques-Louis David e
Antonio Canova ridavano vigore a quel
classicismo greco-romano senza però li-
mitarsi a mere copie, fredde ricostruzioni
o scimmiottamenti sterili. Ognuno di loro
trovò la propria lettura, il proprio testo
descrittivo all’interno di quella diatriba,
che tanto piacevolmente intratteneva gli
intellettuali signori dei salotti d’Epoca:
arte greca o arte romana? La prima è per-
venuta attraverso copie romane e recu-
pero di nuovi reperti malamente
restaurati se non falsati. Epoche diverse
che si sono accumulate spesso senza una
reale capacità di comprenderne le moti-
vazioni del momento in cui sono state
modellate.

Il giovane Canova a 22 anni va-


gava per le vie di Roma tra monumenti e
capitelli, ricopiando la maniera degli an-
tichi, cercando di carpirne le tecniche e
l’ancestrale saggezza esecutiva, ma non
era possibile riproporre tutto ciò se non

79
attraverso la consapevolezza del presente. Copie, cal-
chi, ricostruzioni, ma cosa era giusto delle reali fattezze
di quella grecanica fattezza?
Le mani che avevano preso in mano martello e scal-
pello fino a raggiungere quelle armoniche proporzioni,
caricando il gesto di quel sentire che solo l’artista poteva
iniettare e rendere come segno, come impronta, non
erano riconoscibili entro quel rifare pregiato di Roma.
Canova si rende pienamente conto di questo a
Londra di fronte al fregio del Partenone, ove Fidia
stesso sbozzò la pietra grezza per farne levigata perfe-
zione. La natura stessa era compenetrata
e resa superiore attraverso l’incessante
operare di quei Grandi Maestri.

L’uomo-scultore collabora con la


natura e rende bellezza per bellezza, gra-
zia per grazie, imprimendo nell’
Opera il sunto del suo sentire, del suo ideale assoluto, irraggiungibile così
come carnale.

Ecco che Venere diventa Italica, riprende lo studio della antica


sorella ormai in mano straniere dopo le orde napoleoniche, ma diventa
altro. Il bianco marmo carrarese, il gesto pudico a nascondere quanto
basta senza però celare la femminilità che è evidente, una bella donna,
come direbbe Foscolo che ne rimase folgorato.
La mano sinistra sul cuore, la destra agisce nascondendo timida-
mente le intenzioni, a proteggere il segreto che si percepisce, ma non si vede
attraverso quel velo. L’incedere in avanti, ma con uno sguardo ancora rivolto
al passato, la prudenza è sempre una grande virtù. Un basamento tondo
non permette di stabilire una strada; solo Lei sa dove andare e solo chi la
guarda può decidere da quale angolo. Il tutto tondo concede queste libertà.
La superficie della statuaria bellezza è liscia, levigata, alabastrina, come a
darle quell’aura di sacralità seppure pare di carne.

Forza e irruenza colpiscono gli occhi dello scultore veneto, ma


come si fa a non rimanere impressionati dall’ellenistica irruenza, dalla
dinamicità gestuale e dalla passione intensa dei volti di un Laocoonte e
dei suoi figli disgraziati? La stessa forza imprime il potente Eracle nel
lanciare il malcapitato Lica in mare, facendosi lui uno scoglio, che per sua
natura e per sempre dovrà combattere contro la forza irrefrenabile delle
onde; facendosi da scuto contro quella stessa ira che lo ha annientato.
Ercole prende per un piede il povero fanciullo e con un gesto
estremo, come un arco tirato al massimo della sua potenza sfoga la sua ira,
lasciandosi dietro l’altare su cui il sacrificio di Lica riflette il sacrificio
delle fatiche compiute, come quella pelle di leone è ai piedi a ricor-
dare, e non gloriosamente sulle spalle. La linea tra vizio e virtù è
sottile come il limite tra bianco e nero è netto, ma necessario.
La linea arcata torna a primeggiare nella composizione, un po’

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perché l’azione domina la simbologia del
soggetto, un po’ perché l’ellenismo di riferi-
mento è il periodo delle più espressioniste
passioni nell’arte greca, e un po’ perché qual-
cosa inizia a farsi sentire a livello artistico: che
sia lo spirito romantico alle porte?
Uno spirito volto al donarsi alla causa,
volto all’irruente iniziativa dell’artista che
pure utilizza i propri mezzi per spiegare il
proprio tempo, per essere un eroe del proprio
tempo direbbe Lermontov.
Così voleva essere ricordato Ferdi-
nando I di Borbone re delle Due Sicilie che
chiamò Canova per essere ricordato come
colui che protegge la cultura, la storia mentre
ne forgia le linee guida imponendo la sua
saggezza sulle genti.
Quindi veste i panni della Dea che la
saggezza rappresenta: Athena. É curioso
come la doppia natura maschile-femminile
risulti in quest’opera perfettamente equili-
brata, la natura stessa della virtù incarnata ne
determina la predominanza caratteriale e simbolica rispetto alla natura androgina che espone.
Come è quell’elmo sul capo, la gorgone sul petto e il gesto augusteo prendessero il sopravvento
su tutto il resto, benedicendo colui che sa-
lendo lo scalone è alla ricerca della luce.
Il tempo è passato, la diatriba sulle
due magnificenze classiche è superata e si è
perfettamente fusa in questa opera esem-
plare, mostrando la vera possibilità della na-
tura umana, incarnando virtù e vizi possibili
senza tuttavia esplicitarne.

Ma entriamo in quello che è la cor-


rente di pensiero dell’alta conoscenza e della
Venezia Segreta, nascosta ad occhi indiscreti
e profani.
Prendiamo per riferimento le opere
del Fulcanelli riguardanti i monumenti e Cat-
tedrali Gotiche, ove la conoscenza è stata
scolpita nella pietra per coloro che sanno leg-
gere, così da essere trasmessa ai posteri.
Venezia è un pozzo senza fondo di questa
conoscenza. Fino ad oggi non c’è un elabo-
rato iniziatico che raccolga tutte queste grandi
verità. Qualcuno non vuole! Un esempio
lampante è quello di un grande alchimista e
medico del passato: Pietro d’Abano! Il suo
pensiero averoista non deve essere divulgato!

81
C’è una autentica censura sulle sue opere ….

Parliamo del Palazzo Vendramin. É tra i maestosi palazzi che si affacciano sul Canal
Grande ed è ora la sede del Casinò di Venezia, è sicuramente uno dei più belli e maestosi.
Fu fatto costruire da Andrea Loredan, su progetto del grande archi-
tetto Mauro Codussi, alla fine del ‘400. Per varie vicende di-
nastiche, passò prima ai Calergi e poi ai Vendramin… Qui
morirà il grande compositore Richard Wagner nel 1883.
Sulla stupenda facciata in pietre d’Istria che da sul Canal
Grande, colpisce l’iscrizione in latino: “NON NOBIS DO-
MINE, NON NOBIS”. É tratta dall’antico Testamento (salmi
1115:1) ed era l’inizio di una celebre formula dei Templari:
“non a noi, Signore, ma a noi ma al tuo nome dà gloria”.
Questa iscrizione voleva simboleggiare l’umiltà di
quest’Ordine, che combatteva unicamente per la
Gloria di Dio e non per interessi personali. Sappiamo
che Andrea Loredan era vicino alle idee e all’eredità
dei Templari, tanto da farne poi il motto della famiglia.
Le foglie di quercia attorno all’iscrizione rappresentavano nella tradizione latina il di-
fensore della città, cioè colui che si impegnava per il bene pubblico, un tema molto amato
dalla nobiltà veneziana dell’epoca.
Sappiamo l’importanza nell’Alta Conoscenza che hanno avuto i Templari; dopo la loro
disfatta rimasero solo i Cavalieri di Malta. In Francia finanziarono la costruzione delle Catte-
drali Gotiche; parteciparono alla difesa della cristianità liberando Gerusalemme dall’Islam. I
Giovanniti, fondati dal Beato Gerardo, erano presenti in Terra Santa prima dei Templari. Erano
medici e monaci combattenti; curavano e prestavano soccorso ai pellegrini. Oggi questi Ca-
valieri esistono ancora e sono riconosciuti dallo Stato Italiano (anzi, è l’unico Cavalierato ri-
conosciuto dallo Stato).
Essi sono presenti come Sovrano Militare Ordine di Malta, corpo militare ausiliario sa-
nitario dell’Esercito Italiano alle dipendenze dello Stato Maggiore e sempre alla difesa della
cristianità e del Santo Padre.

Poi il Palazzo Ducale a Venezia. I suoi costruttori, maestri muratori e meravigliosi arti-
giani artefici di tanta bellezza.
Esso, un grande esempio di Gotico Fiammeggiante (Flanbloyant), ci appare oggi for-
mato da tre parti: una lunga il Rio di Palazzo, un’altra verso il bacino di San Marco che risale
al 1340 ed è l’elemento originario, e l’ultima parte che da sulla piazzetta. Il rimanente è stato
sviluppato da questo primo nucleo verso la fine del 1300, ed è di straordinaria novità per la
struttura. La forma architettonica delle ali aveva funzione di governo, di amministrazione giu-
ridica e di abitazione del Doge. Il Gran Consiglio finanziò una enorme sala che potesse con-
tenere 1212 membri che facevano parte del Maggior Consiglio, al quale era delegato il potere
legislativo, di cui facevano parte quello del Senato (consiglio dei Pregadi), l’ordine esecutivo
(Doge e Ministri) e giurisdizionale (il consiglio dei Quaranta)……..
Nel 1515 il Maggior Consiglio fece presente l’urgenza di costruire una nuova scala d’accesso
per la sala di riunione dei suoi membri. Si decise di sostituire il vecchio palazzo che sorgeva
lungo la Piazzetta verso la chiesa San Marco, con la costituzione del nuovo palazzo affinché
corrispondesse al “solenissimo principio dei Palaci novi”.
Si iniziò l’opera di demolizione della vecchia costruzione e di continuazione del nuovo Palazzo
dalla setti-ma colonna alla Porta della carta, che ebbe inizio il 27 marzo 1424. Le statue in

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pietra d’Istria, i capitelli gotici ed esoterici vennero riportati e ridistribuiti nel nuovo edificio.
Come per costruttori di Cattedrali Gotiche non si conoscono i nomi degli architetti. I docu-
menti parlano di un Maestro Enrico, poi
di Pietro Baseggio, di Filippo Calendario
che morì nella congiura di Marin Faliero
del 1355.
I documenti parlano di “Maestri
Muratori”o“Taglia Pietra”, legati alla cor-
porazione e appartenenti alla prima Log-
gia Muratoria Veneziana. Questi lascia-
rono traccie delle loro opere nei capitelli
esoterici e gotici del porticato e per chi sa
leggere la pietra scolpita, anche sui lati
della Basilica di San Marco e nel suo in-
terno. Il Palazzo Ducale per loro rappre-
sentava la riedificazione del Tempio di
Gerusalemme.
Il settecento è interessante per quel che riguarda la diffusione del libero pensiero della
Libera Muratoria.
Passata la rivoluzione francese e l’avvento dell’impero Napoleonico, questa nuova ven-
tata di novità stimolò il pensiero creativo italico ed europeo. Il
Medio evo era ormai passato e la società dei lumi avanzava.
La Libera Muratoria a Venezia influenzò molte perso-
naggi famosi come Cozzi, Goldoni, Casanova e infine Canova,
Mozart ed altri. Ricordiamo l’Ugo Prat dei nostri tempi.
Del Goldoni basti pensare l’opera “Le donne curiose”
dove continuamente si cita la massoneria.
Per il Casanova citiamo la spia Giambattista Manuzzi
che il 12 luglio 1755 recatosi a casa lo trovò vestito assieme ad
altri con vesti massoniche.
La diffusione della massoneria a Venezia nel settecento
avvenne ad opera del console inglese John Murray e dell’am-
basciatore Robert d’Arcy conte di Holdemess, figura di spicco
della massoneria europea del settecento.
La prima loggia massonica veneziana, fu fondata da
Pietro Grattariol (Segretario del Senato), nel 1774. La loggia aveva sede nel Palazzo di Corte
Da Mosto, situato nella parrocchia di San Marcuola. Un’altra loggia che fu demolita nel 1814,
sorgeva nella fondamenta delle Erbe a
Santa Marina. Un’altra officina sembra
avesse sede a Palazzo Contarini, nel Se-
striere di Santa Croce. La loggia di Palazzo
Contarini venne fatta chiudere da Cristo-
folo Cristofoli (Fante degli Inquisitori di
Stato), il 6 Maggio 1786.Di quella di Rio
Manin, si possiede l’intero l’elenco degli af-
filiati.
Di segreto a Venezia la Massoneria aveva
ben poco, se si pensa alla Chiesa della
Maddalena nel sestriere di Cannaregio.

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84
CHIESA DELLA MADDALENA
Alcuni esponenti della famiglia Baffo affidarono il progetto di questa chiesa massonica
all’architetto Tommaso Temanza (1705-1789), un confratello, che progettò un edificio perfetta-
mente circolare in stile neo-classico. E’ un
inno alla massoneria con tutti i suoi sim-
boli: sull’architrave della porta l’occhio on-
niveggente è inscritto in un cerchio e in una
piramide: l’elemento certamente più inte-
ressante si trova sopra il portone d’in-
gresso. Vi è una raffigurazione di un occhio
circoscritto da un triangolo. É un simbolo
cristiano dove l’occhio rappresenta la Di-
vina Provvidenza ed i tre lati equilateri del
triangolo la triade composta dal Padre, dal
figlio e dallo Spirito Santo. É interessante
però far notare che si tratta di un retaggio
dell’antico Egitto tramutato in significato cristiano: infatti l’occhio centrale originario era quello
del dio sole Ra mentre la triade osiridea del triangolo era costituita da Osiride, Horus ed Iside.
Questo tipo di rappresentazione, è utilizzata anche dalla massoneria. In questo caso
abbiamo due significati diversi: Passato, Presente e Futuro (se si disegnano solo i tre punti che

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costituiscono i vertici del triangolo) o l’Eternità, se il triangolo è completo di lati.
Poi l’iscrizione “SAPIENTIA EDIFICAVIT SIBI DOMUM” (La saggezza si è edificata), un
riferimento al culto per la divina sapienza (Sophia), fondamento della massoneria. Poi sul retro
vi è una porticina molto bassa, creata così per essere utilizzata nel Rito Egizio, nel quale ci si
china per entrare.
Lo stesso Temanza è sepolto all’interno di questo monumento e la sua lastra tombale
reca tre noti ed indiscussi simboli di apparte-
nenza massonica: la squadra, il righello ed il
compasso intrecciati tra loro.
Mentre l’esterno è costituito da un cer-
chio, l’interno della chiesa è stato disegnato
esagonale (l’esagono iscrive la stella a 6
punte, il doppio triangolo dell’alto e del
basso), con 4 cappelle laterali. Vi si trovano,
quindi, l’infinito (cerchio), il 3, il 4 ed il 6.
Non è un caso che questa chiesa “masso-
nica” sia dedicata a Maria Maddalena, perso-
naggio enigmatico e spesso rifiutato dalla chiesa ufficiale, ma molto amato invece dalla
Massoneria che vede in Lei un simbolo di sapienza e della lotta contro l’oscurantismo.

Dopo la rivoluzione francese del 1789 e la dichiarazione“Dei Diritti dell’Uomo e del Cit-
tadino” vi fu una nuova progressione dello stato di coscienza e del sapere umano. L’influenza
del sapere alchemico innovativo caratterizzò il XVIII° secolo. Il bisogno di giungere il più vicino
possibile alla comprensione del soprannaturale aveva contagiato tutte le classi sociali, affasci-
nate dal culto per il meraviglioso, prodotto dall’illuminismo, da saturnismo e all’ermeneutica
Alchemica.
L’ideologia muratoria ebbe nel ‘700 una travolgente e rapida propagazione. Sorsero
numerosi ordini e riti inspirati ad antiche fonti sapienziali ed a filosofie esoteriche. La fusione
di gnosi, rito, mistero, kabbala ebraica e alchimia avevano dato via ad un insieme di verità, di
difficile codificazione per il profano, soprattutto perché sopravvissute alla rovina e all’oblio
delle grandi civiltà del passato.
Il famoso romanzo di Alexandre Dumas, dedicato a Cagliostro, dal titolo originale “Jo-
seph Balsamo”, costituisce il primo libro del ciclo dumasiano di“Mémoire d’un médecin”. Ha ini-
zio con la descrizione di un rito massonico: sul
monte Tonnérre, in una notte illuminata da un
suggestivo corteo di fiaccole, un affascinante
viaggiatore, dopo aver raccontato le fantastiche
gesta della propria vita e dopo aver superato
straordinarie prove di coraggio e lealtà, si rivelerà
ai seguaci di una loggia massonica come il capo
supremo, il “Grande Cofto”.
Cagliostro, come traspare fin dal prologo
del romanzo, rifiuta la religiosità istituzionale e
sceglie un percorso alternativo, fatto di credenze
mistiche, esoteriche ed ermetiche, che ispiran-
dosi al bisogno generale di giustizia e libertà, erano confluite nelle più importante logge mas-
soniche d’Europa.
Conosciamo il suo vagabondare presso le più importanti città europee e dei suoi in-
contri con personaggi noti. Incontrerà il Casanova, altra statura d’iniziato, sul sentiero di San-

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tiago di Compostella. Sappiamo della sua condanna, prigionia e morte nella Rocca di San Leo.
Cagliostro influenzerà con la sua conoscenza nel bene e del male tutto il ‘700 e lascerà
una traccia fondamentale in quel che riguarda l’alchimia, le cure mediche e il mondo Iniziatico.

E il grande scultore ANTONIO CANOVA del quale dicemmo più sopra, fu egli stesso
un Massone?
Il suo genio iniziatico, la sua arte scultoria e pittorica si intreccia con quella del genio
iniziatico musicale di Mozart. Basti pensare alle loro origini modeste, al loro talento innato, ai
loro viaggi in Europa presso le Corti più fa-
mose dell’epoca. Ma in loro vi era un mede-
simo filo conduttore: l’Iniziazione ai Misteri.
Mozart ci lascerà l’opera “il Flauto Magico”,
opera iniziatica per eccellenza, il “Requiem”
ed altre moltissime altre opere dove fa per-
cepire quando lo spirito velato lascia il
corpo. Canova invece lo fa vedere nelle
opere scolpite nella pietra. Sicuramente i
due s’incontrarono vista la grande passione ispiratrice della musica per il Canova e la gran-
dezza musicale di Mozart. Dove? La risposta è ovvia: Venezia e Vienna!

SANSEVERO E CANOVA
La cappella di Sansevero è a tutti gli effetti un museo in Napoli. Essa viene visitata da
appassionati di arte, ma è anche un luogo di culto per gli appassionati del mistero ed esoteri-
smo di tutto il mondo. Da un punto di vista esoterico la sua ubicazione è avvolta da un clima
di leggenda: si dice che anticamente costituì un luogo di culto della divinità Iside dell’Antico
Egitto. Divenne però famosa grazie al restauro voluto dal settimo principe di Sansevero, Rai-
mondo di Sangro. Egli entrò a far parte della massoneria, non avendo però immediata fortuna.
Dovette più tardi allontanarsi dalla Libera Muratoria a seguito di un Editto Papale che pre-

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vedeva la scomunica per i Fratelli Massoni, mentre la Cappella di Sansevero
divenne causa del suo dissesto finanziario.
Il legame con la massoneria e l’avvio dei lavori di ristrutturazione
della Cappella, viene provato dalle simbologie massoniche presenti, come il
labirinto, le incisioni sulle colonne, le allegorie, mentre alcuni ritengono che
la stessa Cappella con le statue poste al suo interno sia rappresentativa di
un percorso iniziatico.
Con il Cristo velato l’arte si tinge di mistero.
Ci troviamo di fronte ad una scultura tra le più belle della storia dell’uma-
nità. Sicuramente, non è fra le più note. Per capire il livello dell’opera, è sufficiente
guardarla e ricordarsi che il materiale in cui è realizzata è il marmo. Com’è stato possibile scol-
pire e dar volume persino alle venature dei piedi del Cristo giacente
sotto il velo? Si tratta realmente di un pezzo unico di marmo?
La scultura, capolavoro del Settecento, è stata realizzata da uno
scultore napoletano, Giuseppe Sanmartino nel 1753 su richiesta
del Principe. L’incredibile velo che copre il Cristo giacente è frutto
della bravura dell’artista? Oppure, è vero che, come vuole la leg-
genda, il principe committente, Raimondo di Sangro, avrebbe in-
segnato allo scultore la creazione di un tessuto di marmo? La mano
del Principe di Sansevero e del suo genio chimico sull’opera è pro-
babile: il Cristo velato rappresenta di fatto l’unica scultura velata del Sanmartino.
Passiamo ad una scultura molto più famosa, come Amore e psiche di Canova, oggi
conservato al Louvre, appartiene alle allegorie mitologiche della produzione canoviana. Rap-
presenta Amore e Psiche nell’atto di baciarsi. Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici

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levigate ed un modellato molto tornito.
La composizione ha una straordinaria ar-
ticolazione: la donna, Psiche, è semidi-
stesa, rivolge il viso e le braccia verso
l’alto e, per far ciò, imprime al corpo una
torsione ad avvitamento; l’uomo, Amore,
si appoggia su un ginocchio mentre con
l’altra gamba si spinge in avanti inarcan-
dosi e contemporaneamente piegando la
testa di lato per avvicinarsi alle labbra
della donna.
Il soggetto è probabilmente tratto
dalla leggenda di Apuleio, secondo la
quale Psiche era una ragazza talmente
bella da suscitare l’invidia di Venere, così
che la dea le mandò Amore per farla in-
namorare di un uomo vecchio e brutto.
Ma Amore, dopo averla vista, se ne inna-
morò e, dopo una serie di vicissitudini,
ottenne che Psiche entrasse nell’Olimpo
degli dei, per restare con lui.
Il soggetto è qui utilizzato come
allegoria del potere dell’amore, visto so-
prattutto nell’intensità del desiderio che riesce a sprigionare: da qui la scelta di fermare la rap-
presentazione all’istante prima che il bacio avvenga ed il desiderio si consumi.
Antonio Canova, dopo aver visto il Cristo Velato dichiarò che avrebbe ceduto il suo
nome, o dieci anni di vita, pur di esserne l’autore!

Secondo alcuni studi, era impossibile che Canova fosse massone, essendo molto catto-
lico. Ma il monumento funebre della Basilica dei Frari, a Venezia,
disegnato da lui ma realizzato da alcuni suoi allievi, è a forma
di piramide e dentro è conservato il suo cuore: sarà un caso?
L’archivio dell’Antiquus Ordo Aegypti seu Mizraim riporta
a proposito del celebre scultore Canova padre del neoclassici-
smo, le seguenti informazioni:“Canova Antonio da Possagno (Tre-
viso), di professione artista e scultore: iniziato dal Fratello Gerolamo
Zulian, ambasciatore della Serenissima a Roma, ed insignito del 90°
ed ultimo grado dal Gran Maestro Alessandro Cagliostro a Venezia.
Gran Conservatore dell’Ordine, Maestro Venerabile della R.L.
“Athena” all’Or. di Venezia. L’insigne Fratello volle, per la Sua ultima
dimora, manifestare la propria appartenenza al Nostro Venerabilis-
simo Ordine disegnando la Sua propria tomba, sita in S. Maria dei
Frari, in Venezia a guisa di Piramide. Da osservare a sinistra della
piramide una ciotola scolpita contenente scalpello, martello squadra e compasso, tutti simboli dell’arte
muratoria iniziatica. Non solo, per chi sa leggere, nella Basilica dei Frari si trovano numerose incisioni
scolpite nel legno di pavimenti a scacchi in bianco e nero”…
II grande artista morì a Venezia, in casa Francesconi, ed il suo corpo venne conteso da
Possagno e da Venezia: a lui venne dedicata la tomba (in cui riposa il suo cuore) presso la ba-
silica dei Frari, una tomba che egli stesso aveva progettato per Tiziano, che richiama alla mas-

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soneria e la piramide ne è il simbolo, a cui Ti-
ziano e lo stesso Canova aderivano, che venne
realizzala da suo allievo più importante, Luigi
Zandomeneghi.
Il parallelismo iniziatico del Monu-
mento funebre di Maria Cristina d’Austria ci
appare evidente. ln realtà, le cose non furono
tanto semplici e Canova per portare a termine
il monumento di Maria Cristina impiegò ben
sette anni (7, numero simbolico), fino al settembre 1805, passati tra innumerevoli studi e ri-
pensamenti, e soprattutto un fitto scambio di lettere con il committente per convincerlo della
bontà di scelte stilistiche apparentemente azzardate.
Il risultato è un capolavoro unico nell’arte funeraria, capace di impressionare e com-
muovere ancora oggi anche i più miscredenti spettatori. Perché come non restare profonda-
mente colpiti da quella melanconica processione, che accede mestamente al sarcofago, quasi
scandendo la marcia funebre op. 35 di Chopin. E cosa dire di quei simboli velatamente mas-
sonici, come la piramide coronata dal medaglione con
l’uroboro egizio, il serpente che si morde la coda, da
sempre associato all’alchimia ed all’ermetismo.
A Canova, che aveva collaborato nel frat-
tempo con Napoleone, si deve la restituzione di al-
cune opere d’arte a Venezia, come per esempio i
Cavalli di San Marco, che potete ammirare ancora
oggi: “Innamorato di Venezia”, dice Alvise Zorzi, “lo
scultore aveva gettato tutto il peso della sua celebrità e del
suo prestigio, grandissimo in tutta Europa, ma special-
mente in Francia, nell’impresa di recupero delle opere sottratte a Venezia”.

Ora vedete che questi Grandi Personaggi di quell’epoca lavorarono per l’Alta Cono-
scenza sconosciuta ai più e, che per Noi sono dei Grandi Iniziati del Pensiero Edificatore. Essi
meritano una considerazione particolare. n

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CALENDARIO OPERATIVO 2017
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Giovedì 12 Luna piena
Gennaio Luna nuova
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Febbraio
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Domenica 12 15:54 °
Marzo
04:59 l
Lunedì 20 10:28 Equinozio di Primavera
Martedì 28

08:09 °
14:18 l
Martedì 11
Aprile
Mercoledì 26

23:43 °
21:46 l
Mercoledì 10
Maggio
Giovedì 25

Venerdì 90 15:11 °
Giugno
04:32 l
Mercoledì 21 04:24 Solstizio d’Estate
Sabato 24

06:08 °
11:47 l
Domenica 90
Luglio
Domenica 23

20:12 °
20:31 l
Lunedì 70
Agosto
Lunedì 21

Mercoledì 60 09:04 °
Settembre
07:30 l
Venerdì 22 20:02 Equinozio d’Autunno
Mercoledì 20

20:41 °
21:12 l
Giovedì 50
Ottobre
Giovedì 19

06:24 °
12:42 l
Sabato 40
Novembre
Sabato 18

Domenica 30 16:48 °
Dicembre
07:31 l
Giovedì 21 16:28 Solstizio d’Inverno
Lunedì 18
Giulio Romano, “Allegoria dell’immortalità” (1.520 circa)

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