Академический Документы
Профессиональный Документы
Культура Документы
di Claudia Pichezzi
1
P. Zumthor, Prefazione, cit. da C. Bologna, Flatus Vocis, Metafisica e antropologia della
voce, Il Mulino, Bologna, 1992, p. VII.
1
come «l’insieme delle attività e valori che le sono propri, indipendentemente dal
linguaggio»2. Il linguaggio è, per Zumthor, impensabile senza la voce, non è,
invece, vero il contrario, giacché:
Precisa Bologna:
2
Ibid.
3
Ibid., p. IX.
4
C. Bologna, Flatus Vocis, cit., p. 23.
5
Ibid.
6
R. Barthes, Parola, in Enciclopedia, X, cit. da C. Bologna, cit., p. 23.
2
Perché si vuole che “il ritorno” delle parole, pur nella loro costituzione
ermeneutica, “al servizio” di una “interpretazione”, ossia nel loro statuto
non «letterario», ma “scientifico”, significhi tuttavia lo sforzo, e forse la
capacità, di varcare il tempo7, di «durer un peu plus que sa voix»8.
7
C. Bologna, cit., p. XII.
8
R. Barthes, cit. da C. Bologna, cit., p. XII.
9
C. Bologna, Flatus Vocis, cit., p. XXIII.
10
Ibid.
3
di un’arte: l’arte di condurre il proprio corpo (donde la sua importanza nei
teatri estremorientali)11.
Ciò che manca, per Bologna, è precisamente una scrittura vocale12, che ci
faccia sentire il suono delle parole, la loro sensualità, il loro respiro,
allontanando il senso; inoltre, deve farci sentire:
La grana della gola, la patina delle consonanti, la voluttà delle vocali, tutta
una stereofonia della carne profonda: l’articolazione del corpo, della lingua,
non quella del senso, del linguaggio13.
11
R. Barthes, Il Piacere del Testo, cit. da C. Bologna, cit., p. XXIV.
12
Cfr. C. Bologna, cit., p. XXIII.
13
Ibid., p. XXIV.
14
Ibid., pp. 23-24.
15
Ibid.
4
comunicare: «Significante «puro», «libero», la voce sgorga prima che qualsiasi
carattere semiotico/semantico abbia a formularsi»16.
La voce prescinde da ogni forma di coscienza e di ragione, è vincolata
soltanto al mondo dell’indecifrabile, al contrario della parola (del linguaggio)
che, invece, va senza dubbio a scioglierne il nodo.
16
Ibid., p. 29.
17
Ibid., p. 35.
18
Ibid.
5
Ma è la voce a sedurre invischiando, emanando soffi che davvero
irretiscono ed afferrano incorporeamente, accendendo l’impersonale
luccichio dello sguardo con «un lume pien di spiriti d’amore, / che porta
uno piacer novo nel core, / sì che vi desta d’allegrezza vita»19.
Del resto, è anche il modo in cui si legge che può incrementare l’impatto
sonoro ed emotivo. La lentezza, la chiarezza, le pause, il ritmo, oltre a delineare
meglio i suoni articolati, creano nuove e più ampie aspettative nell’ascoltatore e
cooperano nella definizione delle immagini mentali. Una lettura veloce sacrifica
certamente la sonorità di una poesia, ma anche i contenuti della stessa. La
retorica da secoli insegna come certe figure della ripetizione abbiano veicolato,
con sapienza e efficacia, contenuti profondi ed essenziali dal punto di vista del
senso globale e ultimo della poesia.
Della lettura ad alta voce può avvantaggiarsi anche il ritmo. La voce può
infatti conferire a un testo scritto in versi liberi quel ritmo di cui è, invece,
strutturalmente privo. Questo accade perché è la voce del poeta che scandisce e
crea il ritmo giusto nella lettura di una poesia, contribuendo, eventualmente, a
renderne più chiaro il significato; tutto ciò potrebbe, senza dubbio, accadere
quando un poeta, che si autolegge, conferisce una particolare enfasi ad alcune
parole, al fine di dar loro una certa importanza; oppure quando, grazie ai tratti
soprasegmentali e paralinguistici della voce quali tono, ritmo e pause, egli è in
grado di aiutare l’ascoltatore a comprendere meglio il soggetto di un periodo,
semmai esso fosse velato dalle parole. Infine, non va dimenticato il timbro,
l’elemento più naturale della voce, che cambia con l’età. Esso è in grado di
decodificare e rivelare le emozioni più intime, quelle dell’interiorità e della
corporeità vocale, e rappresenta, metaforicamente, il sesso della voce, poiché ne
indica simultaneamente la sessualità, la vitalità e sensualità.
19
G. Cavalcanti, ball. Veggio negli occhi de la donna mia, cit. da C. Bologna, cit., p. 35.
6
Nel timbro giacciono gli strati più intimi e profondi della corporeità vocale:
a ciascun sentimento corrisponde un livello timbrico - musicale: si potrà
trascrivere sul pentagramma la gioia, la tenerezza, la gelosia, la civetteria, il
sarcasmo, il disappunto, ecc20.
Corrado Bologna vuole ideare una scienza della vocalità21, in cui tutti gli
elementi peculiari e distintivi della voce, definibili come fisico-corporei tra cui
il tono, il timbro, il registro, vanno a formare un reticolato rapporto fra loro,
generando le parole, di cui la voce si serve per rivelare l’ineffabile. La voce
possiede una propria autorità che la rende indipendente anche dalla coscienza
perché, come afferma Bologna: «La Voce «viene», insorge senza che la
coscienza voglia, o chiami: è la coscienza a venir chiamata e formata nella
risonanza»22. Osserva ancora Bologna:
20
I. Fonàgy, Emotional Patterns in Intonation and Music, cit. da C. Bologna, cit., p. 94.
21
Ibid., p. 52.
22
Ibid.
23
Ibid, p. 41.
7
affermazioni denotano indiscutibilmente la radicale frattura invisibile che
distingue la voce dalla parola, conferendo alla voce una propria autonomia e
identità, che svincolata dal linguaggio (e dalla parola), trova origine nello
spirito, nell’interiorità. Come osserva Paul Valéry:
Della lettura ad alta voce dei poeti si sono occupati molti studiosi ma anche gli
stessi poeti. Tra i tanti è interessante citare il caso di Emerico Giachery, che nel
precisare l’interdipendenza esistente tra atto ermeneutico e lettura a voce alta, fa
sua quella filosofia della lettura, delineata da Luigi Pareyson, secondo cui:
Leggere significa eseguire, e l’opera non ha altro modo di vivere che la vita
dell’esecuzione25.
24
Ibid., p. 38.
25
L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, cit. da E. Giachery, Ungaretti a voce alta e
altre occasioni, Nuova Cultura, Roma, 2008, p.7.
26
Cfr. E. Giachery, Ungaretti a voce alta, cit., p. 8.
8
la realizzazione di studi di notevole spessore, in quell’area definita
paralinguistica, su intonazione, accento, ritmo, e sulle pratiche significanti
associate al messaggio orale, all’occorrenza anche avvalendosi di sofisticate
apparecchiature elettroniche. Lo studioso non nutre speciale attrazione per la
pubblica lettura di versi (di solito propri), nonostante questa pratica, a suo
avviso, abbia il merito di avvicinare il pubblico alla poesia; piuttosto, predilige
un’esecuzione privata e solitaria.
La poesia è per Giachery «Un pregiato nutrimento dello spirito da godere ed
erogare con molta misura e con intransigenti scelte di qualità 27».
Come afferma ancora Giachery:
9
una pronuncia accettabile, rappresenta, per Giachery, una requisito
fondamentale nella recitazione di un testo poetico. La lettura ad alta voce deve
avvenire per mezzo di un tono attivo ed espressivo, anziché, come spesso
accade, neutro ed inespressivo 30. Chi si accinge a recitare la poesia deve dare il
giusto rilievo ad alcuni particolari, quali intonazione, capacità comunicativa . Il
testo poetico va amato, considerato, con intima partecipazione: «Basterebbe un
minimo d’impegno, di concreto, forse persino un po’ “sensuale”, amore del
testo da parte dei colleghi»31.
Giachery, sembra voler inaugurare un’etica della lettura poetica, in cui si
conferisce notevole importanza al significante, ovvero ai valori fonici e ritmici,
con rimando alla vocalità ricordata all’inizio. Si potrebbe forse stabilire una
cosiddetta tecnica della lettura ad alta voce, in cui una significativa attenzione
si rivolge proprio ad aspetti, quali il tempo o la velocità di lettura, l’intensità
vocale, le pause, l’intonazione, la tonalità e il livello della voce, fondamentali
per una valida esecuzione. La poesia richiede un complesso impegno da parte da
chi si presta a leggerla, e occorre prestare notevole cura alla materia del
significante.
Nel recuperare quel paradigma etico da cui la lettura ad alta voce mai
dovrebbe prescindere, Giachery prende le distanze dall’affermare che
quest’esecuzione debba considerarsi come riservata ai soli attori; essi, infatti,
30
Cfr. E. Giachery, cit., p. 9.
31
Ibid., p. 10.
32
Ibid., pp. 10-13.
10
pur avendo magnifiche voci, tendono a drammatizzare eccessivamente un testo
poetico, si concentrano, con esagerazione, sul loro «virtuosismo vocale» 33. Lo
studioso si allinea all’osservazione di Gianfranco Contini, noto critico letterario
e filologo italiano del Novecento, secondo cui: «Quasi nessuno sa leggere i
versi. Ormai la lettura del verso è un’arte perduta». Fatto sta che «si è perso il
significato dell’esecuzione» 34 . In linea con quanto osservato da Contini,
Giachery afferma ancora che: «Un testo di poesia lirica richiede nell’esecuzione
vocale raccoglimento e misura»35.
Ad interessarsi alla vocalità è stato anche il noto studioso Alberto Bertoni,
che nel libro La poesia. Come si legge e come si scrive, effettua un’accurata
analisi di tutti gli elementi che scaturiscono dal processo poetico: dallo scrivere,
al leggere, al recitare, all’ascoltare. Bertoni, infatti, ritiene che ad agire nel testo
poetico sia proprio la vocalità, travalicando il mero livello semantico. Come
Bologna e Giachery, anche Bertoni è favorevole ad una distinzione fra oralità e
vocalità, riconoscendo entrambi i termini come portatori di diverse anime di
significato. Come afferma Bertoni:
11
discorso», e poi «racconto» e insieme «canto», poi «contenuto, senso»; infine,
passerà a designare anche i «versi»38. Da qui nasce l’interesse di Bertoni per la
lettura a voce alta, attribuendo vizi e virtù a chi si accinge a praticarla. Senza
dubbio, a suo avviso, l’esito dell’esecuzione, positivo o negativo, è nelle mani
di chi recita. Precisa ancora Bertoni:
38
Ibid., p. 98.
39
Ibid., p. 103.
40
Cfr. L. Frattale, Divagazioni sulla diade poesia-traduzione, in A. Bernard, I. Roto, M.
Bianchi (eds), Vivir es ver volver, Studi in onore di Gabriele Morelli, Bergamo, Sestante
edizioni, 2009, pp. 235-240.
41
Ibid., p. 239.
12
voce, quella «straniante vocalità»42, che punta molto sulla materia significante,
ovvero quella fonico - acustica, metrica, timbrica. Come osserva Loretta
Frattale:
I poeti artefici, quelli più propensi alla scansione intima e silenziosa della
poesia che si scrive, della poesia che si fabbrica e si costruisce parola
dopo parola44.
42
Ibid., p. 240.
43
Ibid.
44
Ibid.
13
minato dal parlato, dalla presenza del corpo. Bertoni riconosce quanto vincolato
sia il rapporto tra vocalità e scrittura, specie in poesia, e non rende possibile
l’elaborazione di una dicotomia radicale tra esse, al contrario di come, invece, è
stato possibile fra l’oralità e vocalità.
In poesia i segni della voce e del corpo vengono trasmessi attraverso la cifra
grafica della lettera, dentro il suo movimento incessante e trasversale che
scompone la linearità sintattica degli enunciati, per ricomporsi – quando
torna voce, perché anche leggendo in silenzio si parla – in nuclei germinativi
di senso, in operazioni autonome di significante, in parole fonologiche45.
45
A. Bertoni, cit., p. 107.
46
Ibid., p. 103.
14
di svelare, in passato, specie nel Medioevo, la parola letteraria vedeva prevalere
la sua dimensione orale a causa di un analfabetismo piuttosto diffuso. La
trasmissione orale prevaleva necessariamente sul testo scritto per poter
divulgare il sapere. Va ricordata l’arte dei trovatori, dei menestrelli e dei
cantastorie, che erano soliti imparare le poesie per poi recitarle con il canto e
con la musica. Viceversa, è il Petrarca che per primo compone il suo
Canzoniere col fine di destinarlo ad una ricezione esclusivamente scritta.
Questo evento cambia radicalmente anche il luogo in cui la poesia solitamente
si consumava; infatti, si passerà dalla recitazione orale in strada alla lettura
silenziosa del testo scritto in un luogo chiuso e circoscritto come la biblioteca,
collocando la poesia su una dimensione intima e privata, in cui la lettura era
intesa come momento di dialogo interiore47.
Questo fenomeno del passato mette a confronto il rapporto tra poesia e
lettura, ovvero tra quella lettura ad alta voce, come quella recitata dai
cantastorie, e quella silenziosa che invece aveva luogo nelle biblioteche. Mentre
nella lettura a voce alta c’è un pubblico che ascolta, viceversa, nella lettura
silenziosa, il lettore stabilisce un rapporto d’intimità con il testo con cui si
confronta. Bertoni, in un certo senso, si pone a metà strada. Ciò che conta, a
suo avviso, non è soltanto imparare a recitare ad alta voce, ma anche imparare a
diventare lettori e a leggere in maniera silenziosa. In questo recupera e fa sua la
definizione di J. Franzen: «La prima lezione che impariamo dalla lettura è come
stare soli»48.
Gian Luigi Beccaria, autore del saggio L’autonomia del significante, ha
elaborato un’interessante riflessione sulla carica di senso che l’elemento
verbale, o fonico, assume nella poesia, indipendentemente dai significati. Scrive
Beccaria:
47
Ibid., pp. 99-100.
48
J. Franzen, Come stare soli, cit. da A. Bertoni, cit., p. 152.
15
Il senso poetico si compie nella combinazione di un significato calato in
convenzioni ritmiche vincolanti e di un significante liberato in
semiologizzazioni di suoni o di figure ritmiche49.
49
G. L. Beccaria, L’autonomia del significante, Torino, Einaudi, 1975, p. 5.
50
Ibid., p. 14.
51
Ibid., p. 15.
16
Fra i valori formali del significante che assumono una funzione espressiva
alla ripetizione di un suono, Beccaria privilegia la allitterazione, dalla quale si
generano peculiari effetti timbrici, poiché essa sembra potenziare al massimo i
valori fonici condizionando la scelta stessa dei vocaboli e la struttura delle
immagini52.
Nel caso di Juan Carlos Mestre, è lo stesso autore a recitare le sue poesie.
L’esecuzione che ne deriva non dovrebbe tradire in alcun modo il testo
originale, poiché Mestre, con la recitazione, non può che ribadire quei valori
fonici e timbrici impressi al momento della sua creazione. La lettura ad alta
voce realizzata dallo stesso autore può perciò rivelarsi preziosa anche ai fini
della comprensione del testo. Mestre sembra, infatti, far confluire assieme
lettura naturale e lettura innaturale e ritmizzante, mescolando polo espressivo e
polo inespressivo, come suggerisce Beccaria53.
In ogni poesia recitata, Juan Carlos Mestre ha rivelato la sua abilità nel far
percepire ora le sue emozioni, ora le sue sensazioni, ora il suo entusiasmo, ora la
sua malinconia. Il poeta, con la sua interpretazione, riesce a rendere
l’ascoltatore partecipe dei suoi ricordi e sentimenti, introducendolo al proprio
mondo interiore, velato di simboli, di immagini metaforiche e verbali, di
musicalità. La voce di Mestre svolge una importante funzione di potenziamento
del significante; l’intonazione che il poeta conferisce alla lettura non potrebbe
emergere con una lettura silenziosa né con la recitazione altrui (foss’anche il
migliore attore del momento).
Inoltre, le pause e la lentezza con cui Mestre pronuncia le parole,
indugiando nell’articolazione dei suoni e delle vocali, creano un rallentamento
nello sviluppo delle idee dell’ascoltatore, il quale, a sua volta, si soffermerà, col
52
Ibid., pp. 136-208.
53
Ibid., p. 15.
17
pensiero, sulle immagini e sulle percezioni che la mente gli suggerisce. Mestre
sembra concepire un testo in funzione di una sua verbalizzazione fonica; dar
voce alle sue poesie scritte è una specie di riscrittura, o una doppia tessitura
fonico - acustica oltre che visiva. Il ritmo di cui si avvale contribuisce a creare
un’aura di musicalità, di melodia. Ma sono anche i significanti stessi, di cui le
sue poesie sono ricche, a creare quella giusta sonorità. Ricorda Beccaria:
54
Ibid., p. 11.
18
quella ruvidezza e porosità (“granulosità”, secondo Barthes) in grado di
trattenere umori ed emozioni decisamente fuori dalla portata della muta,
bidimensionale, pagina bianca.
19
Bibliografia
BECCARIA Gian Luigi, L’autonomia del significante. Figure del ritmo e della
sintassi. Dante, Pascoli, D'Annunzio, Torino, Einaudi, 1975.
BERTONI Alberto, La poesia. Come si legge e come si scrive, Bologna, il
Mulino, 2006.
BOLOGNA Corrado, Flatus Vocis, Metafisica e antropologia della voce, Il
Mulino, Bologna, 1992.
FRATTALE Loretta, Divagazioni sulla diade poesia-traduzione, in BERNARD
A., ROTO I., BIANCHI M., (eds), Vivir es ver volver, Studi in onore di
Gabriele Morelli, Bergamo, Sestante edizioni, 2009, pp. 235-240.
GIACHERY Emerico, Ungaretti a voce alta e altre occasioni, Nuova Cultura,
Roma, 2008.
RENZI Lorenzo, Come leggere la poesia. Con esercitazioni su poeti italiani del
Novecento, Bologna, Il Mulino, 1985.
20