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ISTITUTO TEOLOGICO LEONIANO

ANAGNI

L’EUCARISTIA IN 2TS 3,6-15


Elaborato per il seminario “Battesimo ed Eucaristia nelle lettere di Paolo”

Docente: don Paolo Cristiano


Alunno: Alessandro Leoni

A. A. 2010-2011
1
Indice

Bibliografia p. 3
1. Il testo di 2Ts 3,6-15 p. 4
2. L’unità letteraria
2.1.1. La macrostruttura (2Ts 2,13–3,15) p. 5
2.1.2. La microstruttura (2Ts 3,6–15) p. 5
3. L’ammonimento degli oziosi (2Ts 3,10) p. 6
4. Conclusione p. 7

2
Bibliografia

BARBAGLIO, Giuseppe, Le lettere di Paolo, Borla, Bologna 1980


BEYER, Hermann e coll., Le lettere minori di Paolo, Paideia, Brescia 1980
BOSH, Jordi-Sánchez, Scritti paolini (= Introduzione allo studio della Bibbia 7), Paideia, Brescia
2001
BUZZETTI, Carlo, Seconda lettera ai Tessalonicesi, in Le lettere di Paolo, Marietti, Torino 1981
CIPRIANI, Settimio, Le lettere di Paolo, Cittadella editrice, Assisi 92008
DA SPINETOLI, Ortensio, Lettere ai Tessalonicesi, Edizioni Paoline, Roma 1971
STAAB, Karl, Le lettere ai Tessalonicesi e della cattività (= Il Nuovo Testamento commentato 7),
Morcelliana, Brescia 1961

3
1. Il testo di 2Ts 3,6-15
6
Παραγγέλλομεν δὲ ὑµῖν, ἀδελφοί, ἐν ὀνόματι τοῦ κυρίου [ἡµῶν] Ἰησοῦ Χριστοῦ στέλλεσθαι
ὑµᾶς ἀπὸ παντὸς ἀδελφοῦ ἀτάκτως περιπατοῦντος καὶ µὴ κατὰ τὴν παράδοσιν ἣν παρελάβοσαν παρ᾽
ἡµῶν.
7
Αὐτοὶ γὰρ οἴδατε πῶς δεῖ μιμεῖσθαι ἡµᾶς, ὅτι οὐκ ἠτακτήσαμεν ἐν ὑµῖν
8
οὐδὲ δωρεὰν ἄρτον ἐφάγομεν παρά τινος, ἀλλ᾽ ἐν κόπῳ καὶ µόχθῳ νυκτὸς καὶ ἡµέρας ἐργαζόμενοι
πρὸς τὸ µὴ ἐπιβαρῆσαί τινα ὑµῶν·
9
οὐχ ὅτι οὐκ ἔχομεν ἐξουσίαν, ἀλλ᾽ ἵνα ἑαυτοὺς τύπον δῶμεν ὑµῖν εἰς τὸ μιμεῖσθαι ἡµᾶς.
10
καὶ γὰρ ὅτε ἦμεν πρὸς ὑµᾶς, τοῦτο παρηγγέλλομεν ὑµῖν, ὅτι εἴ τις οὐ θέλει ἐργάζεσθαι μηδὲ
ἐσθιέτω.
11
Ἀκούομεν γάρ τινας περιπατοῦντας ἐν ὑµῖν ἀτάκτως μηδὲν ἐργαζομένους ἀλλὰ περιεργαζομένους·
12
τοῖς δὲ τοιούτοις παραγγέλλομεν καὶ παρακαλοῦμεν ἐν κυρίῳ Ἰησοῦ Χριστῷ, ἵνα μετὰ ἡσυχίας
ἐργαζόμενοι τὸν ἑαυτῶν ἄρτον ἐσθίωσιν.
13
ὑμεῖς δέ, ἀδελφοί, µὴ ἐγκακήσητε καλοποιοῦντες.
14
Εἰ δέ τις οὐχ ὑπακούει τῷ λόγῳ ἡµῶν διὰ τῆς ἐπιστολῆς, τοῦτον σημειοῦσθε μὴ συναναμίγνυσθαι
αὐτῷ, ἵνα ἐντραπῇ·
15
καὶ µὴ ὡς ἐχθρὸν ἡγεῖσθε, ἀλλὰ νουθετεῖτε ὡς ἀδελφόν.

6
Fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, vi raccomandiamo di tenervi lontani da ogni
fratello che conduce una vita disordinata, non secondo l’insegnamento che vi è stato trasmesso da
noi. 7Sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo
a voi, 8 né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte
e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. 9Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a
10
voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato
questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. 11Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono
una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. 12A questi tali, esortandoli nel Signore
13
Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità. Ma voi, fratelli, non
14
stancatevi di fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo in questa lettera, prendete
nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; 15non trattatelo però come un nemico, ma
ammonitelo come un fratello.

4
2. L’unità letteraria
2.1.1. La macrostruttura (2Ts 2,13–3,15)
Quest’ampia pericope presenta la grande esortazione alla perseveranza che Paolo rivolge ai
Tessalonicesi dopo aver ringraziato Dio per l’elezione divina e la chiamata alla salvezza riservata a
questa comunità. L’autore fa susseguire diversi temi senza connessione tra di loro: il
ringraziamento, l’esortazione, la supplica, la richiesta di preghiere, la fiducia ed un’invocazione
benedicente1. Ora, pur essendo stati eletti, necessita che i Tessalonicesi si mantengano fedeli alle
tradizioni che l’Apostolo consegnò loro con la predicazione e poi tramite la sua lettera. Alcuni di
essi, infatti, preferiscono oziare e gravare sul resto della comunità visto l’imminente ritorno del
Signore. I credenti seppur «beneficiari della grazia del Padre, non per questo sono esentati da attive
responsabilità nei confronti del piano di salvezza»2.

2.1.2. La microstruttura (2Ts 3,6-15)


Sono diversi gli esegeti che concordano sul fatto che la pericope oggetto di studio formi
un’appendice a 2Ts. Le invocazioni che aprono il terzo capitolo lascerebbero pensare che la lettera
stia volgendo alla conclusione ma seguendo il testo, notiamo come Paolo assuma un tono severo,
diverso dai versetti precedenti. Ciò potrebbe essere motivato o giustificato a causa di una notizia
pervenuta o riascoltata all’ultimo momento. In questa breve pericope, il messaggio paolino si
concentra sull’aspetto sociale: in particolar modo sugli indisciplinati della comunità di Tessalonica3.
Con l’espressione «Παραγγέλλομεν – cioè: “vi comando, vi esorto, vi ordino” – δὲ ὑµῖν,
ἀδελφοί» del v. 6, «l’Apostolo rivolge un severo monito contro quei cristiani che, allarmati dal
pensiero della imminente “parusia”, o approfittando di essa, si davano all’ozio, diventando così un
insopportabile peso per i fratelli. Egli li chiama “indisciplinati”, letteralmente “fuori ordinanza”
(άτακτοι)»4. Costoro non camminano secondo la tradizione dell’insegnamento e sull’esempio
paolino che sicuramente aveva maggior valore rispetto a tanti discorsi5.
Come apostolo, Paolo è un rappresentante ed è ufficialmente inviato da Gesù Cristo. Proprio per
questo motivo egli agisce e compie tutto ciò che è in suo potere solo ed esclusivamente mediante
l’autorità donatagli da chi lo ha mandato. Nella prima lettera alla comunità di Tessalonica, egli
aveva esortato a dedicarsi al lavoro e alla quiete (cf. 1Ts 4,10-11), ma «poiché le precedenti
esortazioni sono state infruttuose, l’Apostolo richiama ancora una volta severamente i pigri
all’ordine e prescrive, nel caso in cui anche questo tentativo dovesse essere vano, che la comunità

1
Cf. G. BARBAGLIO, Le lettere di Paolo, Borla, Bologna 1980, p. 171.
2
Ibidem, p. 172.
3
Cf. O. DA SPINETOLI, Lettere ai Tessalonicesi, Edizioni Paoline, Roma 1971, p. 104.
4
S. CIPRIANI, Le lettere di Paolo, Cittadella editrice, Assisi 92008, p. 101.
5
Cf. Ibidem.
5
intervenga attivamente, prima in forma mite, ma, se necessario, anche con l’esclusione formale
dall’assemblea della comunità e dal banchetto eucaristico»6.
Prima di concludere la lettera con il saluto di sua mano (cf. 3,16-17), impone una sorta di
scomunica contro i così detti «fuori ordinanza», chiedendo esplicitamente a tutti i membri della
comunità di non avere rapporti con costoro. Tale punizione ha esclusivamente carattere medicinale
così che i «pigri» non si vergognino ma soprattutto si ravvedano7. «Nonostante tutto, essi
rimangono dei “fratelli” a cui non “stancarsi di fare il bene”»8.

3. L’ammonimento degli oziosi (2Ts 3,10)


Paolo richiama all’obbligo del lavoro rivolto ad ogni uomo e disposto sin dall’inizio dei tempi
con parola irrevocabile: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gen 3,19). Egli «già in
precedenza aveva ordinato che lavorassero»9 (cf. 1Ts 4,11). Tale vincolo non può essere
impunemente disatteso da nessuno a meno che, come sottolineato dall’Apostolo al v. 10, non si
rinunci a mangiare10. Chi non adempie a questo compito, rifiutando così di lavorare, si manifesta
come «parassita» dell’intera comunità11. «Il principio “chi non vuole lavorare, neppure mangi” si
trova anche in altri passi della letteratura giudaica e greca, ma mai si incontra in una enunciazione
così breve e incisiva»12.
Capiamo allora come nel pensiero paolino «il lavoro è santificato in quanto, almeno
indirettamente, esso serve alla comunità cristiana che è il σῶμα Χριστοῦ, al buon nome della
comunità stessa di fronte al mondo»13. Inoltre, «professione terrena e servizio alla comunità
cristiana sono, se visti nella loro natura profonda, inseparabili. Tutto ciò che è ἔγρον in seno alla
comunità cristiana è, in definitiva, opera che Dio compie attraverso gli uomini»14.
Ancor prima di esprimere l’aut aut col suddetto versetto, Paolo fa appello all’esempio che egli
stesso aveva lasciato in eredità ai Tessalonicesi; in questo modo egli può tranquillamente
giustificare l’esortazione ad abbandonare il disimpegno sociale. Nonostante il suo essere apostolo,
che comportava un forte dispendio quotidiano di energie e di tempo, Paolo «pur potendo vivere
della carità dei fedeli»15, non ha voluto sottrarsi al lavoro manuale così da non gravare sulle povere

6
H. BEYER E COLL., Le lettere minori di Paolo, Paideia, Brescia 1980, p. 351.
7
Cf. S. CIPRIANI, Le lettere di Paolo, p. 102.
8
S. CIPRIANI, Ibidem.
9
J.-S. BOSH, Scritti paolini (= Introduzione allo studio della Bibbia 7), Paideia, Brescia 2001, p. 150.
10
Cf. S. CIPRIANI, Ibidem, p. 101.
11
Cf. C. BUZZETTI, Seconda lettera ai Tessalonicesi, in Le lettere di Paolo, Marietti, Torino 1981, p. 210.
12
K. STAAB, Le lettere ai Tessalonicesi e della cattività (= Il Nuovo Testamento commentato, vol. VII), Morcelliana,
Brescia 1961, p. 84.
13
GLNT, «ἔγρον», c. 868.
14
Ibidem.
15
S. CIPRIANI, Ibidem, p. 101.
6
famiglie che lo ospitavano16. Si sa bene, d’altronde che «come di consuetudine al lavoratore spetta
quale ricompensa il vitto»17.
Da sempre la saggezza popolare insegna che «l’ozio è il padre dei vizi». Infatti, «chi non fa
nulla, chiacchiera generalmente molto, si intromette su tutto, critica, crea confusione con grave
danno della pace comunitaria»18. Seppur rimproverati, Paolo non disdegna l’affetto che nutre per
questi fratelli.

4. Conclusione
Dai commentari presi in esame, circa l’aspetto eucaristico di questa pericope, soltanto uno ne fa
esplicito riferimento19. Certamente, necessiterebbe prendere maggiore conoscenza del testo, in
particolar modo nei suoi verbi, provando a comprendere se ad esempio il «mangiare» di 2Ts 3,10
sia da intendere come un prendere parte alla cena del Signore che veniva celebrata anche nella
comunità di Tessalonica, dopo aver ricevuto il vangelo di Cristo mediante lo stesso Paolo. Senza
però alcun indizio in merito, le ipotesi riportate in questo elaborato potrebbero risultare singolari,
appartenenti cioè esclusivamente a quegli autori citati nella bibliografia.
Alla luce di quanto riportato finora, dunque, una lettura di questo genere «chi non vuole
lavorare (nella vigna del Signore), neppure mangi (dell’eucaristia)», risulta un po’ forzata.
A partire da 2,13, l’Apostolo compie sicuramente eucaristia, cioè rende grazie a Dio per
l’elezione di questa comunità alla nascita della fede. In merito però ad una liturgia prettamente
eucaristica, alla quale impone che non partecipino i «fuori ordinanza», l’autore sembra non farne
menzione né lascerebbe intendere tale interpretazione.

16
Cf. O. DA SPINETOLI, Lettere ai Tessalonicesi, p. 105.
17
GLNT, «ἐσθίω», c. 984.
18
O. DA SPINETOLI, Ibidem.
19
H. BEYER E COLL., Ibidem.
7

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