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EUGAD : European Citizens working for the global development agenda

EUGAD is one of the actions that implement the European Commission Programme of Public awareness and education
for development in Europe
EuropeAid Contract: DCI-NSA ED/2008 153-791
Programme reference: EuropeAid/126341/C/ACT/Multi

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http://www.eugad.eu/
http://www.eugad.eu/wiki/index.php?title=Bartolini_Stefano_-_Interview

INTERVIEW to STEFANO BARTOLINI

If welfare doesn't mean well - being, what's the right definition for Development?

by Wilma Massucco

Reference for EDUCATORS and MEDIA OPERATORS

Who is Stefano Bartolini

Economist, Professor of Politic Economy at University of


Siena (Italy), Stefano Bartolini has published many
scientific articles on international magazines, related
specifically to the relationship between Economy and
Happiness. Now, after more than ten years devolved to
deepen the research and the study on the matter, he has
just published a book: italian language Manifesto per
la felicità - Come passare dalla società del ben - avere a
quella del ben - essere (2010, pp. XIV-306, Ed. Saggine).
It's the Manifesto of a social and economic reform
focused on creating well-being both for individuals and
for Organizations. For an effective Development.

Introduction to the Interview

“There’s a strong relationship between the increase of social and environmental deterioration and the increase of
economy, i.e. increase of GDP. In such a case, you are daily induced to afford new expenditures, in order to fill your
own hole – Stefano Bartolini explains – which increases the value of GDP but doesn’t improve the quality of life. On
the contrary, it gets worse and worse, as the so-called relational goods proportionally reduce more and more”.
In this interview Stefano Bartolini makes an analysis of the concept of Development as it is shaped in the advanced
countries, and of the causes and solutions for the dissatisfaction of most western people. He believes the main problem
is that the recent economic development has been accompanied by a proportional impoverishment of our emotive and
social relationships. Which is a kind of development that doesn’t create welfare and, moreover, is very dangerous for
the economic stability, as the current global crisis clearly highlights.
As consequence, he suggests a concrete social and economic reform, based on a radical cultural and organizational
modification - i.e. a “Manifest for happiness” - to be addressed to: governments and local administrations, political

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movements, schools, communication system, advertising, etc. The logic based on the principle that “consuming is fine”
must be stopped as soon as possible.

See in the following the integral edition of the interview, Italian language

SE BENESSERE NON SIGNIFICA VIVERE BENE, QUAL E’ LA CORRETTA DEFINIZIONE DI


SVILUPPO? Viaggio verso le cause e le soluzioni dell’insoddisfazione contemporanea

Intervista a STEFANO BARTOLINI

di Wilma Massucco

…. Viviamo in paesi ricchi, ci siamo affrancati dalla povertà di massa e abbiamo accesso ai beni di consumo,
all’istruzione, alla sanità, a una vita più lunga e sana. Eppure ognuno di noi avverte nell’aria il serpeggiamento di
un’insoddisfazione diffusa, di un malessere e di un disagio psicologico che si esprime in una dolente e ostinata litania
che passa di bocca in bocca: la mancanza di tempo. Viviamo di corsa in mezzo a individui frettolosi. Il cuore del
problema è che lo sviluppo economico si è accompagnato ad un progressivo impoverimento delle nostre relazioni
affettive e sociali. Questo tipo di sviluppo non solo non produce benessere ma crea anche enormi rischi per la stabilità
economica, come la crisi attuale dimostra ….

Economista, docente di Economia politica all'Università di Siena, Stefano Bartolini ha pubblicato diversi articoli
scientifici su riviste internazionali, incentrati in modo particolare sull'analisi del rapporto tra economia e felicità. Ora,
dopo più di dieci anni dedicati allo studio e all'approfondimento dell'argomento, ha appena pubblicato un libro dal
titolo Manifesto per la felicità - Come passare dalla società del ben - avere a quella del ben - essere (2010, pp. XIV-
306, Ed. Saggine), una proposta di riforma economica e sociale orientata a creare benessere a livello individuale e di
organizzazioni.

Scoperta: gli occidentali sono infelici. Nonostante lo sviluppo economico, e a fronte di gente sempre più ricca, la
percentuale di coloro che dichiarano di sentirsi davvero bene è in diminuzione. Dato, questo, rilevabile statisticamente,
non solo per dichiarazioni soggettive, ma anche per dati oggettivi: malattie mentali (in modo particolare ansia e
depressione), consumo di droghe e di psicofarmaci e alcolismo sono infatti in continuo aumento. Uno shock per la
nostra cultura, se pensiamo che in fondo la crescita economica ci ha dato cose importanti: vite più lunghe e più salubri,
tecnologie molto utili, possibilità di viaggiare e di vedere il mondo. “La mia analisi è incentrata soprattutto sugli USA -
dice Stefano Bartolini, Economista e Docente di Economia Politica all’Università di Siena – un esempio interessante di
ciò che non dovremmo fare”. I dati statistici sembrano infatti mettere in evidenza che gli occidentali, e gli americani in
particolare, sono infelici, stressati, e con una sostanziale mancanza di tempo dovuta ad orari di lavoro sempre più
lunghi. In modo particolare, quattro risultano le forze in gioco, influenti sulla tendenza alla felicità. Una è l’aumento del
reddito: la gente con più denaro mediamente sta meglio di quella con meno denaro, questo è vero, ma l’effetto positivo
vale soprattutto a livelli di reddito molto bassi; quando saliamo alle classi medie, l’effetto positivo dovuto all’aumento
del reddito è pressoché inesistente. Compensato parallelamente da altri effetti, negativi. Come quello dovuto al declino
dei cosiddetti beni relazionali: sono infatti aumentate la solitudine, la difficoltà di comunicazione, la diffidenza,
l’instabilità delle famiglie. A questo si aggiunga il declino della fiducia nelle istituzioni, di tutti i tipi: economiche –
mediatiche – scientifiche – culturali – religiose. E poi, non da ultima, l’influenza esercitata dai cosiddetti paragoni
sociali: perché quello che sembra conti davvero non è tanto il fatto di avere una macchina più grossa, quanto il fatto di

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averla più grossa di quella del vicino. E se così è, allora, la crescita economica non funziona: perché una crescita
economica dà la macchina più grossa a me ma la dà anche al vicino …

Quindi, in sintesi, considerata la sua analisi, possiamo affermare che l’effetto positivo dovuto all’aumento del reddito è
stato più che compensato dall’effetto negativo dei beni relazionali, dei paragoni sociali, della sfiducia nelle istituzioni?
Esatto, e da questo segue la prima conclusione: il possesso materiale, misurato dal PIL come indicatore della crescita
economica, è sì una componente del benessere, ma con un’importanza limitata. Possedere non esaudisce la capacità
umana di desiderare, e un indice credibile di benessere deve tener conto anche dell’andamento di ciò che non possiamo
comprare, come i beni relazionali appunto.

Se guadagnare di più non fa vivere meglio, anzi risulta il contrario, perché nei Paesi ricchi le persone hanno spesso la
tendenza a lavorare sempre di più?
I dati statistici evidenziano che le persone con relazioni peggiori, quelle più sole, sono anche le persone che tendono a
lavorare per tempi più lunghi: sembra cioè che la povertà di relazioni causi maggiori orari di lavoro e che questi, a loro
volta – dato abbastanza intuitivo - provocando relazioni di qualità sempre più povera, inducano a lavorare sempre di
più. E’ una vera e propria trappola.

Trappola inevitabile oppure alimentata da qualcosa?


A mio avviso c’è una relazione molto stretta tra crescita del disagio sociale e ambientale e crescita economica. Mi
spiego con un esempio. Se la tua rete di amici si sfalda, e di conseguenza le tue serate si fanno sempre meno divertenti,
oppure se la tua città diventa troppo pericolosa per uscire la sera, ecco l’opzione: puoi riempirti la casa del cosiddetto
Home entertainment (internet, play station, dvd, cd, TV via cavo). Sono tutte spese che affronti per compensare
qualcosa che prima era gratis, e per sostenere le quali devi guadagnare di più, quindi devi lavorare di più. Quanto
pesano questi meccanismi nella crescita economica? Quello che voglio dire è che un disastro sociale, e un degrado
ambientale, non necessariamente fanno male, perché fanno spendere, e questo porta comunque ad una crescita
economica, che si misura attraverso una crescita del PIL. Ma si tratta naturalmente di una crescita deludente dal punto
di vista dei suoi effetti sul benessere. E’ per questo che la crescita economica non genera individui più felici. Una
crescita alimentata dal degrado sociale e ambientale è una crescita malata.

Considerata questa sua analisi, come rapportarci alla crisi economica attuale?
Questa crisi è molto profonda e per poterla affrontare bisogna innanzitutto considerarne l’origine, che possiamo
individuare nell’indebitamento delle famiglie americane. Queste, secondo la logica del consumismo imperante, indotte
com’erano dal sistema a spendere più di quanto guadagnassero, hanno vissuto per un buon quindicennio al di sopra
delle loro possibilità, indebitandosi fino al collo. E un sistema che consuma più di quello che produce è destinato
inevitabilmente a crollare. Il problema è che, nel crollo, le famiglie americane hanno coinvolto tutti. Questo è più
complicato da spiegare: è un meccanismo di trasmissione finanziaria (altra follia del sistema attuale) tale per cui il
debito delle famiglie americane ha trasmesso una reazione a catena nel resto del mondo. A questo si aggiunga poi il
grande peso che i mercati finanziari hanno avuto negli ultimi venti o trent’anni sull’andamento dell’economia globale: il
punto è che non ci si può guadagnare da vivere giocando in una specie di Casinò come è la Borsa; l’attività produttiva
non deve essere il sottoprodotto dell’attività di un Casinò, la gente deve guadagnarsi da vivere producendo qualche cosa
che deve essere utile a qualcuno.

Dunque, che tipo di società potremmo costruire, oggi, se abbiamo a cuore le relazioni e la felicità?
Il mio libro Manifesto per la felicità - Come passare dalla società del ben - avere a quella del ben - essere (2010, pp.
XIV-306, Ed. Saggine) verte proprio su questo. Il sistema va riorganizzato, in modo da evitare dinamiche di
consumismo sfrenato e di assoggettamento al sistema finanziario, e in modo da rivedere i rapporti economici e
relazionali sulla base di una serie di riforme nella scuola, nel mondo dei media, nell’organizzazione urbana, nel mondo

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del lavoro, nella sanità, e nella nostra stessa cultura. Per esempio: cosa insegniamo ai nostri figli? ad essere competitivi?
a laurearsi velocemente , in modo da iniziare a lavorare, e quindi a guadagnare e a spendere, il prima possibile? Oppure
insegniamo beni relazionali? Questa logica, secondo cui consumare è l’unica cosa importante, va fermata. Si tratta di un
cambiamento sociale, economico e culturale, che deve essere affrontato a vari livelli. A questo fine, individuare un
indicatore che permetta di misurare il benessere attraverso un parametro diverso dal PIL è un passaggio essenziale.
Perché innanzitutto bisogna cambiare i metri di misura del benessere. Dopo di che i media dovranno darci una mano,
bombardando – invece che con il PIL, come fanno oggi – con queste misure alternative che ci facciano capire
veramente dove sta la felicità.

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