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L’obbligo di vigilanza del docente di cui all’art. 2048 C.C.

non può prevedere un controllo che invada la


privacy dei ragazzi, sia per quel che riguarda l'eventuale possesso, da parte degli stessi, di sostanze
stupefacenti, sia per qel che concerne il sonno.

Il controllo delle strutture murarie dell'albergo in cui gli studenti sono ospiti non può estendersi sino al
punto richiesto dalla difesa (controllo dei balconi, delle misurazioni dei loro parapetti, del lastrico solare),
in quanto si tratta di strutture idonee ed aperte al più largo pubblico (non solo adulti ma anche famiglie
con bambini) e di ragazzi che, per quanto minorenni, essendo prossimi alla maggiore età, hanno un
sufficiente e più sviluppato senso del pericolo.

Nel caso in questione una ragazza dopo essere stata indotta da un compagno di classe a fumare uno
spinello, era caduta dal terrazzo dell'hotel, in cui era alloggiata insieme alla classe, riportando lesioni
gravissime.

CORTE D'APPELLO DI TRIESTE

Sezione I Civile

Sentenza 1 ottobre 2009 n. 375

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, S.Q. proponeva impugnazione, per i motivi espressi nell'atto introduttivo e
qui pedissequamente da considerarsi richiamati e trascritti, avverso la sentenza n. 396/05 del Tribunale di Trieste che
aveva rigettato la domanda risarcitoria, per danni patrimoniali e non, proposta dalla medesima nei confronti del
Ministero della Pubblica Istruzione, dell'Istituto Tecnico Commerciale (omissis), della Monteuliveto s.p.a., di E.T. e A.V.
(con la chiamata in causa da parte del Ministero e dell'Istituto (omissis), della Winterthur Assicurazioni s.p.a. e da
parte della Monteuliveto s.p.a, dell'Assitalia Assicurazioni s.p.a.).

La domanda risarcitoria era motivata dalle lesioni gravissime subite (invalidità permanente e totale e necessità di
assistenza continua, come riconosciuto dalla competente Commissione ex L. 104/92) per il fatto della caduta da un
lastrico solare privo di parapetti, spallette di protezione e segnaletica di pericolo, posto all'altezza di 10-12 metri dal
suolo, cui si accedeva dal balcone, tramite una porta finestra e oltrepassando un basso parapetto del balcone
medesimo, dalla stanza n. 212 dell'Hotel Mirage in cui era alloggiata, essendo in gita a Firenze, con la propria classe.

La sera del 16 marzo 1998, un compagno di classe, M.T., l'aveva indotta a fumare uno spinello, quando erano usciti
dal terrazzino sul lastrico solare predetto; dopo la sua caduta dal lastrico solare, i soccorsi non erano stati tempestivi
avendo il personale dell'albergo rifiutato di chiamare i soccorsi per un'ora e che l'ambulanza era giunta sul posto
un'ora e mezza dopo quando un altro studente aveva richiesto i soccorsi con il proprio cellulare.

La Fondiaria s.p.a., citata in appello da S.Q. al solo fine e per gli effetti di cui all'art 332 c.p.c., proponeva appello
incidentale, per i motivi più dettagliatamente esposti nella comparsa di risposta contenente anche l'appello incidentale,
avverso la medesima sentenza relativamente al capo 4) della stessa, con il quale era stata accolta la domanda
risarcitoria avanzata da S.Q. nei suoi confronti e condannata la Fondiaria s.p.a., in persona del legale rappresentante,
a pagare all'attrice per l'infortunio subito il 16 marzo 1998, in forza della polizza n.3764922768.92, la somma di euro
62.697,87 oltre interessi legali dal 21 settembre 1998 e oltre interessi anatocistici dal 7 febbraio 2001.

Il Ministero della Pubblica Istruzione e l'Istituto Tecnico (omissis), proponevano appello incidentale condizionato.

L'Assitalia, terza chiamata in causa dalla Monteuliveto s.pa., proponeva appello incidentale sulla liquidazione delle
spese, ingiustamente, a suo dire, compensate dal giudice di primo grado, che aveva ritenuto non sussistere alcuna
responsabilità a carico della Monteuliveto per l'evento di danno occorso alla Q.. Ne discendeva che, assolta da ogni
profilo di colpa la Monteuliveto, analoga sorte doveva essere riservata al suo assicuratore, da lei chiamato in causa.

Si costituivano ritualmente tutte le altre parti e terze chiamate in causa, contestando in fatto e in diritto i motivi di
appello e concludendo come in atti.

All'udienza del 25 novembre 2008, dopo le conclusioni delle parti, venivano assegnati alle parti i termini di cui all'art
190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche, allo scadere dei quali la causa veniva trattenuta
in decisione.

Osserva il collegio che l'appello proposto da S.Q. è infondato e come tale va rigettato.

Preliminarmente deve osservarsi come non possa essere accolta la eccezione di inammissibilità dell'appello avanzata
dal Ministero della Pubblica Istruzione e dall'Istituto Tecnico (omissis) per essere certo l'oggetto della domanda, come
emerge dalla parte motiva dell'atto introduttivo di appello, nonostante il richiamo alle conclusioni e memorie
depositate nell'arco di tutto il giudizio di primo grado, sia dinanzi al Tribunale di Udine - che ha cancellato la causa dal
ruolo, per incompetenza territoriale eccepita dall'Avvocatura e cui ha aderito il procuratore attoreo, assegnando il
termine di tre mesi per la riassunzione avanti al Tribunale di Trieste - sia dinanzi a quest'ultimo.
L'appellante, ha dedotto che:

1) il giudice di primo grado ha errato nella ricostruzione del fatto, in quanto, sulla base delle deposizioni
testimoniali, avrebbe dovuto indicare l'ora della caduta nelle h. 22.30, massimo 22.40 anziché in quella
ritenuta delle h. 23.30 e avrebbe dovuto ritenere che il T. era con S. al momento della caduta, come
comprovato dalle dichiarazioni di D.B., inviate nel 2004 tramite r/r, al difensore di S., dalle quali emergerebbe
che il B. vide il T. che scendeva dal piano superiore (doc. 9 allegato alla memoria del 28.7.2004 di parte
attrice). Tale elemento avrebbe riverberi sul punto del ritardo nei soccorsi da parte del personale dell'albergo;

2) il mancato accoglimento in primo grado, delle tempestive e rilevanti richieste istruttorie non avrebbe
consentito di fare accertare la responsabilità della Monteuliveto s.p.a, atteso che il parapetto dell'albergo e il
lastrico solare erano pericolosi, non solo per i motivi già ampiamente espressi in primo grado - misure del
parapetto con riguardo all'altezza interna, esterna e alla larghezza; inesistenza di altre cautele o segnaletica di
pericolo -, ma altresì per la presenza di una insidia sul lastrico solare, costituita da un canale di scolo, non
visibile per essere stato realizzato nello stesso materiale e colore del resto della copertura che correva
parallelamente al bordo esterno della terrazza a circa 70/80 cm dallo stesso, con una larghezza di circa 20 cm
e una identica profondità. Era rilevante esaminare gli elaborati grafici della sezione del parapetto e della
terrazza avendo il giudice di primo grado ipotizzato e accolto la tesi della caduta accidentale;

3) il giudice di primo grado avrebbe errato nel non ritenere la responsabilità del Ministero della Pubblica
Istruzione per il mancato - preventivo e in loco - controllo in ordine alla sicurezza dell'Hotel Mirage da parte del
docente che accompagnava gli alunni, ritenendo tale luogo dotato di adeguate misure di sicurezza per i comuni
clienti e quindi anche per studenti minorenni e in gita; per la mancanza di una adeguata vigilanza degli
studenti da parte del prof. G., laddove invece costui dormiva mentre due ragazzi erano in giro in zona ad alto
traffico; tre o quattro si ubriacavano spaccando bottiglie, due fumavano e cinque di essi erano nella hall
dell'albergo e per la mancanza del preventivo consenso scritto dei genitori;

4) il giudice di primo grado aveva mal interpretato la domanda dell'attrice volta a fare accertare la responsabilità
dei genitori del T. ex art. 2048 c.c. ricollegando la stessa al danno derivato a S. per effetto della caduta dal
lastrico solare, dopo la cessione della sostanza stupefacente da parte del M.T., laddove a pag 5 della citazione
di primo grado la responsabilità dei genitori era ancorata alla culpa in educando degli stessi, discendente dal
fatto che il figlio aveva fornito sostanza stupefacente a S. (spinello di marijuana) e l'aveva indotta a farne uso.

Per quanto concerne il primo motivo deve osservarsi come non appare affatto pacifico dalle deposizioni dei testimoni
che l'ora della caduta possa essere con certezza, quella delle 22.30/22.40 anziché quella più plausibile delle h. 23.30;
anzi, proprio l'incertezza sull'ora della caduta, collocata tra le h. 22.30/23.30, conferma la genuinità delle
testimonianze degli studenti (riportate per esteso dal giudice di primo grado nella sentenza appellata da pag 17 a 23),
data la concitazione del momento e la circostanza che la stessa è stata ricostruita con un percorso logico a ritroso e nei
limiti del ricordo, desumendola dalle azioni eseguite in quel frangente, sì che tale incertezza non consente un
accertamento di responsabilità della Monteuliveto s.p.a, quale proprietaria dell'albergo, per il supposto ritardo nei
soccorsi.

Del resto, i testimoni hanno precisato che il personale, non ben identificato dell'albergo, richiesto di chiamare
un'ambulanza perché una persona era caduta dalla terrazza, non ha dapprima creduto a tale fatto - ipotizzando
probabilmente uno scherzo, vista la presenza di una scolaresca in gita - sì che l'ambulanza fu chiamata dal cellulare di
un compagno di scuola.

Il B., poi, a differenza di quanto si sostiene in appello, sentito nella quasi immediatezza dell'evento, non ha affatto
riferito di avere sentito e visto qualcosa che cadeva dall'alto (egli si trovava nella stanza sita al primo piano laddove S.
occupava una stanza del secondo piano) alle h.22.30, ma ha solo detto di avere visto S., verso le h. 22.30 andare in
camera sua, sita al secondo piano. Ha aggiunto:"Quando sono tornato in camera mia che si trova al primo piano, ho
aperto la finestra e mi sono affacciato a prendere aria. Ad un certo punto ho sentito e visto qualcosa che volava giù dal
secondo piano...".

In tali dichiarazioni il B. non dice affatto a che ora si è ritirato in camera sua, se cioè subito dopo S. - ritiratasi verso le
h. 22.30 - o più tardi.
L'ora del rientro in camera viene poi collocata dal B. alle h. 22.30 solo all'udienza del maggio 2004 e quindi a distanza
di svariati anni dal fatto accaduto nel 1998.

Tale dato - decorso del tempo che influisce sul ricordo e la memoria del fatto - non può apparire in secondo piano e ciò
vale anche per le dichiarazioni contenute nella missiva inviata al legale della Q. di cui al documento 9) di parte attrice.

Circa il secondo motivo di gravame, deve osservarsi come il giudice di primo grado abbia correttamente motivato il
mancato accoglimento delle richieste istruttorie con argomentazioni logiche e immuni da vizi. Anche in questa sede
non può che ribadirsi come del tutto irrilevante è la circostanza che il parapetto del balcone della stanza n. 212 fosse
stato di 85 cm (come risulta dal sopralluogo della Scientifica della Procura della Repubblica di Firenze) o di 88 cm,
come asserito dall'appellante medesimo, anziché di un metro, atteso che l'evento non si è verificato a seguito di
caduta da esso della Q., ma perché la ragazza, con comportamento volontario lo ha scavalcato (e avrebbe potuto
agevolmente scavalcarlo anche se fosse stato di un metro di altezza e con uno spessore maggiore di quello riscontrato
e documentato dal difensore), accedendo ad un lastrico solare che non costituiva zona di calpestio essendo destinata a
fungere da copertura ai piani sottostanti dell'albergo.

Non può ritenersi applicabile al caso di specie il DPR n. 547/55 che regola fattispecie del tutto diverse relative agli
infortuni sul lavoro. L'altezza e lo spessore del parapetto avrebbero potuto rivestire importanza fondamentale qualora
il balcone si fosse affacciato sul vuoto e, o per cedimento della struttura o perché troppo basso il parapetto, la ragazza
fosse caduta da esso. Inidonea ad evitare l'evento sarebbe stata qualsiasi segnaletica di pericolo apposta sul lastrico,
atteso che la Q. si è avventurata su di esso, in tempo di notte o comunque ad ora tarda (si era nel mese di marzo),
scavalcando il parapetto del proprio balcone che, non affacciandosi direttamente nel vuoto, già costituiva di per sé una
cautela volta a dissuadere il calpestio del lastrico solare, in luogo non illuminato (anche ammesso che quella sera vi
fosse luna piena) da luce artificiale: elemento, quest'ultimo, idoneo ad indicare che il lastrico non era praticabile. Tale
ultima circostanza è desumibile logicamente dal fatto che, se fosse stata illuminata la zona, la ragazza si sarebbe
accorta del canale di scolo, anche se costruito in materiale simile alla restante copertura.

Tali rilievi sono stati evidenziati non solo dal giudice di primo grado, ma anche in sede di archiviazione penale.

Circa la prospettata responsabilità del Ministero e della Scuola deve osservarsi che si tratta delle medesime
argomentazioni su cui il giudice di primo grado si è soffermato specificatamente motivando in modo esauriente e
logico.

La sorveglianza del docente non può spingersi infatti ad un controllo che ecceda la privacy dei ragazzi, e per quanto
concerne l'eventuale possesso, da parte degli stessi, di sostanze stupefacenti o meno e per quanto concerne il sonno;
il controllo delle strutture murarie dell'albergo in cui i ragazzi erano ospiti non può spingersi sino al punto richiesto
dalla difesa (controllo dei balconi, delle misurazioni dei loro parapetti, del lastrico solare), in quanto si tratta di
strutture idonee e aperte al più largo pubblico - non solo adulti, ma anche famiglie con bambini - e nel caso di specie,
non si trattava di una gita con minori di sei/sette anni, ma con ragazzi che, per quanto minorenni, avevano un
sufficiente e più oculato senso del pericolo essendo prossimi alla maggiore età.

Circa la presunta assenza di consenso dei genitori, vale quanto già scritto dal giudice di primo grado a pag. 31 della
sentenza appellata e su tale argomento nulla di nuovo è stato aggiunto in questa sede.

Per quanto concerne la responsabilità dei genitori di M.T., non può essere accolto l'appello proposto relativo
all'accertamento della loro responsabilità ex art 2048 c.c. per culpa in educando e la conseguente condanna dei
medesimi al risarcimento del danno.

I difensori dell'appellante lamentano (pagg. 50 e 51) di essere stati fraintesi dal giudice di primo grado non avendo
mai ipotizzato una responsabilità dei genitori del T. ex art 2048 c.c. per il danno derivato a S.Q. dalla caduta dal
lastrico solare (a pag. 34 della sentenza appellata, il giudice ha così motivato "non è possibile affermare che il mero
possesso da parte di T. di uno spinello condiviso con una compagna di classe possa radicare la responsabilità dei
genitori di M.T. ex art. 2048 c.c. per il danno derivato a S.Q. dalla caduta dal lastrico solare..."), ma solo per il fatto
della cessione alla minore, da parte del M.T., dello spinello di marijuana e induzione alla stessa a farne uso, condotta
che costituisce fatto illecito ai sensi del DPR 309/90 e per di più ipotesi aggravata ex art. 80 DPR citato, circostanza
questa, che avrebbe dovuto indurre i genitori del T. alla prova liberatoria.

A tal riguardo deve osservarsi come presupposto per l'operatività della norma invocata è che il figlio minorenne,
coabitante con i genitori, abbia posto in essere un fatto illecito produttivo di danno, da risarcire.

Non ignora questo collegio l'orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. Sez. III 12 marzo 2008-22 aprile 2009 n.
9556) che, con riferimento alla presunzione di responsabilità dei genitori per il fatto illecito del figlio minorenne,
sancita dall'art 2048 c.c., richiede una prova rigorosa dell'efficacia del loro impegno educativo.

Tuttavia, non può prescindersi, prima della valutazione della culpa in educando dei genitori del T. - attesa la
formulazione della norma richiamata "il padre e la madre … sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei
figli minori …" - , dall'accertamento della commissione di un fatto illecito - da parte del M.T. - produttivo di un danno,
in quanto, solo in relazione alla esistenza di tale fatto e del danno che ne è conseguito, è configurabile la culpa in
educando dei genitori.

Ad avviso del collegio non è affatto pacifico che vi sia stata commissione di un fatto illecito da parte del M.T.,
consistente nella cessione, a titolo gratuito, della sostanza stupefacente (tre o quattro "tiri" di spinello di marijuana) a
S.Q., in quanto tale dato poggia unicamente sulle dichiarazioni del ragazzo di avere acquistato per sé uno spinello a
Udine e di averlo consumato con S..

La cessione non è supportata da alcun elemento probatorio o di riscontro (tale non può considerarsi la dichiarazione
del C. che ha fatto riferimento agli occhi arrossati di S. e M., potendo l'arrossamento degli occhi essere dovuto ai più
svariati motivi: congiuntivite, allergia, pianto ed altro), né da indagini (narcotest) o pareri di consulenti che abbiano
esaminato il corpo del reato, né dalla conoscenza dell'esatta percentuale di thc contenuto nello spinello di marijuana
asseritamene fumato assieme a S.. Quest' ultimo elemento è poi rilevante ai fini della sussistenza dell'illecito di
cessione di sostanza stupefacente, dovendo escludersi la ipotesi illecita, per inidoneità del mezzo ex art. 49 c.p.,
allorché il principio attivo contenuto nella dose ceduta sia di entità tale da non poter produrre un concreto effetto
drogante (cfr. Cass. Sez. IV n. 185343/90; Cass. Sez. IV 9.4.1996 n. 4104; Cass. Sez. IV 20.3.2000 n. 3584).

Nel caso di specie, T. e non altri, ha dichiarato di avere acquistato "uno spinello" consumandolo con S., ma di fatto non
si sa in realtà cosa abbia fumato (in sostanza il T. potrebbe avere acquistato uno spinello di marijuana credendolo tale,
mentre in realtà conteneva o una percentuale bassissima di tale droga da non potersi definire sostanza stupefacente o
altre sostanze aromatiche), ignorandosi il principio attivo e la quantità in esso contenuta , sì che il fatto è solo
apparentemente, ma non sostanzialmente conforme al modello legale.

Indicativo al riguardo è non solo la circostanza che la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di
Firenze non ha ravvisato ipotesi di reato a carico del suddetto T., archiviando la pratica - circostanza questa, che certo
non vincola il giudice civile -, ma soprattutto la circostanza che gli esami tossicologici eseguiti su S.Q. nella quasi
immediatezza del suo ricovero presso l'Ospedale Careggi di Firenze, hanno dato esito negativo.
L'appello incidentale condizionato proposto dal Ministero e dall'Istituto Tecnico rimane pertanto assorbito dal rigetto
dell'appello principale.

Va rigettato l'appello incidentale proposto dalla Fondiaria s.p.a. che ha richiamato l'art. 12 della polizza n.
376492768.92 stipulata dalla Regione FVG contro gli infortuni degli studenti, direttamente beneficiari, ritenendo che,
in virtù di tale clausola compromissoria per arbitrato irrituale, venga meno la competenza del giudice ordinario avendo
le parti convenzionalmente rinunciato all'azione.

Ritiene il collegio che l'appellante incidentale non propone argomentazioni nuove e diverse da quelle già fatte valere
dinanzi al giudice di primo grado e come tale la domanda sarebbe inammissibile, avendo la sentenza appellata posto
l'accento sulla circostanza che, a seguito della visita medico legale effettuata dalla Fondiaria tramite un proprio medico
(dr. R.), visita cui aveva partecipato il medico di fiducia dell'attrice nessuna contestazione era stata sollevata dalla
Compagnia assicuratrice in ordine al riconoscimento di una totale invalidità prospettato dalla Q. con missiva dd
16.3.99, ricevuta il 18.3.99.

In realtà, la lettura dell'articolo della polizza, richiamato, evidenzia che si tratta non di clausola compromissoria nel
senso tecnico del termine, che consenta cioè, in caso di disaccordo tra le parti, di devolvere ad un arbitro il potere di
decisione di controversie giuridiche, ma di un patto per perizia contrattuale che attribuisce ai periti (nel caso di specie,
un collegio di medici) il potere di formulazione di un apprezzamento tecnico, senza che tale pattuizione possa
interferire sull'azione giudiziaria volta alla definizione delle questioni che potrebbero insorgere sull'applicabilità e
interpretazione del contratto (cfr. Cass. Sez. III 18.2.1998 n. 1721; Cass. Sez. III 15.5.2003 n. 7516).

Quanto alla asserita inoperatività della polizza (art. 4), trattandosi di tentativo di suicidio da parte della Q., deve
osservarsi che non è affatto pacifico che si tratti di ipotesi di suicidio, atteso che il dr. F. (doc. 26 di parte attrice in
primo grado) ha evidenziato come "il primo impatto e le fratture più significative di segmenti ossei rilevanti è avvenuto
con la regione postero-laterale sinistra, il bacino in particolare, come può avvenire in chi sta precipitano dopo una
probabile "scivolata" laterale con caratteristiche tipiche di accidentalità". Il tentato suicidio, come precisato dal giudice
di primo grado, è rimasta ipotesi o congettura priva di riscontro.

Va rigettato l'appello incidentale proposto sulle spese del giudizio da Assitalia s.p.a. nei confronti della Monteuliveto
s.p.a., in quanto trattasi di domanda nuova formulata per la prima volta in appello e come tale inammissibile. Peraltro,
per stessa ammissione dell'appellante incidentale, il contratto di assicurazione stipulato dalla Monteuliveto s.p.a. con
l'Assitalia Assicurazioni, copriva una parte del rischio qualora fosse stata ravvisata la responsabilità del personale
dell'albergo per il ritardo nei soccorsi) e giustamente e in via preventiva, la Monteuliveto ha effettuato la chiamata per
essere tenuta indenne.

Le spese seguono la soccombenza per quanto concerne i rapporti Q. - Ministero, Istituto Tecnico, genitori del T.,
Monteuliveto, mentre vanno compensate con Assitalia s.p.a. e Winterthur s.p.a. essendo la notifica dell'appello
principale nei confronti di queste ultime due, stata effettuata solo come denuncia di lite ex art. 332 c.p.c. avendo le
stesse partecipato al giudizio di primo grado e sono liquidate come in dispositivo; analogo discorso va fatto per la
Fondiaria s.p.a. soccombente nell'appello incidentale proposto nei confronti della Q..

PQM

Decidendo sugli appelli proposti, in via principale, da Q.S. nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione,
dell'Istituto Tecnico Commerciale di Stato (omissis) della Monteuliveto s.p.a., di E.T. e A.V., nonché delle terze
chiamate Winterthur Assicurazioni s.p.a., Assitalia assicurazioni s.p.a. e della Fondiaria Assicurazioni s.p.a.
(quest'ultima ex art. 332 c.p.c.), e, in via incidentale, dalla Fondiaria Assicurazioni s.p.a., nonché dall'Assitalia
Assicurazioni nei confronti della Monteuliveto s.p.a. avverso la sentenza n. 396/05 del Tribunale di Trieste, rigetta
l'appello principale e quelli incidentali e, per l'effetto, conferma totalmente la sentenza impugnata; condanna
l'appellante principale Q., alla rifusione delle spese di lite del presente grado di giudizio a favore di tutte le parti -
esclusa la Fondiaria Assicurazioni s.p.a., l'Assitalia Assicurazioni s.p.a e l'Aurora Assicurazioni, già Winterthur - che
liquida, per ciascuna di dette parti, in complessivi Euro 9.000,00 dei quali Euro 3.000,00 per diritti ed Euro 5.000,00
per onorari, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CNAP come per legge; condanna la Fondiaria
Assicurazioni s.p.a. alla rifusione delle spese di lite del presente grado nei confronti di Q.S., che liquida in complessivi
Euro 6.000,00 dei quali Euro 1.500,00 per diritti ed Euro 4.000,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese
generali, IVA e CNAP, come per legge; compensa tra le residue parti le spese del presente grado.

Così deciso in Trieste l'11 giugno 2009.

Depositato in cancelleria il 1 ottobre 2009.

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