Академический Документы
Профессиональный Документы
Культура Документы
Capitolo 7
1. I REGNI ROMANO-GERMANICI
Un accenno al Medioevo
Con il 476 e la scomparsa della figura dell’imperatore in quello che era stato l’impero romano
d’Occidente, si fa convenzionalmente cominciare il Medioevo.
Il Medioevo in realtà è “invenzione” degli umanisti, letterati e artisti del XV secolo, che,
riscoprendo la civiltà e la cultura del mondo greco e latino, percepirono l’epoca immediatamente
precedente alla loro come un’età di decadenza, oscura e irrazionale. La considerarono, perciò, solo
un’epoca di transizione, “età di mezzo” tra due età civili ed evolute.
La definizione di Medioevo ha ormai perso l’originario carattere spregiativo e oggi si preferisce
sottolinearne gli aspetti positivi. Le profonde trasformazioni che lo hanno caratterizzato, spesso
drammatiche, hanno infatti consentito un’originale fusione dell’antico mondo romano con quello
germanico e con la cultura cristiana, che ha dato vita all’Europa moderna.
Si suole suddividere il Medioevo in due fasi: Alto Medioevo, dal 476 all’anno Mille, e Basso
Medioevo dal 1000 al 1492, anno della scoperta dell’America. Si tratta, come è evidente, di date
convenzionali, perché in realtà i cambiamenti storici non possono fissarsi in un anno.
Lo sfaldamento dell’impero
Nel corso del V secolo, in 70 anni, dal 406, quando i barbari valicarono la frontiera del Reno, al
476, quando scomparve la figura dell’imperatore d’Occidente, i germani imposero il proprio
controllo su varie province occidentali, sottraendole all’autorità imperiale, e diedero origine a
diversi regni indipendenti, distruggendo in questo modo l’unità dell’impero. Nel 476 i nuovi regni,
definiti romano-barbarici o romano-germanici, erano sei e, con l’eccezione del regno dei vandali
in Africa, presentavano caratteristiche comuni.
Leggi separate
Il dualismo era particolarmente evidente a livello giuridico. Una profonda e sostanziale differenza
divideva il diritto germanico da quello romano.
Il diritto romano era codificato in norme scritte, elaborate in secoli di tradizione giuridica, e
applicava il principio della territorialità delle leggi, secondo il quale chi abita in un territorio è
tenuto a rispettarne le leggi.
Il diritto germanico era un diritto consuetudinario, basato cioè su consuetudini e abitudini
tramandate oralmente da una generazione all’altra, e applicava il principio della personalità delle
legge, per cui ogni individuo era soggetto alla legge del suo popolo, anche quando viveva nel
territorio di un altro. I germani quindi non imposero le proprie leggi, ma non accettarono neppure
quelle romane. Così i matrimoni misti, che nel IV secolo ancora si praticavano, furono vietati.
La distinzione tra i due popoli nell’amministrazione della giustizia col tempo creò non poche
difficoltà. I germani allora recepirono alcune norme del diritto romano e codificarono le proprie
norme utilizzando il latino, cioè la lingua che meglio esprimeva i principi giuridici. I primi a
intraprendere questa via furono i visigoti nel 654.
Da ariani a cattolici
Anche le differenze religiose non erano irrilevanti: i germani erano ariani, i romani cattolici e,
benché fossero tutti cristiani, la distanza restava incolmabile. Infatti i cattolici consideravano eretici
gli ariani; i germani, da parte loro, vivevano la fede come un modo per affermare la propria identità
di fronte alla maggioranza cattolica. Il clero cattolico, però, divenuto un punto di riferimento per la
popolazione, aveva acquistato un enorme prestigio e con grande abilità riuscì a ottenere la
conversione di molti sovrani che divennero un modello trainante per l’intera popolazione. Entro la
fine del VI secolo l’arianesimo fu quasi del tutto abbandonato e il cattolicesimo divenne un
elemento unificante tra le diverse popolazioni europee.
Separazione o assimilazione?
La convivenza tra germani e romani produsse quindi, sia pure in tempi lenti, una progressiva
assimilazione e una trasformazione radicale della società.
I germani erano affascinati da un modello di vita che ritenevano superiore, ma anche timorosi di
perdere la propria identità e la propria fierezza guerriera tra le mollezze di una civiltà troppo
raffinata. I romani, da parte loro, guardavano con sufficienza i barbari che non sapevano scrivere e
avevano leggi incomprensibili e strane abitudini, ignoravano che cosa significasse vivere in città ed
erano eretici. L’integrazione inizialmente appariva quindi difficile.
La necessità di convivere però produsse i suoi frutti. I germani non infierirono sugli abitanti
dell’impero. Già assuefatti all’hospitalitas, nel momento in cui ebbero il potere nelle loro mani si
limitarono a prelevare da 1/3 a 2/3 delle terre di proprietà dei latifondisti, secondo l’usanza
dell’hospitalitas. Sulla società romana l’esproprio non ebbe conseguenze molto gravi perché i
terreni erano lasciati in gran parte incolti per mancanza di manodopera. La nobiltà romana, d’altra
parte, sapeva di non avere la forza per contrastare i nuovi arrivati e capiva l’importanza di avere un
esercito forte e un potere stabile in grado di difendere i suoi interessi; quindi, malgrado le iniziali
diffidenze, si adattò presto a collaborare con i germani e addirittura a modificare certe
consuetudini. Si era perso, d’altronde, il senso di appartenenza a uno stato e l’interesse delle classi
dirigenti era ormai rivolto solo alle realtà locali.
Ancor meno risentirono del cambiamento i coloni romani che passarono, insieme alla terra,
semplicemente da un padrone all’altro, senza vedere diminuire i loro canoni d’affitto come avevano
sperato.
2
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
Da guerrieri a latifondisti
Sulla società barbarica invece gli effetti dell’hospitalitas furono rilevanti. I capi militari divennero
proprietari terrieri e si trasformarono in una nuova aristocrazia fondiaria che assimilò i modi di
vita e gli interessi della nobiltà romana. Essi distribuirono appezzamenti di terra anche ai guerrieri,
trasformandoli in piccoli proprietari o in coloni. Pertanto, se la struttura sociale romana non venne
sconvolta, quella germanica perse il suo originario fondamento egualitario. In compenso
l’integrazione garantì vitalità duratura ai nuovi regni.
Non tutti i regni romano-barbarici procedettero comunque sulla stessa linea: la sintesi tra germani e
romani si verificò nel regno dei visigoti e, ancor di più, in quello dei franchi, mentre la scissione si
mantenne sempre nel regno vandali, che, però, proprio per questo, ebbe vita breve.
Cambiamento d’asse
Il segno più evidente dei cambiamenti conseguenti alla creazione dei nuovi regni fu lo spostamento
dell’asse politico. L’impero romano aveva come centro Roma, che aveva progressivamente esteso il
suo dominio a raggiera tutto intorno al Mediterraneo e aveva fatto del bacino l’asse dell’impero
che univa est e ovest. Ora invece era difficile individuare un centro e con la creazione dei regni in
regioni a volte marginali, come la Britannia, l’asse si era spostato a nord e aveva acquisito una
direzione nord-sud. Il Mediterraneo perse importanza, tanto più che i commerci languivano. Da
allora le regioni mediterranee costituiscono il confine meridionale dell’Europa.
La crisi demografica
Il decremento demografico avviato sin dalla peste del 180 raggiunse il suo acme tra il VI e il VII
secolo, dopo che alle solite cause, epidemie e carestie, si erano aggiunte le razzie, i saccheggi, le
devastazioni dei campi e delle città e infine le invasioni. L’età media della popolazione si collocava
tra i 19 e i 29 anni, la mortalità infantile era altissima e la povertà incrementava il ricorso all’aborto
e all’infanticidio.
Città in sofferenza
Il fondamento stesso dell’impero, le città, che avevano rappresentato la sua forza maggiore e il
centro di irradiamento della cultura, già nel III secolo in Europa avevano cominciato a spopolarsi
(memo) e ora, con un’economia sempre più arretrata, decaddero quasi del tutto. In Italia, dove la
tradizione urbana era molto forte, restarono importanti per il loro ruolo amministrativo soprattutto
Milano, Verona, Ravenna, Pavia e, naturalmente, Roma, capitale della Chiesa anche se non più
dell’impero. Eppure anche Roma, che nel II secolo contava un milione di abitanti, all’inizio del V
secolo ne ospitava forse 200.000.
A permettere la sopravvivenza, nel corso del Medioevo, a queste e ad altre poche città fu la
presenza del vescovo, che, nella chiesa cattedrale (G), il nuovo fulcro della città, svolgeva i riti più
importanti, consentiva il culto delle reliquie dei santi, amministrava i beni ecclesiastici e la
giustizia. Così mentre erano in stato di abbandono il foro e i templi, non più frequentati, le terme,
perché i cristiani non approvavano la promiscuità dei bagni pubblici, gli anfiteatri, perché la Chiesa
non ammetteva la violenza degli spettacoli del circo, gli acquedotti e le strade in rovina per
mancanza di fondi per la manutenzione, le chiese al contrario fiorivano. Per costruirle venivano
spesso adoperati i materiali prelevati dagli edifici pubblici ormai in disuso.
Con l’avvento dei germani, nelle città sopravvissute si insediarono i comites, i “compagni” del re,
cui erano affidati compiti di controllo militare e politico. Anch’essi contribuirono a garantire la
sopravvivenza della vita urbana.
Memo
3
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
Negli ultimi secoli prima di Cristo le città si erano ingrandite perché vi affluivano in massa i ceti più
poveri alla ricerca di lavoro e distribuzioni gratuite di grano. Ma con la crisi del III secolo le
distribuzioni calarono ed era più probabile trovare lavoro nelle villae di campagna, dove i ricchi si
cercavano di sfuggire alle incursioni barbariche. Le città cominciarono allora a spopolarsi.
Glossario
Cattedrale
È la chiesa sede del vescovo titolare di una cattedra, il seggio che li qualifica come eredi degli
apostoli. La cattedra, infatti, era in origine il seggio di un’alta autorità.
Campagne incolte
La decadenza del mondo romano segnò anche il declino delle campagne: spopolate in conseguenza
del calo demografico, delle carestie, della tassazione, devastate dai barbari, saccheggiate dai
briganti, caddero in abbandono, invase dalle erbe e dalle foreste. I nuovi arrivati germani, poi, erano
allevatori seminomadi che praticavano l’allevamento brado e soprattutto la caccia nei boschi,
mentre si dedicavano poco a un’agricoltura misera praticata in campi aperti, senza limiti segnati.
Diffusero così in Europa un altro tipo di alimentazione, rispetto a quella mediterranea dei romani, il
cui simbolo erano il pane e il vino. Ora si propagarono la cacciagione, il pesce, il miele, il lardo e
cereali più scadenti che avevano bisogno di meno cure del frumento: segale , miglio ecc.
Il numero dei contadini diminuì sensibilmente e i grandi proprietari, laici ed ecclesiastici,
risentivano della mancanza di manodopera, tanto che la Chiesa raccomandava, con spirito molto
poco cristiano, agli amministratori delle sue proprietà, di non liberare gli schiavi, perché “era
ingiusto che gli schiavi godessero della libertà, quando i monaci lavoravano la terra tutto il giorno”.
Si diffusero persino le razzie di uomini liberi da rendere schiavi: a quanto pare anche i vescovi ne
organizzavano, se la Chiesa sentì il dovere di vietarle loro espressamente.
stata risparmiata dai flussi migratori. Fu cristianizzata alla fine del V secolo da alcuni monaci partiti
dalla Britannia e guidati dal nobile romano Patrizio. Poi dall’Irlanda partirono gruppi di monaci
animati da zelo missionario che convertirono le popolazioni celtiche del Galles e della Cornovaglia,
anch’esse risparmiate dalle invasioni degli angli e dei sassoni. Per i celti fu un modo per tutelare
l’eredità della propria cultura, anche se integrata con nuovi elementi di matrice cristiana.
Via via i monaci irlandesi si diffusero in tutta Europa, spingendosi nelle città occupate, nelle
campagne devastate, negli accampamenti degli invasori. Era un monachesimo ancora molto vicino a
quello orientale, caratterizzato dall’ascetismo, fatto di digiuni prolungati e punizioni corporali, e
spesso votato al martirio.
Memo
Il monachesimo cenobitico, diffusosi in Egitto, Palestina e Siria a partire dal IV secolo, si basava
sulla vita in comune nei cenobi, monasteri in cui si doveva rispettare una regola, pregare, fare
penitenza. Dal V secolo il fenomeno cominciò ad attecchire anche in Occidente,
Messaggeri di cultura
La scelta, tipica dei monaci, di allontanarsi dal mondo fece nascere anche l’idea della
peregrinazione, dell’esilio volontario dalla propria terra per compiere una missione al servizio
della fede, un’idea assente nel monachesimo orientale. Dovunque giungessero, Norvegia, Svezia,
forse addirittura Groenlandia, per convertire popolazioni per lo più rurali ancora pagane, i monaci
irlandesi costruivano monasteri che diventavano centri di diffusione della fede cristiana e della
cultura e davano nuovo slancio all’attività produttiva nelle campagne. San Colombano, tra la fine
del VI e l’inizio del VII secolo, fondò il monastero di Luxeuil in Francia, quello di San Gallo in
Svizzera e, nel 612, quello di Bobbio, sull’Appennino emiliano, presso Piacenza, che fu sede di
un’importante biblioteca e di uno scriptorium. Lo scriptorium era il luogo riservato nelle abbazie
alla copiatura di manoscritti non solo di testi sacri, ma anche di cultura classica. Fu proprio l’opera
dei monaci amanuensi (G) di qualsiasi ordine a salvare il patrimonio culturale dell’antichità.
Glossario
Monaci amanuensi erano i monaci addetti a trascrivere “a mano”, come dice la parola, i testi
antichi. Era un lavoro molto più complesso e faticoso di quanto oggi si possa pensare.
Glossario
5
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
Ecclesiastico
L’aggettivo indica tutto ciò che fa parte dell’apparato della Chiesa: sono ecclesiastici i sacerdoti, i
vescovi, i chierici, i diaconi ecc.; sono enti ecclesiastici le chiese e le parrocchie, ma non i
monasteri, che sono genericamente enti religiosi.
Ora et labora
«L’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci in determinate ore devono attendere al lavoro
manuale e in altre ore, anch’esse determinate, alla lettura spirituale». Ordinava così la regola di san
Benedetto, che dava indicazioni anche su ogni possibile aspetto della vita comunitaria. Perciò nei
monasteri benedettini regnava l’ordine e l’equilibrio. Per diventare monaco occorreva sottoporsi a
un periodo di noviziato, in cui si doveva imparare innanzitutto a leggere e scrivere. Nel monastero
si viveva come fratelli sottoposti all’autorità dell’abate, che, come indicava il suo nome derivato
dall’aramaico abba, svolgeva la funzione di padre. Ad ogni fratello l’abate, che era affiancato da un
priore, assegnava un compito: di cellerario addetto all’approvvigionamento, di guardiano per
controllare chi entrava o usciva dall’abbazia (G), di maestro dei novizi e così via. La vita era
scandita dall’alternanza ad ore fisse di preghiera e lavoro, una scansione che ben presto dettò il
ritmo del tempo per tutta la società medievale. La giornata cominciava con la recita corale
dell’ufficio, proseguiva con le attività agricole e artigianali (i monaci si costruivano da sé gli
strumenti agricoli in ferro che erano considerati importanti tanto quanto gli arredi sacri) e la
copiatura dei testi sia sacri che pagani, tutte attività che occupavano da 5 a 7 ore al giorno. I servizi
per la comunità erano svolti a turno da tutti i monaci Ad altre ore prefissate si cantavano in coro
salmi e inni sacri e si svolgevano i pasti, due nel periodo da pasqua a settembre, quando più intenso
si faceva il lavoro nei campi, uno solo negli altri mesi.
Il monastero era un centro produttivo economicamente autosufficiente in cui regnava un’atmosfera
di laboriosa umiltà che l’avvicinava al mondo contadino. Nei momenti di bisogno era proprio dal
monastero che partivano gli aiuti per la popolazione in difficoltà.
Glossario
Abbazia
È il monastero retto da un abate. Esistono infatti monasteri retti da un priore oppure monasteri che,
privi di un vertice gerarchico, fanno capo ad altri monasteri più strutturati.
6
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
I benedettini e la Chiesa
Ogni abbazia benedettina era autonoma, pur mantenendo vincoli di fratellanza con le altre e di
sottomissione all’autorità del vescovo. Infatti i monasteri benedettini sorsero in accordo coi vescovi
e molti monaci ricoprirono anche cariche episcopali.
La loro funzione era essenziale soprattutto per l’evangelizzazione delle regioni non romanizzate e
delle zone rurali situate in zone già in parte cristiane, dove il cristianesimo si era diffuso soprattutto
nelle città, mentre nelle campagne restavano ampie sacche di paganesimo. I monasteri, che
sorgevano in luoghi isolati, lontani dalla civiltà, svolgevano un’opera di civilizzazione, oltre che di
evangelizzazione.
Benedetto morì nel 547, la sua regola non ebbe però immediata fortuna e convisse con altre forme
monastiche, finché nel 590 un monaco benedettino divenne papa, con il nome di Gregorio I Magno,
e favorì la diffusione del proprio ordine: dopo soli due secoli tutti i monasteri occidentali erano
benedettini.
In Britannia
Nell’isola la dominazione romana, piuttosto recente (dopo i primi tentativi di Cesare, la Britannia
meridionale era diventata provincia solo con Claudio nel 42-43), non aveva avuto tempo di
radicarsi e solo in parte aveva potuto romanizzare le preesistenti popolazioni celtiche. Dopo che
nel 405 Stilicone abbandonò l’isola a se stessa, non fu difficile ad angli, iuti e sassoni insediarvisi
tra il 440 e il 450. Erano popolazioni barbare non romanizzate perché, stanziate a nord-est del
Reno, nella Germania settentrionale e nei Paesi Bassi, non avevano avuto contatti col mondo
romano. Sbarcati sulle coste orientali della Britannia costituirono sette piccoli regni autonomi che
azzerarono l’assetto sociale e culturale imposto dall’impero romano, distrussero le città e ogni
traccia della dominazione romana, imposero la loro lingua sul latino e i loro culti pagani sul
cristianesimo, spingendo contemporaneamente le popolazioni celtiche dei britanni, parzialmente
romanizzate, negli attuali Galles, Cornovaglia e nel nord della Gallia che da loro prese il nome di
Bretagna.
In Gallia
La Gallia, al contrario della Britannia, conquistata da Cesare nel 52 a.C., era profondamente
romanizzata e aveva dato molti senatori a Roma. Nel III secolo un usurpatore era riuscito a creare
persino un “impero delle Gallie”. Nel 406 nella regione dilagarono i vandali, originari della regione
a oriente della Vistola, e gli svevi, in latino suebi, che già nel 123 a.C. dimoravano in Germania ed
erano stati affrontati da Cesare. Le due popolazioni avevano valicato, insieme a una massa di altri
popoli, il Reno ghiacciato e rimasero tre anni nella regione straziandola.
Ma poi sopraggiunsero dalla Calabria, dov’erano giunti dalla Mesia, attraverso Grecia e Illiria, i
visigoti che, dopo avere spinto vandali e svevi verso la Spagna, si stabilirono nella parte
sudoccidentale della Gallia, l’Aquitania, fondarono il primo regno romano-germanico, con
capitale Tolosa, nel 418 ottennero dall’imperatore Onorio il diritto di riscuotere le tasse e di
governare di fatto il regno, sia pure rispettando le leggi romane. Nel 429, inviati in Spagna per
7
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
In Spagna
Anche la penisola iberica era profondamente romanizzata, ma subì invasioni più violente di quelle
che aveva subito la Gallia.
Proprio dalla Gallia nel 409 giunsero in Spagna i vandali e gli svevi. Gli svevi si stabilirono nella
regione di nord-ovest della penisola, l’attuale Portogallo, mentre i vandali furono presto sconfitti
dai visigoti federati dei romani e nel 429 furono condotti da Genserico verso sud, in Andalusia. Lì
requisirono tutte le imbarcazioni nei porti spagnoli e traghettarono in Africa attaccando la provincia
romana.
La Spagna fu inglobata nel regno dei visigoti di Tolosa. Per gran parte del VI secolo il regno
visigoto fu tormentato da conflitti tra l’aristocrazia e il re e tra germani ariani e cattolici romani. La
stabilità fu poi garantita dalla conversione del re Recaredo (586-601), che sollecitò la conversione
del suo popolo e la fusione tra goti e romani, favorendo i matrimoni misti. Il re promulgò, inoltre,
nel 654 un codice di leggi, il Libro delle sentenze (Liber iudiciorum), il primo ad avere validità sia
per i visigoti sia per i romani perché era ispirato al diritto di entrambi i popoli. Grazie a queste
scelte il regno dei visigoti in Spagna sopravvisse fino all’VIII secolo, quando fu conquistato dagli
arabi.
8
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
Storia di parole
Franco
Il regno dei franchi assunse ben presto un ruolo dominante in Europa, tanto che il termine “franco”
divenne per bizantini e arabi sinonimo di occidentale. Il termine fa parte ancora della nostra lingua,
non solo perché indica una moneta, il franco svizzero – e un tempo anche il franco francese – ma
perché è sinonimo di libero, come nelle espressioni “zona franca”, esente da imposizioni fiscali;
“porto franco”, dove le merci sbarcano senza pagare tasse doganali; “franchigia”, esenzione dal
pagamento di una somma. “Farla franca” significa invece uscire impunito da un’azione disonesta,
mentre una persona “franca” è leale, aperta e sincera; il “franco tiratore”, invece, è il soldato
irregolare che fa azioni di guerriglia nelle retrovie di eserciti che hanno invaso un territorio, ma oggi
indica anche il parlamentare che nel segreto dell’urna vota diversamente da quanto deciso dal suo
partito.
9
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
L’integrazione giuridica
Anche nel campo del diritto, i franchi scelsero la via della commistione: il re continuò ad emanare
l’ordine ufficiale che i capi germani emanavano per la propria tribù (definito banno), ma ne estese
la validità a tutti i sudditi, franchi e romani, adottando il principio della territorialità delle leggi,
tipicamente romano. Anche l’eribanno, cioè la chiamata alle armi, non riguardò solo i franchi ma
anche i romani.
Espansione e divisione
Intrapresa l’espansione territoriale con l’appoggio del clero, Clodoveo estese i confini del regno
dai Pirenei al Reno e all’Atlantico, annettendo al suo regno la maggior parte della Gallia, tra cui
nel 507 il regno visigoto di Tolosa. Dai franchi la Gallia prese il nome di Francia. Alla morte di
Clodoveo nel 511, i suoi successori occuparono anche il territorio dei burgundi (534) e la
Provenza (537), l’antica provincia romana, ancora sotto il dominio di Roma ormai governata dagli
ostrogoti.
Però, tra i vari rami della dinastia merovingia scoppiarono lunghe lotte per la successione. La
tradizione franca, infatti, considerava il territorio dello Stato proprietà personale del re, che fondava
il suo primato sulle altre famiglie aristocratiche proprio sulla maggiore estensione delle sue
proprietà. Alla morte del re, il regno, in quanto proprietà personale, doveva essere spartito tra gli
eredi. L’unità del regno perciò si frantumò e si formarono tre regni:
la Neustria, a nord-ovest della Gallia, comprendeva la valle della Senna e l’odierna
Normandia con capitale l’antica Lutetia Parisiorum, l’attuale Parigi, capitale dei galli
parisii già all’epoca di Cesare;
l’Austrasia, con capitale Metz, si estendeva negli attuali Belgio e Paesi Bassi;
la Burgundia, il paese dei burgundi, nella valle del Rodano, gravitava intorno alla città di
Chalon, e avrà poi come capitale Lione.
Restava indipendente l’Aquitania, la regione a sud-ovest, dove era ancora forte il potere
dell’aristocrazia romana. Non costituiva un regno vero e proprio e fu sottoposta ora all’uno ora
all’altro dei tre regni, che si scontrarono per tutto il VII secolo senza che i vari re riuscissero a
ricostituire l’unità. L’espansione si arrestò e i franchi dovettero anche fronteggiare la pressione dei
barbari alle frontiere.
Teodorico colse nell’ordine di Zenone l’occasione per realizzare il sogno di diventare l’erede degli
imperatori romani. Quando nel 489 giunse in Italia, l’aristocrazia romana lo accolse come legittimo
rappresentante dell’imperatore e lo appoggiò contro Odoacre. La guerra durò quattro anni, fino al
493, quando Odoacre infine si arrese in cambio della vita. Subito dopo la resa, però, Teodorico lo
fece assassinare insieme ai suoi familiari e si installò nella penisola con tutto il proprio popolo,
forse 50.000 persone. Mantenne il titolo di re degli ostrogoti, ma governò l’Italia solo come
rappresentante dell’imperatore, servendosi di funzionari, ministri e consiglieri romani, come
Simmaco, Severino Boezio e Cassiodoro.
La pax Teodoriciana
Teodorico non volle rischiare che il suo popolo perdesse la propria identità e quindi impose una
netta separazione tra ostrogoti e romani: proibì i matrimoni misti, non concesse l’uso delle armi
ai romani, vietò ai goti di imparare il latino e di entrare in senato, difese l’arianesimo e mantenne la
distinzione del diritto. Non attentò però al cattolicesimo, rispettò l’aristocrazia e le tradizioni
culturali romane e promosse la collaborazione tra i due popoli.
Il rispetto per la cultura romana, che aveva appreso nella sua permanenza a Costantinopoli, lo
spinse a restaurare, oltre alle mura, ai palazzi, ai granai e agli acquedotti, anche terme e anfiteatri e a
riproporre spettacoli e giochi circensi. A Ravenna, la capitale del regno, Teodorico fece costruire la
splendida basilica di Sant’Apollinare Nuovo, dedicata al culto ariano, come il battistero degli
Ariani, ma anche un suo Mausoleo, come avevano fatto Augusto e tanti altri imperatori dopo di lui.
La politica di separazione e nel contempo di collaborazione garantì alla penisola un ventennio di
pace – tanto che sul modello di quella Augusta si parla di pax Teodoriciana – che produsse benefici
effetti: favorì la ripresa della produzione agricola e dei commerci, malgrado le pessime condizioni
delle strade, e fece rifiorire la vita culturale: Milano divenne sede di un centro studi dove si
trascrivevano testi di autori classici; a Roma una scuola di grammatica, retorica, medicina e diritto
era patrocinata dallo stesso Teodorico; a Ravenna venne realizzata una preziosa traduzione dei
Vangeli in goto, scritta con inchiostro argenteo e iniziali in oro su pergamena di color porpora, il
colore degli imperatori.
11
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
Il declino
Col fallimento della sua politica estera, Teodorico perse l’appoggio della classe senatoria romana e i
rapporti con la Chiesa si fecero tesi. Il re cominciò a sospettare che si stesse costituendo un’alleanza
tra l’imperatore, la Chiesa, l’aristocrazia romana e i franchi e avviò una politica di persecuzioni nei
confronti dei senatori, che portò alla morte di Boezio nel 526 e addirittura, l’anno successivo, del
papa Giovanni I, che, inviato a Costantinopoli per trattare con l’imperatore, avendo fallito la sua
missione, fu imprigionato e lasciato morire in carcere.
Alla morte di Teodorico nel 526, la storia del regno ostrogoto in Italia si intrecciò con quella
dell’impero d’Oriente.
L’impero privilegiato
Mentre l’Occidente si sfaldava in tanti piccoli regni, l’impero d’Oriente rimaneva la più grande
potenza dell’epoca: si estendeva dai Balcani meridionali all’Asia Minore, dall’Eufrate all’Egitto, ed
era destinato a restare in vita per altri mille anni, fino al 1453, quando fu conquistato dai turchi. I
fondamenti della sua forza erano le istituzioni romane, la cultura greca e la religione cristiana.
Soprattutto nei primi secoli, l’Oriente mantenne viva l’idea che l’Occidente fosse ancora parte
integrante dell’impero romano, sebbene momentaneamente governato da usurpatori barbari, i quali,
per altro, per governare dovevano chiedere il permesso all’imperatore. Il latino restava la lingua
dell’amministrazione, del diritto e della giustizia; gli abitanti si definivano “romei”, cioè romani,
anche se la cultura dominante era quella greca e la lingua più diffusa il greco, che nel 610 divenne
la lingua ufficiale. A fare da collante tra le varie popolazioni che abitavano l’impero era anche la
religione cristiana.
che ne sottolineava la natura quasi divina. Il suo controllo sull’esercito lo rendeva molto forte e nei
confronti della Chiesa egli consolidò il cesaropapismo (memo) già avviato da Costantino:
l’imperatore nominava il patriarca di Costantinopoli, cioè la massima autorità religiosa della Chiesa
orientale, convocava e presiedeva i concili ecumenici, aveva la responsabilità di tutelare
l’ortodossia e dirimere le questioni religiose, reprimendo le eresie. Tuttavia il cesaropapismo, in
alcuni momenti, presentò anche l’altra faccia della medaglia: le contestazioni e le ribellioni a sfondo
religioso si trasformarono automaticamente in ribellioni politiche.
Memo
Il cesaropapismo era la tendenza degli imperatori a considerare la Chiesa e la sfera religiosa a loro
subordinate. Talvolta l’imperatore, il “cesare”, pretendeva di assumere funzioni e poteri del “papa”.
dida
Il fuoco greco
Tra le scoperte più rilevanti del periodo fu quella del cosiddetto fuoco greco. Si trattava
probabilmente di una miscela di zolfo o petrolio, calce viva (cioè pura, senz’acqua) e resina di pino,
che lanciata contro truppe e navi nemiche provocava incendi violentissimi che non potevano essere
spenti con l’acqua, ma, a quanto riferisce un cronista del X secolo (Liutprando di Cremona), solo
dall’aceto. Costituì a lungo l’arma segreta dei bizantini e contribuì alla loro potenza militare. Il suo
nome deriva dal fatto che “greco” e “bizantino” erano ormai usati come sinonimi: “fuoco greco”
indicava appunto l’arma segreta dei bizantini.
Geostoria
Sul Corno d’oro
13
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
Costantinopoli, l’antica Bisanzio che Costantino aveva trasformato nella propria capitale
ricostruendola tra il 324 e il 330 e attribuendole il proprio nome, costituiva un ponte tra Europa e
Asia. Ripreso anche il suo antico nome greco, Bisanzio rimase per tutto il Medioevo la “città” per
eccellenza in sostituzione dell’Urbe, tanto che il suo nome attuale Istanbul deriva dal greco eis tèn
Pólin “verso la Città”.
Edificata su sette colli, sulle rive di una penisola che si protendeva nel Bosforo e delimitata a nord
dal Corno d’oro, una stretta insenatura che fungeva da porto, la città si trovava in posizione
strategica sotto tutti i punti di vista. Risultava imprendibile via mare, perché il Corno d’oro in caso
di pericolo veniva chiuso con un sistema di catene che impediva l’accesso ai nemici e teneva al
riparo la flotta imperiale.
L’unico accesso via terra era protetto da mura sin dall’epoca di Settimio Severo (II secolo).
Costantino ne aveva costruite altre allargando la città di due terzi verso ovest. Teodosio all’inizio
del V secolo dovette ulteriormente ampliare l’estensione della città che contava un milione di
abitanti, costruendo nuove mura ancora più verso l’interno della penisola. Con un sistema difensivo
costituito da tre cerchia di mura, Bisanzio risultava inespugnabile e infatti cadde solo quando fu
costruito dai turchi ottomani, che nel 1453 assediavano la città, un gigantesco cannone tanto potente
da distruggere le sue mura.
dida
Il gioiello di Bisanzio
Un ruolo di primo piano nel costruire il mito di Costantinopoli giocò la splendida basilica di Santa
Sofia, il “gioiello di Bisanzio”, come la definì uno storico dell’epoca. Costruita da Costantino su un
antico tempio pagano e ricostruita da Giustiniano, utilizzando materiali preziosi provenienti da tutto
l’impero, persino marmi e colonne dei più famosi templi pagani, talmente imponente che si
avvistava dal mare, la basilica era il centro della fede cristiana in Oriente, la sede del patriarca che
rivaleggiava con il papa. Era in realtà solo la cappella del palazzo, la chiesa personale
dell’imperatore, che la usava come edificio di rappresentanza per le cerimonie ufficiali.
Giustiniano, nato nel 482 in Illiria da una famiglia di umilissime origini, era nipote dell’imperatore
Giustino e aveva collaborato e ispirato la politica dello zio. Quando gli succedette nel 527, trovò le
finanze dello Stato in condizioni ottime, le frontiere tranquille, un apparato burocratico esoso ma
efficiente. L’idea ispiratrice della sua politica fu la renovatio imperii, la restaurazione dell’antico
impero romano, che attuò attraverso il rafforzamento del potere imperiale, l’affermazione
dell’ortodossia cattolica in tutto l’impero, indispensabile a garantire l’appoggio della Chiesa, il
potenziamento dell’organizzazione amministrativa e giuridica, per assicurare in tutto l’impero il
rispetto delle stesse leggi, la riconquista delle province occidentali.
Glossario
Eresia monofisita
Dottrina cristiana che ammetteva solo la natura divina di Cristo, ma fu considerata contraria
all’ortodossia, quindi eretica.
Dida
Come davanti a Dio
Giustiniano impose a chi si presentava al suo cospetto di stendersi a terra con braccia e gambe ben
aperte e di sfiorare con le labbra il piede dell’imperatore e dell’imperatrice. Ma anche solo arrivare
a lui era impresa ardua, perché la sua figura era protetta da uno sbarramento di funzionari e
cortigiani, come il silenziario, che imponeva l’assoluto silenzio alla presenza del sovrano.
Generi e generazioni
Il potere di un’imperatrice
Imperatrici e Auguste
Nonostante i profondi cambiamenti del V e VI secolo, la condizione femminile non mutò
radicalmente. Tuttavia si intravidero alcuni spiragli di cambiamento, soprattutto ai livelli alti della
società. Nell’impero bizantino, ad esempio, poterono governare tre imperatrici, tra cui la potente
Irene (VIII secolo); alcune sostennero l’attività di governo dell’imperatore; altre nominarono il
successore del marito morto, altre ancora furono invece reggenti dei figli minori.
Anche se non sempre, la moglie dell’imperatore poteva essere incoronata Augusta, quindi
imperatrice (a partire dal VII secolo il termine fu sostituito da Basilissa, cioè “regina” in greco), e
15
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
allora poteva partecipare alle cerimonie pubbliche, emettere moneta, autenticare documenti con
sigilli speciali, indossare vesti e insegne imperiali, disporre di finanze autonome e di personale
amministrativo.
Imperatrice e donna
Teodora trattava accordi diplomatici con i persiani e con i goti, impartiva ordini ai governatori delle
province, teneva a bada astuti ministri di corte, prendeva provvedimenti per migliorare la sorte delle
giovani che venivano avviate a mestieri degradanti, come la prostituzione: le riscattava dai loro
padroni, le accoglieva in un ospizio e ne avviava il reinserimento sociale. Promosse leggi che
equiparavano le figlie nel diritto di successione e davano alle donne coniugate il diritto di esercitare
il controllo della propria dote.
paura: mi pare che in questo momento non sia il caso di sottilizzare quali siano o non siano le buone
regole del comportamento. […] Quanto a me, il mio parere è che proprio in questo momento la fuga
sia assolutamente inopportuna, anche se porta alla salvezza della vita. […] Ma se tu, imperatore, hai
in mente di metterti in salvo, nulla te lo può impedire: abbiamo molte ricchezze, e laggiù c’è il
mare, ci sono delle navi. Bada, però, se una volta al sicuro sarai veramente più felice e non
preferirai essere morto piuttosto che salvo» (Procopio, Le guerre. Persiana, Vandalica, Gotica,
Einaudi, Torino, 1977).
L’imperatore rinunciò a fuggire e a salvarlo giunse a marce forzate il generale Belisario che aveva
appena sconfitto i persiani in Oriente e soffocò la ribellione nel sangue, con 35.000 morti e i
cadaveri dei capi delle due fazioni gettati in mare senza sepoltura cristiana.
Dida
Da prostituta a santa
Teodora morì di cancro nel giugno del 548, Giustiniano le dedicò una provincia in Libia, la
popolazione la considerò una santa.
Fine scheda
La capitale deserta
Totila infatti comprese che non avrebbe sconfitto le truppe imperiali senza l’appoggio della
popolazione e varò quindi dei provvedimenti volti ad avvantaggiare le classi umili e a indebolire i
grandi proprietari terrieri favorevoli all’imperatore: alleggerì la pressione fiscale e le prestazioni dei
coloni, liberò gli schiavi. Riuscì così a ristabilire il potere dei goti sull’Italia settentrionale e centrale
e su Corsica e Sardegna, solo in parte su Sicilia e Italia meridionale, dove riconquistò Napoli (543).
Quando attaccò Roma, le truppe imperiali asserragliate nel mausoleo di Adriano ne usarono le
statue come proiettili di lancio contro i nemici! Totila li sconfisse, fece prigionieri i senatori e li
portò via con sé, ordinando alla popolazione, che ormai non raggiungeva più di 20 000 abitanti,
addensati soprattutto attorno alla basilica di San Pietro, di abbandonare la città e distribuirsi in
Campania: così Roma, la capitale del mondo, per una quarantina di giorni rimase completamente
disabitata!
18
Originale autore con revisione Lazzarini in rosso – Con note Amelia
Totila riuscì a salvare dai saccheggi le città riconquistate, ma non poté impedire che l’Italia subisse
le conseguenze della guerra: campi devastati, città spopolate, carestie, epidemie, miseria…
Al comando delle truppe imperiali intanto era subentrato Narsete, che nella battaglia presso Gualdo
Tadino nel 552 ottenne la vittoria e la morte di Totila, annientando così la resistenza dei goti. Nel
554 l’Italia divenne una provincia dell’impero con un decreto, la Prammatica Sanzione, che
riorganizzava il governo e l’amministrazione della penisola intorno a un esarca, un rappresentante
dell’imperatore con sede a Ravenna.
Il potere imperiale si rivelò assai più gravoso e ingiusto di quello ostrogoto. Anziché provvedere a
risollevare l’economia al tracollo, a riparare gli acquedotti ormai inutilizzabili, a ripopolare le città,
arginando il calo demografico che toccò il suo apice proprio dopo la guerra gotica (dagli 8-10
milioni di abitanti dell’età augustea, dopo la guerra gotica l’Italia non contava più di 4-5 milioni di
abitanti), l’imperatore restituì gli schiavi agli antichi padroni e si rifece delle spese di guerra
imponendo nuove pesantissime tasse.
I romani dicevano che sarebbe stato meglio essere schiavi dei goti piuttosto che dei bizantini: in
fondo i primi consideravano l’Italia una nuova patria e forse avrebbero potuto farne uno stato
unitario, come quello dei franchi, mentre la vittoria imperiale condannò la penisola ad una
drammatica divisione che si sarebbe sanata solo nel 1861, con l’unità d’Italia.
L’impero in difficoltà
Nell’ultimo quindicennio di regno Giustiniano fu costretto a controllare con crescente difficoltà i
territori conquistati, a fronteggiare la grave crisi economica e l’ostilità dei persiani a est – che nel
540 attaccarono la Siria e deportarono la popolazione di Antiochia – e di una nuova popolazione che
si affacciava a nord, gli slavi. Neppure l’impero d’Oriente poteva sostenere attacchi simultanei da
Oriente e da Nord, così l’imperatore dovette accettare di limitare il suo potere entro i confini
consolidati.
A peggiorare la situazione, dal 541 era intervenuta la peste bubbonica che, scoppiata in Etiopia, si
era diffusa in tutto il Mediterraneo, dalla penisola iberica alla Persia e imperversò fino al 580. La
popolazione ne venne decimata: nella sola Costantinopoli morì più di un terzo degli abitanti.
Giustiniano morì molto vecchio, il 14 novembre del 565, dopo quasi quarant’anni di regno,
lasciando l’erario privo di risorse e un impero traballante: il suo sogno non aveva fatto i conti con la
realtà, ma, in compenso, il suo codice di leggi mantiene viva la sua memoria ancora oggi.
19