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(1976)
Introduzione
K. Lehmann
Presidente della sottocommissione
1. Le situazioni di povertà e d’ingiustizia come punto di partenza d’un
movimento teologico
Per il cristiano illuminato dal Vangelo, questi « segni dei tempi » costituiscono
una delle sfide più provocanti; lo incitano a compiere, in nome della fede, tutti
gli sforzi possibili per liberare questi suoi fratelli dalla loro inumana condizione.
Quest’interessamento per i miseri e quest’alleanza con gli oppressi trovano
espressioni particolarmente suggestive nelle parole bibliche di giustizia,
liberazione, speranza, pace.
Questo modo di pensare comporta molti elementi di gran valore; bisogna infatti
che il cristiano percepisca più pienamente l’unità totale della sua chiamata alla
salvezza [4]. Senza alcun dubbio la fede, intesa in senso biblico, raggiunge tutta
la sua fecondità e la sua pienezza solamente nelle azioni. Il Concilio Vaticano
II [5] ricorda a sua volta che lo Spirito Santo agisce nella storia del mondo; che
anche fuori della Chiesa visibile si ritrovano, fino a un certo punto, i preamboli
della fede, cioè le verità e le norme concernenti Dio e il bene comune,
accessibili alla sana ragione e che costituiscono come la base della religione
cristiana [6].
a) L’Antico Testamento
Nel pensiero dei profeti, i rimedi ai mali sociali possono venire attraverso le vie
più diverse; tuttavia in essi si percepisce più uno scetticismo che si domanda se
l’uomo sia veramente capace di costruire un mondo diverso da com’è, che non
un ottimismo che alcuni credono fondato sopra una teologia della storia. Una
cosa è però certa: essi pongono come esigenza previa un atteggiamento che è
propriamente quello della conversione interiore e della giustizia. « Cessate di
fare il male! Imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso,
rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova » (Is 1, 16 s.).
Ancora: è necessario che Dio accordi agli uomini la possibilità di realizzare una
maggiore giustizia nei rapporti sociali; in fin dei conti solo Dio può provvedere
efficacemente ai diritti e al vero bene degli uomini, soprattutto degli oppressi
(cf. Is 1, 24 ss.; Es 3, 7-9; Sal 103, 6; 72, 12 ss.; Dt 10, 17 ss.). Dio opera la
salvezza al di là delle iniziative buone o cattive degli uomini.
Bisogna sottolineare, infine, che, nei passi apocalittici della fine dell’Antico
Testamento, la speranza d’una vita futura al di là dell’esistenza presente e la
teologia della storia proclamano con singolare insistenza l’esperienza della
debolezza umana e l’onnipotenza di Dio.
b) Il Nuovo Testamento
Tuttavia non è necessario dilungarsi sul fatto che la Buona Novella del Cristo e
l’etica del Nuovo Testamento hanno apportato molte norme direttive e modelli
di condotta atti, per loro natura, ad ispirare una « critica sociale ». Basta pensare
al precetto dell’amore verso il prossimo e verso il nemico (cf. Lc 6, 35; Mt 25,
31-46), agli avvertimenti e alle minacce profferite nei riguardi dei ricchi e dei
sazi (per es. Lc 6, 24 ss.; Mt 6, 24; 1 Cor 11, 20 ss.; Gc 2, 1 ss.; 5, 1 ss.),
all’obbligo di prendersi cura dei poveri e dei malati (cf. Lc 6, 20; 1 Cor 12, 22
ss.), al comando dato indistintamente a tutti di soccorrere gli altri (Mc 10,
21; Lc 12, 33), alla diffida di ogni dominazione dell’uomo sull’uomo
(cf. Mc 10, 42-45; Mt 20, 25-28; Lc 22, 25-27) a motivo della fraternità
universale degli uomini (cf. Mt 23, 8; 25, 41 ss.).
La luce irradiata dallo stesso Nuovo Testamento mostra che non c’è vero
cambiamento della società senza riconciliazione dell’uomo con Dio e con gli
altri uomini. La vita umana può assumere, in maniera sufficiente e costante, una
piega migliore solo se gli uomini diventano « nuove creature » mediante la
conversione e la giustizia. I diritti, il benessere, la liberazione dell’uomo si
collocano dunque non nell’ordine dell’« avere », ma primordialmente
all’interno dei limiti che definiscono l’« essere », e, ovviamente, con le
conseguenze che ne derivano quanto alla riforma di tutte le condizioni
dell’esistenza umana.
Com’è già stato notato, non tutti gli enunziati dell’Antico Testamento in materia
di liberazione potrebbero continuare a valere sotto ogni rispetto nello stato di
cose instaurato dal Nuovo Testamento. La Rivelazione di cui siamo stati
gratificati nel Cristo divide il corso ininterrotto della storia della salvezza in
tempo di promessa e in tempo di attuazione. Ciò che unisce i due Testamenti è
l’assicurazione che solo Dio, signore supremo e sovranamente libero, procura
il bene degli uomini; lui solo è il liberatore nel senso vero della parola.
Evidentemente, per comprendere quest’affermazione della fede occorre
convenire che i bisogni dell’uomo non sono ridotti alle sole difficoltà
economiche e materiali; occorre tener presente la totalità di quanto comporta la
sua condizione di pericolo e di perdizione. Tuttavia questa ferma asserzione che
Dio solo libera veramente non dev’essere presa come un’affermazione analoga
a un mito (come se si trattasse d’un deus ex machina); ricorrere a un mito del
genere significa piuttosto favorire l’inerzia, l’immobilismo e il torpore negli
uomini che si trovano in miseria. Dalla fede genuina le condizioni inumane
d’esistenza non possono attendersi né scusanti né complicità. Dio non
interviene nel tumulto d’una rivoluzione, ma la sua grazia fortifica lo spirito e
il cuore degli uomini, affinandone la coscienza e spingendoli a lavorare,
sostenuti dalla fede viva, alla costruzione d’un mondo più giusto.
A tal fine bisogna che tutt’intero l’uomo venga liberato da tutte le potenze
malvage. Perciò una conversione che sia autenticamente efficace (metánoia) e
il rinnovamento della carità verso Dio e verso il prossimo sono gli elementi che
conducono realmente alla liberazione. La liberazione completa, tuttavia,
secondo la fede cristiana, non si compie durante il corso degli avvenimenti
terreni, cioè nella storia. Questa, in effetti, conduce alla « nuova terra » e alla «
città di Dio »; di conseguenza, durante questa fase, ogni azione liberatrice è
contrassegnata da un carattere transitorio e soggetta a divenire materia d’un
verdetto al tempo dell’ultimo giudizio (cf. Mt 25).
Da una parte la storia concreta è in certo modo il luogo in cui il mondo viene
trasformato al punto da toccare il mistero stesso di Dio. Perciò « permangono »
la carità e il suo frutto. Questa è la ragione ultima della possibilità d’un elemento
che leghi il benessere e il diritto con la salvezza, anche se non si ha unione piena
giacché l’avvenimento escatologico viene ad « abolire » e a « far passare » la
storia concreta.
Tale è certamente la soluzione formale del nostro problema, appoggiata dai fatti
principali della Rivelazione. Ma nel progresso concreto di questa relazione si
possono percepire diverse maniere secondo cui lo stesso rapporto si traduce nei
fatti, e che danno luogo a forme particolari diverse tra loro. Per scegliere
correttamente le modalità d’applicazione di questa soluzione nel corso della
storia e, per esempio, nelle regioni appartenenti rispettivamente al vecchio, al
nuovo e al terzo mondo, bisognerà procedere in maniera diversa. Ciò che è
valido per i Paesi dell’Europa e dell’America del Nord, i più avanzati nello
sviluppo industriale stimolato dal profitto, non ha il medesimo valore per i
continenti e per le zone la cui popolazione, in gran maggioranza, soffre la
penuria. Tuttavia, a qualsiasi grado si verifichi questa diversità, non è consentito
derogare al rapporto fondamentale riconosciuto più sopra tra promozione
umana e salvezza cristiana. Per questo si hanno criteri esenti da ambiguità. Si
compromette, per esempio, tale rapporto fondamentale se si privilegia l’azione
per la liberazione sociale e politica al punto da relegare in secondo piano il culto
verso Dio, la preghiera, l’Eucaristia e gli altri sacramenti, l’etica individuale, i
problemi dei fini ultimi (la morte e la vita eterna), la lotta austera da sostenere
nella storia contro i poteri delle tenebre [21]. Ma, d’altra parte, in situazioni di
peccato e d’ingiustizia, bisogna proclamare e mettere in pratica le verità della
fede or ora ricordate. In tal modo si rende giustizia al regno di Dio e si svuota
l’obiezione spesso formulata, secondo cui la Chiesa getta un velo sulla miseria
degli uomini, e addormenta i poveri nel loro stato di bisogno. Apportare un vero
conforto e fomentare una speranza falsamente consolatrice, che si limita ad
attutire il senso della sofferenza, sono due cose totalmente diverse.
L’unità della Chiesa, invece, corre un serio pericolo se le differenze esistenti tra
le « classi » sociali sono assunte nel sistema della « lotta di classe ». Non si
possono del tutto evitare certe contese là dove esistono disuguaglianze tra le «
classi ». Il cristiano si distingue anzitutto per la maniera con cui cerca di
risolvere tali conflitti: non preconizza il ricorso alla violenza contro la violenza,
ma si sforza d’ottenere un cambiamento della situazione con mezzi diversi,
quali la formazione delle coscienze, lo scambio di vedute, l’appoggio accordato
ad azioni non violente.
Ma la genuina liberazione cristiana, che conduce alla libertà, non può venire
ostacolata neppure in queste situazioni estreme. Ciò costituisce la nostra
suprema consolazione e il cardine principale della nostra fiducia.
Conclusione
Ma, in seno alla Chiesa, nessuno parla soltanto per sé. Bisogna che tutti sentano
il grido dei loro fratelli, in qualsiasi parte del mondo siano; di tutti coloro che
subiscono trattamenti ingiusti, che sono schiacciati dalla sofferenza, che
sopportano la povertà e il tormento della fame. In ciò noi dobbiamo imparare
gli uni dagli altri, per non applicare una volta di più, sotto nuova forma, quelle
soluzioni sbagliate che, nel corso della storia della Chiesa e delle società umane,
vennero attuate a prezzo di molte sofferenze. Come dimenticare quale esempio
rappresenti, al riguardo, l’esaltazione radicale della dimensione politica?
In questo sforzo noi ci troviamo uniti mediante l’azione dello Spirito del Cristo.
A tale riguardo l’unità e la cattolicità della Chiesa nella varietà dei popoli che
la formano, così come nella varietà dei tipi di civilizzazione umana,
costituiscono per noi un dono e un’esigenza.
Quanto è stato laboriosamente acquisito non deve venir messo in pericolo alla
leggera. Ciò vale in maniera del tutto particolare per tutti quei problemi posti
dal rapporto tra promozione umana e salvezza cristiana.
[3] Talvolta si rimanda alla Gaudium et Spes, n. 39 (Terra nuova e cieli nuovi).
[4] Cf. Gaudium et Spes, nn. 10, 11, 57, 59, 61; Ad Gentes, n. 8;
Enc. Populorum Progressio, nn. 15-16.
[5] Cf. Gaudium et Spes, nn. 22, 26, 38, 41, 57; Dignitatis Humanae, n. 12.
[8] Cf. lo schema della Pontificia Comm. Iustitia et Pax: The Church and
Human Rights, Città del Vaticano 1975.
[10] Gaudium et Spes, nn. 36, 38, 39, 40, 42, 43, 58; Apostolicam Actuositatem,
n. 7.
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_
cti_1976_promozione-umana_it.html