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Canto 21

Il canto ventunesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella quinta


bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti imalversatori; siamo nel mattino
del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26
marzo 1300.

Incipit
« Canto XXI, il quale tratta de le pene ne le quali sono puniti coloro
che commisero baratteria, nel quale vizio abbomina li lucchesi; e qui
tratta di dieci demoni, ministri a l’offizio di questo luogo; e cogliesi
qui il tempo che fue compilata per Dante questa opera. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

La bolgia dei barattieri - versi 1-21


Continuando a parlare di cose che la «Comedía» non
riporta, Dante e Virgilio arrivano sul culmine («il colmo») del ponte che dà
sulla quinta bolgia, e guardando giù Dante la vede «mirabilmente oscura» a
causa di una pece nera che vi bolle gonfiandosi spesso in superficie. Per
descriverla Dante inizia una lunga similitudine paragonandola a quella che
d'inverno viene fatta bollire nell'Arsenale di Venezia: l'inverno era infatti
tempo di manutenzione delle navi e Dante si dilunga descrivendo con minuzia
le attività degli operai navali: quando non si può navigare c'è chi costruisce
nuove barche, chi tura con la stoppa le falle, chi ribatte la prua e chi
la poppa, chi fabbrica remi e chi sartie, chi rattoppa ilterzeruolo (la vela
più piccola) e chi l'artimone (vela di gabbia posta sopra quelle più grandi)...
e Dante descrive con tale vivida minuzia il quadro che sembra di vederselo
davanti, mostrando una profonda conoscenza di termini tecnico-navali,
tanto che alcuni hanno ipotizzato che Dante fosse veramente stato a
Venezia a vedere i cantieri navali, cosa però che non trova riscontri nella
cronologia della biografia del poeta.
Dante sta quindi guardando la pece che ribolle, ma qui all'Inferno non lo fa
per via del fuoco che la riscalda ma «per divin'arte», e invischia dappertutto
le due rive. Dante è un po' sorpreso di non vedervi nessun dannato, ma solo
bolle.

Arrivo di un peccatore - vv. 22-57


Mentre il poeta è così preso dall'osservazione non si accorge di una nera
ombra che gli si avvicina alle spalle. «Guarda, guarda!» (fai attenzione!!)
ammonisce Virgilio, e Dante si gira, ma «come l'uom cui tarda / di veder quel
che li convien fuggire» egli rimane immobile, paralizzato dalla paura del
pericolo ormai troppo vicino per essere evitato (da notare
lasuspense finché il pericolo non viene esplicitamente descritto). Si tratta
di un «diavol nero», che dietro ai due poeti sta risalendo il ponte di corsa
ad ali spiegate. Porta sulle spalle, sull'«omero aguto e superbo» un
peccatore piegato in due e con un uncino gli attraversa il «nerbo»,
il garretto, come si fa con la selvaggina. Come in una farsa il diavolo non si
cura minimamente dei due pellegrini e inizia a vociare: (parafrasi)
"Oh Malebranche, ecco uno degli anziani (cioè dei priori) di Santa
Zita (Lucca, città devota alla santa)! Mettetelo sotto, che io torno in quella
città che è ben fornita di questi peccatori: lì sono tutti barattieri,
tranne Bonturo (frase ironica, Bonturo Dati era rinomatamente il più
corrotto di tutta Lucca); lì (a Lucca) il no con il denaro si fa diventare ita,
(cioè "si" in latino, passi una delibera che doveva essere bocciata)".
Nella pece sono puniti quindi i barattieri, che nel lessico giuridico
del Medioevo indicavano generalmente gli imbroglioni che arraffavano
denaro sottobanco o ottenevano altri vantaggi con la frode e quindi, più nello
specifico, anche i concussori o magistrati corrotti. Il contrappasso è
piuttosto generico e consiste nel fatto che come in vita essi agirono al
coperto invischiando le loro vittime, adesso sono immersi nel buio nero della
pece (come sintetizzato al verso 54). I diavoli, verrà detto presto, hanno il
compito di uncinare chi tenta di uscire anche solo per affacciarsi, un po'
come fanno gli sguatteri dei cuochi quando spingono giù le carni che
affiorano in una pentola che bolle (similitudine ai versi 55-57). Essi non sono
interpretabili secondo un contrappasso preciso, ma la loro presenza
innescherà un episodio tra il faceto e il grottesco che avrà come tema
principale quello della furberia e che verrà sviluppato anche nei prossimi
due canti.
Il diavolo quindi scarica il dannato e riparte per risalire il ponte, più veloce
di un mastino che insegua un ladro («lo furo»). Inizia qui la lunga e prolifica
serie di similitudinianimalesche che Dante usa continuamente in questa
bolgia: sono dovute sia alla bestialità di questi dannati, sia a sottolineare lo
stile comico delle scene che il poeta si appresta a mettere su, dalla
struttura in tutto e per tutto simile a quella delle commedie popolaresche
da palcoscenico.
Il dannato, secondo studi d'archivio sulla sua data di morte avvenuta nel
periodo pasquale del 1300, sarebbe Martino Bottario, un membro del
consiglio lucchese degli anziani.
Dopo essere stato tuffato nella pece dal diavolo, il dannato «torna sù
convolto», raggomitolato (o "piegato", secondo l'italiano antico) dal bollore
e grondante di pece. Allora i diavoli, nascosti sotto il ponte, iniziano a
prenderlo in giro beffardamente con ironia malvagia: «Qui non ha loco il
Santo Volto!» (parafrasi: "Eh no, qui non c'è il Volto Santo di Lucca!") che
si può intendere sia come se il dannato fosse tornato su per pregare la santa
reliquia del Duomo di Lucca, sia, in maniera più blasfema, che ben si addice
al linguaggio dei diavoli, come se il dannato atteggi il suo volto, tutto nero
per la pece, a mo' del Volto Santo, che è appunto un Crocifisso di legno nero,
per chiedere pietà. Seguitano poi "qui non si nuota (per diletto) come
nel Serchio! Se non vuoi provare i nostri graffianti uncini non venire a galla,
non fare da coperchio alla pece!" e mentre l'"addentano" con cento ganci
appuntiti («raffi») contuinuano con il loro comico sarcasmo: "Qui conviene
ballare al coperto, così come hai arraffato nascostamente".

Colloquio tra Virgilio e Malacoda - vv. 58-114


È il momento di "entrare in scena" per i due poeti. Virgilio fa nascondere
Dante «giù t'acquatta» dietro a una roccia («scheggio», da notare la scelta
di questi termini di estrazione più popolaresca e vernacolare) e di non
preoccuparsi per lui: non gli accadrà niente perché conosce la strada in
quanto l'ha già fatta (Dante lo ha già saputo dal suo maestro nell'episodio
narrato in Inf. IX, 22). Virgilio attraversa quindi il ponte e, arrivando sul
sesto argine (che divide la quinta bolgia dalla sesta), sta con la fronte alta
come ostentando sicurezza (anche qui un elemento farsesco). Come i cani
che si avventano contro un poverello che chieda l'elemosina e quello sia
costretto a arrestarsi e doverla chiedere lì dove si trova, così Virgilio è
accerchiato dai diavoli usciti da sotto il ponte che «volser contra lui tutt'i
runcigli». Virgilio però grida: «Nessun di voi sia fello [malvagio]!»,
fermandoli. Continua poi chiedendo di poter parlare con uno di loro prima di
essere semmai afferrato, al che i diavoli chiamano in coro
«Vada Malacoda!». Malacoda è un po' il capitano di questa "truppa" di diavoli
(che presto daranno luogo a una parodia militaresca) e si presenta a Virgilio
dicendo «Che li approda?», "A che pro?". Virgilio, chiamando il diavolo per
nome, gli spiega che se sono giunti fin laggiù, al sicuro da tutti gli "schermi"
(ostacoli) infernali, come può egli credere che non sia stato per «voler divino
e fato destro»? Variando un po' sul tema del vuolsi così colà dove si puote,
Virgilio stupisce il diavolo con la sua missione divina e Malacoda, sbalordito,
con un gesto plateale di sconforto, fa cadere l'uncino e si raccomanda agli
altri diavoli che essi non feriscano i due. Virgilio, allora, chiama Dante, che
sgattaiola dal suo nascondiglio e si affretta a raggiungere il suo maestro. I
diavoli gli si stringono allora attorno con sembianza «non buona»
(efficace litote) e il poeta assimila sé stesso ai fanti pisani della Rocca di
Caprona quando, dopo la resa del 6 agosto 1289, uscirono sfilando accanto
ai nemici minacciosi; si tratta di un episodio secondario della Battaglia di
Campaldino al quale Dante afferma di aver personalmente assistito.
Due diavoli "semplici" della truppa allora continuano a guardare
malignamente Dante che è appoggiato alle spalle di Virgilio, e parlano tra di
loro facendo finta che Dante non li senta: «Vuo' che 'l tocchi [con l'uncino]
in sul groppone?»; «Sì, fa che gliel'accocchi.» (da notare il linguaggio
comicamente sguaiato dei due). Malacoda, che li ha adocchiati, però si
affretta a dire «Posa, posa Scarmiglione!». Questi diavoli sono minacciosi
ma non c'è niente di spaventoso nelle loro azioni, Dante non è indignato o
inorridito, ma è come un semplice attore che sa di non avere nulla da temere.

Datazione del viaggio dantesco - vv. 106-114


L'attenzione torna sul dialogo di Malacoda con Virgilio: "Non si può andare
oltre questo argine, perché il ponte giace spezzato sul fondo della bolgia.
Ma se seguitate a camminare su questa roccia più avanti ce n'è un altro.
Proprio ieri, cinque ore prima di adesso, mille e duecento sessanta sei anni
fa tale via crollata " (parafrasi dei versi 106-114). Notevolissimo è il senso
grottescamente ridicolo che Dante è riuscito a rendere con la sua poesia in
questo dialogo: in tutto l'Inferno bene o male tutti vari guardiani ed esseri
diabolici hanno ceduto il passo, ma nessuno si è messo a dare informazioni
"turistiche" ai due pellegrini tranne questo "povero diavolo"; inoltre il suo
preciso riferimento orario ricorda la gag di un comico che con disinteresse
snocciola un dato così esatto che sembra che non abbia pensato ad altro
che a calcolarlo negli ultimi mille anni.
Il riferimento comunque è prezioso per datare l'epoca immaginata da Dante
per il suo viaggio: se infatti egli riteneva che Gesù fosse morto a
mezzogiorno del 25 marzo dell'anno 34 (il giorno della Crocifissione veniva
a quel tempo fatto coincidere con l'anniversario dell'incarnazione), da
questi versi risulta che in quel momento erano le sette del mattino del 26
marzo 1300 e che, di conseguenza, il viaggio dantesco iniziò il 25 marzo
1300. Anche se il passo in esame non fa riferimento ad alcuna solennità
religiosa, ma fornisce semplicemente una misura di tempo precisa all'ora,
alcuni commentatori, supponendo che Dante non considerasse in maniera
"mobile" ma fissa la data della Pasqua, lo ritengono un indizio del fatto che
egli si mise in viaggio di Venerdì Santo, cioè l'8 aprile 1300.

La pattuglia dei diavoli - vv. 115-139


Malacoda prosegue mandando una truppa di dieci diavoli, incaricata di
controllare che i dannati non escano dalla pece, e decide di far loro
accompagnare i due pellegrini, rassicurandoli che «non saranno rei». Inizia
allora a chiamare i diavoli uno ad uno:
« "Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina,"
cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo,


Cirïatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo. »
(vv. 118-123)
Questo pittoresco corteo, che si può solo immaginare dai nomi e dai vari
aggettivi che Malacoda attribuisce ai diavoli, si sistema quindi a mo' di
truppa militare in procinto di partire. Ma Dante è un po' turbato da questa
scorta non richiesta e temendo da loro qualche brutta sorpresa se ne
lamenta con Virgilio di nascosto: (parafrasi) "Maestro, ma che vuol dire
questo? Tu la strada la sai, perché non andiamo da soli? Io la scorta non la
chiedo... non vedi come digrignano i denti e come si strizzano l'un l'altro le
ciglia minacciosi?". Dante ha infatti notato che i diavoli si intendono tra di
loro: nel prossimo canto si scoprirà che Malacoda stava mentendo
deliberatamente, e gli altri stavano al gioco, dopotutto questo è il girone
dei "fraudolenti"; Virgilio però lo rassicura ingenuamente, dicendo che quelli
sono segni che essi fanno per questioni che riguardano i dannati, non loro.
Vedremo presto di nuovo (dopo l'episodio delle mura di Dite) come Virgilio-
"personificazione della Ragione" a volte si faccia ingannare dalla "malizia",
da bassezze così smaccate e volgari che per lui sono dopotutto inconcepibili.
I diavoli si mettono allora in plotone con la lingua pronta tra i denti per
imitare il verso della partenza, aspettando il cenno del loro «duca», cioè
della loro guida Barbariccia:
« ed elli avea del cul fatto trombetta »
(v. 139)
Si chiude con questo gesto sconcio, ma degnissimo della situazione, il primo
atto della "commedia" infernale.

Dante e lo stile comico


Il canto si apre con la menzione della «Comedía» che Dante sta scrivendo,
in un inciso apparentemente marginale ma denso di significato: secondo
la dottrina medievale degli stili, infatti, la Commedia di Dante sarebbe
dunque un'opera in stile medio e dai contenuti bassi. Questa medietà dello
stile nasconde in realtà il sublime cristiano esemplificato sulla Bibbia, opera
umile nella forma, perché si rivolge a tutti narrando la vita di persone
semplici, ma sublime nei contenuti, dal momento che parla della salvezza
dell'intera umanità.
Il canto, così come i seguenti che pure parlano dei barattieri, è "comico"
anche in quanto ha le movenze proprie di una commedia rappresentata sul
palcoscenico: la scena si anima di una pluralità di personaggi le cui parole e
azioni si intrecciano con ritmo movimentato (così raro in Dante, che è più a
suo agio concentrandosi su singole figure isolate); tale movimento narrativo
è anticipato già dalla similitudine che descrive la pece, allargandosi a
rappresentare, con grande vivezza, tutta l'attività dell'arsenale
di Venezia durante l'inverno, quando le navi non possono navigare e ci si
occupa allora della manutenzione. Il tono del canto è ora burlesco, ora
ironico, il lessico spesso popolare (come nelle parole dei diavoli: «pegola»
per pece, «accaffi» = arraffare, «gliene accocchi», «sciorina», «ed elli avea
del cul fatto trombetta»), le altre similitudini tratte dalle situazioni più
umili (la carne che galleggia in pentola, il «poverello» fermato dai cani
mentre chiede l'elemosina). I diavoli, anziché ispirarsi alla tradizione
classica come per molti altri custodi dell'Inferno, attingono alle fantasie
popolari: contribuisce al tono particolare del racconto anche l'enumerazione
dei loro nomi, tutti inventati tranne due che sono tratti dalla tradizione
medievale (Alichino, che poi diventerà Arlecchino nelle commedie,
e Farfarello). E già in questa prima parte si possono distinguere alcune
sfumature della comicità usata: lo scherno verso il nuovo dannato, che non
deve credere di essere nel Serchio, l'ironia su Bonturo, la parodia "eroi-
comica" della marcia militare, lo sberleffo blasfemo («Qui non ha loco il
Santo Volto»), il grottesco nei nomi e i modi dei diavoli, il gioco delle astuzie
nel dialogo tra Virgilio e Malacoda, il volgare "plebeo" nel peto di
Barbariccia...
Alcuni critici ottocenteschi, a partire da Francesco De Sanctis, negarono
l'esistenza di un Dante comico, sottolineando invece il sarcasmo superiore,
anche se forse gravava su queste valutazioni il pregiudizio che la
poesia impegnata non potesse essere comica. Alcuni (Riccardo
Bacchelli, Natalino Sapegno) sottolinearono gli aspetti atroci di questo
canto, che sono pure presenti ma in una luce del tutto priva di dolore e di
paura, oppure sottolinearono uno sbigottimento del poeta un po' forzato.
Anche una possibile spiegazione allegorica del passo ha dato in alcuni casi
risultati forzati e inammissibili.

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