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ERNEST

JONES
VITA E OPERE
DI FREUD
I. GLI ANNI DELLA FORMAZIONE
E LE GRANDI SCOPERTE
(1856-1900)

Jfr.
IL SAGGIATORE
Il libro
In questo libro monumentale, che gli psicoanalisti chiamano «la biografia»
per eccellenza, jones, il più fedele forse ed equilibrato tra i discepoli di
Freud, racconta la vita del maestro e i drammatici sviluppi della sua dot­
trina. Sul registro dei fatti, il primo volume allinea le vicende di Freud
dalla nascita alla laurea in medicina, presa un po' a malincuore nel 1885
da uno studente che si sentiva negato all'esercizio della professione e sem­
brava non avere altro obiettivo che ,quello di guadagnarsi la vita. Vice­
versa si rivela subito un clinico e un istologo di prim'ordine. Tra difficoltà
economiche, angolosità di carattere, crisi di gelosia pressoché nevrotiche,
Freud riesce frattanto, dopo 4 anni di fidanzamento, a sposare quella Martha
Bernays, che rimarrà la sua incomparabile compagna. Sono tratti che dànno
già l'idea delle contraddizioni e incompatibilità con se stesso da cui era af­
flitto l'uomo destinato a guarire appunto questi «complessi». Tra il 1882
e il 1894, mentre lavorava nel campo neurologico, l'incontro e la collabo­
razione con Breuer destano i suoi interessi per la psicopatologia.
Il punto di partenza era stato l'alleviamento delle manifestazioni morbose
attraverso la reviviscenza e la confessione, da parte del paziente, di ricordi
che costui ignorava. Ma il procedimento impiegato da Breuer per ottenere
quelle'reviviscenze era ancora l'ipnotismo. Esperienze più larghe permisero
a Freud di intuire la funzione dei processi inconsci e il partito che si poteva
trarne per il trattamento delle nevrosi; di giungere ad abbandonare l'ipno­
tismo, sostituendolo col metodo delle associazioni libere e mettendo a par­
tito il «materiale» dei sogni. L'altra, e più «scandalosa», scoperta era stata
quella dell'azione esercitata dalla sessualità per sprofondare nell'inconscio
i ricordi più traumatici. Ma ci voleva una psiche a suo modo insidiosissima
per giungere cosi a fondo nei problemi della psiche. Sigmund Freud in
persona è, in certo senso, il primo dei «casi» che egli sottopone al corag­
gio della propria osservazione. Matura intanto, durante lo stesso periodo,
quella Interpretazione dei sogni (1900) che, passata dapprima quasi sotto silen­
zio, doveva diventare una delle basi della nuova psicologia del profondo.
Storia, critica, testi LA CULTURA LVIII

L'Autore
Ernest Jones (1879-1958) studiò a Londra, Parigi, Monaco e Vienna, dove
incontrò Freud, negli anni in cui le linee maestre della psicoanalisi erano
ormai ~racciate. E della nuova scienza egli divenne uno dei seguaci più in­
telligenti e fermi, tanto da salvarne la compagine di grande movimento
internazionale, anche in circostanze e tra polemiche che avrebbero potuto
comprometterla. Fu lui intanto a svolgere in America una efficace propa­
ganda della psicoanalisi, durante il periodo (19°8-1913) in cui gli era affi­
dato l'insegnamento della neuropsichiatria all'Università di Toranto. E su­
bito, al suo ritorno in Inghilterra, fondò una società britannica e un «In­
ternational J ournal» per la diffusione delle dottrine e della terapia freudiana.
Nel 192.7 divenne presidente della International Psycho-Ana(ytical Association.
Ma alle iniziative teoriche affiancò sempre l'esercizio e il perfezionamento
della pratica medica: ne sono prova la fondazione, a Londra, di un Istituto
di psicoanalisi e di una Clinica psicoanalitica. Oltre che a più specifiche ri­
cerche sulla sessualità infantile, Jones si dedicò all'applicazione dei nuovi
criteri di indagine, al folklore, alla storia delle religioni, alla letteratura
(A Psycho-Ana/ytic Study of Ramlet, 1922; Ramlet and Oedipus, 1949).
Efficacissimo divulgatore, ha consegnato i risultati di questa sua attività
a un'opera giustamente famqsa, Psycho-Ana(ysis (192.8), e tradotta anche in
italiano (Che cos'è la psicoanalisi?, Firenze 1952.). Accanto ai tre volumi
sulla Vita e opere di Freud, comparsi a Londra e a New York tra il 1953 e
il 1957, e considerati il suo capolavoro, vanno ancora ricordati, trai suoi
numerosi lavori: Papers on Psycho-Ana(ysis (<<Documenti sulla psicoana­
lisi», Londra 1913 e 1939); Essays in Applied Psycho-Ana(ysis (<<Saggio di
psicoanalisi applicata», ivi 192.4 e 195 I); Social Aspects of Psycho-Ana­
(ysis (<<Aspetti sociali della psicoanalisi», ivi 192.4); Zur Psychoana/yse· der
christlichen Religion (<<Sulla psicoanalisi della religione cristiana», 192.8).
Ernest Jones

VITA E OPERE DI FREUD

I: Gli anni della formazione e le grandi scoperte

1856-1900

Traduzione di Arnaldo Novelletto


e di Margherita Cedetti Novelletto

Il Sa88iatore

© Basic Books Ine., New York 19H


e Il Saggiatore, Milano 1962
Proprietà letteraria riservata
Titolo originale: The Life and Work oJ Sigmund Freud
Prima edizione: Settembre 1962
Sommario

7
Introduzione
17 Prefazione

23 Elenco delle abbreviazioni

25 I Le origini (1856-1860)

42 II Fanciullezza e adolescenza (1860-1873)

56 III La scelta della professione (1813)

67 IV Studente di medicina (1873-1881)

92 V La carriera mediea (1881-1885)

113 VI L'episodio della cocaina (1884-1887)


137 VII Il fidanzamento (1882-1886)
182 VIII Il matrimonio (1886)
199 IX Vita privata (1880-1890)
248 X Il neurologo (1883-1897)
275 XI Il periodo di Breuer (1882-1894)
328 xn La psicopatologia dd primo periodo (189°-1897)
35° XIII TI periodo di Fliess (1887-19°2)
386 XIV L'autoanalisi (dal 1897)
397 XV Vita privata (189°-19°0)
421 XVI L'interpretazione dei sogni (1895-1899)
43 8 XVII La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (1900)

4 84 Indice analitico
Introduzione

Questa· Vita e opere di Freud, che esce adesso anche in italiano, è il


lavoro cui Ernest Jones ha dedicato il massimo del suo impegno e delle
sue energie. :e anche il suo canto del cigno, visto che la pubblicazione in
inglese dell'ultimo volume (1957) ha preceduto di pochi mesi la morte
dell' Autore (11 febbraio 1958).
«La biografia» - come è comunemente chiamata questa poderosa opera
nei circoli psicoanalitici - è di gran lunga il più completo panorama oggi
esistente sulla vita di Freud, sia considerata nei suoi aspetti personali, sia
in quanto inestricabilmente connessa al sorgere e agli sviluppi della psi­
coanalisi. Giova ricordare che Jones dedicò tutta la sua vita non solo alla
teoria e alla pratica della scienza fondata da Freud, ma a una intensa
collaborazione con il maestro, a una vera e propria soda/itas durata alcuni
decenni, a una devota fedeltà scientifica che si protrasse sino al suo ultimo
respiro. Partecipe di molte vicende personali e dottrinali di Freud, confi­
dente dei suoi familiari, tenace e scrupoloso annotatore, Jones era la
persona più indicata per scrivere quest'opera veramente monumentale,· che
seguiterà senza dubbio a esercitare una notevole influenza su parecchie ge­
nerazioni di studiosi, e che già oggi si allinea tra i migliori esempi del
genere. Quando essa apparve nell' originale, non pochi gridarono al capo­
lavoro, e una delle più diffuse riviste statunitensi la classificò fra le più
importanti biografie dei nostri tempi.
Chi ha conosciuto Jones (e lo scrivente ha avuto con lui molti cordiali
contatti) sa che la sua personalità era per vari rispetti differente da quella
di Freud, ma che egli aveva con Freud un tratto comune: l'amore per la
verità, l'assoluta integrità morale. Tanto Freud che Jones erano soggetti
a sbagliare, e disposti a riconoscere i propri errori (Freud ancor più di
8 Introduzione

Jones); ma sia l'uno che l'altro rifuggivano dai compromessi; nessuno dei
due avrebbe mai accettato di dire o scrivere o porre in atto se non ciò cui
fermamente credeva.
La sua fondamentale onestà, e potremmo quasi dire pignoleria di biografo,
fa si che l'opera di Jones abbondi di particolari preziosi, relativi a tratti
intimi e personalissimi sia di Freud, sia delle varie e cospicue individualità
che lo attorniarono - a cominciare naturalmente dai suoi immediati disce­
poli. Di questa ricchezza d'informazione, qualsiasi lettore della biografia
deve e dovrà essere grato a Jones, anche se non sempre e non in tutto si
troverà d'accordo con le sue valutazioni e con i suoi giudizi. Taluni aned­
doti, che Jones fedelmente e impassibilmente riferisce (come i silenzi di
Freud commensale, certe sue candide e taglienti risposte, la sua non meno
mordace autoironia), rivelano l'umanità di Freud assai più che molte pagine
di dissertazione e di analisi.
La indefettibile devozione a Freud non ha, dunque, offuscato in Jones
il proposito e il dovere della sincerità. Perciò il Freud che egli ci presenta
non è «idealizzato» se non molto limitatamente. Le sue esitazioni, i suoi
tratti nevrotici (non totalmente risolti neppure attraverso quel tour de
torce che fu la sua autoanalisi), il contrasto fra il suo fondamentale pes­
simismo e una certa curiosa fiducia in persone che sicuramente non la
meritavano, la sua perenne e non sempre controllata inclinazione per il
pensiero speculativo, la sua strana - e per buona sorte erronea - idea di
dover morire prima del tempo ... : tutti questi aspetti della poliedrica per­
sonalità di Freud sono menzionati, o risultano evidenti, nell'esposizione di
Jones, cosi come vi appaiono, e con ben altro rilievo, la fertilità creativa
di Freud, la sua saldezza nei legami familiari e nelle amicizie, il coraggio
dell'autocritica, l'austerità persino eccessiva della sua vita privata, l'incredi­
bile capacità lavorativa, la ripugnanza per ogni dittatura materiale o mo­
rale, lo stoicismo nella sofferenza e il disprezzo della morte - il tutto, spesso
accompagnato da una forma lievemente amara di humour (non dimenti­
chiamo che Freud ha scritto una delle sue opere più acute proprio sul
motto di spirito e sull'umorismo), che gli permise di ironi~zare persino sul
suo inguaribile male (fu travagliato da un cancro alla mandibola dall'età
matura sino alla fine dei suoi giorni) e di postillare un documento, che i
nazisti l'obbligarono' a firmare prima di lasciarlo partire da Vienna, con
la seguente frase: «Posso cordialmente raccomandare la Gestapo a chic­
chessia ... »
Introduzione 9

t necessario tuttavia rilevare, con quella franchezza e quella onestà di


cui abbiamo dinanzi un cos1 chiaro esempio, talune limitazioni di questa
pur memorabile opera: limitazioni in parte imputabili alla estrema difficoltà
del compito, in parte ascrivibili proprio a certe caratteristiche della perso­
nalità di Jones, i cui aspetti positivi e costruttivi abbiamo già segnalati,
e ampiamente lodati.
Freud era molto scettico circa le possibilità in genere della biografia. Nel
1936, ad Arnold Zweig che avrebbe voluto, anch'egli, impegnarsi in una
«vita di Freud», opponeva un rifiuto, dichiarando testualmente che, a suo
avviso, «chiunque si accinge a scrivere una biografia è costretto a mentire,
a mascherare, ad essere ipocrita, a lusingare, e persino a nascondere la
propria mancanza di comprensione».
Naturalmente, Jones era di tutt'altro parere, e scrive che «Freud sarebbe
stato sorpreso nel trovare che si poteva avvicinarsi alla verità sul suo conto,
più di quanto egli stesso ritenesse possibile».
Questa frase ci sembra assai significativa, e tipica di una certa posizione
mentale di Jones, di cui la sua biografia ci offre diverse ulteriori esemplifi­
cazioni. Non di rado, Jones manifesta la convinzione di aver potuto giudi­
care il pensiero di Freud meglio che non Freud stesso. Può anche darsi
che in certi casi ciò sia realmente avvenuto, ma non dimentichiamo che per
quanta stima ed ammirazione si possa avere per Jones, la statura mentale,
le capacità di sintesi e di anticipazione, e per dir tutto la genialità di Freud,
erano ovviamente e incomparabilmente superiori. Non poche volte, pertanto,
Jones sembra aver cercato di definire, di limitare e di organizzare ciò che
in Freud era generoso impulso, intuizione rischiosa, colpo d'ala - mostrando
talora di preferire la retorica alla persuasione, e la dissertazione formale
alla buona novella. Forse il più tipico esempio di questa mentalità - che
qualcuno ha voluto paragonare addirittura a quella di un San Paolo in
contrasto con quella di Gesù - si può trovare laddove Jones molto seria­
mente afferma che «la traduzione in inglese delle opere di Freud... [sarà]
più attendibile di qualsiasi versione tedesca». Ciò non può non sorprendere
chi sappia che Freud è stato, fra l'altro, uno scrittore letterariamente esem­
plare (non per nulla gli fu assegnato, nel 1930, il Premio Goethe); e che
nessuna traduzione, per quanto scrupolosa e fedele, potrà mai eguagliare la
plasticità e la vitalità degli scritti freudiani originali, ammirabili anche dove
presentano qualche asperità o qualche distorsione stilistica - che sono poi
tra gli indici di un travaglio, spesso inumano, del pensiero creatore.
IO Introduzione

Un altro interessante esempio di questa discrepanza fra le due diverse


mentalità ci è dato dalle pagine che Jones dedica agli interessi che Freud
sempre mostrò per quella che oggi si chiama la «parapsicologia». Vari
lavori di illustri psicoanalisti, e qualche saggio del sottoscritto, hanno mo­
strato che tali interessi di Freud non soltanto erano scientificamente giusti­
ficati, ma che con i suoi non pochi contributi ai problemi parapsicologici
(e particolarmente a quelli della telepatia e dei cosiddetti sogni telepatici),
Freud stesso aveva fatto fare ai relativi studi sul «paranormale» notevoli,
passi in avanti. Tutto ciò per Jones non ha senso o significato. In uno dei
capitoli più deboli della biografia (il XIV del voI. III), viziato persino
- cosa quasi incredibile - da veri e propri errori di fatto, egli pone i
contributi e gli interessi in questione sul conto delle «debolezze» di Freud,
ragguagliandoli né più né meno che a inclinazioni emozionali e a tratti
superstiziosi. Che tale miopi a caratterizzi taluni analisti contemporanei (ve
ne sono di codesti anche in Italia), non fa meraviglia: ma fa specie do­
verla riconoscere in un Jones. Occorre ammettere che egli forse, non per
sua colpa, incapace di vedere oltre determinati schemi, e convinto, come
tanti, che avere interesse per certi fenomeni psichici marginali e malnoti,
significhi necessariamente non aver superato certe fasi magiche e infantili
del pensiero ...
Jones, d'altronde, manifesta alcune sue divergenze rispetto a Freud anche
\

sul piano, diciamo così, della politica psicoanalitica; e non c'è dubbio che
la sua metodica disciplina, il suo lealismo e il suo senso organizzativo ab­
biano giovato al movimento psicoanalitico molto più che se questo fosse
stato nelle mani dello stesso Freud, o se vi avessero maggiormente influito
personalità originali ma indisciplinate quali Rank o Ferenczi. Lo stesso
Abraham, pur così perspicace e quadrato, era ben lungi dal possedere la
fermezza e l'ostinatezza di Jones, e non avrebbe potuto sostituirlo neppure
se la sua vita non fosse stata prematuramente troncata. Da questo punto
di vista, l'opera di Jones è e rimane unica, e la biografia giustamente riflette
la parte larghissima da lui avuta nel fare del movimento psicoanalitico una
solida compagine, e un vasto organismo internazionale.
L' OPUI magnum di Jones è stato variamente accolto e criticato. Agli en­
tusiasmi incondizionati di taluni hanno fatto riscontro le obiezioni di coloro
che hanno voluto calcare la mano su certi aspetti un tantino scolastici (qual­
cuno li ha detti addirittura pedestri) della sua esposizione, o sulla fatale
distanza intellettuale e spirituale che corse tra biografo e biografato. A noi
Introduzione II

sembra che insistere sui lati negativi dell'opera, accettando come cosa scon­
tata l'enorme somma di lavoro e d'impegno ch'essa rappresenta, sarebbe
non soltanto ingeneroso, ma scioccamente parziale. Chi scrive non ha esi­
tato a indicare in questa eccezionale trattazione qualche tratto secondo lui
discutibile: ma sente il dovere di ripetere che come non sarebbe stato con­
cepibile un movimento psicoanalitico senza Ernest Jones, cosI non si può
ormai immaginare uno studio su Freud che prescinda da quanto Jones ha
raccolto e scritto nei suoi ultimi anni di vita, lottando disperatamente col
tempo mentre le forze gli venivano meno, per porre la parola «fine» a
questo suo grande testamento spirituale. Jones aveva - e lo riconosceva ­
un debito immenso verso Freud. La biografia che qui presentiamo è il suo
tributo: un tributo che Freud avrebbe probabilmente salutato con qualcuna
delle sue più personali e forse disincantate espressioni, ma di cui gli sarebbe
stato sommamente grato, cosI come fu sempre riconoscente a Jones per la
sua indefettibile abnegazione; cosI come tutti dobbiamo esserlo per la tecnica
e l'abilità da lui poste, negli anni più fatali e più decisivi della grande
vicenda psicoanalitica, al servizio del genio.

Emilio Servadio
VITA E OPERE DI FREUD
I: GLI ANNI DELLA FORMAZIONE E LE GRANDI SCOPERTE
1856-190 0
Ad Anna Freud
degna .fi~lia di un padre immortale
Prefazione

Questa non vuole essere una biografia divulgativa: molte infatti ne sono
state già scritte su Freud, non prive di gravi deformazioni della verità e
di inesattezze. Lo scopo della presente è semplicemente quello di registrare
i fatti salienti· della vita di Freud finché sono ancora accessibili, e quello
- più ambizioso - di tentare di ricondurre la sua personalità e le sue espe­
rienze di vita allo sviluppo delle sue idee.
Un libro come questo non avrebbe incontrato l'approvazione di Freud.
Egli sentiva di aver già divulgato una parte più che sufficiente della sua
vita personale in molti punti dei suoi scritti - cosa che in seguito aveva
senz'altro rimpianto - e di avere perciò il diritto di mantenere privato
quanto gliene restava: il mondo avrebbe continuato a servirsi dei contri­
buti da lui forniti allo scibile ed avrebbe dimenticato la sua personalità.
Però il pentimento per le confessioni già fatte giunse in ritardo. Gente
in mala fede era già intenta a deformare passi isolati dei suoi scritti in
modo da avvilire il suo carattere, e l'unica maniera di ristabilire la verità
era quella di fare una esposizione ancora più completa della vita di Freud,
sia intima che ufficiale. I familiari di Freud rispettavano comprensibilmente
il suo desiderio di riservatezza e lo condividevano fino al punto di fargli
talvolta da scudo contro un pubblico soltanto curioso. Gò che fece cam­
biare il loro atteggiamento fu la consapevolezza delle molte false storie
inventate da gente che non aveva mai conosciuto Freud, storie che si an­
davano a poco a poco accumulando fino a diventare una vera e propria
leggenda. Allora essi decisero di fornirmi il loro appoggio incondizionato
nello sforzo di presentare al pubblico un resoconto della vita di Freud
quanto più possibile veritiero.
Si ammette di solito che i grandi uomini, a causa della loro superiorità,
18 Prefazione

perdano il privilegio, accordato ai comuni mortali, di avere due vite, una


pubblica e una privata. Spesso ciò che essi hanno sottratto al mondo si
rivela altrettanto prezioso di quello che gli hanno donato, e lo stesso freud
espresse più volte il suo rammarico per la mancanza di particolari propria
delle vite di tanti uomini grandi degni di studio e di emulazione. Il mondo
avrebbe perso molto se di lui non si fosse conosciuto nulla. Ciò che Freud
ha dato al mondo non è tanto un'armonica teoria psicologica né una filo­
sofia suscettibile di essere discussa senza il minimo riferimento a chi ne
fu l'autore, bensi una visione sempre più vasta, talvolta offuscata e poi di
nuovo chiarita. I nuovi orizzonti che egli dischiuse cominciarono subito a
cambiare ed a svilupparsi parallelamente all'aumento del suo corpo di dot­
trina e all'evoluzione del suo pensiero e della sua concezione della vita.
La psicoanalisi, come del resto ogni altra branca della scienza, può essere
studiata con profitto solo come evoluzione storica, non come somma di
conoscenze acquisita, ed il suo sviluppo è intimamente ed inconfondibil­
mente legato alla personalità del suo fondatore.
Come vedremo, Freud prese raffinate precauzioni per mettere al sicuro
la sua vita privata, specie nei primi tempi. In due occasioni egli distrusse
completamente tutta la sua corrispondenza, appunti, diari e manoscritti.
Entrambe le volte, tuttavia, c'erano ragioni contingenti per un simile re­
pulisti: la prima volta fu alla vigilia di lasciare la sua abitazione in- ospe­
dale per una esistenza più girovaga, e l'altra fu in occasione di un radicale
cambiamento di sistemazione in casa sua. Per fortuna questa seconda, nel
1907, fu anche l'ultima, e da allora egli conservò accuratamente la sua
corrispondenza. La prima la descrisse egli stesso, allora ventottenne, alla
sua fidanzata, in una interessante lettera del 25 aprile 1885, da cui è tratto
il seguente brano.
«Ho appena portato a compimento una risoluzione di cui un certo nu­
mero di persone, non ancora nate e già votate all'insuccesso, soffriranno
molto. Non puoi certo immaginare ciò che intendo dire, perciò te lo dirò:
si tratta dei miei biografi. Ho distrutto tutti i miei diari degli ultimi quat­
tordici anni, insieme alle lettere, agli appunti scientifici ed ai manoscritti
delle mie pubblicazioni. Ho risparmiato solo le lettere di famiglia. Le tue,
mia cara, non sono mai state in pericolo. Tutte le mie amicizie e le mie
compagnie di un tempo mi sono sfilate davanti un'ultima volta prima di
avviarsi in silenzio verso la condanna (i miei pensieri sono ancora fissi
alla storia russa). Tutti i miei pensieri e sentimenti sul mondo in genere,
Prefazione 19

ed in particolare su ciò che mi riguardava, sono stati giudicati indegni di


sopravvivere. Ora vanno ripensati tutti di nuovo, e ne ho già buttati giù
un bel po'. Ero semplicemente ricoperto di scorie, come la Sfinge dalla
sabbia, e ben presto dalla massa di carta sarebbero emerse solo le mie
narici. Non posso andarmene da qui, non posso morire senza prima esser­
mi sbarazzato del penoso pensiero di colui dal quale le vecchie carte pro­
venivano. E poi mi sono buttato dietro le spalle tutto ciò che mi è occorso
prima della svolta decisiva della mia vita, prima della nostra unione e
della scelta della mia vocazione: tutto ciò era morto già da tempo e non
gli sarà negata una degna sepoltura. Che i biografi si arrovellino pure; noi
non renderemo facile la loro fatica. Lascia pure che ciascuno di loro pensi
che la sua "Concezione dell'Evoluzione dell'Eroe" è quella giusta: già
adesso mi diverto al pensiero di come se ne andranno tutti fuori strada.»
Pur apprezzando il fatto che Freud si divertisse tanto a questa interes­
sante fantasia, noi osiamo sperare che le sue ultime parole si dimostrino
esagerate.
Il compito di scrivere una biografia di Freud è stupendo e scoraggiante
al tempo stesso. I dati a disposizione sono talmente numerosi che se ne
può presentare al pubblico solo una selezione, con la speranza che sia al­
meno rappresentativa, e anche così un vasto campo rimane aperto a ricer­
che più approfondite su alcune fasi particolari dell'evoluzione di Freud.
Le ragioni per le quali ho acconsentito ad assumermi questo compito sono
varie: innanzi tutto mi è stato fatto notare che sono il solo superstite di
una ristretta cerchia di collaboratori (il «Comitato») che fu con Freud in
costante ed intimo contatto, e poi che per quaranta anni sono stato suo
intimo amico e che in tutto quel tempo ho avuto un ruolo di primo piano
in quello che è stato chiamato «il movimento psicoanalitico». Il fatto che
io fossi passato proprio per le stesse discipline che Freud attraversò nel
cammino verso la psicoanalisi - nell'ordine, filosofia, neurologia, disturbi
del linguaggio e psicopatologia - mi rendeva più facile seguire il suo
lavoro nel periodo preanalitico ed il suo passaggio al periodo analitico.
Forse il fatto che fossi l'unico straniero nella suddetta cerchia di collabo­
ratori mi permetteva una certa maggiore obiettività rispetto agli altri: per
quanto il mio rispetto e la mia ammirazione per la personalità e per le
conquiste di Freud fossero smisurati, la mia tendenza all' «adorazione del­
l'eroe» era già stata risolta prima che arrivassi a conoscerlo. Del resto la
straordinaria integrità personale di Freud - caratteristica preminente della
30 Prefazione

sua personalità - si imprimeva cos1 fortemente su coloro che lo attornia­


vano, che mi è difficile immaginare profanazione più grave al rispetto per
lui di quella che un suo ritratto idealizzato e disumanizzato comporterebbe.
Il suo diritto alla grandezza riposa largamente sull'onestà e sul coraggio
con cui egli affrontò e superò le proprie difficoltà interiori ed i propri con­
flitti emotivi con mezzi che si sono poi rivelati di valore inestimabile per
gli altri.
Questo libro sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello che è senza
la collaborazione di un certo numero di persone, verso le quali mi sento
obbligato. Innanzi tutto la famiglia di Freud al completo, compresa la sua
defunta moglie, mi ha fornito ogni possibile informazione e materiale let­
terario, tra cui oltre 2500 lettere di famiglia scritte in gran parte dallo
stesso Freud, venticinque delle quali indirizzate a Rosa, la sorella preferita,
tra il 1876 e il 1894, e felicemente recuperate a Budapest.
Quelle di gran lunga più preziose sono state le 1500 lettere d'amore
che Freud e la sua futura moglie si scambiarono nei quattro anni del loro
fidanzamento. Anche un «Diario segreto», da loro scritto in comune in
quegli stessi anni, è stato conservato.
La corrispondenza con Fliess, che Marie Bonaparte strappò rischiosa­
mente alla distruzione, è una fonte importantissima, il cui valore è stato
peraltro accresciuto dalla chiarissima prefazione e dalle dettagliate note edi­
toriali di Ernst Kris. Desidero ringraziare, la Imago Publishing Press per
avermi generosamente autorizzato a citare liberamente tale corrispondenza,
ed Anna Freud per avermi concesso di prendere visione della importante
parte di essa che non è stata pubblicata.
Una testimonianza dell'epoca, come può essere quell'epistolario, ha na­
turalmente un valore specialissimo. La memoria di Freud, come quella di
chiunque altro, poteva sbagliare, perciò i dati contemporanei permettono
di rendere più precisi o addirittura di rettificare i racconti da lui fatti a
molti decenni di distanza dai fatti.
Ogni studioso della vita giovanile di Freud e del suo ambiente di allora
deve serbare perenne gratitudine alle laboriose ricerche di Siegfried e Su­
zanne Cassirer Bernfeld. Nel corso di una regolare corrispondenza essi
hanno messo generosamente a mia disposizione tutto il loro corredo di
notizie, e molti punti oscuri sono stati risolti da questa discussione. Devo
ringraziare gli editori delle riviste «Psychoanalytic Quarterly», «American
Imago», «Bulletin of the Menninger Ginic», e «International Journal of
Prefazione 21

Psycho-Analysis» per avermi concesso di citare gli scritti di Bernfeld. Esten­


do inoltre il mio caloroso grazie a James Strachey - la cui familiarità con
gli aspetti letterari dell'opera di Freud lo rende un'assoluta autorità - per
aver letto attentamente i miei manoscritti e per avermi fornito molti uti­
lissimi suggerimenti. La sua meticolosa accuratezza mi ha risparmiato molti
errori nei particolari. Desidero anche ringraziare la Deuticke Verlag di
Vienna per avermi cortesemente permesso di prendere visione delle regi­
strazioni dei diritti d'autore e delle vendite dei libri di Freud dal 1816
al 1950, e la signora Brever, nuora del dr. Brever, per avermi fornito una
copia di una incisione eseguita da suo suocero.
L'ultimo ringraziamento, ma non certo il minore, va a mia moglie per
la sua devota e quotidiana collaborazione, senza la quale questo libro non
sarebbe stato certamente mai scritto.
E. J.
Elenco delle abbreviazioni

AnI., Marie Bonaparte, Anna Freud, Ernst Kris, Aus den Anlangen der
Psychoanalyse, London, Imago, 1950. (La traduzione inglese fu pubblicata
nel 1954 dalla Basic Books Inc.)
Aph., Freud, Zur AuffaJJung der Aphasien, Vienna, Deuticke, 1891.
Auto., Freud, An Autobiographical Sludy, tradotto da James Strachey, London,
Hogarth, 1935
BI. (1). Siegfried e Suzanne Cassirer Bernfeld, Freud's Barly Childhood,
«Bulletin of the Menrunger Clinio>, VIII, luglio 1944, 107-115.
BI. (2). Siegfried Bernfeld, Freud's Barliesl Theories and Ihe School 01 Helm­
holtz, «The Psychoanalytic Quarterly», XIII, luglio 1944, 341-362.
BI. (3). Siegfried Bernfeld, An Unknown Autobiographical Fragment by Freud,
«The American Imago», IV, agosto 1946, 3-19.
BI. (4). Siegfried Bernfeld, Freud's Scientific Beginnings, «(The American Ima­
go», VI, settembre 1949, 163-196.
BI. (5). Suzanne Cassirer Bernfeld, Freud and Archaeology, «(The American
Imago», VIII, giugno 1951, 107-128.
BI. (6). Siegfried Bernfeld, Sigmund Freud, M. D., 1882-1885, <dnternational
Journal of Psycho-Analysis», XXXII, luglio 1951, 204-217.
BI. (7). Siegfried e Suzanne Cassirer Bernfeld, Freud's First Year in Practice,
1886-1887, «(Bulletin of the Menninger Clinic», XVI, marzo 1952, 37-49.
c.P., Freud, Collected PaperI, 5 voli., London, Hogart, 1924-1950.
G. c., Geheime Chronik, La cronaca tenuta segreta da Freud e Martha Bernays
durante il loro fidanzamento.
G.s., Freud, Gesammelte Schrilten, 12 voli., Vienna, Internationaler Psycho­
analytischer Verlag, 1925-1934.
G.W., Freud, Gesammelte Werke, 18 voli., London, Imago, 1940-1952.
1.1., <dnternational Journal of Psycho-Analysis» Baillière, Tindall and Cox,
London.
Elenco delle abbreviazioni

I.Z., «Internationale Zeitschrift fiir Psychoanalyse», Internationaler Psychoana­


lytischer Verlag, Vienna.
M., Lettere non pubblicate di Freud a Martha Bernays, più tardi Martha
Freud.
SllIdien, Brejler e Freud, Studien iiher Hyslerie, Vienna, Deuticke, 1895.
I. Le origini (1856-1860)

Sigmund Freud nacque il 6 maggio 18561 al n. 117 della Scblosser­


gasse, a Freiberg in Moravia, e mori il 23 settembre 1939 al n. 20 di Ma­
resfield Gardens, a Londra. Da allora la Schlossergasse è stata ribattezzata
in suo onore «Freudova Ulice».
Nella sua breve autobiografia (1925) Freud stesso scrisse: «Ho ragione
di credere che la famiglia di mio padre abbia risieduto per molto tempo
nella regione del Reno, a Colonia; che nel XIV o xv secolo essa sia stata
spinta all'est da una persecuzione antisemitica, e che, durante il XIX se­
colo, sia ritornata dalla Lituania, attraverso la Galizia, fino nell' Austria
tedesca.»'2 Quando i nazisti promulgarono la loro dottrina «razziale»,
egli notò, tra scherzoso e rattristato, che gli Ebrei avevano almeno altret­
tanto diritto dei Tedeschi di vivere sul Reno, poiché vi si trovavano già
al tempo dei Romani, quando i Germani erano ancora occupati a respin­
gere i Celti all'ovest.
Da giovane Freud si interessò della storia della sua famiglia, tuttavia
ignoriamo quali prove egli avesse per affermare che avesse avuto origine
nella regione del Reno e per fare il nome di Colonia, oltre alla nozione
storica dell' esistenza, in quei luoghi, di una colonia ebraica al tempo dei
Romani. Le sue parole sembrano però curiosamente confermate dalla sco­
perta, avvenuta nel 1910 nella Cattedrale di Bressanone, di un affresco
firmato «Freud di Colonia». Freud e suo fratello andarono ad esaminarlo,
ma non è stato possibile stabilire che il pittore fosse realmente un loro
antenato e neppure semplicemente che fosse un ebreo.
Il primo accenno (alla famiglia Freud) che si conosca, si trova a BUCZac2,
città poco ad est di Stanislav, in Galizia. 8 Ivi la famiglia si divise in due
parti, di cui una si spostò ad occidente, in Moravia, e l'altra in Romania.
Vita e opere di Freud

I due rami rimasero tuttavia in contatto, e Freud nelle sue lettere allude
spesso agli inviti dei parenti romeni, a Vienna e a Parigi. Uno di loro,
Moritz Freud, sposò una sorella di Freud, Marie, nel marzo 1886.
Il bisnonno di Freud era il Rabbino Ephraim Freud, e suo nonno il Rab­
bino Schlomo Freud. 4 Quest'ultimo mori il 21 febbraio 1856, poco prima
che Freud nascesse, e fu perciò che gli fu imposto il nome ebraico di
Schlomo."
Il padre di Freud, Jakob, nato a Tysmenitz, in Galizia, il 18 dicembre
1815,6 e morto il 23 ottobre 1896,7 era commerciante, e si occupava
specialmente di lana. Si sposò due volte, e dal primo matrimonio, con­
tratto a diciassette anni, ebbe due figli, Emanuel, nel 1832 o 1833, e
Philipp, nel 1836. A quarant'anni, il 29 luglio 1855, sposò a Vienna
Amalie Nathanson,B che visse dal 18 agosto 1835 al 12 settembre 1930.
Perciò, con un padre vissuto ottantun anni ed una madre che ne visse
novantacinque, Freud era naturalmente destinato a vivere a lungo, ed ave­
va infatti una vitalità tale che avrebbe largamente superato gli ottantatré
anni che visse, se non fosse stato per il cancro che lo colpI. Di Jakob Freud
si sa che era un po' più alto del figlio, che somigliava a Garibaldi, e che era
di buon carattere e molto amato da tutta la famiglia. Freud diceva di essere
fisicamente, e fino a un certo punto anche mentalmente, la copia del padre, 9
e lo descriveva, un po' alla Micawber, come un uomo «che aspettava sem­
pre, pieno di speranza, che qualcosa cambiasse».lo Al momento delle sue
seconde nozze era già nonno, poiché il figlio maggiore, che viveva con
lui ed aveva circa venti anni, aveva un figlio di un anno, John, che fu
seguito poco più tardi da una bambina, Pauline. Sigmund, perciò, nacque
zio, e questo fu uno dei tanti paradossi che la sua mente, sin dall'infanzia,
ebbe ad affrontare.
Della madre di Freud, tipo assai vivace, chi scrive conserva molti ri­
cordi, che risalgono sia a Vienna che ad Ischl, dove essa soleva trascorrere
tutte le estati - e godersi le partite a carte fino a un'ora in cui tutte le
vecchie signore sono di solito a letto. Il sindaco di Ischl salutava i suoi
compleanni (che cadevano lo stesso giorno di quello dell' imperatore) con
un cerimonioso omaggio Boreale, sebbene, all'ottantesimo, egli avesse an­
nunciato scherzosamente che tali visite, poco meno che regali, avrebbero
avuto luogo, da allora in poi, solo ogni dieci anni. A novanta anni essa
respinse il dono di un grazioso scialle, dicendo «che l'avrebbe invecchiata».
A novantacinque, sei settimane prima della sua morte, una sua fotografia
Le origini (1856-1860) 27

apparve in un giornale, e il suo commento fu: «Che brutto ritratto, mi fa


sembrare centenaria.» Al giovane visitatore faceva uno strano effetto sen­
tirla parlare di quello che per lui era il grande Maestro, come del <<mein
goldener Sigi», ed era evidente il forte attaccamento che l'univa al figlio.
Da giovane era stata snella ed attraente, ma l'allegria, la vivacità e l'acuta
intelligenza, le conservò fino all'ultimo. Proveniva da Brody, nel Nord-est
della Galizia, vicino al confine russo,l1 ed aveva passato parte della sua
giovinezza a Odessa, dove si erano sistemati due suoi fratelli. I suoi ge­
nitori si erano trasferiti a Vienna qùando era ancora bambina, ed essa
conservava un vivo ricordo della rivoluzione del 1848, insieme ad un qua­
dro che in quell'occasione era stato sforacchiato dalle pallottole. Non an­
cora ventenne al momento delle nozze, ebbe il primo figlio, Sigmund, a
ventun anni, e successivamente cinque figlie ed altri due figli: Julius, morto
ad otto mesi; Anna, nata quando Freud aveva due anni e mezzo (31 di­
cembre 1858), Rosa, Marie (Mitzi), Adolfine (Dolfi), Paula, e Alexander,
esattamente dieci anni più giovane di Sigmund. Tutti quelli che crebbero,
si sposarono, tranne Adolfina, che restò con la madre. Tra nipoti e proni­
poti, il clan dei Freud assunse dunque proporzioni rispettabili, e si può
ben parlare di ceppo prolifico.
Dal padre, Freud ereditò l'umorismo, il suo spiccato scetticismo sulle
incerte vicissitudini della vita, la sua abitudine di moralizzare raccontando
una storiella ebraica, il suo liberalismo e la sua libertà di pensiero, e forse
la sua inclinazione allo stato maritale. Dalla madre, a sentir lui, proveniva
il suo «sentimentalismo», 12 parola che, ancora più ambigua in tedesco,
dovrebbe forse stare ad indicare il suo temperamento, con le appassionate
emozioni di cui era capace. Il suo intelletto ·non era che suo.
Freud aveva cinque zii, e poiché egli dava molta importanza all'eredità
neuropatica, più di quanto facciamo noi oggi, bisogna accennare ai parti­
colari seguenti. Uno degli zii, fratello minore di suo padre, che viveva a
Breslavia e che Freud conosceva poco, aveva quattro figli, uno solo dei
quali era sano. Degli altri, uno era un imbecille idrocefalico, un secondo,
giovane promettente, era impazzito a diciannove anni, e lo stesso accadde
di una sorella a venti. Un figlio dello zio Josef, che viveva a Vienna ed
ebbe una storia con la legge che fece spuntare i capelli bianchi al fratel­
10,13 mod di epilessia. Freud commentava cosI questi fatti: «Devo am­
mettere di avere una "tara nevropatica", come si usa dire. Per fortuna,
~8 Vita e opere di Freud

essa si è fatta sentire molto poco nella nostra famiglia, se si eccettua la


forte tendenza alla neurastenia, mia e di Rosa.»1.4
Lo zio Josef era l'unico che Freud chiamasse per nome. Incidentalmente
possiamo notare qui la parte che il nome Josef ebbe spesso nella sua vita.
Da studente, negli anni che trascorse a Vienna nella Kaiser Josefstrasse
(1875-1883), Josef Paneth (<<il mio amico Josef» dell'Interpretazione dei
sognt), fu suo amico e collega all'Istituto di Fisiologia, dove gli successe,
e Josef Breuer rappresentò per lui un personaggio importante, l'uomo che
lo guidò lungo il cammino verso la psicoanalisi. Fu Josef Popper-Lynkeus
che rischiò più di tutti di precederlo nella sua teoria dei sogni, ma sopra
tutto fu il Giuseppe della Bibbia, famoso interprete di sogni, la figura
dietro la quale Freud stesso si mascherò sovente nei suoi propri sogni. u
Appena nato, il bambino aveva una tale abbondanza di capelli neri ed
arruffati, che la madre lo soprannominò «il negretto».16 Da grande, gli
occhi e i capelli rimasero molto scuri, ma il colorito non era bruno. Era
venuto alla luce avvolto in una membrana, evento che fu preso come segno
di gloria e di felicità future, e quando un giorno la madre incontrò per
caso, in una pasticceria, una vecchia che confortò questa speranza annun­
ciandole che aveva messo al mondo un grand'uomo, essa, orgogliosa e fe­
lice, credette fermamente nel presagio. CosÌ si stava già tessendo, fin dalla
culla, il costume da eroe, che però Freud, scettico, non avrebbe indossato
facilmente. Egli scrisse: «Profezie del genere devono essere fatte molto
spesso; tante sono le madri felici e in attesa, e tante le contadine e altre
vecchie che volgono gli occhi al futuro dal momento in cui la potenza
terrena le ha abbandonate; non sembra che a queste profetesse le profezie
costino molto.»17 Tuttavia il fatto sembra essersi ripetuto tanto spesso che,
quando all'età di undici anni· si aggiunse un nuovo presagio, Freud ne
rimase un po' impressionato. Ecco come egli descrive questo episodio: «Una
sera, in un ristorante del Prater nel quale i miei genitori mi conducevano
spesso quando avevo undici o dodici anni, scorgemmo un uomo che pas­
sava di tavolo in tavolo e, per pochi soldi, improvvisava versi su qualun­
que soggetto gli venisse dato. Fui mandato a chiedergli di venire al nostro
tavolo, ed egli ce ne fu grato: prima di chiederci il soggetto, improvvisò
pochi versi su di me, dicendo che, se doveva fidarsi della sua ispirazione,
un giorno io sarei diventato un "ministro". Ricordo ancora perfettamente
l'impressione che questa seconda profezia produsse su di me. Si era nei
giorni del "ministero borghese"; mio padre aveva da poco portato a casa
Le origini (J856-J860)

i ritratti dei borghesi laureati all'università: Herbst, Giskra, Unger, Berger


e altri, e la nostra casa era stata illuminata in loro onore. Tra loro vi
erano anche alcuni Ebrei, per cui ogni bravo scolaro ebreo sentiva di por­
tare un portafogli da ministro nella sua cartella. L'impressione che io ri­
portai quella volta fece sI che, quasi fino al momento di entrare all'Uni­
versità, volevo studiare giurisprudenza, e solo in ultimo cambiai idea.»18
In un sogno che descrisse molti anni più tardi, Freud appariva come mini­
stro di Gabinetto, in un periodo in cui quella strana ambizione doveva essere
completamente scomparsa dai suoi pensieri di veglia. Da adulto egli non
si interessò che mediocremente di politica e di tipi di governo.
Un altro effetto dell'orgoglio e dell'affetto della signora Freud per il
primogenito lasciò sul bambino un'impressione ancora più intensa, e di
fatto indelebile. Come scrisse più tardi: «Un uomo che sia stato il favorito
indiscusso della propria madre porterà per tutta la vita il senso del con­
quistatore, quella fiducia nel successo che spesso procura il successo reale.»19
Questa fiducia in se stesso, che era una delle caratteristiche più spiccate di
Freud, vacillò solo di rado, ed egli aveva indubbiamente ragione nel farla
risalire alla sicurezza dell'amore di sua madre. Vale la pena di ricordare,
come del resto si può immaginare, che fu allattato al seno.
In casa c'era anche una certa Nannie, vecchia e brutta; dotata della
consueta mescolanza d'amore per i bambini e di severità per le loro disub­
bidienze che è propria delle bambinaie, era però capace e fattiva. Freud si
riferisce varie volte nei suoi scritti «a quella preistorica vecchia».20 Le vo­
leva bene e le dava sempre tutti i suoi nichelini, fatto che egli considerava
un ricordo di copertura. 21 Forse esso era stato connesso con il licenzia­
mento di Nannie per furto, cosa che avvenne più tardi, quando Sigmund
aveva due anni e mezzo. Nannie era ceca, ed essi parlavano spesso in
quella lingua, sebbene poi Freud l'avesse dimenticata,22 ma, quello che
più conta, era cattolica e conduceva spesso il bambino ad assistere alle fun­
zioni religiose. Gli aveva inculcato l'idea del Cielo e dell'Inferno, e forse
anche quella della· salvezza eterna e della resurrezione. Al ritorno dalla
chiesa il bambino era abituato a predicare in casa e a spiegare i fatti di
, 23
D IO.
La famiglia del fratellastro Emanuel viveva cosI vicino ed era cosI inti­
ma che si poteva quasi parlare di un'unica famiglia ;24 è evidente quali
complicazioni psicologiche nascessero da ciò. Poco lontano viveva pure una
certa famiglia Fluss, di cui vedremo poi l'importanza. I Fluss erano intimi
30 Vita e opere di Freud

amici dei genitori di Freud ed avevano cinque figli: tre maschi (Alfred,
Richard ed Emil) e due femmine, una delle quali, Gisela, incontreremo
più avanti. La famiglia scampò alla crisi economica del 1859, rimase a
Freiberg e divenne facoltosa. Nel 1878 si spostarono a Vienna, ed i rap­
porti tra le due famiglie si mantennero.
Quasi tutte le notizie sulla fanciullezza di Freud sono tratte dalle nume­
rose allusioni contenute nei suoi scritti; però ve n'è una, anonima, degna
della massima attenzione. Si tratta dell'analisi di un ricordo di copertura,
pubblicata nel 1899 come parte dell'analisi di un presunto ex paziente che
chiameremo signor Y,25 mentre Bernfeld ha acutamente indicato che era
certamente una parte dell'autoanalisi di Freud, da lui attribuita poi a qual­
cun altro. 26 Non è certo l'unico esempio di scritto anonimo di Freud, poiché
tali furono il primo saggio su Mosè (1914),21 ed il breve lavoro su Borne
(1920).28 L'introspezione sfoggiata da questo presunto signor Y, il modo
in cui espone come notizie recenti nella sua analisi fatti che avrebbero
dovuto essergli da tempo famigliari, le espressioni altamente caratteristiche
e lo stile che impiega, e infine la stretta corrispondenza tra i fatti riferiti
e quelli noti sull'ambiente che circondò precocemente Freud, rendono cer­
tissima l'origine di questo scritto.
Freud aveva solo pochi ricordi coscienti dei suoi primi tre anni di
vita, e lo stesso può dirsi fino a sei o sette anni, ma nella sua autoanalisi
egli ne ricuperò senza dubbio molti, tra quelli importanti che aveva dimen­
ticato. Tutto ciò gli accadde sui quarantadue anni, come egli stesso ci dice.
Tra i fatti dimenticati vi era una certa conoscenza del cecoslovacco che pure
aveva avuta; tra quelli ricordati (coscientemente) ve ne erano alcuni, abba­
stanza banali di per sé, che presentavano un certo interesse solo perché
erano gli unici ad emergere in un mare d'oblio. Uno di questi era il fatto
che essendo entrato una volta nella stanza da letto dei genitori senza al­
cuna curiosità (sessuale), ricevette l'ordine di uscire dal padre irritato. 29
A due anni Freud bagnava ancora il· letto, ed a rimproverarlo non era
sua madre, indulgente, ma suo padre. Egli si ricordò poi di avergli detto
in una di queste occasioni: «Non t'arrabbiare, papà; ti comprerò un bel
letto nuovo rosso, a Neutitschein» (il capoluogo della regione).3o Da tali
esperienze nacque la convinzione di Freud che fosse il padre a rappresen­
tare per lui in modo tipico i principi del rifiuto, del divieto, della costri­
zione e dell'autorità, cioè che il Pàdre rappresentasse il principio della realtà,
mentre la madre rappresentava quello del piacere. Tuttavia non vi è ragione
Le origini (1856-1860) 31

di pensare che suo padre fosse più severo di quanto lo siano di solito i
padri, anzi tutto fa pensare che fosse gentile, affezionato e tollerante, anche
se giusto ed obiettivo. Perciò, se Freud considerava il padre, come i ragazzi
della sua età, «l'uomo più potente, più saggio e più ricco»,13 era destinato
a una disillusione particolarmente amara.
Un incidente che egli invece non riusd a richiamare alla mente, è una
caduta dall'alto di uno sgabello, all'età di due anni,s2 nella quale batté
violentemente il mento sull'orlo del tavolo che stava esplorando alla ricerca
di qualche leccornia. Ne riportò una ferita che richiese qualche punto di
sutura, che sanguinò molto e dalla quale risultò Wla cicatrice perma­
nente. S3
Un evento più importante, poco prima di questo, era stata la morte del
fratello Julius all'età di otto mesi, avvenuta quando Freud ne aveva di­
ciannove. Prima della nascita del nuovo fratellino, Freud aveva goduto
da solo dell'amore e del latte della madre, e doveva quindi apprendere
con l'esperienza quanto possa essere forte la gelosia di Wl bambino. In
una lettera a Fliess (1897) egli confessa i malanni che augurava al suo
rivale ed aggiunge che l'avverarsi di tale augurio, con la morte del fra­
tello, fece nascere in lui parecchi rimorsi, tendenza che da allora gli era
rimasta. 34 Nella stessa lettera egli racconta pure come la sua libido verso
la madre fosse stata ridestata dall' averla vista nuda in un' occasione tra i
due anni e due anni e mezzo. Il piccolo Freud fu dunque assalito molto
presto dai grossi problemi della nascita, dell'amore e della morte.
Si hanno molti motivi per pensare che durante la sua prima infanzia,
la persona più importante per Freud, dopo i genitori, fosse suo nipote
John, un bambino solo di un anno maggiore di lui. Erano amici insepara­
bili, e vi è qualche accenno al fatto che i loro giochi non fossero sempre
del tutto innocenti. Tra di loro l'affetto, come è naturale, si alternava al­
l'ostilità, ma è certo però che, almeno da parte di Freud, i sentimenti sorti
da questa amicizia erano molto più intensi che di norma. Più tardi, par­
lando dei suoi ideali di fanciullo - Annibale e il maresciallo Massena ­
egli scrisse: «Forse lo sviluppo di questo ideale guerriero può esser fatto
risalire a molto prima, fino ai primi tre anni della mia infanzia, ed alle
ambizioni che i miei rapporti, ora amichevoli ora ostili, con un bambino
maggiore di me di un anno, potevano aver destato nel più debole di noi
due».s5 John era naturalmente il più forte, ma il piccolo Sigmund gli te­
neva testa e gliele dava altrettanto sode di quelle che buscava. Egli dispo­
Vita e opere di Freud

neva indubbiamente di una larga dose di aggressività, sebbene poi, con la


maturità, l'avesse del tutto imbrigliata, di modo che anche a conoscerlo molto
bene, non si poteva intuire, al di sotto del suo comportamento riservato,
quali fiamme stessero scoppiando o fossero già scoppiate.
Quando Freud si accinse a passare in rivista la sua infanzia, mostrò ripe­
tutamente come l'ambivalenza nei confronti di John avesse condizionato lo
sviluppo del suo carattere. «Eravamo stati inseparabili fino alla fine dei miei
tre anni, ci eravamo amati e accapigliati a vicenda e, come ho già accennato,
questa amicizia infantile ha determinato tutti i miei successivi sentimenti
nei rapporti con persone della mia età. Mio nipote John ha subito da al­
lora molte incarnazioni, che hanno fatto rivivere ora l'uno ora l'altro
aspetto di un carattere che è rimasto indissolubilmente fissato nella mia me­
moria inconscia. A volte deve avermi trattato molto male, e io devo es­
sermi coraggiosamente ribellato al mio tiranno ...»38 E più avanti: «Un
intimo amico ed un nemico aborrito sono stati sempre indispensabili alla
mia vita emotiva, ed io sono stato sempre capace di crearli ex novo. Non
di rado il mio ideale infantile è stato raggiunto cosi bene, che l'amico e
il nemico si sono fusi in una stessa persona, ma naturalmente non allo stesso
tempo, come accadeva nella mia prima infanzia.»37
Egli comprese presto che questo compagno di giochi, pressoa poco della
sua stessa età, era suo nipote, perché era figlio di suo fratello Emanuel,
e chiamava nonno papà Jakob. Di loro due era John, più grande e più
forte, che avrebbe dovuto essere lo zio, non lui. Freud aveva senza dubbio
ricevuto le sue doti mentali fin dalla nascita, eppure la complessità delle
parentele famigliari deve aver fornito un potente incentivo alla sua intelli­
genza in erba, alla sua curiosità ed al suo interesse. Fin dai primissimi
giorni egli fu chiamato a risolvere problemi imbarazzanti che comporta­
vano per lui una grandissima carica emotiva. Vale la pena di fare un
altro piccolo sforzo in tanta complessità e cercare di immaginare ciò che
essa può aver significato per la sua mente in via di sviluppo.
Quando in un' epoca successiva (probabilmente a diciannove anni) il suo
fratellastro Emanuel gli fece notare che in realtà la famiglia era consistita
di tre generazioni, e cioè che Jakob avrebbe potuto essere il nonno di Sig­
mund, Freud fu illuminato da questa osservazione, S8 che evidentemente
quadrava con i suoi sentimenti di bambino. Il problema dei rapporti fa­
migliari toccò il vertice con la nascita della prima sorellina, Anna, quando
egli aveva due anni e mezzo. Come e perché era arrivata questa usurpatrice,
Le origini (1856-1860) 33

con il quale sarebbe stato costretto per la seconda volta a spartire il calore
e l'amore, prima esclusivo, di sua madre? La deformazione del corpo della
mamma89 svelò all'osservazione del bambino l'origine della neonata, ma
non il fatto che tutto si fosse polarizzato intorno a lei. E per di più,
nello stesso momento in cui la mamma stava a letto insieme con la nuova
bambina, la Nannie di Sigmund scomparve. Come egli seppe più tardi, era
stata sorpresa a rubare il suo denaro ed i suoi giocattoli, e avendo Philipp
insistito perché fosse arrestata,40 Nannie .fu mandata in prigione per dieci
mesi. 41 Sospettando che Philipp fosse responsabile della sua scomparsa,
Freud gli domandò che cosa avesse fatto di lei, e ricevette questa risposta,
scherzosamente ambigua: «Sie ist eingekastelt» (è stata messa dentro). Un
adulto avrebbe capito che questo significava «è stata chiusa in prigione»,
ma la mente del bambino la prese più alla lettera: <<e stata chiusa in una
cassa.» Questo episodio si ricollega all'affascinante analisi di un ricordo
d'infanzia, apparentemente incomprensibile, che Freud ebbe quarant'anni
dopo.42 Egli si rivedeva in piedi, vicino ad una cassa, nell' atto di doman­
dare qualcosa, fra le lacrime, al suo fratellastro Philipp, che teneva aperto il
coperchio. Poi sua madre, notevolmente dimagrita (cioè non incinta), en­
trava nella stanza, forse dalla strada. In un primo tempo Freud suppose
che questo ricordo si potesse riferire a qualcosa di spiacevole che egli
avesse subito da parte del fratello, e che fosse stato interrotto con l'appa­
rizione di sua madre. L'analisi forni poi un quadro del tutto diverso del­
l'episodio. Egli aveva smarrito la mamma, uscita probabilmente a passeggio,
e si rivolgeva ansiosamente al fratello cattivo che aveva messo Nannie
nella cassa, chiedendogli di risparmiare alla mamma la stessa sorte. Il fra­
tello apriva gentilmente la cassa per rassicurarlo che la mamma non vi era
rinchiusa, dopo di che egli scoppiava in lacrime. L'ulteriore analisi rivelò
che la cassa simboleggiava l'utero, e che l'ansiosa domanda rivolta al
fratello riguardava non tanto l'assenza momentanea della madre, quanto
il dubbio sconvolgente che un altro fratellino, non gradito, si fosse inse­
diato in quel posto essenziale. Philipp era capace di «metterè la gente nelle
casse», e il bambino aveva costruito la fantasia che il fratellastro e la sua
mamma, coetanei, avessero contribuito a generare Anna, la sorellina USUt­
patrice. Questa esperienza, sembra aver avuto un effetto durevole, perché
Freud non amò mai quella sorella, ma evidentemente egli si abituò a possi­
bilità del genere, cosicché la successiva suscitò il suo affetto. Infatti Rosa
divenne la sorella preferita, e Ad01.6na (001.6) le fu buona seconda.

2· I
34 Vita e opere di Freud

Ai suoi occhi di bambino era naturale mettere sul medesimo piano


Jakob e Nannie, le due autorità reprimenti. Poi venivano Emanuel e sua
moglie, e infine rimanevano Philipp e Amalie, che avevano esattamente la
stessa età. 43 Tutto ciò sembrava logico e ordinato, ma c'era il fatto im­
barazzante che era Jakob, e non Philipp, a dormire nello stesso letto di
Amalie. Era tutto molto imbrogliato.
Questa che abbiamo chiamata una serie di coppie apparentemente logica,
presentava, invece, vantaggi e motivazioni psicologiche più profonde. Rele­
gando suo padre ad un rango più secondario tra le persone di casa, Sig­
mund poteva escluderlo dalla posizione di rivalità nei riguardi della madre,
e dall'ingrato compito di mettere al mondo bambini indesiderati. Vi sono
tutte le ragioni per pensare che l'atteggiamento cosciente di Freud verso suo
padre sia stato sempre improntato ad affetto, ammirazione e rispetto, mal­
grado Jakob rappresentasse per lui l'autorità e la sorgente prima di fru­
strazione. Ogni componente ostile era completamente deviata sulle figure
di Philipp e di John." Fu perciò un gran colpo per Freud, quando, qua­
rant'anni dopo, scoprì il proprio complesso d'Edipo e dovette ammettere
che il suo inconscio aveva assunto verso il padre un atteggiamento molto
diverso da quello cosciente. Non giovava a nulla che questa scoperta fosse
arrivata quando il padre era già morto da un anno o due.
Risalendo quanto meglio possiamo nella genesi delle scoperte originali
di Freud, dobbiamo quindi tener presente quanto la maggiore di esse, cioè
l'universalità del complesso d'Edipo, fosse stata fortemente facilitata dalla
particolare composizione della famiglia di Freud, e quale stimolo per la
sua curiosità, e quale possibilità di completa rimozione ciò gli avesse of­
ferto. Freud non allude mai nei suoi scritti alla moglie di Emanue1. 45 Sua
nipote Pauli ne invece ebbe per lui un certo significato emozionale. Nel
ricordo di copertura interpretato dal dr. Bernfeld risulta chiaramente un
attaccamento amoroso per lei, e, più in profondità, una fantasia inconscia
nella quale Pauline veniva posseduta, insieme, da John e da lui stesso.
Freud racconta in che modo crudele egli e suo nipote solevano effettiva­
mente trattare la bambina,46 e si può supporre che ciò nascondesse una
componente erotica più o meno manifesta. Questo è anzi il primo segno
che la costituzione sessuale di Freud non era, dopo tutto, esclusivamente
mascolina. «Cacciare in coppia» significa infatti condividere la gratifica­
zione con qualcun altro del proprio sesso.
Questo ricordo faceva parte di una scena campestre. Da esso e da altri
Le origini (1856-1860) 35

ancora appare chiaro che già allora Sigmund era affascinato dalla bellezza
della natura. Le impressioni delle scene agresti vissute nell' infanzia dura­
rono a lungo, e per tutta la vita la contemplazione del paesaggio fu per
Freud un piacere dei sensi tra i più vivi. Egli crebbe in mezzo ai prati;
la stessa foresta dove il suo amato padre lo conduceva spesso, era a circa
mezzo miglio da casa.
Freiberg è una tranquilla cittadina del Sud-est della Moravia, vicino alle
rive della Slesia e 150 miglia a nord-est di Vienna. Pribor è il suo nome
cecoslovacco, infatti è d'origine ceca. Fu fondata nel 1215 dal conte Jaro­
slav di Sternberk, colui che sbaragliò i Tatari nel 1241, e il re Vladislav II
la proclamò città libera nel 1493. Insieme a Breisach e a Brunn essa an­
dava orgogliosa della resistenza opposta agli Svedesi nella Guerra dei Tren­
t'Anni. La lingua principale era la ceca, ma gli Ebrei parlavano tra loro
in tedesco o in ebraico. La città era dominata dal campanile della chies;l
di S. Maria, alto duecento piedi, che vantava il miglior concerto di cam­
pane della regione. Gli abitanti, che alla nascita di Freud erano circa cin­
quemila, erano quasi tutti cattolici romani. Solo il due per cento era prote­
stante, ed altrettanti erano gli Ebrei. Un bambino doveva immediatamente
notare che la sua famiglia non apparteneva alla maggioranza, e che non
andava mai in chiesa, e perciò i concerti di campane non suonavano per
lui amor fraterno, ma ostilità verso la minoranza dei miscredenti. Forse fu
proprio perché durava l'eco di quei concerti, che una notte, dopo tanto
tempo che sopportava la noia delle campane, Sigmund, per farla finita,
sognò che il Papa era morto.
Per il responsabile del benessere di questo piccolo nucleo famigliare, i
tempi erano più che difficili. Jakob Freud commerciava in lana, e negli
ultimi venti anni la manifattura tessile, industria principale della città, era
stata messa a terra. Infatti, come nel resto dell'Europa centrale, l'introdu­
zione delle macchine aveva progressivamente messo in crisi il lavoro ma­
nuale, e per di più la nuova linea ferroviaria del nord, che era partita da
Vienna verso il 1840, aveva evitato Freiberg, deviando il traffico da essa
e determinando una forte disoccupazione. L'inflazione che seguI la restau­
razione del 1851 accrebbe poi la miseria della città, che a partire dal 1859,
anno della guerra con l'Italia, fu quasi completamente rovinata .
. Gli ~~ri ~i Jakob ne furono direttamente interessati, ma eventi ancor più
d1sgraz1atI glUnsero ad accrescere la sua ansia. Uno dei risultati della rivo­
luzione del 1848-49 fu che il nazionalismo ceco acquistò importanza nella
Vita e opere di Freud

politica austriaca, e che i Cechi s'infiammarono di odio per gli Austro-Te­


deschi, i quali in Boemia e Moravia rappresentavano la classe dirigente.
Questo odio si estese facilmente agli Ebrei, germanici per lingua ed edu­
cazione, ed infatti a Praga la rivoluzione ebbe inizio proprio con i moti
cechi contro gli operai tessili ebrei. Il disagio economico si combinò con
il crescente nazionalismo, per scaricarsi insieme sul tradizionale capro espia­
torio, gli Ebrei, e cosi perfino nella piccola Freiberg, tutti i fabbricanti di
stoffe, cechi e protestanti fino all'ultimo, cominciarono ad accusare gli
Ebrei, mercanti di tessuti, di essere responsabili delle loro condizioni, Non
sembra che questi ultimi siano stati attaccati nelle persone o negli averi,
ma certo, in una comunità piccola e retrograda, non potevano mai sentirsi
SICurl.
Del resto, anche se le cose fossero andate diversamente, le possibilità
d'educazione in una piccola città, remota e decaduta, non avrebbero garan­
tito molte probabilità d'avverarsi al vaticinio della futura grandezza di
Freud che la vecchia contadina aveva a suo tempo profferito. Jakob pensò
che, Freiberg non gli offriva alcuna possibilità d'esistenza per il futuro,
e cosi nel 1859, quando Sigmund aveva esattamente tre anni, l'antico errare
della famiglia - Palestina, Roma, Colonia, Lituania, Galizia, Moravia - fu
ripreso, cosi come Freud stesso l'avrebbe ripreso ottanta anni più tardi.
Egli ricordava ancora un lungo viaggio in carrozza, e poi la ferrovia, che
aveva visto per la prima volta, e che lo portò via dalla sua bella campagna
ondulata, dai prati, dalle colline e dalle foreste, fino alla città di Lipsia.
A Lipsia Jakob si fermò un anno, certo per sondare le possibilità del
commercio, ma infine proseguirono per Vienna.
Sulla via di Lipsia il treno toccò Breslavia, dove Freud vide per la
prima volta i becchi a gas, che lo fecero pensare alle anime ardenti nel­
!'inferno !47 Da questo viaggio data anche l'inizio di una «fobia» per i
viaggi in tren0 48 della quale egli soffrl per quasi dodici anni (1887-1899)
prima che gli riuscisse di eliminarla con l'analisi. Essa risultò connessa con
la paura di perdere la casa (in ultima analisi il seno materno), un panico
della privazione, che doveva essere a sua volta una reazione ad una certa
avidità infantile. Anche dopo ne rimase qualche traccia, sotto forma di
un' ansia un po' eccessiva nel prendere il treno.
Durante il viaggio da Lipsia a Vienna, l'anno seguente, Freud ebbe
occasione di vedere sua madre nuda, fatto straordinario che raccontò in una
lettera a Fliess - ma in latino! - quaranta anni dopo.49 :e strano che a
Le origini (1856-J860) 37

proposito di quell'episodio egli ~i attribuisc~ l'età di due anni o ~ue e


mezzo, quando ne aveva in realta quattro. SI potrebbe pensare che Il suo
ricordo di quell'esperienza fosse stato telescopizzato.
Emanuel, con sua moglie, i figli ed il fratello Philipp, andò a Man­
chester, in Inghilterra, dove la sua conoscenza dell' industria tessile gli pro­
curò un buon posto ed un certo benessere. Il fratell_astro non cessò mai .di
invidiarlo per questa emigrazione, ~o e l'Inghilterra rimase per tutta la Vita
il suo paese preferito. Fa piacere pensare che in Inghilterra egli abbia
trascorso i suoi ultimi giorni, rallegrato dalla calda accoglienza e dal
conforto che aveva atteso.

Freud ci ha insegnato che le basi del carattere vengono gettate fin dall'età
di tre anni, e che gli avvenimenti successivi possono modificare, ma non
alterano i tratti stabiliti a quell' epoca. A quell' età egli fu allontanato (pen­
sando alle circostanze si potrebbe quasi dire strappato) dalla casa e dalla
felicità della sua prima infanzia. Perciò siamo portati a rivedere quel poco
che sappiamo di quel periodo ed a cercare di valutarne l'influenza sul suo
sviluppo ulteriore.
In conclusione, ed evitando ogni vana speculazione, Freud sembra esser
stato un bambino normale e robusto, per cui è meglio notare solo le poche
caratteristiche che distinsero le circostanze della sua esistenza da quelle
della media dei fanciulli. Sono poche ma importanti.
Era il primogenito, almeno di sua madre, e per un certo tempo fu il
centro di ciò che si potrebbe chiamare il nucleo famigliare, fatto signifi­
cativo, in quanto ogni primogenito, bene o male, si distingue dagli altri
figli. Questa situazione può generare in un bambino un senso particolare
d'importanza e di responsabilità, come pure può riempirlo di inferiorità
per il fatto di essere il membro più debole della sua piccola comunità;
almeno finché non arrivi un altro bambino più piccolo di lui. Non c'è
dubbio che per Freud s'è verificato il primo caso: la responsabilità per
tutti i suoi parenti ed amici divenne un tratto preminente del suo carat­
tere, e questa felice evoluzione fu certamente assicurata dall'amore, si può
dire dall'adorazione, di sua madre. La sua fiducia in se stesso si consolidò
talmente che venne poi scossa molto di rado.
D'altra parte questo prezioso possesso non poteva considerarsi definitivo.
Esso fu messo in palio, e Freud non poté evitare la sfida. Sebbene fosse
l'unico figlio maschio, c'era però suo nipote Jobo, al quale sarebbe sì
Vita e opere di Freud

spettato di diritto solo il secondo posto, ma che viceversa era più grande
e forte di lui. Fu necessaria tutta l'energia per lottare con lui e conservare
la posizione di primato.
Problemi più seri sorsero quando in Sigmund cominciò a farsi luce il
fatto che qualcun altro era in maggiore intimità con sua madre di quanto
lo fosse egli stesso: prima che egli avesse compiuto due anni, c'era già
per la seconda volta, e senza dubbi possibili, un altro bambino in viaggio.
La gelosia verso !'intruso e l'odio per chiunque avesse potuto sedurre sua
madre in un modo così sleale erano inevitabili, ma, trascurando la distri­
buzione a lui ben nota delle persone di casa nei vari letti, egli respingeva
l'idea insopportabile che lo scellerato responsabile potesse essere proprio il
suo perfetto e caro papà. Per difendere il suo affetto per lui gli sostituì il
fratellastro Philipp, al quale attribuiva già la colpa di avergli portato via
la sua Nannie. Così tutto sembrava più verosimile e certamente meno
spiacevole: era ancora presto per venire alle prese con l'inevitabile pro­
blema della realtà, e ci sarebbero infatti voluti ben altri sforzi, perché, in
quel mondo così costruito, la fantasia sembrava più ragionevole dei fatti,
e le apparenze più convincenti della realtà.
La soluzione da trovare era di ordine emotivo, non intellettuale, mentre
fin dagli inizi della sua esistenza Freud non fu mai soddisfatto delle solu­
zioni puramente emotive. Egli aveva veramente la passione di caPire le
cose, e fin dall'inizio questo bisogno di comprendere s'inoltrò in un cam­
mino senza via d'usàta. La sua intelligenla aveva ricevuto un compito
al quale egli non si sarebbe più sottratto finché, dopo quaranta anni, non
avesse trovato la soluzione destinata a renderlo immortale.
Note

l. Quando, nel 1931, i cittadini di Freiberg, ora Pcibor, affissero una lapide
commemorativa sulla casa in cui era nato Freud, si scopcl che nel locale
registro delle nascite la sua veniva attribuita al 6 marzo. Si tratta probabil­
mente di un eccore del paccoco di allora, la cui spiegazione interessa solo lui.
Prima dell'ottobre successivo non ci furono altre nascite oltre quella di Freud.
Nel venire al mondo il piccolo Freud determinò quindi indirettamente una di
quelle sviste mentali che era destinato a chiarire quaranta anni dopo, da
professore.
2. G. W., XIV, 34.
3. Informazione di Lily Freud-Maclé, figlia di MoCÌtz e Marie Freud.
4. La parola «Rabbino)) era spesso solo un titolo di distinzione e non com­
porta quindi per forza il significato di carica ecclesiastica.
5. Dalla Bibbia di famiglia di Ernst Freud.
6. Dopo il matrimonio egli decise insieme a· sua moglie di passare dal ca­
lendario ebraico a quello gregoriano, e scelse come data della sua nascita
il l° aprile.
7. Coccispondenza inedita di Fliess, l° agosto 1898.
8. Vari biografi di Freud riferiscono questa data al 1851, interpretando er­
roneamente un passo dell'Interpretazione dei sogni dove si paci a effettivamente
di 1851, ma con un diverso significato (Rachel Baker, Sigmund Preud, New
York, Messner, 1952, p.1). Sarebbe stato strano che una donna così feconda
non avesse avuto figli nei primi cinque anni di matrimonio. Notizie forniteci
da Haccy Freud, che possiede il certificato di matrimonio.
9. M., 19 luglio 1883.

lO. Ibid., l° gennaio 1884.

11. Helen Walker Puner (Preud: His Lite and his Mind, New York, Crown,
1949, p.H) fa discendere Amalie «da un famoso studioso di Talmud del
Settecento, Nathan Halevy Charmatz di Brody)), ma nessuna delle numerose
autorità ebraiche da me consultate ha mai sentito nominare costui. t proba­
bile che si trattasse di un ricco mercante protettore di studiosi (Becnfeld).
12. M., 18 aprile 1885.
Note

13. Deve aver riportato solo pene pecuruane, perché negli archivi della
polizia austriaca non figura a suo carico nessuna pena detentiva (G. W.,
II·III, 143).
14. M., lO febbraio 1886.
15. G. W., II·III, 488 n.
16. Ibill., p. 342 n.
17. Ibill., p. 198.
18. Ibill., p. 199.
19. IbU., XII, 26.
20. Ibill., I1-III, 2H.
21. Ricordo di scarsa importanza che viene messo al posto di un altro, più
importante e con esso associato.
22. G. W., II·III, p. 201.
23. Anf., p. 236.
24. L'affermazione di Kris, che «vivevano sotto lo stesso tetto» (Anf., p. 39)
non mi risulta provata, anzi sembra vero il contrario.
25. G.s., I, 472 sgg.
26. Bf. (3).

27 G.W., X. 172.

28. Ibill., XII, 307.


29. Ibill., II·III, 462.
30. Ibill., p. 221.
31. Ibill., X, 207.
32. In un suo racconto di questo episodio Freud dice che aveva tra tre
anni e tre anni e mezzo (G.s., III, 164, 279), mentre in un altro dice che
non ne aveva ancora due (G.s., I, 474). La prima versione è la più vero·
simile.
33. Helen Puner, nel suo libro su Freud, mette in rapporto questo trauma
con il cancro della mascella che lo colpi in seguito (Puner, op. cit., p. 254).
Essa è però in errore quando afferma che «il cancro colpi lo stesso punto
della mascella che aveva battuto da piccolo» perché la malattia colpi il ma·
scellare superiore destro mentre la cicatrice si trovava a sinistra, sulla mano
dibola (osservazione personale quando Freud si tagliò la barba per subire
un'operazione).
34. Alla luce di questa confessione stupisce che Freud, venti anni dopo, ab·
bia potuto scrivere che è quasi impossibile essere geloso di un fratello appena
nato se alla nascita di quest'ultimo il primo ha solo quindici mesi (Anf.,
p. 233; G. W., XII, 20).
35. G. W., II·III, 204.
36. IbU., p. 227.
37. lbill., p. 487.
38. lbill., IV. 245.
39. Ibill., p. 58.
40. Molti, tra cui il dotto Bernfeld, hanno sostenuto che questo aneddoto,
riferito nella Interpretazione lIei sogni, si riferiva al fratello maggiore Emanuel.
Note 41

Emanuel aveva ventitré anni più di Freud, Philipp venti esatti. In una lette­
ra a Fliess, poi, Freud ripete per due volte che il fratellastro in questione, di
venti anni maggiore di lui, era Philipp.
Si potrebbe notare la coincidenza (?) che il bambino con il quale Freud
ebbe le prime esperienze sessuali, nel periodo di Friburgo, si chiamava an­
ch'egli Philipp. Sembra strano che egli si sia ricordato, e con un certo turba­
mento, di questo nome, ma fu da suo fratello Philipp che aveva appreso qual­
cosa sulla gravidanza (G. W., II-III, 589).
41. Anf., pp. 236-37.
42. G. W., IV, 58.
43. Anf., p. 237.
44. G.S., IV, 60 n.
45. Tranne che Quando essa diventò anziana (G.W., II-III, 217; XIII, 167).
46. Anf., p. 233. - .
47. lbid., p. 252.
48. G.s., I, 474; Anf., pp. 228, 234, 252, 304, 327.
49. Anf., p. 233.
50. G. W., II-III, 447 n.
II. Farlciullezza e adolescenza (1860- 1873)

Questo periodo della vita di Freud ci è meno noto del precedente. Egli
stesso non indagò e non scrisse su di esso cos1 come invece aveva_ fatto
con il periodo del primo sviluppo quando, a circa quarantun anni, cominciò
a preoccuparsene.'1 Quel poco che sappiamo è dovuto a sua madre e a sua
sorella,2 ed a qualche sporadico accenno successivamente fatto da lui stesso.
L'immagine che risalta da queste impressioni è quella di un «bambino
buono», seppure non esageratamente, e molto dedito alla lettura e allo
studio. Era il prediletto della mamma, la sua fiducia in se stesso gli diceva
che avrebbe compiuto qualcosa d'importante nella vita ed egli· ne aveva
effettivamente l'ambizione, sebbene la via da seguire fosse poi rimasta
a lungo incerta.
I primi anni trascorsi a Vienna furono naturalmente difficili. Più tardi
Freud era solito dire che ricordava molto poco del periodo compreso tra
i tre e i sette anni d'età: «Erano tempi duri, e non vale la pena di ricor­
darli.» Gli mancavano molto la libertà e i divertimenti della campagna,
che non avrebbe più rivisto per tredici anni. C'erano, è vero, i parchi di
Vienna e in seguito le gite occasionali a Roznau, una stazione climatica
in Moravia, rese necessarie dalla tubercolosi di sua madre, ma quanto tutto
ciò era diverso dall' aperta campagna, dov' era stato cos1 felice! Ecco dunque
una buona ragione per non amare Vienna, alla quale si aggiunsero più
tardi altri due seri motivi. 8
I ricordi di Freud diventano continui dall'età di sette anni in poi, men­
tre tra i tre e i sette anni ci sono noti solo cinque episodi. Il primo, riferito
da sua madre, consiste nel fatto che, dopo aver insudiciato una sedia con
le mani sporche, egli consolò la mamma dicendole che gliene avrebbe com­
prata un'altra quando fosse diventato un grand'uomo.' Un altro esempio,
Fanciullezza e adolescenza (1860- 1873) 43

dunque, di ciò che noi chiamiamo oggi tendenza alla riparazione, ~he ha
lo stesso valore della promessa, fatta precedentemente al padre, di com­
prargli un letto rosso, e che indica un affetto maggi~re dell'aggressività. Il
secondo episodio, più interessante, lo raccontava egh stesso, 5 e rappresenta
l'unico avvenimento di quel tempo, di cui egli serbasse ricordo. Quando
aveva cinque anni, suo padre diede a lui e a sua sorella un libro (un rac­
conto di viaggio in Persia) incoraggiandoli a divertirsi strappandone via le
illustrazioni a colori. Non si trattava certo di un padre austero, tuttavia
questa forma di educazione, seppure bizzarra, ebbe un effetto. In seguito
Freud fece risalire a questo episodio la prima passione della sua vita, quella
di raccogliere e possedere libri, pur pensando che si trattasse di un ricordo
di copertura nei riguardi di qualcosa di ancora più primitivo. Un altro
ricordo riguarda l'occasione in cui, a sei anni d'età, sua madre gli disse
che gli uomini «polvere sono e polvere ritorneranno». 8 Avendo egli espresso
qualche dubbio circa questa sgradita asserzione, la madre strofinò le mani
una contro l'altra e gli mostrò i detriti di epidermide staccatisi, come cam­
pione della polvere di cui siamo fatti. Il suo stupore fu enorme, e per la
prima volta ebbe sentore dell'inevitabile. Come egli ha scritto, «entrai a
poco a poco nell' idea che più tardi avrei sentito espressa nelle parole:
"Sei debitore di una morte alla natura."» Questa citazione, erronea, dal­
l'Enrico IV di Shakespeare (Parte I, Atto V, Scena I, e Parte II, Atto III,
Scena II) non è tale perché Freud abbia sostituito «Dio» con «natura»
seguendo Goethe e vari altri classici, dal momento che egli stesso l'attri­
buisce a Shakespeare in una lettera a Fliess. 7 Può darsi invece che si sia
ispirato al TriItram Shandy, opera che amava in modo particolare, e nella
quale Sterne ha usato la stessa sostituzione (Libro V, capitolo 111).8
Un altro episodio si ricollega al ricordo cosciente di aver urinato deli­
beratamente nella. camera da letto dei genitori a sette od otto anni, e di
esser stato redarguito dal padre che esclamò testualmente: «Quel ragazzo
sarà sempre un buono a niente»,9 apprezzamento alieno dal suo abituale
orgoglio per il figlio. Freud scrive in proposito: «Questo dovette essere
un t!emendo ~ol~o per la mia ambizione, poiché nei miei sogni ricorrono
contInue alluslom a quella scena, e si associano costantemente aU'enume­
r:u io.ne dei miei successi, come se io volessi dire: "Vedi, dopo tutto son
C1~SCl~O a qualcosa.:'» L'ultimo ricordo infine era un sogno d'angoscia, all'età
di sei o sette anm, che Freud analizzò molti anni dopo, risalendo ad un
44 Vita e opere di Freud

desiderio incestuoso rimosso. Sembra che questo sia stato il suo ultimo
sogno gravemente ansioso. lo
La prima residenza viennese dei Freud fu nella Pfeffergasse, una viuzza
nel quartiere di «Leopoldstadt», abitato prevalentemente da Ebrei, e situato
vicino ai campi e ai boschi del Prater. Il rapido accrescersi della famiglia
rese necessario il trasloco in una casa più spaziosa, nella Kaiser ]osefstrasse,
. dove vissero dal 1875 al 1885. Vi era un soggiorno, una stanza da pranzo,
tre camere da letto e un «gabinetto».l1 La sorella di Freud dice: «Ave­
vamo molte stanze e vivevamo con larghezza», sebbene un appartamento
del genere non sembri eccessivo per otto persone. Si sa inoltre che il
padre ricevette spesso aiuti economici dalla famiglia della moglie, per cui
la «larghezza» con cui vivevano è senza dubbio un eufemismo. Non vi era
stanza da bagno, ma ogni quindici giorni un paio di robusti facchini sca­
ricavano in cucina una grossa tinozza di legno, con parecchi barili di ac­
qua calda e fredda, e venivano a ritirarli il giorno seguente. Quando poi
i bambini furono abbastanza grandi, la mamma cominciò a condurli a uno
dei tanti bagni pubblici. Il «gabinetto», una camera lunga e stretta separata
dal resto dell'appartamento con una finestra che guardava sulla strada, fu
assegnata a Sigmund. Conteneva un letto, qualche sedia, uno scaffale ed
uno scrittoio, e Freud vi visse e vi lavorò finché divenne interno degli
ospedali. In tutti gli anni della scuola e dell'università, l'unico cambia­
mento che avvenne in quella stanza fu la progressiva comparsa di scaffali
zeppi di libri. Durante l'adolescenza egli consumò perfino il pasto della
sera in camera sua, in modo da non perdere nulla del tempo dedicato allo
studio. Aveva una lampada a olio per sé, mentre nelle altre camere da
letto vi erano solo candele.
Si può avere un'idea della considerazione in cui la famiglia teneva i suoi
studi, da un triste ricordo di sua sorella. Quando ebbe compiuto otto anni,
la mamma, che amava molto la musica, le permise di studiare il pianoforte.
Siccome però il «gabinetto» era poco distante, il suono disturbava talmente
il giovane studente, che questi insisté perché il piano fosse eliminato. Cosl
avvenne, e perciò nessuno in famiglia ebbe un'educazione musicale, cos1
come non la ebbero più tardi i figli di Freud. La sua avVersione per la
musica fu una delle sue ben note caratteristiche, ed è vivo il ricordo della
penosa espressione del suo volto nell'entrare in un locale dove suonasse
un' orchestra, e quanto presto le sue mani finissero per coprire le orecchie
infastidite. Tuttavia, come vedremo, la cosa non finiva qui.
Fanciullezza e adolescenza (1860- 1873) 4S

Dopo le prime lezioni impartitegli dalla madre, il padre s'incaricò della


sua educazione prima ancora di mandarlo alla scuola elementare. H Anche
se autodidatta, egli era evidentemente un uomo di talento, e di intelligenza
e lucidità superiori alla media, ed i buoni progressi del bambino sono la
prova del rapporto soddisfacente che esisteva tra i due. Freud racconta che
dall'età di dodici anni cominciò ad accompagnare il padre nelle sue pas­
seggiate intorno a Vienna. 13 A quell'epoca non era ancora nata la pas­
sione per lo sport che tanto poi si diffuse nell'Europa centrale, e cos1
l'unico esercizio praticato era quello del camminare, specie in montagna.
Freud notava più tardi che le passeggiate solitarie erano state il suo pas­
satempo preferito da studente,14 e che gli era piaciuto molto anche il pat­
tinaggio,16 a quei tempi ancora assai primitivo. Fu un buon nuotatore, e
non perdeva mai l'occasione di fare un bagno, nei laghi o al mare. Una
volta sola si sedette su un cavallo, ma la situazione non lo entusiasmò.l l
Era invece veramente un buon camminatore, e a sessantacinque anni parte­
cipò a un giro escursionistico sulle montagne della Harz con una mezza
dozzina di colleghi più giovani di lui di un quarto di secolo, surclassandoli
sia in velocità che in resistenza.
Pare che l'unico disaccordo tra padre e figlio accadde quando Freud,
diciassettenne, esagerò talmente nella sua passione di acquistar libri, da
non riuscire più a pagarli.u Il padre non era affatto quella rigida figura
di genitore allora cos1 frequente, e soleva anzi discutere -con i figli sulle
varie decisioni da prendere: era il cosiddetto «consiglio di famiglia». Un
esempio ne fu la scelta del nome per il figlio minore: il suggerimento di
Sigmund di chiamarlo Alexander fu ascoltato. La sua scelta si era basata
sulla generosità e le prodezze militari di Alessandro Magno, e per sostenerla
egli spifferò l'intero racconto dei trionfi del Macedone.18
Del resto il padre era un patriarca ebreo, e questo richiedeva dopo tutto
un rispetto adeguato. Moritz Rosenthal, il pianista, raccontava che un giorno,
mentre stava discutendo con suo padre per la strada, incontrarono Jakob
Freud, che sorridendo lo rimproverò: «Cosa? Stai discutendo con tuo
padre? Il mio Sigmund è più intelligente di me, eppure non oserebbe mai
contraddirmi !»19
Non si sa molto dell'ambiente religioso in cui Sigmund crebbe. G fu
naturalmente Nannie2° che era cattolica e forse la sua influenza terrifi­
cante contribu1 al successivo disgusto di Freud per la fede e le cerimonie
cristiane. Il padre doveva esser stato allevato come un ebreo ortodosso, e
Vita e opere di Freud

Freud stesso aveva un'indubbia famigliarità con tutte le abitudini e le


festività ebraiche. I suoi figli mi hanno assicurato che il nonno era diven­
tato un vero libero pensatore, però vi è qualche indizio del contrario.
In ogni modo era certo un uomo di vedute liberali e moderniste, e non
è verosimile che egli avesse conservato abitudini ebraiche ortodosse anche
dopo l'arrivo a Vienna. D'altra parte Ernst Freud possiede una Bibbia
che il nonno Jakob, allora settantacinquenne, aveva regalato a Freud per il
suo trentacinquesimo compleanno. La dedica, in ebraico, suona:

Mio caro figlio,


fu nel tuo settimo anno di vita che lo spirito di Dio cominciò a spingerti
allo studio. Credo che lo spirito di Dio ti abbia cos1 parlato: Leggi nel Mio
Libro, e ti saranno aperte lè sorgenti del sapere e dell'intelletto. È il Libro
dei Libri, è il pozzo che i saggi hanno scavato e dal quale i legislatori hanno
tratto l'acqua del loro sapere.
Tu hai visto in questo Libro la visione dell'Onnipotente, tu hai ascoltato,
hai agito, ed hai cercato di volare alto sulle ali dello Spirito Santo. Da allora
io ho conservato la stessa Bibbia, ed ora, nel tuo trentacinquesimo compleanno,
l'ho presa dal suo ripostiglio e te la mando come segno d'amore del tuo
vecchio padre.

Anche la madre di Freud conservava una certa fede nella Divinità, e


quando egli fu sul punto di farsi una famiglia, essa invocò la benedizione
di Dio Onnipotente sui suoi sforzi. 21
Quando Freud diceva di essere stato fortemente influenzato dalle sue
prime letture della Bibbia, doveva evidentemente riferirsi al solo lato etico,
oltre che all'interesse storico. Egli crebbe del tutto privo di fede in Dio e nel­
l'immortalità, e non sembra nemmeno che ne abbia mai sentito il bisogno.
Le urgenze emotive che di solito si manifestano nell'adolescenza, si espres­
sero in lui dapprima con una meditazione filosofica piuttosto vaga, e subito
dopo con una seria aderenza ai princìpi della scienza.
A nove anni passò un esame che gli apri le porte della scuola media
(lo Sperl-Gymnasium)22 un anno prima del normale. 23 La sua carriera suc­
cessiva fu brillante: negli ultimi sei anni, sugli otto del corso, fu il primo
della classe ;24 aveva una posizione privilegiata.
Fanciullezza e adolescenza (1860- 1873) 47

Quando si diplomò con la menzione Jumma cum laude, a diciassette anni,


il padre gli promise in premio un viaggio. in I~ghilte~ra, che si ~ece due
anni dopo. Da una lettera ad un suo amiCO di quell epoca, Emd Fluss,
apprendiamo alcuni particolari di quell'esame. Nella traduzione dal tedesco
in latino ebbe la sufficienza; dal latino in tedesco gli toccò un brano di
Virgilio che aveva già letto per suo copto; e dal greco in tedesco, ventitré
versi tratti - molto opportunamente - dall'EdiPo di Sofocle. In matema­
tica (con sua gran sorpresa) ebbe buoni voti, ed ottimi nel tema in tedesco:
«Considerazioni sulla scelta della professione».25 Il suo esaminatore gli
disse che aveva uno stile che il poeta Herder avrebbe definito «idiotico»,26
cioè al tempo stesso corretto e personale, e Freud aggiungeva ironicamente:
«Tu non sapevi di essere in corrispondenza con uno stilista tedesco. Avresti
fatto meglio a conservare le lettere, non si sa mai.»21
Invece, purtroppo, una sola di queste lettere è stata conservata. Bisogna
notare che i risultati di questi esami si riferiscono solo alle prove scritte,
poiché la lettera fu scritta prima degli orali, e quindi in questi ultimi
Freud deve essere stato particolarmente brillante, se sua sorella dice la
verità circa il passaggio summa cum laude.
Sigmund ricambiò l'istruzione ricevuta dal padre, aiutando a sua volta
le sorelle nei loro studi. Egli divenne addirittura l'arbitro delle loro letture,
e spesso gliene proibiva qualcuna, con il pretesto che erano troppo gio­
vani. CosI per esempio, quando sua sorella Anna ebbe quindici anni, le
furono proibiti Balzac e Dumas. 28 Freud rappresentava dunque a meravi­
glia la figura del fratello maggiore. Nel luglio 1876, in una lettera a sua
sorella Rosa, che era più giovane di lui di quattro anni, e soggiornava a
Bolzano con la mamma, egli l'ammoniva a non lasciarsi montare la testa
dal successo avuto in società suonando la cetra, strumento che essa conosce­
va appena. La lettera è molto piena di saggezza vissuta, e stigmatizza la leg­
gerezza Odi coloro che sopravvalutano le fanciulle, a tutto danno del loro
carattere. Esperienze di questo genere le rendono solo vane, civette e insop­
portabili, e Freud non manca di confortare la sua opinione, come di consue­
to, con un aneddoto mitologico.
Durante la guerra austro-prussiana, quando aveva dieci anni, gli si era
già presentata un' occasione per questo suo altruismo morale. Infatti suo
padre l'aveva condotto a vedere il passaggio dei soldati feriti, che veni­
vano trasportati dal treno in ospedale su carri da fieno. Il loro stato lo
impressionò profondamente, ed egli chiese alla mamma biancheria vecchia
Vita e opere di Freud

con la quale poter confezionare bendaggi per loro (i cos1 detti charpie),
che erano i predecessori del cotone da medicazione. Le ragazze lo fecero
a scuola, e Sigmund chiese ai suoi insegnanti di organizzare la confezione
di bende anche nelle classi maschili.29
Il piccolo Sigmund era realmente assorbito dai suoi studi, e lavorava
duro. La lettura e lo studio riempivano gran parte della sua vita, e spesso,
sia negli anni della scuola che in seguito, si chiudeva nel «gabinetto>)- a
discutere di cose serie con gli amici che venivano a fargli visita, con gran
disappunto delle sorelle, che dovevano stare in guardia per il passaggio dei
giovani attraverso la loro stanza. Un'interessant~ caratteristica di Freud era
la sua predilezione per le estese monografie sui singoli argomenti, rispetto
alle concise notizie dei libri di testo,80 predilezione che conservò fino agli
ultimi anni, nelle sue letture di archeologia. Egli leggeva molto al di
fuori dei veri e propri studi, sebbene il primo romanzo egli stesso ci dica
di averlo Ietto a tredici anni. 81
Aveva una notevole facilità per le lingue, e infatti, oltre a essere indi­
scusso padrone della prosa tedesca, si trovava perfettamente a suo agio con
il greco e il latino, divenne un profondo conoscitore del francese e del­
l'inglese, e studiò da sé l'italiano e lo spagnolo. L'ebraico poi, lo aveva
appreso naturalmente. Amava l'inglese in modo speciale, e una volta mi
disse che per dieci anni non aveva letto altro che libri inglesi. Soprattutto
leggeva e rileggeva Shakespeare, che aveva cominciato a conoscere a otto
anni82 e di cui aveva sempre pronta una citazione al momento giusto. Ne
ammirava in special modo la superba potenza espressiva e anche più la
conoscenza, cos1 vasta, della natura umana. Ricordo qualcuna delle sue
bizzarre idee sull'autore inglese: diceva che la sua fisionomia non poteva
essere quella di un anglosassone, ma poteva invece essere francese, e sug­
geriva che il nome Shakespeare derivasse dalla corruzione di Jacques Pier­
re. 38 Voleva che io eseguissi uno studio sulla teoria baconiana e che la
confutassi per mezzo di interpretazioni psicoanalitiche. Non che egli fosse
un baconiano, come il suo maestro Meynert,84 anzi riteneva opportuno pro­
vare la falsità di quell'ipotesi. Aveva pure compatito l'entusiasmo di Mey­
nert per quell'idea, con una saggia osservazione: «Se cosÌ fosse, Bacone
sarebbe stato uno dei cervelli più notevoli che il mondo ha prodotto,
mentre mi sembra più opportuno dividere l'opera di Shakespeare tra pa­
recchi rivali, piuttosto che farla gravare su un altro grand'uomo insieme a
lui.»s5 Tuttavia più tardi sembrava molto convinto che il conte di Oxford
Fanciullezza e adolescenza (1860- 1873) 49

fosse il vero autore delle opere, ed era piuttosto seccato del mio scetticismo
in proposito.
Un «Gentile» avrebbe detto che Freud aveva poche caratteristiche netta­
mente ebraiChe, la più spiccata delle quali era forse la passione di rac­
contare aneddoti e barzellette ebraiche. 38 Comunque egli si sentiva ebreo
fino al midollo, e questo evidentemente significava molto per lui. Aveva
quella sensibilità, comune agli Ebrei, per i minimi accenni di antisemitismo,
e si faceva ben pochi amici che non fossero ebrei. Si opponeva energica­
mente all'idea che gli Ebrei fossero asociali o comunque inferiori 31 e do­
veva aver molto sofferto fin dai tempi della scuola e specialmente all'Uni­
versità a causa dell'antisemitismo che ferveva a Vienna, e che mise fine per
sempre alla fase di entusiasmo per il nazionalismo tedesco che Freud aveva
attraversata nei suoi primi anni. 88
La sottomissione era estranea alla sua natura, e suo padre non riacquistò
mai il posto che aveva occupato nella sua stima dopo la penosa occasione
in cui raccontò al figlio che un «Gentile» gli aveva strappato il ber­
retto nuovo di pelliccia e, gettandolo nel fango, 'gli aveva gridato: «Ebreo,
scendi dal marciapiede»,39 e al figlio che, indignato, gli chiedeva che cosa
avesse allora fatto, rispose calmo: «Sono sceso nel rigagnolo e ho raccolto
il berretto.» Questa mancanza d'eroismo da parte dell'uomo che gli era
modello colpl il ragazzo, e lo portò a paragonare mentalmente questo epi­
sodio con il comportamento di Amilcare, che aveva obbligato il figlio An­
nibale a giurare vendetta contro i Romani sull' altare domestico. Evidente­
mente s'identificava con Annibale, ed egli stesso diceva che da allora An­
nibale era entrato a far parte delle sue fantasie.
Durante il suo sviluppo Freud attraversò indubbiamente una fase mili­
tarista, che fece più tardi risalire alle lotte con suo nipote da bambino.
Uno dei primi libri che passarono per le sue mani dopo che ebbe appreso
a leggere fu Il Consolato e l'Impero di Thiers, e Freud ci racconta come
egli avesse attaccato sul dorso dei suoi soldati di legno tante targhette con
i nomi dei marescialli di Napoleone. 40 Massena, generalmente ritenuto ebreo,
era il suo favorito, ed il fatto di esser nati entrambi nello stesso giorno
(a parte un secolo di differenza) lo spingeva a venerarlo. f1 La guerra franco­
prussiana, scoppiata quando egli aveva quattordici anni, acuì il suo inte­
resse già vivo. Infatti la sorella racconta che egli teneva una grande carta
geografica sul suo tavolo, sulla quale seguiva la campagna nei particolari,
e che parlava alle sorelle della guerra in generale e dell'importanza dei
so Vita e opere di Freud

vari spostamenti degli opposti eserciti. Tuttavia il sogno di diventare egli


stesso un famoso generale svanl a poco a poco, ed ogni residuo interesse
per le armi dovette definitivamente estinguersi con la spiacevole esperienza
dell'anno passato nell'esercito, quando egli ne aveva ventitre ed era tutto
intento alla ricerca scientifica.
Suo nipote John venne a visitare la famiglia Freud nel 1870, ed i due
ragazzi recitarono insieme davanti a un uditorio di bambini un dialog0 42
in cui Sigmund rappresentava Bruto. 4S
Nel 1873 si tenne a Vienna l'Esposizione Internazionale, e la signora
Bernays racconta che suo fratello era stato tanto colpito dagli esemplari
delle lettere di Lincoln e dalla copia del discorso di Gettysburg, che aveva
imparato a memoria quest'ultimo e lo ripeteva alle sorelle. Tuttavia nel
catalogo del padiglione americano, tuttora esistente, non si fa menzione di
tali documenti, per cui forse il racconto è stato spostato nel corso degli
anni. In ogni caso datarlo al 1879 è certamente inesatto. 44
Freud aveva diciannove anni quando visitò per la prima volta la terra
dei suoi sogni, l'Inghilterra. Egli non aveva mai smesso di invidiare il
fratellastro per aver potuto vivere in quel paese e allevare i figli lontano
dalle quotidiane persecuzioni che gli Ebrei subivano a Vienna. 45 Tutto
quel che sappiamo del viaggio, è il racconto di Freud dell'imbarazzo pro­
vato nell'usare nomi che in inglese appartenevano ad un genere diverso,46
e la testimonianza della sorella circa una lettera entusiasta che Emanuel
scrisse a suo padre elogiando la maturità e il carattere del fratello mi­
nore. Sappiamo pure che il viaggio fece aumentare la sua ammirazione per
Cromwell47 (per cui chiamò Oliver il suo secondo figlio) e che una con­
versazione con il fratellastro ebbe il potere di alleviare la disapprovazione
che nutriva per il padre, in seguito all'episodio del berretto nel fango.
Freud confessò più tardi che gli accadeva di indulgere nella fantasia di
essere figlio di Emanuel, in quanto la vita gli sarebbe stata in tal caso
molto più facile. 48 Sua sorella aggiunge che fu in seguito a quel viaggio
che egli decise di seguire la carriera medica, ma essa fa risalire questa de­
cisione a due anni più tardi. Suo padre pensava che fosse troppo tenero
di cuore per un lavoro del genere - egli stesso aveva orrore del sangue ­
ma, secondo la sorella, Sigmund insisté dicendo che «voleva aiutare la gente
che soffre». Che ciò sia vero o no - e quasi certamente non lo è - il mo­
tivo addotto non era sicuramente l'unico né il principale. Le ragioni che
Freud stesso dava di questa scelta erano molto diverse, come vedremo.
Fanciullezza e adolescenza (1860- 1873) SI

Circa il suo sviluppo sessuale in questo periodo, conosciamo un solo


episodio. Da ciò che sappiamo della sua equilibrata maturità e dalle su­
blimazioni della sua adolescenza evidentemente riuscite, si potrebbe sup­
porre che egli sia passato attraverso uno sviluppo più quieto di quello
della maggior parte dei giovani, perciò l'episodio in questione ha un no­
tevole interesse. .a quello stesso che Bernfeld sviluppò dall' anonima de­
scrizione pubblicata da Freud come riguardante un presunto paziente che
Bernfeld indica sotto la sigla «sig. Y.».49 Quando fu scritto, nel 1899:10
non si sapeva nulla della vita personale di Freud giovane, tuttavia egli
non fece ristampare il saggio al quale l'episodio apparteneva, né nella
Samml1mg kleiner Schriften (<<Raccolta di scritti brevi») né nella pJicopa­
tologia della vita quotidiana. Dieci anni dopo egli inserl nella seconda
edizione dell'Interpretazione dei Jogni, che contiene molti riferimenti per­
sonali, un'osservazione sulla sua cicatrice al volto, che rivela l'identità
del presunto paziente. Quando i GeJammelte Schriften (<<Scritti riuniti»)
erano in via di raccolta nel 1925, Freud non poté rifiutare agli editori
il permesso di includere il bel saggio in questione, Ricordi di copertu­
ra. La cosa sarebbe stata troppo notata e avrebbe certamente fatto nascere
il sospetto di un mistero. Allo stesso tempo però, egli ebbe cura di to­
gliere il passo rivelatore dall'Interpretazione dei Jogni, che pure veniva
ristampata insieme agli scritti completi - anche a costo di rendere incom­
prensibile il testo. 51 Perciò è chiaro che Freud considerava l'episodio o piut­
tosto i sentì menti personali ad esso connessi, come qualcosa di partico­
larmente intimo, sebbene le ragioni. di ciò siano tutt' altro che evidenti a
chiunque. Né del resto tutte le precauzioni che egli prese poterono im­
pedire a molti di noi di capire che il «paziente» doveva essere proprio lui.
L'episodio racconta la sua prima esperienza d'amore, all'età di sedici
anni, quando tornò al suo paese natale per la prima volta. Egli si fermò
dai Fluss, che erano amici dei. suoi genitori e s'occupavano di industria
tessile come suo padre, e s'innamorò immediatamente della loro figlia Gi­
sela che aveva un anno o due meno di lui ed era stata sua compagna di
giochi. Sigmund era troppo timido per comunicarle i suoi sentimenti o solo
per rivolgerle la parola, ed essa parti per la scuola dopo pochi giorni.
lo sconsolato giovane dovette contentarsi di vagare per i boschi fantasti­
cando su quanto sarebbe stata piacevole la sua vita se i suoi genitori non
avessero lasciato quel beato paese, dove egli avrebbe potuto diventare un
robusto ragazzo di campagna, come il fratello di Gisela, e sposarla. Per­
Vita e opere di Freud

ciò era tutta colpa di suo padre. Naturalmente la fantasia era accompa­
gnata, sebbene del tutto inconsciamente, da un' altra più profonda e chia­
ramente erotica. L'intero episodio fu più tardi associato nella sua mente
alla scoperta che suo padre ed il fratellastro Emanuel avevano proget­
tato di sviarlo dai suoi interessi intellettuali, sostituendoli con altri più
pratici, per cui egli avrebbe dovuto sistemarsi a Manchester e sposare la
figlia di Emanuel, Pauline, altra sua compagna di giodù nell' infanzia.
Così Gisela Fluss e Pauline furono identificate l'una all'altra. L'episodio
sentimentale con la prima e la fantasia erotica inconscia che l'accompa­
gnava, devono aver risuscitato la fantasia infantile dello stupro di Pauli ne
(e senza dubbio, in ultima analisi, anche di sua madre). Questa è la ragio­
ne per cui Freud era cosi riservato su questo episodio: esso contiene le due
metà del suo complesso di Edipo.
Di fronte alla difficoltà di sistemarsi economicamente a Vienna, egli
riBetté 'spesso all'occasione perduta di una vita più facile, che abbiamo
or ora visto, e pensava che si sarebbe potuto dire molto in favore del
progetto di suo padre. Ma esso non doveva avverarsi. La fanciulla lo lasciò
indifferente52 quando egli la vide nel suo viaggio a Manchester a di­
ciannove anni,53 e questo può benissimo essere stato uno dei fattori che
lo convinsero a insistere nella carriera scientifica. Se il fascino di Pauline
avesse uguagliato quello della bella campagnola, molte cose sarebbero
state differenti a questo mondo.
Note

1. A quanto ricordava, Freud disse di averlo fatto a quarantadue anni


(G.W., IV, 58), ma i riferimenti contemporanei non lasciano dubbi (vedi
cap. XIV).
2. Non si può attribuire un'assoluta precisione alla memoria di quest'ultima,
ed infatti molte delle date da lei fornite sono sicuramente erronee (Anna
Freud Bernays, My Brother, Sigmuna Freua, «American Mercury», novembre
1940).
3. L'antisemitismo e l'accoglienza tributata ai suoi lavori.
4. Secondo Anna Bernays. Si tratta probabilmente di una deformazione del­
la storia del letto (v. p. 30).
5. G. W., II-III, 178.
6. [bia., p. 211.
7. Anf.
8. Un esempio di errore di citazione inconscio è quello del monumento del­
l'Imperatore Giuseppe II citato nel sogno Non vixit, nell'Interpretazio­
ne aei sogni. Wittels ne suggerì una ingegnosa interpretazione, che Freud ac­
cettò (F. Wittels, Sigmuna Freua: His Persona/ity, His Teaching ana His
Schoo/, New York Dodd, Mead, 1924, p. 100).
9. G.W., II-III, 221.

lO. [bia., p. 589.

11. Questa descrizione dell'appartamentQ è della sorella di Freud, Anna, e


a quanto pare si riferisce al secondo appartamento, sebbene essa non ne sia
assolutamente certa.
12. Bernays, op. cito
13. G. W., II-III, 203.
14. M., 28 settembre 1883.
15. [bM., 25 gennaio 1885.
16. G. W., II-III, 236.
17. [bia., p. 178.
18. Bernays, op. cito
19. Wittels, op. cit., p. 60.
54 Note

20. V. p. 29.
21. Lettera inviata a Freud dalla madre il 5 luglio 1886.
22. Il Leopoldstadter Kommunalreal. und Obergymnasium. Esso assume il
nome di Sperlgymnasium dopo il 1870, quando fu trasferito dalla Taborgasse
alla Sperlgasse.
23. Registri dello Sperlgymnasium (Bernfeld).
24. Quando sua sorella dice che fu il primo della classe per otto anni, e
che fu licenziato a diciotto, commette due errori. Il dott. Bernfeld ha riesuma·
to dai registri scolastici i voti riportati da Freud in ogni semestre!
25. I voti in tedesco furono, rispettivamente, befriedigend, lobemwert e
alugezeichnel.
26. Riferendosi all'etimologia della parola: personale, originale (cf. idio·
matico).
27. I.Z., XXVI (1941), 5.
28. Bernays, op. cito
29. lbid.
30. G.W., II· III, 178.
31. Riferendosi probabilmente a un romanzo moderno, perché aveva già let·
to i classici tedeschi (G.W., II·II1, 211).
32. M., 14 gennaio 1884.
33. Mi disse in seguito di aver appreso questa ipotesi dal prof. Gentilli, di
Nervi.
34. M., 22 giugno 1883.
35. lbid.
36. Nel 1897 disse ad un amico che stava facendo una raccolta di aneddoti
della saggezza ebraica (Anf., p. 224).
37. L'affermazione di Helen Puner, che a Freud rincrescesse di essere ebreo
è assolutamente infondata.
38. G. W., II·II1, 328.
39. lbid., p. 203.
40. lbid.
4l. Non è del tutto esatto. Si tratta di una data discussa, ma la Principessa
Murat è stata cosi gentile da esaminare il certificato di nascita in possesso di
suo fratello il Duca di Rivoli, pronipote di Massena, e la data che vi figura
è il 6 settembre 1759.
42. n dialogo era preso da una versione giovanile dei Mamadieri di Schiller
(Atto IV, scena V), ma nell'allusione che Freud fece all'episodio non parlò
del contenuto parricida della scena.
43. G. W., II·III, 427.
44. I miei sospetti hanno trovato conferma in una osservazione che ho tro·
vato in una lettera scritta a Martha Bernays (1° luglio 1882). Il futuro cogna·
to di Freud, Eli Bernays, gli aveva regalato poco tempo prima una copia della
Dichiarazione d'Indipendenza. Invece non si fa cenno alcuno della storia rac·
contata dalla sorella di Freud, Anna.
45. G. W., II·III, 447.
Note 55

46. lbid., p. 523.


47. La riammissione degli ebrei in Inghilterra, da parte di Cromwe11, dove­
va avere una certa parte in tale ammirazione (G. W., II-III, 450).
48. G. W., IV, 245.
49. Bt. (3).
50. La descrizione fu spedita all'editore a metà maggio (Anf., pp. 289-299).
51. G.s., I, 465.
52. Freud trovò però molto attraente la sorella di Gisela, Bertha, di due
anni minore, e ne parlò varie volte nelle sue lettere a Martha.
53. Non si può invece dire, come farebbe qualche cinico, che sia stata la
vista di Manchester a far decidere Freud, poiché il suo entusiasmo per 1'10­
ghilterra non ne fu minimamente scosso.
III. La scelta della professione (1873)

Lasciata la scuola, Freud si trovò di fronte al problema assillante di


scegliere una carriera. Egli non era ancora giunto 'ad alcuna decisione e
suo padre lo lasciava interamente libero. I sogni infantili di diventare
un grande generale o un ministro di Stato erano da tempo svaniti di fronte
alla realtà. Per un ebreo viennese la scelta poteva farsi tra l'industria,
gli affari, la legge e la medicina. La prima era subito da scartarsi per
un'intelligenza del tipo della sua, malgrado i suoi successivi occasionali
rimpianti per un'esistenza più. sicura. Sembra che Freud abbia esitato un
po' più sullo studio della giurisprudenza, con l'idea di intraprendere poi
una carriera sociale - eco delle prime ambizioni politiche - ma i suoi
impulsi profondi lo attiravano in un'altra direzione. Tra parentesi, è stra­
no che, in tutta la sua vita, il solo esame in cui egli subì un insuccesso sia
stato proprio quello di medicina legale. l
Per la medicina in se stessa non aveva una vera e propria attrazione,
e del resto nei suoi ultimi anni non faceva mistero del fatto che non si
era mai sentito a suo agio nella professione medica, e non si era mai con­
siderato un normale membro di essa. lo stesso ricordo che fin dal 1910,
sospirando, egli esprimeva il desiderio di ritirarsi dalla pratica medica
e di dedicarsi alla risoluzione dei problemi storici e culturali, specie al
grande problema di sapere come l'uomo è arrivato ad essere quello che è.
Eppure ormai iI mondo lo considera a ragione un grande medico.
Egli stesso ci racconta: «Sebbene vivessimo molto modestamente, mio
padre insisteva che nella scelta della professione io dovessi seguire le mie
incIinazioni. 2 Né' allora né in seguito ho provato una particolare predile­
zione per la carriera di medico. Ero spinto piuttosto da una specie di
curiosità, rivolta tuttavia più agli interessi umani che agli oggetti natu­
La scelta della professione (J 873) 57

rali, e non avevo compreso che l'osservazione è uno dei mezzi migliori per
soddisfarIa. I primi rapporti con la mia famiglia, la storia della Bibbia
(quando non avevo quasi ancora imparato a leggere) avevano avuto un ef­
fetto prolungato sull'orientamento dei miei gusti, come riconobbi più tar­
di. Sotto il potente influsso di un'amicizia di scuola con un ragazzo mag­
giore di me, allevato con l'idea di divenire un grande uomo politico, co­
minciai a desiderare di studiare legge come lui, e di impegnarmi nelle at­
tività sociali. D'altra parte, le teorie di Darwin, allora di scottante attua­
lità, mi attiravano fortemente, in quanto suscitavano le speranze di favo­
losi progressi nella comprensione del mondo. Fu infatti dopo aver sentito
il professor CarI Briihl8 leggere ad alta voce il saggio di Goethe sulla Na­
tura in una conferenza pubblica, poco prima che finissi la scuola,' che mi
convinse a diventare studente di medicina.»5
Un'altra versione è questa: «Dopo quarantun anni di attività medica, la
conoscenza che ho di me stesso mi dice che non sono mai stato un medico
nel vero senso della parola. Lo sono diventato dopo essere stato spinto a
deviare dai miei propositi originari, ed il più grande successo della mia vita
consiste per me nell'esser tornato sui miei primi passi dopo un viaggio
lungo e tormentato. Non mi risulta che da giovane io abbia avuto un sin­
cero desiderio di aiutare l'umanità sofferente. Le mie tendenze sadiche in­
nate non erano molto forti, e perciò non ho avuto bisogno di coltivare
la medicina, che ne è una derivazione. Non ho mai giocato "ai dottori"
perché evidentemente la mia curiosità infantile aveva scelto altre vie. Invece
nella mia gioventù ho sentito un bisogno prepotente di capire qualcosa
degli enigmi del mondo in cui viviamo, e forse anche di contribuire un
poco alla loro soluzione. Il mezzo più opportuno per raggiungere questo
fine mi sembrò quello di iscrivermi alla facoltà di medicina. Anche allora
mi cimentai - senza successo - con la zoologia e la chimica, finché alla
fine, sotto l'influenza di Briicke, la cui enorme autorità mi influenzò più
di ogni altra nella vita, mi dedicai alla fisiologia, che però a quei tempi
era troppo strettamente limitata all'istologia. A quell'epoca, pur avendo già
superato tutti gli esami, nessuna branca della medicina mi aveva parti­
colarmente attratto. Finalmente il maestro che rispettavo cosI profondamen­
te mi fece capire che, date le mie ristrette possibilità materiali, non avrei
mai potuto intraprendere una carriera teorica, e cosI passai prima dall'isto­
logia del sistema nervoso alla neuropatologia e quindi, sollecitato dalla
novità, cominciai ad occuparmi delle nevrosi. In ogni modo non credo che
S8 Vita e opere di Freud

la mia mancanza di un temperamento medico genuino abbia procurato


molti danni ai miei pazienti, poiché non torna molto a vantaggio dei ma­
lati che l'interesse terapeutico del medico abbia un accento emotivo troppo
marcato. I risultati sono molto migliori se egli svolge il suo lavoro fred­
damente e, nei limiti del possibile, con precisione.»6
Una curiosità di questo genere si può concentrare sugli enigmi dell'esi­
stenza e dell'origine dell'uomo, o viceversa estendersi alla natura dell'in­
tero universo: per Freud si trattava evidentemente del primo caso. Inoltre
questa curiosità può essere soddisfatta attraverso la speculazione filosofica
oppure la ricerca scientifica. Sappiamo quale di queste due vie Freud abbia
effettivamente seguito, eppure Wittels ha suggerito acutamente che egli era
forse uno di quegli individui la cui tendenza alla speculazione astratta è
talmente forte da renderli timorosi di venirne travolti, e che sentono così
la necessità di equilibrarla con lo studio di dati scientifici concreti. 7 Que­
sto è confermato da una risposta che Freud dette una volta alla mia do­
manda di quante opere filosofiche avesse letto: «Molto poche. Da giovane
provavo una forte attrazione per la speculazione, che poi cadde di colpo.»
Sappiamo pure dall'ultimo capitolo dell'Interpretazione dei sogni e da altri
suoi scritti che egli possedeva una notevole capacità teoretica, ma che ne
usava nell'interesse della realtà.
Il saggio ditirambico di Goethe rappresenta romanticamente la natura
come una madre bella e prodiga che concede ai figli prediletti il privilegio
di esplorare i suoi segreti, e quest'immagine attraeva il giovane Freud più
della prosaica prospettiva di sposare una sua parente di Manchester. Il suo
modo di vedere era l'opposto del materialismo, e così scelse una carriera
ideale piuttosto che il benessere materiale, senza curarsi della povertà o
della ricchezza.
Wittels pensa che ciò che attraeva Freud nel saggio di. Goethe fosse non
solo il senso della bellezza della natura, ma anche il suo significato ed
il suo SCOpO.8 Non vi è ragione di pensare che Freud stesse continuamente
a spremersi il cervello sullo scopo dell'universo - egli fu sempre un ateo
impenitente - ma che il genere umano sia spinto da scopi, motivi, mire
differenti ed in gran parte non necessariamente evidenti, è un concetto che
probabilmente egli ha sempre avuto in mente, già molto prima di svilup­
parlo tanto brillantemente e di sciogliere l'enigma della Sfinge. :e ragio­
nevole supporre che questa incessante ricerca sul significato dell'umanità.
e dei rapporti tra gli uomini sia sorta in rapporto con i problemi della
La scelta della professione ( 1873) S9

sua vita familiare, ed il suo stesso caso potrebbe essere una riprova del
suo detto che i primi due o tre anni di vita sono decisivi per la formazione
del carattere e della personalità.
A questo punto cade opportuno un interessante passo di Bernfeld: «Le
fantasie infantili ed i sogni ad occhi aperti di Freud adolescente, per quan­
to ci è noto non ci fanno presentire il futuro creatore della psicoanalisi.
Sarebbero più appropriati per un generale, un riformatore o un grande af­
farista piuttosto che per l'ascoltatore paziente e servizievole di lamentele
piccine, di storie noiose e dei racconti di sofferenze irragionevoli. C'è un
abisso tra il bambino che divorava i capitoli di Thiers sulle imprese di Na­
poleone, e che si identificava al maresciallo Massena, duca di Rivoli e prin­
cipe di Essling, e lo psicoanalista che allegramente ammette di poter con­
trollare in fondo assai poco quei sintomi e quei disturbi che ha appreso
a comprendere tanto bene. A dodici anni, egli si ritiene ancora un candi­
dato al rango di ministro. Adolescente, decide di diventare avvocato e di
darsi alla politica, poi, a diciassette anni, poco dopo la licenza superiore,
improvvisamente recede dai propositi di dominio sui suoi simili, e si rivolge
al più affascinante dominio della natura attraverso la scienza. Decide di
studiare storia naturale, l'odierna biologia. La potenza, il prestigio e il
benessere sono diventati per lui solo fatti contingenti, e non si cura che
di essere un grande scienziato.»9 '
Bernfeld adombra qui l'importante questione del «dominio dell'uomo»
e della sua ricerca. Si pensa comunemente che questo atteggiamento sia ca­
ratterisico solo degli uomini di carattere aggressivo e dominatore, di cui pur­
troppo abbiamo visto recentemente molti noti esempi. La psicoanalisi ha in­
vece dimostrato che si tratta di una caratteristica umana universale, che può
però assumere molte forme diverse, alcune evidenti, altre irriconoscibili.
Per di più, non è giusto considerarla come una tendenza puramente aggres­
siva, poiché gran parte della sua motivazione è in realtà l'espressione di
profonde paure dell'infanzia. Il senso di malvagità ad esso connesso - sia
primordiale che consecutivo alle introiezioni - viene di solito proiettato al
di fuori, su altri esseri umani, nel tentativo di dominare l'aggressività.
Tuttavia ora che la malvagità è passata all' esterno, il vantaggio di questa
espulsione è controbilanciato dalla paura di non poterla più controllare.
Donde il bisogno di compiere sforzi per influenzare, controllare, o, in casi
estremi, dominare i propri simili.
Questa digressione di carattere teorico, apparentemente fuori luogo, ha
60 Vita e opere di Freud

lo scopo di evitare false impressioni, quando si parli della «ricerca di


dominio» di Freud. La forma più ovvia di tale desiderio è quella militare
in cui la forza e la conquista assumono aspetti decisivi, ed è abbastanza
frequente tra i giovani prima che essi scoprano che i poteri civili e poli­
tici sono più potenti di quelli militari. Questa è la prima fase di ciò che
accadde a Freud. Viceversa in quel periodo critico della vita che stiamo
considerando ora, si stava compiendo quella grossa modificazione che con­
siste nel riconoscere la supremazia dell'intelletto. Egli si rese conto che il
segreto del potere non era la forza, ma la conoscenza, fatto che tre secoli
di grandi conquiste della scienza stanno a testimoniare. Prima che questa
verità possa essere applicata al comportamento dell'uomo - egli pensava ­
è necessario apprendere ancora sulla natura, sulla costituzione fisica del­
l'uomo. Qui era Darwin che segnava la strada, poiché intorno al '70 il fer­
mento determinato dalle sue opere era al colmo in tutti i paesi d'Europa.
In una conversazione che ebbi una volta con Freud sulla natura equili­
brata dell'ideale greco, consistente nella supremazia sia nelle conquiste in­
tellettuali che in q!lelle fisiche - e forse la parola «estetica» stava a rap­
presentare il legame tra i due campi - egli notò: «Sl, un'armonia di que­
sto genere è certamente preferibile. Gli Ebrei hanno evoluto in uno svio
luppo unilaterale e per diverse ragioni ammirano il cervello più del corpo
Anch'io se avessi da scegliere tra i due, metterei al primo posto l'intelli­
genza.»
Questa evoluzione dalla forza alla conoscenza, cioè in fondo dal corpo
alla mente, fu estremamente profonda e vasta. Nonostante che le provoca­
zioni abbondassero, Freud non si abbandonò mai alla polemica, che lo di­
sgustava. Come Darwin, -e a differenza di molti uomini di scienza, egli ri­
spose alle critiche, cui era sensibilissimo, semplicemente col continuare le
sue ricerche e con l'ammassare prove sempre più numerose. Gli importava
poco di in.B.uenzare i suoi colleghi, ed a loro offri concetti preziosi pur
senza alcuna intenzione di forzarli a credervi. Non gli piacquero mai i di­
battiti né le pubbliche discussioni scientifiche, di cui sapeva quanto l'og­
getto fosse controverso, ed è proprio in omaggio a questo modo di vedere
che i lavori letti nei congr~ssi di psicoanalisi non sono mai stati seguiti da
discussione. D'altra parte, sebbene si siano dette grosse inesattezze in senso
opposto, io posso asserire, e nessuno può dirlo meglio di me, che il suo
atteggiamento verso colleghi ed allievi non fu mai quello del dominatore.
La scelta della professione ( 1873) 61

Se qualche volta egli raggiunse una posizione simile, fu solo come con­
seguenza indiretta del rispetto che si tributa ad ogni grand'uomo.
G si potrebbe giustamente chiedere se il profondo mutamento che Freud
subì, sia stato determinato dall'intensa vicenda sentimentale descritta nel
brano autobiografico anonimo del quale si è detto. Poiché quello fu uno
degli episodi significativi della vita di Freud, e può indubbiamente aver
avuto un peso nella scelta della sua carriera, è importante sapere se esso
si verificò effettivamente in quel periodo oppure un anno prima, per cui
vanno ricordati gli argomenti in favore di ciascuna delle due ipotesi. Il
protagonista del racconto, il signor Y, avrebbe visitato la sua vecchia casa,
dove la vicenda si svolse, all' età di diciassette anni, cioè nelle vacanze
successive all'esame di licenza, proprio quando Freud stava decidendo la
scelta della sua carriera, cioè in un periodo in cui una vacanza speciale
poteva cadere proprio a puntino. Secondo sua sorella, il padre era cosI sod­
disfatto del risuitato ottenuto all'esame d'ammissione all'Università che
premiò il figlio con la promessa di un viaggetto in Inghilterra. Essa aggiun­
ge pure che il viaggio avvenne «poco dopo», ma può darsi che lo confonda
con la vacanza a Freiberg, dal momento che Freud (del quale non si può
dubitare) si attribuisce diciannove anni, e non diciassette, all'epoca del viag­
gio in Inghilterra. lo Inoltre nell'estate del 1873 vi fu a Vienna il crollo
dello Stock Exchange, per cui non era certo il momento più propizio per
imbarcarsi in una vacanza costosa, che quindi dové essere probabilmente
rimandata di due anni. :e probabile che il padre di Freud abbia deciso il
più modesto soggiorno a Freiberg proprio per consolare il figlio della
delusione di non poter andare in Inghilterra dai fratelli.
D'altra parte, in una lettera al sindaco di Freiberg, per l'affissione di
una lapide in suo onore (1931), Freud dice di ave! visitato per l'ultima
volta la sua città natale a sedici anni «quando era ancora studente»,ll
(mentre non lo sarebbe più stato nelle vacanze dell'anno successivo), e per
non tener conto di un'affermazione cosI precisa sarebbero necessarie prove,
non supposizioni. La precisione di questo suo ricordo è poi suffragata da
due altri fatti: l. nell'Interpretazione dei sogni egli dice di aver impa­
rato a memoria una filastrocca ceca a diciassette anni 12 - ciò che dovrebbe
essere quasi certamente accaduto a Freiberg; 2. il signor Y, nella storia
del ricordo di copertura; dice di essere andato a visitare i suoi parenti
all'~stero tre anni dopo l'episodio riferito. Freud aveva dunque diciannove
anOl quando andò in Inghilterra.
Vita e opere di Freud

Cosi possiamo supporre che. come Freud fissò a trentotto anni l'età
del signor Y nel racconto del ricordo di copertura, mentre egli ne aveva
in realtà quarantatré, allo stesso modo spostò l'età dell'episodio sentimen­
tale da sedici a diciassette anni,13 Si sa che negli anni successivi, quan­
do l'aver rivelato se stesso ebbe molto aumentato il rischio di essere
riconosciuto nel suo presunto paziente, egli prese tutte le misure per na­
scondeme la vera identità, tanto era importante per lui mantenere il segre­
to. Questo è da attribuirsi forse al rapporto che quell' esperienza aveva
con i suoi impulsi infantili proibiti e rimossi, legame che egli stesso men­
ziona. Sembra ragionevole supporre che la scoperta di poter essere tra~
scinato dall'emersione improvvisa di impulsi provenienti dal profondo, ed
il dolore di constatare che un'esperienza simile era stata vana, avessero su­
scitato in lui una reazione penosa. Poteva quest'onda di sessualità rimossa
essere stata uno dei fattori che lo distolsero cosi violentemente dalle fortune
dell'ambizione mondana e lo sospinsero verso la fredda fiamma dell'idea­
lismo indicata dalla ragione? Passarono dieci anni prima che egli s'azzar­
dasse ad innamorarsi ancora, ma stavolta con più successo. .
Per tornare alla scelta della professione, si può dire che Freud pos­
sedeva un'intelligenza molto ordinata (cosi come lo erano le sue abitudini)
e che la sua capacità di organizzare i fatti in costruzioni sistematiche era
senza dubbio notevole: ne sono una prova il modo in cui ordinò la bi­
bliografia sulle paralisi cerebrali infantili o quella sui sogni. D'altra parte
però, egli disprezzò alquanto la precisione e la definizione rigorosa, rite­
nendole noiose e pedanti, e certo non avrebbe mai potuto diventare un
matematico o un fisico o un campione di scacchi. Scriveva con facilità, na­
turalezza e spontaneità, e trovava molto noioso correggere quello che aveva
scritto. I suoi traduttori mi daranno ragione se dico che le loro non ultime
difficoltà consistono proprio in quelle sue espressioni oscure o ambigue
che una revisione più attenta da parte sua avrebbe potuto facilmente evi­
tare. Egli naturalmente se ne rendeva conto, e mi ricordo infatti che una
volta che gli chiesi perché avesse usato una certa frase dal significato
molto poco chiaro, mi rispose con una smorfia: «Pura sciatteria.»14 Ci im­
battiamo qui in uno dei suoi lati più caratteristici, la sua insofferenza per
gli intralci e le remore. Amava invece abbandonarsi liberamente ai suoi
pensieri per vedere dove l'avrebberò condotto, lasciando provvisoriamente
da parte ogni esatta delimitazione, che si sarebbe sempre potuta considerare
in un secondo momento.
La scelta della professione ( 1873)

Abbiamo già notato la sua precoce tenden2a alla ruminazione speculativa


alla quale si oppose tenacemente. Il motivo di questa opposizione fu forse
solo in parte la sensazione di pericolo che egli provava nell' abbandonare
l'oggettività per l'astratto. Vi era anche il pericolo di partorire pensieri
inconsci per i quali era ben lungi dall'essere maturo, ed infatti ci sarebbe
voluto il coraggio e l'energia di un uomo di quarant'anni per spingere
l'esplorazione di se stesso fino alle. estreme conseguen2e.
Considerazioni di questo genere gli fecero sentire la necessità di una
disciplina intellettuale, e tutto gli indicava la scienza come massima oc­
casione. Come ancor oggi per molta gente, la scien2a indicava allora non
solo oggettività, ma soprattutto esattezza, misura, precisione, tutte qualità
di cui Freud si sentiva privo. Per di più, nel diciannovesimo secolo la
fede nella· conoscen2a scientifica come principale rimedio ai mali del mon­
do - fede che Freud professò fino all'ultimo - cominciava ad attirare su
di sé le speranze che precedentemente erano state fondate di volta in volta
sulla religione, la politica e la filosofia. Questo culto della scien2a rag­
giunse Vienna dall'Occidente, specie dalla Germania, e toccò il suo apice
proprio verso il '70. Egli ne era infiammato e perciò, malgrado la sua na­
turale tendenza ad esplorare l'ignoto e a mettere un certo ordine nel caos,
dovette sentire che il rigore e la meticolosità avevano anch' esse una parte
importante - come le «scienze esatte» facilmente dimostrano.
Il conflitto tra il bisogno di darsi sen2a ostacoli al suo pensiero - e
certo anche al gioco della fantasia - e quello di incanalarsi in una di­
sciplina scientifica, si concluse con una decisa vittoria del secondo. Il con­
trasto potrebbe anche venir espresso nella successiva terminologia di Freud,
come passaggio dal principio del piacere al principio della realtà, e forse
corrisponde anche al contrasto tra la fede nel libero arbitrio e quella nel
determinismo, la vecchia antinomia che egli stesso doveva risolvere tanto
brillantemente un quarto di secolo più tardi. Come spesso accade in simili
situazioni, il controllo sembra esser stato non solo profondo, ma forse an­
che eccessivo, poiché, come vedremo più avanti, un uso più libero e co­
raggioso della sua immaginazione gli avrebbe valso più di una volta la
fama nelle sue ricerche di laboratorio, se non si fosse accuratamente aste­
nuto dal prolungare le ipotesi del suo lavoro fino alle loro logiche con­
clusioni .
. Che Freud avesse l'ambizione di perseguire la conoscenza come segreto
di successo e di potenza, è dimostrato da un brano della già citata lettera
Vita e opere di Freud

a Emil Fluss, nel quale esprime la sua paura della mediocrità e si rifiuta
di lasciarsi rassicurare dall'amico. Durante tutta la sua vita egli fu mo­
desto circa le sue conquiste, ed ostentò la severa autocritica che si riscon­
tra in coloro che si sono imposti mete elevate, o hanno concepito grandi
pretese. Una volta gli raccontai la storiella· di quel chirurgo il quale dice­
va che, se avesse mai potuto raggiungere il trono dell'Eterno, si sarebbe
portato dietro un osso canceroso ed avrebbe chiesto all'Onnipotente di far­
gli qualche confidenza in merito. La risposta di Freud fu: «Se mi trovassi
io in una situazione del genere, il principale rimprovero che· farei all'On­
nipotente sarebbe quello di non avermi dato un cervello migliore.» n l'os­
servazione di un uomo che non si lascia contentare facilmente.
L'evoluzione di Freud nei cinque anni che seguirono può essere facil­
mente compresa se si considera lo stato d'animo che abbiamo cercato di
dipingere. Egli sarebbe stato uno studente laborioso e diligente, ma non
avrebbe eccelso nelle scienze «esatte». La biologia gli offriva una certa
comprensione dell'evoluzione della vita e dei 'rapporti dell'uomo con la
natura, più avanti l'anatomia e la fisiologia gli avrebbero insegnato la
natura fisica dell'uomo. Chi sa se questo arido viaggio lo avrebbe condot­
to più vicino alla sua meta ultima, ai segreti della natura interiore del­
l'uomo, verso i quali lo spingevano i suoi bisogni più profondi? Sappiamo
che lo studio dei mali fisici dell'uomo non lo aiutò, anzi lo ostacolò in
questo processo ed egli considerò sempre come suo vero trionfo il fatto
di essere finalmente riuscito a raggiungere la sua meta, seppure per una
via straordinariamente tortuosa. III
Note

l. G.W., II·III, 281.


2. Helen Puner dice che la scelta di Freud fu determinata dall'insistenza di
suo padre, ma a me non risulta nessuna prova di ciò.
3. Il dotto Bernfeld mi dice che, secondo Fritz Eckstein, vecchio amico di
Freud, quest'ultimo scrisse un resoconto di quella conferenza per un quotidia.
no, che però non è stato identificato. La conferenza riguardava l'anatomia com·
parata!
4. Altrove Freud dice di aver assistito a questa conferenza dopo aver lasciato
la scuola e quando era ancora indeciso sulla sua futura professione.
5. G. W., XIV, 34.
6. Ibid., p. 290.
7. F. Wittels, Sigmund Freud: His Personality, His Teaching and His School,
New York Dodd, Mead, 1924, p. 20.
8. F. Wittels, Freud and His Time, New York, Liveright. 1931, p. 34.
9. BI. (4), p. 163.
lO. Egli fissò il viaggio all'età di diciassette anni nella prima edizione della
Interpretazione dei sogni (p. 304), ma a quella di diciannove in tutte le edi·
zioni successive.
11. G. W., XIV, 461.
12. Ibid., II·III, 201.
13. Questa conclusione ha trovato successivamente conferma in una lettera
a Martha Bernays del 28 ottobre 1883, nella quale Freud spiegò completamen.
te la cosa e precisò che a quell'epoca aveva sedici anni. Riandando con il peno
siero all'infatuazione per Gisela egli la attribuiva ai suoi capelli ed ai suoi
occhi neri, nonché alla profonda emQzione che la visita al suo luogo natio
aveva prodotto in lui. Evidentemente non l'aveva colpito solo la bellezza della
ragazza, perché egli accennava anzi alla sua mancanza di gusto e aggiungeva
d~ non aver scambiato con lei nemmeno una parola. Perciò il suo amore era
diretto a qualche sua immagine interna, proveniente da strati ben più profon·
di ma associato con la casa della sua fanciullezza.
Gisela sposò un certo Popper di Vienna, che Freud conosceva. Non si tratta·

~ . I
66 Note

va però del famoso Popper.Lynkeus che Freud citò con tanta riluttanza negli
anni successivi (vedi p. 430), in qpanto questi si sposò sul letto di morte.
14. S,h/amperei.
U. G.W., XIV, 290.
IV. Studente di medicina (1873-1881)

Non sorprende che lo studio della medicina, al quale Freud erà arriva­
to in modo cos1 poco ortodosso, si sia svolto per lui· in maniera irregolare
e prolungata, tanto da richiedere oltre tre anni più del necessario. Negli
anni successivi egli raccontava che certi suoi colleghi gli avevano rinfac­
ciato la sua lungaggine, cQme se fosse un ritardatario. In realtà vi erano
buone ragioni per questo ritardo, perché proprio i campi che egli aveva
supposto di attraversare speditamente, furono quelli in cui si sarebbe poi
soffermato per tutta la vita.
Freud entrò all'Università di Vienna nel 1873, cioè assai presto, a
diciassette anni. Le ricerche che il professor Vietor Kraft ha svolto negli
archivi dell'Università, su richiesta del dr. Bernfeld, hanno permesso di ri­
costruire l'elenco completo dei corsi che egli segui durante tutti gli stu­
di, cosicché oggi è possibile seguirlo passo passo.1 Freud stesso ammet­
teva di aver seguito solo scarsamente gli studi strettamente inerenti alla
carriera medica e di non aver perso invece alcuna occasione per soffer­
marsi su quelli che lo interessavano, che sarebbe come dire sconfinare nei
pascoli vicini.
Nel suo primo semestre, dall'ottobre 1873 al marzo 1874, firmò ventitré
ore di lezione alla settimana: dodici di anatomia e sei di chimica, più le
esercitazioni in entrambe queste materie. Nel primo semestre estivo, dalla
fine d'aprile a giugno inoltrato, ebbe ventotto ore settimanali di anatomia,
botanica, chimica, microscopia e mineralogia. Per un tipico eccesso d'inte­
resse, segui pure un corso su «Biologia e darwinismo» tenuto dallo zoo­
logoClaus, ed uno sulla «Fisiologia della voce e del linguaggio». A que­
st'ultimo vide per la prima volta il famoso Briicke, che doveva poi diven­
tare tanto importante per lui. Così passò il primo anno.
68 Vita e opere di Freud

Nel successivo semestre invernale (1874-75) continuò regolarmente con


ventotto ore settimanali di dissezioni anatomiche, fisica, fisiologia ( con
Briicke) e zoologia (con Oaus), però una volta alla settimana gettava uno
sguardo sulla filosofia al seminario di Brentano. A Vienna la filosofia era
stata obbligatoria per gli studenti di medicina dal 1804 fino al 1872.
Nel quarto semestre, nell'estate del 1875, troviamo Freud su una linea
più indipendente: seguiva i corsi effettivi di zoologia (quindici ore alla
settimana) anziché quelli per studenti di medicina, e due corsi di fisica
invece di uno. Continuava il seminario di filosofia, e aggiunse anzi un al­
tro corso di Brentano, sulla logica aristotelica. Undici ore alla settimana
le dedicava alle lezioni di fisiologia di Briicke.
Questa virata verso la biologia si accentuò nel semestre seguente, quan­
do fece dieci ore settimanali di zoologia pratica nel laboratorio di Claus.
Il resto del tempo era assorbito dall'anatomia e dalla fisiologia, però con­
tinuava ad andare da Brentano una volta alla settimana.
Alla fine del semestre, nel marzo 1876, dopo due anni e mezzo di uni­
versità, cominciò la prima delle sue numerose ricerche originali, che gli
fu suggerita da Claus; CarI Oaus, direttore dell'Istituto d'Anatomia Com­
parata, era passato a Vienna da GOttingen due anni prima, con l'incarico
di portare l'Istituto di Zoologia ad un livello più moderno. S'occupava so­
pra tutto di zoologia marina, e nel 1875 poté fondare la Stazione Zoolo­
gica Sperimentale di Trieste, una delle prime del genere nel mondo. Gli
furono anche messi a disposizione i fondi necessari per mandare qualche
studente a Trieste, due volte l'anno, per alcune settimane di studio e di
ricerca, e uno dei primi a goderne fu proprio il giovane Freud, ciò che
dimostra quanto il suo maestro pensasse bene di lui. 2 Un viaggio scientifico
sulle rive dell' Adriatico doveva essere molto ambito, tanto la sua conces­
sione veniva considerata importante. Per Freud fu la prima visione di una
civiltà meridionale, ed allo stesso tempo il primo tentativo di ricerca scien­
tifica, ed infatti la sorella ricorda questo suo viaggio come un avvenimento
saliente della sua vita.
Sul finire dell'estate, tra le due visite a Trieste, egli si concentrò sulla
biologia: assisteva a quindici lezioni settimanali di zoologia e solo a un­
dici di tutte le altre materie, più tre ore di Brentano su Aristotele. In
fisiologia incontrò per la prima volta Exner e Fleischl, che divennero poi
figure importanti per lui. Infine c'era qualche lezione di spettroscopia e
di fisiologia vegetale.
Stutknte di medicina (J873-J88J)

Gli fu affidata una ricerca su un problema che era rimasto insoluto


fin dai tempi di Aristotele: la struttura delle gonadi delle anguille. Come
scrisse nel suo lavoro, «nessuno ha mai trovato un maschio adulto di an­
guilla, né ha mai visto i testicoli dell'anguilla, malgrado le innumerevoli
ricerche di tanti secoli». Tale difficoltà era evidentemente connessa con la
favolosa migrazione che precede il periodo degli amori dell' anguilla, tut­
tavia nel 1874, a Trieste, Syrski aveva descritto un piccolo organo lobu­
lato ed aveva suggerito che esso fosse un residuo dei testicoli mancanti.
Era un dato da controllare, ed appunto di questo fu incaricato Freud. Oaus
rimase molto soddisfatto degli inizi, tantoché gli rinnovò la borsa di stu­
dio per il settembre dello stesso anno, e inoltre, tra ottobre e gennaio,
poté fornire al suo allievo animali alquanto più maturi dei primi. Freud
ne esaminò complessivamente quattrocento e trovò nella maggior parte di
loro l'organo di Syrski. L'esame microscopico di esso metteva in evidenza
una struttura istologica simile a quella di un testicolo immaturo, sebbene
questo non costituisse una prova conclusiva della sua reale natura. In ogni
modo questo lavoro, che Claus presentò all' Accademia delle Scienze il 15
marzo 1877 (e che fu pubblicato nel numero d'aprile del «Bollettino»)
fu il primo di una serie che confermò l'ipotesi di Syrski.
In quell'occasione nessuno avrebbe fatto più di quanto fece Freud, ep­
pure egli rimase più insoddisfatto del suo maestro, non solo per l'incer­
tezza dei risultati, ma forse anche perché, da giovane ambizioso, doveva
aver sperato in un incarico nel quale si potesse giungere a qualche scoper­
ta brillante e originale. 3 Nell'elenco dei suoi lavori scientifici, che pre­
sentò all'Università circa venti anni dopo, per il concorso al titolo di pro­
fessore,egli dette un resoconto cos1 dispregiativo di quella ricerca da far
quasi credere che essa fosse stata inutile ed insulsa.· Era pure l'unico caso,
in quell'elenco, in cui fosse menzionato il nome dell'insegnante che aveva
ispirato il lavoro, ciò che dava l'impressione di una nota di risentimento
nei suoi riguardi.
Si giunge cos1 alla fine del terzo anno di studi, e a proposito di que­
sto periodo Freud scrisse più tardi (1925): <<Nei miei primi tre anni d'uni­
versità, arrivai a poco a poco a scoprire che le caratteristiche e le limita­
zioni delle mie naturali capacità mi negavano ogni successo in molti campi
della scienza in cui mi aveva tuffato il mio ardore giovanile, e capii cosI
la verità dell'ammonimento di Mefistofele: ":e inutile che vi occupiate del­
l'una o dell'altra scienza: ognuno impara solo ciò che può." Finalmente
70 Vita e opere di Freud

nel laboratorio di fisiologia di Briicke trovai la tranquillità, la soddisfa­


zione, e persone che potevo rispettare e prendere ad esempio: il grande
Briicke stesso ed i suoi assistenti Sigmund Exner ed Ernst von Fleischl­
Marxow.»5
C'era dunque un netto contrasto tra il concetto che Freud aveva del
suo primo maestro Oaus, e quello che aveva del successivo, cioè Briicke:
insoddisfazione per il primo - sebbene fosse un uomo della massima re­
putazione in campo scientifico - ed ammirazione per il secondo. Poiché,
obiettivamente parlando, entrambi erano dello stesso tipo, è probabile che
c'entrasse una buona dose di sentimenti personali. Bernfeld ha fatto notare
che mentre Oaus aveva venti anni più di Freud, Briicke ne aveva quaran­
ta, 8 e queste differenze d'età corrispondono esattamente a quelle che c'era­
no rispettivamente tra lui e suo fratellastro - il presunto rivale della sua
infanzia nell' amore di sua madre - e tra lui ed il suo adorato e onnisciente
padre. In ogni caso l'irritazione e la frustrazione sofferte nel laboratorio
di zoologia avevano fatto posto, in quello di fisiologia, ad un senso di
pace interiore e di soddisfazione, malgrado l'analogia delle ricerche che egli
condusse in entrambi. Il giovane studente accettava la guida e le critiche
del vecchio Briicke - «l'autorità più grande che abbia conosciuto»7 - con
la stessa ammirazione con cui da piccolo aveva guardato a suo padre. At­
tese con regolarità ai suoi studi di medicina, e nei successivi cinque seme·
stri, all'infuori delle regolari lezioni, non ne segui altre, nemmeno di fio
losofia, che ora non faceva più parte dei suoi interessi. Le sue ricerche
si dovevano svolgere nelle ore straordinarie o, più probabilmente, a spese
di qualche ora di lezione.
Freud parlava spesso del suo rispetto e dell'ammirazione per l'indiscus·
sa autorità del maestro, sentimenti che si tingevano persino di timore. Anni
e anni dopo ricordava ancora un rimprovero di Briicke, «accentuato dal
terribile sguardo dei suoi occhi»8 per essere un giorno arrivato in ritardo,
e l'immagine di quegli occhi azzurro acciaio gli sarebbe apparsa per tutta
la vita ogni volta che fosse stato tentato di venir meno al proprio dovere,
o di non eseguirlo perfettamente 'e scrupolosamente.
Che genere d'uomo era questo, che lasciò un'impressione indelebile sul
giovane Freud e che, a sentir lui, lo influenzò più di ogni altro nella sua
vita?1I Quando qualcuno viene a giudizi come questo su un' altra persona,
si può esser certi che esiste tra le loro due nature una notevole affinità.
Ciò non significa che le loro personalità si somiglino strettamente, ma
Studente di medicina (1873-1881) 71

vuoI dire che colui che è ammirato impersona un certo ideale con il quale
colui che è «influenzato» rivaleggia. Nel caso particolare non è difficile
scorgere di che ideale si trattasse: poteva essere solo quello dell' onestà
scientifica, unita ad una fede sviscerata per il valore etico di essa. La
parola «fede» cade qui opportuna, perché l'analogia tra questa posizio~e ~
quella dell'ideale religioso o politico non è certo remota. Come tutti gli
adolescenti, Freud sentiva il bisogno di «credere in qualcosa», e nel suo
caso questo qualcosa era la scienza con l'esse maiuscola.
Freud sarebbe poi rimasto per tutta la vita indefettibilmente ligio a
quell'aspetto della scienza che rappresenta un ideale di integrità intel­
lettuale, quello di vedere la verità quanto meglio si può. Viceversa non
andava tanto d'accordo con un altro aspetto di essa, la precisione, perché
non era nella sua natura di legarsi all'esattezza e alla misurazione. Anzi,
ciò cozzava con certe sue tendenze rivoluzionarie, che tendevano ad infran­
gere i limiti delle convenzioni e delle definizioni acquisite, e che un gior­
no l'avrebbero fatto. Nei dieci anni successivi, tuttavia, queste tendenze
rimasero in forzata aspettativa, e Freud fece ogni sforzo per rientrare
nella «disciplina scientifica», per tenere a freno ciò che egli sentiva va­
gamente in sé. Studiava bene, svolgeva ricerche utili, ma, almeno per
qualche anno, la disciplina fu conquistata a spese della sua naturale viva­
cità ed immaginazione.
Briicke stesso era un magnifico esempio dello scienziato disciplinato
che Freud sentiva di voler diventare. Tanto per cominciare, era tedesco e
non austriaco, e le sue qualità erano l'opposto esatto della S(hlamperei
viennese, alla quale Freud doveva già esser stato anche troppo abituato,
e per la quale nutriva un genuino disprezzo, unito forse ad una timida e
servile simpatia.
L'istituto di Briicke era indubbiamente una parte importante di quel più
esteso movimento scientifico noto come scuola di Helmholtz. La curiosa
storia di questa scuola era cominciata nei primi quaranta anni del secolo,
con l'amicizia tra Emi! Du Bois-Reymond (1818-1896) e Ernst Briicke
(1819-1892), ai quali si erano subito uniti Hermann HeIrnholtz (1821­
1894) e CarI Ludwig (1816-1895). Fin dall'inizio questo gruppo era stato
spinto da un vero spirito di crociata, tanto che nel 1842 Du Bois scriveva:
«Briicke ed io ci siamo impegnati con un solenne giuramento, a mettere in
opera questa verità: "Nell' organismo non agiscono altre forze al di fuori di
quelle, fisico-chimiche. In tutti i casi che non possono essere spiegati in tal
Vita t opere di Freud

modo, o si deve trovare il modo o il tipo della loro azione servendosi


del metodo fisico-matematico, oppure si devono introdurre nuove forze di
dignità pari alle forze fisico-chimiche che regolano la materia, e ricondu­
cibili alla forza di attrazione e repulsione. "»10
Questi uomini formarono un piccolo club privato, che allargarono poi
nel 1845 nella Berliner Physikalische Gesellschaft (Società Fisica di Ber­
lino). La maggior parte dei membri erano giovani studenti di ]ohannes
Miiller, e fisici e fisiologi strinsero alleanza per distruggere, una volta
per tutte, il vitalismo, che era stato il credo pricipale del loro riverito
maestro. Du Bois-Reymond, Briicke, Helmholtz e Ludwig restarono amici
per tutta la vita, ed in venticinque o trent'anni essi raggiunsero un com­
pleto dominio sul pensiero dei fisiologi tedeschi e degli insegnanti di me­
dicina, dettero ovunque un forte impulso alla scienza e risolsero per sem­
pre molti vecchi problemi.
Helmholtz era certo la figura principale di questo gruppo di personalità,
e quando, parecchi anni dopo, andò a Vienna per una breve" visita, Freud si
dolse di non aver potuto vederlo. «Era uno dei miei idoli» aggiungeva. l l
Briicke, che a Berlino chiamavano scherzosamente «l'ambasciatore tede­
sco in Estremo Oriente», pubblicò nel 1874 le sue Lezioni di Fisiologia,
e le frasi seguenti, tratte dall'introduzione, sono un esempio dell'imposta­
zione fisica che aveva affascinato il giovane Freud: «La :fisiologia è la
scienza degli organismi come tali.» «Gli organismi differiscono dalle en­
tità materiali mobili prive di vita - le macchine - in quanto sono capaci
di assimilazione, tuttavia si tratta in entrambi i casi di fenomeni del mon­
do :fisico, cioè di sistemi di atomi, animati da forze, secondo il principio
<Jella conservazione dell'energia scoperto da Robert Mayer nel 1842, tra­
scurato per vent'anni e poi divulgato da Helmboltz. La somma delle forze
(forze motrici e forze potenziali) rimane costante in ogni sistema isolato.
Le cause reali sono espresse scientificamente con il nome di "forze". Quan­
to meno sappiamo su di loro, tanto più tipi di forze siamo costretti a
distinguere: meccaniche, elettriche, magnetiche, luce, calore. Tuttavia il
progresso della conoscenza le riporta a due sole: attrazione e repulsione.
Tutto ciò si riferisce anche all'organismo uomo.»
Briicke espone poi nei suoi due volumi tutto ciò che si sapeva a quel
tempo sulla trasformazion-e e l'interferenza delle forze fisiche sull'orga­
nismo vivente, e lo spirito ed il contenuto delle sue lezioni corrisponde
fedelmente alle parole che Freud usò nel 1926 per definire la psicoanalisi
Studente di medicina (J 873- J 88J) 73

nel suo aspetto dinamico: «Le forze si facilitano o si inibiscono l'una con
l'altra, si combinano o entrano in compromesso, ecc.»12
L'orientamento della sua evoluzione è molto strettamente connesso con
l'aspetto dinamico della fisiologia di Briicke. Infatti non solo l'organismo
è una parte dell'universo fisico, ma lo stesso mondo degli organismi è una
famiglia, e la sua apparente varietà è il risultato degli sviluppi diversi
che si verificano a partire dagli «organismi elementari», microscopici ed
unicellulari. Questo mondo comprende le piante, gli animali inferio~i e
quelli superiori, come pure l'uomo,' a partire dalle orde degli antropoidi
fino al culmine dell'attuale civiltà occidentale. In questa evoluzione della
vita non agiscono né spiriti, essenze o entelechie, né disegni superiori
o fini ultimi. Darwin aveva dimostrato che esisteva la speranza di raggiun­
gere in un prossimo futuro una visione del modo in cui l'evoluzione si è
svolta. Gli entusiasti erano convinti che Darwin avesse dimostrato più di
questo, in quanto aveva già tracciato l'intero schema, e mentre gli scettici
e gli entusiasti si accapigliavano tra loro, i ricercatori attivi si accingevano,
occupatissimi e felici, a mettere insieme gli alberi genealogici degli orga­
nismi, a colmare i vuoti, a riordinare il sistema tassonomico delle piante
e degli animali secondo i rapporti genetici, a scoprire serie di trasforma­
zioni, a trovare, dietro le differenze manifeste, le identità omologhe.
Questo genere di fisiologia rientrava nella n1arcia generale della ci­
viltà occidentale. Lentamente e continuamente essa era sorta e cresciuta
ovunque nei due o trecento anni precedenti, acquistando definitiva impor­
tanza dalla fine del diciottesimo secolo ed aumentando rapidamente in ve­
locità ed espansione dopo il 1830. Questa marcia, più debole in Germania
che in Inghilterra e in Francia, fu ivi interrotta dal periodo della Naturphi­
IOJophie da circa il 1794 al 1830 .
. Si chiama cos1 quel monismo panteistico, vicino al misticismo, che, pro­
fessato da Schelling, ripetuto, sviluppato e modificato da uno stuolo di
autori, fu avidamente accettato dalla media degli uomini colti e dalle si­
gnore amanti delle lettere. L'Universo, la Natura, è un unico vasto orga­
nismo formato da forze, attività, creazioni, conquiste, organizzate in eterni
conflitti, in polarità. La ragione, la vita cosciente, la mente umana rap­
presentano solo un riflesso, un'emanazione di questo tumulto inconscio.
Idee come queste, che erano già state espresse prima e continuarono ad
esserlo poi, contengono il germe di alcune delle teorie scientifiche del di­
ciannovesimo secolo e del nostro tempo, tuttavia non erano esse a rendere
74 Vita e opere di Freud

originale il movimento, e non era neppure l'atmosfera romantica che lo


attorniava. Si trattava invece di una generale tendenza europea, e ciò che
caratterizzava la Naturphilosophie tedesca, era l'aspirazione contenuta nel­
le parole «fisica speculativa» con cui lo stesso Schelling designava i suoi
sforzi, e la tinta emotiva, squilibrata e megalomane della fantasia e dello
stile di quegli scrittori. Un filosofo inglese li commentò cos1: «Essi mo­
strano tendenze che sembrano estranee al corso del pensiero europeo e ri­
chiamano la vasta spaziosità dell'Oriente e il suo riflesso nella orienta­
leggiante Alessandria.»13
La fisiologia fisica - sebbene non da sola - rovesciò questa filosofia e
ne prese il posto, ma come era già successo prima, il vincitore introiettò
il clima emotivo della vittima. «L'unità della scienza», «la scienza», «le
forze fisiche» non furono solo idee direttive o ipotesi di ricerca scientifica:
esse divennero quasi oggetto di culto. Più che metodi di ricerca, divennero
We/tanschauung. L'intensità di questa esaltazione variava da uno scienziato
all'altro e da un luogo all'altro, ma raggiunse il vertice a Berlino con
Du Bois-Reymond e si amalgamò stranamente con il nazionalismo prussia­
no. In Austria, la NaturPhilosophie non si era mai notevolmente àffermata,
quindi a Vienna, da Briicke, il fanatismo per la fisiologia era minimo. In
ogni modo ve n'era.
Freud stesso, ispirato da Goethe che ne era stato uno degli antesignani,
attraversò un breve periodo di Naturphilosophie panteistica, poi, nel suo
entusiasmo per la subentrata fisiologia fisica, passò all' estremo opposto e
divenne per un po' un materialista assoluto. Che questo fosse un cambia­
mento di atteggiamento di ordine soprattutto emotivo, è dimostrato da una
discussione in una riunione di studenti, nella quale egli trattò molto rude­
mente il suo interlocutore14 e si rifiutò ostinatamente di discutere. Anzi,
per un momento si parlò perfino di duello. 15
Queste, dunque, le idee vigenti nell'istituto di Briicke, dove Freud ri­
mase «appiccicato», come egli stesso diceva, per sei anni. Ma furono anni
buoni e fruttuosi, che egli defin1 poi senza riserve «gli anni più felici della
mia giovinezza». Fu allora che egli si formò quella particolare cornice
fisiologica nella quale tentò poi di inquadrare le sue scoperte di psicologia.
La personalità di Briicke si adattava a meraviglia alla visione idealistica
all' estremo, quasi ascetica, propria della scuola di Helmholtz. Era un ometto
con una gran testa che incuteva rispetto, un gesto misurato e movimenti
calmi e controllati, labbra sottili, ed i famosi «terribili occhi azzurri». Era
Studente di medicina (1873-1881) 75

piuttosto timido, ma severo ed eccezionalmente taciturno. Protestante, con


il suo accento prussiano, nella Vienna cattolica e indolente doveva sem­
brare fuori posto, emissario di un mondo diverso e più austero - come
del resto lo era effettivamente. Lavoratore coscienzioso e instancabile egli
stesso, esigeva lo stesso ritmo dai suoi assistenti e studenti. Un aneddoto
lo dipinge: uno dei suoi studenti che aveva scritto in un lavoro: «Un'os­
servazione superficiale mostra ... », vi trovò, quando Briicke glielo restitui,
la riga cancellata con foga, e a margine il commento: «Non si deve os­
servare superficialmente.» Era uno dei professori più temuti agli esami, ti
se il candidato non sapeva rispondere alla prima domanda, restava rigido
e silenzioso per gli altri dieci o dodici minuti prescritti, sordo alle preghiere
dello studente e del Decano che pure assisteva all'esame. L'opinione corren­
te lo riteneva un uomo freddo, del tutto razionale, ma la sua reazione alla
morte del figlio che adorava, nel 1873, mostrò quale dose di violenza con­
tro se stesso e le proprie emozioni dovesse essergli stata necessaria per
costruirsi quella facciata. Proibl a tutta la famiglia e agli amici di fare
più il nome del figlio, eliminò tutti i suoi ritratti e si sprofondò più di
prima nel lavoro. Eppure l'uomo capace di questo non era minimamente
vanitoso, né intrigante, né ambizioso di potere, e per lo studente che si
fosse mostrato capace, era come un padre, pieno di benevolenza e prodigo
di consigli e protezione anche al di fuori del campo scientifico. Rispettava
le idee degli studenti, incoraggiava il lavoro originale e valorizzava il ta­
lento altrui anche quando lo trovava diverso dalle sue opinioni personali.
Si dice che nessun allievo o amico ne avesse mai tradito la fiducia.
Ernst von Fleischl-Marxow (1846-1891) era non solo un fisiologo ma
anche un fisico, e la sua amicizia aveva significato molto per Freud, che ne
pianse profondamente la morte prematura. Sotto molti aspetti era l'opposto
di Briicke, infatti era giovane, bello, entusiasta, buon parlatore e maestro
affascinante. Aveva" i modi amabili e seducenti della vecchia società vien­
nese, ed era sempre pronto a discutere problemi scientifici e letterari con
un flusso di idee originali; ma tutte queste qualità contrastavano stranamente
con il suo patetico ruolo di eroe e martire della fisiologia. Infatti, a ven­
ticinque anni, mentre svolgeva alcune ricerche di anatomia patologica,
aveva contratto un'infezione, e, sebbene l'amputazione del pollice destro lo
avesse salvato dalla morte, il continuo riprodursi di neuromi d'amputazione
richiedeva altrettante operazioni. La sua vita era diventata una tortura senza
fine, sia per la continua sofferenza che per la consapevolezza della morte
Vita e opere di' Preu4

inevitabile, eppure la sua mano mutilata e dolente svolgeva un lavoro speri­


mentale tecnicamente perfetto. Le sue notti insonni erano tutte dedicate
allo studio della fisica e della matematica, e quando la sua crescente spe­
cializzazione nel campo della biologia rese inefficace questo analgesico,
intraprese lo studio del sanscrito.
Sigmund Exner (1846-1926), l'altro assistente di Briicke, che ne divenne
poi il successore nella cattedra di fisiologia, completava il trio degli in­
segnanti. Erano loro che Freud definiva «uomini che posso rispettare e
prendere ad esempio», ed infatti i futuri sforzi di tutta la sua vita sarebbero
stati diretti ad applicare i loro prindpi, prima allo studio del sistema
nervoso, poi a quello della mente umana. A circa settant'anni, in un'occa­
sione solenne, disse: «La mia vita è stata diretta ad un unico scopo: quel­
lo di immaginare e di svelare il modo in cui è costruito il meccanismo della
mente umana, e quali forze agiscono ed interferiscono in esso.»
Dei tre maestri di Freud, Exner fu quello che lo attrasse meno, in quan­
to, sebbene fosse un eccellente uomo di scienza, sotto le maniere gioviali
era un uomo molto ambizioso, vanitoso e dittatoriale.
Ci siamo dilungati un po' sulla cornice dell'istituto di Briicke per varie
ragioni. :e stato spesso sostenuto che le teorie psicologiche di Freud datano
dai suoi contatti con Charcot e con Breuer o sono di origine posteriore.
Invece si può dimostrare che i prindpi sui quali egli le edificò sono quegli
stessi che aveva assorbito da studente sotto l'influsso di Briicke. L'emanci­
pazione da tale influsso non consisté infatti nel rinnegare i prindpi, ma
nell' apprendere ad applicarli empiricamente ai fenomeni psichici, sia pure
prescindendo da qualunque base anatomica. Tutto ciò gli costò una lotta
penosa, dalla quale infine il suo autentico genio usci vittorioso.
Certo Briicke sarebbe rimasto a dir poco stupito se avesse saputo che
uno dei suoi allievi prediletti, apparente adepto di una fede rigorosa, aveva
invece riammesso nella scienza con la sua famosa teoria della tendenza
all'appagamento psichico, termini come «scopo», «intenzione» e «deside­
rio», che erano stati appena aboliti dall'universo. Sappiamo però che nel
riammetterli, Freud riusd a conciliarli con i prindpi nei quali era stato
allevato, cioè in altre parole che egli non abbandonò mai il determinismo
per la teleologia.
Nell'autunno del 1876, dopo il suo secondo soggiorno a Trieste, e prima
di aver concluso le sue ricerche di zoologia, fu ammesso nell'Istituto di
Fisiologia come famulus, cioè allievo ricercatore. La sede dell'istituto era
Studente di medicina (1873-1881) 77

lungi dal corrispondere alle alte aspirazioni e alle conquiste scientifiche


che esso si riprometteva, infatti era malamente sistemato nel seminterrato e
pianterreno di una vecchia fabbrica di armi da fuoco, scura e puzzolente.
Consisteva in uno stanzone dove gli studenti tenevano i microscopi e
assistevano alle lezioni, e in due stanze più piccole, una delle quali era
il sancta sanctorum di Briicke. Altri bugigattoli, talvolta privi di finestre,
in entrambi i piani, erano adibiti a laboratori di chimica, elettrofisiologia
ed ottica. Non c'erano impianti né d'acqua né di gas, perciò ogni cosa do­
veva -essere scaldata su una lampada a spirito, e l'acqua attinta nel cortile,
da un pozzo che si apriva vicino alla baracca degli animali da esperimento.
Eppure questo istituto era l'orgoglio della Facoltà di Medicina, a causa
numero e dell'importanza dei visitatori e degli studenti che veruvaao a vi­
sitarllJ dall' estero.
Sebbene Briicke preferisse che gli studenti stessi gli proponessero i
propri piani di ricerca, era sempre pronto a fornire un soggetto di lavoro
per i principianti che fossero troppo timidi o inesperti per deciderlo da
soli. CosI mise Freud al microscopio, con un lavoro sull'istologia delle
cellule nervose. In una pubblicazione di sei anni dopo, cosI Freud descrive
la situazione del problema, nel momento in cui cominciò ad occuparsene:
«Subito dopo che le cellule e le fibre nervose furono identificate come le
parti fondamentali del sistema nervoso, cominciarono i tentativi di chiarire
!'intima struttura di questi due elementi, in quanto si sperava che la cono­
scenza della loro struttura potesse servire a comprenderne la funzione.
Com' è noto, finora non è stato raggiunto né un approfondimento sufficiente,
né un accordo tra queste due direzioni di studio. Per alcuni autori la cellula
nervosa ha una struttura granulosa, per altri fibrillare; per alcuni la fibra
è un fascio di fibrille, per altri una colonna liquida, ed in conseguenza
mentre qualcuno eleva la cellula nervosa al rango di principale fonte del­
l'attività nervosa, altri la degradano a semplice nucleo della guaina di
Schwann.»
Strettamente connessa all'intima struttura degli elementi nervosi è uo'al­
tra questione, cioè se il sistema nervoso degli animali superiori sia costituito
da elementi differenti o uguali a quelli degli animali inferiori. Questo
problema era allora molto dibattuto, e sembra che implicazioni .filosofiche
e religiose lo complicassero notevolmente. Le diversità d'intelligenza tra gli
animali inferiori e superiori sono esclusivamente dovute al maggiore grado
di complessità? Può essere che la mente umana non differisca sostanzial­
Vita e opere di Freud

mente da quella dei molluschi, ma solo in rapporto al numero delle cellule


nervose ed alla complessità delle rispettive fibre? Gli scienziati lavoravano
a questi problemi con la speranza di arrivare - in un modo o nell'altro - a
conclusioni definitive sulla natura dell'uomo, l'esistenza di Dio e lo scopo
della vita.
A questo vasto ed entusiasmante campo di ricerca apparteneva il proble­
ma, molto modesto, che Briicke assegnò a Freud. Nel midollo spinale degli
Amoeceti (Petromyzon), un genere di pesci appartenente ai ciclostomi pri­
mitivi, Reissner aveva scoperto un tipo particolare di grosse cellule, la cui
natura ed i cui rapporti con il sistema spinale avevano ispirato una serie
di ricerche inconclusive. Briicke voleva che la natura istologica di queste
cellule fosse finalmente ,.chiarita. Dopo qualche settimana Freud gli si pre­
sentò con la scoperta, del tutto inattesa, che in alcune delle cellule di
Reissner si originavano fibre amieliniche dei nervi posteriori sensitivi, men­
tre altre fibre, probabilmente anch'esse sensitive, nascevano da .queste cel­
lule e si portavano nella metà controlaterale del midollo, passando dietro
il canale spinale.
Sebbene questo dato non spiegasse la natura delle cellule di Reissner,
esso faceva intravedere una semplice soluzione, ed eliminava varie ipotesi
precedentemente emesse. Sembra che Briicke trovasse che non c'era male
per un principiante, ed in ogni modo lo sollecitò a pubblicare. Figurarsi
Freud costretto a mettere rapidamente insieme una relazione! Infatti, seb­
bene questo lavoro sia di gran lunga superiore nello stile e nell'organizza­
zione a quello sulle anguille ed alle successive pubblicazioni da studente,
si sente in molti punti l'insoddisfazione dell'autore per non aver terminato
la ricerca. Briicke presentò il lavoro all' Accademia delle Scienze nella se­
duta del 4 gennaio 1877, e la pubblicazione avvenne sul numero di gen­
naio del «Bollettino». Fu il primo lavoro che Freud avesse effettivamente
pubblicato, poiché il primo, quello sulle anguille, apparve solo tre mesi
dopo.
Freud prosegul la sua accurata ricerca sulle cellule di Reissner, e nel
luglio dell'anno seguente (1878) pubblicò una seconda relazione sul Pe­
tromyzon, nella quale riportò una completa bibliografia: ben diciotto pa­
gine del lavoro riguardano l'esame della letteratura. Questa coscienziosità
non fu tuttavia del tutto favorevole alle ambizioni del giovane scienziato:
«Devo confessare di aver ritenuto a torto di essere stato il primo a descri­
vere l'origine delle radici posteriori in alcune cellule del Petromyzon, in
Studente di medicina (1873-1881) 79

base alla sicura osservazione diretta. Solo dopo la pubblicazione del mio
lavoro ho trovato, nei riassunti della letteratura russa dello Stieda, quello
di un lavoro di Kutschin, che contiene notizie molto importanti sull'origine
delle radici posteriori. Grazie alla gentilezza del professor Stieda di Dor­
pat, che mi ha inviato l'articolo originale, ho potuto esaminare le figure
di Kutschin, e convincermi che egli ha fornito, fin dal 1863, prove convin­
centi dell' origine delle radici posteriori nelle cellule posteriori. In via di
giustificazione posso solo dire che le affermazioni di Kutschin erano quasi
completamente ignorate, forse anche perché le sue figure non erano potute
giungere agli istologi tedeschi.»
Grazie ad un perfezionamento della tecnica di preparazione, Freud sta­
bill definitivamente che le cellule di Reissner «non sono altro che cellule
gangliari, che nei vertebrati inferiori, in cui la migrazione del tubo neurale
dell'embrione verso la periferia non è completa, rimangono all'interno del
midollo spinale. Queste cellule sparse segnano il cammino che le cellule dei
gangli spinali hanno compiuto nella loro evoluzione.» Questa soluzione del
problema delle cellule di Reissner era un trionfo di osservazione precisa
e d'interpretazione genetica~ uno tra le migliaia di quei piccoli contributi
che finalmente affermarono tra gli scienziati la convinzione dell'unità evo­
lutiva di tutti gli organismi. Ma ciò che rappresentava veramente una no­
vità, era la continuità genetica tra le cellule bipolari e le cellule uni polari.
Questo significava che le cellule del sistema nervoso degli animali inferiori
possedevano una continuità con quelle degli animali superiori, e che la
netta separazione fino allora accettata non avèva più ragion d'essere.
Freud aveva fatto una scoperta sul Petromyzon: «Le cellule dei gangli
spinali di questo pesce sono state considerate per lungo tempo bipolari (cioè
munite di due prolungamenti), mentre quelle dei vertebrati sono uni polari.»
Egli colmò questo vuoto tra animali inferiori e superiori: «Le cellule ner­
vose del Petromyzon presentano tutte le fasi di transizione tra la uni- e la
bipolarità, ivi comprese le cellule bipolari con prolungamento a T.» Questa
pubblicazione era senza dubbio molto al di sopra del livello di un princi­
piante, sia per contenuto che per esposizione e discussione, e qualunque
zoologo sarebbe stato orgoglioso di una scoperta come quella. Briicke la
presentò all' Accademia il 18 luglio 1878, ed un mese dopo essa uscì sul
«Bollettino». Era lunga ottantasei pagine.
Lo stesso problema costituì l'obiettivo della successiva ricerca di Freud,
che egli stesso scelse e portò a termine nei mesi estivi del 1879 e 1881.
80 Vita e opere di Freud

Stavolta il lavoro concerneva le cellule nervose del gambero, che Freud


esaminò in vivo al microscopio, con una lente Harnack n. 8. Questa tecnica
a quei tempi era poco conosciuta, rudimentale e difficile, tuttavia egli poté
giungere per primo ad una fondamentale conclusione, cioè che i cilindrassi
delle fibre nervose possiedono senza eccezione una struttura fibrillare. Inol­
tre mise in evidenza che il ganglio è costituito di due sostanze distinte, una
delle quali è reticolare e rappresenta l'origine del prolungamento nervoso.
Questa ricerca, che egli stesso presentò all'Accademia delle Scienze il 15
dicembre 1881, e che apparve sul «Bollettino» nel gennaio 1882, eccelle
per la scelta del metodo, l'accuratezza con cui è sviluppata, la finezza del­
l'argomentazione, l'immediatezza con cui il problema centrale viene affron­
tato, ed infine per i risultati precisi e significativi che raggiunge.
Con questo lavoro e con i due precedenti, Freud aveva contribuito a
spianare la via alla teoria del neurone. Si potrebbe andare anche oltre e
dire, come hanno fatto Brun16 e Jelliffe,l1 che Freud aveva intuito chiara­
mente prima di ogni altro che le cellule e le fibre nervose formano un'unità
morfologica e funzionale, quella che fu poi chiamata neurone. Nelle sue
ricerche egli si limitò strettamente al problema anatomico, sebbene non si
nascondesse la speranza di gettar luce sul mistero dell'impulso nervoso.
Una volta sola, in un paragrafo di una sua conferenza su «La struttura
degli elementi· del sistema nervoso», che riepilogava il suo lavoro, egli si
avventurò oltre i confini dell'istologia: «Se ammettiamo che le fibrille del
nervo rappresentano altrettante vie di conduzione isolate, ne consegue che
lali vie, che nel nervo sono distinte, confluiscono all'interno della cellula
nervosa, la quale perciò diventa il punto di partenza di tutte le fibre ner­
vose ad' essa connesse. Andrei oltre i limiti che mi sono imposti, se enu­
merassi i fatti che appoggiano la validità di questa asserzione, e del resto
ignoro se le prove finora disponibili sono sufficienti a chiarire definitiva­
mente questo problema cos1 importante. Se tuttavia questa ipotesi venisse
confermata, essa ci consentirebbe un bel passo avanti nella fisiologia de­
gli elementi nervosi. Infatti potremmo immaginare che uno stimolo di una
certa energia possa vincere l'isolamento delle fibrille, in modo che il nervo
conduca l'eccitamento come un tutto unico, e cos1 via.»
Questa conferenza che Freud tenne davanti alla Società di Psichiatria18
un anno dopo che ebbe lasciato !'istituto di Briicke, nel 1882 o 1883,19
fu poi stampata negli «Jahrbiicher fiir Psychiatrie» nel 1884. Egli vi espo­
neva un panorama dell'intera situazione di cui si era occupato sperimen­
Studente di medicina (1873-1881)

talmente, specificava i metodi ed i risultati, ed in poche frasi lumeggiava i


nuovi orizzonti che gli si erano aperti. Da parte nostra vi scorgiamo la stessa
cautela, la stessa chiarezza e lo stile dell' argomentazione propri dei tanti
resoconti delle sue osservazioni di psicoanalisi che in seguito Freud riferl
in riunioni, indipendentemente dai suoi scopi e dai suoi metodi e dalle sue
esperienze di specialista. La prima conferenza di questo genere condivide,
insieme alla successiva, la proprietà di condensare complessi grovigli di
fatti e complicate catene di pensieri in poche frasi semplici e chiare.
Questa concezione unitaria delle cellule e dei prolungamenti nervosi
- nucleo della futura teoria del neur(me - sembra essere stata propria di
Freud, cioè indipendente dalle idee dei suoi maestri dell'istituto. Indubbia­
mente le poche frasi che egli scrisse in proposito, sebbene chiare, sono
molto caute, per cui non fecero rumore; tuttavia due osservazioni sembrano
lecite. Innanzi tutto la conferenza in questione avvenne quattro o cinque
anni dopo le ricerche sulle quali si basavano le sue affermazioni, cioè il
periodo di elaborazione fu piuttosto lungo. In secondo luogo si potrebbe
pensare che dopo un periodo di riflessione così notevole, un po' di quella
immaginazione libera e ardita che negli anni successivi doveva sfoggiare
cosi spesso, gli avrebbe fatto compiere il piccolo passo avanti che mancava
per giungere alla importante teoria del neurone, base della neurologia
moderna, e sulla cui soglia Freud si era arrestato. Nello sforzo di acquisire
una «disciplina» non si era accorto che nel lavoro scientifico originale vi è
una parte, altrettanto importante, di immaginazione.
Infatti nessuno si accorse delle sue preziose frasi, e cosi il nome di Freud
non è nemmeno menzionato tra quelli dei precursori della teoria del neu­
rone. Il più illustre di questi è Wilhelm His, con le sue ricerche embriolo­
giche sulla genesi delle cellule nervose, ma vi sono anche Auguste ForeI
con le sue osservazioni sulla degenerazione walleriana consecutiva a se­
zione o trauma delle fibre nervose, e Ramon y Cajal con i suoi bei prepa­
rati eseguiti con il metodo di impregnazione argentica di Golgi. La for­
mulazione definitiva della teoria viene di solito fatta risalire alla mono­
grafia di Waldeyer, del 1891, nella quale fu usato per la prima volta il
termine «neurone». Questa occasione era comunque destinata a non restare
l'unica in cui Freud avesse mancato di diventare famoso fin da giovane,
per non aver osato spingere il suo pensiero fino alle sue conclusioni logi­
che, e non molto oltre.
Tuttavia egli mostrò un' altra delle caratteristiche dello scienziato origi­
Vita e opere di Freud

nale. Il progresso scientifico nei casi più tipici parte dall'invenzione di


qualche nuovo metodo o strumento che possa rivelare una nuova serie di
fatti. Cosi, per esempio, l'astronomia era giunta ad un punto morto prima
dell'invenzione del telescopio, dopo la quale rifiorl in pieno. Ora, le ri­
cerche istologiche di cui abbiamo finora parlato furono rese possibili, o co­
munque enormemente facilitate, da un perfezionamento tecnico che Freud
escogitò nel 1877, poco dopo il suo ingresso nell'istituto. Si trattava di
una modificazione della formula di Reichert, una miscela di acido nitrico
e glicerina, per l'allestimento di preparati microscopici di tessuto nervoso.
Freud l'usò per la prima volta all'epoca in cui studiava le cellule spinali
del Petromyzon, e il brano seguente della descrizione del suo metodo, pub­
blicata nel 1879, illustra la vastità del suo campo di ricerca. «Uso la mi­
scela di Reichert secondo una modificazione da me apportata allo scopo
di preparare in modo facile e sicuro il sistema nervoso centrale e periferico
dei vertebrati superiori (topo, coniglio, bovini)... Il dottor E. Zuckerkandl
mi ha dato la possibilità di provare questo metodo anche sui nervi cranici
di bambini, ed abbiamo trovato che esso rende molto agevole la prepara­
zione di nervi situati in canali ossei, nonché la preparazione e differen­
ziazione delle anastomosi e reti nervose... Inoltre l'ho usato con successo
per preparare le ghiandole mucose e sudori pare, i corpuscoli di Pacini, le
radici dei peli, ecc.»20 Questa miscela distrugge il tessuto connettivo, e
permette di rimuovere con facilità muscoli ed ossa, cosicché sia il sistema
nervoso centrale che i nervi periferici possono essere messi a nudo ed os­
servati separatamente.
Pochi anni dopo Freud inventò una tecnica più importante - il metodo
di colorazione al cloruro d'oro per il sistema nervoso - ma neppure questo
fu usato al di fuori dell'istituto viennese. Egli doveva essere stato un tec­
nico esperto, dal momento che nelle sue ricerche sul tessuto nervoso del
gambero parla di studi speciali sul suo materiale in vivo, tecnica piuttosto
delicata che aveva appreso da Stricker. Vale anche la pena di ricordare
che disegnò da sé le illustrazioni per i suoi lavori sul Petromyzon (una
nel primo e quattro nel secondo).
:e dunque evidente che Freud aveva compreso ben presto che il progresso
nelle conoscenze richiede metodi nuovi o comunque rinnovati. Vengono
poi i fatti cosi scoperti, seguiti a loro volta dall'organizzazione in teoria
delle conoscenze vecchie e di quelle nuove, ed infine la teoria può condurre
alla speculazione, ridda di congetture, di domande e risposte al di là di
Studente di medicina (1873-1881)

qualunque mezzo di osservazione reale. ~ estremamente raro che uno stesso


uomo riesca da solo, con pari successo, in tutte le fasi di questo processo,
e l'opera di Freud nel campo della psicoanalisi sta proprio a rappresentare
un esempio di questo genere. Egli inventò lo strumento, lo adoperò in modo
da scoprire un gran numero di fatti nuovi, che organizzò poi in una teoria,
ed infine si avventurò in speculazioni eccitanti oltre i confini della cono­
scenza attuale.
Nella conferenza dianzi ricordata (1882) egli descrisse una nuova tecnica,
nuovi dati, una teoria che li spiegasse adeguatamente, e gettò un' occhiata
anche oltre. Anche se su piccola scala, e rallentato da un'immaginazione
tenuta troppo a freno, vi era in embrione il futuro Freud.
Una caratteristica notevole delle ricerche di neurologia di Freud fu la
sua aderenza all' anatomia. Il microscopio era il suo unico strumento, la
fisiologia sembrava identificarsi per lui con l'istologia anziché con la spe­
rimentazione, e da dinamica diveniva statica. A prima vista questo può
sembrare strano in un uomo di intelligenza attiva come Freud, ma a riflet­
tervi si finisce per riconoscere che corrispondeva a qualche cosa di forte­
mente significativo nella sua natura.
Negli anni seguenti egli si sarebbe lagnato ~ non tanto in buona fede ­
che nell'istituto di Briicke si era fatta troppa istologia e che egli era stato
relegato in una parte della fisiologia di secondaria import~a, ma vi era
indubbiamente qualcosa in lui che ve lo teneva legato, o viceversa che lo
allontanava dalla sperimentazione. 1l vero che Briicke non condivideva il
disprezzo che certi suoi colleghi nutrivano per gli istologi puri, in quanto
non riconosceva l'opposizione tra anatomia e fisiologia, tra microscopio ed
esperimento, ed anzi, nel suo primo lavoro sulla struttura della cellula
(1847) che lo aveva reso famoso, aveva usato congiuntamente entrambe le
tecniche. Tuttavia, al tempo di Freud, Briicke ed i suoi due assistenti, Exner
e Fleischl, facevano grande uso di esperimenti sugli animali. :e anche vero
che, per poter comprendere le forze attive sull' organismo, è necessaria una
buona conoscenza della sua struttura, cioè del materiale su cui le forze stesse
agiscono, però non vi era alcun motivo perché Freud, che aveva come
scopo principale quello di conoscere quelle forze, dovesse costringersi per
tanto tempo ai soli problemi di struttura.
Le occasioni certo non gli mancavano, ed egli era libero di scegliere
qualunque metodo o problema che lo interessasse. Del resto anche quando
Vita e opere di Freud

passò dal laboratorio di Brucke a quello di Meynert, nel 1882, fu al micro­


scopio che si dedicò, una volta di più.
Quando, proprio agli inizi, aveva chiesto a Briicke un tema di lavoro,
gliene era stato assegnato uno d'istologia. Può essere, come suggerisce il dr.
Bernfe1d, che questo suo relegarsi in un piano inferiore, come se fosse
suo dovere restarvi per sempre, lasciando la più nobile attività sperimen­
tale ai tre professori suoi «maggiori», vada interpretato come il risultato
di una certa docilità o di un sentimento di inferiorità. 21 :e possibile, tuttavia
nell'atteggiamento di Freud si coglie qualcosa di più profondo ed estrema­
mente caratteristico della sua personalità.
Esistono due aspetti di questo predominio dell'occhio sulla mano, de1­
l'osservare passivamente sul fare attivamente, e cioè una certa attrazione
verso l'uno ed un'avversione per l'altro dei due atteggiamenti. Nel caso di
Freud erano presenti entrambi, e mentre del primo diremo qui qualcosa, il
secondo risalta chiaramente da una lettera 'che Freud scrisse proprio nel­
l'anno fino al quale l'abbiamo seguito (1878) al suo amico Wilhelm Knopf­
macher: «Sono passato in un altro laboratorio22 e sto per scegliere la mia
vera professione - tra quella di mutilare gli animali e quella di torturare
gli esseri umani - ma mi vado decidendo ogni giorno di più in favore
della prima.» 23 Freud era infatti l'ultimo uomo che potesse permettersi
di essere brutale o crudele, ed era addirittura avverso ad interferire con il
prossimo o ad inBuenzarne la volontà. Quando, più tardi, arrivò fatalmente
a curare i pazienti nevrotici, abbandonò subito il metodo - allora in voga
e recentemente riesumato sotto altra forma - di stimolarli per mezzo del­
l'elettricità. Non doveva passare molto tempo che avrebbe lasciato cadere
l'ipnosi, da lui giudicata «un metodo che aggredisce grossolanamente». Scel­
se invece il metodo di osservare e ascoltare, fiducioso che se avesse potuto
discernere la struttura di una nevrosi l'avrebbe veramente capita e avrebbe
padroneggiato le forze che l'avevano determinata. Pierre ]anet, che è stato
a torto considerato un precursore di Freud, adottò verso il 1880 il metodo
alternativo di approccio alle nevrosi ed escogitò alcuni esperimenti molto
belli ed ingegnosi che condussero ad alcune conclusioni molto vivaci e de­
scrittive, ma che non gli permisero di fare alcun passo avanti nella cono­
scenza delle forze in gioco. Fu dunque il metodo passivo che ebbe successo,
e non quello attivo.
Che nella natura di Freud vi fosse uno spiccato aspetto di passività è
una conclusione di cui esistono ampie prove. Nella sua vita esternò assai
Studente di medicina (J873-J88J)

poca aggressività, e solo in due occasioni eccezionali si degnò di replicare


ai suoi oppositori. Un ruolo attivo non gli si sarebbe attagliato, ed infatti
egli stesso osservò una volta che c'erano tre cose per le quali non si sen­
tiva nato: governare, curare24 ed educare. Quello che colpisce di più, tut­
tavia, è il cambiamento straordinario che si verificò in lui intorno ai sedici
o diciassette anni. Il bambino aggressivo che si accapigliava violentemente
con i suoi compagni, il ragazzo pieno di ardore guerriero, il giovane che
sognava di diventare ministro e di governare la nazione, erano scomparsi.
Poteva esser stato cosl fatale, dopo tutto, un incontro di due giorni con una
ragazza di campagna?
Qualunque ne sia stato il motivo, ci colpisce la profondità del suo cam­
biamento di direzione nella conquista del potere. Il dominio dei suoi simili
è completamente sostituito dal bisogno di comprenderli. Solo la conoscenza
gli darà il potere. Il fatto che il tempo - e quanto lungo - gli abbia dato
ragione, e che Freud si possa effettivamente dire il primo che abbia deter­
minato modificazioni radicali nella personalità umana, è stato certo il mag­
gior trionfo possibile per il metodo che egli era stato portato inconsciamente
a scegliere. La statica ha portato alla dinamica. Quale diabolica intuizione
deve aver lavorato! Forse ci stiamo avvicinando al problema misterioso del­
la ragione per cui proprio quest'uomo è stato destinato a scoprire la psi­
coanalisi, ed a rivelare la parte inconscia della mente umana.
Tre volte Freud si cimentò con il lavoro sperimentale, e sempre senza
successo. Quando qualcosa del genere accade a qualcuno d'intelligenza ap­
pena mediocre, vuoI dire che esiste qualche resistenza profonda al lavoro,
e che questo è fatto senza passione. Il primo tentativo avvenne nel 1878,
verso la fine del semestre e in una parte delle vacanze, quando Freud la­
vorava nel laboratorio di Stricker. Questi, uomo vanitoso e d'umore mu­
tevole, coetaneo di Claus, era professore di ruolo e aveva diretto l'Istituto
di Patologia per cinque anni. Gli si faceva credito di aver trasformato la
patologia, da anatomica a disciplina fisiologica e sperimentale, e fu proba­
bilmente proprio questo che indusse Freud a lavorare sotto di lui. Tutto ciò
che sappiamo sui risultati è che nella seduta del 17 ottobre 1897 della
Gesellschaft der Aerzte (Associazione dei Medici) Stricker presentò un
lavoro sulle ghiandole acinose e rese noto che il suo allievo Freud aveva
condotto su quell'argomento, sei mesi d'esperimenti, suggeriti da lui stesso,
senza concludere nulla. 25 Cos16nl il primo tentativo. Dopo l'insuccesso di
Freud, Stricker stesso affrontò il problema, sulla base di certe nuove idee di
86 Vita e opere di Freud

Spina, lnSleme al quale ottenne alcuni interessanti risultati. Freud se ne


ritornò all'istituto di Briicke ed al suo microscopio, ed iniziò la sua ricerca
sulle cellule nervose del gambero, con la quale, tra parentesi, pagò un al­
tro tributo al libro di T. H. Huxley su questo animale.
Sei anni dopo, nel 1884, dopo aver lasciato Briicke, fece un altro tenta­
tivo. Ritornò al laboratorio di Stricker e prese parte, insieme a Wagner­
Jauregg, Gaertner, Spina e Koller, a certi esperimenti sugli animali, che
rientravano in una ricerca sulla funzione delle ghiandole in rapporto al
sistema circolatorio. 28 Per la seconda volta non arrivò a nessuna conclu­
sione, e da quel momento si rifugiò nell' anatomia del cervello.
Il terzo breve tentativo, infine, fu una piccola parte del suo lavoro sulla
pianta di coca. Studiandone gli effetti sull'organismo, ebbe l'idea di ricer­
care l'azione della droga sulla forza muscolare misurata col dinamometro
(strumento piuttosto rudimentale) allo scopo di vedere se la caratteristica
euforia che essa dà, fosse giustificata o illusoria. Insieme a Koller, egli
accertò che la forza era effettivamente aumentata, ma la ricerca valeva poco.
La tecnica era semplicistica e l'esposizione incerta e scarsamente critica, in­
somma si trattava del lavoro di un normale principiante su un piano ben
diverso da quello delle sue valide ricerche istologiche degli anni precedenti.
Negli anni avvenire, quando Freud si rammaricava della mancanza di
successo nei suoi tre primi anni d'università, specialmente in zoologia (a
proposito della quale era particolarmente severo con se stesso), sarebbe stato
più giusto che avesse messo, al posto di quest'ultima, la fisiologia speri­
mentale.
Nell'estate o nell'autunno del 1879 fu richiamato. Il servizio militare
durava un anno, ma era molto meno gravoso di quanto sia oggi: gli studenti
di medicina continuavano a vivere in casa loro, e non avevano altri doveri
oltre quello di frequentare gli ospedali. La sofferenza maggiore era la ter­
ribile noia, e questa fu probabilmente la ragione per cui, pochi anni dopo,
fu decretato che le reclute dovessero passare la metà del tempo in esercizi
militari veri e propri. Freud trascorse il suo ventiquattresimo compleanno
(6 maggio 1880) agli arresti, per essersi assentato senza permesso. 27 Cin­
que anni dopo si dette da fare per incontrare ad un pranzo il generale
Podraasky, che gli aveva inflitto la punizione, ed evidentemente non gli
portava rancore poiché ammetteva di aver mancato di assistere a otto visite,
una dietro r altea. 28
Nella prima metà dell'anno Freud riusd a combattere la noia dedicandosi
Studente di medicina (1873-1881)

alla traduzione di un libro di John Stuart Mill, la prima delle cinque grosse
opere che tradusse. Il lavoro gli piaceva, poiché come traduttore egli era
particolarmente dotato. Invece di trascrivere faticosamente dalla lingua stra­
niera parola per parola, le espressioni idiomatiche e tutto il resto, egli soleva
leggere un brano, chiudere il libro, e chiedersi come uno scrittore tedesco
avrebbe buttato giù le stesse idee nella sua lingua, tecnica per la verità
non molto frequente tra i traduttori. Eppure il suo lavoro era, al tempo
stesso, brillante e veloce. Questa rimase l'unica opera, originale o tradotta,
da lui pubblicata, che non avesse rapporto con i suoi interessi scientifici,29
e per quanto il contenuto del libro potesse probabilmente interessarlo, il
principale motivo per cui lo tradusse fu senza dubbio quello di ammazzare
il tempo e, al tempo stesso, di guadagnare qualcosa.
L'opera omnia di Mill veniva pubblicata in Germania a cura di Theodor
Gomperz, filosofo e storico che a Vienna riscuoteva larga fama. Cinquanta
anni dopo suo figlio Heinrich, che stava preparando una biografia del pa­
dre, chiese a Freud come mai gli fosse stata affidata la traduzione del do­
dicesimo volume, e Freud rispose, in una lettera del 9 giugno 1932, che
Gomperz, in un ricevimento, aveva cercato qualcuno che potesse sostituire
il giovane Eduard Wessel che avrebbe dovuto tradurre il volume e che era
morto improvvisamente. Brentano gli dette allora il nome di Freud, il qua­
le aveva assistito per un paio d'anni. alle sue conferenze. Per la verità
oltre Freud c'era andata mezza Vienna, dato che Brentano era un confe­
renziere famoso, perciò non sappiamo se egli si ricordasse di lui per i se­
minari cui Freud aveva partecipato oppure per averne sentito il nome da
amici comuni, come per esempio Breuer, suo amico di famiglia. Del resto
la cosa non hà molta importanza.
Tre dei saggi di Mill riguardavano problemi sociali: la questione della
fatica, l'emancipazione della donna e il socialismo, e nella prefazione Mill
diceva che buona parte di loro era dovuta a sua moglie. Il quarto, dello
stesso Mill, era sul Platone di Grote. Molti anni dopo (nel 1933) Freud
notò che la. sua conoscenza della filosofia platonica era molto frammentaria,
e ciò significa forse che tutto ciò che ne sapeva l'aveva appreso appunto
dal saggio di Mill. Egli aggiungeva però che la teoria di Platone sulla re­
miniscenza, che Mill trattava assai bene, l'aveva molto colpito, e che in
un certo periodo gli aveva dato molto da pensare. Molto tempo dopo in­
fatti, egli introdusse alcuni suggerimenti di Platone nel suo libro Al di
là del princiPio del piacere.
88 Vita e opere di Freud

Le ricerche che abbiamo descritto occupavano in fondo solo una piccola


parte del suo tempo, che era dedicato soprattutto allo studio delle mate­
rie mediche (patologia, chirurgia, ecc.). Aveva maestri illustri e ispiratori,
alcuni dei quali - come per esempio il chirurgo Bil1roth, il dermatologo
Hebra e l'oftalmologo Adt - avevano fama mondiale e attiravano folle di
studenti entusiasti. Essi offrivano molto più delle semplici nozioni della
medicina del tempo: erano, ciascuno nel suo campo, brillanti innovatori, e
infondevano nei loro allievi lo spirito della medicina scientifica. Tuttavia
Freud restava piuttosto freddo davanti a loro. Aveva - è vero - una grande
ammirazione per Billroth, ma le sole lezioni che trovasse veramente interes­
santi erano quelle di psichiatria di Meynert. Questo campo doveva essergli
apparso del tutto nuovo, data la sua abitudine ai laboratori e dato che du­
bitava seriamente persino di voler fare il medico, come scriveva a Knopf­
macher.
Sapeva però che tutti i maggiori fisiologi, come Helmhola, Du Bois­
Reymond e Briicke, si erano laureati in medicina, e che qualcuno aveva
addirittura esercitato, cos1 alla fine decise di seguire le loro orme e di so­
stenere gli esami necessari, che a Vienna erano chiamati rigorosa. Quello
che oggi chiamiamo l'esame di ammissione e che si fa alla fine del primo
anno o addirittura prima di entrare alla Facoltà di Medicina, a quei tempi
poteva essere rimandato fino alla fine degli studi. Freud non mancò di va­
lersi di questa occasione di ritardo, e cosI ebbe da rispolverare tutto quello
che aveva appreso anni prima. Pieno di ciò che egli chiamava una paura
del tutto giustificata, sostenne il primo rigorosllm di chimica, botanica e
zoologia con un suo vecchio amico, il professor Fleischl, il 9 giugno 1880.
«Evitai il disastro solo per la clemenza del fato oppure per quella degli
esaminatori» diceva Freud. La ~himica gli piaceva, o piuttosto ne ammi­
rava la precisione, ma non aveva attitudine al suo studio. Il suo interesse
per la botanica - notava - non era mai stato eccessivo, e all'esame non
riusd a identificare una crocifera, e si salvò solo sulla parte teorica. Questo
sorprende un po' se si pensa al suo amore per la campagna e la sua dime­
stichezza fuori del comune con i fiori. Comunque il voto dell'esame con­
dotto da Fleischl fu «eccellente».
Nel secondo rigorosllm di medicina generale, quello stesso giorno, Hoff­
mann lo promosse solo con «soddisfacente», perché era caduto in medicina
legale. Dopo dieci mesi che trascorse lavorando nell'istituto di Briicke,
si presentò al terzo rigorosllm, nelle varie specialità mediche, il 30 marzo
Studente di medicina (1873-1881)

1881, e capitò di nuovo con Hoffmann, che lo promosse con «eccellente».


Questo voto, secondo Freud, era dovuto solo alla memoria visiva che lo
aveva aiutato per tutta l'infanzia e l'adolescenza, sebbene fosse man mano
divenuta più incerta. Egli non aveva sfruttato per la preparazione il luogo
periodo precedente l'esame, ma «nella tensione dell'ultimo esame devo aver
fatto uso dei rimasugli di questa mia capacità, perché in certe materie detti
agli esaminatori risposte apparentemente automatiche, che risultarono poi
identiche alle frasi dei libri che avevo sfogliato appena una volta, e pure
in grandissima fretta». Così il suo diploma di laurea porta la data del 31
marzo 1881. Alla cerimonia, che si svolse nella bella aula magna del palaz­
zo barocco della vecchia università, assisté la famiglia di Freud e Richard
Fluss con i suoi genitori, vecchi amici della sua prima infanzia a Freiberg.
Il conseguimento di questo titolo medico non rappresentò assolutamente
una tappa importante della vita di Freud, e neppure un avvenimento im­
portante di per se stesso. Era un fatto che rientrava nel corso normale degli
eventi, ed egli non avrebbe più potuto essere accusato di poltroneria. ao In
ogni modo continuò a lavorare nell'istituto di Briicke, seguendo quella stra­
da che l'avrebbe forse condotto, a tempo debito, fino a una cattedra di fi­
siologia. Invece tutti i dolci sogni di quel genere si sarebbero infranti in
poco più di un anno.
Note

1. BI. (5).
2. BI. (4), p. 166.
3. Si sarebbe quasi tentati di osservare che il futuro scopritore del comples­
so di castrazione dovesse essere deluso per non essere riuscito a trovare i testi­
coli dell'anguilla. .
4. Bib/iographie und lnhaltsangaben der wissenschaltlichen Arbeiten des Pri­
vatdozent Dr. Sigmund Freud (1897); ristampato in I.Z., XXV (1940), 69.
5. Auto., p. 15.
6. BI. (4), p. 169.
7. G.W., XIV, 290.
8. lbid., II-III, 425.
9. lbid., XIV, 290.
lO. Questo passo e qualcuno dei successivi sono stati presi, dietro gentile
concessione del dotto Bernfeld, dai suoi due bei saggi - BI. (2) e (4). L'intero
capitolo deve molto alle sue ricerche.
11. M., 28 ottobre 1883.
12. G.W., XIV, 301.
n. G. S. Brett, A History 01 Psychology, New York, Macmillan, 1921, III,
129.
14. n temibile Viktor Adler, futuro leader socialdemocratico.
15. G. W., II-III, 217, 218.
16. Sigmund Freuds Leistungen aul dem Gebiet der organischen Neur%gie,
«Schweizerisches Archiv ffu Neurologie und Psychiatrie», XXXVII (1936), 200.
17. Sigmund Freud as Neur%gist, «Journal of Nervous and Mentai Di­
sease», LXXXV (1937), 696.
18. Questa Società viene citata nelle varie bibliografie di Freud sotto nomi
differenti. Ne risulta una certa confusione, e l'impressione che si trattasse di
più d'una Società. n dotto Solms, attuale segretario, mi ha dato gentilmente
una completa spiegazione della cosa. Nel 1868 fu fondata la «Verein ffu Psy­
chiatrie und forensische Psychologie», che il 9 maggio 1895 cambiò il suo no­
me con quello di «Verein ffu Psychiatrie und Neurologie», spesso abbreviato
nelle citazioni in «Psychiatrischer Verein».
Note 91

n suo organo ufficiale si chiamò dal 1868 al 1869 «Vierteljahrschrift fiir


Psychiatrie», dal 1871 al 1878 «Psychiatrische Centralblatb>, dal 1879 al 1891
«Jahrbiicher fiir Psychiatrie» e da allora in poi (cJahrbiicher fiir Psychiatrie
und Neurologie».
19. Nella sua bibliografia (1897) Freud fornisce la data del 1882, ma in
queste cose egli era tutt'altro che infallibile. I rendiconti della Società sui pe­
riodici medici dell'anno 1882 sono completi, ma non fanno cenno della sua
conferenza. Questa non figura neanche nel 1883, ma siccome per quell' anno i
rendiconti sono incompleti il dubbio rimane aperto.
20. <cCentralblatt ffu die mediz. Wissenschaften», XVII (1879), 468.
21. BI. (4), p. 187.
22. Cioè in quello di Stricker.
23. AnI., p. 21 n. 1.
24. Evidentemente nel senso di un intervento attivo.
25. «Wiener medizinische Presse», 2 novembre 1879, p. 1403. (L'articolo
apparso nel «Wiener medizinische Wochenschrift», 1879, p. 1133, non men­
ziona Freud, ma in un'altra occasione allude ad un certo M. Freund che ha in­
dotto in errore alcuni studiosi.)
26. Cari Koller, «Wiener medizinische Wochenschrift», 1935, p. 7.
27. G.W., IV, 271.
28. M., 15 giugno 1885.
29. Fanno eccezione il capitolo su Samuel Butler in Das Unbewusste di
Israel Levine (<<Internationale Psychoanalytische Bibliothek», xx, 1926), e T 0­
pJ} di Marie Bonaparte, cui Anna Freud e suo padre attesero prima di ottenere
dai nazisti il permesso di lasciare l'Austria, nel 1938.
30. G. W., II-III, 453.

V. La carrIera medica (1881-1885)

I propositi di Freud durante gli anni che passò nel laboratorio di Briicke
possono destare meraviglia, in quanto erano incompatibili con qualsiasi
progetto di quella futura sistemazione che invece le sue modeste condizioni
economiche rendevano necessaria. Egli 'non poteva assolutamente aver tra­
scurato questa spiacevole realtà, né il fatto che essa si sarebbe tradotta, con
grande probabilità, in qualche forma di pratica medica, eppure evitò tutto
ciò finché poté, e se infine vi si decise, vuoI dire che ebbe forti ragioni
per farlo. Due di queste ragioni sono abbastanza chiare: una era la sua
avversione per la medicina pratica, questione che già da sola costituisce un
problema, e l'altra la sua passione per il lavoro di laboratorio. Quest'ultima
aveva più di un'origine: presumibilmente egli trovava quel lavoro interes­
sante di per se stesso, tuttavia era forse più decisiva la sua meditata prefe­
renza per la ricerca piuttosto che per la semplice pratica. Scoprire qualcosa
di nuovo ed aggiungerlo cosi al nostro bagaglio di conoscenze era forse il
motivo dominante della sua natura, e poi sentiva il bisogno di controllare
se stesso secondo il metodo scientifico, equilibrando cosi le sue tendenze
più sbrigliate e più speculative, le quali, per quanto a lui care, senza il
suo controllo lo avrebbero portato ben lontano.
Perciò egli decise di continuare finché avesse potuto il lavoro di ricer­
ca che oltre ad essere formativo era adatto a lui, e che dipendeva innanzi
tutto dal volonteroso appoggio di suo padre e, quando questo fosse .venuto
a mancare, dall'aiuto degli amici. Nello stesso tempo, tuttavia, egli continuò
pure lo studio regolare della medicina, e nel marzo 1881 decise di presen­
tarsi agli esami di abilitazione. Questa decisione alleviò indubbiamente i
rimproveri che si era fatto per i suoi tre anni di ritardo, ma d'altra parte
lo mise di fronte a problemi più gravi, che ora vedremo.
La ca";era medica (1881-1885) 93

L'abilitazione sembrò non comportare alcuna differenza apparente. Freud


continuò a lavorare come prima nell'Istituto di Fisiologia per altri quindici
mesi, dedicandogli ora tutto il suo tempo. Circa due mesi dopo fu promosso
dimostratore, carica che comportava qualche responsabilitl di insegnamento,
e. tale rimase dal maggio 1881 al luglio 1882. Non ci risultano altre sue
ricerche nell'ultimo peric:)do nel quale fu dimostratore, forse perché gli ob­
blighi di questa carica lo impegnavano di più. Terminò il lavoro sui gam­
beri nell'autunno del 1881, e lo presentò a una seduta dell' Accademia delle
Scienze nel dicembre successivo.
Contemporaneamente lavorò per un anno ad alcune moderne ricerche
sulla analisi dei gas, nell'Istituto di Chimica di Ludwig, dove il suo amico
Lustgarten era assistente. Sebbene la chimica gli piacesse, le sue ricerche
non ebbero successo, e più tardi egli si riferl a quell'anno sciupato consi­
derandolo del tutto infruttuoso e trovandone umiliante il ricordo. 1 Il 1882
fu del resto definito da lui «l'anno più oscuro e meno proficuo di tutta la
mia vita professionale».2
Freud restò dimostratore per tre semestri. Nel corso naturale degli eventi
questa carica, per quanto lentamente, avrebbe portato3 a quella di Assi­
stente, poi di Aiuto ed infine a quella di Professore di Fisiologia dell'Isti­
tuto, che poteva considerarsi la logica meta. Invece nel giugno del 1882,
alla fine del terzo semestre, si verificò un avvenimento che può esser de­
finito a giusto titolo una delle grandi svolte nella vita di Freud, e che ebbe
come risultato quello di fargli trovare, in un numero relativamente breve
di anni, la sua carriera definitiva, anche se in un primo tempo aliena dalla
sua volontà.
Questo avvenimento fu la decisione di guadagnarsi da vivere come me­
dico e di rinunciare alla sua posizione nell'istituto di Briicke. Il racconto che
egli stesso ne fa nell' Autobiografia (1923) è il seguente: «La svolta arrivò
nel 1882, quando il mio maestro, del quale avevo tutta la stima possibile,
corresse la generosa imprevidenza di mio padre consigliandomi decisamente
di abbandonare la carriera scientifica, a causa della mia cattiva posizione
finanziaria. Seguii il suo consiglio, lasciai il laboratorio di fisiologia ed
entrai all'Ospedale Generale.»· Un anno dopo egli forni altrove una spie­
gazione sostanzialmente uguale: « ... finché il maestro, che tanto io rispet­
tavo, non mi avvertl che, date le mie ristrette possibilità finanziarie, non
avrei potuto intraprendere una carriera teorica.»5
Quando qualcuno, per esempio Wittels, suppose che ci fosse stato uno
94 Vita e opere di Freud

screzio tra lui e Briicke, Freud lo smentl recisamente, e ripeté di aver ab­
bandonato quella carriera su consiglio di Briicke. 8 Briicke mantenne anzi
un vivo interesse per la carriera di Freud: fu il suo maggior sostenitore
nel concorso di libera docenza nel quale fu assecondato solamente da Mer­
nert e Nothnagel, e fu la sua influenza che malgrado la forte opposizione
assicurò a Freud l'inestimabile borsa di studio per Parigi. Freud restò in
rapporti del tutto amichevoli con Briicke, il quale fu anzi uno dei primi
a ricevere una sua visita al ritorno da Parigi, quattro anni dopo. 7
Le prospettive economiche erano indubbiamente abbastanza oscure. En­
trambi gli assistenti avevano solo dieci anni più di Freud, e perciò non
era probabile che negli anni successivi si rendesse vacante per lui un posto
del genere. Quanto al miraggio della cattedra, al momento della morte
di Exner, il successore di Briicke, Freud aveva 69 anni, e quindi nel più
roseo dei casi avrebbe avuto molto da attendere. Per di più lo stipendio
di un assistente era talmente misero che ben difficilmente egli avrebbe po­
tuto mantenersi senza mezzi propri, e certamente non avrebbe potuto farsi
una famiglia.
Con queste prospettive, e con le sue scarse risorse economiche, quanto
poteva aspettarsi di continuare su quèlla strada? Al principio aveva usu­
fruito esclusivamente dell'aiuto di suo padre, ed il suo contributo personale
si riduceva ai pochi trascurabili compensi per le sue pubblicazioni e ad un
sussidio dell'Università di 100 gulden (40 dollari)8 che ebbe nel 1879.
Il padre, che a quell' epoca aveva 67 anni ed era gravato da una famiglia
di sette figli, si trovava in condizioni finanziarie povere ed assai precarie,
tanto da dover essere aiu,tato di tanto in tanto dalla famiglia della moglie
con prestiti e regali. Il suo piccolo capitale era andato perduto nella crisi
finanziaria del 1873, ed inoltre era già arrivato il momento in cui i suoi
guadagni si arrestarono, ed egli passò con la sua famiglia anni di ristrettez­
ze penose. Jakob Freud aveva aiutato il figlio dottore con la generosità e
l'entusiasmo, è vero, ma anche con l'imprevidenza che gli erano propri. In
un primo tempo aveva sperato che il figlio entrasse negli affari, ma poi,
forse un po' a malincuore, si era rassegnato alla carriera intellettuale, ed
era indubbiamente orgoglioso dei successi e dei risultati di lui. Il fatto che
Freud continuasse nel cammino che aveva scelto e che egli gliene desse la
possibilità per il tempo più lungo possibile, lo rendevano soddisfatto. :e
anche vero del resto che i bisogni di Sigmund erano molto modesti: oltre
li Ila tranquilliti e alla quiete necessarie alla lettura, ed alla compagnia di
La carriera medica (1881-1885) 95

amici del suo livello, egli non chiedeva quasi altro che libri. I libri assor­
bivano gran parte del suo argent de poche, ed a volte egli doveva anche farsi
prestare qualche cosa dai suoi amici, che rimborsava però regolarmente ed
anche con anticipo: uno di questi episodi è descritto in una delle lettere
superstiti della sua corrispondenza con Knopfmacher. A quell'epoca tutta­
via trovò un protettore filantropo nella persona di Breuer, che gli fece un
«prestito» quasi regolare. Dal 1884 anzi, questo debito raggiunse la som­
ma considerevole di 1 500 gulden (580 dollari).9
Tutto sommato il quadro non era roseo. Si può solo immaginare quale
fosse lo stato d'animo di Freud in proposito: aveva ventisei anni; non
voleva fare il medico; si trovava perciò in un vicolo cieco, senza prospet­
tive future di guadagnarsi la vita altrimenti. La mancanza di previdenza e
indubbiamente di senso della realtà sembrano oltremodo estranee al Freud
che noi conoscemmo più tardi, e che teneva sempre d'occhio le conseguenze
pratiche della vita. Dai suoi successivi racconti degli avvenimenti in que­
stione si può persino trarre l'impressione che sia stata solo la predica di
Briicke a ridestarlo di colpo da un sogno, quello di servire idealisticamente
la causa della scienza, senza darsi alcun pensiero delle considerazioni rea­
listiche: non è certo il Freud indipendente che abbiamo conosciuto noi.
Questa non è la sola volta che Freud preferl dare una sfavorevole im­
pressione di se stesso piuttosto che svelare qualcosa della sua vita privata.
Anzi, ciò che egli ha rivelato della sua vita è stato selezionato e purgato
con molto maggior cura di quanto comunemente si creda, e quindi le testi­
monianze dell' epoca, come spesso accade, ne danno un quadro assai diffe­
rente.
Dall'Autobiografia non è possibile sapere se Briicke abbia preso l'ini­
ziativa di dargli il suo autorevole consiglio, oppure se Freud glielo abbia
richiesto, né la ragione per cui quell'importante conversazione avvenne
proprio allora. Non si capisce neanche che cosa Briicke abbia potuto ag­
giungere a ciò che Freud doveva già sapere: infatti era abbastanza chiaro
quanto il suo futuro fosse incerto e quanto precarie le sue basi economiche.
Per la verità Freud non era affatto cieco alla realtà della sua situazione,
né la sua decisione fu inaspettata. Fin dal momento della laurea egli
aveva contemplato «con il cuore sempre più grosso» l'ineluttabile neces­
sità di abbandonare il suo lavoro di laboratorio e di passare alla medi­
cina pratica,l.O ma ciò che a un dato punto dette il colpo di grazia fu qual­
cosa di nuovo per lui: si era innamorato dalla testa ai piedi! Peggio an­
Vita e opere di Freud

cora: in un giardino di Modling, il giorno fatale di sabato, lO giugno,


aveva ricevuto dalla sua dama, Martha Bernays, intimi segni che lo spin­
gevano a sperare di veder accolta la sua richiesta. Il giorno seguente ci
pensò su, arrivò alla decisione definitiva, e il mattino dopo ne informò
Briicke. Per Freud non era una novità sentire che Brlicke non aveva nes­
suna intenzione di privarsi di uno dei suoi due assistenti, Fleischl ed Exner,
cosicché l'istituto non gli offriva possibilità di sorta. Il dado era tratto.
Dunque, anche se Freud non ha mai menzionato questo motivo tra quelli
che lo portarono a prendere la sua risoluzione, esso fu tuttavia quello de­
cisivo. Era nel suo stile di passarlo sotto silenzio, e Bernfeld nota, richia­
mandovi l'attenzione, che dalle confessioni sparse qua e là nei suoi scritti,
Freud può apparire di volta in volta come un vile, un parricida, un am­
bizioso, un essere volgare e vendicativo, ma non fa mai la figura dell'inna­
morato (se si eccettuano poche e molto superficiali allusioni alla moglie),u
Sarebbe naturale che egli avesse serbato un certo risentimento verso il
fato per questa improvvisa rottura della carriera intrapresa. Verso Briicke
non ne mostrò mai, e del resto sarebbe stato completamente irragionevole
volergliene. Tuttavia in quello stesso anno vi fu un curioso sfogo che forse
non cade del tutto a sproposito riferire qui. Nella conferenza alla Società
di Psichiatria che abbiamo già ricordata,12 erano contenute le critiche, abi­
tuali, di coloro che erano contrari alle conclusioni da lui esposte. Una,
particolarmente severa, era diretta a Fleischl, che era suo amico ma anche
suo immediato superiore nell'istituto, ed al quale egli aveva forse sperato
di succedere. Freud non solo fece violentemente a brandelli una sua ricerca
sulla struttura delle fibre nervose, respingendone senza eccezione tutte le
conclusioni, ma ricorse addirittura al metodo dell'interpretazione psicolo­
gica personale, che più tardi doveva severamente deprecare, per tentare di
risalire alle intenzioni dell'osservatore. Tutto ciò era talmente alieno ·dal
suo abituale atteggiamento di riservatezza, che non è difficile metterlo in
rapporto, come ha fatto anche Bernfeld,lS con il dispiacere e la frustra­
zione di aver dovuto lasciare l'istituto. Questo è un esempio delle flut­
tuazioni tra amicizia e ostilità, dovute ad ambivalenza affettiva, alle quali
egli stesso si riferiva nel metterle in rapporto con l'influenza, tuttora perdu­
rante, delle sue esperienze infantili con suo nipote John.
Freud confessò successivamente come egli avesse accarezzato segreta­
mente il pensiero che la sua promozione sarebbe stata favorita dalla morte
di Fleischl, sebbene poi fosse rimasto colpito nell'udire il suo successore
La carriera medica (1881-1885) 97

nell'istituto, Paneth, esprimere a chiare note la stessa speranza. 14 Il caso


volle poi che Fleischl e Paneth morissero entrambi a meno di un anno di
distanza.
La decisione era stata senza dubbio molto penosa, ma Freud l'accettò
risolutamente. Ammettendo con Martba che «il distacco dalla scienza» era
stato un duro colpo, aggiungeva scherzosamente che «forse non sarebbe
stato l'ultimo».16 Il primo passo che fece era indispensabile: non vi era
evidentemente altra alternativa che guadagnarsi da vivere con la pratica
privata e ~ a .meno di non voler restare negli infimi strati della professio­
ne - questo significava acquistare quell' esperienza clinica d'ospedale che gli
mancava totalmente. A quei tempi gli studenti di medicina, almeno nel­
l'Europa continentale, imparavano solo attraverso le lezioni e le esercita­
zioni, e non avevano nessuna esperienza della cura personale dei malati.
Perciò Freud stabill di passare due anni in ospedale, studiando e acqui­
stando cos1 una conoscenza più approfondita e diretta delle varie branche
della medkina. Poi le cose cambiarono e vi rimase tre anni interi. Se avesse
potuto raggiungere. la posizione di Sekllndarat'zt (intermedia tra quelle in­
glesi di Resident HOlIse Physician e di Registrar), si sarebbe almeno trovato
nello strato medio della professione, e con un po' di fortuna avrebbe an­
che potuto salire più in alto. Cos1 non pose tempo in mezzo, e il 31 luglio
si iscrisse all'Ospedale Generale di Vienna.
Decise di cominciare con· la chirurgia, giustificando questa scelta col
dire che la materia era tanto delicata da richiedere tutta la sua atténzione,
e in secondo luogo che era già abituato ad usare le sue mani. Trovò quel
lavoro fisicamente faticoso, e restò due soli mesi nel reparto chirurgico. La
visita durava dalle otto alle dieci di mattina e poi di nuovo dalle quattro
alle sei pomeridiane; dalle dieci alle dodici aveva da rivedere sui trattati
i casi esaminati poco prima. Il direttore, professar Billroth, era probabil­
mente in ferie poiché, qualche tempo dopo, disse di non averlo mai in­
contrato.
Il 4 ottobre, con una lettera di presentazione di Meynert, si rivolse al
grande Nothnage1, il quale era appena arrivato a Vienna dalla Germania per
occupare la cattedra di medicina interna, che avrebbe tenuto fino alla sua
morte, per venti tre anni. La potenza di un uomo in una posizione di quel
genere era grandissima, e Freud pensò giustamente che la sua carriera, spe­
cialmente per quanto riguardava la futura pratica medica, sarebbe larga­
mente dipesa dal favore di Nothnagel. In una lunga lettera egli dette una

4· I
Vita e opere di Freud

descrizione completa della casa del professore, del suo aspetto fisico e delle
sue maniere, insieme ad un resoconto della conversazione, parola per paro­
la. Nothnagel aveva due assistenti. Un posto era vacante ma era già stato
promesso, perciò Freud chiese di essere ammesso nel reparto come Aspirant,
posizione analoga a quella del Clinical Assistant inglese, in attesa di essere
promosso Sekundararzl. Meynert parlò di nuovo a Nothnagel in suo favore,
e cos1, il 12 ottobre 1882, Freud entrò nella clinica come Aspirant,18 rice­
vendo uno stipendio nominale.
Freud lavorava dunque nel reparto di medicina interna di Nothnagel.
Questi fu un grande medico, anche se non originale come il suo predeces­
sore Rokitansky. Giunse a Vienna nel 1882 e morì nel 1905. La sua con­
cezione dei doveri di un medico era estremamente severa. Ai suoi studenti
diceva: «Chi ha bisogno di più di cinque ore di sonno al giorno, non
studi medicina. Lo studente di medicina deve andare a lezione dalle otto
del mattino alle sei del pomeriggio, poi deve andare a casa e studiare fino
a tarda notte.» Egli aveva tuttavia un carattere nobile e generoso, ed era
adorato sia dagli studenti che dai malati. Freud lo ammirava e lo rispettava,
ma non riusciva ad emulare il suo entusiasmo per la medicina: egli non
trovava, nel trattare i malati in corsia, un interesse maggiore di quello che
aveva trovato nello studio delle malattie. Da quel momento dovette con­
vincersi più che mai di non esser nato per fare il medico.
:B difficile stabilire che cosa significasse veramente questa sua avversione.
Certamente non si trattava di mancanza di considerazione per la profes­
sione di medico, come si potrebbe forse pensare, anzi vi sono indizi che
egli considerava la professione come una terra promessa - o, più precisa­
mente - una terra proibita, nella quale, per qualche ragione, non era de­
stinato ad entrare. Solo pochi anni dopo, nell'agosto 1888, rispondendo
a un amico che gli aveva consigliato di diventare un normale medico, egli
scrisse: «Sono perfettamente d'accordo con te, eppure non posso fare ciò
che mi consigli... non ho appreso ~bbastama da poter fare il medico. Nella
mia formazione medica vi è una lacuna che è stata poi accuratamente col­
mata: ho potuto imparare solo quanto bastava a diventare un neuropato­
10go,11 e ora mi servirebbe non la giovinezza, ma il tempo e la libertà di
rifare ciò che non ho fatto prima. L'inverno scorso ho avuto enormemente
da fare, cosicché sono appena riuscito a sbarcare il lunario con la mia grossa
famiglia e non mi è restato tempo per studiare.»lB In altre parole egli
La carriera medica (1881- 1885) 99

aveva al riguardo un certo senso d'inferiorità, che ascriveva - in modo per


nulla plausibile ~ ad una insufficiente preparazione o addirittura all'inca­
pacità d'imparare. Proprio lui, che afferrava le nozioni in modo cosI rapido
e facile! Evidentemente si trattava più di inibizione che di incapacità. For­
se, in base alle sue osservazioni, precedentemente riportate, sulla sofferenza
degli esseri umani, si potrebbe supporre un certo grado d'inibizione nei
riguardi della sofferenza fisica, specie trovandosi nella necessità di aggra­
varla, come talvolta magari accade ai medici.
Freud rimase da Nothnagel sei mesi e mezzo, cioè fino alla fine d'apri­
le,19 e il IO maggio 1883 passò nella Clinica Psichiatrica di Meynert, dove
fu subito nominato Sekundararzt. 20
Si trasferl allora in ospedale,n e fu quella la prima volta che lasciò la
casa per più di pochi giorni. Aveva venti sette anni, e da allora non tornò
più a dormire in famiglia.
Il suo nuovo direttore, Theodor Meynert (1833-1892), era celebre nel suo
ramo almeno quanto Briicke nel proprio, perciò Freud poté guardare a lui
con lo stesso rispetto, se non proprio con la stessa invidia. Le sue lezioni
erano state le uniche ad interessarlo veramente, da studente, e nei suoi
scritti sentiamo parlare del «grande Meynert, le cui orme ho seguito con
tanta venerazione».22 Malgrado gli aspri dissapori personali degli anni suc­
cessivi, egli ne parlò sempre come del genio più brillante che avesse mai
incontrato.
Freud condivideva l'opinione generale che Meynert fosse il più grande
anatomico del cervello del suo tempo, ma come psichiatra aveva di lui solo
una mediocre opinione.28 Tuttavia fu proprio dallo studio di quella malat­
tia detta «amenza di Meynert» (psicosi allucinatoria acuta) che egli trasse
la vivida intuizione del meccanismo dell'appagamento del desiderio, che
avrebbe poi applicato cosI largamente nei suoi ulteriori studi sull'inconscio.
Il solo possibile rivale di Meynert, in quel tempo, era Flechsig di Lipsia.
Ciò, come suggerisce Bernfeld, ebbe probabilmente un effetto fatale sui
successivi rapporti fra quest'ultimo e Freud.24
Freud lavorò nella clinica di Meynert per cinque mesi, due nel reparto
maschile e tre in quello femminile, e questo costitul la sua esperienza di
psichiatria pura. Nelle sue lettere di quel periodo si mostrava entusiasta
del fatto che Meynert, il suo maestro e animatore, «era più una persona
stimolante che un ospite di buoni amici». Il lavoro era molto, e le sette ore
100 Vita e opere di Freud

giornaliere di corsia erano appena sufficienti a coprire il da fare. Freud


era deciso ad impadronirsi della materia e leggeva furiosamente - Esquirol,
Morel, ecc. - notando quanto pochi psichiatri sembrassero effettivamente
capirne qualcosa. Trascorse persino le vacanze di agosto in ospedale, facen­
do funzione di Sekllndararzt anziano, al posto del suo amico Holl1inder
che era andato in ferie. In settembre ebbe due settimane di riposo, però
andò fuori solo per un paio di giorni a Baden, vicinissimo a Vienna.
Questi mesi trascorsi in clinica psichiatrica lo avevano soddisfatto sotto
vari punti di vista. Freud ricordava di essersi fatto molti buoni amici fra
i medici residenti, e aggiungeva: «Dunque non sono proprio insopporta­
bile.» Quando i Sekllndararzte, riuniti, protestarono con le autorità circa la
sistemazione nell'Istituto di Patologia, fu lui ad essere scelto come porta­
voce, dunque stava già cominciando, evidentemente, a emergere in mezzo
agli altri.
Il IO ottobre 188 3 Freud passò nel reparto di dermatologia di Von
Zeissl. 2G Questi era andato in pensione nell' anno precedente, e il suo posto
non era stato ancora occupato, per cui al tempo di Freud fungeva provvi­
soriamente da direttore il dottor Anscherlik. 26 Uno dei colleghi di Freud
era Maximilian Zeissl, figlio dell' ex direttore, dal quale egli ebbe ad im­
parare molto. Nell'ospedale vi erano due reparti di dermatologia: uno per
le comuni malattie della pelle, l'altro per le forme sifilitiche ed infettive.
Fu in quest'ultimo che Freud volle stare, dati i notevoli rapporti esistenti
tra la sifilide e varie malattie del sistema nervoso. Gli rincresceva tuttavia
di lavorare solo nella corsia maschile, e quindi di non vedere le stesse
malattie nelle donne. Il lavoro era molto leggero, poiché la visita in corsia
finiva alle dieci del mattino e si effettuava solo due volte alla settimana,
per cui gli restava molto tempo da dedicare al laboratorio.
In quei tre mesi Freud seguI anche corsi speciali di rinolaringoiatria e
al momento di passare alla parte pratica, nel Policlinico, si trovò maldestro
noll'uso degli strumenti. Si era iscritto a lavorare da Urbantschitsch, ma
poiché quel corso era al completo, passò in quello di Ultzmann.
Prima di partire per Wandsbek, Martha soleva far visita a Freud nel
suo alloggio in ospedale. In ottobre, dopo aver lasciato il reparto di Mey­
nert, egli fu costretto a passare in un'altra stanza, e volendo far conoscere
a Martha i particolari della sua vita quotidiana, egli le descrisse la nuova
camera e ne schizzò la pianta che riproduciamo. Per animare la stanza,
La carriera medica (1881-1885) 101

che la presenza di Martha non aveva mai rallegrato, egli le chiese di rica­
mare due ~pannelli votivi» da appendere sul suo tavolo, e a questo scopo
scelse due motti: uno adattato dal Candide, era
Travailler sans raisonner;21
l'altro, che Fleischl gli aveva detto essere di S. Agostino, era
En cas de doute abstiens-toi. 28
Tre anni dopo, quando stava entrando in pratica privata, le chiese di rica­
marne un terzo, stavolta con un detto favorito di Charcot:
Il faut avoir la foi. 29
Alla fine del 1883 arrivò a disporre di due camere nell'ospedale.
In ottobre il suo amico Holliinder disse a Freud che si progettava di
affidare a Meynert un reparto di neurologia, e subito egli considerò la pos­
sibilità di ottenervi un posto di assistente. Invece Meynert non ebbe quel
reparto fino al giugno 1886, quando Freud era già in pratica privata. A
quell'epoca l'unico vantaggio, per lui, sarebbe stato quello di poter trovare
in quel reparto, meglio che ovunque altrove, materiale clinico per le sue
conferenze, ma ormai era troppo decaduto dalle grazie di Meynert per una
cosa del genere. Nel gennaio seguente, 1884, si mormorò che l'assistente
di Meynert nel reparto psichiatrico avrebbe lasciato il posto - sebbene poi
non lo facesse per un altro anno - e Freud fu in dubbio se presentare o no
la domanda per quel posto, che per lui avrebbe significato una posizione
rispettabile, uno stipendio raddoppiato, la certezza di diventare docente e
la direzione del laboratorio. D'altra parte quell'incarico si sarebbe tradotto
in una perdita di tempo con la «sterile psichiatria», nella mancanza di
casi neurologici, il cui studio gli avrebbe permesso di raggiungere la meta
di una pratica privata, e nell'andare contro il parere sfavorevole di Breuer.
Decise subito di non presentare la domanda.
Un anno dopo si parlò con più insistenza di un reparto di neurologia da
darsi a Meynert, e allora Freud pensò più seriamente di far domanda per
divenire suo assistente, idea che anche Breuer approvò. Freud voleva spo­
sarsi, vivere del suo stipendio e dei suoi corsi di lezioni, ricevere qualche
paziente privato in ospedale e avere cos1 la possibilità di vivere fuori dal­
l'ospedale in una casa propria. Questa possibilità di lavoro non divenne pe_
rò mai concreta.
Il l° gennaio 1884 egli iniziò il suo periodo più lungo di pratica ospe­
daliera. Il reparto si chiamava Nervenabteilung (malattie nervose), per
quanto i casi neurologici ci fossero e non ci fossero. Quando ne arrivava­
10.3 Vita e opere di Freud

no, il direttore, Franz Scholz, al quale non interessavano affatto, li elimi­


nava appena possibile, so ma i medici incaricati dell' accettazione, sotto sotto,
facevano in modo di ammetterne sempre di nuovi. Sembra che il direttore si
preoccupasse solo di fare economia, per cui i malati erano affamati, i medici
potevano prescrivere solo le medicine più a buon mercato, e i prodotti nuo­
vi non si potevano sperimentare perché erano troppo cari. A queste condi­
zioni i giovani medici avevano però mano libera, e anzi Scholz incoraggia­
va qualunque ricerca che volessero intraprendere. Freud era nauseato dalle
condizioni del reparto: le corsie non erano tenute pulite, per cui le spora­
diche spazzate si risolvevano in insopportabili nuvole di polvere. In tutto
l'ospedale non vi era impianto di gas, cosicché dopo il crepuscolo i malati
dovevano restare al buio completo ed i medici dovevano fare il loro giro
e perfino eseguire qualche operazione urgente a lume di lanterna. Freud
era deciso a portare questo stato di cose sulla stampa appena avesse lascia­
to l'ospedale, ma non risulta che l'abbia mai fatto.
Fleischl gli aveva detto che sarebbe stato opportuno pubblicare qualche
contributo clinico prima di presentarsi alla docenza, e nella prima setti­
mana trascorsa nel reparto egli ebbe la fortuna di cadere su un caso adatto,
il primo dei tre che pubblicò nel 1884.
Nei primi sei mesi Freud lavorò in modo regolare, passando due ore al
giorno in laboratorio, tra una visita in corsia e l'altra, finché in luglio
accadde qualcosa di molto interessante. Tre giorni prima che egli si pre­
parasse a partire per Wandsbek, per il suo mese di ferie, giunse notizia
che il Governo del Montenegro aveva inviato una richiesta urgente affin­
ché qualche medico austriaco andasse a prestare aiuto alla frontiera, dove
minacciava di scoppiare un'epidemia di colera. Con terrore di Freud, sia
Moria Ullmann, l'altro Sekundararzi giovane - erano in due - che quello
anziano, Joseph Pollak, si offrirono volontari per quell'avventura, ed egli
rimase solo, unico medico del reparto. Il suo direttore, Scholz, era già
partito per il suo bimestre di ferie. Il primo impulso di Freud fu quello di
rinunciare del tutto all'ospedale, di andarsene a Wandsbek e quindi ten­
tare la fortuna come medico generico da qualche parte, ma prevalsero poi
le riflessioni più fredde, appoggiate dall'azione calmante dei suoi due ami­
ci Fleisch1 e Breuer, ed egli acconsenti a rimanere.
Due nuovi medici giovani furono posti sotto di lui, ed egli ebbe per sé
le responsabilità del direttore. Era un salto di due gradini nella scala,
e quando Martha gliene domandò l'importanza, egli le rispose forbitamen­
La carritra medica (1881-1885) 103

te: «Significa che il direttore dell'ospedale ti invita a sedere in sua pre­


senza.» Il 15 luglio egli assunse il nuovo incarico e lo tenne per sei setti­
mane, con uno stipendio mensile che nell'ultima parte di quel periodo ar­
rivò a 45 gulden (18 dollari). Lo aveva fatto a condizione che, una volta
ristabilite le condizioni normali, gli fosse riconosciuto il grado di Sekun­
dararzt anziano, ma questa promessa fu mantenuta solo in parte in quanto
il grado gli restò solo per tre mesi dopo il suo ritorno dalle ferie, e cioè
fino allo gennaio. 31 Per ora aveva la responsabilità di centosei malati, con
dieci infermiere, due Sekundararzte ed un aspirante sotto di lui. Quest'ultimo
era un certo dotto Steigenberger, devoto ammiratore di Martha, che guar­
dava con invidia a Freud, l'eletto. Freud fu molto soddisfatto di questa
esperienza, sebbene brontolasse «com'è difficile governare», e se ne avvan­
taggiò anche dal punto di vista professionale: «In queste settimane sono
veramente diventato un medico.»32 Il lO settembre poté prendersi le sue
meritate vacanze a Wandsbek. 33
Al suo ritorno Scholz lo rimproverò di non esser stato abbastanza eco­
nomo, m~ sembrò un po' più tenero quando Freud gli dette un soddisfacen­
te resoconto dell'attività medica. I rapporti fra di loro, in ogni modo, era­
no evidentemente tesi. La meschinità era un tratto che Freud aborriva, ed
egli non sempre celava le sue opinioni. Come vedremo, gli eventi matu­
rarono nel febbraio successivo.

Freud diceva di esser stato nominato Lettore (Lerturer) in neuropatolo­


gia nel 1885, «in base alle sue pubblicazioni istologiche e cliniche».8. Si
riferiva evidentemente al conseguimento della posizione di Privatdozent,
titolo che, importantissimo in Austria e in Germania, non ha un'esatta
corrispondenza nelle scuole mediche americane o inglesi. Forse l'equivalen­
te più prossimo è quello di Don di Oxford o Cambridge. Un Privatdozent
non ha diritto di partecipare alle sedute di Facoltà, né riceve alcuno sti­
pendio, ma può tenere un certo numero di corsi, di solito su argomenti
che esulano dal programma ufficiale. :e un titolo molto ambito, condizione
necessaria per qualunque promozione in campo universitario, e gode di
molto prestigio tra il pubblico, perché è garanzia di competenza speciali­
st.ica. Viene conferito in numero molto esiguo, e perciò il piccolo gruppo
di c~loro che lo hanno ottenuto rappresenta una élite. I requisiti per la
nomma sono molto seri e si richiede la dimostrazione di contributi scien­
104 Vita e opere di Freud

tifici indipendenti, originali e di un certo peso, documentati da un consi­


derevole numero di pubblicazioni.
Freud aveva in mente questo titolo fin dall'inizio della sua carriera. Per
lui non contava tanto l'importanza professionale che esso gli avrebbe confe­
rito, quanto il notevole miglioramento delle prospettive di assicurarsi quel­
la clientela che gli avrebbe permesso di sposarsi. Nel 1883 sperava che il
metodo di colorazione da lui inventato sarebbe stato sufficiente ad assicu­
rargli l'ambito premio, ma un anno dopo divenne chiaro che la sua tesi
avrebbe dovuto basarsi sulle ricerche che stava allora eseguendo sull'ana­
tomia del bulbo. Dal maggio di quell'anno sperò di poter presentarsi a
partire dal prossimo Natale, ma in giugno fu tentato di modificare i suoi
progetti perché ricevette l'offerta di accompagnare in viaggio un paziente
psicotico al quale erano stati dati dieci mesi di vita (era probabilmente un
caso di paralisi progressiva). In quel periodo avrebbe guadagnato 3000 gul­
den (1150 dollari) che gli avrebbero permesso di sposarsi un anno prima
di quanto sperava. Però questo avrebbe anche significato abbandonare l'ospe­
dale per un bel po' e uscire dalla lotta per la conquista di un grado supe­
riore. Non esitò nella scelta, e malgrado la sua impazienza per il lungo
fidanzamento continuò nel suo lavoro. Aveva guadagnato un po' di denaro
tenendo un corso, ma siccome non ne aveva legalmente diritto, fu rim­
piazzato da un collega più anziano. Allora egli si domandò se avesse qual­
che possibilità di diventare docente senza attendere di aver prima finito
il lavoro di anatomia sul quale aveva fatto assegnamento a questo propo­
sito. Breuer era d'accordo, e quando egli interpellò Nothnagel, il grande
clinico fu estremamente gentile, espansivo, e fiducioso che Freud avrebbe
avuto successo. Gli assicurò che avrebbe partecipato alla riunione decisiva,
e che era uomo da spuntarla, qualunque fosse stata r opposizione. 86 Rin­
francato, Freud inviò la sua domanda il 21 gennaio 1885. Chi scrive ha
sorriso nel leggere in una sua lettera che egli definiva il curriculum vitae
richiesto «un abbozzo preliminare per la mia biografia». 36
La domanda, firmata il 2 gennaio 1885, conteneva, oltre al curriculum,
la bibliografia delle sue pubblicazioni ed il suo Lehrplan, cioè il program­
ma del suo futuro insegnamento. «Se l'onorevole Collegio dei Professori
vorrà conferirmi la docenza (Dozentur) in malattie del sistema nervoso,
è mia intenzione di condurre l'istruzione in questa branca della patologia
umana secondo due direzioni. Innanzi tutto attraverso lezioni e corsi di ana­
tomia e fisiologia del sistema nervoso, in quanto la loro conoscenza è la
La carriera medica (1881-1885) 105

preparazione necessaria per la comprensione dei fatti neuropatologici. In


secondo luogo, attraverso lezioni e corsi nei quali presenterò malati nervosi,
illustrerò gli opportuni metodi d'esame e fornirò le conoscenze attuali sul­
la patologia del sistema nervoso. Per quest'ultimo scopo, lo Herr Primar;us
dr. F. Scholz ha messo molto gentilmente a mia disposizione il materiale
della quarta divisione dell'Ospedale Generale, nel quale presto servizio
come Sekundararzt.» Il dr. Scholz confermava la promessa con la sua firma.
Nella riunione di facoltà del 24 gennaio fu nominato un comitato, com­
posto da Meynert, Briicke e Nothnagel, che doveva discutere la domanda
e riferire le proprie conclusioni alla facoltà. Il IO febbraio Briicke comu­
nicò brevemente la sua opinione al comitato: «I lavori di anatomia micro­
scopica del dr. Freud sono stati accolti dal generale riconoscimento dei
suoi risultati. I controlli finora eseguiti li hanno confermati. Conosco bene
il suo lavoro e sono pronto a sottoscrivere un rapporto che chieda l'appro­
vazione del candidato. Desidero partecipare a una riunione del comitato,
qualora la si ritenga necessaria.» Il 5 febbraio Nothnagel si disse d'accordo
con l'opinione di Briicke, ed il 28 Briicke espose alla facoltà la relazione
del comitato, scritta da lui stesso e controfirmata da Meynert e Nothnagel.
In essa Briicke analizzava accuratamente ed estesamente i tre lavori di
Freud su Le radici posteriori nel Petromyzon (1877-1878) e Le cellule ner­
vose nel gambero, (1882), definendo quest'ultimo <<molto importante». Da­
va poi un breve riassunto critico di Un nuovo metodo di preparazione ana­
tomica del sistema nervoso centrale (1879), Un metodo istologico per lo
studio dei fasci cerebrali (1884) e Sulla coca (1884). Ricordava il lavoro
di zoologia sulle anguille (1884) e la revisione sintetica di Freud sulle ricer­
che di istologia nervosa Struttura degli elementi del sistema nervoso (1884).
Concludeva con il seguente giudizio: «Il dr. Freud è un uomo di buona
cultura generale e di carattere calmo e serio. Egli è un eccellente lavora­
tore nel campo della neuroanatomia, possiede una fine manualità, una
chiara visione dei fatti, una estesa preparazione e un metodo di deduzione
prudente, insieme al dono di esprimersi chiaramente per iscritto. I suoi con­
tributi sono stati riconosciuti e confermati, il suo stile nell'esporre è tra­
sparente e sicuro. In lui le qualità del ricercatore scientifico si uniscono
cos1 bene a quelle di un distinto insegnante, che il Comitato suggerisce
all'onorevole Collegio di decidere la sua ammissione alle ulteriori prove di
abilitazione.» La riunione di facoltà approvò seduta stante la proposta con
ventun voti contro uno. 81
106 Vita e opere di Freud

Questa era la fase decisiva, e la buona notizia fu subito telegrafata alla


fidanzata. Tre mesi dopo egli ricevette l'invito a presentarsi il 13 giugno
per l'esame orale, ciò che tirò in ballo la questione del travestimento. Freud
comprò un cappello di seta ed un paio di guanti bianchi, ma era in grave
dubbio se prendere in prestito !'intero abito da sera richiesto, oppure com­
prarlo fatto, senza alcuna probabilità di poterlo pagare. Si decise per la
seconda ipotesi. Quanto all'esame, la preoccupazione maggiore era causata
dal fatto che Meynert era talmente seccato perché Freud fungeva da «fa­
cente funzione» presso Leidesdorf, che egli odiava, che sarebbe andato a
cercare i punti deboli nella preparazione di Freud, in modo da metterlo
in difficoltà. Invece andò tutto bene. C'erano altri due candidati, Lumpe ed
Ehrendorfer. Freud fu il primo ad essere introdotto nella stanza in cui se­
devano sette od otto dei «grandi», e prima Briicke e poi Meynert lo in­
terrogarono sull'anatomia e fisiologia del midollo spinale, argomento nel
quale si sentiva del tutto a suo agio. Andò cosI bene che Briicke lo accom­
pagnò fuori della stanza per dirgli quanto la sua esposizione fosse stata
eccellente, e per fargli i rallegramenti degli altri presenti. Subito dopo
Freud spedl a Martha un racconto dettagliato di tutta la cerimonia.
Il 20 giugno la facoltà decise di autorizzarlo a tenere la lezione di pro­
va, ma stavolta solo con 19 voti contro tre. La lezione era pubblica, e ne
veniva dato annuncio persino sui giornali. Ebbe luogo nell'anfiteatro del­
l'istituto di Briicke, «dove avevo fatto il mio primo lavoro con un entu­
siasmo senza pari, e dove avevo sognato di diventare assistente del mio di­
rettore. Sarà forse un presagio che dopo tutto mi sarà dato tornare al
lavoro scientifico ed alla teoria? Tu credi nei presagi ?»38 Come argomen­
to aveva scelto: «I fasci midollari del cervello» e il resoconto ufficiale ri­
ferisce che la lezione riscosse unanime approvazione.
Il 18 luglio la facoltà decise di nominare Freud Prillatdozent in neuropa­
tologia, ma le formalità non erano ancora finite: 1'8 agosto fu convocato al
Comando di Polizia dovendosi accertare se il suo carattere era compatibile
con il titolo, e se la sua precedente condotta era stata irreprensibile. Dan­
done notizia, Freud aggiungeva ironicamente: «Sono deciso a non con­
fessare.» Infine, un mese dopo, il 5 settembre 1885, dopo opportuna ri­
Bessione, il Ministero decise di ratificare la nomina, e Freud divenne a
tutti gli effetti un Prillatdozent.
La c4rriera medica (1881-1885) 107

Egli lavorò nella Nervenabteilllng di Scholz solo quattordici mesi, e non


venti come è stato scritto. Verso la fine di febbraio 1885 il direttore del­
l'ospedale lo informò che il suo direttore, Scholz, aveva chiesto il suo tra­
sferimento in un altro reparto. Freud protestò con Scholz, ma inutilmente,
ed essi ebbero anzi una discussione sul loro aifferente concetto del modo
di mandare avanti un ospedale. 39 CosI il l° marzo 1885 passò al reparto
oftalmologico, pur conservando la sua vecchia stanza. Questo significava la
fine dei suoi corsi, ed infatti l'ultimo finI il 6 marzo,40 con suo rincre­
scimento perché diceva che in quei corsi si era divertito sia ad insegnare
che ad imparare. Il direttore gli suggerl allora di fare domanda per la pro­
mozione a Sekundararzt anziano. Sapendo che Scholz non gliela avrebbe
concessa, si rivolse ad un altro sopraintendente, Hein, ma fu battuto da un
concorrente più anziano. n In realtà quest'ultimo fu successivamente sCàr­
tato per il fatto che era ungherese, ma Freud non volle ripresentare la do­
manda e continuò a lavorare nel reparto oftalmologico. Vi rimase tre me­
si, poi il l° giugno si trasferl in quello dermatologico di Kaposy, dove era
assistente il suo amico Lustgarten. Con Kaposy Freud aveva collaborato
due anni prima, in una ricerca sulla resistenza elettrica della pelle. 42 Il
giorno prima del trasferimento, però, Obersteiner gli offrl una supplenza
in una clinica psichiatrica privata che egli possedeva a Oberdobling, poco
fuori Vienna, e Freud, avendo ottenuto da Kaposy il permesso di accet­
tare, iniziò effettivamente il lavoro nel reparto il 7 giugno. 43 Da Oberstei­
ner riceveva vitto, alloggio e 100 gulden (40 dollari). Il direttore della
clinica era il professor Leidesdorf, che accolse Freud ed in seguito lo
aiutò in diverse maniere. Si trattava di un istituto per pazienti di ottimo
livello sociale, e Freud dovette portare cappello di seta e guanti bianchi
per prestarvi servizio. Uno dei sessanta ricoverati, demente irrecuperabile,
era figlio dell'imperatrice Maria Luisa, la moglie di Napoleone. A Freud
piaceva quella vita, e chiese a Martha se sarebbe piaciuto anche a lei vi­
vere 11, nel caso che gli altri loro progetti più ambiziosi fossero andati
di traverso. Ma nel frattempo sopraggiunsero grandi nuove, per le quali
è necessario un piccolo passo indietro.

Il 3 marzo 1885 Freud scrisse in una lettera che intendeva concorrere per
uno StiPendillm (cioè una borsa di studio) per laureati che il Ministero COQ­
cedeva al candidato vincente tra i Sekundiir(irzte giovani. Esso consisteva
nella incredibile somma di 600 gulden (240 dollari), oltre naturalmente a
108 Vita e opere di Freud

sei mesi di licenza. Quest'ultimo punto non riguardava Freud, poiché egli
aveva intenzione di lasciare l'ospedale prima di partire. Però progettava
di andarsene da Vienna per sei mesi. Perfino allora non era dato capire
come qualcuno avrebbe potuto partire per un posto qualunque e mantener­
visi per sei mesi con la somma in questione, specialmente tenendo conto
del fatto che essa veniva pagata un paio di mesi dopo la fine della licen­
za! Ma Freud non si lasciò mai arrestare da ostacoli del genere, e decise
immediatamente di andarsene a Parigi da Charcot, per poco che avesse
potuto. Sapendo però quanta parte aveva a Vienna il favoritismo, non nu­
triva la minima speranza di essere il fortunato prescelto.
L'ultimo giorno di ammissione era ilIo maggio, e poiché la riunione
decisiva si sarebbe tenuta un mese dopo, i concorrenti disponevano di al­
cune settimane per procurarsi qualche appoggio. Freud cominciò strenua­
mente a battere il tamburo, e tra questa attività e la preoccupazione per le
scarse probabilità di riuscita, nei due mesi successivi concluse ben poco.
Il suo amico Lustgarten la spuntò con il professor Ludwin, il nuovo pri­
mario della divisione in cui Freud stava lavorando; Nothnagel e Meynert
promisero il loro aiuto, e Breuer assicurò l'appoggio del famoso chirurgo
Billroth. Il professor Leidesdorf, nella dinica del quale Freud aveva ap­
pena trascorso tre settimane come facente funzione, si associò assicuran­
do inoltre l'aiuto di Pollitzer, il famoso otologo, e di altri. Questo, però,
allarmò un po' Freud, perché sapeva che Meynert odiava Leidesdorf e
che per questo motivo avrebbe potuto ritirare la sua adesione. Ancora più
grave fu il fatto che Briicke, uno dei sostenitori più potenti, si fosse am­
malato proprio qualche settimana prima della riunione, ma per fortuna si
ristabill in tempo.
La sua fidanzata, convinta della sua superiorità, lo prendeva piuttosto in
giro per tutti questi sforzi di accaparrarsi appoggi influenti, e Freud, più
realistico, le rispondeva spiritosamente: «Aspetta, e vedrai che dovrò rin­
graziare solo me stesso per tutto il successo che avrò.»
Nessuno dei due poteva immaginare quanto critico si .sarebbe poi rivelato
quel momento per la vita di Freud, poiché fu certamente l'esperienza pa­
rigina con Charcot che fece n~cere il suo interesse per l'isterismo e quin­
di per la psicopatologia in generale, aprerrdogli cos1 la via verso la vivifi­
cazione delle idee di Breuer e lo sviluppo della psicoanalisi. Per il momen­
to tutto ciò che lo interessava era la possibilità di assicurarsi quella stabi­
lità professionale che gli garantisse il modo di guadagnare abbastanza da
La carriera medica (1881- 1885) 109

sposarsi. Tuttavia egli scriveva melanconicamente.:. «Non ~ bello a .pen­


sarci. Devo trovare qualche altro modo per averti lO moglIe.» Infatti de­
cise di lascIare comunque l'ospedale alla fine dell' estate, di andarsene a
Wandsbek a passare un mese con Martha, / e poi - nel caso che non pot~se
andare a Parigi -. di tornare a Vienna e tentare la fortuna con la pratta
privata.
Man mano che il termine della scelta si avvicinava, Freud calcolava che
avrebbe potuto raccogliere otto voti su ventuno. C'erano altri due candidati,
e quando egli seppe che uno di loro era nipote dell'influente professor
Braun, considerò perduta ogni speranza. :e vero che vi era ancora la possi­
bilità che una votazione combattuta gli permettesse di insinuarsi fra gli
altri due, ma anche questa ipotesi svani quando consigliarono al pericoloso
«nipote» di puntare sulla differenza d'età. Il 30 maggio, mentre i profes­
sori della facoltà si riunivano in pompa magna, Freud scriveva tristemen­
te: «Oggi è il giorno in cui qualcun altro otterrà la borsa.» Il giorno se­
guente apprese invece che non si era giunti ad una decisione, e che la fac­
cenda era stata rinviata ad un sottocomitato a tre composto da un sosteni­
tore per ciascun candidato (il ritiro del terzo avvenne in seguito). Freud
fu seccato di questo «prolungamento di vane speranze».
Passarono altre tre settimane fra attacchi e contrattacchi, poi, la notte
precedente alla decisione definitiva, Freud sognò il suo sostenitore (che
non era altri che Briicke) nell'atto di dirgli che egli non aveva alcuna pro­
babilità perché c'erano altri Jette candidati con prospettive più favorevoli
delle sue. Siccome nella famiglia di Freud c'erano, oltre lui, altri sette
tra fratelli e sorelle, non è difficile scorgere la rassicurazione in questo
semplice e breve sogno. Egli era stato senza dubbio non solo il più pro­
mettente ma anche il più favorito tra i fratelli, e qualunque fosse il suo
rimorso nei confronti di questa discriminazione, esso era ben raffigurato
nel sogno dal severo Briicke, del quale d'altra parte Freud sapeva di po­
tersi fidare.
Il giorno seguente, 20 giugno, egli inviò una lettera ditirambica alla don­
na che ora si sentiva prossimo a conquistare: aveva vinto per 13 voti contro
otto. «Oh, quanto sarà meraviglioso! Sto arrivando con il denaro, mi fer­
mo un bel po' con te e ti porto una cosetta deliziosa. Poi andrò a Parigi,
diventerò un sapientone e tornerò a Vienna con un'enorme aureola. Poi
ci sposeremo subito, io guarirò tutti i malati di nervi incurabili, e tu mi trat­
110 Vita e opere di Freud

terai bene e io ti darò tanti baci finché sarai contenta e felice - e vissero
felici per sempre.»404
Un paio di giorni dopo Fleischl gli disse che a procurargli il successo
era stata «l' appassionata intercessio~e di Briicke, che aveva impressionato
tutti».45

Un'altra interruzione della carriera medica di Freud si profilò all'oriz­


zonte quando egli lavorava ancora in clinica privata: la proposta di accom­
pagnare in vacanze Fleischl, che stava molto male. 46 Invece non se ne fece
nulla, e cosI egli tornò al suo lavoro da Kaposy il 30 giugno. Fece anche
un corso di -otologia, ma pare che incontrasse qualche difficoltà ad usare
l' oftalmoscopio, il laringoscopio e l' otoscopio, ed è probabile che la sua
pratica non sia bastata a farlo diventare esperto nel loro uso.
L'ultimo di agosto 1885 lasciò per sempre l'Ospedale Generale, dopo
avervi vissuto e lavorato esattamente tre anni e un mese. La sua esperienza
in medicina pratica era quasi conclusa, infatti le diciannove settimane che
trascorse a Parigi furono esclusivamente dedicate alla neurologia. Succes­
sivamente andò per tre settimane a Berlino da Baginsky a studiare pedia­
tria, materia che aveva trascurato nel suo tirocinio viennese. C'era però
anche un'altra ragione, e cioè l'offerta che aveva ricevuta di assumere l'in­
carico del reparto neurologico nella Clinica Pediatrica di Kassowitz. L'im­
portante lavoro sulle paralisi cerebrali infantili che" vi portò a termine, ap­
partiene alla sua produzione neurologica.
Per diventare un buon generico, Freud avrebbe avuto bisogno di una
maggiore esperienza in ostetricia e in chirurgia, tuttavia dal punto di vista
medico era ben preparato. Un internato di tre anni in ospedale, era una
cosa ben diversa dal semplice conseguimento della laurea in medicina. Il
fatto che in quegli anni egli avesse eseguito pure importanti ricerche e che
fosse diventato docente in neurologia, dimostra poi che impiegò molto
bene il suo tempo. Quando finI aveva ventinove anni.
Insomma, il 1885 fu anno di successi: aveva terminato le sue ricerche
sul midollo, che sarebbero passate alla pubblicazione, aveva ottenuto via
libera per Charcot, e poteva presentarsi a Parigi come Privatdozent in neu­
ropatologia. ­
Note

1. G. W., II-III, 479.


2. Ibid., p. 480.
3. Purché non si fosse di razza ebraica.
4. Auto., p. 16.
5. G. W., XIV, 290.
6. Lettera di Freud a Wittels, 1923.
7. M., 6 aprile 1886.
8. Bf. (6), p. 208.
9. M., 9 settembre 1884.

lO. Ibid., 5 agosto 1882.

11. Bf. (6), p. 208.


12. V. p. 80.
13. Bf. (4), p. 180.
14. G. W., II-III, 488.
15. M., 15 agosto 1882.
16. Ibid., 13 ottobre 1882.
17. Qui si coglie una nota di maggiore amarezza.
18. Anf., p. 66.
19. Il dotto Bernfeld era male informato quando scrisse che Freud non fre­
quentò l'ospedale nel primo quadrimestre del 1883 (Bf. (6), p. 210).
20. M., 17 aprile 1883.
21. In uno dei libri su Freud la sua posizione in ospedale è definita di <<in­
ternato». Questo ricorda una delle storielle preferite di Freud, quella di un
medico spostato al quale era stato dato un posto di lavoro in un ospedale
psichiatrico, come mezzo più idoneo per farvelo restare.
22. G. W., II-III, 439,
23. M., 3 e 6 luglio 1883.
24. Bf. (6), p. 213.
25. M., 29 settembre 1883.

26 Informazione personale del dotto Alfred Winterstein.

27. Lavora senza filosofare.


112 Note

28. Nel dubbio astieniti.


29. Abbi fede.
30. M., 12 gennaio 188:5.
31. IbirJ., 12 dicembre 1884.
32. IbirJ., 12 agosto 1884.
33. IbirJ., 31 agosto 1884.
34. AlitO., p. 20.
3:5. M., 16 gennaio 188:5.
36. IbirJ., 17 gennaio 188:5.
37. Questi particolari, ricavati da un documento del dotto Bernfeld (BI. 6),
furono dissotterrati dagli archivi universitari dal prof. Viktor Kraft, dietro
suggerimento del dotto Bernfeld.
38. M., 26 giugno 188:5.
39. IbirJ., 22 febbraio 188:5.
40. IbirJ., 7 marzo 188:5.
41. IbirJ., 16 marzo 188:5.
42. IbirJ., 4 aprile 1883.
43. IbirJ., 8 giugno 188:5.
44. UnrJ wenn sie nicht gtstorbln sinrJ, so leben sie hellte noch.
4:5. IbirJ., 23 giugno 188:5.
46. V. p. 127.
VI. L'episodio della cocaina (1884-1887)

Durante i suoi tre anni d'ospedale Freud si era sempre preoccupato di


farsi un nome con qualche importante scoperta sia nel campo clinico che
in patologia. La ragione di ciò non era la semplice ambizione professio­
nale, come si potrebbe pensare, ma piuttosto la speranza di un successo
che gli potesse fornire prospettive di pratica privata sufficienti a farlo spo­
sare un anno o magari due prima di quanto egli osasse sperare in base
al corso naturale degli eventi. Egli deve essere stato ricchissimo d'idee in
questa ricerca, e nelle sue lettere allude ripetutamente ad una nuova sco­
perta tale da condurlo alla meta agognata. Invece nessuna di esse glielo
permise. Purtroppo nella maggior parte delle volte egli accenna solo cosi
vagamente alle idee di cui si trattava, che il desiderio di saperne di più
ne viene addirittura acuito. Le uniche due che egli sviluppa nei suoi scritti
sono le stesse che lo portarono più vicino al successo: il metodo di colora­
zione al cloruro d'oro per il tessuto nervoso e !'impiego clinico della
cocama.
Come vedremo, quest'ultimo fu qualcosa di più di uno sforzo abituale,
ed i problemi che esso evoca meritano che lo si descriva come episodio
a parte.
Il racconto di Freud al riguardo è il seguente: «Devo fare un passo in­
dietro, e spiegare come mai non fossi già allora famoso per colpa della mia
fidanzata. Un interesse marginale, sebbene profondo, mi aveva spinto nel
1884 ad ottenere da Merck una certa quantità di cocaina, alcaloide allora
poco noto, ed a studiarne le proprietà fisiologiche. Nel mezzo di questa
ricerca, mi si dette l'occasione di partire per andare a far visita alla mia
fidanzata, che da due anni non vedevo. Rapidamente conclusi la mia espe­
rienza sulla cocaina e mi contentai di prevedere, nel mio libro sull'argo­
114 Vita e opere di Freud

mento, che si sarebbero presto trovate altre applicazioni per quella sostan­
za. In ogni modo suggerii al mio amico Konigstein, oftalmologo, di stu­
diare fino a che punto le proprietà anestetiche della cocaina potessero esser
sfruttate nelle malattie oculari. Al mio ritorno dalla, vacanza trovai che
non lui, ma un altro mio amico, CarI Koller (ora a New York), al quale
pure avevo parlato della cocaina, aveva compiuto esperimenti decisivi su­
gli occhi degli animali, e li aveva esposti al Congresso Oftalmologico di
Heidelberg. Perciò Koller è giustamente considerato lo scopritore dell' ane­
stesia locale alla cocaina, che tanta importanza ha assunto nella piccola
chirurgia. lo però non portai alcun rancore alla mia fidanzata per aver
interrotto il mio lavoro.» 1
La frase iniziale e quella finale, piuttosto superflue, suggeriscono che
qualcuno dovesse essere necessariamente incolpato, ed è più che evidente
che quello che Freud rimproverava veramente era proprio se stesso. In un'al­
tra occasione scrisse: «Nel mio saggio avevo accennato che l'alcaloide po­
teva essere usato come anestetico, ma non ero andato abbastanza a fondo
da spingere oltre la cosa.» 2 Parlando, era solito attribuire questa omissio­
ne alla sua «pigrizia».
Così per la seconda volta Freud aveva mancato la gloria per un pelo.
Forse egli si consolò pensando che il suo riverito maestro, Briicke, aveva
subìto un destino simile; infatti nel 1849 aveva capito che il riflesso ros­
sastro dell'occhio derivava dalla retina, ma non aveva avuto l'idea di im­
piegare una lente in modo da metterne a fuoco i vasi. Lo fece l'anno se­
guente il suo amico Helmholtz, che fu cos1 considerato lo scopritore del­
l' oftal.moscopio.
La scusa per il suo insuccesso che Freud adottò, un po' in malafede, nel­
l'Autobiografia, ricopre probabilmente una spiegazione più profonda, dal
momento che non aderisce molto strettamente ai fatti. Tanto per comin­
ciare, la separazione non era durata due anni ma uno, 3 infatti il saggio
sulla cocaina fu terminato il 18 giugno 18844 e Martha Bernays aveva
lasciato Vienna per Wandsbek solo il 14 giugno 1883. 6 L'occasione di
andare a trovarla non fu neanche improvvisa, come il brano lascia inten­
dere, poiché fin dal tempo della sua partenza, Freud progettava di rive­
derla nelle vacanze estive dell'anno successivo,6 ed esistono molti riferi­
menti nella sua corrispondenza alla difficoltà di raggranellare uno ad uno
i gulden necessari a coprire le spese di viaggio. Poiché il momento si av­
vicinava, egli stabill di partire nella terza settimana di luglio. Avendo
I.'episodio della cocaina (1884-J887) 115

consegnato il manoscritto all'editore alla data che aveva promesso, il 20


giugno, era difficile per lui trovare qualche altra distrazione per calmare
l'impazienza nelle poche settimane che lo separavano dalla partenza per
la sua vacanza. Le cose si misero poi in modo tale che non poté andarsene
prima di settembre. .
Il primo accenno all'argomento della cocaina si trova in una lettera del
21 aprile 1884, nella quale egli dà notizie di «un progetto terapeutico e
di una speranza». «Stavo leggendo qualcosa sulla cocaina, il costituente
principale delle foglie di coca, che alcune tribù indiane masticano per ren­
dersi capaci di resistere alle privazioni e alle fatiche. Un tede~c07 l'ha im­
piegata nei soldati ed ha effettivamente riferito che essa aumenta la loro
energia e resistenza. Me ne sono procurata un po' e voglio provarla nei
casi di malattia di cuore e anche di esaurimento nervoso, specie nella pe­
nosissima condizione consecutiva alla privazione da morfina (dr. Fleisch1).
Forse altri se ne stanno occupando e non si arriverà a nulla, ma io sono
deciso a provarla, e tu sai che quando si insiste prima o poi si ottiene il
successo. Ci basta una sola idea fortunata di queste per poter pensare a
metter su casa, ma non essere troppo sicura che proprio questa volta si ab­
bia successo. Sai, il temperamento di un ricercatore richiede due qualità
fondamentali: dev'essere sanguigno al momento di tentare, ma critico nel
lavoro.»
Al principio Freud non si aspettava che dalla faccenda potesse venir
fuori gran che: «Oso dire che finirà come per il metodo di colorazione;8
meno di quello che pensavo, ma pur sempre un lavoro del tutto rispetta­
bile.» Il primo ostacolo era rappresentato dal costo della cocaina che ave­
va ordinato alla ditta Merck di Darmstadt: Freud fu esterrefatto nel sa­
pere che un grammo, invece di costare 33 kreuzer (13 centesimi di dol­
laro), come egli si aspettava, costava 3 gulden e 33 kreuzer (dollari 1,27).
Pensò· subito che questo significava la fine della ricerca, ma dopo che ebbe
superato lo shock, ne ordinò coraggiosamente un grammo, sperando di
riuscire in qualche modo a pagarlo. Provò subito su di sé l'effetto di un
ventesimo di grammo, e trovò che quella dose trasformava in allegria il
cattivo umore in cui si trovava, gli dava la sensazione di aver mangiato
bene (<<per cui non c'è proprio nulla di cui ci si debba sentire seccati»),
pur senza privarlo di nessuna energia per l'attività fisica o il lavoro. Gli
venne in mente che, dal momento che la cocaina agiva evidentemente 00­
n6 Vita e opere di Freud

me anestetico gastrico, eliminando ogni senso di fame, essa avrebbe potu­


to essere usata per sedare il vomito di qualsiasi origine. 9
Contemporaneamente decise di offrire la droga al suo amico Fleischl, che
soffriva le pene dell'inferno nella sua lotta per sfuggire all'abitudine della
morfina che prendeva a forti dosi a causa dei suoi intollerabili dolori ne­
vralgici, decisione che avrebbe poi rimpianto amaramente ~egli anni suc­
cessivi. Lo spunto gliene fu dato da un articolo letto sulla «Detroit Me­
dical Gazette», nel quale si prospettava l'uso della cocaina a questo scopo.
Fleischl si aggrappò alla nuova droga «come un naufrago»lo e dopo po­
chi giorni cominciò a prenderla in modo continuo. Il resto della sua storia
verrà tra poco.
Freud si stava entusiasmando sempre più: la cocaina era «una medicina
magica». Un primo caso di catarro gastrico, nel quale il dolore scomparve
immediatamente, fu un successo smagliante.l l «Se andrà bene, scriverò un
lavoro sulla cocaina, e prevedo che essa conquisterà in terapia un posto
pari o anche superiore a quello della morfina. Ma ho anche altre speranze
e altre intenzioni: ne prendo regolarmente piccolissime dosi contro la de­
pressione e la cattiva digestione, con il più grande successo. Spero che essa
riesca ad eliminare il vomito più tenace, anche nel caso che sia dovuto a
forti dolori. Insomma solo ora che ho giovato a un malato, sento di essere
un medico. Se le cose continuano di questo passo, non dovremo preoccu­
parci della possibilità di vivere insieme e di sistemarci a Vienna.» Ne spedl
un po' a Martha «per darle forza e colorirle le guance», la decantò agli
amici sia per loro stessi che per i loro pazienti, e ne dette anche alle sue
sorelle. Insomma, a considerarlo dal punto di vista delle nostre conoscenze
attuali, stava diventando rapidamente un pericolo pubblico. Naturalmente
egli non aveva nessuna ragione di pensare che in tutto ciò vi fosse .del
pericolo, e quando affermava di non aver potuto osservare su se stesso
alcun segno di bisogno, sebbene ne prendesse spesso, diceva la pura veri­
tà. Per quanto ne sappiamo oggi, infatti, perché si sviluppi una tossicoma­
nia è necessaria una particolare disposizione che fortunatamente Freud non
aveva.
Qualche suo collega riferl di successi con l'uso della cocaina, altri erano
più scettici. Breuer, con la sua tipica prudenza, era uno di quelli che non
erano entusiasti.
Freud ebbe difficoltà a trovare la bibliografia su questo argomento fuori
del comune, ma Fleischl lo introdusse nella biblioteca della Gesellschaft
L'episodio della cocaina (1884-1887) 117

der Aerzte (Associazione dei Medici), dove egli poté trovare il catalogo
del GeneraI Surgeon, di recente pubblicazione, che conteneva un elenco
completo della letteratura. Freud contava ora (5 giugno) di finire il la­
voro in altri quindici giorni, e di dedicarsi poi alle sue ricerche elettriche
per riempire le quattro o cinque settimane che lo separavano dalla par­
tenza per Wandsbek. Lo terminò il 18, e il giorno dopo circa la metà di
esso era già data alle stampe. Apparve sul numero di luglio del «Central­
blatt fiir die gesamte Therapie» di HeitIer.
Sebbene questo saggio rappresentasse una rivista sintetica di tutto l'ar­
gomento - di gran lunga la migliore fino a quel momento - esso potrebbe
aspirare ad una valutazione migliore come produzione letteraria che come
contributo scientifico originale. Era scritto neno stile migliore di Freud,
con la sua tipica vivacità, semplicità e distinzione, caratteristiche che aveva
potuto sfruttare ben poco nella descrizione dei nervi del gambero o delle
fibre dei midoHo. Dovevano passare molti anni prima che gli si presen­
tasse di nuovo 1'opportunità di esercitare le sue doti letterarie. In questo
saggio si sente inoltre un tono che non sarebbe più ricorso negli scritti
di Freud, un pregevole miscuglio di obiettività e di calore personale, come
se egli fosse veramente innamorato del contenuto dei lavoro. Usava espres­
sioni insolite neHa prosa scientifica, come <d'eccitazione più sfrenata» che
gli animali mostrano dopo un'iniezione di cocaina, e la somministrazione
di «un' offerta» di essa, in luogo di «una dose»; respingeva appassionata­
mente «le calunnie» che erano state pubblicate su questa preziosa sostanza.
Questa presentazione artistica dovette contribuire notevolmente aH'interesse
che il saggio suscitò nell'ambiente medico viennese ed in altri.
Freud apriva il lavoro dilungandosi sugli inizi della storia della pianta
di coca e sul suo uso da parte degli IndiarÌi del Sudamerica, quindi ne fa­
ceva la descrizione botanica ed elencava i vari metodi di preparazione delle
foglie. Dava perfino uno scorcio delle credenze religiose connesse con il
suo uso, e menzionava la mitica leggenda secondo la quale Manco Capac,
figlio regale del dio Sole, 1'aveva mandata come «dono degli dèi per sa­
ziare l'affamato, rafforzare il debole e far dimenticare ai disgraziati le loro
tristezze». Dal lavoro si apprende che le notizie su questa pianta meravi­
gliosa arrivarono in Spagna nel 1569 e in Inghilterra nel 1596, e che nel
1859 il dr. Scherzer, esploratore austriaco, portò in patria dal Pero le
foglie di coca, che furono mandate a Niemann, assistente di Wohler, il
II8 Vita e opere di Freud

chimico «infame» che aveva osato sintetizzare l'urea. Era stato Niemann ad
isolare l'alcaloide dalla pianta.
Freud esponeva quindi una serie di osservazioni su se stesso, per mezzo
delle quali aveva studiato gli effetti sulla fame, il sonno e la fatica. Scri­
veva dell' «effetto esilarante e della durevole euforia, che non differisce
in alcun modo dall'euforia normale delle persone sane ... Si nota un aumento
del controllo di se stessi, e si ha una maggior vivacità e capacità di lavoro ...
In altre parole ci si sente perfettamente normali, e si stenta a credere di
essere sotto l'effetto di una droga ... Un intenso lavoro fisico e mentale
viene svolto senza fatica... Si gode di quest'azione senza alcuno degli spia­
cevoli effetti secondari che seguono l'euforia alcoolica ... Dopo la prima o
anche dopo ripetute assunzioni di cocaina non si verifica assolutamente
alcun bisogno di ripeterne l'uso, anzi si prova stranamente una certa av­
versione.» Freud confermava le conclusioni di Mantegazza sul valore tera­
peutico della sostanza, sulla sua azione prima stimolante e poi sedativa
sullo stomaco, la sua utilità nella melanconia, ecc. Egli descriveva un suo
caso (quello di Fleischl) nel quale aveva usato la cocaina per lo svezza­
mento di un morfinomane. Il valore complessivo dell'alcaloide veniva rias­
sunto nel ritenerlo applicabile «a tutti quegli stati funzionali compresi sot­
to il termine di neurastenia», nel trattamento dell'indigestione e nello svez­
zamento dalla morfina.
Quanto alle teorie sul meccanismo d'azione Freud suggeriva, come fu poi
confermato, che la cocaina agisse non attraverso la diretta stimolazione del
cervello, ma abolendo l'effetto di quegli agenti che deprimono le sensa­
zioni somatiche dell'individuo. 12
Nell'ultimo paragrafo, scritto frettolosamente, diceva: «La proprietà della·
cocaina e dei suoi sali, quando siano applicati in soluzioni concentrate, di
anestetizzare le membrane cutanee e mucose, ne suggerisce il possibile im­
piego futuro, specie in caso di infezioni locali ... Ulteriori usi della cocaina,
basati sulle sue proprietà anestetiche, saranno probabilmente sviluppati nel
prossimo futuro.» Questo è il lato del problema che in seguito egli si rim­
proverò di non aver approfondito, ma l'impressione che se ne trae qui, è
che tale autoaccusa sia piuttosto fuori luogo. Infatti non è verosimile che
Freud, anche con più tempo a sua disposizione, si sarebbe preoccupato del­
l'applicazione della cocaina in chirurgia, campo estraneo ai suoi interessi.
Gli usi locali che egli aveva in mente miravano esclusivamente a smorzare
il dolore nelle infezioni cutanee, e quando egli suggerl al suo amico oftal­
L'episodio della cocaina (1884-1887) U9

mologo Konigstein che si sarebbe potuta applicare la cocaina all' occhio,


entrambi pensarono ad alleviare il dolore nel tracoma ed in altre condi­
zioni analoghe. Per Freud la cocaina era un analgesico, non un anestetico,
ed in ogni caso lo interessava molto più il suo uso interno che le sue ap­
plicazioni esterne.
La psicologia del rimprovero che egli si fece sembrerebbe più complessa.
:e vero che Freud sperava di raggiungere un certo grado di fama con il
suo studio sulla cocaina, ma egli non poteva sapere che una fama di gran
lunga maggiore di quanto immaginava sarebbe toccata a chi avesse appli­
cato la cocaina in una certa maniera. Quando si rese conto di ciò, e fu
lento a farlo, egli si biasimò, ma incolpò pure la sua fidanzata. Quest'ul­
timo particolare irrazionale è, come al solito, un'allusione a qualche processo
inconscio, ma ce ne sono altre due. In una lettera a Wittels, quarant'anni
dopo, egli scrisse: «So benissimo come ciò mi accadde. Lo studio sulla
cocaina era un al/otrion che ero ansioso di portare a termine.» La parola
tÙlotrion era famigliare a Freud fin dal tempo della scuola, perché i suoi
maestri la usavano, con una sfumatura di condanna, per designare tutto
ciò che potesse distrarre dal serio adempimento di un dovere, come per
esempio uno hobby. L'interesse di Freud per la cocaina, che egli stesso
definl «collaterale», era proprio di questo genere, cioè lo distraeva dal suo
serio lavoro «scientifico» in neuropatologia. Uno hobby, se è coltivato in­
tensamente, indica sempre un interesse molto personale, spesso avulso dalla
principale vocazione di un uomo, e le fonti profonde della personalità dalle
quali tale interesse sgorga, sono spesso associate a un certo senso di colpa. 13
Ora ciò che evidentemente affascinava Freud della pianta di coca, era la
sua fama straordinaria di poter aumentare l'energia fisica e mentale senza
apparentemente produrre alcun effetto secondario spiacevole. Dopo tutto,
proprio questo era stato il punto dell'articolo di Aschenbrandt che aveva
infiammato l'immaginazione di Freud. Però la cocaina aumenta l'energia (di
qualcuno) solo quando quest'ultima sia stata prima sfruttata: una persona
del tutto normale non ha bisogno della spinta. Freud non si trovava in
questa fortunata condizione: per molti anni aveva sofferto di depressioni
periodiche, di fatica o di apatia, sintomi nevrotici che in seguito assunsero
la forma di crisi d'ansia, prima che riuscisse a sbarazzarsene con l'autoana­
lisi. Queste reazioni nevrotiche erano esacerbate dal tormento della sua si­
tuazione sentimentale, insieme con la sua lunga astinenza e con altre diffi­
coltà. In particolare nell'estate del 1884 egli si trovava in uno stato di
uo Vita e opere di Freud

grande agitazione per l'imminente visita alla fidanzata,e senza dubbio solo
a causa dell'incertezza di questa possibilità di incontro. La cocaina calmava
la sua agitazione e fugava la depressione, e per di più gli dava un insolito
senso di energia e vigore.
La depressione, come ogni altra manifestazione nevrotica, abbassa la sen­
sazione di energia e di virilità: la cocaina lo restituisce. Ogni dubbio sul
fatto che questo fosse veramente il nucleo del problema è risolto dal seguen­
te passo di una lettera del 2 giugno 1884, scritta dopo aver saputò che Mar­
tha non si sentiva bene e non aveva appetito: «Guai a te quando arriverò,
mia principessa. Ti bacerò fino a farti diventare rossa, e ti farò mangiare
finché non sarai grassottella. E se farai la ritrosa vedrai chi è più forte, se
una bella bambinetta che non mangia abbastanza o un omaccio con la co­
caina in corpo.H Nella mia ultima forte depressione ho preso di nuovo la
cocaina, ed una piccola dose di essa mi ha sollevato alle stelle in modo
meraviglioso. Proprio adesso sono occupato a raccogliere la bibliografia per
un canto di lode a questa magica sostanza.»
Per conseguire la virilità e godere la felicità di aver ritrovato la fidan­
zata, egli aveva abbandonato la via diritta e angusta del sobrio lavoro «scien­
tifico» sull'anatomia del cervello, e aveva preso una scorciatoia segreta che,
invece del successo, gli avrebbe procurato solo sofferenza. Entro un paio
di mesi un altro avrebbe conquistato la fama con la cocaina, ma attraverso
un uso di essa benefico per l'umanità, mentre Freud, due anni dopo, sa­
rebbe stato deplorato per aver introdotto, con la sua indiscriminata apologia
di una sostanza meravigliosa e «innocua», ciò che i suoi detrattori avrebbero
chiamato «il terzo flagello dell'umanità».15 Infine, egli si sarebbe dovuto
rimproverare di aver accelerato la morte di un suo caro amico e benefattore,
con l'avergli procurato una grave cocainomania.
Sarebbe stato difficile subire tutti questi colpi senza percepirli come giuste
punizioni. Perché? :e bene lasciare agli psicoanalisti la risposta a questa do­
manda, però possiamo almeno comprendere perché Freud dovesse asso­
ciare i suoi rimorsi con il pensiero della sua fidanzata, e capire che la
scusa che egli forniva «di non essere abbastanza profondo» era solo un
timido accenno a ciò che c'era sotto.
Tutto ciò, però, giaceva nel futuro, e Freud, all'oscuro di ogni sospetto,
partì ai primi di settembre per godersi una felice vacanza a Wandsbek.
Al suo ritorno, quattro settimane dopo, apprese che qualcosa di grosso
era accaduto,
L'episodio della cocaina (1884-1887) UI

A questo punto entra in scena una nuova figura: Cari Koller, un uomo
più giovane di Freud di un anno e mezzo, che conquistò la gloria di aver
inventato l'anestesia locale. A quel tempo Koller era interno nel reparto
di oftalmologia, dove aspirava a diventare assistente. I suoi pensieri erano
talmente concentrati sulla questione delle malattie oculari che, secondo
Freud, la sua monomania aveva seccato tutti i suoi colleghi. Rendendosi
esattamente conto del bisogno che ve ne era, egli si interessava in modo
speciale alla ricerca di una sostanza capace di anestetizzare la superficie
sensibile dell'occhio. Ne aveva provate parecchie, come per esempio la
morfina e il bromuro di cloralio, ma sempre invano. In una delle sue
conferenze, Freud raccontò il seguente episodio con l'intenzione di trarne
la morale:
«Un giorno stavo nel cortile con un gruppo di colleghi tra i quali si
trovava anche quest'uomo, quando un altro interno passò vicino a noi
mostrando i segni di un intenso dolore [e qui Freud specificava la loca­
lizzazione del dolore, particolare che ho dimenticato}. "Credo di poterti
aiutare" gli dissi, e andammo tutti nella mia stanza dove gli applicai poche
gocce di una medicina che fece istantaneamente scomparire il dolore. Spie­
gai ai miei amici che quella sostanza era l'estratto di una pianta del Suda­
merica, la coca, che sembrava possedere potenti qualità nel sedare il dolore,
e sulla quale stavo preparando una pubblicazione. L'uomo che pensava solo
all'occhio, e che si chiamava Koller, non disse nulla, ma pochi mesi dopo
seppi che aveva cominciato a rivoluzionare la chirurgia oculare con l'uso
della cocaina, eseguendo facilmente operazioni che fino allora erano state
impossibili. Questo è l'unico modo di fare scoperte importanti: avere le
idee concentrate esclusivamente su un interesse principale.»18
Freud aveva cominciato qualche prova con il dinamometro per accertare
se l'apparente aumento della forza muscolare che si otteneva con l'impiego
della cocaina fosse un'illusione soggettiva oppure fosse obiettivamente veri­
ficabile, ed in questa ricerca collaborò con Koller. Entrambi inghiottirono
una certa quantità di cocaina e, come tutti, provarono il senso di intorpi­
dimento della bocca e delle labbra, Koller anche più di Freud.
Koller lesse il saggio di Freud quando esso apparve, in luglio, vi meditò
sopra, e ai primi di settembre, quando Freud ebbe lasciato Vienna per
Amburgo, si presentò all'Istituto di Anatomia Patologica di Stricker por­
tando una bottiglia contenente una polverina bianca. All'assistente dr.
Gaertner 11 annunciò che aveva ragione di pensare che la polvere avrebbe
U2 Vitll e opere di Freud

agito da anestetico dell'occhio. Era estremamente facile controllarlo speri­


mentalmente: provarono prima sugli occhi di una rana, di un coniglio e
di un cane, ed infine sui loro stessi, con completo successo. Koller scrisse
una «comunicazione preliminare» datata ai primi di settembre, e ottenne
che il dr. Brettauer la leggesse e facesse alcune dimostrazioni pratiche al
Congresso di Oftalmologia che si svolse a Heidelberg il 15 settembre. Il
17 ottobre a Vienna lesse una relazione davanti alla Gesellschaft der
Aerzte, che pubblicò più tardi. Essa conteneva questa frase: «La co­
caina è stata portata a conoscenza dei medici viennesi dal completo studio
compilativo e dall'interessante ricerca terapeutica del mio collega d'ospe­
dale dr. Sigmund Freud.»
Freud aveva anche richiamato l'attenzione di un oculista suo intimo amico,
Leopold Konigstein, di sei anni maggiore di lui e docente da tre, sull'azione
anestetica della cocaina, e gli aveva suggerito che il suo uso avrebbe potuto
alleviare il dolore di certe affezioni oculari, come il tracoma e l'irite. Ko­
nigstein l'applicò fedelmente e con successo, e fu solo poche settimane dopo
ai primi d'ottobre che egli ne estese l'impiego al campo chirurgico, enu­
cleando un occhio ad un cane con l'assistenza di Freud. Era appena troppo
tardi. Nella riunione del 17 ottobre lesse anch'egli un lavoro che descriveva
le sue esperienze con la cocaina, ma senza fare il nome di Koller. Sem­
brava una spregevole lotta per la priorità, ma Freud e Wagner-Jauregg
fecero in modo da persuadere Konigstein, vincerne la riluttanza e fargli
inserire nel lavoro pubblicato un riferimento alla «comunicazione prelimi­
nare» di Koller del mese precedente, facendolo cosi rinunciare alle sue
velleità. Come vedremo, Koller non ricambiò il cavalleresco comportamento
di Freud.
Il 5 aprile 1885 il padre di Freud lo chiamò per dirgli che aveva un
disturbo della vista in uno degli occhi. Freud era incline a prenderlo alla
leggera ed a considerarlo un disturbo passeggero, ma Koller, che per caso
era presente, esaminò l'occhio e fece diagnosi di glaucoma. 18 Si rivolsero
a Konigstein, più anziano di loro, il quale esegui l'operazione, e il giorno
seguente Koller, che aveva somministrato l'anestetico locale con l'aiuto di
Freud, notò gentilmente che le tre persone che avevano introdotto l'im­
piego della cocaina erano tutte li presenti.19 Freud deve essere stato orgo­
glioso di aver potuto aiutare il padre e di avergli provato che dopo tutto
era arrivato a concludere qualcosa.20
Egli restò nei termini della massima amicizia con Koller, tanto che fu
L'episodio della cocaina (1884-J887) 123

uno dei più entusiasti tra gli amici che si congratularono con lui per la
vittoria riportata in un duello con un collega antisemita, e si interessò pro­
fondamente ad una sua grave malattia in quello stesso anno. L'ultima noti­
zia che abbiamo su di lui è una lettera di congratulazioni che Freud gli
scrisse per una nomina ricevuta ad Utrecht, nella quale esprimeva la spe­
ranza di fargli visita da Parigi.
In seguito Koller emigrò a New York, dove fece una splendida car­
riera, come Freud aveva predetto. Eppure all'inizio della sua conquista egli
commise un «errore sintomatico» che indicava un disturbo della personalità,
che poi negli anni successivi si evidenziò apertamente. Al momento di
pubblicare il lavoro che aveva letto a Vienna nell'ottobre 1884, egli citò
la monografia di Freud datandolo in agosto invece che in luglio, e dando
cos1 l'impressione che il suo lavoro fosse simultaneo a quello di Freud, e
non successivo. Sia Freud che Obersteiner si accorsero della «svista» e la
corressero nelle successive pubblicazioni, ma con il passar del tempo Koller
dilatò ancor più la discrepanza, asserendo perfino che la monografia di
Freud era apparsa un intero anno dopo la sua scoperta, la quale perciò
era stata del tutto indipendente da tutto ciò che aveva fatto Freud. 21
Questo strano comportamento può forse esser messo in rapporto con il
fatto che Freud, ai tempi dell'ospedale, l'aveva curato privatamente per un
disturbo nevrotico. 22 I «transfert negativi», cos1 questi si chiamano, spesso
durano a lungo.

Si è generalmente supposto che Freud dovesse essere molto seccato e


magari irato con se stesso nel venire a conoscenza della scoperta di Koller.
:B perciò interessante sapere che invece non lo fu affatto. Ecco come egli
si espresse in proposito: «La seconda notizia è più divertente: un collega
ha trovato una formidabile applicazione della coca in oftal.mologia, e l'ha
comunicato al Congresso di Heìdelberg, destando grande sensazione. lo
avevo suggerito a Konigstein di tentare qualcosa del genere, una quindi­
cina di giorni prima di lasciare Vienna. Egli aveva effettivamente scoperto
qualcosa, ed ora c'è una polemica tra lui e l'altro. Hanno deciso di sotto­
pormi i loro rispettivi dati e di chiedermi di giudicare chi dei due debba
pubblicarli per primo. lo ho consigliato a Konigstein di leggere una comu­
nicazione insieme all'altro alla Gesellschaft der Aerzte. In ogni caso tutto
ciò torna a favore della coca, ed il mio lavoro mantiene il merito di
averne fatto conoscere i pregi ai viennesi.»23
Vita e opere di Freud

Evidentemente Freud considerava ancora il campo della cocaina come


una sua privata proprietà, per cosi dire. Il punto fondamentale era ancora
l'azione della droga presa per bocca, ed egli continuò a sperimentacla su
una serie di malattie che sperava di poter guarire. Cosi, lungi dal rima­
nere sconcertato per la scoperta di Koller, egli la considerò una delle
tante e svariate applicazioni possibili per la sua adorata droga. Ci sarebbe
voluto parecchio tempo prima che egli potesse assimilare l'amara verità,
e cioè che l'uso inventato da Koller doveva rivelarsi l'unico di un certo
valore, e tutto il resto solo polvere.
Immediatamente dopo aver appreso del lavoro di Koller, la casa Merck
invitò Freud a sperimentare un nuovo alcaloide isolato dalla cocaina,
l'ecgonina, e gliene mandò 100 grammi. Insieme a Fleischl, che si faceva
vedere molto irregolarmente, egli la provò sulle rane, sui conigli e su
altri animali, e anche su se stesso. La sostanza si dimostrò molto tossica
per gli animali inferiori, mentre egli poté prendecne fortissime dosi senza
risenticne alcun effetto.
Quando la Società di Fisiologia si riaprl per la sessione autunnale, Freud
ricevette molte congratulazioni per la sua monografia sulla cocaina. Il pro­
fessor Reuss, direttore della clinica oculistica, gli disse che essa «aveva
portato una rivoluzione», e il professor Nothnagel, nel dargli alcuni dei
suoi estratti di pubblicazioni, lo rimproverò di non aver pubblicato la mo­
nografia sul suo periodico. Nel frattempo Freud stava sperimentando sul
diabete, che sperava di guarire con la cocaina. Se fosse riuscito, si sarebbe
potuto sposare un anno prima, e sarebbero diventati tutti e due ricchi e
famosi. Invece non se ne fece nulla. Poi sua sorella Rosa ed un suo amico,
chicucgo di bordo, provarono con successo l'uso della cocaina per evitare
il mal di mare, e Freud sperò che questo rappresentasse un nuovo avve­
nire per la droga. Espresse anche l'intenzione di provacne l'effetto su di
sé dopo essersi fatto venire le vertigini sulle giostre del Prater, ma di questo
esperimento non sappiamo altro.
Subito dopo si verificò la discussione tra Koller e Konigstein alla Gesell­
schtrJt der Aerzte, che gli aprl alquanto gli occhi sull'importanza di ciò
che stava accadendo. Nel descrivere quella riunione, egli disse di aver ot­
tenuto solo il cinque per cento del successo, e perciò ne usci malamente.
Se, invece di consigliare a Konigstein di intraprendere gli esperimenti sul­
l'occhio, egli stesso avesse avuto più fede nella loro riuscita, e non si fosse
risparmiato il disturbo di eseguicli, non avrebbe mancato di osservare il
L'episodio della cocaina (1884-1887)

«fatto fondamentale» (cioè l' anestesia), come accadde a Konigstein. 24 <<Ma


fui sviato dall'incredulità che sentivo da ogni parte»: ecco il primo rim­
provero che si fece. Un po' più tardi scrisse alla sua futura cognata: «La
cocaina mi ha portato un bel po' di reputazione, ma la parte del leone se
n'è andata altrove.»25 Doveva aver notato che la scoperta di Koller aveva
prodotto in tutto il mondo «enorme sensazione».

Ma torniamo alla storia di Fleischl, che ebbe per Freud un'immensa im­
portanza, e non solo nei riguardi della cocaina. In un precedente capitolo
è stato già detto qualcosa sulla personalità di Fleischl :28 Freud lo aveva
dapprima ammirato a distanza, ma dopo aver lasciato l'istituto di Briicke
giunse a conoscerlo più da vicino. Nel febbraio 1884, per esempio, egli
parla della sua «intima amicizia» con Fleischl. Ancora prima, nello stesso
mese in cui si fidanzò, scrisse di lui in questi termini:. «Ieri sono stato
con il mio amico Ernst von FleischI, che finora, prima di conoscere Martha,
invidiavo sotto ogni riguardo. Ora sono in vantaggio su di lui, infatti è
stato fidanzato dieci o dodici anni con qualcuna della sua stessa età, che
l'avrebbe atteso indefinitamente, ma dalla quale si è separato per qualche
ignoto motivo. .B un uomo di enorme valore, per il quale sia la natura
che l'educazione hanno dato il loro meglio. Ricco, esperto in qualunque
esercizio fisico, con l'impronta del genio nei suoi forti lineamenti, bello,
di eletti sentimenti, dotato di ogni talento e capace di esprimere un giu­
dizio originale su qualunque argomento, egli è sempre stato il mio ideale
e non ho avuto pace finché non siamo diventati amici. Ho sinceramente
gioito della sua capacità e della sua reputazione.» Freud aveva promesso
a Fleischl di non tradire il «segreto» che egli stesse imparando il san­
scrito. Seguiva poi una lunga fantasia su quanto un uomo del genere, con
tutte queste qualità, avrebbe potuto far felice Martha, ma infine esplodeva
l'affermazione del suo entusiasmo per lei: «Perché una volta tanto non
dovrei avere più di quel che merito? Martha resta tutta mia!»27
In un' altra occasione scrisse: «Lo ammiro e lo amo di una passione
intellettuale, se mi permetti l'espressione. La sua distruzione28 mi com­
muoverà come quella di un tempio sacro e famoso avrebbe commosso un
antico greco. Lo amo non tanto come essere umano quanto come prezioso
risultato della Creazione, e tu non devi esserne affatto gelosa.»
Ma quest'uomo meraviglioso soffriva enormemente. L'insopportabile do­
lore nevrotico che lo aveva già torturato per dieci anni, lo andava lenta­
126 Vita e opere di Freud

mente consumando, e la sua mente cominciò a risentirne periodicamente.


Prendeva forti dosi di morfina, con le conseguenze abituali. Freud si rese
conto per la prima volta delle sue condizioni in una breve visita nell'ottobre
1883. «Mi domandò pieno di sconforto a che punto tutto ciò l'avrebbe
condotto. Disse che i suoi genitori lo consideravano un grande scienziato,
e che avrebbe cercato di continuare nel suo lavoro finché essi fossero vis­
suti. Una volta scomparsi, si sarebbe ucciso, perché era insopportabile tirare
avanti più a lungo. Sarebbe stato inutile cercare di consolare un uomo che
vede cosI chiaramente la sua condizione.» Una quindicina di giorni dopo
ebbe un altro incontro commovente con lui: «Non è un uomo che si possa
abbordare con vane parole di conforto. La sua condizione è disperata pro­
prio come dice lui, e non si può contraddirlo... "Non posso sopportare"
mi ha detto "di dover fare ogni cosa con uno sforzo tre volte maggiore
degli altri; quando ero abituato a farlo più facilmente di loro. Nessun altro
sopporterebbe quello che sopporto io" ha aggiunto, e lo conosco abbastanza
da credergli.»
Come abbiamo già detto, nel maggio 1884 Freud somministrò per la
prima volta la cocaina a FleischI con la speranza che in tal modo potesse
fare a meno della morfina, e per un po' di tempo questo riuscl in pieno.
Da allora in poi egli lo visitò regolarmente, lo aiutò a mettere in ordine
la sua biblioteca, e cosI via. Appena una settimana dopo, però, malgrado
la cocaina lo avesse svezzato dalla morfina, le condizioni di Fleischl erano
pietose. Dopo parecchi tentativi inutili di ottenere una risposta al suo
bussare, Freud chiamò aiuto e insieme ad Obersteiner e ad Exner irrup­
pero nella stanza e trovarono Fleisch1 a terra, quasi svenuto dal dolore.
Allora Breuer, che lo curava, dispose che Obersteiner entrasse ogni giorno
nella camera con un passepartout. Un paio di giorni dopo Billroth, non
avendo ottenuto alcun successo con varie operazioni sul moncone della
mano, tentò la stimolazione elettrica in narcosi, ma come era da aspettarsi,
il risultato fu disastroso e lo stato di Fleisch1 divenne ancora peggiore.
Fleisch1 scuoteva l'ottimistica fede di Freud nel valore della cocaina,
tuttavia quando, nel dicembre 1884, una traduzione abbreviata della mono­
grafia fu pubblicata sul «St. Louis MedicaI and Surgical Journal» Freud
aggiunse una nota descrivendo i buoni risultati ottenuti nello svezzamento
dalla morfina. Egli riteneva che le due sostanze fossero antagoniste.
Nel gennaio 1885, Freud, che stava allora tentando di eliminare il dolore
della nevralgia del trigemino con l'iniezione di cocaina nel nervo, sperò di
L'episodio della cocaina (1884-1887) 127

poter fare lo stesso sui neuromi di Fleischl, ma non sembra che ne venisse
niente di buono. Una volta, in aprile, egli passò tutta una notte accanto
a Fleischl che restò tutto il tempo in un bagno caldo. Freud scrisse che
gli era impossibile descrivere quella scena, poiché non aveva mai provato
nulla del genere: «Si toccò ogni nota della più profonda disperazione.»
Quella fu la prima di tante altre notti simili che egli trascorse nei due
mesi successivi. Da allora Fleischl prese dosi enormi di cocaina. Freud
osservò che l'amico aveva dovuto spendere non meno di 1800 marchi (428
dollari) negli ultimi tre mesi, ciò che significava un intero grammo al giorno,
cento volte la quantità che egli stesso soleva prendere, e solo di rado.
L'8 giugno scrisse che quella spaventevole dose aveva fatto molto male a
Fleischl, e sebbene avesse cominciato a spedire cocaina a Martha, la met­
teva in guardia dal prenderne l'abitudine. Egli osservava anche l'infinita
gentilezza di Briicke verso Fleischl, il quale, come si ricorderà, era suo
assistente nell'istituto.
Anche prima di questo, però, Freud ne aveva passate un bel po'. «Ogni
volta mi chiedo se proverò mai più nella mia vita qualcosa di altrettanto
sconvolgente ed emozionante di queste notti... I suoi discorsi, le sue spie­
gazioni di ogni possibile mistero, i suoi giudizi sulle persone della nostra
cerchia, la sua multiforme attività interrotta da momenti della più com­
pleta prostrazione, alleviata dalla morfina e dalla cocaina: tutto ciò forma
un insieme indescrivibile.» Eppure lo stimolo che emanava da FleischI era
tale che compensava persino quegli orrori.
Tra i sintomi di Fleischl vi erano svenimenti (spesso con convulsioni),
insonnia ostinata e mancanza di controllo nei riguardi di una serie di
comportamenti eccentrici. Da questo punto di vista la cocaina per un certo
tempo sembrò giovare, ma le fortissime dosi portarono necessariamente
ad una intossicazione cronica ed infine ad un delirium tremens popolato
da serpenti bianchi che strisciavano sulla pelle dell'infelice. Il 4 giugno
vi fu una crisi: nell' andarlo a chiamare - c'erano anche Briicke e Schenk _
Freud trovò Fleischl in un tale stato che corse a cercare Breuer e poi tra­
scorse Il una notte che fu la più spaventosa che avesse mai passato.
Verso la fine di giugno Breuer disse a Freud che i parenti di Fleisch1
desi~eravano che egli trascorresse con lui l'agosto a St. Gilgen, per sor­
vegh~rlo. 9uesto ~ignificava lasciare l'ospedale prima del termine, perdere
alCUnI COcsl e laSCiare a metà le ricerche d'anatomia, ma Freud per ragioni
128 Vita e opere di Freud

personali era propenso ad accettare. Alla fine però Fleischl insisté per restar
solo. Freud pensava che non sarebbe andato avanti per più di altri sei
mesi, e invece visse altri sei dolorosi anni.

Nel frattempo Freud era rimasto sconcertato dall'azione ineguale della


cocaina nei diversi soggetti, fatto che ne ostacolava fortemente l'impiego
clinico. Allo scopo di trovare un metodo per valutare obiettivamente la sua
azione e di accertare eventualmente da cosa dipendesse tale variabilità, egli
decise di fare alcuni rilievi sulla forza muscolare e sulla velocità delle rea­
zioni sotto cocaina. Per la prima ricerca adoperò un dinamometro, strumento
non molto preciso, e nel novembre 1884 riassunse insieme a vari colleghi
le osservazioni che aveva cominciato a raccogliere in giugno con Koller.
Incidentalmente, sembra che il dinamometro avesse per lui uno speciale
interesse, poiché quando andò a Parigi ne acquistò uno per osservare il
proprio «stato di nervi».29 Alla seconda ricerca lavorò con Herzig, usando
il neuro-amebimetro di Exner, ed i risultati furono pubblicati sulla «Wiener
Medizinische Wochenschrift» il 31 gennaio 1885. Questo "lavoro è interes­
sante perché è l'unico studio sperimentale che Freud abbia mai pubblicato,
e la sua esposizione, piuttosto dilettantistica, mostra che quello non era il
suo vero campo. Le idee che vi sono contenute sono tutte buone, ma i fatti
sono registrati in modo cosi irregolare e incontrollato che sarebbe difficile
correlarli con osservazioni altrui.
Dal lavoro risultarono poche conclusioni: una era che la forza musco­
lare, cosi valutata, subiva notevoli variazioni intrinseche, per esempio in
momenti diversi di uno stesso giorno o in giorni diversi, anche nella stessa
persona. L'aumento prodotto dalla cocaina è molto lieve in soggetti nor­
mali,ed è invece spiccato solo quando il soggetto è affaticato o depresso.
Freud concludeva che la cocaina non ha un'azione diretta sul sistema neuro­
muscolare, ma solo attraverso il miglioramento, in certe circostanze, dello
stato generale di benessere.
Verso la fine dell'anno apparve sulla <<Neue Freie Presse» un articolo
divulgativo sulla monografia di Freud, che fu copiato dalla stampa ame­
ricana. 30 L'autore era un suo vecchio amico di scuola, Franceschini. Per
un certo tempo dopo la comparsa dell'articolo, Freud fu assillato dalle let­
tere che gli chiedevano maggiori informazioni o aiuto, e alle quali doveva
rispondere, perciò decise di far ristampare il saggio sotto forma di opu­
scolo in un'edizione di cinquecento copie, e di approfittare dell'occasione
L'episodio della cocaina (1884-1887) 129

per· apportarvi varie aggiunte. La pubblicazione avvenne a metà febbraio


1885 con lo stesso titolo: Sulla coca.
In marzo egli scrisse che, dopo altre due conferenze sull' argomento, spe­
rava di aver finito. Probabilmente si trattava della stessa conferenza, che
fu tenuta il 3 marzo alla Società di Fisiologia, e il 5 marzo alla Psychia­
trische Verein (Unione Psichiatrica), e fu pubblicata nel «Medico-Chicur­
gisches Centralblatt» il 7 agosto, 1885. Sembra che essa avesse incontrato
notevole successo, e Freud ebbe il piacere di vedecla recensita sul «Lancet».
La conferenza era una rassegna generale dell'argomento; essa sottolineava
che, mentre la psicopatologia è ricca di mezzi capaci di ridurre la sovrecci­
tazione dell'attività nervosa (bromuri, ecc.), essa è povera di quelli che
possano risollevare l'attività depressa, come per esempio accade nell'astenia
o nella depressione ed esaurimento nervoso. L'uso della cocaina in certi casi
dimostrava che un agente nocivo di natura ignota con meccanismo d'azione
centrale, poteva talvolta esser rimosso da mezzi chimici. Egli ammetteva che
la cocaina era priva d'effetto in certi casi di momnomania, mentre era di
grande efficacia in altri. Non aveva mai visto casi di cocainomania (questo
accadeva prima che Fleischl avesse sofferto per l'intossicazione da cocaina).
Perciò egli poteva dire in casi del genere: «Consiglierei senza esitare la
somministrazione di cocaina per iniezioni sottocutanee di 0,03-0,05 grammi
per dose, senza preoccuparmi di un accumulo della sostanza.»
Ma Freud era lungi dall'aver chiuso l'episodio: troppo era l'interesse ge­
nerale, pro e contro, che era sorto intorno alla questione. In aprile una
ditta americana gli offri 60 gulden (24 dollari) per sperimentare la cocaina
di sua produzione in rapporto a quella di Merck, ed il risultato fu che l'effi­
cacia delle due sostanze era pari. Nello stesso mese egli stava conducendo
«esperimenti sulla coca» insieme a Konigstein, ma non diceva di cosa
si trattasse. Nel mese successivo sappiamo che si andavano trovando ap­
plicazioni sempre più numerose per la cocaina, l'ultima delle quali era la
seguente: i pazienti con idrofobia potevano inghiottire dopo pennellatuce
faringee di cocaina. 31
Tuttavia il vento cominciava a girare. In luglio apparve la prima aspra
critica di Eclenmeyer sul «Centralblatt fur Nervenheilkunde», che egli pub­
blicava. Il commento di Freud fu: «Ha il pregio di ricordare che sono
stato io a raccomandare l'uso della cocaina nei casi di mocfinomania, ciò
che non hanno fatto mai quelli che ne hanno confermato l'efficaàa. Cosi è
sempre possibile esser grati ai propri nemici.»32 Tutto ciò era in contrasto

5•I
130 Vita e opere di Freud

con le lodi sperticate che Wallé aveva espresse poco tempo prima. 88 In un
congresso medico che si tenne nell'estate a Copenaghen, Obersteiner, in
una comunicazione intitolata «Sull'impiego della cocaina nelle nevrosi e psi­
cosi» difese calorosamente Freud, cosI come fecero altri, e gli mandò un
estratto a Parigi, con una lettera piena d'amicizia. Egli confermava l'efIi­
cada della cocaina nello svezzamento dalla morfina, che aveva sperimentato
in molti casi nella sua clinica privata di Oberdobling. Nel gennaio dell'anno
seguente però, in un lavoro sulle psicosi da intossicazione egli dovette am­
mettere che l'uso continuato della cocaina poteva portare a un delirium
tremens molto simile a quello prodotto dall'alcool.
Al principio del 1886 Freud ebbe occasione di incontrare a Parigi il
dr. Knapp, l' oftalmologo più in vista d'America a quei tempi. In presenza
di conoscenti, Knapp lo salutò come l'uomo che aveva fatto conoscere al
mondo la cocaina, e si congratulò con lui per questa conquista. Era un
balsamo che giungeva opportuno.
Nello stesso anno però, casi di cocainomania e di intossicazione da co­
caina cominciarono ad essere riferiti in tutto il mondo, e in Germania ci
fu un allarme generale. In maggio Erlenmeyer, in un secondo attacco scritto
senza dubbio per protesta contro l'entusiasmo di Wallé, lo espresse in ter­
mini inequivocabili; fu in quella occasione che egli coniò la frase «la terza
piaga dell'umanità».84 Erlenmeyer aveva scritto nel 1884 un libro dal
titolo Ober Morphiumsucht (<<Sulla morfinomania») e nella terza edizione
di esso, nel 1887, aggiunse ciò che aveva scritto nel suo primo articolo
sulla cocainomania. 85 Alla fine dell'opera vi era una frase che lodava i
pregi letterari del saggio di Freud sulla coca, ma che aggiungeva, senza
commenti: «Egli consiglia senza riserve l'uso della cocaina nel trattamento
del morfinismo.» La terza edizione fu riveduta nientemeno che da Arthur
Schnitzler, il quale spezzò una lancia in favore di Freud. 86
L'uomo che aveva tentato di beneficare l'umanità, o almeno di crearsi
una reputazione con la cura della «nevrastenia», adesso era accusato di aver
sguinzagliato il male per il mondo. Molti devono. averlo giudicato almeno
un uomo sconsiderato, e se la sua coscienza irreprensibile si sottopose alla
stessa sentenza, questa non può esser stata che confermata dalla triste espe­
rienza che sopravvenne poco dopo, quando, supponendo che la sostanza
fosse innocua, ne prescrisse una forte dose ad un paziente che, per tutto
risultato, mod. 37 :e difficile dire quanto questo episodio abbia potuto com­
promettere la reputazione di Freud a Vienna: tutto quel che egli ne disse
L'episodio della cocaina (1884-1887) 13 1

in seguito fu che esso gli aveva causato «gravi rimproveri». Né l'entusia­


stica difesa che egli fece, qualche mese dopo, delle strane idee di Charcot
sull'isterismo e l'ipnosi dovette migliorare molto la situazione. Insomma si
era preparato lo sfondo sul quale, qualche anno dopo, avrebbe scandaliz­
zato i circoli medici viennesi con le sue teorie sull'eziologia sessuale delle
nevrosI.
Freud replicò piuttosto tardivamente a tutte le critiche, in. un lavoro
pubblicato il 9 luglio 1887 sul «Wiener Medizinische Wochenschrift».38
Esso fu determinato da un articolo scritto da W. A. Hammond, che Freud
citava estesamente a suo favore. Egli aveva una doppia linea di difesa: in
primo luogo non era (ancora) noto alcun caso di assuefazione alla cocaina
al di fuori di quelli di morfinomani, e questo suggeriva èhe nessun altro
potesse c~der vittima della droga. Ogni tendenza all'abitudine non era il
diretto risultato dell'introduzione di una sostanza nociva, come si riteneva
tanto comunemente, ma era dovuta a qualche particolarità del paziente. Su
questo punto egli aveva perfettamente ragione, eppure a quel tempo l'ar­
gomento non convinse.
La seconda linea era più equivoca: egli identificava la labilità dei vasi
sanguigni del cervello al fattore variabile responsabile dell'incertezza degli
effetti della cocaina su soggetti differenti. Se la pressione nei vasi è stabile,
la cocaina non ha alcun effetto, mentre in altri casi essa produce una favo­
revole iperemia ed in altri ancora un effetto tossico. Poiché questo non
poteva esser determinato a priori, era indispensabile limitarsi nel prescrivere
iniezioni sottocutanee di cocaina in ogni malattia interna o nervosa. La co­
caina era innocua per bocca, mentre sottocute era talvolta pericolosa. Freud
riportava di nuovo il caso di Fleischl (senza farne il nome) come il primo
caso. di assuefazione alla morfina che fosse stato curato per mezzo della
cocatoa.
Con questa seconda linea di difesa, che non poteva esser stata deter­
minata che in via inconscia, Freud aveva fatto una mossa particolarmente
mal riuscita. Nel gennaio 1885 aveva tentato, molto logicamente, di vincere
la nevralgia del trigemino con iniezioni di cocaina nel nervo. 89 Non aveva
avuto successo, forse per mancanza di abilità chirurgica, ma nello stesso
anno W. H. Halsted, il più grande chirurgo americano e uno dei fonda­
tori della moderna chirurgia, la iniettò con successo nei nervi, gettando
cosi le basi del blocco nervoso a scopi chirurgici. Però egli pagò caro questo
successo, perché contrasse una grave assuefazione alla cocaina, che richiese
132 Vita e opere di Freud

un lungo trattamento in ospedale prima di poter essere superata. Cos1 egli


fu una delle nuove vittime della droga.
Nel tentativo di allontanare dal suo magico trattamento la macchia di
rappresentare una droga pericolosa, Freud poteva far appello al diffuso
pregiudizio che additava le iniezioni ipodermiche come il vero pericolo.
Questa prevenzione contro l'ago ipodermico durò poi per molti anni e solo
oggi sta effettivamente scomparendo. L'analisi di pazienti che ne hanno
un' invincibile paura non lascia alcun dubbio sul suo significato simbolico
. .
InCOnSCIO.
Quando Fleischl poteva disporre di cocaina, ne prendeva immediatamente
sotto forma di iniezioni sottocutanee, e anni dopo Freud asserl che egli
non aveva mai inteso niente del genere, ma solo la somministrazione orale
della sostanza. 40 Tuttavia non vi è alcuna prova di eventuali proteste da
parte sua a quell'epoca, e anzi pochi mesi dopo raccomandò iniezioni sot­
tocutanee di forti dosi proprio nei casi simili a quello di Fleischl, cioè di
svezzamento da morfina. Egli stesso ne fece probabilmente uso. Era stato
proprio il suo direttore di allora, il professor Scholz, che aveva da poco
perfezionato la tecnica dell'ago ipodermico, e senza dubbio Freud l'apprese
da lui. Nei dieci anni successivi egli ne fece grande uso per vari scopi 41
e in un punto dei suoi scritti esprime il suo orgoglio per non aver mai
prodotto alcuna infezione. D'altra parte nei suoi sogni (per esempio in
quello di Irma) il tema delle iniezioni ricorre più di una volta in asso­
ciazione con il senso di colpa.
Tra i riferimenti ai suoi scritti precedenti che Freud dette nella sua
apologia del 1887, nella quale accusò l'ago ipodermico come responsabile
del pericolo nell'uso della cocaina, egli omise qualunque accenno al lavo­
ro del 1885, nel quale aveva fortemente raccomandato le tanto nocive
iniezioni. Il lavoro in questione non figura nemmeno nell'elenco dei suoi
scritti che egli dovette preparare nel 1897 quando concorse al titolo di
professore, né se ne trova copia nella raccolta dei suoi estratti fatta da
lui stesso. Pare che esso sia stato completamente soppresso, e se ciò fosse
dovuto a rimozione inconscia non ci si dovrebbe meravigliare di trovarsi
di fronte ad un autoinganno, ugualmente inconscio, dato che le due cose
vanno spesso insieme. Wittels è stato il primo ad accorgersi che nell' Inter­
pretazione dei sogni Freud si riferiva alla sua difesa della cocaina del
1885,42 e questo errore si trova effettivamente in tutte le otto edizioni
(compresi i Col/ected Papers e i Col/ected W ork.r). Freud era cos1 perfetta­
L'episodio della cocaina (1884-1887) 133

mente ignaro del tiro che il suo inconscio gli aveva giocato, che chiese a
Wittels dove avesse scritto 1885 e aggiunse «sospetto un errore da parte
vostra».48 Wittels stesso non colse in questa svista il ~ignificato che vi
trovò invece Bernfeld, più attento. 44 Era effettivamente nel 1884 che Freud
raccomandò l'uso della cocaina, ma fu nel 1885 che raccomandò l'uso delle
iniezioni (pericolose).45 La piccola cicatrice rimasta era tutta 11.

Quanto vi è di più istruttivo, nell' episodio della cocaina, è la luce che


esso getta sul cara.tteristico modo di lavorare di Freud. La sua grande forza
(ma talvolta anche la sua debolezza) consisteva nello straordinario rispetto
che egli aveva per il fatto singolare, qualità indubbiamente molto rara. Nel
lavoro scientifico la gente trascura continuamente un' osservazione isolata
che appaia priva di qualunque rapporto con altri dati o con il sapere
comune. Non cosi Freud: il fatto isolato lo affascinava, egli non poteva
cancellarlo dalla sua mente finché non aveva potuto trovarne qualche spie­
gazione. Il valore pratico di questa qualità mentale dipende da un'altra:
il giudizio. Il fatto in questione può esser realmente privo di significato,
e la sua spiegazione di nessun interesse, e in tal caso si arriva all' arzigogolo.
Ma esso può aRche essere una gemma fino allora nascosta o una scheggia
d'oro che indichi la via del filone. La psicologia non è ancora giunta a
spiegare da che cosa dipenda il fiuto o !'intuizione che spingono l'osser­
vatore ad andar dietro a qualcosa che il suo sentire gli dice importante,
non come fatto in sé, ma come esempio di qualche ignota legge di natura.
Per esempio, quando Freud scoprl in se stesso atteggiamenti, preceden­
temente ignoti, nei riguardi dei suoi genitori, egli sentl immediatamente
che essi non erano peculiari a lui solo, e che aveva scoperto qualcosa sulla
natura umana in generale: Edipo, Amleto e tutto il resto gli balenarono
in mente subito dopo.
Ques~o era il modo di lavorare della mente di Freud. Quando egli si era
impossessato di un fatto semplice ma significativo sentiva, e sapeva, che
questo fatto era un esempio di qualcosa di generale o di universale, e l'idea
di raccogliere statistiche sull' argomento gli era del tutto aliena. Questa è
una delle cose per cui altri, più conformisti, gli hanno mosso rimprovero,
ma cionondimeno è il modo in cui lavora la mente del genio.
Ho detto che questa qualità può rappresentare anche una debolezza.
Questo accade quando la facoltà della critica viene meno alla sua funzione
di stabilire se il fatto singolare è realmente importante oppure no. Un er­
134 Vita e opere di Freud
rore del genere è causato, la maggior parte delle volte, dall'interferenza di
un'altra idea o emozione, che sia stata associata all'argomento. L'interesse
dell'episodio della cocaina sta proprio nel fatto che in esso troviamo gli
esempi sia del successo che dell'errore. Freud osservò su se stesso che la
cocaina poteva eliminare qualche elemento fonte di disturbo, .e restituirgli
cosi la sua vitalità piena e normale. Da questa osservazione isolata egli
generalizzò, e si chiese imbarazzato perché in altri individui la cocaina
portasse all'assuefazione e infine all'intossicazione. La sua conclusione, giu­
sta, fu che tali individui avevano in loro qualche elemento morboso del
quale egli era esente, sebbene dovessero passare molti anni prima che gli
riuscisse di determinare di che cosa precisamente si trattava.
D'altra parte, quando fece l'osservazione isolata dell'assuefazione di
Fleischl alla cocaina, egli la mise erroneamente in rapporto con il fatto
trascurabile che Fleischl aveva fatto uso di iniezioni, sebbene non lo avesse
fatto prima, allorché egli stesso ne consigliava l'uso. Quando però si de­
linearono le successive disgrazie nell'uso della cocaina, la sua reazione di
autoaccusa e il suo senso di colpa dovettero pur convergere su un oggetto.
Questo fu l'abominevole ago, e Freud dovette perciò cancellare il fatto
di averne precedentemente raccomandato l'uso. Difficilmente. si potrebbe ne­
gare che la scelta dell'ago concordi bene con la spiegazione, da noi prece­
dentemente data, dell'autoaccusa di Freud.
Note

1. Auto., pp. 24, 25.


2. G. W., II-III, 176.
3. In una lettera a Wittels Freud parlò addirittura di «vari anni» (lettera a
Wittels, 12 dicembre 1923). Quindi l'attesa non gli era sembrata terribilmente
lunga solo mentre la viveva, ma anche nel ricordo.
4. M., 19 giugno 1884.
5. Ibid., 12 giugno 1885.
6. Ibid., 16 luglio 1883.
7. Si trattava di un medico militare, Theodor Aschenbrandt, che aveva fatto
le osservazioni in questione su un certo numero di soldati bavaresi durante le
manovre dell'autunno precedente (Theodor Aschenbrandt, Die phYJiologirche
Wirkung und die Bedeutung deJ CocainJ, «Deutsche medizinische Wochen­
schrift», 12 dicembre 1883).
8. Cioè il metodo al cloruro d'oro, da lui inventato.
9. M., 3 maggio 1884.

lO. Ibid., 7 maggio 1884.

11. Ibid., 25 maggio 1884.


12. Gemeingefiihl (cenestesi).
13. Nei sogni di Freud questo tema della colpa per i suoi passatempi appa­
re sempre associato ad una vigorosa autodifesa (G.W., II-III, 181).
14. Il corsivo è dell'autore.
15. Gli altri due erano l'alcool e la morfina.
16. Hanns Sachs, Freud, MaJter and Friend, Cambridge, Mass., Harvard
University, 1944, p. 71.
17. n prof. Gaertner era colui il quale, in un sogno fatto da Freud nella
notte successiva alla comparsa della FeJI/chrifl di Stricker, disturbava la sua
discussione con Konigstein (G. W., II-III, 176).
18. M., 6 aprile 1885.
19. G. W., II-III, 176.
20. V. p. 43.
21. C. Koller, Nachtragliche Bemerkungen iiber die erJlen Anfange der
LokalameJlheJie, «Wiener medizinische Wochenschrifb>. 1935. p. 7.
136 Note

22. M., 4 aprile 1885.


23. Ibid., lO ottobre 1884.
24. Ibid., 18 ottobre 1884.
25. Lettera a Minna Bernays, 29 ottobre 1884.
26. V. p. 75.
27. M., 27 giugno 1882.
28. Alludendo alla terribile malattia ed alla prossima morte dell'amico.
29. M., 27 gennaio 1886.
30. lbid., 9 gennaio e H febbraio 1885.
31. Ibid., 19 maggio 1885.
32. lbid., 9 luglio 1885.
33. Wallé, «Deutsche medizinische Zeitung», 1885, n. 3.
34. Erlenmeyer, Ober Cocainsucht, «Deutsche medizinische Zeitung», maggio
1886; ristampato in «Wiener medizinische Presse», luglio 1886, pp. 918-21.
35. Pp. 155-59.
36. «Internationale KIinische Rundschau», III (1888), 23.
37. G.W., 11-111, 116.
38. Freud, Bemerkungen uber Cocainsucht und Cocainfurcht, «Wiener medi·
zinische Wochenschrift», 9 luglio 1887, p. 929.
39. M., 7 gennaio 1885.
40. G. W., II·III, 120, 122.
41. M., lO maggio 1886; G. W., II·III, 245. Egli specifica di aver curato in
tal modo un caso di sciatica (G. W., II·III, 123).
42. F. Wittels, Sigmund Freud: Der Mann, d. Lehre, d. Schule, Vienna, Tal,
1923, p. 21.
43. Lettera a Wittels, 18 dicembre 1923.
44. Informazione privata.
45. G. W., II·III, 116.
VII. Fidanzamento (1882-1886)

Non si può penetrare la vita intima di un uomo, il nucleo della sua


personalità, se non se ne conosce l'atteggiamento nei confronti della fon­
damentale emozione dell' amore. Nulla rivela l'essenza della sua personalità
in modo cos1, penetrante e completo, come le variazioni, sia grossolane che
sfwnate, delle risposte emotive in questa sfera, dato che poche altre situa­
zioni nella vita mettono cos1 duramente alla prova l'equilibrio mentale.
La capacità d'amore e di tenerezza fu uno dei lati della natura di Freud
che egli tenne strettamente riservato alla sua vita privata. I suoi figli na­
turalmente la conoscevano bene per quanto riguarda i suoi rapporti con
loro, ma delle esperienze emotive con sua moglie - o futura moglie - egli
non parlò né scrisse mai. Cos1 pure, quando si accennava ai primi tempi
del loro fidanzamento, la signora, ormai anziana, soleva rispondere con un
serafico sorriso che rievocava la sua grande felicità, ma qualsiasi informa­
zione che essa fornisse, si riferiva più a fatti che a emozioni. Il suo inna­
morato era stato magnifico, assolutamente perfetto ai suoi occhi; questo
era in sostanza quanto essa aveva da riferire. Solo dopo la sua morte, alla
fine del 1951, fu possibile esaminare la voluminosa raccolta di lettere d'a­
more che essa aveva conservato: ed io ho il privilegio di essere il solo
ad averlo fatto.
Non è stato solo in tempi posteriori che queste lettere hanno rischiato
di essere distrutte. Dopo la morte del marito, la signora Freud minacciò
più volte di bruciarle, e desistette solo su richiesta della figlia. Durante
parte del fidanzamento, Freud e Martha Bemays tennero anche una «cro­
naca» a due, ed avevano intenzione di conservare solo questa, con la sua
registrazione di quel periodo emozionante, e distruggere invece tutte le let­
tere il giorno che si fossero sposati. Quando venne il momento, tuttavia,
138 Vita e opere di Freud

la signora Freud non ebbe cuore di sacrificare tutte quelle prove di devo­
zione, e quindi sopravvissero sia la cronaca che l'epistolario. Cosi pure so­
pravvisse un diario che Freud scrisse nel periodo della sua corte a Martha.
Abbiamo già accennatol che all'età di sedici anni Freud provò per la pri­
ma volta che cosa significasse l'amore. Fu evidentemente una pura fantasia,
non essendovi stato proprio alcun rapporto con Gisela Fluss, ed è altrettan­
to sicuro che tale emozione non lo toccò più fino a dieci anni dopo, quan­
do incontrò la sua futura moglie, ed infatti una volta le scrisse di non aver
mai prestato attenzione alle ragazze, e di pagare ora duramente questa sua
negligenza. Poche e distanti tra loro furono probabilmente anche le sue
esperienze fisiche. In una lettera al dottor Putnam a proposito di una mag­
giore libertà tra i giovani in questa sfera, egli aggiunse: «sebbene io stesso
non ne abbia profittato che scarsamente».2 La cosa non sorprende se si
considera quanto Freud fosse assorbito dal lavoro e quante sublimazioni
fossero risultate dalle sue stesse repressioni.
Chi ebbe familiarità con l'ambiente domestico di Freud negli anni suc­
cessivi, poté facilmente farsi l'impressione che il suo matrimonio fosse
stato semplicemente l'unione di due persone adatte una all'altra, attratte
reciprocamente, e decise a sposarsi. Nei suoi scritti nulla è detto su questo
argomento, oltre il fatto che essi vissero separati durante il lungo fidan­
zamento, e le altre informazioni disponibili, come per esempio quelle
fornite da sua sorella Anna, sono puramente fallaci.
Quanto diversa la verità che ci rivelano le lettere d'amore! Esse ci met­
tono di fronte a una di quelle passioni violente e complicate, in cui l'in­
tera gamma delle emozioni, dalle vette della felicità agli abissi di dispe­
razione, viene evocata successivamente, ed ogni grado di gioia e di infelicità
viene sentito intensamente, senza risparmio. Si può dire con molte riserve
che questo insieme di lettere, a parte lo speciale interesse legato alla per­
sonalità di Freud, potrebbe costituire un apporto non trascurabile alla let­
teratura amorosa mondiale. Lo stile ricorda talvolta Goethe, ma la delica­
tezza di sentimenti, la squisita tenerezza, la precisione del fraseggio, la
scelta dei vocaboli, la ricchezza di allusioni e soprattutto la distinzione, la
profondità e la nobiltà di pensiero che esse manifestano sono proprie di
Freud. E quanto sa essere spiritoso nei momenti più sereni: peccato che
il compito di trasmettere questo particolare tipo di ironia a un pubblico
diverso e in una diversa lingua vada oltre le capacità del sottoscritto. 9
Freud scrisse alla sua fidanzata più di novecento lettere. Sui quattro anni
[I fidanzamento (188z-1886) 139

e tre mesi ·del fidanzamento, per tre anni interi essi rimasero separati. Ave­
vano l'abitudine di scriversi ogni giorno, e un'occasionale interruzione di
due o tre giorni costituiva un fatto angoscioso che richiedeva una quantità
di spiegazioni: nei giorni in cui la lettera non c'era, gli amici di Freud
solevano prenderlo in giro dicendogli di non credere che fosse veramente
fidanzato. D'altra parte ci furono moltissime occasioni in cui furono scritte
due o più lettere nello stesso giorno. E non erano lettere brevi, tranne che
in rare eccezioni: una lettera di quattro pagine veniva considerata molto
breve, e qualche volta arrivarono a dodici pagine scritte fitte; ce ne fu
persino una di venti due pagine. All'inizio della corrispondenza egli chiese
a Martha se preferiva che le scrivesse in caratteri latini o gotici, ed essa
scelse questi ultimi, per la disperazione del futuro biografo.
Sebbene a tale corrispondenza si dia comunemente il nome di «lettere
d'amore», non bisogna pensare che esse non contengano altro che dichia­
razioni di ordine emotivo. Queste non mancavano di certo, ma in condi­
zioni di spirito più tranquille Freud soleva scrivere estesamente su argo­
menti di ogni genere, e perciò le lettere costituiscono un diario dei suoi
interessi e delle sue azioni. Vi è descritta la sua attività in clinica e in
laboratorio, con le sue speranze e le sue delusioni nel lavoro, vi sono notizie
sui suoi amici e superiori, accompagnate spesso da vivaci descrizioni del
loro aspetto e della loro personalità. ·Freud riusciva molto bene nel descri­
vere le persone, e tra coloro che sono stati ritratti dalla sua penna vi sono
Baginsky, Benedikt, Charcot, Daudet, Fleischl, Hering, Mendel, Nordau,
Nothnagel, Sir William Siemens e Weigert.
Martha veniva minutamente informata sulla sua vita di società, e poi
vi era naturalmente la costante discussione sui membri delle rispettive fa­
miglie, nonché frequenti discussioni letterarie sui libd letti, e soprattutto
molte riflessioni casuali sui problemi dell' esistenza e sulla filosofia della
vita in generale. Di un tesoro cos1 ricco, un libro che tratti la vita di Freud
nel suo insieme può riportare solo qualche spunto, tuttavia, almeno in que­
sto primo volume, non c'è capitolo che non sia debitore di qualche dato a
queste lettere. Inoltre, cosa del massimo interesse, nelle lettere sono espres­
se di tanto in tanto idee che anticipano velatamente successivi sviluppi del
pensiero di Freud, e che egli ha sfruttato talvolta solo dopo mezzo secolo.
Prima di esaminare la relazione sentimentale sarà bene presentare la fu­
tura fidanzata. Martha Bernays, nata il 26 luglio 1861 e quindi più gio­
vane di Freud di cinque anni, veniva da una famiglia di primo piano nella
140 Vita e opere di Freud

cultura ebraica. Suo nonno, Isaac Bernays, era stato rabbino capo di Am­
burgo durante il movimento di riforma che aveva pervaso il giudaismo
ortodosso negli anni rivoluzionari intorno al 1848, e che egli aveva dura­
mente combattuto e cercato di arginare. Era stato in rapporto con Heine,
e il suo nome è ripetutamente ricordato nelle lettere di Heine, dove viene
definito un geislreicher Mann - cioè un uomo di grande intelligenza. Suo
fratello fu il primo a pubblicare una poesia di Heine sul «Vorwarts», il
giornale ebraico liberale che pubblicava a Parigi, e a lui il poeta inviò i
saluti in una lettera indirizzata nientemeno che a Carlo Marx. Uno dei
figli di Isaac, Michael, divenne professore di tedesco all'Università di
Monaco, posizione raggiunta a prezzo della rinuncia alla sua fede, e più
tardi Lehrkonsul, una specie di lettore ufficiale, del re Ludovico di Ba­
viera; scrisse anche un grosso libro su Goethe. Un altro fratello, Jacob,
che secondo l'usanza ebraica si era messo in lutto per l'apostasia del fra­
tello, insegnava latino e greco nell'Università di Heidelberg, ma si rifiutò
di pagare lo stesso prezzo di quello per la carica di professore. Il terzo
fratello, Berman, padre di Martha, era commerciante, fedele anch'egli alla
sua religione.
Berman Bernays e la sua famiglia erano venuti a Vienna da Amburgo nel
1869, sicché Martha, prima di incontrare Freud vi aveva trascorso tredici
anni, dalla tenera età di otto. Essa conservava il ricordo di sua madre di­
sperata per dover lasciare la sua amata Amburgo, e delle sue lacrime che
friggevano sulla cucina economica: e vedremo infatti che la madre non fu
soddisfatta finché non poté ritornare alla sua vecchia casa. Il padre di
Martha divenne segretario di un noto economista viennese, Lorenz von
Stein: di qui la sua presenza a Vienna. In una fredda notte, il 9 dicembre
1879, egli fu colpito da collasso cardiaco, e mori per strada. Dopo la sua
morte, il figlio Eli occupò per alcuni anni il suo vecchio posto.
Freud aveva fatto una magnifica scelta del coniuge, e pochi matrimoni
avrebbero potuto essere cosi felici e ricchi di soddisfazioni come il suo.
Ma finché questo paradiso non fu raggiunto, si dovettero attraversare ac­
que molto tempestose.
Martha Bernays era slanciata, pallida e piuttosto minuta. Che i suoi modi
seducenti la rendessero attraente per gli uomini risulta da molte allusioni
all'ardore dei suoi ammiratori e corteggiatori; ciò dette a Freud qualche
fondamento per la sua gelosia. Sebbene non se ne sia mai fatto cenno nelle
lettere sappiamo dalla stessa signora Freud che prima di conoscere il suo
Il fidanzamento (1882-1886) 14 1

futuro marito essa si era quasi impegnata a sposare un uomo d'affari molto
più anziano di lei, Hugò Kadisch. Fu suo fratello a dissuaderla da questa
unione, insistendo che era pazzesco sposarsi se non si era veramente inna­
morati, e questo fu per Martha uno dei motivi della gratitudine verso il
fratello, che rese tanto difficile la sua posizione più tardi, quando Freud
volle che essa partecipasse al suo disaccordo con Eli.
Sulla delicata questione del suo aspetto esteriore, Freud si espresse con
il solito candore, in risposta ad una osservazione autodenigratoria di lei.
«Forse non sei bella in senso scultoreo o pittorico, infatti se insisti sull'esatta
correttezza nell'uso delle parole, allora devo confessare che non sei bella.
Ma io non ti adulavo, con quanto dicevo: non ne sono capace; posso, è
vero, sbagliarmi. Quel che desideravo esprimere era quanto il fascino della
tua persona si manifesti nel tuo portamento e nel tuo corpo, come ciò che
vi è di visibile nel tuo aspetto riveli quanto tu sia dolce, generosa e saggia.
lo sono sempre stato piuttosto insensibile alla bellezza formale, ma se nella
tua testolina è rimasta un po' di vanità, non ti nasconderò che qualcuno
dice che sei bella, in modo persino eccezionale. lo non ho nessuna opinione
in proposito.»' E le sue osservazioni nella lettera successiva non erano
molto più incoraggianti, per una ragazza di venti due anni: «Non dimen­
ticare che la "bellezza" dura solo pochi anni, e che abbiamo invece da
trascorrere insieme una lunga vita. Una volta scomparse la levigatezza e
la freschezza della gioventù, la bellezza rimane solo dove bontà e intelli­
genza trasfigurano i tratti, ed è questo in cui tu eccelli.» Un paio di anni
più tardi, si trova una descrizione un po' più dettagliata, a proposito di
una fotografia che essa gli aveva mandato: «Del tuo volto è la pura, nobile
bellezza della fronte e degli occhi che appare quasi in ogni ritratto. Come
per preservarti dal pericolo di essere bella, la natura ha dato al tuo naso
e alla tua bocca più carattere che bellezza, ed una espressione quasi ma­
scolina, tanto poco verginale nella sua risolutezza.»
All'età di novant'anni,5 essa conservava ancora le sue maniere e la sua
grazia, straordinariamente attraenti. Le tre parole che meglio potrebbero
descrivere il suo temperamento sono «dolce», «graziosa» e «devota», ma
come Freud dovette scoprire a prezzo di sofferenze, non era di cuore do­
cile, e aveva una fermezza di carattere che non si prestava facilmente ad
essere plasmata. La sua personalità era perfettamente sviluppata e bene
integrata, e avrebbe meritato senz'altro il complimento più grande per uno
psicanalista, quello di essere «normale».
142 Vita e opere di Freud

Martha era bene educata ed intelligente, sebbene non si potesse chia­


marla un'intellettuale. Negli anni successivi, le vicende della vita quoti­
diana furono abbastanza ricche da assorbire i suoi interessi.
Freud, pur senza necessità, fu costantemente preoccupato per la salute di
lei, e diceva spesso che i due soli doveri che essa aveva nella vita erano
di star bene e di amarlo. Durante i primi due anni del loro fidanzamento
egli era solito insistere per farle prendere le pillole di Bland e bere vino,
dal che si supporrebbe che, come tante fanciulle a quell'epoca, essa soffrisse
di clorosi. Martha accolse la ricetta senza entusiasmo, e Freud commentò:
«Che cosa conta un profeta per sua moglie? Essa lo ama, ma non crede in
lui. Se rimarrò a Vienna, sono deciso a procurarti un medico di famiglia,
preferibilmente Breuer.»
Eli Bernays sposò la sorella maggiore di Freud, Anna, il 14 ottobre 1883.
Si è pensato generalmente che il loro fidanzamento avesse preceduto quello
di Freud, e che in tale occasione Freud avesse conosciuto la sorella di Eli,
Martha, ma la verità è completamente diversa. In realtà il fidanzamento di
Freud, il 17 giugno 1882, precedette di circa sei mesi quello di Eli, avve­
nuto nel Natale del 1882. Non si sa neppure se la conoscenza di Martha
con la sorella di Freud, che fu il principio di tutto, avvenne attraverso Eli,
che era amico di Freud, o in qualche altro modo. Quest'ultima ipotesi sem­
bra più verosimile, poiché esistono prove che le famiglie Freud e Bernays
erano in rapporto tra loro.
Nel suo necrologio del fratellCl, Anna raccontò come le due coppie di
fidanzati avessero preso i biglietti per il Ringtheater la sera del tragico
incendio, 1'8 dicembre 1881, quando più di seicento persone del pubblico
persero la vita. Essi però avevano deciso fortunatamente di trascorrere la
serata altrove. A giudicare dalle cronache dell' epoca, tuttavia, la vendita
di biglietti quella sera fatale doveva esser stata enorme, dato che mezza
Vienna assicurava di averla scampata con pari fortuna. A quel tempo Freud
non aveva nemmeno conosciuto la sua futura sposa.
Una sera dell'aprile 1882 Martha e probabilmente sua sorella Minna
stavano facendo visita alla famiglia Freud. Di ritorno dal lavoro Freud
era solito precipitarsi in camera sua per fare un riassunto della sua gior­
nata di stu4io, senza curarsi dei visitatori, ma in questa occasione fu fer­
mato dalla vista di una gaia fanciulla che stava sbucciando una mela e
chiacchierando allegramente al tavolo di famiglia: tra la sorpresa generale,
egli si uni alla famiglia. Quel primo incontro fu fatale. Per parecchie
Il fidanzamento (1882-1886) 143

settimane, tuttavia, egli trovò più facile mostrarsi scorbutico e alquanto


eccentrico, piuttosto che farle la corte senza indugio, ma non appena si
rese conto della serietà dei propri sentimenti, si affrettò a legarla a sé «per­
ché ~ualsiasi ombra di artificio nei confronti di una simile ragazza sarebbe
stata insopportabile». Le mandò ogni giorno una rosa rossa, che non era
un Rosenkavalier viennese d'argento, ma aveva lo stesso significato, ed era
accompagnata ogni volta da un biglietto da visita con un motto, in latino,
spagnolo, inglese o tedesco. Il suo primo complimento, che ricordò più
tardi, fu di paragonarla alla principessa della fiaba, dalle cui labbra cade­
vano rose e perle, pur non sapendo, tuttavia, se dalle labbra di Martha uscis­
se più spesso gentilezza o buon senso. Da ciò nacque il nomignolo da lui
preferito: «principessa». lra tuttavia molto cauto nei complimenti. Una
volta, qualche tempo dopo, nel ringraziarla di due lettere deliziose, ag­
giunse: «C'è gente che ha il dono di fondere un complimento trovato Il
per H, con una vecchia villania che teneva in serbo. Per esempio si sente
dire "Ti trovo molto in gamba, proprio intelligente e maturo", dal che si
può dedurre che prima si dava l'impressione di essere un piccolo deficiente,
e che bisogna per di più esser grati a coloro che si erano trattenuti dal dir­
celo. Allo stesso modo, se ti dicessi che le tue lettere mi stimolano e mi
rianimano, farei torto a quelle precedenti.»
L'ultimo giorno di maggio ebbero il primo colloquio a tu per tu, scen­
dendo a braccetto dal Kahlenberg. Quello stesso giorno Freud si chiese,
sul suo diario, se potesse rappresentare lontanamente per Martha tutto ciò
che essa rappresentava per lui, ma purtroppo fu anche il giorno in cui
egli interpretò come freddezza il fatto che, durante la passeggiata, essa
avesse rifiutato l'offerta di una fronda di quercia, cosa che poi gli fece odiare
le querce. Il giorno seguente andò a passeggio al Prater con Martha e con
sua madre, e le fece tante di quelle domande su di lei, che al suo ritorno
a casa essa ne parlò a sua sorella Minna, e aggiunse: «Che te ne pare?»
Ma la risposta fu piuttosto deludente: <<Rerr Doclor è molto gentile a in­
teressarsi tanto di noi.»
L'8 giugno egli trovò Martha che confezionava un portacarte per suo
cugino Max Mayer, e concluse di essere apparso sulla scena troppo tardi.
Neanche due giorni dopo, però, essa fu deliziosa con lui: in un giardino,
a Modling, trovarono una mandorla doppia, quella che i Viennesi chia­
mano una Vielliebchen e che esige da ciascuno dei due che la trovano un
pegno sotto forma di regalo. Da quel momento fu chiaro che l'attrazione
144 Vita e opere di Freud

era vicendevole, e per la prima volta Freud osò sperare. Il giorno seguente
essa gli mandò un dolce fatto da lei, perché lo «sezionasse», e firmò il
biglietto «Martha Bernays», ma prima ancora di spedirglielo ricevette da
lui una copia del David Copperfteld, e perciò aggiunse qualche riga di
cordiali ringraziamenti, che firmò «Martha». Due giorni dopo, il 13 giugno,
mentre Martha era a pranzo in casa di lui, egli si impadronl di un bi­
glietto da visita di lei come ricordo, e, per dimostrargli di aver gradito il
gesto, essa gli premette la mano sotto la tavola, cosa che non passò inos­
servata alla sorella di Freud, che ne trasse le naturali conclusioni. L'indo­
mani, mercoledl, Martha gli scrisse di nuovo alcune righe che però egli
non ricevette fino a sabato, giorno del loro fidanzamento. Il giorno dopo
andarono a passeggio insieme ad Eli, e Martha -disse a Freud di aver colto
per lui a Baden un ramoscello di tiglio, che gli dette il sabato. Incoraggiato
dal sentir ciò, Freud, che aveva già ottenuto il permesso di scrivede ad
Amburgo ed il privilegio di chiamarla per nome, cercò di arrivare all'in­
timità del «tu», e perciò, tornato a casa, le scrisse la sua prima lettera,
che riportiamo per intero.

My sweet darling girl,6


non so ancora come far giungere queste righe agli occhi della cara fanciulla:
penso di fare in modo che le mie sorelle si mettano d'accordo con Eli affinché
il nostro incontro di sabato sia assicurato e questa lettera audace possa scivo­
lare di contrabbando. Eppure so che non posso fare a meno di scriverle che,
nei pochi momenti che saremo insieme non troverò l'opportunità e forse il
coraggio di parlarle di ogni cosa: dei piccoli intrighi e degli accordi che la
Sua lontananza renderà necessari. Cara Martha, come ha cambiato la mia vita!
Oggi in casa Sua, vicino a lei, era meraviglioso, ma non ho saputo ripren­
dermi e sfruttare i pochi momenti in cui Eli ci ha lasciato soli; mi sarebbe
parso di violare l'ospitalità che mi era stata accordata tanto cordialmente, e
vicino a Lei non vorrei commettere nessuna bassezza. Avrei desiderato che la
sera e la passeggiata non finissero mai. Non oso scrivere ciò che accadeva in
me. Non potevo credere che per mesi non avrei più rivisto le Sue care fattezze,
né posso credere che non correrò alcun rischio quando nuove impressioni sfio­
reranno Martha. Quanta speranza, quanti dubbi, quanta felicità e privazione
si sono condensati nel breve spazio di due settimane. Però da parte mia non
vi è più sfiducia: se avessi avuto il benché minimo dubbio, non le avrei mai
rivelato i miei sentimenti in questi giorni. Martha, riceverò le lettere di cui
parlava, non è vero?
Il fidanzamento (1882-1886) 145

Lei sta per partire e deve compatire che io Le scriva. Come faremo perché
nessuno se ne accorga? In primo luogo, per il bene della mia cara fanciulla,
e poi perché dovrei vergognarmi come un miserabile di ciò che tutti mi rim­
provererebbero come sventatezza e mancanza di giudizio. Tranne Martha, spero.
E poi so di non poter fare altrimenti: sono sotto l'incantesimo di Martha. Mi
è venuto in mente un piccolo piano: se una calligrafia maschile può sembrare
strana in casa di Suo zio, Martha potrebbe scrivere il suo indirizzo con la sua
tenera mano su un certo numero di buste, e poi io riempirei il prezioso invo­
lucro con un povero contenuto. Non posso vivere senza che Martha mi rispon­
da: ciò che ieri ci sembrava strano, oggi è una necessità vitale cui è doloroso
rinunciare. Ancora non so quale potrà essere il mio indirizzo.
Non ci siamo, non riesco a dire qui a Martha ciò che avrei ancora da dirle.
Mi manca il coraggio di finire la frase, la riga che lo sguardo o il gesto della
fanciulla negherà o permetterà. Mi permetterò di dire una cosa sola: l'ultima
volta che ci vedremo mi piacerebbe rivolgermi a colei che amo, che adoro,
con il «tu», ed avere la conferma di una relazione che forse dovrà essere
ammantata di segreto per molto tempo.
A che rischio mi metto, scrivendo questo! Se lo stato d'animo di Martha
non corrisponde al mio, quando leggerà queste righe prive di ogni ritegno,
riderà di me, o si ritrarrà seccata, e io dovrò aspettare un giorno lungo e fatale
prima di leggere nei suoi occhi ciò che fugherà i miei timori.
Ma io rischio, e poi non sto scrivendo a una sconosciuta, ma alla fanciulla
che posso chiamare il mio più caro amico .... solo da pochi giorni, è vero, ma
già attraverso innumerevoli legami di pensiero.
Che da amico voglia considerare questa lettera, La prego il Suo
dr. Sigmund Freud

Freud raccontò in seguito che la risposta a questa lettera piuttosto strana


era stata «una tenera stretta di mano sotto la tavola», 7 però nel diario
scritto una settimana dopo l'accaduto, la storia si svolge nel modo detto
prima. Quando egli rivide Martha a casa sua, il sabato, essa gli fece dono,
in risposta alla sua lettera, di un anello di suo padre, che sua madre le
aveva dato forse a quello scopo. Per lei l'anello era naturalmente troppo
largo, e Freud se lo mise al mignolo. In seguito ne fece fare una copia
più piccola per Martha, poiché la famiglia di -lei sapeva che essa lo pos­
sedeva, e Freud osservò che dopo tutto l'anello vero doveva essere quello
di Martha, dato che tutti la amavano. 8 Meno di un mese dopo, all'anello
di Freud accadde un incidente: «Ora ho una domanda tremendamente seria
Vita e opere di Freud

da porti. Rispondimi sul tuo onore e sulla tua coscienza: alle undici di
giovedi scorso ti è accaduto di amarmi 1neno del solito, o di essere più
irritata con me, o magari "falsa", come dice il poeta?' Il perché di questo
involuto scongiuro di cattivo gusto? Perché è una buona occasione di farla
finita con una superstizione. Proprio in quel momento il mio anello si è
spezzato nel punto in cui è incastonata la perla. Devo ammettere che il
mio cuore non ha tremato, e che non sono stato colto dal presagio che
il nostro fidanzamento finirà male, né dall' oscuro sospetto che proprio al­
lora- tu stessi cancellando la mia immagine dal tuo cuore. Un uomo sensi­
bile avrebbe provato tutto ciò, invece il mio unico pensiero fu che l'anel­
lo avrebbe dovuto esser riparato e che è difficile evitare incidenti come
questo.»10 Era accaduto che un chirurgo aveva affondato il bisturi nella
gola di Freud per eliminare una tumefazione tonsillare, e per il dolore egli
aveva battuto la mano sulla tavola. In quello stesso momento Martha non
era presa da niente di più peccaminoso che mangiare un pezzo di torta.
Quasi certamente l'anello si ruppe di nuovo un anno dopo, anche stavolta
per una faringite, sebbene più leggera, ma allora la perla andò perduta,
e dopo un altro anno Martha regalò a Freud un anello nuovo, sempre
con una perla. Si doveva giungere al dicembre 1883 prima che egli potesse
permettersi di dare un anello di fidanzamento a Martha, un anello liscio
con una granata.
Il sabato fatidico dopo il quale si considerarono fidanzati, e che non
dimenticarono mai, era il 17 giugno, ed infatti per vari anni festeggiarono
il 17 di ogni mese. Fu nel febbraio 1885 che per la prima volta si di­
menticarono di ricordarlo nelle loro lettere.
Freud rivide di nuovo Martha il giorno dopo, solo di sfuggita, tuttavia
sembra che non sprecasse quel poco tempo, poiché annotò di averle dato
più baci in quei due giorni di quanti ne avesse dati a tutte le sue sorelle
nei suoi ventisei anni di vita. La mattina dopo essa parti per Wandsbek,
un sobborgo di Amburgo, per trascorrere le vacanze da un suo zio, Elias
Philipps, mentre la madre e la sorella passavano le loro a Reichenau.
Quella separazione fu la prima di una mezza dozzina che essi avrebbero
dovuto provare.
La versione ufficiale che circolava in famiglia era questa: appena la
madre di Martha venne a sapere del fidanzamento, spedi immediatamente
sua figlia ad Amburgo perché vi rimanesse fino a quando le nozze potessero
aver luogo, e spiegando che se un fidanzamento deve essere lungo, è meglio
II fidanzamento (1882-1886) 147

che la coppia resti separata. La stessa signora Freud me lo raccontò press'a


poco in questi termini, e con un'aria di malcelata ammirazione per il con­
tegno risoluto di sua madre. Essa era effettivamente assai attaccata alla
mamma e ne subiva fortemente l'influenza, fatto che fece ben presto sorgere
grosse difficoltà con il suo innamorato. Per esempio, fin nei suoi ultimi
anni essa non riusd mai a leggere durante il giorno, perché - spiegava ­
sua madre l'aveva abituata a pensare che il giorno serviva per lavorare, e
la lettura era un riposo da riservarsi alla sera. Nel caso presente, però, la
memoria deve averla ingannata, poiché la sua partenza per Wandsbek non
avvenne che un intero anno più tardi, e per ragioni assolutamente indipen­
denti dal fidanzamento.
Nel frattempo quest'ultimo doveva restare un terribile segreto, e si do­
vevano prendere complicate precauzioni. Un vecchio amico di Martha, Fritz
Wahle, le cui lettere non avrebbero presumibilmente destato alcun sospetto
dato che era già fidanzato, appose l'indirizzo a un certo numero di buste,
però sul retro di ogni busta, nell'angolo s.uperiore destro, ei sarebbe stata
la lettera M. ad indicare la loro reale provenienza. Le lettere di Martha a
Freud invece, non dovevano raggiungerlo a casa, ma per mezzo dell'inser­
viente di laboratorio all'istituto di Briicke.
La personalità di Freud deve aver impressionato Martha fin dall'inizio
della loro conoscenza, tanto più che, con soddisfazione di Freud, essa tro­
vava in lui una certa rassomiglianza con suo padre. Da allora in poi è
evidente dalle sue lettere che essa lo amava veramente e profondamente,
eppure per lungo tempo Freud fu portato a dubitare dell'amore di lei, e
alla fine del loro fidanzamento le rimproverò quello che egli chiamava il
primum falsum della loro relazione, e eioè che egli si era innamorato di
lei nove mesi prima che essa si innamorasse di lui, che Martha lo aveva
accettato contro i propri gusti, e che egli aveva passato un periodo terri­
bile quando essa aveva cercato di amarlo senza riuscirei. L'unica cosa vera
in tutto ciò sembra il fatto che l'amore di Martha impiegò naturalmente
più tempo ad assumere quella forma appassionata con cui aveva divampato
immediatamente quello di Freud, ma era sempre difficile togliere un'idea
dal capo di Freud, una volta che vi si fosse insediata. In .una 'lettera del
9 aprile 1884 egli si riferiva a questo punto come all'unico errore da lei
commesso, ma due anni più tardi ammise che la maggior parte delle ra­
gazze quando dicono «s1» non sono veramente innamorate e lo divengo­
no solo in seguito.
Vita e opere di Freud

Naturalmente con gli intimi era difficile mantenere il segreto. Un paio


di giorni dopo il distacco da Martha, Freud si trovò in un caffè con un
gruppo di amici, e fu sulle spine per tema che i cinque che sapevano
(Fritz, Schonberg e i tre fratelli Fluss) rivelassero il segreto ai quattro che
non erano al corrente. Sua sorella Rosa gli chiese se fosse in corrispon­
denza con Martha, ma egli negò «come un uomo di Stato incanutito nel
dissimulare». Pochi giorni dopo, però, tre delle sorelle scoprirono in qual­
che modo la verità, e quindici giorni più tardi anche Anna lo seppe.
Sebbene la madre di Martha non avesse appreso la verità che vari mesi
dopo, pare che essa avesse qualche sospetto, poiché in luglio Freud osservò
in una lettera: «Tua mamma non gradirà molto le mie visite. Ha detto a
Minna che non le piace che ci incontriamo cosi spesso, perché diamo l'im­
pressione di trovarci anche troppo bene insieme. Tanto di cappello per la
sua perspicacia, ma il provvedimento arriva in ritardo, non è vero, cara?»
L'atteggiamento di Freud verso l'amata era ben lontano dalla semplice
attrazione: si trattava di una vera grande passion. Egli era destinato a
provare su se stesso la violenza del tremendo influsso dell'amore con tutti
i suoi rapimenti, timori e torture, e infatti l'amore suscitò tutte le passioni
di cui la sua natura era capace. Se un rovente apprendistato ha mai qualifica­
to un uomo a parlare autorevolmente dell'amore, quello è il caso di Freud.
Il giorno dopo la separazione da Martha, Freud temette di risvegliarsi
da ciò che forse era stato un ingannevole sogno di felicità, e non riusciva
a credere nella sua fortuna, ma una settimana più tardi si chiese perché,
una volta tanto, non avrebbe dovuto avere più di quanto meritasse. Non
aveva mai immaginato una simile felicità.
La caratteristica avversione di Freud per i compromessi, i sotterfugi e i
palliativi della verità piena, si estrinsecò in pieno in questa che fu la più
grande esperienza emotiva della sua vita. La loro relazione doveva essere
assolutamente perfetta, non si doveva tollerare la più piccola macchia. Tal­
volta sembrava quasi che il suo scopo più che l'unione fosse la fusione,
e un fine del genere, oltre ad essere umanamente impossibile, era destinato
ad incontrare degli ostacoli se veniva riferito ad una personalità ferma. Mar­
tha infatti, con tutta la sua dolcezza, non era· un modello di docilità e di
arrendevolezza. Nemmeno una settimana dopo la separazione ci fu il primo
timido accenno di Freud al suo intento, che non avrebbe mai realizzato,
di fonderla entro la sua immagine. Rimproverandolo per aver mandato un
regalo eccessivo, Martha gli disse con fermezza: «Non devi farlo», e questo
[lfidanzamento (1882-1886) 149

portò ad un immediato rimbrotto, seguito dal consueto rimorso per averl~


fatto. «Martha deve smetterla di dire cos1 categoricamente "Non devI
farlo": ora" non è più la figlia maggiore o la sorella maggiore: è diven­
tata piccola, un tesoro che ha solo una settimana di vita e che presto per­
derà ogni traccia di asprezza... Da parte mia è stato indegno. Ho osato
rimproverare una cara ragazza e non sono capace di dimostrare quale te­
nerezza arda in me allo stesso tempo.»
Ma presto arrivarono guai più grossi. La prima simpatia di Martha, prima
di conoscere Freud, era stato un suo cugino, un certo Max Marer di Am­
burgo. Era abbastanza per i primi fremiti di gelosia, ma una delle sorelle
di Freud li attizzò raccontandogli, un po' malignamente, con quanto en­
tusiasmo Martha avesse accolto alcune canzoni che Max aveva composto
e cantato per lei. Poi Max mandò in bestia Freud con l'osservare che
Martha aveva bisogno d'amore, e che perciò si sarebbe presto procurata
un marito! No, essa avrebbe preferito ributtare una perla in mare, se non
fosse riuscita a trovare un compratore che ne fosse degno. E cos1 venne il
giorno in cui fu proibito a Martha di rivolgersi a Max se non chiaman­
dolo Herr Marer.
Eppure Freud tormentava se stesso sempre più di chiunque altro. Anche
dopo questo primo banale episodio egli senti il bisogno di scrivere che
era ritornato sulle sue parole precedenti e che ne provava vergogna. «Si
può essere più pazzi di cosi, mi sono detto. Hai conquistato la più cara
ragazza del mondo senza il minimo merito da parte tua, e dopo solo una
settimana non sai far niente di meglio che rimproverarle di esser leggera,
e tormentarla con la gelosia. Colei che si ama non deve diventare una
bambola, ma una buona compagna, alla quale rimane ancora da dire una
parola dolce quando il severo padrone ha esaurito la sua saggezza. E invece
sto facendo di tutto per frantumare la sua sincerità, cosicché essa finirà
col tenere per sé le sue opinioni finché non sarà sicura delle mie. Il rim­
provero per la sua leggerezza mi sembra quasi più ingiustificato dell'altro
che le ho fatto. Quando una fanciulla come Martha mi vuoI bene, come
posso temere un Max Marer o un esercito di Max Mayer?.. Tutto ciò era
l'espressione del mio amore, rozzo, tormentato e profondamente radicato...
Ora me lo sono scrollato di dosso come una malattia... Il sentimento che
avevo per Max Marer proveniva dalla sfiducia che ho di me stesso, non
di te.» Ma tanta limpida saggezza non durò, e le nuvole si addensarono
ancora per molto.
ISO Vita e opere di Freud

Max fu ben presto messo in ombra da un personaggio più conturbante,


che stavolta non era un estraneo per Freud, ma addirittura un amico in­
timo, Fritz Wahle. Max era musicista e Fritz artista, fatto già inquietante
di per sé. Freud aveva le sue idee sulla loro tecnica di piacere alle signore,
e in particolare gli era stato detto una volta che Fritz godesse fama di
poter soffiare qualunque donna ad un altro uomo. «Penso che esista una
generica antipatia tra gli artisti e coloro che sono impegnati nei meandri
del lavoro scientifico. Si sa che essi possiedono, nella loro arte, una chiave
capace di aprire facilmente tutti i cuori femminili, mentre noi ci arrestiamo
impotenti davanti al bizzarro meccanismo della serratura, e dobbiamo innanzi
tutto tormentare noi stessi, prima di trovare la chiave giusta.»
Fritz era fidanzato con Elise, una cugina di Martha, ma per quest'ultima
era stato per lungo tempo un amico fraterno, e l'aveva guidata e incorag­
giata in vari modi. La loro era un'amicizia intima, sebbene apparentemente
priva di arrière-pensées, però - terribile dictu ..... c'era stata almeno un'oc­
casione in cui essa gli aveva permesso di darle un bacio. Non solo, ma
questo era successo proprio il giorno in cui Freud e Martha erano discesi
dal Kahlenberg tenendosi per mano, e in cui, non avendo intuito i senti­
menti di lui, essa si era schermita. Questo particolare penoso era stato rive­
lato più tardi a Freud dal suo amico Schonberg, dopo le sue insistenze
per conoscere il peggio, ma già da molto tempo egli aveva tribolato un
bel po'. La cosa cominciò quando Fritz affermò che la vecchia abitudine
delle sue passeggiate con Martha non sarebbe cambiata, affermazione che
la ragazza non sembrò smentire. :e sicuro che né Martha né Fritz prova­
vano un sentimento profondo uno per l'altro, e neanche Freud lo senti
in loro, sebbene trovasse indecoroso e incomprensibile il tono dei loro rap­
porti. Poi Schonberg osservò che il contegno di Fritz era bizzarro: nell'ap­
prendere il fidanzamento dell'amico era scoppiato in lacrime e da quel
momento, per quanto le lettere di Martha fossero affettuose, egli prese a
lagnarsi che essa lo trascurava e che le sue lettere erano fredde.
SchOnberg convocò i suoi due amici ad un colloquio in un caffè, allo
scopo di superare la questione e di cementare di nuovo la loro amicizia.
Fritz era arcigno e indubbiamente strano: minacciò di sparare a Freud e
poi di suicidarsi se Freud non avesse reso felice Martha. Freud, ancora
innocente, scoppiò a ridere, dopo di che Fritz disse con impudenza che
se avesse scritto a Martha di lasciare Freud, era sicuro di farsi obbedire.
Freud non lo prese sul serio neanche stavolta, e allora Fritz chiese penna
Il fidanzamento (J 882-J 886) ISI

e carta e scrisse sull'istante una lettera alla ragazza. Freud insisté per leg­
gerla e la lettera gli fece montare il sangue alla testa. Anche Schonberg
la lesse e ne restò ugualmente esterrefatto: la lettera conteneva gli stessi
«adorata Martha» e «amore immortale» di prima. Freud la fece a pezzi, al
che Fritz scappò via umiliato. Lo inseguirono cercando di farlo tornare in
sé, con l'unico risultato di farlo scoppiare in lacrime. Questo intenerl Freud,
i cui occhi si inumidirono. Afferrò il braccio dell'amico e l'accompagnò a
casa. Il mattino seguente però, subentrò un atteggiamento più duro, ed egli
provò vergogna per la sua debolezza. «Colui che fa salire le lacrime ai
miei occhi dovrà penare molto prima che io lo perdoni. Egli non è più
mio amico, e guai a lui se diventa mio nemico. Sono fatto di una stoffa
più dura di lui, e quando ci scontreremo si accorgerà di non essermi pari.»
E quanto alle intromissioni fra lui e Martha: «Guai a chi la tocca. l l Posso
essere spietato.»
Alla fine Freud si rese conto della situazione, sebbene Martha non avesse
accettato la sua opinione in proposito e protestasse che Fritz era soltanto
un vecchio amico. Ma per lui era ormai chiaro che Fritz era realmente in­
namorato di lei pU! senza esserne cosciente. «La soluzione del problema è
questa: .solo nella logica le contraddizioni non possono coesistere; nei sen­
timenti esse possono tranquillamente andare avanti una accanto all'altra.
Ragionare come Fritz significa negare metà della vita. Meno che mai si può
negare la possibilità di tali contraddizioni nei sentimenti degli artisti, gente
che non ha alcuna occasione di sottoporre la propria vita intima al con­
trollo della ragione.»12 Qui parlava il futuro psicologo. Per di più egli si
ricordava che Martha era stata allieva di Fritz, per cui ciò che nell'amico
sembrava debolezza di carattere era semplicemente una caratteristica di co­
loro che insegnano. «Bisogna guardare al passato, perché senza averlo com­
preso non è possibile godere il presente; né si può capire il presente senza
conoscere il passato.» In questa frase è contenuto un principio essenziale
della psicoanalisi.
Martha tuttavia non avrebbe avuto nessuna di tali spiegazioni. Non era
stato altro che una semplice amicizia, come del resto Fritz stesso assicurò
a Freud pochi giorni dopo, quando si rividero, ma forse l'inconscio di
Martha ne sapeva di più, perché essa se ne usd con la tipica risposta
della donna dolce all'innamorato sfortunato: abbi pietà di lui. Freud decise
che l'unica cosa da fare era di prendere in prestito, per amore o per forza,
il denaro sufficiente per andare à Wandsbek e ristabilire la turbata ar­
152 Vita e opere di Freud

monia, e cosI fece, arrivando il 17 luglio, loro «giorno di fidanzamento»,


e fermandosi dieci giorni. Questo fu il primo di una mezza dozzina di
vIaggI a Wandsbek. Nella lettera che annunciava il suo arrivo, aggiunse:

]ourneys end in lovers meeting

Every wise man's son doth know.

[I viaggi finiscono in incontri d'amore

Ogni figlio di uomo saggio lo sa.]

Tuttavia prima di partire passò momenti terribili. La minaccia di Fritz,


di ordinare a Martha di lasciarlo perché egli la tormentava, aveva fatto
nascere i suoi dubbi sull' ascendente che esercitava su di lei, e che aveva
forse sopravvalutato. Questo suscitò in lui un'enorme paura,13 e quando
arrivò una lettera di Martha, a rassicurare Fritz che la loro amicizia restava
intatta, Freud entrò in uno stato di frenesia, e cominciò a vagare ore intere
per le strade, di notte.
Prima che gli riuscisse di partire per Wandsbek, trascorse una settimana
un po' più tranquilla, ma ancora molto lontana dalla calma. Una lettera
del 7 agosto si apre con il seguente passo molto caratteristico: «Gli astro­
nomi ci dicono che le stelle che noi vediamo splendere ora, cominciarono
ad ardere centinaia di migliaia di anni fa, e che forse sono già in via di
estinzione mentre le guardiamo: tanto esse sono lontane da noi, ,persino
per i raggi luminosi Che viaggiano alla velocità di quarantamila miglia al
secondo, senza stancarsi! Mi è sempre riuscito difficile immaginare una cosa
del genere, ma lo trovo più facile ora, se penso che tu starai sorridendo
delle mie lettere affettuose nello stesso momento che i miei sentimenti sono
sconvolti dai dubbi e dalla pena, e quanto male ti farà forse la mia du­
rezza e la mia sfiducia mentre io sono pieno di una tenerezza che cerca
invano di esprimersi. Ci sono due modi di evitare questo controsenso. Uno
sarebbe di non esprimere alcun umore. che probabilmente durerà meno di
una settimana. L'altro è quello di esprimerlo comunque, conservando una
serenità che sia superiore ai tiri che ci gioca la vita. Il primo, quello di
risparmiarci i nostri sentimenti a vicenda, l'abbiamo scartato perché può
portare ad estraniarci, e quindi dobbiamo seguire il secondo. Pensa un
po': metà del tempo che passa fra la mia domanda e la tua risposta ­
anche di più, sessantaquattro di queste novantasei ore - è talmente assor­
bito da pensieri strazianti su di te, che'alla fine un poveraccio non arriva
Il fidanzamento (1882-1886) 153

più a distinguere un' ora da un mese o da un anno. Pensa un po' quanto


ci debbono sembrare vuoti, e quindi brevi, tutti i millenni di cui noi non
abbiamo notizia, e poi dovrai ammettere anche tu che il ritardo nei feno­
meni che interessano gli astronomi non è molto maggiore di quello che
ha gravato tra di noi da quando sei in vacanza a Wandsbek.»
Nel progetto del viaggio a Wandsbek la necessità di mantenere il se­
greto presentò notevoli difficoltà. Freud pensava di ingannare Eli, dicen­
dogli che sarebbe andato per una gita in quella che eufemisticamente veniva
chiamata Svizzera sassone, ma minacciava di piovere,cosa che avrebbe tolto
plausibilità alla sua scusa. A Wandsbek, dov'egli si fermò all'Hotel della
Posta, sorse il problema di .incontrare Martha senza che i genitori di lei
si accorgessero della sua presenza là. Egli chiese di un' amica di Martha,
tenendo pronto un nome falso nel caso che essa non lo ricevesse amiche­
volmente, e certo si sarebbe messo anche una barba finta se non l'avesse
avuta vera. Passarono giorni di disperazione prima che Martha riuscisse ad
organizzare un appuntamento nella Piazza del Mercato di Amburgo. Come
essa diceva: «Per queste cose le donne sono più brave degli uomini.» Quei
pochi incontri furono molto felici, e al suo ritorno a Vienna Freud scrisse
che ora si sentiva rianimato per un centinaio d'anni.
Fu probabilmente in quel periodo che egli propose a Martha di consi­
derarsi come fidanzati per un periodo di prova di un anno, ma essa escluse
l'idea con un'unica parola: «Pazzia.» Era stato certamente un trucco per
metterla alla prova, ed egli disse in seguito che se si fossero mantenuti cosi
freddi e ragionevoli, si sarebbero senza dubbio separati per sempre dopo
una settimana.H
La felicità riconquistata, però, non durò molto. Poco più di una setti­
mana dopo il suo ritorno egli dovette confessare che i rimproveri mossi a
Martha non erano stati del tutto obiettivi come aveva ritenuto - allora si
era ingannato -e che era realmente geloso. Altro che, se lo era! Conobbe
tutte le torture della più tremenda gelosia. Nei momenti lucidi si rendeva
conto che la sua mancanza di fede nell'amore di Martha derivava proprio
dalla sfiducia nella sua propria capacità d'amare: la quale, però, in tal
modo non faceva che peggiorare. Egli era del tutto privo del fascino sulle
donne che avevano Max e gli altri artisti, e avrebbe dato la mano destra
per non essere ossessionato dal pensiero che Max e Fritz le erano stati
cari e che egli non sarebbe mai giunto a rimpiazzarli. Era la pena che
andava pagata per l'indifferenza verso le donne che aveva mostrato in gio­
154 Vita e opere di Freud

ventù, ma la sofferenza era tale che non gli sarebbe costato nulla lasciar
cadere la penna e immergersi nel sonno eterno. Il giorno seguente alla di­
sperazione subentrava il furore: «Quando mi è tornato il ricordo della tua
lettera a Fritz e del nostro gior'lo sul Kahlenberg, ho perso ogni controllo,
e se avessi potuto distruggere il mondo intero, noi compresi, per farlo
cominciare di nuovo - anche a rischio che Martha e io non fossimo creati
un'altra volta - l'avrei fatto senza esitare.»
Un paio di settimane dopo egli scrisse del suo odio per Fritz, che pure
in altre circostanze avrebbe potuto amare. Essa non avrebbe mai dovuto
tentare di tenerli entrambi, il ricordo di ciò sarebbe sempre rimasto troppo
penoso. Al· ritorno di Martha a Vienna, 1'11 settembre, risultò da qualche
indizio che Fritz non si era ancora deciso a rassegnarsi al nuovo stato di
cose. Schonberg intervenne e tentò di affrontare con franchezza !'intera
situazione in una lettera a Martha. Anche Freud le disse che avrebbe siste­
mato la cosa con Fritz in modo definitivo, a meno che essa non avesse
respinto i minimi approcci da parte di lui. I primi colloqui però non
furono soddisfacenti: Martha era evasiva e silenziosa. Era un peccato ro­
vinare quei pochi momenti belli che potevano passare insieme, ma Freud
era duro come il sasso, e alla fine essa fu d'accordo con lui a proposito
di Fritz. Se in quell'occasione essa non l'avesse fatto - disse in seguito
Freud più d'una volta - si sarebbero separati.'16 Fritz non dette più alcun
fastidio, ma la ferita fu lenta a rimarginarsi e anc~ra tre anni dopo Freud
definiva «indimenticabile» quel penoso ricordo.
Il posto di Fritz fu preso da due rivali ancora più difficili, della stessa
famiglia di Martha: suo fratello e sua madre. Bisogna presentarli. Eli
Bernays, di un anno maggiore della sorella, era uno degli amiconi di
Freud, e aveva una natura generosa e il dono di fare regali appropriati.
Freud conservò gelosamente la copia della Dichiarazione d'Indipendenza
Americana che gli era stata regalata da lui, e l'appese sul suo letto in
ospedale. Era attaccatissimo ad Eli prima della rottura, e in seguito disse
che gli era costato «uno sforzo enorme» arrivare a tanto. Eli era di gran
lunga il migliore di tutti, in entrambe le famiglie: pubblicava un giornale
d'economia ed era un uomo d'affari scaltrito. Dopo la morte del padre,
nel 1879, egli mantenne interamente la madre e le due sorelle, e dopo il
suo matrimonio con Anna Freud, aiutò pure la famiglia della moglie. Egli
ebbe della vita una visione meno austera di quella di Freud, che lo con­
siderava un po' come un bambino viziato - il figlio maggiore e l'unico
Il fidanzamento (1882-1886) ISS

maschio sopravvissuto della famiglia - proprio come lo stesso Freud era


stato nei primi dieci anni di vita. Questo concetto era però sicuramente
erroneo.
Isaac, il fratello morto a diciassette anni, quando Eli ne aveva dodici, era
stato il prediletto della madre, che trattava Eli piuttosto duramente: sembra
anzi che alla morte del padre ci fosse stata una certa rivalità su chi dovesse
diventare il capo della famiglia. Ma Eli fece sempre il suo dovere con
la madre, molto scrupolosamente. Egli amava le due sorelle, specialmente
Martha, e faceva per loro tutto ciò che poteva. Quando Martha dovette
tornare a Vienna, nel settembre 1882, Eli andò fino ad Amburgo per ac­
compagnarla a casa, e Freud si allarmò, temendo che Eli scendesse allo
stesso albergo di Wandsbek nel quale si era fermato egli stesso poco
tempo prima, e che potesse quindi scoprire il suo nome sul registro. Per
fortuna però, Eli preferì un albergo più comodo, in Amburgo.
La madre di Martha, Emmeline Bernays nata Philipp (13 maggio 1830 ­
26 ottobre 1910) era una donna intelligente e di fine educazione: la sua fa­
miglia era venuta dalla Scandinavia ed essa ricordava ancora lo svedese.
Come il marito, essa osservava strettamente le regole del giudaismo orto­
dosso, ed i suoi figli erano stati educati allo stesso modo. Questo era già
un serio motivo di attrito, perché Freud non aveva nulla in comune con
tutto ciò, e disprezzava quanto per lui era solo superstizione. Senza curarsi
dei sentimenti di sua madre, il sabato, in cui era proibito scrivere, Martha
soleva vergare una lettera a matita, in giardino, piuttosto che servirsi di
penna e inchiostro in presenza di sua madre. Questo genere di cose irri­
tava fortemente Freud, che accusava Martha di debolezza per non sapersi
opporre alla madre. «Eli non s'immagina che razza di pagano farò di te»
fu un rilievo che egli fece subito e che ebbe un completo successo quanto
ai lati pratici della vita. Nell'alludere per la prima volta alla madre di
Martha, Freud disse: <~ affascinante, ma estranea, e tale resterà sempre
per me. Cerco in lei qualche somiglianza con te, ma non ne trovo. La sua
cordialità ha un'aria di condiscendenza, ed essa esige ammirazione. Prevedo
più di un'occasione in cui mi renderò sgradito a lei, e non intendo evi­
tarla. Una di queste è il fatto che essa stia cominciando a trattare male
mio fratello minore, al quale voglio molto bene; un'altra è la mia deter­
minazione che la salute della mia Martha non debba soffrire per essere
sottoposta ad una devozione e ad un digiuno privi di senso.» Le due cose
di cui egli si rammaricava di più nella signora Bernays, erano innanzi tutto
156 Vita e opere di Freud

la sua compiacenza e il suo amore per la vita comoda, che contrastavano


con la passione di Freud di affrontare e risolvere le situazioni, e in secondo
luogo il rifiuto da parte di lei di rassegnarsi all'età che aveva e di ante­
porre ai suoi gli interessi dei figli, come invece la madre di Freud aveva
sempre fatto. Essa restava il capo della famiglia, al posto del padre, e
secondo Freud questo era un atteggiamento troppo mascolino, al quale egli
reagiva evidentemente in modo negativo. Schonberg, come pure Freud, lo
considerava puro egoismo.
:e chiaro che Freud andava in cerca di guai, e se non ne trovava, se li
creava. Nella vita di Martha, e in ogni caso nel suo affetto, non doveva
esserci nessun altro maschio al di fuori di lui, postulato nel quale egli
sembrava aver incluso anche la madre di Martha. L'atteggiamento della
fanciulla nei riguardi della mamma era improntato a devozione e a rigida
obbedienza: per lei la risoluta volontà materna non era egoismo, ma qual­
cosa da ammirarsi senza discutere. Sua sorella Minna, invece, era molto
franca nelle sue critiche alla madre, e questo stabili il primo legame tra
lei e Freud. Egli definl nettamente il contrasto con acume psicologico: «Tu
non l'ami molto e sei con lei quanto più possibile ossequente; Minna
l'ama, ma non la risparmia.»
In quel periodo, luglio 1882, Eli risiedeva dai Freud, altro segno di
intima amicizia tra le due famiglie. le Egli si comportava cosI amichevol­
mente e con tanta gentilezza, che Freud provava una certa vergogna per
il gran segreto che gli teneva nascosto. Ma perfino allora, a soli quindici
giorni dal fidanzamento, egli notò che Eli era destinato a divenire «il suo
rivale più pericoloso», e poche settimane dopo il giovane verso il quale
aveva provato tanta amicizia gli era divenuto «insopportabile».
L' «occasione» in questo caso si presentò subito. Alexander, che aveva
allora sedici anni, era stato messo da Eli ad apprendere qualcosa di ciò
che sarebbe divenuto più tardi il suo futuro campo di lavoro, e come era
abituale a quei tempi, all'inizio non fu pagato. Dopo nove settimane Freud,
che aveva altre ragioni per farlo, spinse il fratello a chiedere uno stipendio,
e ad abbandonare il posto in caso di rifiuto o solo di ritardo. Eli promise
di pagarlo a partire da gennaio, cioè dopo due mesi, e Alexander, obbe­
diente, lasciò il posto. Eli restò male e si lagnò con Freud, il quale replicò
nel suo caratteristico modo, senza compromettersi. L'altro riferì questa du­
rezza di Freud alla propria madre, che naturalmente si schierò dalla parte
del figlio. Martha, con la quale Freud discusse ogni aspetto della cosa, fu
Il fidanzamento (1882-1886) IS7

dalla sua, sebbene le dispiacesse l'asprezza del comportamento di lui. Freud


disse in seguito che se non si fosse comportata cos1 avrebbe rotto con lei,
tanto fortemente egli sentiva di essere nel giusto. Martha era però molto
afflitta dal pensiero di uno screzio tra la sua famiglia e Freud, e gli chiese
di fare qualche passo per sanare la situazione. Benché gli costasse eviden­
temente molto, egli fece lo sforzo richiesto e mandò a Frau Bernays una
spiegazione del suo atteggiamento in una lettera (25 ottobre), che, sebbene
strappata in pezzi - probabilmente dalla madre adirata -, è stata conser­
vata. Dopo alcuni sperticati complimenti egli si addentrava faticosamente
in ogni aspetto della questione, incurante dei sentimenti di lei. Come sforzo
di diplomazia, arte in cui Freud non eccelse mai, poteva considerarsi vera­
mente infelice.
Questo incidente, comunque, si cancellò con il passar del tempo. Eli,
che era un «partito»· invidiabile, e godeva di una posizione sociale e finan­
ziaria migliore di chiunque altro della famiglia di Freud, corteggiava la
sorella maggiore e si fidanzò con lei subito dopo la fine dell'anno. Freud
ne fu molto contento e si strinse d'amicizia con Eli, riconoscendo che doveva
essere una persona per bene se sposava una ragazza senza un soldo mentre
avrebbe potuto ottenere molto di più. Questa notizia, insieme all'atmosfer~
natalizia che regnava nella famiglia, fu forse la ragione che spinse la nostra
coppia a confessare il segreto alla Mamma, ciò che i due giovani fecero il
26 dicembre, regalandole allo stesso tempo il Lied von der Glocke di Schiller.
Non è dato sapere come essa prese la cosa, ma da alcuni indizi pare che
passò molto tempo prima che essa potesse mandar giù la scelta di Martha,
di un corteggiatore senza mezzi e senza prospettive, e che per di più non po­
teva riuscirle simpatico per le idee sulla religione diverse dalle sue.
In una lettera a Minna il 22 gennaio Freud scrisse: «Ammettiamo
francamente di esser stati ingiusti con Eli. In tutte le faccende impor­
tanti egli si dimostra comprensivo e di larghe vedute,»
Nell'ottobre precedente Frau Bernays aveva annunciato la sua intenzione
di tornare a vivere nella sua vecchia città natale, Wandsbek, vicino ad
Amburgo. Essa non aveva mai amato Vienna, e poi non era nei migliori
rapporti con suo figlio, quindi questa decisione non aveva niente a che
fare con la separazione dei due fidanzati. Martha pensò che riveiarle il
fidanzamento sarebbe forse valso a farle cambiare idea, ma riflettendo con­
siderò che sua madre era già al corrente del fidanzamento di Minna con
un viennese, eppure ciò non aveva modificato la sua decisione. Perciò si
158 Vita e opere di Freud

trattenne e conservò il segreto ancora per un po'. I due giovani però non
sembravano aver preso molto sul serio l'intenzione della Mamma: era
troppo spaventoso pensarci. In gennaio essi cominciarono a scrivere il
racconto del loro fidanzamento, da leggersi nel tempo avvenire, su quello
che essi chiamavano il Diario Segreto (Geh~ime Chronik) perché, trovan­
dosi nella stessa città, sarebbero rimaste ben poche lettere a ricordare, in
futuro, quei giorni emozionanti.
Scrivevano alternativamente, e ne venne fuori qualcosa di mezzo tra un
diario e una confessione. L'esordio di Freud conteneva il passo seguente:
«Chiusa in me c'è una carica di coraggio e di ardimento che non è facile
deviare o eliminare. Quando mi esamino da vicino, più da vicino di quanto
faccia la mia amata, mi accorgo che la natura mi ha negato molti doni e
non mi ha concesso molto, anzi assai poco, di quel genere di talento che
non si può fare a meno di riconoscere. Però essa mi ha dotato di un
intrepido amore della verità, dell' occhio penetrante del ricercatore, di un
giusto senso dei valori della vita, e del dono di lavorare sodo pur provan­
done piacere. Ce n'è abbastanza perché io possa riuscire a sopportare la
mia meschinità sotto altri aspetti... Ci appoggeremo uno all' altro in questa
vita, che è tanto chiara nelle mete immediate ma tanto incomprensibile nel
suo scopo finale.» Essi solevano studiare insieme la storia e la poesia «non
per abbellire la vita, ma per viverla»Y
Nel marzo 1883 l'ostilità di Freud verso Eli si riaccese e fu più forte di
prima. La disapprovazione che egli nutriva per lui a quell'epoca, le cui
ragioni non possiamo qui esporre, persistette fin dopo il matrimonio di
Freud, e Martha venne in un certo senso a condividerle. La sua stizza fu
accresciuta dal fatto che Eli appoggiava la decisione della Mamma di par­
tire per Amburgo. Per anni i due vecchi amici non si parlarono. Freud
non andò al matrimonio di Eli con sua sorella Anna, nell'ottobre del 1883,
sebbene questo accadesse in parte perché non amava le manifestazioni uffi­
ciali. Fu una faccenda in abito di gala, e accompagnata da cerimonie che
Freud descrisse (per sentito dire) come «semplicemente disgustose»; allora
non pensava che sarebbe venuto anche per lui il momento di sottoporsi
alle stesse cerimonie.
Diciotto mesi dopo, mentre usciva di casa incontrò Eli che veniva a
far visita; si inchinarono a vicenda senza dire una parola. Poi Freud, ap­
profittando dell' assenza di Eli, andò da sua sorella a felicitarsi con lei per
la nascita del primo figlio. Le disse chiaramente, tuttavia, che non doveva
Il fidanzamento (1882-1886) IS9

considerare questo gesto come segno di una riconciliazione con suo marito.
Nel 1892 Eli andò negli Stati Uniti per studiare le prospettive che
potessero essergli offerte, e l'anno seguente portò con sé la moglie per sta­
bilirsi a New York. A quell'epoca l'antipatia di Freud aveva perso tutta
la sua precedente intensità. Non solo aiutò il cognato nelle difficoltà eco­
nomiche dell' emigrazione, ma tenne in casa sua per un anno uno dei due
figli di lui, Lucie, finché le cose nella nuova patria si furono assestate. Per
il resto della vita i due uomini rimasero in termini abbastanza amichevoli.
Il senso della famiglia sopravvisse, e anni dopo Freud accettò l'offerta di
suo nipote, l'ottimo Edward L. Bernays, di tradurre e adattare per la
pubblicazione in America le Conferenze introduttive (The Introductory
Lectures).
Nel frattempo, come risultato della rottura, Freud non si curò più di
frequentare la casa di Martha, e per due mesi essi si incontrarono solo
per le strade o nell'affollato appartamento della famiglia Freud. Queste
spiacevoli circostanze cambiarono solo quando, dal primo maggio, egli ebbe
per sé una stanza all'ospedale, dove allora essa gli fece spesso visita. Più
gravi furono invece le richieste che egli le fece. Essa doveva rinunciare
alla sua passione di stare in buoni rapporti con chicchessia, nella lite con
suo fratello e sua madre doveva sempre prendere le parti di lui, doveva
insomma riconoscere di non appartenere più a loro, ma a lui solo; doveva
rinunciare a loro e anche ai suoi «pregiudizi religiosi» in senso lato. Mar­
tha non poté far altro che incassare e sperare in tempi più calmi. Ma
questo atteggiamento di silenzio e di «evasione» era proprio il più adatto
per irritare Freud: egli preferiva· di gran lunga discutere le cose in con­
flitto aperto.
Il progett6 della Mamma di partire per Amburgo cominciò a maturare.
Schonberg protestò violentemente con la sua fidanzata Minna per il fatto
che essa gli veniva strappata, ma invano: chiamare la Mamma una vecchia
egoista non ebbe alcun effetto. Eli incoraggiava l'idea di sua madre, pen­
sando naturalmente che in sua assenza avrebbe goduto di una maggiore tran­
quillità. Le suppliche e le proteste di Martha non furono cosI energiche
c~me. Freud avrebbe voluto - altra fonte di disaccordo - ma per lei i de­
Sideri della Mamma erano legge. Alla fine la partenza ebbe luogo, e il
17 giugno 1883 Freud fu separato da Martha per la seconda volta e con
un futuro del tutto imprevedibile davanti a loro. La Mamma cercò di cal­
marlo dicendogli che esse stavano andando ad Amburgo al solo scopo di
160 Vita e opere di Freud

vedere come si sarebbero trovate, per poi decidere in un secondo tempo


se sistemarvisi definitivamente. Freud si riferì spesso in seguito a que­
sto «inganno».
Egli aveva sofferto per tema che la delicata salute di Martha, il suo pal­
lore e le occhiaie potessero derivare dai suoi ardenti abbracci nelle insoddi­
sfacenti circostanze dei loro incontri occasionali. 18 Era il primo spunto di
ciò che egli avrebbe poi descritto come la nevrosi ansiosa delle coppie inna­
morate. Però la totale separazione determinata dalla partenza di Martha per
Amburgo colpì lui più fortemente di lei. La sua situazione a quel tempo era
indubbiamente squallida: non aveva ancora cominciato nessun lavoro di
ricerca che potesse facilitare i suoi progetti professionali e matrimoniali,
le preoccupazioni famigliari erano schiaccianti,19 e ora veniva privato per­
fino dell'unica consolazione che lo confortasse, e cioè il condividere le sof­
ferenze nei discorsi con Martha. La sua disperazione s'univa al risentimen­
to verso la madre e il fratello di lei, che non avevano preso in conside­
razione i suoi interessi, e verso la stessa Martha che non lottava con più
energia. Il mese che seguI fu pieno d'amarezza da parte sua, di sbalordi­
mento da quella di lei, e della reciproca incomprensione, abbastanza fre­
quente in simili casi, ma che l'intensa natura di Freud aggravava, portan­
dola a un livello di pura tragedia. In questa breve sintesi è veramente
difficile dare un'idea di questo tono tragico, tanto caratteristico delle emo­
zioni di Freud in quel periodo della sua vita, senza riportare un numero
considerevole di lunghe lettere, cosa impossibile per molte ragioni.

L'impressione che i dissensi e l'amarezza riempissero la maggior parte


della sua corrispondenza sarebbe tuttavia molto fallace. Al contrario va
sottolineato che, indipendentemente dal contenuto giornaliero delle lettere,
i brani che esprimono la massima devozione, una squisita tenerezza e una
profonda, mutua comprensione costituiscono il tratto principale, e sono
di gran lunga più numerosi di quelli amari. Sono brani sui quali non ci
pare opportuno dilungarci qui: del resto, come avviene nello studio di una
personalità, sono i conflitti che più attirano l'attenzione e sono passibili di
rivelarne qualcosa.
Abbiamo fin qui enumerato tutte le cause esterne di disaccordo, ma se è
vero che di tanto in tanto vi faremo allusione, d'ora in poi dovremo oc­
cuparci delle cause interne, più importanti. Naturalmente le une e le altre
erano legate a vicenda. L'attrazione amorosa deriva dalle differenze di tem­
Il fidanzamento (1882-1886) 161

peramento tra. due persone, altrettanto che dalle loro analogie, e forse in
special modo nei casi come questo, in cui l'attrazione assume una forma
particolarmente intensa e appassionata. Tra Freud e Martha esistevano nette
differenze di temperamento, e fu un notevole trionfo, da entrambe le parti,
che si fosse infine raggiunto tra di loro un modu.I vivendi ben riwcito.
Il temperamento di Martha, essendo il più normale, è il più facile a
descriversi. Essa si sentiva sicura del suo amore, e quindi chiedeva poco
per rassicurarsene, cos1 come non aveva alcuna ragione, interna o esterna,
di essere gelosa. Essa riconosceva la necessità di un reciproco adattamento,
su una linea che spettava all'uomo decidere. La difficoltà con la quale essa
riusciva ad attuare le desiderate modi.fi.cazioni di alcuni suoi atteggiamenti
la turbava e faceva impazzire l'impaziente Freud. Questo le fece anzi du­
bitare, talvolta, di meritare di sposarlo. Anche più spiacevoli, però, erano
le occasioni in cui le critiche di lui le sembravano ingiusti.fi.cate, e le sue
richieste irragionevoli o almeno tali da non poter essere soddisfatte da lei,
e ciò portò a tante situazioni piene di confusione e di perplessità, che ri­
chiesero tutta la diplomazia di Martha. Alla fine essa ne uscl con successo,
ma solo dopo aver attraversato parecchie crisi nelle quali si sent1 portata
al limite della resistenza. La sua prima risposta istintiva a tali richieste
avveniva sulla linea di ciò che Freud chiamava la tipica debolezza mater­
na, qualità che egli disprezzava cordialmente, e che in sostanza consiste,va
nella attitudine alla rappaci.fi.cazione. La madre di Martha prendeva sempre
la via più facile, qualunque cosa potesse costarle: l'evasione dal. tema in
discussione o magari anche la mancanza di sincerità. Di Martha non si po­
trebbe dire proprio lo stesso, ma certo c'era tanto di sua madre, in lei,
da farle preferire l'armonia ogni volta che fosse possibile, e in caso con­
trario, da consentire educatamente a dissentire dal suo antagonista. Essa
però possedeva in più, nella sua personalità, qualcosa di molto tenace e ar­
dente, e se veniva ridotta in una situazione senza via d'uscita (arte nella
quale Freud era maestro), poteva resistere con una tenacia perfino maggiore
di quella di lui.
Il risultato di tutto ciò fu che, sebbene Martha si lasciasse largamente
influenzare sotto molti aspetti - compreso quello delle abitudini religiose
ortodosse - in tutte le questioni personali più importanti essa si dimostrò
più forte di Freud e non perse terreno. La sua costanza e fermezza, insie­
me al suo amore incrollabile, la portarono felicemente alla meta. Quanto
a Freud, del resto, egli abbaiò sempre più di quanto mordesse, e se mi è

6 -I
Vita e opere di Freud

lecito continuare con le metafore, la sua era una mano di velluto in un


guanto di ferro. Dopo uno scoppio di ira, fredda, dura, e che apparente­
mente non accennava a diminuire, con un'asprezza che non poteva essere
mitigata, arrivava sempre, dopo qualche giorno di tormento, il momento
in cui si addolciva - il pensiero delle lacrime di lei ne era causa immediata,
e allora poteva vedere le cose in proporzioni più giuste. La sua innata
bontà finiva sempre per imporsi.
Oltre alla maggiore intensità delle sue emozioni, il temperamento di
Freud differiva da quello di Martha sotto molti aspetti. Essa aveva il de­
siderio, naturale per la donna, di essere amata, ma si sentiva sicura del
fatto che sarebbe stata appagata. Egli, da parte sua, provava non solo que­
sto desiderio o bisogno più fortemente di quanto avviene di solito per gli
uomini, ma anche la perpetua incertezza che esso venisse esaudito. Era
perciò torturato da periodiche crisi di dubbio circa l'amore di Martha per
lui, e ne sollecitava la continua rassicurazione. Come di solito accade, poi
escogitava prove speciali per mettere alla prova la situazione, alcune delle
quali erano inopportune e perfino irragionevoli: la principale era la richie­
sta di una completa identificazione dell'amata con se stesso, le sue opi­
nioni, i suoi sentimenti e le sue intenzioni. Martha non sarebbe stata vera­
mente sua finché egli non avesse potuto percepire in lei la sua «impronta»,
senza la quale non si sarebbe potuto mai dire perché essa fosse fidanzata.
Appena un anno dopo egli espresse la sua gioia per la resistenza che essa
aveva offerto, malgrado il dolore che ciò gli aveva procurato allora, poi­
ché la sua stima della «compatta» personalità di lei gliela aveva resa più
preziosa che mai.
Finché i loro interessi erano identici, Martha superava molto bene la
prova, ma quando si trattava di sopraffare o di negare i suoi modelli di
vita, essa li difendeva come suoi. La possessività, l'esclusività dell' affetto,
l'assoluta fusione di atteggiamenti verso gli estranei: tutto ciò cozzò invano
contro la «compatta» personalità di Martha, finché giunse il momento in
cui egli fu contento di aver perduto. Dopo tutto, l'ultima cosa che voleva
era una bambola, sebbene cercasse a tutti i costi qualcuno con cui spartire
le sue battaglie.
La richiesta che turbava maggiormente Martha era il fatto che essa non
dovesse semplicemente criticare in modo oggettivo sua madre e suo fra­
tello e abbandonare le loro «pazze superstizioni», cosa che fece, ma che
dovesse altresl ritirare il suo affetto da loro ~ e questo perché essi osteg­
Il fidanzamento (I 88z-1 886)

giavano Freud. Insomma essa doveva condividere l'odio di lui verso di


loro, e se non lo faceva voleva dire che non lo amava veramente. Tutto
ciò ricorda la classica situazione infantile per cui un fanciullo spera, o
magari chiede, che sua madre condivida la sua opposizione verso il padre.
Naturalmente Freud aveva più di una ragione per considerare Eli e sua
madre come suoi oppositori: infatti essi gli avevano strappato la sua fidan­
zata, e probabilmente egli intuiva che in tal modo la madre di lei acca­
rezzava la speranza di distogliere sua figlia dall'attaccamento per un giova­
ne indesiderabile e indegno di lei. Non era lontano dal vero quando la
chiamava «nemica del nostro amore». Un anno dopo egli mandò alla
Mamma una dura lettera, nella quale sfogò in parte i suoi sentimenti. A
Martha però scrisse: «Molta più rabbia l'ho messa in fresco, e un giorno
o l'altro gliela servirò. Sono giovane, tenace e attivo, e pagherò tutti i
miei debiti, questo compreso.» Anche questa però era una guasconata, poi­
ché neanche un mese dopo, quando andò a Wandsbek, si mostrò in buoni
termini con la Mamma, e tale rimase poi per sempre. Il Natale successivo
le mandò persino un regalo.
Era troppo chiedere a una figlia affezionata di ripudiare del tutto la
propria madre, e Martha non acconsentI mai a farlo, cos1 come, pur essen­
dosi raffreddata nei riguardi di Eli, non dimenticò mai che era suo fra­
tello e che gIi doveva molto. Essa tenne testa a Freud, malgrado le insisten­
ze di lui, che si alternavano a requisitorie infuocate. Poche donne avreb­
bero mantenuto la calma in circostanze altrettanto difficili e sarebbero riu­
scite, come essa fece, a conservare l'affetto del loro innamorato.
Di solito le coppie di fidanzati e anche di sposi attraversano la fase del
reciproco adattamento in maniera automatica, guidati dagli eventi del mo­
mento e senza riflettere a ciò che sta effettivamente accadendo loro. Freud
viceversa si rese conto fin dall'inizio che essi avevano davanti a loro un
compito ben definito, e il suo piano per affrontarlo fu quasi sistematico:
«Risparmiarsi a vicenda non può portare che ad estraniarsi. :e inutile; le
difficoltà, se ci sono, vanno affrontate.» Il suo odio delle mezze misure
e la sua determinazione a sondare la verità fino all'estremo limite, per
quanto remoto, devono essersi fusi con il lato aggressivo della sua na­
tura, in modo da produrre un insieme cui era molto difficile contrapporsi.
Egli trovava persino seccante il non poter trovare nell' altro niente di storto
da raddrizzare. La via seguita da Martha, di evitare i contrasti spiacevoli,
poteva quindi avere come unico risultato quello di separarli. Queste sono
Vita e opere di Freud

le osservazioni che è possibìle trarre dai primi due mesi del fidanzamento.
Nella vita amorosa di Freud tutto sta ad indicare una notevole riser­
vatezza, e si può forse dire che c'era qualcosa da tenere accuratamente
protetto, e che si poteva liberare e lasciare espandere solo in condizioni
molto favorevoli. Si ha l'impressione che persino nei suoi rapporti con la
donna che tanto amava egli avesse spesso bisogno di esprimere una certa
durezza o una critica negativa, prima di azzardarsi a liberare i suoi senti­
menti affettuosi. In lui la gentilezza interiore e l'amore erano spesso co­
perti da uno strato più duro, tale da poter trarre in inganno chi lo osser­
vava, ispirandogli una falsa impressione della sua natura. Verso la fine
del suo fidanzamento egli disse a Martha di non averle mai mostrato il
suo Iato migliore, e forse in tutta la sua forza esso non venne rivelato
mai. Quello che Martha indovinò, tuttavia, fu sufficiente a darle una fi­
ducia incrollabile che con lui l'amore l'avrebbe avuta vinta in ogni situa­
zione emotiva complessa, e ciò fu per lei un conforto sicuro nelle prove
che dovette superare.
Naturalmente, il primo periodo del fidanzamento fu la parte più diffi­
cile del reciproco adattamento; dopo diciotto mesi o giù di lì la maggior
parte di esso era stata realizzata, ma anche dopo ci furono a volte rica­
dute abbastanza serie. I nove mesi durante i quali essi rimasero insieme
a Vienna, prima della lunga separazione, non furono molto felici, mal­
grado parecchi momenti meravigliosi. Infatti, prima di sentirsi a suo agio
con lui, Martha era probabilmente un po' spaventata dal suo autoritario
corteggiatore, e di solito soleva rifugiarsi in un silenzio che Freud trovò
sempre molto stancante combattere. Egli diventava a sua volta rude e per­
fino pungente, e passava molto tempo prima che riconquistasse la fran­
chezza di vincere le resistenze di lei con dimostrazioni d'affetto. Tutto
ciò che egli conquistò nella sua vita fu raggiunto per la strada più diffi­
cile, e questo accadde sempre per la sua felicità.
Un'altra ragione della grande esigenza di Freud circa la perfezione del
loro reciproco adattamento era questa: egli aveva investito in Martha - o
piuttosto aveva percepito in lei ~ le migliori qualità di se stesso, e sperava
di corroborarle attraverso l'intimo contatto con lei. Il carattere di lei era
veramente nobile, e Freud sentiva che in sua presenza non si sarebbe po­
tuto concepire un pensiero mediocre o comune. Sulla falsariga della di­
stinzione di William James tra i «nati una volta sola» e i «nati due volte»,
egli riconosceva che vi sono ben pochi (e Martha era uno di questi) che
Il fidanzamento (J 882-J 886)

sembrano buoni e gentili di natura, in contrapposizione a quelli come lui


che raggiungono quel livello solo dopo un'intensa lotta interiore. Perciò
egli sentiva di aver molto da guadagnare con Martha, indipendentemente
dalla felicità umana, e quando disse che alla sua morte sarebbe stato in
debito verso di lei, aveva molte ragioni di esserle tanto grato. Essa lo pro­
tesse dalla mediocrità di ogni genere, ed egli non avrebbe fatto nulla di
scorretto o di disonesto neanche per averla in moglie. Meglio aspettare
per anni piuttosto che fare una cosa simile. Verso la fine del fidanzamento
Martha lo sorprese dicendogli che aveva dei cattivi pensieri da vincere.
Egli replicò: «Credevo che tu non sapessi certe cose. Ci sono quelli che
sono buoni perché non accade loro mai nulla di male, e altri che lo
sono perché vincono i pensieri cattivi. lo ti mettevo nel primo gruppo,
ma senza dubbio è colpa mia se hai perduto la tua ingenuità. Comunque
non importa: chi ha avuto contatto con gli aspetti cattivi della vita deve
liberarsene, e al loro posto costruirsi un carattere.»20
C'era però evidentemente una certa incompatibilità tra il suo desiderio di
acquistare bontà da Martha e quello, quasi altrettanto forte, di portarla a
condividere i suoi sentimenti di odio e di ostilità. La riluttanza di lei a
farlo avrebbe potuto essere ascritta a debolezza o a codardia, cosI come
invece alla sua innata bontà e gentilezza,· e Freud, in momenti differenti,
oscillò tra queste due spiegazioni, ma alla fine giunse a optare per la se­
conda. Era ovviamente a proposito dei rapporti tra lei e sua madre che
Freud trovava difficile decidere. Quando essa mostrava rispetto e conside­
razione per la mamma, malgrado l'avversione di quest'ultima per il loro
fidanzamento, Freud pensava che in tutto il mondo nessuno poteva es­
sere tanto nobile e buono; era più facile pensare cosI piuttosto che sup­
porre che Martha non lo amasse. Quando poi essa si rifiutava di mangiare
il prosciutto o di allontanarsi per altri versi dalle abitudini di sua madre,
Freud diventava quasi egocentrico: «Non è stato piacevole pensare che val­
go più della fanciulla che sto cercando di conquistare.» Tutto ciò cambiò,
comunque, quando egli stesso si riconciliò con la madre di Martha, solo
un mese dopo aver fatto quest'ultima osservazione.
Non c'è altro da dire circa il primo, critico anno di fidanzamento, ep­
pur~ prima di proseguire desidero riportare un brano che risale a quel
penodo, e nel quale Freud dipinge con immaginazione un momento me­
mor~bil~. I:' l~ttera (30 giugno 1882) comincia cos1: «In un semplice vil­
laggIO al piedi del Kahlenberg, che dal suo vino prende il nome di Grin­
166 Vita e opere di Freud

zing, c'è una casa bassa e disadorna, uguale a tutte le altre che la cir­
condano. O che vi abbia vissuto molto tempo fa un grand'uomo, che sa­
pesse come carpire al cuore umano i suoi segreti ed esprimersi in parole
o in suoni ciò che sembrava inesprimibile, forse un Beethoven o un Lenau;
o che in quel luogo sia accaduto qualcosa tale da irridere ogni barriera
e liberare ogni passione: in quella povera casetta c'è un incantesimo, ed
io non mi curavo di passarle accanto. Non posso darne ragione, ma l'ho
visto io stesso: quando due persone schive l'una dell'altra si affacciano
alle finestre della casetta fatata, chiacchierando di cose senza importanza,
i loro pensieri impercettibilmente li dominano e abbattono ogni barriera;
poi uno dei due pronuncia una parola, una frase che sfugge al suo con­
trollo, e l'altro se ne meraviglia e riflette, e cade un improvviso silenzio,
e nessuno può dire quali cambiamenti quel silenzio abbia prodotto tra loro.
Che peccato che il giorno debba finire proprio quando lo si gode pie­
namente.
E che quando qualcuno ci è diventato caro, proprio allora se ne debba
andare tanto lontano.
Davvero tanto lontano?»
Ma Martha tacque, entrambi tacquero, quando passarono dinanzi alla
piccola casa fatata. Non è lo stile di Dickens?
«Chi era quella persona sconosciuta che aveva lasciato Martha proprio
quando si erano innamorati l'uno dell'altra? Quanto era penoso sapere
cosI poco di quell'attraente fanciulla, cosI sicura di sé, cosI riservata, cosI
graziosamente certa delle sue opinioni e inclinazioni. Forse essa aveva con­
cesso il suo affetto all'amico che l'aveva lasciata, e si pentiva di essersi tra­
dita con un estraneo. Era uno dei suoi cugini, come dicevano le chiacchiere,
oppure un uomo serio, un amico di suo padre, uno dei tanti che frequen­
tavano casa sua? C'era uno sol021 al quale si potevano porre queste do­
mande, e che avrebbe risposto cosI: "La persona da cui Martha si è sepa­
rata di recente è una ragazza, Nessun uomo ha ancora conquistato il te­
soro dell'amore di Martha, e nessuno lo merita più di te," Sembrava in­
credibile, eppure era vero, diventava una meravigliosa realtà. Era dunque
vera anche l'altra parte dell'interpretazione?»
Le due settimane che seguirono la partenza di Martha per Wandsbek,
nel giugno 1883, furono tra le peggiori che essi passarono. Martha, con
lettere molto dolci e pazienti, acconsenti a diventare il suo «compagno di
lotta»22 come egli desiderava, ma chiari che non aveva intenzione di unirsi
Il fidanzamento (1882-1886)

a lui in un attacco alla sua famiglia. Una lettera più aspra fece seguito
ad un' altra che la accusava di debolezza, di codardia, e di scegliere la via
più facile invece di affrontare coraggiosamente le situazioni difficili: ~i
culminò in una lettera scritta l'ultimo giorno del mese, nella quale eglI di­
ceva che se Martha non avesse ammesso che le richieste che le faceva
erano giustificate, avrebbe dovuto riconoscere di essersi sbagliato: era trop­
po stanco per continuare a lottare. «Allora cessiamo di scriverei. Non avrò
più niente da chiedere, il mio violento desiderio sarà morto. Non mi ri­
marrà altro che fare il mio dovere in un misero posto, e quando sarà
venuto il momento del successo, troverai in me, un compagno per la vita,
modesto e posato... Se tu non sei quella che credevo, la colpa di chiederti
in moglie senza conoscerti è solo mia.» Essa si risentì in modo particolare
all'idea che la sua influenza indebolisse lo spirito di lui: «Una donna do­
vrebbe addolcire, non indebolire un uomo.» La lettera di lei ebbe l'effetto
desiderato, poiché ilIo giugno Freud scrisse: «Rinuncio a ciò che chiede­
vo. Non ho bisogno della compagna di lotta, che speravo potessi essere tu;
sono forte abbastanza da lottare da solo. Non udrai più parole dure. Mi
accorgo di non aver ottenuto ciò che volevo in te, e che se continuerò per­
derò la mia amata. Ti ho chiesto qualcosa che non è nella tua natura, e
non ti ho offerto nulla in cambio... Tu hai rinunciato certamente alla cosa
di minor valore e resti per me la parte indispensabile, alla quale mi sono
aggrappato con tutti i miei sentimenti e pensieri, una persona amata, dol­
ce e preziosa.»
Del resto la rassegnazione non si adattò mai a Freud. Egli espresse
spesso la soddisfazione per avere attraversato insieme a Martha un momen­
to cos1 difficile. «Certi ricordi uniscono più di ore vissute insieme. Il san­
gue e le sofferenze in comune stringono i legami più saldi.»23
Freud stava mostrando già allora il dono di divinare i pensieri altrui, per
il quale divenne in seguito tanto famoso. «Ho un vero talento per inter­
pretare,24 diceva, e leggeva costantemente tra le righe delle lettere di Mar­
tha, di modo che essa non trovava nessun rifugio nella reticenza. Egli di­
stingueva le lettere in due gruppi: quelle «aperte», nelle quali tutto veni­
va espresso, e quelle «nascoste» nelle quali qualcosa era celato, e dimostra­
va un'intuizione veramente magica nel percepire le minime sfumature. Si
rese conto anche del fatto, sul quale sarebbe poi ritornato in seguito, che
u.n uso indi~criminat? ~i tale dono non facilita molto i rapporti con il pros­
simo. Se SI fosse hmltato avrebbe risparmiato ulteriori sofferenze sia a
168 Vita e opere di Freud

Martha che a sé, ma ciò era contrario al suo scopo preciso. In qualche
occasione, tuttavia, l'effetto fu tragicomico, come, per esempio, quando le
chiese cosa nascondesse, e non essendosi essa curata di rispondergli per un
paio di lettere, egli architettò ogni sorta di possibilità - gravi malattie, e
persino infedeltà da parte di lei - mentre Martha finI per confessare di
aver avuto un leggero mal di stomaco! Comunque aveva avuto ragione,
qualcosa c'era stato. Le emozioni di Freud in simili incertezze erano dispe­
rate. Il giorno dopo aver ricevuto queste notizie scrisse: «Ora so quanto
mi sei cara: non desidero altro che baciarti una volta ancora e poi morire
con te. Dopo che abbiamo vissuto tanto a lungo in felice intimità, ho or­
rore di vivere da solo anche un sol giorno.»
Vedremo più avanti l'influenza negativa che la povertà di Freud svolse
in quegli anni. 25 Essa era naturalmente il solo ed unico ostacolo all'unione
con la sua fidanzata, e allo stesso tempo una delle ragioni più importanti
dell'opposizione che la famiglia di lei muoveva al suo corteggiamento. Gli
scottava di non potere fare a Martha un sia pur piccolo dono salvo che in
rare occasioni, le quali d'altra parte costituivano per lui «i più grandi mo­
menti» nella sua grigia esistenza. Eppure anche sul triste argomento delle
sue finanze egli fece del suo meglio per cercare uno spiraglio di luce,' e
ben. presto scrisse: «Mi sono riconciliato con la nostra povertà: pensa se
il successo fosse esattamente proporzionale ai meriti della gente. Non per­
deremmo forse il fervore dell' affetto? Se cosI fosse non saprei dire se tu
ameresti me o i riconoscimenti che io avessi ottenuto, e se invece non fa­
cessi fortuna, la donna potrebbe dirmi: "Non ti amo più: hai dimostrato
di non valere niente." Sarebbe altrettanto odioso delle uniformi che si ve­
dono in giro, nelle quali il valore di un uomo sta scritto sul colletto e
sul petto.» 28 Oppure: «La nostra possibilità di spartire - ecco la poesia
nella prosa della vita,» 27
Per castigatezza Freud fu all'altezza del suo tempo, in cui le allusioni
agii arti inferiori erano già fuori luogo. Diciotto mesi dopo un avveni­
mento conturbante egli scrisse: «Mi sembra che tu nòn sappia quanto sono
riservato: ti ricordi quella volta che andammo a passeggio con Minna nel
Beethovengang, quando te ne andasti da parte per tirarti su le calze? ~
sfrontato da parte mia parlarne, ma spero che tu non ci faccia caso.» Era
necessario scusarsi anche per le allusioni più velate. Paragonandola con
la robusta donna di duemila anni fa, egli notò che il piede della Venere
di Milo era lungo il doppio di quello di Martha: «Scusami il paragone, ma
Il fidanzamento (1882-1886) 169

quell'antica signora è senza mani.» Verso la metà del 188? Ma~ an­
nunciò il suo desiderio di andare a stare con una sua vecchia amica, spo­
sata da poco, la quale, secondo la sua delicata espressione «si era sposata
prima delle nozze». Tale contatto con una simile fonte di contaminazione
morale fu severamente proibito, ma va detto anche, per pura lealtà, che
egli aveva anche altre obiezioni nei riguardi della signora in questione.

Possiamo ora riprendere il racconto in ordine cronologico. Dopo le due


o tre settimane molto penose che seguirono la separazione, le cose resta­
rono tranquille per un po', Verso la fine del mese successivo Freud rite­
neva ancora probabile che la famiglia sarebbe tornata a Vienna, e ora non
era del tutto sicuro di poterla accogliere con gioia. Ci sarebbero state le
stesse difficoltà di prima ad incontrarsi fugacemente, in ospedale o per la
strada; egli sarebbe stato distratto dal suo lavoro, i suoi abbracci ardenti
avrebbero di nuovo potuto compromettere la salute di Martha. Tutto molto
giusto, ma egli non sapeva ancora quanto avrebbe dovuto soffrire negli anni
venturi per la solitudine, la privazione e il desiderio. Naturalmente Frau
Bernays non aveva la benché minima intenzione di tornare. La «sistemazio­
ne» procedeva bene, e il secondo anno la vide assai ben stabilita, sebbe­
ne anche dopo sorgessero alcune difficoltà. A partire dal maggio dell'an­
no seguente, Freud pensava ottimisticamente che per loro non sarebbe sta­
to più possibile litigare, invece dopo nemmeno due settimane sorsero una
volta di più aspri rimproveri circa l'assentimento di Martha alla separa­
zione, seguiti da una violenta rivolta contro ciò che egli chiamava la sua
dipendenza, volendo con ciò riferirsi al problema finanziario,
Prima però, verso la fine di febbraio, c'era stata· una forte tempesta,
durata parecchi giorni, e prima ancora egli aveva notato come gli otto mesi
trascorsi dal momento della partenza di lei fossero filati via come una set­
timana: l'essersi sprofondato nel suo lavoro d'anatomia lo aveva indubbia­
mente aiutato. Ora tornava di nuovo a galla la vecchia spina: l'attacca­
mento di Martha per sua madre, e questo senza particolari occasioni, a me­
no che. non si soglia connetterlo con la dolorosa sciatica di cui Freud sof­
friva in quel periodo. Comunque le sue emozioni potevano sorgere spon­
taneamente, e di tanto in tanto lo facevano. Non passò molto che le sue
«passioni maligne» caddero, per cedere il passo ad espressioni d'amore e
di tenerezza eccezionalmente intense. «Amore mio» egli ammetteva «stai
170 Vita e opere di Freud

aspettando un uomo non tanto piacevole, ma che non ti offrirà, spero, nes­
sun motivo di rimpianto.»
La sciatica mise in luce una delle caratteristiche di Freud che sarebbe poi
diventata evidente nella sua vecchiaia, e cioè il suo odio per le situazioni
di impotenza e l'amore dell'indipendenza. Non poteva nulla contro la va­
langa di parenti e di amici che si riversò nella sua stanza, ma la cosa lo
seccava fortemente. «Sembro una puerpera nel suo giaciglio, e a volte
bestemmio contro l'amore esagerato.28 Preferirei sentirmi dire parole dure,
star bene e lavorare; allora mostrerei alla gente quanto io l'ami pazza­
mente.»
In aprile l'anno cominciò a «trascinarsi», e l'estate passò per Freud tra
la gioiosa attesa del mese di vacanze a Wandsbek e l'eccitazione per le
sue scoperte sùlla cocaina. 29 Il suo stato di tensione andò aumentando in
quei mesi, finché il 12 luglio, a tre giorni soli dalla sua partenza, giunse
l'intervento del Governo del Montenegro, che lo fermò. so Egli era furi­
bondo e per un istante pensò di mandare all'aria ogni cosa, l'ospedale, la
docenza e la futura carriera, piuttosto che rinunciare al tanto desiderato
ricongiungimento con Martha. «Ero infelice come se tutta la mia vita fos­
se stata distrutta.» Ma pensieri migliori subentrarono immediatamente e il
rinvio della partenza si rivelò molto proficuo, per avergli dato un'incom­
parabile occasione di esperienza medica.
Risalgono a quel periodo alcuni dei suoi più ardenti squarci amorosi, ma
nemmeno quindici giorni dopo sorse una nuova afBizione, forse come con­
seguenza del suo disappunto. Egli disse a Martha che riteneva urgente che
essa abbandonasse la casa (e l'influsso) della madre, e che avrebbe chiesto
a Fleischl di procurarle una sistemazione appropriata, naturalmente a Vien­
na. L'ostacolo che aveva impedito questa soluzione al tempo della sepa­
razione, e cioè l'insistenza di Martha di abitare presso una famiglia ebrai­
ca per ragioni dietetiche, non sussisteva più, ma Martha fece un doppio
passo falso nella sua risposta. Innanzi tutto essa propose di abitare con il
fratello in attesa di trovare una sistemazione, idea che fu subito lasciata
cadere dopo l'acido commento che ne fece Freud. Poi aggiunse avventa­
tamente che il progetto era buono, perché avrebbe alleviato il peso che
gravava su sua madre, come se il vero motivo fosse stato questo. Freud
disse, sarcastico: «Se è per questo, sarebbe uguale che te ne andassi in
Ungheria.» L'osservazione lo aveva proprio sconvolto, e scrisse allora le sue
due lettere più furiose: essa aveva pensato prima a sua madre, non a lui.
Il fidanzamento (188z-1886) l,I

«Se è cosi, tu mi sei nemica. Se non superiamo quest'ostacolo, soccombere­


mo. Hai solo un' alternativa: se non puoi amarmi abbastanza da rinunciare
per me alla tua famiglia, devi lasciarmi, devi rovinare la mia vita, e non
devi staccarti dalla tua famiglia.» Una volta di più il tatto e la dolcezza
di Martha riuscirono ad appianare le cose, ed essi poterono guardare di
nuovo, pieni di felicità, al tempo che avrebbero vissuto insieme.
Pieni di felicità, ma anche d'impazienza. L'ultimo mese dell'attesa, ago­
sto, fu «eterno». Verso la metà, Freud cercava di ascoltare il cuore dei
malati, ma non riusciva a sentire altro che un treno in corsa. Alla fine
del mese scrisse: «Mentre il privilegio del Signore sta nel fatto che ai
suoi occhi mille anni sono solo ieri, noi miseri terreni dobbiamo deliziarci
del contrario: per noi un giorno può durare mille anni. ~ un'invenzione
diabolica: la sofferenza allunga il tempo, e la gioia lo accorcia.»
A giudicare dalle successive allusioni, sembra che il mese di settembre
trascorso a Wandsbek sia stato un periodo di felicità pura; Martha era
andata ad incontrarlo alla stazione alle sei del mattino, ed egli l'aveva sa­
lutata «come in sogno». Poi, sebbene appena un paio di mesi prima Freud
avesse giurato che non avrebbe nemmeno parlato alla madre di Martha,
quando arrivò il momento, egli le si rivolse per la prima volta con quelle
buone maniere che poi divennero permanenti tra loro. Evidentemente al­
l'ultimo momento Martha lo aveva persuaso che nel suo amore egli occu­
pava il primo posto, anche se permaneva ancora una certa considerazione
per sua madre. Un paio di mesi dopo egli osservò che i loro rapporti erano
di gran lunga più teneri che prima del ricongiungimento.
Questa felice esperienza intensificò il desiderio di Freud di un'unione
definitiva, ma prima che ciò potesse avvenire dovevano trascorrere altri
due anni nella sofferenza della privazione. ~ vero che egli si sentiva più
sicuro dell'affetto di Martha, e che il suo lavoro di ricerca, che avrebbe
permesso loro di unirsi, proseguiva felicemente, ma la crudele realtà della
privazione rimaneva.
. L'atteggiamen~o di Freud verso la separazione e la privazione che questa
lmponeva, camblò fondamentalmente dopo il mese trascorso a Wandsbek
nel 1884. Prima c'era stato un amaro risentimento, rivolto soprattutto ver­
so la madre di Martha, ma in parte anche verso Martha, per il fatto di
ess~r stati separati a cos1 grande distanza contro la sua volontà. Il periodo
fehc.e trascorso a Wandsbek. rappresentò una svolta .nei loro rapporti. A
partlCe da quel momento egh fu fiducioso nell'amore di lei, eccetto che per
172 Vita e opere di Freud

rari momenti d'urnor nero, e scoprl pure cha la Mamma era un essere
umano, e non un orco. Il risentimento si trasformò in desiderio, che di­
venne sempre più intenso man mano che la speranza di soddisfarlo si av­
vlcmava.
Per di più egli era giunto a guardarlo da un punto di vista differente.
Dalla primavera del 1885 si rese conto che se Martha avesse potuto re­
stare a Vienna, tanto vicino eppure tanto lontano, la sofferenza sarebbe
stata ancora più penosa e forse impossibile a sopportarsi. Nel marzo di
quell'anno scrisse: «In una cosa mi sbagliavo, e penso di poter ammetter­
lo. Si tratta del fatto che non posso rimproverare più a nessuno che tu sia
stata lontana da Vienna in questi anni. So che avrei sopportato ancora
peggio che tu stessi qui senza appartenermi: i miei pensieri sarebbero
stati sempre con te, e non avrei avuto pace nel mio lavoro. Sarei stato
sempre ad aspettarti o a desiderare di venirti a trovare e, quanto maggio­
re fosse sembrata la felicità, tanto più insofferente e disperato sarei dive­
nuto io. In un anno intero non avremmo avuto la metà dei giorni cosI
splendidi che abbiamo passato in settembre, e non so se tu avresti con­
servato a lungo il tuo affetto per me. Per quanto male vada ora, è sempre
meglio di tutte le possibili circostanze, per noi.» Una quindicina di giorni
dopo tornò sull'argomento: «Non riesco a staccarmi dal pensiero che se
tu fossi qui io ti avrei persuaso a sposarci senza nemmeno sapere di che
vivere, oppure che avremmo costituito il tipo di coppia infelice che fini­
sce tragicamente sui giornali, oppure infine che tu avresti smesso di amar­
mi. Mi è possibile ragionare, lavorare e sopportare la privazione solo per­
ché non ti vedo.»
Il miscuglio di passione e di risentimento che aveva caratterizzato la pri­
ma parte del fidanzamento si era ora trQ,sformato in amore profondo. La
sua purezza era maggiore dr prima, ma naturalmente non cominciava an­
cora a trapassare nell'amore più calmo che Freud avrebbe provato dopo il
matrimonio. Egli era ben conscio dell'intensità ed anche dell'egoismo del
suo amore, e quando gli giunse notizia che il suo migliore amico, SchOn­
berg, stava morendo 81 confessò che le ombre bluastre sotto gli occhi di
Martha lo preoccupavano più del triste stato dell' amico.
Freud fu sempre molto ansioso della salute e del benessere della sua
fidanzata. Nell'estate del 1885 venne a sapere che essa non stava molto
bene. «Mi scordo di me stesso nel vero senso della parola, quando sono
preoccupato per te. Perdo improvvisamente il senso della misura, e ogni
Il fidanzamento (1882-1886) 17l

tanto mi assale una tremenda paura che tu ti ammali. Mi sento cosI tur­
bato che non riesco a scrivere di più.» Il giorno seguente, dopo aver ri­
cevuto una cartolina di lei, scrisse: «Dunque mi sono completamente sba­
gliato nell'immaginare che tu fossi malata. Sono stato proprio un pazzo... 8Z
Quando si è innamorati si diventa veramente pazzi.»88 Trent'anni dopo
Freud avrebbe discusso la natura patologica dell'essere innamorato,a. ed
avrebbe avuto la sua esperienza personale ad aiutarlo.
Quando Martha andò in vacanza a Lubecca e scherzò su una fantasia
nella quale anftegava nel fare il bagno, egli replicò: «PUÒ darsi che da un
certo punto di vista anche la perdita della persona amata possa sembrare
un fatto banale, nelle migliaia di anni della storia umana, ma io devo
confessare di essere all'estremo opposto. Per me un fatto del genere sa­
rebbe assolutamente equivalente alla fine del mondo. Niente può più con­
tinuare quando i miei occhi non vedono più: che Ecuba c'è in me!» Un
mese o due più tardi, a proposito della morte ormai prossima del suo
amico Schonberg, scrisse: «Ho preso da molto tempo una decisione nel
caso che io ti perda, ed il suo pensiero non è per nulla penoso. Che se ci
lasciassimo, noi ci perderemmo a vicenda, è fuori discussioni: tu divente­
resti un' altra persona, e di me poi ne sono sicuro. Tu non hai idea di
quanto io ti ami, e spero che non dovrò mai mostrartelo.»36 Persino il più
lieve malessere di Martha lo turbava. Nell'estate essa ebbe un colpo d'aria
e Freud l'avverti che se essa fosse stata male al momento in cui egli avesse
dovuto lasciare Vienna, se ne sarebbe andato direttamente a Parigi invece
di passare prima qualche settimana a Wandsbek, come avevano proget­
tato. Poi invece minacciò di passare a Wandsbek tutti i sei mesi e di man­
dare all' aria il viaggio a Parigi.
Il 1885 fu un anno di gran lunga più felice dei precedenti, non solo a
causa dei successi professionali, ma soprattutto perché, a partire dalla vi­
sita a Wandsbek nell'au.tunno dell'anno prima, Freud si senti certo del
successo di aver conquistato completamente l'amore di Martha. D'altra
parte era sicuro che non l'avrebbe mai conquistato senza la dura lotta che
c'era stata fra loro. Nel gennaio di quell'anno, a Martha che aveva osser­
vato quanto ragionevoli fossero ora, e quanto si fossero comportati da pazzi
l'uno verso l'altro nei primi tempi, egli rispose: «Ammetto che ora siamo
molto saggi perché non abbiamo più dubbi sul nostro amore, ma non
potremmo esserlo .se prima non ci fosse stato tutto il resto. Se in tutte
quelle ore penose che ho passato per causa tua due anni fa e anche dopo,
174 Vita e opere di Freud

la profondità della mia disperazione non mi avesse persuaso in modo ine­


quivocabile della forza del mio amore, non avrei raggiunto la certezza che
ho ora. Non rinneghiamo i tempi in cui una sola tua lettera faceva s1 che
valesse la pena di vivere, e quando una decisione da parte tua era attesa
come una questione di vita o di morte. Non so come avrei potuto fare
altrimenti. Sono stati tempi duri, di lotta e di vittoria finale, e solo dopo
averli passati ho potuto trovare la pace necessaria al lavoro che mi per­
metterà di averti. Allora ho dovuto combattere per il tuo amore così co­
me ora devo farlo per te, e ho dovuto guadagnarmi quello, "così come ora
devo guadagnarmi te.»
Comunque stessero le cose, è caratteristico il fatto che Freud ritenesse
di non potersi aspettare che qualcosa di buono gli venisse per proprio con­
to: nella sua vita avrebbe dovuto sgobbare per ogni cosa. La sua esperienza
della vita sembrò confermare questo modo di vedere, però da parte sua
non sempre scelse la via più facile.
In quell'anno egli poteva assicurare a Martha di amarla molto più di
tre anni prima, quando la conosceva appena: ciò che prima era un'imma­
gine, ora era una persona. Perciò il mondo sembrava incantato. <<Nei pri­
mi giorni il mio amore per te era mescolato ad un'amarezza penosa, poi
venne l'affettuosa confidenza dell' amicizia leale e duratura, ed ora ti amo
in una specie di appassionato incantesimo, che è l'unico sentimento rima­
sto, e che ha superato le mie aspettative.»
E adesso scendiamo da tanta altezza e allentiamo la tensione raccontando
due aneddoti meno seri. Il primo si riferisce a quell'inverno in Lui Martha
gli chiese il permesso di pattinare. Freud lo negò recisamente, non per
paura che si rompesse una gamba, come sarebbe logico aspettarsi, ma per­
ché sarebbe stato necessario che essa andasse a braccetto di un altro uomo.
Del resto egli non era proprio sicuro di questo particolare, per cui chiese
spiegazioni a Paneth, e tre giorni dopo concesse il permesso a condizione
che essa pattinasse da sola.
Un altro problema sorse sei mesi dopo. «Un'ondata di caldo come quella
che ci avvolge ora potrebbe essere la causa della separazione delle due per­
sone più innamorate di questo mondo. Mi figuro cosI il processo. La ra­
gazza sta seduta in un angolo, il più lontano possibile dalle finestre roventi.
Lui, il cui amore scotta ancor più del termometro, le va improvvisamente
davanti e le stampa un caldo bacio sulle labbra. Lei si alza, lo respinge
e grida infastidita: "Vattene, ho troppo caldo." Lui si arresta un momento,
Il fidanzamento (1882-1886) 17S

turbato· i sUOI lineamenti tradiscono un'emozione dopo l'altra, e finalmente


gira sui tacchi e la lascia. Conosco bene quel sentimento amaro, incredi­
bilmente amaro, che egli porta con sé e contro il quale non può nulla.
Non so che cosa stia pensando lei, ma credo che lo ingiuri e che arrivi a
questa conclusione: "Se è cos1 basso da sentirsi offeso per questo, non può
amarmi." Ecco che cosa può fare il calore.»
Nelle sei settimane che Freud trascorse a Wandsbek nell'autunno del
1885 stabill con la Mamma dei rapporti definitivamente buoni, dopo di
che nelle sue lettere a Martha cominciò a mandarle cordiali saluti. Non re­
stava che Eli, ostacolo che ci volle molto a superare. Non che il resto della
famiglia di Martha approvasse gran che il matrimonio con un pagano: «Essi
avrebbero preferito che tu sposassi un vecchio rabbino oppure uno Scho­
chet,36 ma noi due siamo contenti che questo non sia accaduto, e i parenti
possono agire come credono. Il fatto che la tua famiglia non mi voglia ha
un vantaggio: che ti avrò senza appendici famigliari, cosa che è quanto di
meglio desidero.» Lo zio Elia, come capo della famiglia, era offeso in modo
particolare che Freud non avesse chiesto a lui il permesso di corteggiare
Martha, anche se la risposta sarebbe stata certamente negativa. Fu forse
per compensare questa negligenza, ma in modo più che altro ironico, che
Freud chiese cerimoniosamente la mano di Martha a sua madre (giugno
1886): non è dato sapere la risposta, se pure ce ne fu una.
Freud era giustamente orgoglioso del suo comportamento indipendente
in tutta la faccenda. «Una perseveranza come la nostra avrebbe intenerito
un cuore di pietra, e vedrai che quando ci sposeremo tutta la famiglia ci
farà gli auguri. Poi serviremo da modello alle future generazioni di inna­
morati, solo perché abbiamo avuto il coraggio di volerci bene senza chiedere
il permesso a nessuno. Infatti in segreto la gente è felice quando succede
qualcosa fuori del comune. Solo che fanno difficoltà prima di accettarlo,
e farebbero volentieri a meno di provarlo essi stessi o di lasciarlo provare
ai loro cari. Cos1 siamo come quelli che camminano su una corda o che si
arrampicano su per i pali: tutti li applaudono, però ognuno sarebbe molto
infelice di vedere i propri figli o le proprie figlie fare le stesse cose invece
di usare una comoda scala o di restarsene tranquillamente a terra.»31
L'n ottobre 1885 Freud lasciò Wandsbek diretto a Parigi. Martha
rest~ sol~ perché lo stesso giorno sua madre part1 per Vienna per conoscere
la mpotlOa appena nata, e sua sorella andò a Geldern per una visita. La
vita e le esperienze di Freud a Parigi sono· descritte altrove. sa Il ricordo
Vita e opere di Freud

del tempo felice trascorso a Wandsbek, insieme al sentirsi estraneo in un


paese straniero, gli procurarono un senso di doloroso isolamento, del quale
soffrl acutamente durante il suo soggiorno, e perciò il 20 dicembre andò a
passare una settimana a Wandsbek, il primo Natale insieme a Martha. Il
dolore del suo attaccamento per lei era, nella sua descrizione, «una puni­
zione per non essersi innamorato a diciannove anni invece che a ventinove».
Si fermò un altro paio di giorni a Wandsbek nel trasferirsi da Parigi a
Berlino, e da Berlino vi fece un salto per un week-end. Poi venne il ritorno
a Vienna e il grande sforzo per la sistemazione. Parte di questo sforzo ed i
progetti di matrimonio saranno narrati nel capitolo seguente, ma prima di
concludere il racconto dei rapporti con Martha durante il periodo del fi­
danzamento, ci dobbiamo soffermare su un episodio sorprendente che si
verificò nel giugno di quell' anno, tre mesi prima delle nozze. Abbiamo
visto come nei due anni precedenti il reciproco adattamento si fosse andato
sviluppando cos1 favorevolmente da raggiungere quasi la umana perfezione:
tutti i dubbi, i timori, le insoddisfazioni, i sospetti e le gelosie precedenti
erano stati poco a poco messi a tacere. Niente di più inaspettato, dunque,
del fatto che il litigio più violento di tutto il fidanzamento scoppiò proprio
in quel mese, e che per un pelo non distrusse per sempre le loro speranze
di matrimonio.
Per comprenderlo è necessario descrivere lo stato d'animo di Freud in
quel periodo. Al colmo del disappunto per non aver raggiunto la fama
con il suo lavoro sulla cocaina, gli stavano giungendo crescenti attacchi per
aver procurato il pericolo di una nuova tossicomania. Tutto ciò doveva es­
sere sconvolgente, ma più importante ancora era il suo grave dubbio circa
la possibilità di guadagnarsi da vivere con la pratica medica a Vienna. In
maggio aveva ritenuto quest'ultima possibilità molto improbabile. Persino
con i pazienti si sentiva stranamente, e senza dubbio ingiustificatamente, in­
capace di cavarsela. La cosa più importante, però, era la crescente tensione
al pensiero che le sue speranze, cosI a lungo differite, stavano finalmente per
essere appagate. Doveva assillarlo la possibilità di qualche nuovo ostacolo
sorto all'ultimo momento, tanto più che non era ancora riuscito a risolvere
la sistemazione economica da cui dipendeva tutto.
a sarebbero voluti diversi anni di attività prima di risparmiare abba­
stanza da sposarsi, quindi la cosa dipendeva quasi esclusivamente dal de­
naro di Martha. Ma anche cos1 il problema della casa da metter su non
era risolto, e tutti i suoi tentativi per ottenere soldi in prestito a quello
Il fidanzamento (J88z-J886) 177

scopo erano stati finora infruttuosi. In giugno poi giunse la notizia che
avrebbe dovuto partecipare alle manovre militari in agosto, con relative
spese e mancato guadagno. Insomma l'intera situazione non avrebbe potuto
essere più tesa.
A questo punto si presentò l'ostacolo nuovo che egli paventava. Martha
aveva affidato metà della sua dote a suo fratello Eli, e nell'idea di Freud
tale affidamento consisteva nel fatto che i denari fossero chiusi in una cassa­
forte o almeno messi su un conto in banca e non toccati. Sembra che egli
non fosse all' altezza di distinguere tra investimento e speculazione, e in­
fatti in vita sua non investI mai un centesimo del suo denaro. Un uomo
d'affari come Eli, viceversa, aborriva l'idea del denaro infruttuoso e perciò
investl i soldi di Martha. Egli aveva forti scadenze, poiché alcuni investi­
menti si erano mostrati mal riusciti, e in quella occasione non aveva denaro
sotto mano. Questa situazione, tanto abituale per un uomo d'affari, aveva
per Freud un significato equivoco. Per lui la distinzione tra capitale e cir­
colazione non era molto chiara: il denaro c'era oppure non c'era, e cosI,
sentendo che Eli aveva qualche difficoltà, egli interpretò la notizia nel senso
peggiore e disse a Marthadi farsi restituire il denaro. Dopo una quindicina
di giorni - pare che Eli fosse stato sempre ritardatario nella corrisponden­
za ~ arrivò una cartolina evasiva che accrebbe i più oscuri sospetti di Freud
e attizzò tutta la sua antica diffidenza e ostilità. Egli spedl a Martha una
serie di lettere frenetiche, insistendo perché essa esercitasse la massima pres­
sione su Eli allo scopo di riavere il denaro, cosa che evidentemente non
era molto facile per Eli. Freud espresse a Martha i suoi sospetti che Eli
avesse adoperato il denaro per sé, ciò che fu definito da Martha una
calunnia. Essa era sicurissima che Eli avrebbe pagato, giacché in tutta la
sua vita non l'aveva mai abbandonata, e la lealtà verso il fratello cui do­
veva tanto provocò il suo risentimento per le parole che Freud usava nei
suoi riguardi.
Allora le antiche emozioni che erano restate a lungo sopite e sembravano
essersi dissolte esplosero con una violenza mai vista prima. La sua amata
stava prendendo non la sua parte, ma quella dell'odiato rivale, il mascal­
zone che cercava di opporsi alla loro unione, e per di più all'ultimo mo­
~ento, dopo anni di attesa e di privazione. Era assolutamente insopporta­
bde. Er~ v~r~e.nte incredibile che la fiducia che egli aveva riposto nell'a­
more dI leI SI rIvelasse dopo tutto mal fondata, che fosse stata tradita in
Vita e opere di Freud

quel momento critico e che essi si trovassero di fronte ad una rottura irre­
parabile.
Si arrivò alla crisi quando Eli, avendo saputo da Martha che il denaro
sarebbe servito ad arredare la casa, offrl di sistemare la cosa acquistando il
mobilio a rate sotto la sua garanzia. Invece di respingere subito questa so­
luzione, Martha ci si baloccò, più che altro perché non le andava a genio
l'idea dell'acquisto a rate, e per Freud quello fu il punto di rottura. Obbli­
garsi con una persona delle cui promesse egli non si fidava, esporsi al ri­
schio che la sua casa fosse pignorata in qualunque momento e la sua atti­
vità professionale dispersa: se Martha non vedeva la pazzia di accettare
una proposta del genere, allora era veramente la fine. Le mandò un ulti­
matum in quattro punti, il primo dei quali le imponeva di scrivere una
lettera indignata a suo fratello dandogli del delinquente. Martha non andò
oltre quel punto.
Allora seguirono minacce di far sentire ad Eli il peso della sua rabbia,
e di denunciarlo al suo direttore. In un secondo tempo però, e senza farne
più parola a Martha, Freud scrisse un'energica lettera a Eli, e incaricò Mo­
ritz, suo futuro cognato, di portargliela a mano e di spiegargli quanto la
situazione fosse seria. Eli racimolò in qualche modo la somma e la mandò
a Martha il giorno seguente. Con un'aria d'innocenza offesa egli dichiarò
che non aveva alcuna idea che essa avesse bisogno del denaro con tanta
urgenza, che non aveva mai saputo che le nozze si sarebbero celebrate così
presto, e che deplorava i modi «brutali» del suo futuro marito. Martha rim­
proverò Freud per il suo comportamento inurbano, ed espresse il suo stu­
pore che egli se la fosse presa tanto per «pochi miseri gulden». Freud le
spiegò che non era il denaro in se stesso che contava, ma il fatto che la
loro speranza di sposarsi fosse stata messa a repentaglio. Martha non do­
veva scrivergli finché non gli promettesse di rompere i rapporti con Eli.
Erano ancora sul!' orlo di un abisso.
Ma il tatto e la fermezza di Martha ebbero ancora la meglio. La crisi fu
superata, sebbene li avesse lasciati entrambi esausti. Martha ammise perfino
che per la prima ed unica volta si era sentita privata di ogni affetto. Ciò
che l'aveva sorretta era stato il ricordo di quando, anni prima, il suo in­
namorato era tornato indietro verso di lei, nella Alserstrasse, dopo averla
lasciata piena di rabbia. SI Essa sapeva che alla fine la tenerezza di lui
avrebbe avuto la meglio su ogni altra cosa, però era totalmente esausta.
Freud d'altra parte, sebbene affermasse di aver fatto quasi naufragio, era
Il fidanzamento (188z-1886) 179

piuttosto trionfante per aver sconfitto il suo nemico da solo, senza alcun
aiuto da parte di lei: l'uragano ormai era passato. Vedremo più avanti come
vennero superate le altre difficoltà lungo il cammino del matrimonio.

Il racconto della terribile vicenda che ho qui sottolineato mostra sopra


tutto quanto fossero potenti le passioni che animavano Freud, e quanto egli
fosse diverso in realtà dal tranquillo uomo di scienza che spesso descrisse.
Senza alcun dubbio i suoi istinti erano di gran lunga più potenti di quelli
dell'uomo medio, ma le sue rimozioni erano ancora più energiche. La loro
combinazione lo portò a un'intensità profonda di un grado che è forse la
caratteristica essenziale di ogni grande genio. Già prima era stato dilaniato
dall'amore e dall'odio, e lo sarebbe stato ancora più di una volta,ma l'unica
occasione della sua vita in cui il vulcano che era in lui minacciò di eruttare
con forza distruttiva fu quella nella quale le sue emozioni si centrarono
su una donna.
Note

1. V. p. 51.
2. Lettera a James Putnam, 8 luglio 1915.
3. Per esempio: Meine ge/ieble Bralll. Soweit tlas Schreiben. Was nlln fo/gl
isl Umschreibllng.
4. M., 2 agosto 1882.
5. Essa mori a quest'età, il 2 novembre 1951, dopo dodici anni di vedovanza.
6. In inglese. Il resto della lettera è in tedesco.
7. G.W., II-III, 651, 662.
8. Allusione alla storia dell'anello in Nalhan tler Weise di Lessing.
9. Eichendorff: Das zerbrochene Ring/ein.

lO. M., 26 agosto 1882.

11. Il grido che i re longobardi profferivanonel cingere la corona di ferro.


12. M., 8 luglio 1882.
13. Bnlselzliche Angsl.
14. M., 17 giugno 1883.
15. [biti., 7 agosto 1883; 5 luglio 1885.
16. Anche la signora Bernays era stata da loro nella primavera del 1883,
mentre il fratello di Freud, Alexander, abitò per qualche tempo presso i Ber­
nays nell'autunno del 1882.
17. G.C., 31 gennaio 1883.
18. M., dicembre 1882.
19. V. p. 202.
20. M., 27 gennaio 1886.
21. Cioè SchOnberg.
22. Kampfgenosse.
23. M., 11 luglio 1882.
24. Delllerei.
25. V. cap. IX.
26. M., 18 agosto 1882.
27. [biti., 5 agosto 1883.
28. Bnlfesse/le Liebe.
Note 181

29. V. p. 113.
30. V. p. 102.
31. V. pp. 210·211.
32. Narrisch.
33. M., 7 luglio 1885.
34. G.W., X. 317·18.
35. Cioè suicidandosi.
36. Il macellaio ebreo che segue le regole del Kosher.
37. M., 6 gennaio 1886.
38. V. capp. IX e X.
39. M., 6 luglio 1886.
VIII. Il matrimonio (1886)

Non solo Freud fu monogamo in maniera del tutto insolita, ma per un


certo periodo sembrò che tendesse addirittura a diventare pazzo della mo­
glie. Però, cosi come riconobbe, dopo qualche tempo, che il suo amore
«stava passando dalla fase lirica a una fase epica»,l egli fu abbastanza rea­
lista da sapere che un matrimonio felice sarebbe stato meno tempestoso del
periodo emotivo che lo aveva preceduto. «Secondo me, la società e la legge
non possono conferire al nostro amore più serietà e santità di quanta già ne
abbia... E quando sarai la mia cara moglie davanti a tutti e porterai il mio
nome, trascorreremo la vita in tranquilla felicità per noi, e in assiduo lavoro
per l'umanità, finché chiuderemo gli occhi nel sonno eterno e lasceremo in
quelli che ci circondano un ricordo di cui tutti si compiaceranno.»2 De­
siderio che fu perfettamente esaudito, ma nelle prime settimane di un
fidanzamento suonava piuttosto insolito.
Freud aveva già detto a Martha che doveva prepararsi a fare completa­
mente parte della famiglia di lui, e non più della sua. Perciò la frase di
Meynert, che egli citava un anno dopo: «in ogni matrimonio la prima
condizione dovrebbe essere il diritto di rifiutare i parenti d'acquisto», sem­
bra che sia stata unilaterale.
Il quadro che egli faceva del loro futuro era disegnato a tratti più deli­
cati: «Quanto ci occorre sono due o tre stanzette dove poter vivere, man­
giare e ricevere un ospite, e un focolare dove non si spenga il fuoco per
cucinare. Ecco che cosa ci dovrà essere: tavoli e sedie, letti, uno specchio,
un orologio per ricordare a chi è felice che il tempo passa, una poltrona
per un'ora di piacevoli fantasticherie, tappeti tali che la Hausfrau possa
facilmente tener pulito il pavimento, biancheria legata con nastri vivaci e
riposta negli scaffali, vestiti del taglio più moderno, cappelli con fiori arti­
Il matrimonio (1886)

fidali, quadri alle pareti, bicchieri per l'acqua di tutti i giorni e il ~ino ~i
quelli festivi, piatti da portata, piatti ~'u~o, un salame per quando c~ co~h~
una fame improvvisa o giunge un ospite matteso, un grosso mazzo di chiavI
che deve tintinnare rumorosamente. Ci sono tante cose di cui possiamo go­
dere: la libreria, il cestino da lavoro, la lampada. E ogni cosa dev' essere
tenuta in ordine, altrimenti la HauJfrau, che ha diviso il suo cuore in tanti
pezzetti, uno per ogni pezzo di mobilia, protesterà. E il tale oggetto deve
testimoniare il duro lavoro con il quale tieni insieme la casa, quell' altro
la tua passione per il bello, oppure amici cari che si ha piacere di ricordare,
città che si son viste, ore che è bello richiamare alla mente. Tutto questo
dev'essere un piccolo mondo di felicità, di amici silenziosi e simboli di
un'umanità rispettabile.»8
All'inizio del fidanzamento i bambini non rientravano in questo quadro:
il grande amore di Freud per loro non si era ancora manifestato. Un paio
di anni dopo però compaiono nuovi pensieri. «Questo è un periodo felice
per il nostro amore. Penso sempre che una volta sposati, nella maggio­
ranza dei casi non si viva più l'uno per l'altro, come prima, ma piuttosto
uno insieme all'altro per una terza cosa. E presto per il marito compaiono
pericolosi rivali: la casa e i figli. Allora, malgrado tutto l'amore e tutta
l'unione esistenti, l'aiuto che ciascuno dei due aveva trovato nell'altro viene
meno. Il marito cerca di nuovo gli amici, frequenta un caffè, trova all'esterno
interessi di ordine generale. Però non è detto che sia sempre così.»
Per un certo periodo la cerimonia del matrimonio fu una questione scot­
tante, e per Freud il solo pensiero era già una maledizione. Egli detestava
le cerimonie in genere, ma specialmente quelle religiose, e sperava che il
suo matrimonio sarebbe stato il più tranquillo e discreto possibile. Quando
si parlò delle prossime nozze di sua sorella Anna con Eli Bernays nel 1883,
egli domandò a Martha: «Rinuncerai a cuor leggero ai regali, alle felici­
tazioni, all'essere osservata e criticata, anche all'abito da sposa e alla car­
rozza che tutti accompagnano con lo sguardo, persino all' "ah!" di ammira­
zione quando comparirai? Naturalmente in questa faccenda devi fare quello
che preferisci: non oso neppure dire che cosa non posso soffrire, ma spero
che i nostri gusti coincideranno.» Apparentemente essa doveva fare quello
che le piaceva, purché ciò coincidesse con ciò che piaceva a lui. Quando
però si giungeva al punto, di solito Freud si rimetteva al volere di lei.
Quando il suo amico Paneth sposò Sophia Schwab con matrimonio ebrai­
co, Freud andò, guardò la scena con incantato raccapriccio, poi scrisse una
Vita e opere di Freud

lettera di sedici pagine nella quale descriveva tutti gli odiosi particolari
con un' aria di maligna canzonatura. 4
Per tutta la durata del fidanzamento non ci fu forse un solo momento
in cui il pensiero dominante di Freud non fosse quello di portado a ter­
mine al più presto, e tutti i suoi sforzi tesero a quest'unico scopo. Tentò
un' idea dopo l'altra, escogitò una trovata dopo l'altra, nella speranza di
raggiungere una fama che gli procurasse, con la pratica medica, i mezzi
di sussistenza sufficienti a permettergli di sposarsi. Come poi si vede, nulla
giovò, se non le sue concrete ricerche istologiche. Pareva che egli lo sa­
pesse, e cosi le prosegui con passione, ma non poteva più esserci quell'in­
teresse esclusivo per la ricerca in se stessa, del quale era stato capace prima,
e che avrebbe di nuovo provato in seguito. Le sue prospettive erano «estre­
mamente squallide». Mancava finanche l'indizio di poter vivere senza farsi
prestare del denaro, e tanto meno di ripagare da solo i debiti, che cresce­
vano. Ma continuò a lottare, senza mai dubitare che un giorno il vento
avrebbe girato. Passò molto tempo prima che ciò avvenisse, anche dopo il
matrimonio, ed egli ebbe davanti a sé anni ed anni di dure vicissitudini
economiche.
Freud calcolò diverse volte che non sarebbe stato prudente sposarsi con
meno di 2500 gulden (1000 dollari), come fondo per andare avanti nei pri­
mi incerti anni. Quando venne il momento, egli ne aveva solo 1000, rimasti
da quelli che Paneth gli aveva donato un paio di anni prima. Ma nel frat­
tempo era venuta in soccorso una zia benestante di Martha, Lea LOwbeer,
ed essi poterono contare su una dote di tre volte tanto.
In tali circostanze fu ovviamente impossibile per molto tempo prevedere
quando il matrimonio si sarebbe potuto fare, e ogni tanto si padava scon­
solatamente di dieci o quindici anni, riferendosi ad amici che avevano do­
vuto aspettare per periodi di questo genere. La stessa madre di Martha
era stata fidanzata per nove anni. Trascorso il primo anno, Freud cominciò
a pensare che altri tre anni sarebbero stati sufficienti, speranza che durò
un mese. Sei mesi dopo, disperato, pensava che ci sarebbero voluti altri
cinque anni. Un tale pensiero era intollerabile, e un mese dopo scrisse
chiedendo perché mai dovessero perdere gli anni migliori della loro gio­
vinezza, e proponendo di sposarsi poveramente, accontentandosi di due stan­
ze e di pane asciutto per cena. Passò un altro anno e propose impaziente­
mente di sposarsi nell'agosto successivo, non appena la sua docenza fosse
registrata, in modo che non fosse più necessario scriversi per altri dieci
Il matrimonio (1886)

anni. Il mese dopo fece una proposta più seria; invece di far date a caso,
era tenipo di fissarne una definitiva; e propose il 17 giugno 1887, cinque
anni precisi dal momento del loro fidanzamento. Martha acco~s.e~tl, cosa
che fu per Freud una gioia quasi altrettanto grande del «si» 101z1ale. Un
paio di mesi dopo, quando seppe di avere la borsa di studio per Parigi,
anticipò la data al dicembre 1886, ma nella primavera dell'anno seguente
scrisse da Berlino che si poteva essere certi che la data non sarebbe stata
posteriore a quella fissata per il giugno del 1887. Tuttavia, appena fu tor­
nato a Vienna nell'aprile del 1886, e seppe che il suo posto all'Istituto
Kassowitz era assicurato, le sue speranze rifiorirono, ed egli puntò sul no­
vembre di quello stesso anno. La meta tanto attesa era quasi in vista. Prima
però bisognava appurare se avrebbe potuto stabilitsi a Vienna.
Lasciò Berlino la mattina del 3 aprile e arrivò a Vienna il giorno dopo.
Dapprima si sistemò in un albergo, ma dato che la sua stanza lì era fin
troppo piccola per poterci scrivere, incaricò sua madre di trovargli una
camera al numero 29 della Novaragasse, a due portoni da dove viveva al­
lora la sua famiglia, e ivi trascorse una settimana cercando nel frattempo
un luogo stabile dove iniziare la sua professione privata.
Dopo un' assenza cosI lunga bisognava far visita a molte persone e pren­
dere visione della situazione generale. Breuer lo abbracciò e baciò calorosa­
mente, ma quindici giorni dopo, in un colloquio, espresse il suo parere
pessimistico circa le possibilità professionali di Freud. Secondo Breuer la
cosa migliore per lui era di chiedere onorari bassi, curare molta gente gratis
e, per i primi due anni, far conto di guadagnare solo 5 gulden (2 dollari)
al giorno. Poiché non c'era nulla di che vivere per un periodo cosI lungo,
Freud concluse che bisognava emigrare dopo sei mesi, ma Breuer pensava
che non c'era da sperare neppure in quello, a meno di andare a fare il
cameriere. Dopo un giorno o due tuttavia Freud superò il suo scoraggia­
mento, sebbene pensasse che il consiglio di Breuer, di chiedere onorari bassi,
era probabilmente saggio. Il suo amico Hollander ebbe un'idea più allet·
tante. Egli era in trattative per l'apertura di una clinica per malati nervosi
e mentali. Freud vi si sarebbe installato, si sarebbe sposato entro sei mesi,
e avrebbe impiegato Minna e Dolfi nella parte organizzativa: col tempo
qualche paziente guarito avrebbe potuto sposarle. Sembra che Freud fosse
perfettamente d'accordo sul progetto, però non se ne fece nulla. Un altro
amico, Heitler, lo ingaggiò subito a collaborare con lui nel «Centralblatt
fiir Therapie», di cui era editore. L'impegno con Kassowitz permaneva, e
186 Vita e opere di Freud

il reparto di Freud si apri subito. Vi doveva lavorare dalle tre alle quattro
il martedl, giovedi e sabato. Meynert fu cordiale e lo invitò nel suo labo­
ratorio. 5 Nothnagel, meno caloroso, non poté promettere molto, sebbene
nei fatti si dimostrò migliore che a parole: apparentemente non ci si po­
teva fare assegnamento.
Freud osservò che tutte queste persone possedevano un certo «tipo» ca­
ratteristico, e perciò anch'egli doveva decidersi ad adottarne uno. Scelse
quello che sfruttava la sua naturale tendenza alla dirittura e all'onestà: di
questo avrebbe fatto un «manierismo» e la gente vi si sarebbe dovUta abi­
tuare. Almeno, se non ci fosse riuscito, non si sarebbe degradato.
Il 15 aprile traslocò in un appartamento che aveva preso al numero 7
della Rathausstrasse, proprio dietro il magnifico Municipio, il miglior quar­
tiere di professionisti di Vienna. Pagava 80 gulden (32 dollari) al mese,
servizio compreso. Era composto di un ingresso e due grandi stanze. Una
di queste era divisa da una tenda, cosicché la parte distale poteva essere
usata come camera da letto. C'era pure una stanzetta che avrebbe servito
per l'oftalmoscopia. L'appartamento era elegantemente mobiliato, e Freud
dovette comprare solo un lettino da visita: libri e scaffali li aveva già.
C'era una targa di vetro, con lettere d'oro su fondo nero al portone, e
una di porcellana alla porta d'ingresso: la moglie di Breuer insistette per
affiggerle lei stessa.
Freud aveva però già fatto nella casa di Pollitzer la sua prima visita, la
cui parcella parti subito per Wandsbek per l'acquisto di una piuma per
Martha e del vino per festeggiare l'avvenimento. Una settimana dopo ci fu
un altro consulto con Pollitzer, che gli fruttò 15 gulden, ma poi Pollitzer
si scandalizzò nel sentire da Fleischl che Freud, privo di mezzi propri,
progettava di sposare una ragazza senza un soldo. Poiché Freud aveva la
possibilità di sposare una persona con una dote di centomila gulden (40.000
dollari), l'opinione che Pollitzer si era fatta del suo buon senso peri mise­
ramente.

Freud annunciò l'inizio della sua professione privata con il seguente av­
viso sui quotidiani e sui periodici di medicina: «Il dott. Sigmund Freud,
docente di neuropatologia nell'Università di Vienna, è tornato da un sog­
giorno di sei mesi a Parigi, e risiede ora nella Rathausstrasse 7.» Questo
avviso sulla «Neue Freie Presse» gli costò 20 gulden (8 dollari). Mandò
anche duecento biglietti da visita a diversi medici. La data della fatidica
Il matrimonio (1886)

impresa fu il 25 aprile 1886, domenica di Pasqua. Strano giorno da sce­


gliersi, dato che in quel giorno di festa, a Vienna tutto era chiuso o so­
speso. In una lettera del 12 aprile 1936 scriveva: «La domenica di Pasqua
significa per me il cinquantesimo anniversario dell'inizio della mia pro­
fessione medica.»6 Si è detto che la Pasqua aveva per lui un significato
emotivo che -risaliva a Nannie, la donna cattolica che soleva condurlo alle
funzioni religiose a Freiberg; ma iniziare il lavoro in un simile giorno sem­
bra piuttosto un atto di sfida.
In seguito, per qualche mese, prese nota dei suoi casi giornalieri e nella
maggioranza dei casi dette pure una descrizione dei pazienti. La maggior
parte di quelli paganti gli venivano da parte di Breuer, mentre quelli che
venivano direttamente erano per lo più gratuiti. «Breuer sta facendo tutto
il possibile.» In luglio Nothnagel gli mandò l'ambasciatore del Portogallo.
Poco dopo Freud ebbe occasione di incontrare Nothnagel in un consulto,
e con sua sorpresa e soddisfazione venne a sapere che già prima gli aveva
mandato diversi pazienti, sebbene per svariate ragioni nessuno di essi si fosse
fatto vivo. Cosi si senti rassicurato circa l'appoggio di quel grand'uomo.
Sebbene naturalmente vi fossero delle fluttuazioni nella professione, con gior­
nate assolutamente vuote, nel complesso il successo fu maggiore di quanto
si aspettasse: una volta la sua sala d'aspetto fu piena da mezzogiorno alle
tre. Nel solo mese di giugno guadagnò 387 gulden (155 dollari), somma
molto soddisfacente per un principiante e superiore ai lO gulden (4 dolla­
ri) giornalieri che gli servivano per vivere.
Freud tuttavia aveva poca fiducia nelle sue capacità mediche, e si lamentò
ripetutamente del suo senso di inadeguatezza nel trattare i pazienti. Dopo
tutto, la responsabilità totale della professione privata era diversa dal lavoro
in comune ddl'ospedale, al quale si era ormai abituato. La sua fiducia era
maggiormente scossa quando le cose andavano male, come per esempio la
volta in cui esegui un piccolo intervento su un noto attore, Hugo Thimig,
ma senza successo, e il paziente gli scrisse una cortese lettera di ringrazia­
mento, però non tornò più. Freud gli restitui il compenso ricevuto, e scrisse
alla futura sposa che gli occorreva una discreta dose di spirito per evitare
di «vergognarsi della sua ignoranza, imbarazzo e incapacità». In quell'estate
fu molto occupato. Tutte le mattine lavorava alle sue ricerche anatomiche1
nel laboratorio di Meynert. Oltre a scrivere l'articolo su di esse, che fu
p~bblicato in agosto, continuava la traduzione di Charcot, stendeva la rela­
zione del suo viaggio, preparò il discorso per la Società Medica, che fu
188 Vita e opere di Freud

poi rimandato a ottobre, e tenne due conferenze sull'ipnotismo. C'era poi


il lavoro nell'istituto di Kassowitz e la professione privata.
In tali circostanze decise di non tenere corsi di conferenze all'università
per quell'estate. Tutto il materiale dell'ospedale faceva capo a Wagner, e
l'unica altra fonte era il Policlinico, diretto da Benedikt. Li però il per­
messo si otteneva solo con un voto del corpo medico, e Holllinder aveva
titoli superiori ai suoi. Inoltre, per avere questo permesso, bisognava pagare
la considerevolissima somma di 400 gulden (160 dollari). Meynert chiese
a Freud quale argomento intendesse scegliere per le sue conferenze in au­
tunno, e, saputo che sarebbero state di ordine anatomico, disse che in tal
caso non avrebbe avuto bisogno di tenere le sue. 8
Già da molto tempo, comunque, tutte queste attività erano divenute un
argomento di secondaria importanza, di fronte al grande problema del ma­
trimonio. Freud non era ancora affatto sicuro di poter trovare il modo di
vivere, a Vienna, e i primi di maggio scrisse di avere poche speranze in
questo senso. Verso la fine di aprile possedeva solo 400 gulden, quanto
bastava per mantenersi, da solo, sei settimane o giù di n. Solo verso luglio
poté contare su un discreto introito.
Una sera, in casa dei Breuer, Freud parlò del suo prossimo matrimonio,
ma quando Mathilde Breuer entrò vivacemente in argomento, Breuer saltò
su esclamando: «Per amor di Dio, non spingerlo a sposarsi», e consigliò
a Freud di non pensarci per altri due anni. 9 Fu il primo segno di un
certo cambiamento nell'atteggiamento di Breuer nei confronti di Freud, che
negli anni successivi si dimostrò fatale per la loro amicizia. Da parte di
Breuer la tendenza a smorzare in Freud qualsiasi entusiasmo andava so­
stituendosi all'incoraggiamento di prima, sia nella vita privata che nel suc­
cessivo lavoro di psicopatologia. Il suo atteggiamento era stato quanto mai
soddisf~cente finché Freud era un giovane figlio bisognoso d'aiuto, ma· ora
invece pareva che Breuer respingesse la crescente indipendenza di lui, come
molti padri fanno nei riguardi dei figli. Tuttavia mancavano ancora vari
anni perché questo cambiamento divenisse palese.
L'ostacolo economico, che durante il lungo fidanzamento era stato l'uni­
co, divenne veramente arduo quando si avvicinò il momento tanto atteso.
Calcoli complicatissimi riempiono le lettere nei due mesi seguenti, e riela­
borandoli diventa possibile descrivere la situazione in due parole. Oltre a
quanto era rimasto a Freud del dono di Paneth, Martha possedeva 1800
guIden (720 dollari) rimasti dalla sua eredità e dal dono di sua zia. Di
Il matrimonio (J886)

questi, 1200. le 'servivano per il suo corredo personale e per la biancher~a


di casa, che la sposa portava tradizionalmente. 800 gulden (320 dollatl)
li aveva affidati a suo fratello e, come abbiamo raccontato nel capitolo pre­
cedente, la sua discrezione nel chiederglieli indietro era stata causa di una
gravissima lite. Alla fine, dopo il deciso intervento di Freud, verso la fine
di giugno Eli le mandò il denaro.
Freud si era impegnato a dare alla sua famiglia 500 gulden (200 dollari)
all'anno per i loro bisogni più urgenti. Nei suoi calcoli, le nozze, la luna
di miele e le spese di viaggio sarebbero costate altrettanto. Si proponeva
di assicurare la sua vita per 1000 gulden all'anno, pagabili in quattro
rate, e poi bisognava calcolare i mobili, l'affitto e una riserva per le spese
quotidiane: Il margine era chiaramente più che ridotto. La prima cosa a
esser sacrificata fu l'assicurazione, avendo Freud promesso a Martha che
non l'avrebbe lasciata vedova almeno per un anno. Se l'affitto non fosse stato
troppo elevato si sarebbero forse potuti arrangiare, sempre però escluso il
mobilio. Freud voleva procurarselo col sistema dell'acquisto rateale, ma
Martha, economa, fu contraria alla maggiore spesa che alla lunga ciò avreb­
be comportato, e inoltre non le piaceva certamente l'idea di dare inizio
alla vita matrimoniale su simili basi. Si parlò tanto del mobilio, che Freud
commentò: «Ho l'impressione che la donna più cara del mondo su questo
argomento diventi un comune mortale e consideri il marito solo un sup­
plemento - sia pure necessario - a una bella casa.»
Egli cercò invano di farsi prestare altro denaro dai suoi amici e infine
scrisse alla futura suocera pregandola di stipulare un prestito con la sua
ricca sorella. Mentre prima pensava che 1000 gulden sarebbero bastati,
quando fu il momento dovette raddoppiare la cifra. La richiesta tuttavia
era poco opportuna, in quanto rischiava di produrre una cattiva impres­
sione proprio sull'unica parente da cui Martha si aspettava ancora qual­
cosa, e perciò cadde nel vuoto.
A metà giugno Freud cominciò a preoccuparsi senza alcuna ragione della
salute di Martha e a mostrarsi molto ansioso che essa fosse in perfetto
stato all'epoca delle nozze. Cosi le mandò una somma di denaro, ingiun­
gendole severamente di spenderla solo per una vacanza. «Se scopro che
I:hai spesa per ~ abito, quando verrò lo strapperò, e se non saprò qual è,
lt strapperò tutti.» Questa scherzosa osservazione era segno della rabbia
che sarebbe presto esplosa per l'atteggiamento di lei nei confronti del fra­
teIIo.'lO
190 Vita e opere di Freud

La lettera del giorno seguente tradiva l'impazienza determinata dalla


lunga privazione che ora volgeva a termine. Quanto alle formalità del ma­
trimonio, proseguiva: «Allora respirerò di nuovo, tesoro, e accetterò vo­
lentieri una volta di più di angustiarmi e di fare economie. Che importerà
se qualche volta ci dovremo lambiccare il cervello per sapere dove pren­
dere questo o quello? Dopo tutto saremo in due, e ben lontani dalla ter­
ribile miseria che non impedisce di amarsi a tanta gente. Meglio cos1 che
consolarsi pensando a un futuro che non potrebbe mai essere bello come
ciò che per esso è stato sacrificato. Per quanto tempo si è giovani, sani e
abbastanza malleabili da adattarsi l'uno ai cambiamenti d'umore dell'altro?
Se ti facessi aspettare fino a quando avessi risparmiato tanto denaro da pa­
gare ogni cosa, diventeresti una vecchia zitella e dimenticheresti come si
ride. Mi manchi talmente, da quando sono tornato, che vivo in modo ap­
pena degno di un essere umano. Mi manchi da ogni punto di vista, perché
ormai ti ho fatto mia sotto ogni aspetto, come fanciulla del cuore, come
moglie, come compagna di svago e di lavoro, e sono costretto a vivere nella
privazione più penosa. Non riesco a impiegare il mio tempo, nulla mi
diverte, per settimane intere non sono stato allegro in viso. Insomma, sono
tanto infelice.»
In questo periodo un altro colpo si abbatté sulla coppia già tanto dura­
mente messa alla prova. Freud fu richiamato per le manovre militari, che
duravano un mese. Questo non si aspettava che per l'anno seguente, e signi­
ficava non solo sicure spese di equipaggiamento, ecc., ma anche la perdita
dei guadagni di un mese intero, sui quali essi avevano fatto assegnamento
nei loro calcoli. Freud affrontò stoicamente la situazione, e decise di non
permettere che essa interferisse nei loro piani. La signora Bernays, d'altra
parte, era terrorizzata all'idea di continuare in simili condizioni, e la lettera
seguente esprime i suoi sentimenti a quell·epoca e anche il suo tempera­
mento imperioso in generale.

Caro Sigi,
la sua lettera mi ha stupito non poco, e la sola frase ragionevole in essa era:
«Sono pronto una volta di più a rinunciare ai nostri piani matrimoniali.» Che
nelle attuali circostanze, quando deve interrompere la sua professione per quasi
due mesi, Lei abbia potuto per un solo istante pensare a sposarsi in settembre,
è a mio parere un tratto di sconsideratezza, di irresponsabiIitA senza limiti.
Il matrimonio (1886) 191

Un allro aggett~vo sarebbe più adatto, ma non lo userò. Non darò il mio
consenso a una simile idea. Come saprà dalla mia lettera del 23, avevo già
fatto i passi necessari a ottenere il denaro per il vostro matrimonio, e se
frattanto non fosse intervenuta questa disgraziata faccenda militare. sarei stata
certamente favorevole a non rimandare ulteriormente le nozze. Dato però che
questa calamità mette assolutamente in pericolo i suoi introiti, il piano è
divenuto semplicemente impossibile e inattuabile.
Quando un uomo senza mezzi e senza prospettive si fidanza con una ragazza
povera, si sobbarca tacitamente a un grave peso per gli anni avvenire, ma
deve assumersene da solo tutta la responsabilità. Non può quindi aumentare
questo peso sposandosi alla fine per disperazione, cosa che Lei sta proprio
facendo. Se uno ha atteso per quattro anni, poco importano alcuni mesi in
più o in meno e, pensandoci con calma, Lei lo dovrà certo ammettere.
Prendere un appartamento in agoSto, proprio prima di partire, per cinque
o sei settimane, significa letteralmente buttare dalla finestra i soldi (che di­
sgraziatamente sono già abbastanza scarsi). Ecco quel che penso: Lei conserva
il suo appartamento attuale fino a novembre o, se pensa che è un peccato per
il denaro, può lasciarlo e affittarne un altro al suo ritorno. Allora comincerà
di nuovo la sua pratica privata, e se risulterà possibile, potrete combinare le
nozze per la fine dell'anno. Questo comporta una differenza di tre mesi, che
è assolutamente trascurabile. Non creda che io non riesca a immaginare quanto
difficile sia la vostra vita attuale, ma metter su casa senza i mezzi necessari
è una bestemmia. lo l'ho sopportata per anni e posso quindi giudicare. La
prego e La scongiuro di non farlo. Non ignori il mio consiglio, e aspetti
tranquillamente finché avrà mezzi di esistenza sicuri.
Innanzi tutto riacquisti la calma e la serenità di mente che ora sono com­
pletamente andate all'aria. Non vi sono davvero ragioni per il suo cattivo
umore e il suo scoraggiamento, che rasentano il patologico. Lasci andare tutti
questi calcoli, e innanzi tutto torni ad essere un uomo ragionevole. Attual­
mente Lei è come un bambino viziato, che non può fare di testa sua e piange
credendo cosi di poter ottenere tutto.
Non badi a quest'ultima frase, ma è proprio vero. Tenga a mente queste
parole dette davvero con buolie intenzioni, e non pensi male della sua
devota
Mammal l

Non sappiamo se Freud rispose a questo proclama, ma certamente esso


non infiui sulla sua decisione.
Non restava che da trovare una casa adatta per la giovane coppia, e
192 Vita e opere di Freud

ammobiliarla, ma erano due problemi estremamente difficili. Senza un luogo


nel quale esercitare la sua professione, Freud non poteva guadagnare, né
potevano vivere in stanze completamente spoglie. All'inizio di luglio un
telegramma di Martha portò la gioiosa notizia di una soluzione: «Hurrah,
1250 gulden [500 dollari] LOwbeer!» Era un regalo di nozze della zia
Lea, di Briinn. Nel rispondere Freud osservò che le autorità postali dove­
vano esser state indotte dall' «urrà» a considerare il telegramma come un
dispaccio militare, dato che esso terminava con Lorbeer. 12 Ci fu poi un
altro dono di 800 marchi (190 dollari) da parte dello zio Louis Bernays
di Londra, che Martha apprezzò ancora di più, perché rappresentava un
sacrificio maggiore. Cosi ora il pagamento dei mobili era garantito, ed essi
potevano portare a termine i preparativi. La successiva corrispondenza trat­
tava di particolari questioni di arredamento, che potevano interessare solo la
giovane coppia. A Freud mancava l'aiuto di Martha in questi delicati pro­
blemi di accostamenti di colori e di tendaggi, ma egli ricorse a sua' sorella
Rosa, per cui tra una cosa e l'altra tutto fu sistemato prima della sua par­
tenza.
A parte la naturale impazienza, la principale ragione per cui la data fu
spostata da novembre a settembre era di ordine puramente pratico. A Vien­
na gli appartamenti si affittavano tre mesi per tre mesi, e perciò o il IO
di agosto o il lodi novembre. Malgrado tutti i suoi sforzi e le inserzioni,
Freud trovò che quelli passabili erano molto pochi, e per di più poteva
cercarli solo di sera. Il problema era urgente, dato che era indispensabile
avere una casa in cui condurre la sposa, e il tempo che rimaneva a Freud
prima di partire per le manovre era limitato. L'appartamento più confa­
cente che trovò era situato nella Ferstelgasse, ma aveva il grave inconve­
niente di essere libero solo in novembre; ciò significava perdere l'esercizio
della professione nel mese migliore dell'anno, l'ottobre, ipotesi che Freud
non poteva permettersi di prendere in considerazione. Avrebbe anche po­
tuto conservare l'appartamento che già occupava con l'aggiunta delle due
camere tenute ora dagli inquilini che gli affittavano la casa, ma questo gli
sarebbe costato 1400 gulden (560 dollari), altra soluzione fuori discussione.
Freud venne però a sapere che era facile avere un appartamento nella Kai­
se,liches Stiftungshaus di recente costruzione, nota comunemente come la
Siihnhaus, la «caSa dell'espiazione» che l'imperatore aveva fatto costruire
sul luogo dell'infausto Ringtheater. 13 Pochi erano disposti ad occupare una
casa dalle associazioni cosi lugubri, ed egli domandò a Martha se essa con­
11 matrimonio (J886) 193

divideva la generale superstiZIOne. Essa telegrafò il suo consenso a pren­


dere l'appartamento a metà luglio, e Freud lo fissò immediatamente. Mar­
tha aveva espresso fondate apprensioni su un altro punto, e cioè l'alto affit­
to. Questo era di 1600 gulden (640 dollari) all'anno, pagabili ratealmente,
somma certamente superiore a quella che essi avevano preventivato. Ma
l'abituale ottimismo di Freud e il suo coraggio ebbero ragione dei dubbi
di Martha.
L'appartamento era composto di quattro grandi stanze. L'entrata del pa­
lazzo era al numero 5 di Maria Theresienstrasse, dal lato opposto dello Schot­
tenring. La figlia maggiore di Freud, Mathilde, fu il primo bambino che
nacque nel casamento, il 16 ottobre 1887, e l'imperatore mandò un aiutante
di campo con una amabile lettera di congratulazioni per la nuova vita sorta
sul luogo in cui tante altre erano andate perdute. Anna Bernays dice nelle
sue memorie che questa lettera era accompagnata da un bel vaso della fab­
brica imperiale di porcellane, ma malauguratamente nessun altro membro
della famiglia ebbe mai sentore dell'esistenza di questo oggetto.
Un ultimo colpo doveva ancora abbattersi su Freud prima che le sue
speranze fosseèo esaudite. Finora egli si era adagiato nel pensiero che in
Germania, dove intendeva sposarsi, sarebbe stata sufficiente la sola cerimo­
nia civile, e gli sarebbe stato cos1 risparmiato il penoso dilemma di cam­
biare la sua «confessione», che non aveva mai preso sul serio, oppure
affrontare le complesse cerimonie del matrimonio ebraico, che aborriva. Ora,
ai primi di luglio Martha lo informò che il matrimonio civile era valido
in Germania, ma non veniva riconosciuto in Austria, per cui, giungendo a
Vienna, essi si sarebbero dovuti considerare come non sposati. Non rima­
neva quindi che affrontare la cerimonia ebraica, che però Martha cercò di
rendergli il meno penosa possibile. Essa fu fissata per un giorno feriale,
quando pochissimi amici avrebbero potuto assistervi, e perciò si sarebbe
potuta svolgere in casa della madre di Martha. Un cappello di seta e una
marsina potevano quindi sostituire il vestito da sera, più formale e tradi­
zionale. E cos1 fu stabilito.
Le manovre militari a Olmiitz, di cui si parlerà brevemente nel capitolo
seguente, durarono dal 9 agosto al lO settembre. Poi Freud tornò a Vienna
per togliersi 1'.u.niforme, e part1 per Wandsbek il giorno successivo. Scoprl
che la paga mlhtare era stata solo metà di quanto gli era stato fatto credere,
cosicché dovette scrivere in via privata alla futura cognata, Minna Bernays,
per chiederle in prestito un po' di denaro per il viaggio a Wandsbek. Era

7•I
194 Vita e opere di Freud

riuscito a comprare un regalo di nozze per la sposa, un bell'orologio d'oro.


Avrebbe dovuto esserci anche una collana di corallo per Minna, ma dato
che l'ambasciatore di Portogallo non aveva ancora pagato la sua parcella,
si dovette soprassedere.
Il matrimonio civile ebbe luogo il 13 settembre nel Municipio di Wands­
bek. Sessantacinque anni dopo la sposa ricordava vivamente che durante
la cerimonia l'ufficiale aveva commentato il fatto che essa aveva firmato il
registro con il suo nuovo nome, senza la minima esitazione. Freud passò
le notti del 12 e del 13 in casa dello zio Elias Philipp, cui spettava il com­
pito di guidarlo nella Broche (preghiera) ebraica, che egli avrebbe dovuto
recitare il giorno seguente al matrimonio vero e proprio. Freud si morse
probabilmente le labbra quando si trovò sotto la Chuppe,14 ma tutto andò
per il meglio. Oltre i famigliari, erano presenti solo otto parenti.
Gli sposi partirono quindi per Lubecca donde scrissero una lettera in
comune alla Mamma a Wandsbek, una frase per ciascuno. Quella finale
di Freud era: «Data nella nostra attuale residenza a Lubecca, il primo
giorno di quella che speriamo sarà una guerra di trent'anni tra Sigmund
e Martha.» La guerra non scoppiò mai, ma i trent'anni arrivarono a cin­
quantatré. Il solo segno di «guerra» registrato in tutti gli anni seguenti fu
una temporanea divergenza di opinioni sulla ponderosa questione se i fun­
ghi andassero cucinati con o senza i gambi. La scherzosa promessa fatta da
Freud due anni prima, che avrebbero litigato una volta alla settimana, fu
completamente dimenticata. Ci fu larga opportunità di esaurire nel mondo
esterno ogni residuo bisogno di dispute emotive, cosicché l'armonia fami­
liare restò intatta.
Dopo un paio di giorni si trasferirono a Travemiinde nello Holstein,
sulle rive del Baltico, dove trascorsero la maggior parte della luna di miele.
Nel viaggio di ritorno si fermarono un poco a Berlino, a Dresda e a Brunn,
dove dovevano ringraziare la zia Lea che aveva reso possibile il matrimo­
nio, e infine a Vienna, che raggiunsero ilIo ottobre. Qui la sposa ebbe una
calorosa accoglienza da parte degli amici di Freud ed ebbe presto !'impres­
sione di sentirsi a casa propria.
La sposa aveva venticinque anni esatti e lo sposo trenta, e insieme dove­
vano formare una bella coppia. Freud era un bell'uomo, magro ma robu­
sto, con una bella testa, lineamenti regolari e occhi scuri lampeggianti. Era
alto un metro e settanta e pesava poco più di sessantatré chili. Più tardi sua
Il matrimonio (1886) 19S

moglie lodava con soddisfazione la bella abbronzatura con CUI era tornato
dal servizio militare.
Nel miglior stile di Churchill, Freud ebbe l'abilità di preparare la moglie
solo a tempi duri, in attesa del futuro migliore nel quale egli confidava
pienamente. Da principio le sue prospettive si realizzarono in pie~o ..~u:
rante il primo mese, quell'ottobre dal quale aveva sperato tanto, l attività
professionale fu scarsissima. Fu un mese di bel tempo, e tutti i medici si
lamentavano che la gente preferisse godersi il caldo che andare a farsi
curare. Freud scrisse a Minna di scegliere tra il pensiero che il suo suc­
cesso professionale in estate era stato eccezionale, e quello che eccezionale
fosse invece il suo attuale ribasso. Da parte sua naturalmente preferiva
credere alla seconda ipotesi. Guadagnò solo 112 gulden (45 dollari) in
tutto il mese, quando gliene servivano 300 (120 dollari) al mese per le
sole spese correnti. Insomma le circostanze li mettevano alla prova, sebbene
ambedue ci scherzassero sopra. Egli aveva già impegnato l'orologio d'oro
che gli aveva regalato Emanuel, e adesso sarebbe stata la volta del suo
dono di nozze a Martha, altro orologio d'oro, se Minna non li avesse aiuta­
ti - cosa che naturalmente essa fece. Il mese seguente però il vento co­
minciò a girare, sicché la sorte, dopo tutto, non era poi stata tanto cieca.
L'orario di visita cominciava a mezzogiorno, e per un certo tempo i pa­
zienti vennero chiamati «i negri», strano appellativo che deriva da una
vignetta apparsa sui «Fliegende Blatter», nella quale un leone borbottava
sbadigliando: «~ mezzogiorno e ancora niente negri.»
Freud aveva finalmente raggiunto il paradiso di felicità che aveva ago­
gnato. Pochi matrimoni sono stati più felici. Martha fu indubbiamente una
sposa e madre eccellente. Era un'ottima donna di casa - il raro tipo di
donna che sa conservare le domestiche a tempo indeterminato - ma non
fu mai il genere di Hausfrau che antepone gli oggetti alle persone. Prima
di tutto venivano sempre il benessere e la comodità del marito. Nei primi
anni egli soleva discutere i suoi casi con lei, alla sera, ma più tardi non ci
si poteva aspettare che essa seguisse i vagabondaggi della sua immagina­
zione più di q6anto faceva gran parte del mondo.
La Frall Professor, quale essa divenne pochi anni dopo, non diventò mai
una vera Yiennese. Essa restò amburghese nel suo modo di esprimersi piut­
tosto preCISO, e non assunse mai le maniere viennesi, un po' indolenti. Era
~ltret~anto tede~c.a che ebrea, e questo ebbe sicuri vantaggi nell'ampliare
l ambiente familIare. Freud l'aveva svezzata dall'ortodossia ebraica nella
Vita e opere di Freud

quale essa era cresciuta, e la religione non ebbe alcuna parte nella vita di
famiglia. Nella vecchiaia avanzata però, dopo la morte del marito, essa di­
scuteva con interesse sugli usi e le festività ebraiche con chiunque la pen­
sasse allo stesso modo. 16
Poi cominciarono ad arrivare i bambini, che completarono la loro feli­
cità. Due anni dopo Freud scriveva in una lettera: «Viviamo assai felici,
in una noncuranza che va tranquillamente crescendo. Quando sentiamo ri­
dere il bambino ci pare la cosa più bella che ci possa accadere. Non sono
ambizioso e non lavoro molto intensamente.» Nella prima casa nacquero
tre bambini, due maschi e una femmina (il 16 ottobre 1887, il 6 dicembre
1889 e il 19 febbraio 1891). I maschi furono chiamati Jean Martin, in onore
di Charcot (e non di Lutero com'è stato detto), e Oliver, in onore di
Cromwell, il primo eroe di Freud. La famiglia in aumento aveva bisogno
di più spazio, cosi nell'agosto 1891 si trasferirono al famoso numero 19
della Berggasse, che aveva anche il vantaggio di costare meno. Un anno
dopo acquistarono altro spazio prendendo in affitto tre stanze al piano ter­
reno, che servirono come studio di Freud, gabinetto di visita e sala d'aspet­
to. Li Freud visse per quarantasette anni, e nacquero altri tre "bambini, un
maschio e due femmine (6 aprile 1892, 12 aprile 1893 e 3 dicembre
1895). Il maschio fu chiamato Ernst in onore di Briicke.
Freud fu un padre non solo affettuoso ma anche indul8ente, come del
resto ci si poteva attendere, dati i suoi princìpi generali. Naturalmente le
frequenti malattie dei figli lo preoccupavano molto. A cinque o sei anni,
la figlia maggiore per poco non mori di difterite, la «pericolosa malattia»
cui Freud si riferiva nei suoi scritti. Al momento della crisi, il padre, scon­
volto, le chiese che cosa le sarebbe piaciuto più di tutto, ed ebbe come
risposta «una fragola». Benché si fosse fuori stagione, un rinomato negozio
ne aveva. Il primo tentativo di inghiottirne una provocò un attacco di tosse
che rimosse completamente la membrana ostruente, per cui il giorno dopo
la bambina era già in via di guarigione. La sua vita eèa stata salvata da una
fragola - e da un padre amoroso.
Quando i bambini furono sei, la cognata di Freud, Minna Bernays, (18
giugno 1865 - 13 febbraio 1941), si uni alla famiglia e rimase con loro fino
alla sua morte. Prima di allora e dopo la morte di Schonberg, suo fidan­
zato, era stata dama di compagnia di una signora, occupazione che non
aveva mai trovato di suo gusto. Da ragazza aveva atteso al suo lavoro in
casa con il piumino in una mano e un libro nell'altra, perciò non stupisce
Il matrimonio (J 886) 197

che interessi intellettuali e soprattutto letterari assorbissero la sua esistenza.


Aveva anche mani molto abili, e i suoi ricami erano opere d'arte. Era una
di quelle persone che hanno un dono speciale. per scegliere regali adatti,
e una volta le sentii dire che se un giorno fosse venuto il tempo in cui
non sapesse più trovarne, quello sarebbe stato il momento di morire. Tante
Minna era spiritosa, interessante e divertente, ma aveva una lingua pungente
che contribuI alla provvista degli epigrammi di famiglia. Lei e Freud an­
davano magnificamente d'accordo. Non c'era attrazione sessuale né da una
parte né dall'altra, ma egli la trovava una compagna stimolante e diverten­
te, e soleva talvolta fare brevi gite con lei, quando sua moglie era impe­
gnata. Tutto questo ha dato origine alla leggenda maligna e del tutto falsa
che Minna abbia soppiantato la moglie nel suo affetto. Freud gradi sempre
la compagnia di donne intellettuali e piuttosto mascoline, che abbondaro­
no tra le sue conoscenze. Può forse sorprendere che «Tante Minna» non
l'abbia mai aiutato nel suo lavoro letterario, per esempio imparando a ste­
nografare18 e a scrivere a macchina, ma Freud non poté mai separarsi dalla
sua penna, che usava sia per la sua corrispondenza privata che per i suoi
scritti scientifici. Evidentemente gli era più facile pensare quando la teneva
10 mano.
Negli anni successivi la famiglia trascorse le vacanze estive nella regione
di Semmering, alternativamente tra Mariazell e Reichenau. Non risulta che
Freud sia andato altrove fino al suo viaggio a Nancy e a Parigi nel 1889,17
Note

1. M., 29 ottobre 1883.


2. Ibid., 4 agosto 1882.
3. Ibid., 18 agosto 1882.
4. Ibid., 16 maggio 1884.
5. Ibid., 19 e 21 aprile 1886.
6. Lettera a Suzanne Bernfeld.
7. M., 3 maggio 1886.
8. V. p. 257.
9. M., 18 aprile 1886.

lO. V. pp. 177-178.

11. Lettera della signora Bernays, 27 giugno 1886.


12. Allori.
13. V. p. 142.
14. Il baldacchino che rappresenta il Tempio, sotto il quale le coppie ebrai­
che stanno in piedi durante il rito matrimoniale.
15. Informazione privata di Arnold Marlé.
16. Freud sapeva stenografare e se ne serviva per scrivere le sue cartelle
cliniche, in ospedale. In seguito invece ne fece a meno.
17. V. p. 292.
IX. Vita privata (1880- 1890 )

Dalla corrispondenza di Freud si ricavano su questo periodo della sua vita


due impressioni principali: la sua tremenda povertà e il grande valore dei
suoi amici. Del secondo parleremo più avanti.
L'atteggiamento di Freud nei riguardi del denaro sembra essere stato sem­
pre straordinariamente normale e obiettivo. Il denaro non aveva interesse
in se stesso: esisteva per essere usato, e quando ne ebbe occasione, Freud
fu sempre molto generoso. Si potrebbe persino dire che non si curò del
denaro, tranne quando ne ebbe disperatamente bisogno per qualche fine
particolare: che lo regalasse o che lo accettasse da un amico, che lo pre­
stasse o se lo facesse prestare, era lo stesso. Nei primi tempi della vita da
studente le sue necessità erano cos1 modeste che il denaro non avrebbe
potuto rivestire molta importanza: i libri erano la cosa principale che esso
poteva comprare.
Ma allo stesso tempo Freud considerava il denaro in modo del tutto rea­
listico, e non lo disprezzava affatto: ovviamente esso poteva procurare
tante cose, e la sua mancanza imponeva delle privazioni. Perciò Freud si
rendeva ben conto del fatto di essere intralciato nei suoi desideri, viaggi o
altro, a causa della mancanza di soldi, e infatti la mancanza di denaro ha
ostacolato pochi altri più del giovane Freud, i cui desideri non mancavano
certo d'intensità.
Quando si fidanzò, il fatto di essere intralciato dalla povertà divenne
veramente serio. Egli fu costretto a dichiarare di essere povero, senza un
soldo e senza prospettive, dato che anche un medico condotto di campagna
aveva bisogno di un minimo di capitale per iniziare la professione. Sembra
anzi che questa sia stata la ragione principale perché il fidanzamento fu
tenuto segreto il più a lungo possibile. La famiglia nella quale egli ambiva
Vita e opere di Freud

di entrare lo avrebbe giudicato assolutamente inaccettabile e i suoi amici


semplicemente uno scriteriato.
La prima cosa che Freud fece, quindici giorni dopo il fidanzamento, fu
di mettersi «sotto tutela» a causa della sua prodigalità, e nominò la fidan­
zata suo banchiere, ,facendole mettere una moneta d'argento nel salvada­
naro: «Il metallo ha il potere magico di attirare altro metallo; la carta
invece vola via con il vento. Sai, sono diventato superstizioso. La raziona­
lità è terribilmente seria e deprimente, un po' di superstizione invece è
divertente.»1 Un pizzico di superstizione, però, l'aveva davvero, e nella sua
corrispondenza se ne trovano molti esempi. Raccontava tra l'altro che, aven­
do scelto da ragazzo il numero 17 in una lotteria che rivelava il carattere
delle persone, venne estratta la parola «costanza», che egli associava ora
alla data del fidanzamento, appunto il 17. Tutto il denaro che riusciva a
guadagnare, Freud lo mandava a Martha, ed essa custodiva il fondo comune,
dal quale egli prelevava e restituiva a secondo della sua situazione finan­
ziaria. Per un certo periodo Martha sembrò riluttante ad accettare i soldi,
ma Freud la convinse chiedendole se si appartenevano a vicenda oppure
no, e se preferiva tornare ai tempi dei rapporti tra la Fraulein e lo H err
Doktor.
Si impegnò anzi a mandarle ogni settimana un rendiconto giornaliero
delle sue spese, e qualcuno ne resta ancora. Sappiamo cosi che, dal primo
alla metà di settembre 1882, i due soli pasti che faceva gli costavano com­
plessivamente 1 gulden e 11 kreuzer (45 cents).2 26 kreuzer (lO cents)
erano per i sigari, con il commento «cifra scandalosa». Un giorno spese
lO kreuzer per un po' di cioccolata, ma aggiunse per giustificarsi: «Per
la strada, mentre andavo da Breuer, avevo una fame terribile.» Una volta
mancavano lO gulden prestati a Konigstein, e il giorno dopo un gulden
mancante veniva registrato come «prestato». Poi però dovette confessare di
aver perduto 80 kreuzer alle carte.
Questa tremenda povertà durò per anni, e intorno al 1890, nella corri­
spondenza con Fliess, vi sono ancora molte allusioni all' ansia di riuscire
a sbarcare il lunario. Nell'estate del 1883 raccontò che un amico aveva
avuto urgente necessità di avere un gulden in prestito per qualche giorno,
ma siccome i beni terreni di Freud erano ridotti alla cifra complessiva di
4 kreuzer, egli si mise in giro a batter cassa, finché riusc1 a farsi prestare
il gulden necessario, ormai però troppo tardi per quello a cui serviva. Il
suo commento fu: «Non è una meravigliosa vita di bohème, la nostra?
Vita privata (1880-1890) 201

O forse non sei sensibile a questo genere di spmto, e compiangi la mia


miseria?» Non può quindi sorprendere che Freud sia scoppiato a ridere
quando Fleischl gli predisse che un giorno avrebbe guadagnato 400 guldeo
(1600 dollari) all'anno. E poi la situazione non era sempre così allegra, co­
me per esempio in un'occasione in cui, un anno dopo, non aveva nemmeno
i 4 kreuzer, e non sapeva come procurarsi da mangiare per i tre giorni che
mancavano alla scadenza dello stipendio dell'ospedale. Per fortuna un al­
lievo che egli stava preparando gli pagò 3 gulden che salvarono la situa­
zione. Quando, per la prima volta in dieci anni, non poté acquistare nep­
pure un piccolo regalo per il compleanno di sua sorella Rosa (e questo
accadde dopo il suo soggiorno a Parigi), ne soffrì molto. Per un uomo di
mente aperta e di cuore grande, come Freud, le meschinità che sempre si
accompagnano alla povertà devono essere state terribilmente penose. Mi ri­
cordo che anni dopo, in un ristorante, al cameriere che faceva una minu­
ziosa inchiesta su quante porzioni di pane avessimo mangiato, sbottò a
dire: «Ci fate vergognare di fronte agli stranieri.»
Gli abiti costituivano un gravissimo problema, soprattutto se si pensa che
per tutta la vita Freud considerò l'ordine personale assai importante e in­
scindi bile dal rispetto di se medesimi. Il suo sarto, probabilmente amico di
famiglia, era molto accomodante, è vero, ma ogni tanto bisognava pure
pagargli almeno una rata. Quando dissero a costui che il suo cliente era uno
degli uomini più in gamba dell'ospedale, il commento di Freud fu: «La
buona opinione del mio sarto mi sta a cuore quanto quella del mio pro­
fessore.» Ogni spesa andava ragionata. Prima si discuteva con Martha del­
l'opportunità di consumare un po' del capitale per un vestito nuovo, o
magari per una cravatta, e anzi la volta che Martha gliene regalò una fu
la prima che ebbe due cravatte buone. Ci furono momenti in cui non po­
teva uscire di casa perché i buchi del cappotto erano troppo grandi, ed
egli stesso raccontava di esser stato costretto a farsi prestare un cappotto
da Fleischl per potersi incontrare con degli amici di riguardo.
. I due campi, però, nei quali egli sentiva più acuta la privazione, erano
~nn.an~i tutt~ l'imp9Ssi?ilità di dare alla fidanzata qualcosa di più che regali
?
mSlgmfica.n~l,. magan an~he cos~ utili dato che essa era altrettanto povera,
e la posslblhta ancora mmore dI poterle far visita a Wandsbek. L'altro
s,uo .assillo erano i bisogni urgenti della famiglia. Freud si meravigliò nel­
l ~dl~e che M~rtha, per via della sua salute, beveva ogni giorno un bicchiere
dI bura, e chIese: «Dove mai trovi il denaro necessario?» Un suo sogno
Vita e opere di Freud

che non riusd mai a realizzare era di poterle regalare un giorno un brac­
cialetto d'oro a forma di serpe (eine goldene Schlange). A questo deside­
rio, insorto fin dal 1882, egli fa molti accenni. All'inizio del 1885, quando
si preparava alla docenza, ci sperava veramente, e assicurò a Martha che
tutte le mogli dei docenti portavano dei serpenti d'oro a mo' di braccia­
letto, per distinguersi dalle mogli degli altri medici. Ma le sue speranze
furono frustrate sistematicamente, e solo tre anni e mezzo dopo, a Natale
del 1885, riusCÌ a procurarle una serpe d'argento ad Amburgo. Quanto ad
andare a farle visita, la spesa pareva proibitiva. Con qualche sforzo avrebbe
potuto ottenere un biglietto gratuito fino al confine austriaco a costo di
viaggiare in uniforme da ufficiale, ma poi come attraversare la Germania?
Una volta i suoi fratellastri Emanuel e Philipp dovettero andare per affari
a Lipsia, e Freud fece in modo di incontrarsi con loro in quella città. Ema­
nuel fu l'unica persona a cui mostrò «quasi per intero una lettera ,di Mar­
tha». Oltre al suo affetto costante per Emanuel, che non aveva più rivisto
dall'ultima visita che questi aveva fatto a Vienna nel 1878, Freud aveva
dei motivi per questo viaggio. Uno era quello. di assicurare l'aiuto di Ema­
nuel alla famiglia, e l'altro l'assurda speranza, che del resto risultò vana,
che Emanuel gli potesse pagare il viaggio ad Amburgo. Il costo di questo
viaggio fu una preoccupazione costante nell'anno successivo alla partenza
di Martha da Vienna. Freud calcolò che farle visita significava spendere
224 gulden (90 dollari), cioè senz'altro una cifra enorme. Quando final­
mente giunse ad Amburgo (dopo l'episodio della cocaina) aveva solo 8
marchi (1,90 dollari) al giorno per le spese di entrambi, e naturalmente
non aveva il monile d'oro, Nella successiva visita ad Amburgo, dopo aver
lasciato l'ospedale, fu lo stesso: aveva solo 40 gulden per mantenervisi un
mese intero. Più in là, il soggiorno a Parigi sarebbe stato impossibile con
la borsa di studio ufficiale, ma vari amici lo aiutarono economicamente.
Le sue spese, compreso il vestiario e il materiale di laboratorio, raggiun­
gevano i 300 franchi (58 dollari) al mese,s eppure mise da parte 50 fran­
chi per acquistare un regalo di Natale per Martha.
C'era poi la sua famiglia che costituiva un'ansietà e un peso continui.
Il padre di Freud, che non era mai stato un uomo d'iniziativa e di suc­
cesso, si avvicinava ora alla settantina e si lasciava andare in uno stato di
inerzia fatalistica e persino d'infantilismo. Già da tempo non guadagnava
più, ed è difficile dire di che cosa vivesse la famiglia. Ci fu, è vero, una
speranza effimera nel luglio 1883, quando un cugino rumeno incaricò l'an­
Vira privata (1880-1890) 1.03

ziano parente· di andare a Odessa a trattare certi affari che gli avrebbero
potuto fruttare qualche centinaio di gulden. Il padre di Freud vi andò, ma
senza concludere nulla. Sembra che le sei donne mandassero avanti la casa
in modo se non proprio inetto, almeno molto confuso, e quando Emanuel
tentò di metterVi ordine alla fine del 1884, Freud si dimostrò scettico sulla
possibilità che fosse mantenuto a'lungo. ~ piuttosto strano che Freud parli
della madre solo sotto due aspetti: che essa era molto incline a lamentarsi,
e che soffriva di una grave forma di tubercolosi polmonare. Quest'ultima
costituiva ovviamente una grave preoccupazione, e toccava a lui occupar­
sene e far s1 che la madre lasciasse Vienna per la campagna durante la
stagione calda. Nel 1884, per esempio, scrisse che stavano tutti tentando
di mantenerla in vita un po' più a lungo. Sarebbe rimasto certamente sol­
levato e assai stupito di sapere che essa sarebbe sopravvissuta per quasi
mezzo secolo fino a un'età molto avanzata. Ciò che salvò la situazione in
quel periodo particolare fu un allievo che Fleiséhl mandò a Freud. Que­
st'ultimo faceva quel che poteva, ma molto spesso dovette ammettere di
non avere assolutamente nulla da mandare alla madre o alla famiglia. In
periodi simili non sapeva decidersi a far visita ai suoi; e constatare le loro
misere condizioni. Soffrl spesso nel vedere il viso emaciato delle sorelle
e una volta, invitato a colazione fuori, raccontò quanto gli fosse parso duro
mangiare l'arrosto sapendo quanta fame avessero le sue sorelle.' Ci fu un
periodo in cui il padre, il figlio minore e tre sorelle vissero non si sa come
con un gulden al giorno.
Al giorno d'oggi il problema si sarebbe risolto mettendo a lavorare le
sorelle, ma a quei tempi non era così facile. Le possibilità di trovare un
lavoro adatto erano molto limitate, e un lavoro servile avrebbe diminuito
le possibilità di matrimonio. La figlia maggiore si era sposata nell' ottobre
1883 ad Eli Bernays, il quale aveva una buona posizione e forni un aiuto
molto considerevole. La seconda ebbe una forte delusione sotto questo pun­
to di vista. La terza andò a Parigi come bonne per un anno, e riuscì a
mandare alla madre 200 franchi (39 dollari); tra l'altro, in tutto quel tem­
po non imparò una parola di francese. Nell'ottobre 1884 si fece un esame
della situazione e furono calcolate e suddivise le spese necessarie all'anda­
mento di casa. Emanuel, che non ebbe mai una situazione molto solida, si
sobbarcò un ~~ntr~buto annuo di 50 sterline (243 dollari) e la quota di
Freud fu stabIlita In lO gulden (4 dollari) al mese. Emanuel inoltre invitò
Rosa a trasferirsi da lui a Manchester, cosa che essa fece dal novembre
304 Vita e opere di Freud

1884 all'agosto 1885. Una camera fu affittata a un pensionante e due


delle ragazze si misero a lavorare. Anche cos1 però il miglioramento fu
solo transitorio, e Freud fece del suo meglio per aumentare la sua quota.
In più pagava lO gulden al mese per l'istruzione del fratello. In due occa­
sioni il suo contributo andò perso con la posta: erano 13 gulden una
volta, e lO gulden l'altra (da Parigi), e né la prima né la seconda egli poté
permettersi di rimpiazzare la somma. Nel maggio 1885 scrisse: «Gli stessi
problemi di ogni giorno, di ogni anno. Niente soldi in casa, niente fuoco
nella stufa, la mamma malata e bisognosa di aria di campagna.» Per sod­
disfare questi bisogni urgenti era pronto a rinunciare al mese che aveva in
mente di passare a Wandsbek, andando a Parigi. Una volta a Parigi, cercò
di mandare a casa 30 gulden (12 dollari) al mese, «cos1 almeno non mo­
riranno di fame». In queste condizioni non stupisce che in seguito Freud
avesse orrore della povertà.
I suoi guadagni in questi anni furono scarsi, incerti, e di diversa prove­
nienza, tutti però fedelmente registrati. C'era innanzi tutto, lo stipendio
dell'ospedale, dall'aprile 1883. Gli passavano una camera, il riscaldamento
e, come osserva seccamente Bernfeld, 5 un compenso pari a quello del lam­
pionaio. Più tardi esso salì a 30 gulden al mese, ma i soli pasti gli costa­
vano più del doppio. Per molto tempo il pasto di mezzogiorno consistette
in un piatto di vitella che costava 60 kreuzer (12 centesimi) e quello se­
rale in carne conservata e formaggio per 36 kreuzer; del dessert si poteva
fare a meno. Per un certo periodo cercò di risparmiare tempo e denaro
cucinando da sé, o meglio non cucinando affatto. Comprò una macchinetta
da caffè, con una provvista di prosciutto, formaggio e pane. Martha non
aveva molta fiducia in questa dieta, che probabilmente non durò a lungo.
Le recensioni per una rivista di medicina gli rendevano 20 gulden a
trimestre. Una volta incassò 15 gulden per aver montato un apparecchio
scientifico. Durante i quattro anni d'ospedale, Freud ricevette pazienti pri­
vati, cosa lecita a quei tempi, e alla fine del 1884 ebbe perfino una targa
sulla porta della sua stanza a tale scopo. Nei primi due anni questi clienti
furono mandati da amici, soprattutto da Breuer, ma nel luglio 1884 Freud
annunciò con fierezza di aver visitato il primo paziente venuto da fuori,
probabilmente qualcuno che aveva sentito parlare della sua scoperta sulla
cocaina, e che pagò 2 gulden. Il suo onorario abituale era di 3 gulden (1,20
dollari), ma per guadagnarlo doveva spesso attraversare tutta Vienna per
andare a somministrare una cura elettrica. Una volta, dopo aver curato un
Vita privata (J880-J890)

paziente per alcuni mesi e aver ricevuto 55 guld.en, disse di avere un de~
bito esattamente uguale, ma che non era tanto SCIOCCO da pagarlo con quel
soldi: c'erano bisogni più urgenti. Nel marzo 1885 si eccitò molto perché
l'avevano chiamato a Budweis al suo primo consulto, che però non ebbe
luogo.
Poi c'erano gli allievi, mandati per lo più da Fleischl. Questa fonte di
guadagno ebbe inizio nell'estate 1884. Gli allievi pagavano di solito 3
gulden all'ora. Per un certo periodo Freud si alzò alle cinque di mattina
per dare una lezione prima della colazione, e avere quindi più tempo per
il suo lavoro. Più lucrose erano le dimostrazioni; che cominciò ad organiz­
zare nel novembre 1884, di solito in inglese per i medici americani che
studiavano a Vienna. La prima ebbe luogo il 3 febbraio 1885. Egli tenne
diversi di questi corsi; la maggior parte erano di neurologia clinica, ma uno
fu sugli usi medici dell'elettricità. Il numero dei presenti variava da sei a
dieci, che era per lui il limite massimo. Un corso consisteva di 25 dimo­
strazioni e durava cinque settimane rendendogli la considerevole somma
di 200 gulden (80 dollari). Disgraziatamente questa redditizia fonte di
guadagno durò solo tre mesi, essendo sorte difficoltà circa il materiale cli­
nico. Infine nel 1886 ci fu la traduzione del libro di Charcot per il quale
ricevette 290 gulden. 6
Tutto questo non arrivava però a far quadrare il suo bilancio, e Freud
doveva ricorrere regolarmente ai prestiti degli amici. Parlava di un certo
suo amico Weiss come del suo banchiere, sebbene abbia potuto farsi pre­
stare da lui solo somme insignificanti. Il primo soccorritore fu il suo vec­
chio maestro di scuola, Hammerschlag, egli stesso molto povero e che vi­
veva di una piccola pensione. «Quando ero studente mi ha spesso aiutato,
senza che glielo chiedessi neanche, a uscire da una situazione disperata. La
prima volta mi vergognai molto, ma poi, quando vidi che lui e Breuer
erano d'accordo, cedetti e accettai di essere debitore verso amici cos1 buoni
senza obblighi personali di sorta.» Una volta Hammerschlag ricevette 50
gulden da usarsi come ritenesse più utile, ed egli li passò a Freud che a sua
volta ne dette buona parte alla famiglia .
. Il principale finanziatore fu però Breuer, che per un lungo periodo di
tempo prestò o dette regolarmente a Freud una certa somma ogni mese.
Sembra che questa abitudine sia cominciata nell'ultimo anno che Freud
passò nell'istituto di Briicke, poco tempo prima di fidanzarsi. Nell'Inter­
pretazione dei sogni egli allude a un amico, indubbiamente Breuer, che lo
206 Vita e· opere di Freud

aveva aiutato per quattro o cinque anni;7 l'ultimo versamento avvenne nel
febbraio 1886. 8 In ogni modo nel maggio 1884 il debito di Freud ammon­
tava a 1000 gulden (400 dollari), tanto che Freud commentò: «Vedere
quanto valgo per qualcuno accresce l'opinione che ho di me stesso.» In
novembre il debito era cresciuto a 1300 gulden, 9 nel luglio successivo alla
considerevole somma di 1500 gulden,lO e continuò ad aumentare, visto
che la cifra calcolata molti anni dopo era di 2300 gulden.H Finché Freud
fu in buoni rapporti con Breuer - e per anni essi furono ottimi - questo
debito si mantenne tollerabile, ma sappiamo che dopo la rottura, avvenuta
intorno al 1890,12 esso gli dette molto fastidio. Breuer però glielo rese
sempre facile. Freud raccontava di avergli detto più di una volta quanto
il rispetto di se stesso fosse calato per questo suo accettare denaro, ma
Breuer insisteva dicendo non solo che si poteva permettere di tirar fuori
somme come quelle, ma che Freud doveva riconoscere il proprio valore
nella realtà. Ciononostante una natura sensibile come quella di Freud non
poteva non provare un certo imbarazzo in una simile situazione, e una volta
scrisse: «Per Breuer sembra che questi prestiti siano una istituzione rego­
lare, ma io ci faccio sempre caso.» La sua sete d'indipendenza, sia econo­
mica che d'altro genere, fu incessante e violenta.
Vn altro sostegno fu Fleischl. Nell'estate del 1884 egli disse a Freud
di farsi prestare senza nessun riguardo quanto gli serviva, e gli chiese per­
ché si facesse prestare denaro solo da Breuer e non da lui. «In una cerchia
ristretta e scelta di uomini che sono d'accordo sulle cose più importanti,
il fatto che uno di loro non condividesse le opinioni degli altri sarebbe
un errore altrettanto grande che se non volesse accettarne l'aiuto.» Dopo
di che Freud si fece prestare denaro da lui in varie occasioni, e quando
partI per Parigi Fleischl gli disse di scrivergli senz'altro se si trovasse in
bisogno. La morte gli impedi di essere ripagato.
Joseph Paneth, come Fleischl, aveva mezzi propri, e si comportava nello
stesso modo verso gli altri meno fortunati. Con lui però la cosa prese un
altro aspetto. Nell'aprile 1884 egli comunicò a Freud la sua intenzione
di accantonare per lui la somma di 1500 gulden (600 dollari) come regalo
che gli avrebbe permesso di accorciare il tempo che lo separava dalle noz­
ze. Freud poteva servirsi degli 84 gulden di rendita per andare a far vi­
sita a Martha, mentre il capitale sarebbe restato a sua disposizione. Freud
ne fu naturalmente felicissimo e scrisse a Martha che gli sembrava di en­
trare nel secondo volume del loro appassionante romanzo, che si sarebbe
Vita privata (J 880-J 89 0 )

potuto intitolare «Ricchi», dopo il primo, volume .dal titol? La ~icc~/a


Dorrit. Effettivamente la faccenda faceva l effetto di un capitolo di DIC­
kens.u «Non è forse splendido che una persona ricca cerchi di livellare
l'ingiustizia della nostra nascita e l'illegittimità della sua posizione privi­
legiata ?»
Freud però non riusd a conservare intatto questo capitale. Dovette ri­
corrervi più di una volta per pagare le sue spese a Parigi e a Berlino, e
alla fine di quel soggiorno un terzo di esso se n'era andato.
Anche Martha da parte sua s'imbatté in un favoloso protettore. Nel
novembre 1883 suo zio Louis Bernays promise sia a lei che a sua sorella
50 marchi (12 dollari) per ciascuna ogni tre mesi, ma siccome questo ve­
niva considerato un modo indiretto di aiutare sua madre, la maggior parte
della somma andava alla signora Bernays. Nel marzo dell'anno seguente
però, Martha accennò alla possibilità di un regalo molto maggiore, e Freud
colse l'occasione per fare dell'ironia in modo romantico: «Dato che Sua
Altezza ha ora prospettive tanto migliori e può giustamente accampare
più alte pretese, mi considero obbligato a restituirLe la promessa fattami
in circostanze del tutto diverse. Il vero amore è quello che mette al di sopra
di ogni altra cosa il desiderio di non contrariare l'amato, ecc. Perciò dopo
tre giorni tu verresti nella mia camera, col solito vestito e col solito cap­
pello, pagheresti tutti i miei debiti e diresti: "ijada di andare d'accordo
con me! ora non dipendi più dal professor X o dal dottor Y o dalla gente,
ma solo da me!" Al che io ti bacerei la mano.» Nella primavera del 1885
queste notizie si delinearono con più chiarezza, e infatti ci furono due colpi
di fortuna uno dopo l'altro. Un parente della madre di Martha mod, la­
sciandole la somma di 1500 marchi (357 dollari). Poi, un paio di setti­
mane dopo, giunsero notizie ancora migliori. La sorella della madre di
Martha, Lea LOwbeer, avrebbe dato a Martha e a Minna 2500 gulden
(1000 dollari) ciascuna. Freud, accennando alle sue precedenti fantasti­
cherie «prese dal romanzo della peggior specie» aggiungeva: «Sai, solo
i poveri accettano con imbarazzo: i ricchi mai.» Pochi giorni dopo di­
chiarava: «Mi impegno solennemente a prenderti anche se non avrai quei
1500 marchi. Nel peggiore dei casi ti prenderò con 150.000.000 di marchi.»

Nei suoi scritti Freud parla varie volte del suo bisogno di avere un
amico da amare e un nemico da odiare. Questa drammatica dichiarazione
contiene una grande verità, e cioè che Freud era capace di amare e di odia­
208 Vita e opere di Freud

re con passione, e che un sentimento era capace di evocare l'altro. Non


è esatto però dedurre, come talvolta è stato fatto, che queste emozioni oc­
cupassero buona parte della vita di Freud, o fossero un tratto dominante
della sua personalità. lo ne conosco infatti solo cinque o sei esempi. Seb­
bene la maggior parte dei disaccordi siano necessariamente bilaterali, al­
cuni di essi sono più unilaterali, altri meno. Se la mia opinione personale
può contare qualcosa, direi che gli screzi con Eli Bernays e poi con Breuer
sono più imputabili a Freud, mentre quelli con Meynert e con Jung (e
anche con Adler) sono stati dell'altro tipo. Nei dissapori con Fliess e Fe­
renczi poi, le parti furono ambedue implicate a un punto tale da rendere
difficile un giudizio. Spero che la mia imparzialità numerica non passi inos­
servata.
Non sarebbe neppure esatto dire che Freud fosse una persona con cui era
difficile andare d'accordo o essere amici. Certo non era un uomo che si
desse da fare per accattivarsi o compiacere chicchessia con convenevoli da
società; anzi, l'approccio iniziale poteva essere anche alquanto brusco. D'al­
tra parte però, Freud era il tipo d'uomo di cui si suoI dire: più lo si co­
nosce, più lo si ama. In ogni caso non vi è alcun dubbio né sul numero né
sulla solidità delle sue amicizie, in ogni periodo della sua vita, e questo
fatto è di per sé abbastanza eloquente.
Freud stesso sapeva di non avere il dono di fare la migliore delle figu­
re nei primi contatti con una nuova conoscenza. «Considero una vera disgra­
zia che la natura non mi abbia dato quel non so che che attrae la gente.
Se ripenso alla mia vita, la cosa che più mi è mancata per renderla rosea
è proprio questa. Mi ci è voluto sempre molto tempo per conquistarmi un
amico, e ogni volta che conosco qualcuno per la prima volta mi accorgo
che se cedo all'impulso, il mio interlocutore, magari senza neanche ana­
lizzarlo, è portato a sottovalutarmi. ~ questione di uno sguardo o di una
sensazione o di qualche altro segreto di natura, ma è certo che fa una im­
pressione molto sfavorevole sulla gente. Ciò che mi conforta è il pensiero
di quanto mi sono vicini coloro che mi sono diventati amici.»14
Verso il 1880 FreQd era ancora studente di medicina e interno nell'Isti­
tuto di Fisiologia, e queste attività, insieme alla lettura di libri d'ogni ge­
nere, occupavano la maggior parte del suo tempo. Egli' manteneva però
anche una vita sociale attiva con amici sia di famiglia che personali.
Il più importante tra quelli della passata generazione era il professor
Hammerschlag che aveva insegnato a Freud l'ebraico e le Sacre Scritture.
Vita privata (1880- 1890 )

«Per anni mi ha voluto bene in modo commovente» diceva Freud di lui.


«Tra noi c'è una tale segreta simpatia che ci possiamo parlare intimamente.
Mi ha sempre considerato come un figlio.» Freud aveva un'altissima opi­
nione anche della moglie di Hammerschlag: «Non conosco persone mi­
gliori, più umane e tanto scevre da bassi moventi.» Anni dopo, Freud
dette a sua figlia lo stesso nome di una figlia di Hammerschlag, che aveva
sposato nel 1885 Rudolf Lichtheim, di Breslavia, morto dopo neanche un
anno di matrimonio, e ad un'altra figlia il nome di una nipote di Hammer­
schlag, Sophie Schwab, alla cui cerimonia di matrimonio con Josef Paneth,
Freud fu presente.
Gli amici strettamente personali di Freud formavano due gruppi ben di­
stinti: quelli conosciuti nel corso del suo lavoro medico o scientifico, in
prevalenza più anziani di lui, ed un piccolo gruppo circa della sua età.
Questi ultimi, in numero di venti o trenta, costituivano quello che chiama­
vano il Bund (l'Unione). Solevano riunirsi regolarmente una volta alla
settimana nel caffè Kurzweil per chiacchierare e giocare a carte o a scac­
chi, e qualche volta facevano anche piccole gite al Prater o nei dintorni
di Vienna, in compagnia di ragazze - spesso loro sorelle. Freud però poco
si curava dell'altro sesso, cosa che scontò quando toccò a lui innamorarsi.
Tra i compagni del Bund c'erano Eli Bernays, Ignaz SchOnberg, i tre fra­
telli Fritz, Richard e Emil Wahle, come pure i tre fratelli di Gisela Fluss,
Richard, Emil e Alfred. Gli ultimi tre risalivano ai tempi di Freiberg, ed
erano venuti a Vienna nel 1878, molto dopo la. famiglia Freud. I primi tre
erano destinati ad avere una parte importante nella vita di Freud nei due
anni successivi. Verso il 1880, SchOnberg era il migliore amico di Freud,
mentre con gli altri due ci furono delle liti che portarono a lunghi periodi
di estraniamento.
Freud parlava dei suoi amici del Bund come di compagni di scuola, ma
ciò non vuoI dire che essi avessero frequentato la stessa scuola di Freud.
Ai tempi della scuola risalivano solo Herzig, ora suo collega all'ospedale;
Robert Franceschini, l'unico della classe che studiò medicina insieme a
Freud, ma che dovette poi rinunciarvi per ragioni di salute; Knopfmacher,
al quale sia in quell'epoca che precedentemente Freud scrisse varie lettere
che sono state conservate; Richard Wahle; Silberstein; Braun e Wagner. I
Rosanes; Brust, che per un certo tempo fu fidanzato con Rosa Freud; Bet­
telheim, medico militare, e Lustgarten, un biochimico che si stabilì poi a
New York, sono di un periodo posteriore.
210 Vita e opere di Freud

Nessuno della famiglia Freud seppe mai come egli fosse giunto a co­
noscere cos1 bene lo spagnolo, e il mistero fu svelato da una lettera che
egli scrisse a Martha in occasione di un incontro con Silberstein, un vec­
chio compagno di scuola che non vedeva da tre anni. Ai tempi dellascuo­
la Silberstein era stato l'amico prediletto di Freud e insieme avevano tra­
scorso tutte le ore libere. Impararono insieme lo spagnolo, e si costruirono
la loro mitologia e il loro gergo privato, traendolo soprattutto da Cervan­
tes. In un altro libro avevano trovato un dialogo filosofico tra due cani
sdraiati davanti alla porta di un ospedale, dei quali assunsero iI nome.
Silberstein era Berganza e Freud Cipion, tanto che soleva firmare le lettere
all'amico «Tu fidel Cipion, perro en el Rospital de Sevilla». Non si può
fare a meno d'immaginarsi come sarebbe rimasto Freud se mezzo secolo
dopo qualcuno gli si fosse rivolto improvvisamente chiamandolo Cipion!
Essi fondarono una società di cultura che chiamarono Academia Cartellane,
per la quale scrissero un'enorme quantità di saggi in stile buffo. Col pas­
sar del tempo i loro interessi presero vie diverse, e il passato fu sepolto.
L'amico divenne banchiere.
Si è già parlato della storia di Fritz Wahle,l~ ma si può dire ancora
qualcosa degli altri due amici che ebbero parte attiva nella vita di Freud
in quel tempo. Ignaz Schonberg era fidanzato con Minna, la sorella minore
di Martha, che aveva allora sedici anni (1881-1882), e perciò, se le cose
fossero andate lisce, sarebbe diventato iI cognato di Freud, ed avrebbero
formato in futuro un felice quartetto, come speravano. Freud osservò una
volta che due di loro, Martha e SchOnberg, erano proprio brave persone,
mentre gli altri due, Minna e lui, erano più passionali e non altrettanto
buoni; due erano malleabili, e due invece andavano dritto per la loro
strada. <te perciò che stiamo meglio in combinazione incrociata, che due
persone simili come Minna e me non sono particolarmente adatte l'una al­
l'altra, e che i due bravi non si attraggono reciprocamente.» A proposito
del tipo di donna fatto per lui, scrisse: «Una donna energica che in caso
di bisogno riesca da sola a buttar fuori della porta marito e servi, non è
mai stato iI mio ideale, per quanto ci sia molto da dire in favore di una
donna in buona salute. Quella che mi ha sempre attratto è una donna
delicata di cui poter aver cura.»
SchOnberg era già allora malato di tubercolosi polmonare, allora abba­
stanza diffusa a Vienna. Dato che molta gente ne guariva, sul principio
la cosa non fu presa molto sul serio. Schonberg era una persona seria e
ZII
Vita privata (188~1890)

di belle doti, ma piuttosto privo di spirito e irresoluto. Nell'estate del 1883


lo stato dei suoi polmoni peggiorò, egli si ritirò a Gleichenberg, nella
Stiria, dove Freud lo raggiunse in giugno per accompagnarlo a Steina­
manger, un luogo di cura in Ungheria. Freud insistette fortemente, ma
senza risultato, perché la famiglia lo mandasse a svernare nel Sud: pen­
sava che in tal caso ci sarebbero state buone probabilità di guarigione, e
li ammonì sui pericoli di un inverno a Vienna.
Nella primavera del 1884, Freud per un paio di mesi curò la madre
di Schonberg, malata di cuore, con esito soddisfacente. In quel periodo
aveva un estremo bisogno di denaro, e passarono vari mesi prima che riu­
.scisse a farsi pagare dalla famiglia il suo onorario di 60 gulden (24 dol­
lari). Schonberg soffrl naturalmente della meschinità del fratello, responsa­
bile di questo debito.
Nell'aprile 1884, SchOnberg, che non guadagnava nulla, ottenne un posto
presso il professor Monier Williams di Oxford, per collaborare alla pre­
parazione di un dizionario sanscrito, allo stipendio di 150 sterline (729
dollari) all'anno. Partl in maggio, appena laureato, facendo a Freud lo
sgarbo di non salutarlo, probabilmente imbarazzato dal fatto che non fosse
stato pagato a Freud l'onorario per la lunga ed efficace cura della madre.
A Oxford le cose si misero male, e la salute di Schonberg peggiorò a
tal punto che dovette lasciare l'Inghilterra entro un anno. Andò ad Am­
burgo per vedere Minna per l'ultima volta e poi a Baden, vicino a Vienna.
Qui Freud lo visitò in giugno e giudicò il suo caso disperato: la laringe
era già colpita. Fu allora che SchOnberg ruppe il suo fidanzamento, desi­
derando dì non tenere ulteriormente legata una donna. Freud scrisse a
Martha a questo proposito dicendo che in una situazione simile essi si
sarebbero comportati diversamente: nulla poteva separarli se non la morte. 16
Schonberg morl all'inizio di febbraio del 1886. Come abbiamo visto, egli
era stato fermamente vicino a Freud in uno dei momenti più difficili dei
rapporti tra questi e Martha Bernays, e il suo aiuto in queU'occasione era
stato preziosoY Freud ne sentl acutamente la perdita. Questa però non fu
la prima morte nella cerchia dei suoi amici, perché nell'estate del 1883
fu turbato nell'apprendere che il dottor Nathan Weiss, suo amico e colle­
ga d'ospedale, tornato da appena dieci giorni dalla luna di miele, si era
impiccato in un bagno pubblico. Weiss era un originale, e Freud era forse
il s?l.o ad esserglisi avvicinato. Dopo che si fu ripreso dal colpo di questa
nottzla, Freud fece in due lettere un'analisi particolareggiata e molto pene­
Vita e opere di Freud

trante del carattere dell'amico, con un'acuta diagnosi dei complessi motivi
che l'avevano condotto alla sua fine. 18 Essa potrebbe figurare come un buon
studio psicologico. Fu la morte di Weiss, promettente neurologo, che spin­
se Freud a scegliere quella carriera, per prenderne il posto.
Eli Bernays (6 febbraio 1860 - 14 ottobre 1923) era legato alla futura
moglie di Freud ancora più strettamente di Schonberg, essendo l'unico
fratello rimastole. Freud era stato per lungo tempo suo amico, e ammise
in seguito che se non fosse stato per il disaccordo insorto fra loro, avrebbe
potuto volergli molto bene. Accade sempre nella vita che quando un uomo
si innamora della sorella di un amico, all'amicizia di prima si sostituisce
una certa ostilità. Fu ciò che si verificò anche in questo caso, e quale parte
questo antagonismo con Eli abbia avuto nei rapporti dei due fidanzati, è
stato già detto. 19
A metà strada tra questi compagni del Bund ed i veri e propri anziani,
vanno ricordati quegli amici di età intermedia, un po' maggiori di Freud,
che appartenevano al crescente circolo delle sue amicizie in campo medico.
A questi apparteneva Heitler, direttore del «Centralblatt fur Therapie»;
Herzig, che fu amico di Freud per tutta la vita e che tanti anni dopo
lo aiutò indirettamente a sfuggire ai nazisti: Pollak, che era Sekundararzt
anziano quando Freud lavorava nella Nervenabteilung; Schwab; Konigstein
l'oftalmologo, che gli fu amico per tutta la vita; Hollander, con il quale
lavorò sull'anatomia del cervello; e Josef Paneth, che morl prematuramen­
te di tubercolosi nel 1890.
Tra i quattro anziani veri e propri, Breuer, l'unico Ebreo, era il perso­
naggio più simpatico, oltre ad essere il solo che meritasse quello che per
uno psicologo è un grande complimento, e cioè l'esser giudicato quasi
«normale». Le lettere di Freud sono piene della calda reciproca stima tra
i due uomini e della grande considerazione di Freud per le brillanti qua­
lità di Breuer. L'intelligenza di lui, il campo vastissimo delle sue cono­
scenze, il suo senso pratico, la sua. saggezza e soprattutto la sua delicata
comprensività, sono le qualità che ricorrono più spesso. Ogni tanto Freud
si lasciava andare a giudicare soggettivamente la persona, ma i numerosi
esempi che porta nelle sue lettere convincono che in questo caso aveva
ragione. Se mi si permette l'espressione, direi che di tutte le persone da
lui menzionate, Breuer è quello che «ne esce meglio». Ad eccezione di
Hammerschlag, è il solo per il quale Freud non abbia una sola parola di
biasimo, e quanto a questo Freud non usava certo molti riguardi a nessuno.
Vita privata (J880- J890 ) ZI3

Freud frequentava abitualmente la casa di Breuer, e raccontava quanto


felice e a suo agio vi si sentisse, perché i Breuer erano persone «care, buone
e comprensive». Gli piaceva molto la giovane e graziosa moglie di Breuer,
e fu in suo onore che chiamò la figlia maggiore Mathilde. Conversare con
Breuer era «come sedere al sole»; «emana luce e calore». <~ una persona
luminosa, e non so cosa trova in me per essere tanto gentile.» «~ l'uomo
che sempre ti capisce.» Forse la cosa più bella che Freud ha detto di lui,
fu nel periodo peggiore di Fleischl: «Breuer si è di nuovo comportato
magnificamente nella faccenda di Fleischl. Non basta a definirlo dirne
solo bene; bisogna far. rilevare l'assenza di qualunque lato cattivo.»20
Breuer non cercò mai di influire su Freud, e Freud cercò invece spesso
"il suo parere, come per esempio per decidere circa la specializzazione in
neurologia, per chiedere la borsa di studio, perché lo aiutasse nella deli­
cata questione di Schonberg e Minna, e cos1 via. Breuer soleva sempre in­
tuire il reale stato d'animo di Freud e incoraggiarlo in quel senso condi­
videndo allo stesso tempo vivamente il problema. Quando non era d'ac­
cordo con Freud, egli aveva l'abitudine di esporre la sua obiezione in una
sola parola. CosI, quando Freud pensò di abbracciare la «confessione» pro­
testante 21 in modo da potersi sposare senza le complicate cerimonie ebrai­
che che tanto odiava, Breuer mormorò appena: «Troppo complicato.» Pri­
ma di partire per il suo mese di vacanze a Wandsbek nel 1884, Freud
chiese un supplemento di 84 gulden. «Breuer rispose con calma: "Caro
mio, non te li presto. Torneresti da Wandsbek senza un soldo, indebitato
con il sarto e terribilmente sfiancato dai bagordi." "Caro amico," ho re­
plicato "per favore non ostacoli il mio stile avventuroso di vita", ma
non è servito. Da parte di Breuer è stato veramente caro e da amico non
solo il rifiutare, ma preoccuparsi che fossi ragionevole, eppure ne sono sec­
cato.» Pochi giorni dopo tuttavia, Breuer andò da lui con il denaro, di­
cendo che aveva solo voluto frenarlo un po', senza però intendere di por­
gli delle restrizioni. Il solo consiglio attivo che Breuer sembra aver dato
a Freud fu un'idea per una ricerca di anatomia: 22 Siccome Breuer aveva
fatto spontaneamente il nome di Freud per un'importante ricerca sul nervo
acustico, ci si può chiedere se questo non sia stato il punto di partenza
dell'importante lavoro che Freud fece sulle fibre radicolari di quel nervo,
e che fu la sua ricerca istologica di maggiore valore. Se è cosI, fu un
consiglio che valeva la pena di ricevere.
Breuer prendeva spesso con sé Freud nei suoi giri. Questi raggiunge­
21 4 Vita e opere di Freud

vano talvolta distanze considerevoli, così che essi erano costretti a pernot­
tare fuori di Vienna. In una di queste occasioni,. a Baden, Breuer segnò
il nome di Freud nel registro della Gasthaus come suo fratello, per evitare
che Freud dovesse dar mance al cameriere. L'occasione più indimenticabile
fu però quella in cui Breuer invitò Freud a trascorrere un paio di giorni
in una casa che ~veva preso per l'estate a Gmunden nel Salzkammergut.
Di rado Freud si era allontanato tanto da Vienna o aveva visto un paesag­
gio così bello, e scrisse un lungo e lirico resoconto di questa meravigliosa
espenenza.
Vale certo la pena di tener presente tutto questo nel leggere nella corri­
spondenza di Freud intorno al 1890 la pungente animosità che egli andò
sviluppando nei confronti di Breuer, ma che d'altra parte non tradì in al­
cuno dei suoi scritti pubblicati, dove parlò sempre di lui in termini di lode
e di gratitudine. Se ne deve concludere che Freud cambiò più di Breuer,23
e la ragione di ciò deve esser stata più interiore che esterna.
Gli altri amici anziani di Freud erano stati i suoi superiori nell'Istituto
di Fisiologia, quelli che aveva detto di poter rispettare e prendere ad esem­
pio. 24 Essi erano lo stesso Briicke e i suoi assistenti Exner e Fleischl. Di
Briicke, formidabile ma cordiale, abbiamo già parlato, e anche di Fleischl,
pieno di brio e di fascino. Il severo Exner, pur essendo per Freud il meno
attraente, mantenne con lui rapporti amichevoli dopo il periodo in comune
nell'istituto, e ogni tanto lo invitava a cena o a passare la serata. m casa
sua.
Insomma, Freud aveva una quantità di amicI In ambienti assai diversi.
La sola persona che lo avesse preso in antipatia pare fosse un certo dr.
]aksch, assistente di Nothnagel, che fece del suo meglio per guastare il suo
direttore nei confronti di Freud.

Ora va detto qualcosa sullo stato di salute di Freud in quegli anni. In


primo luogo egli soffrì di alcune malattie fisiche: due attacchi di febbre
ricorrente e uno di vaiolo nell'aprile 1885. Quest'ultimo, in forma lieve,
non lasciò segni visibili, ma sembra che la tossicosi che lo accompagnava
fosse stata grave. 25 Un'altra volta, nell'autunno del 1882, Nothnagel dia­
gnosticò una febbricola come di natura tifoidea, ma anche questa fu di lie­
ve entità. 18 Più fastidiosi erano i dolori «reumatici» alla schiena e alle
braccia. Freud diceva ogni tanto, anche negli anni seguenti, di avere il cram­
po degli scrivani, ma scriveva tanto che il suo disturbo può essere stato
Vita privata (1880- 1890) 215

benissimo di carattere nevritico piuttosto che nevrotico. Aveva già sofferto


di una nevrite a un braccio, come anche suo padre da giovane, e nel
marzo 1884 fu inchiodato a letto da una sciatica sinistra che gli fece
lasciare il lavoro per cinque settimane. Dopo quindici giorni di letto, però,
ne ebbe abbastanza. «Una mattina giacevo a letto con dolori molto forti,
quando mi vidi nello specchio e restai orripilato dalla mia barba incolta.
Decisi di non avere più la sciatica, di rinunciare al lusso di essere malato
e di ridiventare un essere umano.» CosI si vestI, andò dal barbiere e poi
fece visita a qualche amico - tra la costernazione di tutti.
Freud fu una vittima di quei gravi raffreddori nasali, estremamente fa­
stidiosi, che la gente soggetta solo a leggeri raffreddori di testa non può
nemmeno immaginare, e soffri pure per anni di complicazioni sinusitiche.
Come scrisse in una lettera alla cognata, i mali come questi differiscono
dalle malattie gravi soltanto per la prognosi migliore. Quando venti anni
dopo Lou Salomé scrisse una poesia piena di lirico ottimismo, in cui di­
ceva di voler vivere mille anni anche se non dovessero contenere che do­
lore,27 Freud commentò asciutto: «Basterebbe un raffreddore di testa a non
farmelo desiderare.»
Nell'agosto 1882 ebbe una gravissima faringite che gli impedi per più
giorni di inghiottire e parlare, e quando ne guad, fu assalito da «una
fame spaventosa, come un animale che si sveglia dal letargo». Egli raccon­
tava quindi come questa fame fosse accompagnata da un intenso desiderio
della fidanzata: «Una tremenda tenerezza - tremenda non è la parola giu­
sta, meglio sarebbe fantastica, mostruosa, orribile, gigantesca: insomma, un
indicibile desiderio di te.»
Per tutta la vita Freud andò soggetto a crisi di emicrania che gli impe­
divano qualsiasi attività ed erano refrattarie a qualsiasi cura. Ancora oggi
non si sa se questo male sia di origine organica o funzionale, ma la seguente
osservazione di Freud starebbe in favore della prima ipotesi: «Era come
se tutto il dolore fosse esterno: io non mi identificavo con il male, stavo
al di sopra di esso.» Questo fu scritto quando era ancora troppo debole
per stare in piedi, ma si sentiva già perfettamente lucido di mente. Ri­
cordo un' osservazione simile di molti anni dopo, quando gli espressi la mia
partecipazione in occasione di un suo potente raffreddore: <~ puramente
esterno: l'uomo sottostante è intatto.»
La sofferenza che questi disturbi gli causavano era però di gran lunga
inferiore a quella dei mali di origine psicologica, che lo affiissero durante
:n6 Vita e opere di Freud

i primi venti anni della sua maturità. Non sappiamo quando sia comin­
ciata quella che egli chiamava la sua «neurastenia», né se esistesse già pri­
ma dell'epoca delle lettere. Senza dubbio però, dev'essere stata esacerbata
dal conflitto emotivo connesso alla sua passione amorosa, anche se abba­
stanza stranamente sembra aver raggiunto il culmine qualche anno dopo
il matrimonio. I sintomi che maggiormente lo angustiavano erano di natu­
ra intestinale (gravi forme di indigestione, spesso con costipazione), di
cui egli non riconobbe a quel tempo il carattere funzionale, e una labilità
di umore molto spiccata. Quest'ultima si manifestò naturalmente nella sua
relazione amorosa, come abbiamo già detto nel raccontarla. Nei suoi stati
d'animo neurotici, di solito egli perdeva ogni capacità di godere e provava
un senso di estrema stanchezza che non giovava certo al suo umore. In
una lettera scrisse: «Ieri ero di pessimo umore: avresti dovuto esserci, tan­
to per poter desiderare di non esserci.» La forma più lieve consisteva in
una estrema suscettibilità e tendenza a lamentarsi; ed egli stesso scrisse:
«Ho un vero talento nellamentarmi.» Una volta disse addirittura che negli
ultimi quattordici mesi aveva passato solo tre o quattro giorni felici. 28
Secondo l'usanza di quei tempi, Freud attribuiva la sua «neurastenia»
alle preoccupazioni, alle ansie, agli stimoli della vita che conduceva, e in­
fatti quando se ne legge un resoconto dettagliato, diviene abbastanza chia­
ro come egli fosse sollecitato da una disordinata serie di forze. Allo stesso
tempo però egli osservava che tutti i suoi tormenti svanivano «come per
incanto» non appena era in compagnia della fidanzata. In quel periodo
sentiva di possedere ciò che contava veramente, e che i suoi tormenti sa­
rebbero cessati se solo avesse potuto scegliere una vita modesta e soddi­
sfatta. Perciò ogni cosa si sarebbe sistemata non appena si fossero sposati,
previsione che invece non si verificò. «Sebbene la mia costituzione sia robu­
sta, in questi ultimi due anni non sono stato bene. La vita è stata tanto
dura, che c·era davvero bisogno della gioia e della felicità della tua com­
pagnia per mantenermi in buona salute. Sono come un orologio che non
sia stato riparato da molto tempo e che ora è pieno di polvere. Siccome
però la mia persona è diventata più importante persino ai miei occhi per
il fatto di averti conquistata, ora sto più attento alla mia salute e non
voglio logorarmi. Preferisco rinunciare all'ambizione, fare meno chiasso
nel mondo e aver meno successo, piuttosto che rovinare il mio sistema ner­
voso. Per il tempo che trascorrerò ancora in ospedale, vivrò come i Goys,29
modestamente, imparando le cose di ordinaria amministrazione senza an­
Vita privata (1880- 1890) 21 7

dare a caccia di scoperte o mirare a profondità abissali. Quello di cui


avremo bisogno per la nostra indipendenza può essere ottenuto con un
lavoro onesto e regolare, senza sforzi giganteschi.»30
Non può meravigliare che la lunga privazione potesse talvolta condurre
Freud fino all'invidia. Una sera ci fu un ballo di giovani in casa di Breuer.
«Ti puoi immaginare come tanta gioventù, bellezza, felicità e allegria mi
rendessero furioso, con il mio doloroso mal di testa e la nostra lunga
e dura separazione. Mi vergogno di dire che in tali occasioni provo molta
invidia: ho deciso di non associarmi a compagnie di più di due persone ­
almeno per i prossimi anni. Sono veramente sgradevole per gli altri e in­
capace di godere alcunché. La serata in se stessa era molto piacevole.
"C'erano molte ragazze tra i quindici e diciotto anni, e alcune molto cari­
ne: mi ci trovavo peggio di un appestato.»31
Due giorni dopo, però, la considerazione che la docenza era ormai assi­
curata, gli dette fiducia sufficiente per continuare ad attendere. «Da quan­
do sono diventato un docente mi sono accorto di avere intorno al petto la
triplice armatura di Orazio. Speranze e delusioni non hanno più alcun effet­
to su di me. Sono assolutamente calmo e molto curioso di sapere come il
Signore ci riunirà di nuovo.»
Sembra che alcune di queste difficoltà fossero dovute a un certo senso
di inferiorità, forse alla stessa stregua del suo strano atteggiamento nei
confronti della medicina. 3'2 Partl infatti con l'idea di essere «assolutamen­
te inadatto alla mia difficile professione»,33 sebbene questo atteggiamento
si fosse presto modificato almeno in parte. Poi però sopraggiunse l'impres­
sione analoga «di non essere all'altezza di tutto il logorio che la mia vita
comporta».
Il suo umore era indubbiamente labile e se le cose gli andavano bene,
poteva essere notevolmente euforico, e provare allora «il prezioso godi­
mento di sentirsi bene». «Il lavoro va a gonfie vele ed è quanto mai pro­
mettente. Martha, sono tanto pieno d'entusiasmo, ogni cosa in me è attuaI·
mente cos1 intensa, i miei pensieri cos1 lucidi e chiari, che è meraviglioso
come riesco a mantenermi calmo quando sono in compagnia.» «Da quando
s~o bene in salute la vita mi sembra tanto luminosa.» «La vita può essere
piacevolissima.» L'umore poteva però cambiare rapidamente. Il 12 marzo
1885 leggiamo: «In vita mia non mi sono mai sentito così in gamba», e il
21: «Non posso più andare avanti cos1.»
Le sue crisi di cattivo umore non si possono chiamare depressioni in
318 Vita e opere di Freud

senso psichiatrico. Infatti non c'è mai alcun segno di pessimismo o di di­
sperazione, ma al contrario, incontriamo più e più volte toni di assoluta
fiducia nel successo e nella felicità finale. «Ce la caveremo benissimo»84 è
un'osservazione che ricorre spesso. «Mi è chiaro che non devo preoccupar­
mi del successo finale dei miei sforzi: è esclusivamente questione del tempo
che ciò richiederà.» 35 Freud era più ottimista di quanto comunemente si
creda. Quando non riusd ad ottenere il posto cui ambiva, presso Hein,86
fu molto lodato da alcuni dei professori. «Cosi ne ricavo un buon nome, che
mi sarà utile per qualsiasi altro concorso. Son un vero virtuoso nel trovare
il lato buono delle cose.» Durante la malattia del suo amico SchOnberg,
scrisse: «Spero che Schonberg riesca a cavarsela e che tutti noi riusciamo
a superare i pericoli nei quali incapperemo: né oggi né in alcun'altra oc­
casione in futuro dobbiamo cessare di sperare.» E, un anno dopo, quando
sembrò che la guerra tra Austria e Russia dovesse ritardare una volta di
più i loro progetti di matrimonio: «Guardiamo al futuro per vedere che
cosa ci porterà. Nulla: derubarci degli anni della nostra giovinezza è un
puro capriccio del fato. Nulla può davvero toccarci: giungeremo insieme
alla fine e ci ameremo di più, avendo cosi profondamente assaporato la
privazione. Nessun ostacolo, nessuna malasorte può impedire il mio suc­
cesso finale, ma solo ritardarlo, finché staremo bene e finché saprò che stai
di buon animo e che mi ami. Questa è la mia consolazione, con la quale
guardo coraggiosamente al torbido futuro. Per fortuna sono nato per situa­
zioni di questo genere: ne ho passate tante quando non avevo altro motivo
che un po' di ambizione, e dovrei preoccuparmi ora che il tuo amore mi dà
forza ?»

Possiamo rivolgerei ora a interessi più esteriori. Malgrado le sue pre­


occupazioni, Freud lesse moltissimo e fece il possibile per condividere que­
sta passione con Martha. Dapprima sperò di suscitare l'interesse di Martha
intorno al suo lavoro e giunse a scrivere per lei una sommaria introduzio­
ne alla filosofia che chiamò «ABC filosofico». Segui poi la Introduzione
al/a Scienza di Huxley, che probabilmente non ebbe un successo maggio­
re. Freud non poté certo rimanere sorpreso nello scoprire che la mente
di Martin era costruita diversamente dalla sua. Non riusd neanche a con­
vincerla ad imparare bene l'inglese pur avendola spesso consigliata a farlo
nel periodo in cui la letteratura inglese costituiva il suo svago principale.
Freud la chiamava il suo «desiderio preferito». Invece a Martha piaceva
Vita privata (1880- 1890) 2 19

discutere con lui i buoni romanzi ed aveva naturalmente una buona cono­
scenza dei principali classici tedeschi. Tra loro citavano spesso poesie, per
lo più di Goethe, Heine e Uhland, e qualche volta Martha compose una
lettera in versi; una volta lo fece anche Freud. 37 Spesso egli si dilungava
nelle sue citazioni, come per esempio nel 1883, poche settimane dopo che
si furono separati, in un modo che sembrava definitivo. Freud citò questi
versi di Burns che aveva trovato in Byron:

Had we never loved so kindly


Had we never loved so blindly
Never met or never parted
We had ne'er been broken·hearted. 38

Un mese dopo, quando le prospettive erano ancora oscure, prese coraggio


da queste righe:

Let us consult
What reinforcement we may gaIO from hope,
If not, what resolution from despair. 39

Nello stesso mese, in un momento di irritazione per qualche ostacolo nelle


sue ricerche, si calmò con la Sposa di Lammermoor di Scott:

Look thou not on beauty's charming,

Keep thee still when Kings are arming,

Speak not where the people listen,

From the red gold keep thy finger;

Easy live and happy die,

Such shall be thy destiny.40

A cui aggiungeva: «ovvero, nella libera traduzione di un poeta più moder­


nO»,41 evidentemente sprovvisto di pratica.

Lass Dich nicht nach Schonheit liisten,

Halt Dich fern, wenn Konige riisten,

Sprich nicht, wo die Volksgunst winket,

Greif Du nicht, wo Gold dir blinket;

Stille leb und stirb in Frieden;

Dies werd Dir als Loos beschieden. 42

220 Vita e opere di Freud

Il regalo preferito era per Freud l'invio di libri, sia a Martha che alla
sorella di lei. Tra quelli che donò loro si possono menzionare le opere
di Calderon; Dallid Copperfield, il Dickens preferito di Freud: l'Odissea
di Omero, che ebbe per entrambi un grande significato; il Dr. Luther di
Freytag; Cabala e amore di Schiller; Storia dei PaPi di Ranke e Spiriti mo­
derni di Brandes. Di quest'ultimo considerava come il migliore il saggio
su Flaubert e modesto invece quello su Mill. Gli piacque immensamente
Tom lones di Fielding, ma lo giudicò inadatto alla casta mente di Martha.
Freud faceva spesso commenti sui vari libri. Defini Hard Times (Tempi
duri) un libro crudele, che lo aveva lasciato come se lo avessero strofinato
tutto con una spazzola dura. :a abbastanza strano che invece non pensasse
altrettanto di Bleak HOUIe (La casa tetra), che trovò volutamente difficile,
come la maggior parte delle opere tarde di Dickens, e troppo manierato.
«Avrai notato che tutti i nostri scrittori e artisti hanno un loro "manieri­
smo", una serie stereotipata di motivi e combinazioni che indicano i li­
miti della loro arte. t questo che rende tanto facile il parodiarli, come
per esempio, ha fatto cos1 brillantemente Bret Harte con gli autori inglesi.
Nel caso di Dickens, appartengono a questo manierismo quelle fanciulle
perfette, brave e altruiste, cos1 buone da essere addirittura incolori. Cosi
pure il fatto che tutte le persone buone stringono subito amicizia non ap­
pena si incontrano, e collaborano tra loro per tutta la durata del libro, e
la netta distinzione tra virtù e vizio, che non esiste nella vita (da che parte
starei io, per esempio ?). Infine, il fatto che Dickens tolleri facilmente la
deficienza mentale, rappresentata in quasi ogni romanzo da uno o due zuc­
coni o matti, che appartengono alla schiera dei "buoni", e cos1 via. Ah,
dimenticavo il filantropo, che ha un'enorme quantità di denaro ed è di­
sposto a ogni nobile intento. Copperfield è quello in cui questi difetti sono
minori. I caratteri sono ben individuati, hanno le loro colpe senza essere
abominevoli.»4s
Freud parla anche della lettura della Gerusalemme liberata del Tasso,
delle opere di Gottfried Keller, dei romanzi di Disraeli, della Fiera delle
vanità di Thackeray e di Middlemarch di George Eliot: quest'ultimo lo at­
trasse moltissimo, e gli sembrò illuminàre alcuni importanti aspetti dei suoi
rapporti con Martha. Il Daniel Deronda di Martha lo stup1 per la sua co­
noscenza delle abitudini più intime degli ebrei «di cui parliamo solo fra
noi».44 Tra le opere meno impegnative trovò divertenti Nestroy, Fritz
Reuter e T om Sawyer di Mark Twain.
Vita privata (J 88Q-J 890) 221

I due libri che gli fecero l'impressione più profonda, almeno in quegli
anni, furono Don ChiIciotte e LeI tentations de Saint Antoine. Il primo
l'aveva già letto da bambino, e il suo amico Herzig gliene regalò allora
un'edizione di lusso illustrata da Doré, che Freud aveva desiderato di pos­
sedere. Le avventure di Don Chisciotte gli erano sempre straordinariamente
piaciute e nel rileggerle le trovò più divertenti e interessanti di qualunque
altra lettura. Ne mandò una copia a Martha, e tra le altre osservazioni sul
libro, scrisse: «Non trovi molto commovente che un grande uomo, idea­
lista egli stesso, si faccia giuoco dei suoi ideali? Prima di essere tanto
fortunati da conoscere le profonde verità del nostro amore, eravamo anche
noi come due nobili cavalieri che passino nel mondo avvolti in un sogno,
interpretando a torto le cose più semplici, elevando i luoghi comuni a cose
nobili e rare e facendo cos1 una triste figura. :B perciò che noi uomini leg­
giamo sempre con rispetto ciò che un tempo eravamo e che in parte siamo
tuttora.»
Le TentationI suscitarono in Freud osservazioni più profonde. Le lesse
durante il viaggio a Gmunden in compagnia di Breuer, e le finI il giorno
seguente. «Ero già profondamente commosso dallo splendido panorama, ed
ecco che a completare il quadro è giunto questo libro che nel modo più
intenso e con inarrivabile vividezza ti getta in faccia l'intero mondo di ri­
fiuto. Esso infatti evoca non solo i grandi problemi della conoscenza,45
ma i veri enigmi della vita, tutti i conflitti dei sentimenti e degli impulsi,
e conferma la consapevolezza della nostra perplessità intorno al mistero che
regna ovunque. :B vero che questi problemi sono sempre presenti, e ci si
dovrebbe pensare sempre, ma quello che invece si fa, è limitarsi ad uno
scopo limitato in ogni ora e in ogni giorno. Ci si abitua cosI all'idea che
occuparsi di questi énigmi sia il compito di un'ora particolare, come se
essi esistessero solo in quel momento. Allora questi problemi ci assalgono
fin dal mattino e tolgono a ciascuno la serenità e l'energia.» Segue poi una
lunga e vivace discussione del contenuto del libro che Freud paragona a
una notte di Walpurga (il sabba delle streghe), e alla fine egli fa questa
osservazione: «Quello che colpisce più di tutto è la vivacità delle alluci­
nazioni, il modo in cui le impressioni dei sensi nascono, si trasformano e
improvvisamente scompaiono.» Poi, quasi per attenuare il suo giudizio:
«Lo si capisce meglio sapendo che Flaubert era epilettico, e soggetto egli
stesso ad allucinazioni.»48
Una discussione di Freud su John Stuart Mill dette luogo a un'esposi­
Vita e opere di Freud

zione rivelatrice delle sue opinioni sulle donne. Riferendosi alla traduzio­
ne dell'ultima opera di Mill, da lui fatta nel 1880, egli scrisse: «A quel
tempo criticavo il suo stile smorto e il fatto di non riuscire a trovare una
frase o un detto che potesse essere tenuto a menteY Ma da allora ho letto
un suo lavoro filosofico che era brillante, vivace ed epigrammatico in senso
buono. Nel suo secolo è stato forse l'uomo che è meglio riuscito a liberarsi
dal dominio dei pregiudizi correnti. D'altra parte - conseguenza inevitabile
dell'anticonformismo - in molte questioni gli mancò il senso dell'assurdo,
come per esempio in quella dell'emancipazione della donna e nel problema
della donna in genere. Ricordo che uno degli argomenti principali del saggio
che ho tradotto, era che una donna sposata può guadagnare quanto il ma­
rito. Penso che noi siamo d'accordo sul fatto che il governo della casa, la
cura e l'educazione dei figli assorbe talmente un essere umano da escludere
quasi un guadagno d'altro genere, anche se un andamento domestico sem­
plificato possa risparmiare lo spolverare, il pulire, il cucinare, ecc. Mill si
era semplicemente dimenticato di tutto questo, come anche di tutto ciò che
riguarda i rapporti tra i due sessi, punto nei quale MiIl non si dimostra
certo umano. La sua autobiografia è così casta, così eterea, che da essa non
si potrebbe mai apprendere che gli esseri umani sono rappresentati da uomini
e donne, e che questa è la distinzione più significativa che esista. In tutta
la sua esposizione non risalta mai che le donne sono esseri diversi - non
dico inferiori, piuttosto anzi il contrario - dagli uomini. Egli considera l'op­
pressione delle donne analoga a quella dei negri. Qualsiasi ragazza, anche
senza diritto di voto o capacità giuridica, alla quale un uomo baci la mano
o per l'amore della quale un uomo sia disposto a tutto osare, lo avrebbe
smentito. Quello di spingere le donne nella lotta per l'esistenza esattamente
come gli uomini, è proprio un'idea abortiva. Se per esempio dovessi imma­
ginare la mia dolce e cara fanciulla come un competitore, finirebbe che
dicendole di amarla, come ho fatto diciassette mesi fa, la supplicherei di
ritirarsi dalla lotta nella calma attività priva di competizioni della mia
casa. t possibile che determinate modificazioni dell'educazione possano sop­
primere tutti gli attributi di tenerezza della donna, bisognosa di protezione
eppure tanto vittoriosa, e che essa possa quindi guadagnarsi da vivere come
un uomo. t anche possibile che in tal caso non sia giustificato rimpiangere
la sèomparsa della cosa più deliziosa che il mondo può offrirei - il nostro
ideale della femminilità. lo credo che qualsiasi azione riformatrice della
legge e della educazione fallirebbe di fronte al fatto che, assai prima deI­
Vita privata (1880- 1890)

l'età in cui un uomo riesce a conquistarsi una posIzIOne nella società, la


natura determina il destino della donna mediante la bellezza, il fascino e
la dolcezza. La legge ed il costume devono concedere alle donne molte cose
che sono state loro negate, ma la posizione della donna rimarrà sicuramente
quella che è: un oggetto d'adorazione in gioventù e una moglie amata negli
anni della maturità.»48
Si può passar sopra a molti difetti di una donna, se essa possiede le
virtù cardinali. In un' occasione Freud conobbe una donna che parlava in un
modo molto affettato e piuttosto sciocco. Il suo amico Schonberg la criticò
fortemente, mentre Freud la difese in base al fatto che era una buona moglie
e una buona madre. «Se i sentimenti di una donna sono per cosI dire cor­
retti, poco importa che essa non sappia leggere e scrivere correttamente.»
Freud non sarebbe stato un vero Viennese se non avesse frequentato assi­
duamente il teatro, che a Vienna si anteponeva spesso al mangiare. Sui ven­
t'anni però, quando ebbe a che fare con la povertà, il lavoro e le preoccu­
pazioni, queste uscite divennero rare: nelle sue lettere ne menziona solo una
mezza dozzina. Quando si incontrò con i suoi fratellastri a Lipsia, questi lo
riaccompagnarono sulla via del ritorno fino a Dresda e vi trascorsero una
notte insieme. Videro Esther di Grillparzer e Le ma/ade imaginaire di
Molière nel Residenztheater, e Freud criticò sfavorevolmente la rappresen­
tazione. Nel periodo di Parigi, malgrado le ristrettezze economiche assisté
a diversi spettacoli: OediPus Rex, con Mounet-Sully come protagonista, gli
fece una profonda impressione. Altra magnifica rappresentazione fu iI
Tartuffe di Molière con i fratelli Coquelin, ma il posto da un franco in
loggione gli costò un forte attacco di emicrania. Lo spettacolo successivo fu
Hernani di Victor Hugo. Tutti i posti erano esauriti, tranne quelli da 6
franchi. Freud se ne andò, ma poi tornò sui suoi passi in un momento di
grandiosità, e dichiarò più tardi di non aver mai speso cosI bene sei franchi,
tanto eccellente fu la rappresentazione. Insieme al suo amico Darkschewitsch
andò a vedere Figaro, ma gli mancarono molto le melodie dell'opera, che
aveva sentito a Vienna in compagnia di Martha.
Questi spettacoli erano tutti della Comédie Française, ma l'emozione più
grande fu quella di vedere Sarah Bernhardt al teatro della Porte St.-Martin.
Anche stavolta vi andò con il suo amico russo e pagò 4 franchi. Il posto era
scomodo: «In una tomba ci sarebbe più spazio, e poi sdraiati si starebbe
più comodi.» La comodità eia poi ancora minore per il fatto che, secondo
l'usanza, Freud dovette tenere il cappello di seta sulle ginocchia per tutto
Vita e opere di Freud

lo spettacolo. «Dell'opera in sé, Theodora di Victorien Sardou (che ha già


scritto una Dora e una Fedora e si dice sia ora impegnato in una Thermidora,
Ecuadora e Torreadora), non posso dire niente di buono. Ma come recita
quella Sarah! Dopo le prime parole della sua bella voce vibrante mi è parso
di conoscerla da anni. Qualunque cosa avesse detto non mi avrebbe stupito:
credetti subito a tutto ciò che diceva... Non ho mai visto niente di più
comico di Sarah nel secondo atto, dove indossa un abito molto semplice,
eppure si smette subito di ridere; perché ogni palmo di quella piccola figura
vive e rapisce. E poi il suo modo di lusingare, di implorare, di abbracciare:
è incredibile quali atteggiamenti è capace di assumere e come ogni suo
membro, ogni articolazione reciti insieme a lei. Uno strano essere: imma­
gino che nella vita non abbia alcun bisogno di esser diversa da quella che
è sul palcoscenico.»
Dopo Parigi, a Berlino Freud andò a teatro una sola volta, a vedere Prinz
von Homburg di Kleist, al Deutsches Theater.
Negli anni di quel periodo vengono nominate tre sole opere. Una volta
Breuer lo condusse a sentire la Carmen. Poco dopo, essendosi scandalizzato
nel sapere che il suo amico Schonberg ignorava che il Don Giovanni fosse
stato composto da Mozart, insistette per condurvelo e accennò in una lettera
all'irresistibile «Lucca» che cantava nella parte di Zerlina. Martha e lui
avevano già ascoltato l'opera nel periodo trascorso insieme a Vienna. Poi
non ci fu più nessuna altra opera per due anni, finché Freud decise di com­
pletare la sua cultura mozartiana ascoltando il F/auto Magico. Fu piuttosto
una delusione. «Alcune arie sono meravigliosamente belle ma l'insieme si
trascina alquanto, senza melodie veramente originali. La trama è molto insi­
pida, il libretto assolutamente sciocco e non si può certamente metterlo a
confronto con il DOl1 Gioval1ni.»

Le prospettive di riuscire a guadagnarsi da vivere a Vienna erano così


incerte che Freud pensò più volte di stabilirsi altrove. La questione di quando
avrebbe potuto sposarsi dominava nella sua mente, però sappiamo che nei
riguardi di Vienna egli ebbe sempre un atteggiamento profondamente ambi­
valente. 49 Sul piano cosciente la detestava - per lui non c'era il caro «Stef­
fel», ma solo «quell'abominevole guglia di S. Stefano» - e più e più volte
si espresse in questo senso. Nell'inconscio però qualcosa lo tratteneva a
Vienna, e fu l'inconscio che prevalse.
Freud accennò per la prima volta a queste idee un paio di mesi dopo, il
Vita privata (1880-1890) 22S

fidanzamento. «Soffro per il desiderio di indipendenza, cioè per la possi­


bilità di seguire i miei desideri. Ho sempre davanti il pensiero dell'Inghil­
terra con la sua sobria laboriosità, la sua generosa dedizione al benessere
pubblico, la perseveranza e l'innato senso della giustizia dei suoi abitanti,
il fuoco dilagante dell'interesse generale, che può sprizzare scintille sui
giornali. Tutte le incancellabili impressioni del mio viaggio di sette anni fa,
che ha avuto sulla mia vita un' influenza decisiva, sonò state risvegliate in
tutta la loro nitidezza. Sto riandando alla storia dell'Isola e alle opere degli
uomini che furono i miei veri maestri - tutti inglesi o scozzesi. Sto ripen­
sando a quello che per me è il periodo storico più interessante, il dominio
dei Puritani e di Oliver Cromwell, con l'imponente monumento di quell'epo­
éa, il Paradiso perduto. In questi ultimi tempi, quando non mi sentivo sicuro
del tuo amore, ho trovato solo in esso consolazione e conforto. Dobbiamo
rimanere qui, Martha? Se sarà possibile, cerchiamo di stabilirci dove il valore
umano è più rispettato. Una tomba nel Centralfriedhof è l'idea più ango­
sciosa che io possa trovare.»50 E alla fine le sue ossa non riposarono in
quell'aborrito cimitero viennese, ma nell'Inghilterra tanto amata.
Due mesi dopo, al suo primo colloquio con Nothnagel; Freud lo informò
della sua probabile intenzione di stabilirsi in Inghilterra, perçiò non dovette
certo trattarsi di un'idea passeggera. Circa in quell'epoca scrisse a Martha:
«Se come spero, diventerò entro un anno e mezzo o due un medico di cui
la gente possa avere fiducia, tenterò dapprima la sorte nella mia città natale.
Se qui non andrò avanti abbastanza rapidamente, com' è probabile, dato che
un medico giovane ha bisogno di un capitale che io non ho, emigrerò in
Inghilterra o forse in America, o in Australia.»
Nello stesso mese in cui scrisse la poetica lettera sull'Inghilterra, affermò
che, non essendo molto ambizioso, poteva benissimo vivere nell' ombra, e
che certo non pretendeva altro. Questo però non era certo il suo vero io.
Un anno dopo la Watzderlust ricomparve. Da un lato, se fosse diventato
docente, Freud avrebbe potuto riuscire a guadagnarsi la vita a Vienna, ma
dall'altro il titolo era talmente apprezzato all'estero, che le sue possibilità
sarebbero state migliori se fosse emigrato. Forse però egli si illudeva circa
il valore che si attribuiva all'estero ai titoli viennesi. Questa volta si trattava
dell' America, dove molti scienziati tedeschi si stavano sistemando. Nel no­
vembre 1883 Freud si entusiasmò di un progetto, e lo espose a Martha perché
lo prendesse seriamente in considerazione: questa volta ci pensava seriamente,
disse. A Pasqua del 1885 sarebbe venuto via dall'ospedale. Allora avrebbe

8'1
:u6 Vita e opere di Freud

preso in prestito dagli amici abbastanza denaro per potersi mantenere per un
anno, in due avrebbe sposato Martha ad Amburgo e sarebbero partiti im­
mediatamente. Martha però restò fredda a tutta la faccenda. Essa desiderava
senz'altro essergli compagna nell'avventura, ma temeva che in caso di in­
successo egli si sarebbe sentito ancor peggio per il fatto di aver tradito la
fiducia degli amici. Emanuel, a cui Freud chiese un parere in quello stesso
mese, voleva che egli andasse a Manchester. Per il momento il progetto fu
lasciato cadere, ma esso restò nella mente di Freud. Pochi mesi dopo Martha
stessa tornò sull'argomento scrivendogli: «Ho sentito che gli Americani
non hanno troppi anatomici del cervello. Non pensi che dovresti andarci?
Aspettiamo fino a quando ti offriranno una cattedra.» La risposta di Freud
fu solo: «E cos1 vissero felici per sempre, fortunati e assai rispettati negli
Stati Uniti.» Minna suggerl intelligentemente di rimanere in Austria finché
la. sua fama non avesse raggiunto l'America. Allora gli sarebbero piovuti
tanti pazienti americani che la cura di emigrare sarebbe diventata inutile.
La profezia si avverò, anche se ci mise trent'anni.
Frammisti ai dubbi sulle prospettive future, vi erano sprazzi di ottimismo.
Per esempio, il 2 febbraio 1886 scrisse da Parigi: «Sento dentro di me la
capacità di portarmi tra "quelli che stanno sopra i diecimila".»
Un mese dopo, mostrando a Breuer alcuni preparati anatomici, Freud
osservò: «~ divertente vedere com' è desideroso di imparare e riconoscente
che gli se ne dia opportunità.» Colse allora l'occasione per esporgli un nuovo
piano, e Breuer si trovò d'accordo su di esso. Si sarebbe presentato alla do­
cenza non appena finito il suo lavoro di anatomia, e poi avrebbe cercato di
trovare pazienti e allievi per i suoi corsi. In caso contrario - e ciò avrebbe
significato che gli auspici erano infausti - avrebbe seguito un corso di tre
mesi di ostetricia e malattie dei bambini, e si sarebbe stabilito in qualche
posto di campagna nell' Austria di lingua tedesca (Austria inferiore, Moravia
o Slesia). A Martha assicurò che queste sue intenzioni erano proprio serie.
«Con te, la mia catasta di libri e il mio microscopio, posso sperare di con­
solarmi abbastanza della perdita di una carriera in città. In campagna non
si patisce la miseria, dato che ovunque c'è scarsità di medici. E non ver­
remmo completamente dimenticati perché io continuerei nel mio lavoro.»
Appena tre giorni dopo però scriveva: «Mi sento pieno di combattività e
non penso affatto di rinunciare a un mio futuro a Vienna.» Il mese suc­
cessivo tuttavia, chiese a Nothnagel la sua opinione circa questi progetti e
ne ricevette una risposta molto pessimistica. Se voleva sposarsi, Nothnagel
Vita privata (1880- 1890 ) 2.27

gli consigliava di stabilirsi in una città di provincia; oppure poteva dargli


delle raccomandazioni per Madrid o Buenos Aires! Siccome un futuro a
Vienna dipendeva in gran parte dall'aiuto di Nothnagel, tutto ciò non era
molto incoraggiante, e tuttavia Freud sentì che il professore gli era amico.
L'argomento dell'emigrazione continua a riaffiorare di tanto in tanto nelle
lettere. A quattro mesi di distanza dal matrimonio, Freud era ancora incerto
sulle possibilità di guadagnarsi da vivere a Vienna. Il giorno del suo tren­
tesimo compleanno scrisse: «Se solo tu mi svegliassi al mattino con un bacio,
sarei completamente indifferente al luogo in cui ci trovassimo, in America,
in Australia o ovunque altrove.»
Per gran parte della sua vita Freud soffri più o meno gravemente di
Reisefieber (l'ansia al momento della partenza per un viaggio), che rag­
giunse l'acme intorno al 1890. A quel tempo la chiamava una fobia, ma
certamente non lo era, in quanto non lo atterri mai neppure per un istante.
Invece era forse la contropartita della sua grande passione per i viaggi, che
aveva più di una fonte: la gioia di fuggire da Vienna, il piacere di cono­
scere nuovi ambienti- e nuovi usi, la sua ricerca della bellezza, sia naturale
che creata dall'uomo. Parlava del suo «piacere fanciullesco di essere altro­
ve», che sperava di non perdere mai. 51
Dopo il suo primo viaggio, da bambino, da Lipsia a Vienna, egli si
spostò raramente, fino al viaggio in Inghilterra quando ebbe diciannove
anni. Vennero quindi i viaggi a Trieste da studente. 52 Il successivo lungo
viaggio fu quello a Wandsbek nel luglio 1882. In tutto vi andò sei volte,
l'ultima delle quali in occasione del matrimonio. Nel giugno 1883, ci fu
la scappata per accompagnare Schonberg dalla Stiria in Ungheria,53 e il
mese seguente la visita a Gmunden,54 dov' ebbe la prima visione di un vero
scenario alpino. L'incontro con i fratellastri a Lipsia e Dresda avvenne in
dicembre. Ci furono pure due viaggi nella regione di Semmering, che forse
Freud conosceva già da prima. Nel 1884 non si mosse tranne che per andare
a Wandsbek, dopo l'episodio della cocaina, e anche nel 1885 vi andò due
volte. Poi ci fu il viaggio a Wandsbek, Colonia, Bruxelles e Parigi, seguiti
da Berlino; Wl'altra scappata a Wandsbek, da Berlino, e infine il loro
viaggio di nozze nel settembre 1886. Nei primi anni di matrimonio Freud
trascorse le vacanze sul Summering, sebbene la moglie andasse più lontano,
a Reichenhall, per stare con la madre. Nel 1889 avvenne la famosa visita
a Bernheim a Nancy, il secondo dei suoi tre viaggi in Francia. Dopo aver
assistito al lavoro di Bernheim e Liébault, proseguirono tutti e tre per Parigi
:u8 Vita e opere di Freud

per partecipare al Congresso Internazionale sull'Ipnotismo. Passò a Parigi


dieci giorni stancandosi a morte per visitare la città e molto annoiato dal
congresso in se stesso. Parti per Vienna la sera del 9 agosto e raggiunse
poi la famiglia a Reichenau.
Pochi giovani poveri come lui, a quei tempi, avrebbero potuto vedere
altrettanto, e Freud sfruttò al massimo le occasioni che ebbe. Aveva un
potere di osservazione eccezionalmente acuto, nel tempo a sua disposizione
vedeva tutto il possibile. Nelle sue lettere ci sono vivaci descrizioni di diversi
posti, specialmente di Gmunden, Teschen, Colonia, Bruxelles e, natural­
mente, di Parigi. Manca qui lo spazio per esporle nei particolari, e mi ripro­
pongo di pubblicarle in altra sede,55 ma come esempio si può scegliere
quella su Bruxelles:
«Bruxelles era meravigliosamente bella, una enorme città con splendidi
edifici. A giudicare dai nomi, la gente è per lo più fiamminga e in gran
parte capisce un po' il tedesco. In tre ore e mezzo, senza guida, ho scoperto
i principali monumenti della città. Prima di tutto il Cambio e la Sala del
Comune: non c'è confronto con quella di Vienna. Si nota subito che la
città ha una storia che manca a Vienna. Molte statue che appartennero dav­
vero ai tempi antichi; iscrizioni e immagini intorno alle case. Ho camminato
per tutta la città passando dal Boulevard du Nord al Boulevard du Sud e
cambiando strada ogni volta che mi sembrava di vedere qualcosa di bello.
Le scoperte maggiori le ho fatte solo quando son giunto su una ripida
collina su cui sorgeva un edificio cos1 massiccio e dalle colonne talmente
magnifiche, quale si può immaginare solo in una reggia assira o nelle illu­
strazioni di Doré. Lo presi davvero per il palazzo reale, soprattutto perché
sopra di esso si elevava una cupola a forma di corona. Però non c'erano
guardie, non c'era vita ed evidentemente l'edificio non era finito. Sopra il
portale c'era un leone che reggeva i dieci comandamenti. Era il Palazzo di
Giustizia, e dal cr,inale della collina si dominava un grandioso panorama
della città giacente in basso. Salendo ancora la collina, sono arrivato subito
alla Rue Royale e allora le scoperte sono venute una dopo l'altra. La più
bella è stata il monumento a Egmont e Horn. Di fronte a una vecchia chiesa
c' è una piazza ovale, circondata da una cancellata con deliziosi fiori di ferro
battuto separati da colonne recanti le raffigurazioni di tutte le classi sociali.
Nel recinto c'era un giardino con un piccolo stagno, e proprio in fondo
sorgono i due eroi, ma uno dei due cinge l'altro con un braccio e gli addita
un punto preciso che credo sia quello in cui furono decapitati. Un po' più
Vita privata (J880- J 89 0)

lontano mi sono imbattuto in un uomo in costume da crociato, eretto sul


suo cavallo e con una bandiera in pugno: più da vicino risultò che era
Goffredo di Buglione, il primo re di Gerusalemme dopo la prima Crociata.
Ero molto compiaciuto di trovarmi in cos1 buona compagnia, ma nel frat­
tempo mi era venuta una gran fame, perciò presi il dé;eunel' nel caffè più
vicino rimettendoci due franchi che avrebbero dovuto durare fino all'arrivo
a Parigi. Dopo ho scoperto le colonne del Congresso e una serie di palazzi
che ho scambiato uno dopo l'altro con quello reale. L'avviso di una tenuta
che si affittava a Waterloo mi ha fatto uno strano effetto.»llS Dopo questa
peregrinazione di tre ore e mezzo si precipitò alla stazione per prendere il
. treno della sera per Parigi.
Della sua vita a Parigi, Freud parlò così a lungo che il solo compito di
farne una selezione è già particolarmente arduo. Il solo nome di Parigi aveva
un magico potere su di lui, e dopo alcuni anni scrisse: «Parigi era stata per
tanti anni la meta dei miei desideri, e la gioia con cui ho messo piede sul
suo suolo per la prima volta è stata per me la garanzia che anche altri
desideri si sarebbero realizzati.»~7
Durante le prime sei settimane Freud visse all'Hotel de la Paix, 5 Impasse
Royer-Collard, una traversa a fondo cieco dalla Rue Gay-Lussac, nel quartiere
latino, a due minuti dal Panthéon. Lasciò quella stanza quando partì per
Wandsbek il 20 dicembre, e al suo ritorno, nove giorni dopo, ne prese
un'altra all'Hotel du Brésil, Rue de Goff. Per la prima pagava 55 franchi
(11 dollari) al mese, per la seconda 155 (30 dollari), pasti compresi. Avendo
notato che le tende intorno al letto erano verdi, consultò i testi di chimica
per assicurarsi che non contenessero arsenico. Nei primi tempi prese due
pasti al giorno a 2 franchi l'uno, spendendo in tutto 300 franchi al mese,
wmpresi· i libri e quello che mandava a sua madre.
In principio rimase frastornato dalla folla e dall'animazione di Parigi,
città che aveva «due dozzine di strade come la Ringstrasse, ma due volte più
lunghe». Quando pioveva le strade erano cos1 sporche che il suo nome ro­
mano - Lutetia, la città del fango - sembrava davvero appropriato. Il primo
giorno Freud si senti così solo tra la folla che se non avesse avuto una
lunga barba, un cappello di seta e dei guanti, si sarebbe lasciato andare
a piangere per la strada. Il tema della solitudine e della nostalgia ricorre
spesso nelle sue lettere parigine. «Mi sento come se mi avessero sbarcato
su un'isola in mezzo all'oceano e aspetto l'ora dell'arrivo di quella nave che
mi rimetterà in contatto con il mondo. Perché tutto il mio mondo sei tu,
2.30 Vita e opere di Freud

e la nave talvolta non appare.» Dopo un po', però, egli cominciò ad adat­
tarsi, trovò la città «magnifica e affascinante», parlò del suo «fascino» e
cominciò persino a concepire un «patriottismo locale per Parigi». Mandò
a Màrtha una lunga descrizione tlella geografia e delle bellezze della città,
illustrate da un ottimo schizzo.. Al Louvre visitò per prima cosa le antichità
egizie e assire; e non v'è alcun accenno ch'egli sia mai arrivato ai quadri.
Era invece uno di quelli che scoprono subito il museo di auny. Rimase
stupefatto dal Père Lachaise, ma l'edificio che gli fece maggiore impressione
in tutta Parigi fu senza dubbio Notre-Dame. Fu la prima volta in vita
sua che sentì di trovarsi in una chiesa. Raccontò di esser salito sul cam­
panile ben due volte, il 5 e 1'11 dicembre, e anni dopo disse che quello
era divenuto il suo rifugio preferito. 58 Entrò nello spirito della Notre-Dame
di Vietor Hugo, per il quale prima non aveva avuto grande stima, e disse
di preferirla perfino alla neuropatologia. Come ricordo di Parigi infatti scelse
proprio una fotografia di Notre-Dame. A Parigi trascorse anche l'ultimo
dell'anno, ma non rimase edificato dal rumore dei festeggiamenti.
Le sue impressioni sui Francesi furono meno piacevoli. Nelle lettere ricor­
rono gli aggettivi «arroganti» e «inaccessibili», giudizio che possiamo ascri­
vere in gran parte ad un'eccessiva sensibilità da parte di Freud. Il suo
francese era particolarmente zoppicante, malgrado le quattro lezioni prese
prima di lasciare Vienna - tutto quanto s'era potuto permettere -, e a
Parigi parlava inglese o spagnolo ogni volta che poteva. Era naturale perciò
che i medici dell'ospedale, dopo i primi convenevoli, trovassero più facile
parlare tra di loro, lasciandolo piuttosto da parte. Inoltre l'accento tedesco
a quel tempo non era il miglior passaporto per le suscettibilità dei Fran­
cesi. Era stato appena nominato ministro della Guerra il generale Boulanger,
il quale si apprestava a dare inizio alla sua campagna sciovinista nota
appunto come boulangerismo. Gilles de la Tourette, il famoso neurologo,
dopo che Freud gli ebbe dichiarato che non era né austriaco né tedesco,
ma solo ebreo, si dilungò con lui sulla terribile rivincita che i Francesi si
sarebbero presi sulla Germania.
Anche la gente qualunque suscitava i suoi sospetti e le sue apprensioni.
I commercianti «ti imbrogliano con fredda e sorridente sfacciataggine».
«Tutti sono cortesi ma ostili. Credo che non ci siano molte persone per
bene: comunque io sono uno dei pochi, e questo mi fa sentire isolato.»
«La città e la gente sono fantastici: sembrano appartenere a una specie
diversa dalla nostra: credo che siano tutti posseduti da migliaia di demoni.
Vita privata (1880-1890) 231

Invece di Monsieur e V oilà l'Echo de Parù Ii sento urlare A la lantern~9


o A bas dieser und jener. 60 :e il popolo delle epidemie psichiche, degli sto­
rici rivolgimenti di masse.» Neppure la massa delle donne arrivava a riscat­
tarli. «La bruttezza delle donne parigine è difficile a descriversi: non ce n'è
una che abbia un viso passabile.»
Durante tutto il suo soggiorno a Parigi, che si rivelò più costoso di quanto
si era atteso, Freud fu molto preoccupato delle sue finanze. Giunse a com­
prarsi una penna più sottile in modo da scrivere di più su ogni pagina e
risparmiare così carta e francobolli,61 e dovette stare attento ai fiammiferi
quando scopri che a Parigi costavano un intero penny la scatola. Per i
primi due mesi sarebbe stato contento di andarsene da Parigi, ma poi,
dopo aver conosciuto Charcot più da vicino, desiderò di restarvi il massimo
possibile, e se le finanze glielo avessero permesso sarebbe certamente rimasto
più a lungo di quanto fece. La sola follia che commise fu quella di spendere
80 franchi (15 dollari) per la raccolta completa degli «Archivi» di Charcot,
occasione alla quale non seppe resistere. Sentiva di poter diventare egli stesso
un maestro, se fosse rimasto lì per tre o quattro anni, «ma io desidero quello
che desideri tu, e te in persona». Ritenendo di non poter attingere ulterior­
mente al fondo di Paneth scrisse a Fleischl per un prestito. Fleischl non
rispose, probabilmente per le gravi condizioni psichiche in cui si trovava,
perciò Freud scrisse a Breuer. Questi aspettava ansiosamente che Freud tor­
nasse a Vienna il più presto possibile, in parte per assicurargli l'entrata nel­
l'istituto di Kassowitz, e così gli mandò solo 300 franchi, per cui alla fine
Freud si trovò di nuovo costretto a ricorrere a Paneth.
Charcot però ripagava di tutto. Freud usava per lui parole di lode assai
simili a quelle che sette anni dopo scrisse nel palpitante necrologio. Charcot
sapeva essere «enormemente ~timolante, quasi eccitante». «Sto cambiando
molto. Charcot, che è allo stesso tempo un medico dei più grandi e un
uomo dotato di una comprensione dell'ordine del genio, 62 demolisce sem­
plicemente le mie idee ed i miei punti fermi. Più di una volta sono uscito
da una sua lezione come se uscissi da Notre-Dame, con nuove impressioni
su cui meditare. Egli mi attira nella sua sfera: dopo averlo lasciato non ho
più voglia di lavorare ai miei sempljci problemi e il mio cervello è ricolmo
come dopo una serata a teatro. Non so se questo seme darà mai un frutto,
ma ciò di cui sono certo è che nessun altro essere umano ha mai avuto un
tale influsso su di me.»63 Questo importante passo giustificherebbe da solo
Vita e opere di Freud

la conclusione secondo la quale il ruolo principale nella trasformazione di


Freud da neurologo a psicopatologo deve essere attribuita a Charcot.
L'impressione che Charcot fece su Freud non lascia dubbi. Tornando in
clinica dopo una malattia, egli strinse le mani a Freud dicendogli una frase
amichevole. Freud commentò: «Malgrado il mio senso d'indipendenza, sono
stato molto fiero di questo segno d'attenzione, dato che egli è non solo un
uomo al quale devo essere sottomesso, ma al quale lo sono con piacere.»
Ecco come egli descrisse l'apparizione di Charcot: «Alle dieci entrò M.
Charcot, un uomo alto, di cinquantotto anni, cappello di seta in testa, con
occhi scuri e curiosamente vicini (uno di essi è inespressivo e un po' stra­
bico verso l'interno), con lunghi capelli trattenuti dalle orecchie, senza bar­
ba, con lineamenti molto espressivi e labbra carnose e sporgenti: insomma
somiglia a un prete di mondo che ci si aspetta molto spiritoso ed esperto
nell'arte di viver bene.» Queste furono le impressioni di Freud la prima
volta che lo vide, il 20 ottobre 1885.
Verso la fine dell' anno Charcot si ammalò per un paio di settimane, co­
sicché Freud frequentò complessivamente la sua clinica per diciassette set­
timane.
C'è una frase di Charcot che vale la pena di citare. Un infelice malato
lo supplicò di fare come Dio e guarirgli le mani, e Charcot gli rispose:
«Se fossi Dio sarei eterno, non avrei né principio né fine, e questo finirebbe
per annoiarmi. E poi, una volta fatto tutto, come Onnipotente, che farei
dopo? Forse mi divertirei a disfare.»
Mme Charcot, racconta Freud, era energica, piccola, vivace e simpatica,
ma di aspetto non molto elegante. Si diceva che suo padre possedesse un
numero incredibile di milioni. La figlia Jeanne era pure piccola e piuttosto
energica. Aveva circa vent'anni, parlava inglese e tedesco, ed era molto di­
sinvolta e socievole. Somigliava a suo padre in modo quasi ridicolo. «Se non
fossi fidanzato e fossi un vero avventuriero, sarei fortemente tentato di cac­
ciarmi in questa situazione, perché non c'è niente di più pericoloso di una
ragazza che abbia le fattezze di un uomo che si ammira. Dopo verrei deriso
e scacciato, ma sarei più ricco dell' esperienza di una piacevole avventura.
Però è meglio cos1 come stanno le cose.»
Freud andò sei volte nello splendido appartamento di Charcot sul Bou­
levard St. Germain: tre volte per riunioni di società e le altre per discutere
i dettagli della sua traduzione delle lezioni di Charcot. La prima volta fu
il 17 gennaio, quando Freud era alle prese con le prime lezioni da tradurre;
Vita privata (1880- 1890)

la descrizione che egli dette dello studio può valere come esempio della sua
prontezza di osservazione: <<.B una stanza grande come tutta la nostra futura
casa, e degna del fantastico palazzo in cui si trova; ~ fatta di due parti, la
più ampia dedicata alla scienza, l'altra alla comodità, che sono indicate da
due lievi rientranze delle pareti. Entrando si vede il giardino al di là di
una triplice finestra, i cui pannelli lisci sono divisi da pannelli di vetro co­
lorato. Le pareti laterali della parte più ampia della stanza sono rivestite
da librerie a due piani, ognuna con dei gradini per raggiungere quella
superiore. A sinistra della porta c'è un tavolo di enorme lunghezza coperto
di riviste e svariati libri: di fronte alla finestra vi sono altri tavoli più pic­
coli con sopra delle cartelle. A destra della porta c'è una finestra più piccola
con vetri colorati, di fronte alla quale c'è lo scrittoio di Charcot, che è del
tutto piano e coperto di carte e libri. Intorno vi è una poltrona e molte
sedie. Nell' altra parte della stanza vi sono un camino, un tavolo e vetrine
contenenti antichità indiane. e cinesi. Le pareti sono coperte di gobelins e
di quadri.» Seguiva una pianta particolareggiata della stanza e del suo con­
tenuto.
Il culmine dei rapporti con Charcot fu raggiunto nel primo ricevimento,
due giorni dopo. Era richiesto l'abito da sera, esperienza inconsueta per
Freud, che rinunciò, furente, ai tentativi di annodarsi la cravatta bianca com­
prata per l'occasione, e ripiegò su una nera col nodo finto, che aveva portato
con sé da Amburgo. Più tardi però esultò nel sentire che anche Charcot era
inferiore a quel cimento e doveva ricorrere all'aiuto della moglie. All'inizio
ebbe una notevole paura di qualche h/amage, ma tutto filò liscio, con sua
soddisfazione. Tra gli ospiti c'era Brouardel, il medico legale; Strauss, che
aveva lavorato con Pasteur sul colera; Lépine, noto clinico di Lione; Gilles
de la Tourette, il neurologo; Tofano, un pittore italiano; Brock, un famoso
astronomo; e un giovane figlio di Daudet.
La visita successiva, il 2 febbraio, avvenne nel giorno in cui i Charcot
solevano ricevere. C'erano quaranta o cinquanta persone, quasi tutte scono­
sciute a Freud, che si annoiò. Fu però ampiamente ripagato dalla terza oc­
casione, la serata più piacevole da lui trascorsa a Parigi. Fu un pranzo. Gli
ospiti erano Richet, aiuto di Charcot, con la moglie; Mendelssohn, un ebreo
polacco che era stato suo assistente e lavorava tuttora alla Salpetrière; Arène,
critico d'arte; Tofano; e uno scultore che aveva finito una statua di Claude
Bernard. Dopo cena arriv~rono altri ospiti, tra cui Ranvier, il famoso isto­
logo francese, che Freud aveva precedentemente definito in una lettera a
234 Vita e opere di Freud

Paneth «un professore universitario tedesco mal tradotto in francese». Quale


non fu il piacere di Freud nel ricordarsene quella sera, quando Ranvier disse
che più di tutto gli sarebbe piaciuto essere professore in un'università tede­
sca, in una piccola città come Bonn. Freud e Ranvier ebbero molto in co­
mune nel loro lavoro. C'era poi Alphonse Daudet in persona con la moglie.
«Un portamento magnifico. Una figura piccola, una testa stretta con una
massa di capelli neri e ricciuti, una lunga barba, lineamenti fini, una voce
sonora e una grande vivacità di movimenti.»
Avrebbe dovuto esserci un altro invito nel giorno di visita, ma Mme
Charcot dovette scusarsi all'ultimo momento a causa di una grave malattia
di suo padre. Sei giorni dopo, Charcot comparve all'ospedale con un nastro
nero intorno al cappello e un sorriso soddisfatto in volto, dai quali indizi
Freud poté dedurre che il suocero era morto.
Il 23 febbraio Freud si congedò da Charcot, che non avrebbe più rivisto.
Infatti Charcot non era a Parigi quando Freud vi tornò nel luglio 1889, e
Freud era in vacanza quando Charcot passò da Vienna nel viaggio di ritorno
da Mosca, dove era stato per un consulto nell'agosto 1891. Freud chiese a
Charcot di firmargli una fotografia che aveva comprato, e Charcot gliene det­
te un'altra, anche più bella, insieme a due lettere di presentazione per Ber­
lino. Fu insomma veramente gentilissimo e il commiato avvenne nei termini
migliori.
Ranvier fu l'unico Francese che invitò a pranzo Freud. Del resto, fuori
dell' ospedale egli fece poche conoscenze. Andò da Max Nordau con una
lettera di presentazione, ma lo trovò vanitoso e stupido e non ne coltivò
l'amicizia. Vide poi qualche volta due cugini di Martha che vivevano a Pa­
rigi. Freud ebbe però due amici inseparabili. Uno era Darkschewitsch, il
nobile russo che aveva conosciuto a Vienna e insieme al quale lavorò nella
ricerca sul bulbo rachideo; questi rimase stupefatto nell'udire che i debiti di
Freud ammontavano a 4000 gulden (1600 dollari).84 Anche l'altro era una
conoscenza che risaliva ai tempi di Vienna. Si chiamava Richetti, ed era un
medico austriaco che aveva un'avviata clientela a Venezia: in quei giorni
egli aveva eccitato Freud offrendogIi la sua casa di Venezia per la luna
di miele,85 ma venuto il momento non se ne parlò più. Era arrivato alla
metà di novembre, anch' egli per assistere alle dimostrazioni di Charcot. Egli
conosceva Charcot, e Freud raccontava di essergli debitore sia dell'invito in
casa Charcot che dell'autorizzazione a tradurre le lezioni. 88 Evidentemente
i Richetti si erano molto affezionati a Freud e siccome non avevano figli,
Vita privata (J 880-J 890)

Freud si lasciò andare a quelle che chiamava fantasie da Schnorrey67 circa


l'eventualità di ereditare un po' delle loro ricchezze. 68 Erano una simpatica
coppia e Freud raccontò su di loro diverse storielle, come per esempio quel­
la della volta che andarono tutti e tre a cena in quello che sembrava un ri­
storante, e che poi invece risultò un bordello di lusso. I Richetti rimasero
a Parigi solo dieci settimane, dal 13 novembre al 26 gennaio.
Una fantasia da Schnorrer ancora più interessante è quella che Freud rac­
contò quasi quindici anni dopo; egli arrestava un cavallo imbizzarrito, dopo
di che un grande personaggio usciva dalla carrozza dicendo: «Lei è il mio
salvatore - io le devo la mia vita! Cosa posso fare per lei?» A quel tempo
egli scacciava subito pensieri come questi, ma vari anni dopo Ii ritrovò, nello
scoprire di averli erroneamente attribuiti a un inesistente racconto di Alphon­
se Daudet. Fu un ricordo fastidioso, dato che aveva ormai superato ii pre­
cedente bisogno di protezione e avrebbe voluto ripudiarlo energicamente.
«Quello che più mi secca di tutto ciò, è il fatto che non c'è quasi nulla
a cui io sia tanto contrario" quanto il pensiero di essere il protetto di qual­
cuno. Quello a cui assistiamo nel nostro paese in questo senso, toglie ogni
desiderio di farsi proteggere, e del resto la parte del figlio protetto poco si
addice al mio carattere. Ho sempre covato in me un potente desiderio di
essere io stesso un uomo forte.»
C'è un altro episodio di Parigi che vale la pena di ricordare. I parenti
di Freud gli avevano chiesto di far visita alla moglie del medico di famiglia,
che si trova a Parigi in Rue Bleu nel Faubourg Poissonnière, e Freud ob­
bedì. «Quella povera donna ha un figlio di dieci anni che dopo due anni
di conservatorio a Vienna vinse il gran premio e fu definito un'ottima pro­
messa. Ebbene, invece di soffocare nel silenzio il bambino prodigio, quel pa­
dre degenere già carico di lavoro e con la casa piena di bambini manda il
figlio a Parigi con la madre, perché studi al conservatorio e vinca un altro
premio. Pensa solo alla spesa, alla separazione e alla disintegrazione della
famiglia.» II nome del giovane, sfuggito a un destino tanto raccomandabile,
era Fritz Kreisler, che un paio d'anni dopo si esibiva alla Stanway Hall di
New York!
Freud lasciò Parigi il 28 febbraio. Ci sarebbe poi tornato due volte, nel
1889 e nel 1938.
Di Berlino c'è molto meno da dire: Freud ci si senti naturalmente molto
più di casa, ma rimase deluso dai neurologi locali. «Tra i neuropatologi
sospiravo come Maria Stuarda: "In meinem Frankreich war' s Joch scho­
Vita e opere di Freud

ner. "»69 Erano di gran lunga inferiori a Charcot, e del resto essi stessi lo
ammettevano. «Il confronto mi rinnova il ricordo della grandezza di quel­
l'uomo.» L'unico di cui avesse una certa stima era Mendel, il quale però
si rammaricava che Charcot avesse rivolto la sua attenzione a un argomento
cos1 difficile, sterile e infido come l'isterismo. «Riesci a capire perché ci si
dovrebbe rammaricare che la mente più potente affronti problemi più diffi­
cili? lo no.» Con Mendel tuttavia Freud stabill buoni rapporti e cominciò
a recensire la letteratura neurologica viennese per il «Neurologisches Cen­
tralblatt» da lui diretto. Con Baginsky aveva già combinato di recensire la
letteratura neurologica infantile per l' «Archiv fiir Kinderheilkunde». Co­
minciò a interessarsi moltissimo ai bambini che vedeva in clinica e disse
che stava anticipando il futuro lavoro con i bambini a Vienna.
Una visita al Museo Reale di Berlino gli fece ricordare con nostalgia
il Louvre. «Le cose più interessanti del Museo sono naturalmente le scul­
ture di Pergamo [sic], frammenti che riproducono in scene molto vivaci la
lotta tra i giganti e gli dèi. I bambini che vedo in clinica, però, contano
più delle pietre; li trovo più attraenti degli adulti sia per' il formato che per
la pulizia.»

Nelle sue lettere Freud faceva talvolta sugli avvenimenti esterni commenti
di notevole interesse. Nell'estate 1883 ebbe luogo in Ungheria l'infame pro­
cesso per «l'assassinio rituale», al quale il mondo ebraico guardava con
emozione. Freud discusse la diagnosi psichiatrica del teste principale, e fu
naturalmente soddisfatto della félice conclusione del caso, pur non sperando
che questo sarebbe riuscito a diminuire l'antisemitismo imperante.
Nella stessa estate si tenne a Vienna una Mostra dell'Elettricità, alla quale
Fleischl condusse Freud in varie riprese, spiegandogli le conquiste più re­
centi. Vi era perfino un telefono con cui, quando funzionava, si poteva par­
lare da una stanza all'altra. Per Freud «sostenere che l'esposizione era par­
ticolarmente istruttiva, era un bluff, dal momento che in questo campo !a
maggior parte della gente ne sa quanto le dame di corte sull'astronomia. In
fondo, però, rimane l'impressione complessiva dell'esistenza di una forza
di quel genere, e la gente dovrebbe cercare di rispettare la scienza, piuttosto
che di capirla - almeno per come stanno le cose al giorno d'oggi.» Freud
descrisse pure una sua visita all'Osservatorio Astronomico di Vienna, che
eccitò la sua fantasia: la sistemazione interna gli ricordava lo scenario del­
l'Aida.
Vita privata (J880- J89 0) 237

Freud si rifeci più di una volta alla gente in genere (das V olk]. Una
volta si trattava di una sequenza di pensieri venutigli durante la rappresen­
tazione di Carmen. «Il popolino dà sfogo ai suoi impulsi (sich ausleben},
noi invece li reprimiamo pur di conservare la nostra compostezza. Econo­
mizziamo la nostra salute, la nostra capacità di godere; risparmiamo per
qualche cosa, senza sapere noi stessi per che cosa, e questa abitudine di
reprimere costantemente i nostri· istinti naturali costitliisce la nostra raffi­
natezza. Anche noi sentiamo profondamente, eppure non osiamo chiedere
molto a noi stessi. Perché non ci ubriachiamo? Perché il malessere e la ver­
gogna del risveglio dalla sbornia (Katzenjammer} ci danno più "fastidio"
di quanto piacere ci dia l'ubriacarsi. Perché non ci innamoriamo una volta
al mese? Perché ogni separazione ci strappa un po' di cuore. Perché non ci
facciamo un amico di ognuno che conosciamo? Perché la sua perdita o
qualunque guaio che gli succedesse ci affliggerebbe amaramente. Insomma i
nostri sforzi tendono più ad evitare il dolore che a ricercare il piacere. Se lo
sforzo è coronato da successo, quelli che privano se stessi somigliano a noi
due, che ci siamo legati per la vita e per la morte, che sopportiamo la pri­
vazione e ci desideriamo a vicenda per mantenere la parola data, e che non
potremmo certo sopravvivere al duro colpo del destino che ci separasse dal­
l'essere amato: esseri umani che possono amare una volta sola come Asra. 70
Tutto il nostro modo di vivere presuppone che saremo circondati dalla più
nera miseria e che ci sarà sempre possibile di liberarci gradualmente dai mali
della nostra struttura sociale. I poveri, la gente comune, non potrebbero
esistere senza la loro pelle spessa e la loro grossolanità. Perché mai do­
vrebbero sentire intensamente i loro desideri, se tutte le affiizioni che la
natura e la società hanno in serbo sono riservati a coloro che essi amano:
perché dovrebbero trascurare un piacere momentaneo, se non se ne aspettano
nessun altro? I poveri sono troppo impotenti, troppo esposti, per compor­
tarsi come noi. Quando vedo la gente che arraffa quanto può, dimentica di
ogni serietà, mi viene da pensare che questo sia per loro il compenso al
fatto di essere cosi indifesi contro le imposte, le epidemie, le malattie e le
cattive condizioni della nostra organizzazione sociale. Non voglio andare
~ltre, ma si potrebbe dimostrare che das V olk ragiona, crede, spera e lavora
IO modo del tutto diverso da noi. C'è una psicologia dell'uomo comune che

è in un certo senso differente dalla nostra. Quella gente ha anche un senso


della comunità superiore al nostro, ed essi soli sentono che ogni vita è la
Vita e opere di Freud

continuazione di un'altra, mentre per ciascuno di nOI il mondo scompare


con la propria moete.»71
Tutto questo passo è denso di idee che vennero a maturazione mezzo se­
colo più tardi, soprattutto in Dal Unbehagen in der Kultur (<<Il disagio
nella civiltà»). Bisogna tener presente che i contadini austriaci che Freud
aveva in mente in quelle righe, erano assai diversi da tutte le corrispon­
denti classi di altri tempi e altri paesi.
Nelle lettere di Freud abbondano brani che denotano conoscenza del mon­
do e acume psicologico. Un'amica di Martha, che si era fidanzata dopo tre
anni di esitazioni, vedendo confermati i suoi precedenti dubbi, ruppe il fi­
danzamento dopo poco tempo. Mentre Maetha fece qualche osservazione de­
nigratoria sul pretendente, il commento di Freud fu questo: «Quella ra­
gazza si è comportata orgogliosamente e prende una decisione che richiede
coraggio. Però, cara, quando la vedrai non dirle francamente la scarsa opi­
nione che abbiamo sempre avuto del suo pretendente. Questo, per diverse
ragioni. In primo luogo sembreremmo due sciocchi, dopo che ci siamo tan­
to congratulati con lei per la sua scelta. In secondo luogo, non ti darebbe
sicuramente ascolto perché immagino benissimo qual è il suo stato d'animo.
Quello che deve scottarle di più è il senso di vergogna per avere accettato
con entusiasmo un uomo indegno. Alla decisione di rompere il fidanzamen­
to segue una reazione nella quale si manifestano in tutta la loro forza gli
effetti del suo sforzo per innamorarsi di lui. Allora ogni espressione deni­
gratoria da parte di un estraneo non fa che richiamare un ricordo amichevole
dell'uomo respinto, che dopo tutto agli occhi delle donne ha il merito spe­
ciale di aver amato sinceramente e con passione. In terzo luogo, tesoro, ri­
cordati del signor X: e della figura che fanno quelli che a un ceeto mo­
mento denigrano davanti a lui la donna a cui aveva rinunciato e che invece
è diventata sua moglie. Un buon numero di questi fidanzamenti rotti, si
aggiustano in un secondo momento, e faccio un gran complimento a Ce­
cilia dicendo che nel suo caso non lo credo probabile. Insomma, tesoro, con­
trollati, non prendere posizione, sii cauta e impara da me ad aprirti total­
mente con un'unica persona e con le altre a non essere finta ma solo ri­
servata.»
Su personaggi politici si trovano solo tre osservazioni, tutte inerenti alla
loro morte. Nella prima Freud dichiarò che Bismarck pesava come un in­
cubo [A/P] sull'intero continente e che la sua morte avrebbe portato un
sollievo generale. Poteva essere un giudizio politico perfettamente obiet­
Vita privata (J880- J890) 239

tivo, ma è forse opportuno ricordare che il cornpleanno del padre di Freud


coincideva con quello di Bismarck (1815) e che una volta Freud chiese
a Fliess se i suoi calcoli nurnerici potevano prevedere quale dei due uo­
mi~i sarebbe rnorto prima. Certo la figura di Bisrnarck, forse p~r la ragione
suddetta, sembra aver esercitato uno strano fascino su Freud. Quando il
grand'uomo visitò Vienna nel giugno 1892, Freud fece vari tentativi per
vederlo in carne ed ossa, rna il rnassimo che poté fare fu di vedere la sua
schiena dopo un'attesa di due ore e rnezzo in strada - fatto veramente inso­
lito per lui. Un particolare anche più interessante in questa storia è che
il padre di Freud era stato un così ardente ammiratore di Bismarck, per
la questione dell'unificazione della Gerrnania, che quando dovette trasfe­
rire la sua data di nascita dal calendario ebraico a quello cristiano, scelse
quella di Bismarck. 12 Tra Jakob Freud e Bisrnarck c'erano perciò rnolte
connessIOnI.
Il secondo personaggio, per quanto strano, era re Alfonso XII di Spa­
gna. Freud osservò che la sua rnorte aveva prodotto in lui una profonda
impressione, aggiungendo ciò che ne era senza dubbio il rnotivo, e cioè
che Alfonso era il prirno re al quale era sopravvissuto. Poco più avanti
commentava: «L'assoluta stupidità del sistema ereditario si vede dal fatto
che la morte di un'unica persona sconvolge un intero paese.»
Il terzo avvenimento fu la tragica rnorte di Ludovico II di Baviera, che
pure scosse profondarnente Freud. t! vero che in questo caso parte del suo
rammarico andava alla perdita di Gudeler, il rnedico del re, che Freud
conosceva come anatomico del cervello, ma ad un certo punto Freud di­
ceva che Gudeler aveva fatto bene a rischiare e a perdere la vita nel ten­
tativo di salvare il re dall'annegamento.
Come esempio della partecipazione di Freud agli avvenimenti pubblici,
si potrebbe ricordare una sua lettera dell'aprile 1885. I Bulgari erano in
agitazione per l'annessione della Rornania orientale, e Freud si aspettava
che in questa circostanza l'Austria si sarebbe rnossa per appoggiare la Ser­
bia, con la conseguente possibilità di una guerra contro la Russia. Il go­
verno austriaco doveva avere idee analoghe, perché effettivamente alla fine
di giugno proclamò la mobilitazione parziale. 73 Il colpo di Stato avvenne
il 18 settembre. In novernbre la Serbia dichiarò guerra alla Bulgaria ma
contro ogni aspettativa fu sconfitta nella battaglia di Slivnitza, durata tre
giorni, che Bernard Shaw ha imrnortalato nella sua commedia Arms and the
mano L'Austria intervenne per salvare la Serbia, e nel marzo seguente la
Vita e opere di Freud

pace fu stipulata. Come risultato di tutto ciò, nell'estate seguente, un anno


prima di quanto si aspettasse, Freud dovette presentarsi per un mese di
manovre a Olmiitz, piccola città della Moravia. Fu assegnato come chirur­
go militare anziano nel LAndwehr, dove era stato trasferito nel febbraio
di quell'anno, e non si liberò del servizio militare fino alla fine del 1887.
Fu arruolato come Oberarzt, ma nel corso degli avvenimenti fu promosso
Regimentsarzt.
Fu una prova faticosa che richiese molto anche alla solida costituzione di
Freud. Si alzavano alle tre e mezzo di mattina, marciavano e marciavano
fino al pomeriggio, dopo di che c'era il lavoro medico vero e proprio da
espletare. Martha gli dette il consiglio, squisitamente femminile, di non
marciare quando faceva molto caldo. Doveva anche essere prudente e pos­
sibilmente non marciare troppo in fretta.
Sebbene il termine «rottura di scatole» non fosse stato ancora inventato,
il concetto in sé era alquanto sviluppato. Che questa esperienza non ac­
crescesse l'ammirazione di Freud per l'arte militare è documentato grafica­
mente in una lettera che scrisse a Breuer verso la fine di quel periodo. 74

l° settembre 1886
Stimato Amico,
posso appena descriverle che piacevole sorpresa sia stato il sentire che loro
hanno fatto visita alla mia bambina e che siano stati molto «carini» con lei,
come si dice. Mi auguro che ottime vacanze, il tempo migliore e un costante
buon umore possano ricompensarli.
lo sono incastrato in questo schifoso· buco - non so come descriverlo altri­
menti - a lavorare per il giallo e nero. 76 Ho tenuto alcune lezioni sull'igiene
d'accampamento, che erano abbastanza frequentate e sono state persino tra­
dotte in ceco. Non sono ancora stato «confinato alle baracche».
l'unica cosa interessante della città è che non sembra così lontana com'è
in realtà. Spesso bisogna marciare tre o quattro ore prima di arrivarci, e certe
volte mi trovo a questa distanza da essa a un'ora in cui di solito non si è
nemmeno svegli. Proprio come Paul lindau osservava una volta su una rivista
a proposito di un racconto che si svolgeva nel Medioevo, «la maggioranza dei
miei lettori ricorderebbero a fatica che sono esistiti tempi come la metà del
IV secolo», così potrei chiedere se qualche cittadino per bene pensa che ci sia
da fare qualcosa fra le tre e le tre e mezzo del mattino. Non facciamo altro
che giocare alla guerra - una volta abbiamo persino eseguito l'assedio di un
Vita privata (1880- 1890)

forte _ ed io gioco ad essere medico militare, distribuendo liste sulle quali


sono elencate ferite orrende. Mentre il mio battaglione è all'attacco, io mi
sdraio con i miei uomini su qualche campo pieno di sassi. Sia le munizioni
che il comando sono finti, ma ieri è passato il Generale a cavallo gridando:
«Riserve, dove sareste se avessero usato munizioni vere? Nessuno di voi sarebbe
scampato!»
A Olmiitz l'unica cosa tollerabile è un caffè con ghiaccio di prima qualità, i
giornali e buone pasticcerie. Come tutto il resto, il servizio risente del sistema
militare. Quando due o tre generali - mi dispiace, ma mi ricordano sempre i
pappagalli, perché i mammiferi non usano vestirsi con quei colori (salvo le
parti posteriori dei babbuini) - si siedono insieme, tutta la folla dei camerieri li
circonda, e per loro non esiste più nessuno. Una volta, disperato, ho dovuto
ricorrere a un bluff. Ne ho preso al volo uno per le code del vestito e gli ho
gridato: «Guardi che un giorno potrei essere generale, perciò mi procuri un
bicchier d'acqua.» Ha funzionato.
Gli ufficiali sono misere creature. Ognuno di loro invidia i colleghi, maltratta
i subalterni e teme i superiori: tanto più quanto maggiore è il suo grado.
Odio l'idea di aver segnato sul colletto quanto valgo, come se fossi un campione
di qualche merce. E poi malgrado tutto, il sistema ha le sue crepe. Recente­
mente è venuto da Briinn il Comandante in capo ed è andato in piscina: dove
ho potuto osservare con meraviglia che sulle mutande non portava decorazioni!
Però sarei un ingrato se non riconoscessi che la vita militare con il suo
inesorabile «devi» è ottima per la neurastenia, che è scomparsa completamente
fin dalla prima settimana. 78
La faccenda sta per finire: fra dieci giorni me ne scapperò al nord dimen­
ticando queste quattro stupide settimane.
Non mi sono occupato di niente di scientifico, qui. Quello strano caso di
paralisi agitante di cui Le ho parlato recentemente, è di nuovo ricomparso
improvvisamente, e l'uomo giura di aver tratto gran beneficio dalle iniezioni
arsenicali che gli avevo dato.
Chiedo scusa per queste chiacchiere sciocche che sono scivolate non so come
dalla mia penna, e sono ansioso di far Loro visita a Vienna, per la prima
volta insieme a mia moglie.
Sinceramente Suo
dr. Sigmund Freud

Possiamo chiudere questo capitolo con alcune descrizioni che Freud dette
di se stesso, pur senza dimenticare che tal genere di osservazioni non è
sempre il miglior esempio di obiettività. Egli desiderava profondamente
Vita e opere di Freud

l'indipendenza, parola che ricorre costantemente nelle sue lettere. Affermò


ripetutamente di non essere ambizioso o di esserlo solo scarsamente. Que­
sto era indubbiamente vero per quanto riguarda l'ambizione sociale o an­
che il rango professionale come tale, ma Freud deve aver sempre acca­
rezzato un forte desiderio di compiere nella vita qualcosa che valesse, e
per di più qualcosa che venisse riconosciuto come tale, e concepiva questa
meta essenzialmente sotto forma di una scoperta scientifica. Nel cominciare
le sue ricerche di anatomia, scrisse: <<Non trovo affatto facile attirare l'at­
tenzione del mondo, perché esso ha la pelle spessa e l'orecchio duro.» Non
sembra però che questo riconoscimento del proprio lavoro sia mai stato
una smodata fame di notorietà. «Non sono stato veramente ambizioso.
Ho cercato nella scienza la soddisfazione che offrono la ricerca e il mo­
mento della scoperta, ma non sono mai stato uno di quelli che non sop­
portano l'idea di esser portati via dalla morte senza aver lasciato il loro
nome scolpito sulla pietra.»11 «La mia ambizione sarà soddisfatta se im­
parerò a capire qualcosa del mondo nel corso di una lunga vita.»
La spiegazione che Freud dette a Martha dei suoi occasionali scoppi di
collera era indubbiamente corretta. «Siccome sono violento e passionale
per tutti i diavoli racchiusi in me che non possono venir fuori, essi tem­
pestano internamente ovvero si scatenano contro te, mia cara. Se solo avessi
un' attività rischiosa in cui sprofondarmi e vincere, sarei amabile in casa.
Invece sono costretto a moderarmi e controllarmi e per questo fatto vengo
persino stimato.»18 In ogni modo il suo lavoro, anche se metteva a cimento
la sua pazienza, comportava autodisciplina. «In medicina si impiega la
maggior parte della propria intelligenza per evitare ciò che non è possi­
bile fare, ma questo è un modo molto tranquillo di imparare il buon
senso.» 79
Freud detestava la mediocrità borghese e l'ottusità abitudinaria. «Diffi­
cilmente la nostra vita sarà cos1 idillica come tu la dipingi. Anche se di­
venterò docente, l'insegnamento non mi farà prosperare, e la mia Martha,
che è nata moglie di un professore tedesco, dovrà fare a meno delli sua
bella posizione. Né io sarei adatto al professorato. Ho sempre in me qual­
cosa di selvaggio, che non si è ancora espresso adeguatamente, e mi sento
assolutamente inetto alla magnifica missione del professore, del quale Heine
canta:
Vita privata (1880- 1890 ) 2.43

Mit seinen Nachtmiitzen und Schlafrockfetzen,


Stoplt er die Liicken des Weltenbaus 80
[Con il suo berretto da notte e la lacera vestaglia
Vuole tappare i buchi dell'universo.]

Freud aveva quel tipo di mentalità che si stanca delle cose facili e viene
stimolata dalle difficoltà. Come egli stesso si esprime «Una sconfitta (nel
lavoro di ricerca) stimola l'inventività, crea un libero flusso di associazioni,
fa nascere una idea dopo l'altra, mentre una volta conseguito un successo,
'si sviluppa una certa ristrettezza mentale o ottusità, in modo che si con­
tinua a ritornare su ciò che è già stato dimostrato, e non si riesce più a
creare nuove combinazioni.»81
Un paio di anni dopo, quando ebbe assaporato un po' di successo, dette
la descrizione più lunga di se stesso. «Credi proprio che io susciti un'im­
pressione di simpatia a prima vista? Veramente io stesso ne dubito. Cre­
do che la gente si accorga di qualcosa di strano in me, e questo deriva in
fondo dal mio non esser stato giovane in gioventù, per cui adesso che
comincia la maturità, non posso invecchiare. C'è stato un tempo in cui ero
avido solo d'imparare, e ambizioso, e mi dolevo ogni giorno che la na­
tura, in un momento di grazia, non avesse impresso in me l'impronta del
genio, come fa talvolta. Da allora mi son reso ben conto di non essere
un genio, e non capisco neanche più come possa averlo desiderato. Non
ho neppure molto talento: tutta la mia capacità di lavoro dipende proba­
bilmente dalle qualità del mio carattere e dalla mancanza di una grave
deficienza mentale. So però anche che questo miscuglio favorisce la lenta
conquista del successo, che in condizioni favorevoli potrei fare più di Noth­
nagel, al quale sentò di essere superiore, e che potrei forse raggiungere il
livello di Charcot. Questo non vuoI dire che ci riuscirò, visto che non tro­
verò quelle tali condizioni favorevoli, e che non possiedo ii genio o la
forza di farne a meno. Ma come corro. Volevo dire tutt'altra cosa, spiegare
da cosa deriva la mia inaccessibilità e ruvidezza nei confronti con gli
estranei, di cui tu parli. ~ solo il risultato della sfiducia, per aver tanto
spesso provato quanto mi trattino male le persone cattive e volgari, e spa­
rirà progressivamente quando dovrò temerle meno e avrò raggiunto una
posizione. indipendente. Mi consolo sempre pensando che quelli che mi
sono sottoposti o che sono al mio stesso livello non mi hanno mai trovato
sgradevole e che questo è accaduto solo con quelli che stanno sopra di
Vita e opere di Freud

me o che sono miei superiori sotto qualche altro aspetto. Potrà non sem­
brare, eppure fin dai tempi in cui andavo a scuola sono stato in violenta
opposizione con i miei maestri, sono stato sempre un estremista e di so­
lito ho sempre dovuto pagare per questo. Poi, quando ho raggiunto una
posizione privilegiata a capo della mia classe, ed ho riscosso la fiducia
generale, non hanno più avuto nulla di cui lamentarsi nei miei riguardi.
Sai che mi ha detto Breuer, una sera? Che aveva scoperto che persona
estremamente coraggiosa e senza paura si nascondesse dietro la mia ma­
schera di timidezza. Ho sempre pensato questo di me stesso, ma non ho
mai osato dirlo a chicchessia. Ho spesso sentito di aver ereditato tutta la
passione dei nostri avi quando difendevano il loro Tempio: come se fossi
capace di dare con gioia la vita per una grande causa. E con tutto ciò
sono sempre stato impotente e incapace di esprimere l'affiato delle passioni,
persino con una parola o con una poesia. Insomma mi sono sempre re­
presso, e credo che la gente debba accorgersene.»82
Nei suoi scritti Freud parla spesso della sua presunzione e megalomania
giovanile e del suo incredibile contegno verso Viktor Adler studente. Nelle
sue lettere si accenna pure al coraggio con qIi, durante il suo viaggio di
ritorno da Lipsia, fronteggiò una folla di avversari antisemiti. Insomma
è lecito concludere che residui del suo militarismo infantile si protrassero
fino alla sua prima maturità, e che la sua aggressività congenita si lasciò
soggiogare solo poco a poco.
Note

l. M" 4 luglio 1882.


2. A quel tempo un gulden corrispondeva a 40 centesimi di dollaro, ed un
kreuzer a due quinti di centesimo. Il valore del denaro era naturalmente circa
quattro volte maggiore dell'attuale, ma' la moneta scarseggiava quasi altret­
tanto.
3. La memoria dovette probabilmente tradiie Freud quando, cinquant'anni
dopo, egli disse a Marie Bonaparte che a quel tempo viveva a Parigi con 100
franchi al mese (circa 19 dollari). Questo è quanto gli consentiva la borsa di
studio, donde la confusione (M., 16 dicembre 1885),
4. M., lO agosto 1884,

5, BI, (5), p. 211,

6. Invece dei 400 sui quali aveva contato.


7. G. W" II-III, 400,

8, M., 25 febbraio 1886.

9, lbid., 12 novembre 1884.

lO. lbid" 11 luglio 1885.

11. Corrispondenza inedita di Fliess, 16 gennaio 1898.


12. V. p. 309.
13. M" 15 aprile 1884.
14. lbid" 27 gennaio 1886.
15. V. pp. 150-154.
16. M" 25 giugno 1885,
17. V, p. 150.
18. M" 18 e 19 settembre 1883,
19. V, cap. VII.
20. M" 6 giugno 1883.
21. In Austria era obbligatorio appartenere ad una «confessione», indipen­
dentemente dalle reali opinioni religiose.
22. M" 23 maggio 1884,

23, V. p. 188.

24. Auto" p. 15.


Note

25. M., 25 aprile 1885.


26. lbid., 1882.
27. Lou Andreas-Salomé, Lebens,uckblick, 1951, p. 213.
28. M., 17 agosto 1884.
29. Termine dispregiativo con cui si designavano i «Gentili».
30. M., 4 settembre 1883.
31. lbid., 2 marzo 1885.
32. V. cap. V.
H. M., 5 agosto 1882.
34. Wi, werden es schon zwingen.
35. M., 29 febbraio 1884.
36. V. p. 107.
37. M., IO gennaio 1884.
38. [Mai abbiamo amato con tanta gentilezza / Mai abbiamo amato così
cecamente / Mai incontrato o mai separato / Mai avemmo il cuore così spez­
zato.]
39. [Vediamo / quale sostegno possiamo ottenere dalla speranza, / se no,
quale risoluzione dalla disperazione.] Milton, Paradiso perduto, I, 191.
40. [Non considerare il fascino della bellezza, / resta tranquillo quando i
re si armano, / non parlare dove la gente ascolta, / dall'oro rosso proteggi
le tue dita; / vivi tranquillo e muori felice, / tale sarà il tuo destino.]
41. Alludendo senza dubbio a se stesso.
42. [Non lasciarti rapire dalla bellezza, / tieniti lontano dai cimenti dei re, /
resta muto dove alletta la popolarità, / non afferrare l'oro scintillante che ti
arride; / vivi tranquillo e muori in pace; / questo è il destino che ti è as­
segnato.]
43. M., 5 ottobre 1883.
44. lbid., 26 agosto 1882.
45. E,kenntnis.
46. M., 26 luglio 1883.
47. A discolpa di Mill si può dire che il libro in questione viene ritenuto
opera di sua moglie.
48. M., 5 novembre 1883.
49. V. p. 356.
50. M., 16 agosto 1882.
51. lbid., 16 dicembre 1883.
52. V. pp. 68-69
53. V. p. 211
54. V. p. 214.
55. Congresso Internazionale di Psicoanalisi, Londra 1953.
56. M., 13 ottobre 1885.
57. G.W., II-III, 201.
58. lbid., p. 472.
59. (Impiccateli) ai lampioni.
60. Abbasso Tizio e Caio.
Note 247

61. M., 15 ottobre 1885.


62. Ein genial nUchterner Mensch.
63. M., 21 ottobre 1885.
64. lbid., 23 febbraio 1886.
65. lbid., l° agosto 1885.
66. lbid., 27 gennaio 1886.
67. Accattone.
68. M., 5 dicembre 1885.
69. «Dans ma France il était mieI/x» (era meglio nella mia Francia), frase di
Maria di Scozia, che Schiller incluse nella sua tragedia.
70. Heine, Der Asra.
71. M., 29 agosto 1883.
72. Tra parentesi l'apparente coincidenza tra la data di nascita della madre
di Freud e quella dell'imperatore Francesco Giuseppe aveva un'origine analoga
(comunicazione personale di Ernst Freud, che ne era stato informato da suo
padre).
73. Il Ministero della Guerra austriaco però mi ha gentilmente fornito m­
dicazioni che contraddicono questa affermazione dei libri di storia.
74. In possesso di Martin Freud.
75. Allusione ai colori della bandiera austriaca.
76. Passo interessante, che dimostra che Breuer era al corrente dei disturbi
nervosi di Freud.
77. M., 9 settembre 1883.
78. lbid., lO novembre 1883.
79. lbid., 6 ottobre 1883.
80. Die Heimkehr. Freud citò due volte questi versi nei suoi scritti (G. W.,
II-III, 494; XV, 173).
81. M., 31 ottobre 1883.
82. lbid., 2 febbraio 1886.
X. Il neurologo (1883-1897)

A questi anni risale anche l'inizio dell'interesse di Freud per la psico­


patologia, argomento riservato al capitolo seguente.
Quando si fidanzò, Freud dovette spiegare a Martha, che era proba­
bilmente all'oscuro della sua attività, la differenza tra ciò che egli chia­
mava la sua Pantscherei (<<infarinatura») chimica e la sua Guckerei (<<cu­
riosità») istologica. Le prime ricerche le continuò ancora per un certo pe­
riodo dopo aver interrotto le seconde.
Nel suo primo anno di ospedale Freud non mostrò alcun desiderio di
specializzarsi, sebbene le sue precedenti ricerche sul sistema nervoso doves­
sero occupare ancora i suoi pensieri. Egli si preoccupava esclusivamente
di adattarsi alla vita dell' ospedale, con il costante problema del modo
come strappare - le prime volte magari di nascosto - un incontro di qual­
che minuto con la fidanzata. Quando pensava al futuro, si trattava più di
una sistemazione in una città di provincia o all'estero, che di una carriera
a Vienna.
Quando però fu nominato Sekundiirarzt giovane nel reparto di Meynert,
vide più da vicino le malattie del cervello, e verso la metà del mese otten­
ne da Meynert il permesso di lavorare nel suo laboratorio. 1 In principio si
trattò di allestire e osservare preparati, ma all'inizio di luglio Freud pro­
pose a Hollander di intraprendere insieme uno studio approfondito del cer­
vello del bambino neonato, che avrebbe richiesto almeno un anno. 2 Hol­
Hinder era una persona squisita, aveva una buona conoscenza dell' anatomia
del cervello ed occupava il posto di assistente di Meynert, che era so­
lito sostituire nell'insegnamento. Freud si aspettava che tale ricerca gli
avrebbe valso la docenza, sollevandolo cos1 al di sopra dei concorrenti. Le
sue speranze si stavano dunque già orientando verso la neurologia.
Il neurologo (J883-J897) 249

Hòl(ander si stancò presto dell'immane compito di ésaminare migliaia di


vetrini, e quando cominciò a farsi vedere una volta alla settimana per una
chiacchierata, mentre il suo collega se ne stava a sgobbare fino a mezza­
notte, Freud capì che poteva educatamente dispensarlo dalla sua collabo­
raZlOne.
A quell'epoca egli stava anche facendo uno studio sulla paralisi facciale
nelle malattie mentali, 3 del quale non fu mai pubblicato nulla.
Fu alla metà di settembre, subito prima che il suo periodo di lavoro con
Meynert fosse concluso, che Freud interpellò Breuer sulla possibilità di
prendere una specializzazione, ma Breuer sollevò il problema prima che
Freud stesso potesse farlo.' Fu in occasione della morte del dr. Weiss,
che avrebbe dovuto essere il prossimo neurologo, che Freud discusse la si­
tuazione. Egli pensava -di avere qualche solida qualità, ma scarso talento
ed un numero limitato di ambizioni, al di fuori di quella di prender mo­
glie. Se fosse restato nell'ambito della neurologia avrebbe dovuto fissarsi
a Vienna, e quindi far attendere all'infinito la sua sposa, mentre invece
se avesse fatto un po' di pratica medica qua e là, e avesse imparato ad
assistere partorienti, estrarre denti e aggiustare gambe rotte, si sarebbe cer­
tamente guadagnato la vita e sarebbe stato libero di andare «in campagna,
in Inghilterra, in America o sulla luna». Dopo averci pensato su, Breuer
consigliò saggiamente di scegliere una via di mezzo, cioè di continuare
come stava facendo, tenendo però d'occhio entrambe le possibilità. Cosl
il giorno seguente Freud chiese al direttore dell'ospedale di includere il suo
nome nella lista di coloro che intendevano prestar servizio nel reparto per
le malattie dei sistema nervoso e dei fegato (!), e di essere trasferito nei
frattempo nel reparto dei sifilitici.
Nei quattordici mesi che trascorse nei reparto dei dr. Franz Scholz, do­
v'era entrato il l° gennaio 1884, Freud ebbe molte occasioni di studiare
malattie organiche del sistema nervoso, anche se non quante avrebbe vo­
luto. In una lettera del l° aprile 1884 scrisse: «A poco a poco mi sto
facendo notare dal mio capo come neuropatologo, nella speranza che que­
sto acceleri i miei piani.» Riferendosi a Scholz, Freud disse più tardi che
a quei tempo era «fossile e deficiente»,6 ma, benché ci fosse poco da ap­
prendere da lui, la sua senile indolenza aveva almeno il vantaggio di con­
cedere ai medici suoi dipendenti una grande libertà d'azione, e Freud ne
approfittò per svolgere un insegnamento più o meno ufficiale. Ecco come
egli stesso ne parlava con il suo consueto candore: «Mi vado impadronen­
~so Vita e opere di Freud

do della materia: sono in grado di localizzare cos1 accuratamente una le­


sione nel midollo allungato, che l'anatomopatologo non trova niente da
aggiungere, e sono stato il primo in tutta Vienna a mandare all'autopsia
un caso con diagnosi di polineurite acuta. La fama delle mie diagnosi e
delle loro conferme autoptiche ha condotto da me una corrente di medici
americani, ai quali do lezioni sui malati del mio reparto, in una specie di
inglese-ostrogoto. 6 Di nevrosi non capisco niente: una volta ho presentato
al mio uditorio una nevrotica che soffriva di cefalea persistente come un
caso di meningite cronica localizzata. C'è stata giustamente una specie di
rivolta contro di me, e con ciò si è conclusa la mia prematura attività di
docente. Come unica scusante posso dire che tutto ciò avveniva in un'epo­
ca in cui autorità ben più importanti di me, a Vienna, avevano l'abitudine
di diagnosticare la nevrastenia come tumore cerebrale.»7 Il primo di que­
sti corsi lo tenne gratuitamente per i suoi colleghi d'ospedale nel luglio
1884, sull'anatomia del cervello. L'anno seguente guadagnò un po' di de­
naro in questo modo, ma di solito i corsi si esaurivano per mancanza di
materiale clinico, e cessarono completamente nel marzo 1885.
Al periodo trascorso nella Quarta Divisione dell'ospedale risalgono tre
pubblicazioni cliniche, tutte riguardanti casi studiati nel 1884. Jelliffe, che
ha fatto una revisione critica degli scritti neurologici di Freud, ne parla
come di «modelli di ragionamento neurologico».8
Il primo caso era un apprendista calzolaio di diciassette anni che era
stato ricoverato il 7 gennaio 1884 con emorragie gengivali e petecchie agli
arti inferiori, ma senza alcun altro sintomo oltre lo scorbuto. Il mattino
seguente però entrò in un coma profondo, e morì nel corso della serata.
Durante il giorno, all'esame ripetuto ed accurato aveva mostrato una serie
di sintomi male inquadrabili, tra i quali paralisi dei muscoli oculomotori,
vomito, riflessi pupillari alterati ed una emiparesi. Fu posta diagnosi di
emorragia meningea, con interessamento indiretto dei nuclei della base
(particolare sottolineato da Wernic.ke), e l'autopsia, effettuata dal prof.
Kunradt, la confermò in pieno. Freud aggiunse un'approfondita analisi
della letteratura, con speciale riguardo per le emorragie della base. 9
Il secondo caso era quello di un giovane fornaio che Freud aveva osser­
vato dal 3 ottobre 1884 fino alla morte, avvenuta il 17 dicembre dello
stesso anno. La diagnosi era stata quella di endocardite e polmonite, asso­
ciate ad una neurite multipla (spinale e cerebrale), tutte confermate dal­
l'autopsia di Kunradt. Questo caso fu pubblicato nel febbraio 188610 e
Il neurologo (1883-1897) 2SI

Specling, nella sua analisi di esso per il «Neurologisches Centralblatt» dello


stesso anno, scrisse: «Si tratta di un ,notevolissimo contributo alle nostre
conoscenze sulla polineurite acuta.»
Il terzo fu un caso di atrofia muscolare con un particolare disturbo della
sensibilità, nel quale Freud fece diagnosi di siringomielia, malattia di cui
allora erano noti solo pochi c~si. Il paziente, un operaio tessile di tren­
tasei anni, restò sotto l'osservazione e le cure di Freud per sei settimane
a partire dal lO novembre 1884, e poi lasciò l'ospedale. Come gli altri
due, questo caso fu pubblicato nella «Wiener Medizinische Wochenschrift»
in marzo-aprile 1885, e fu pure riportato dal «Neurologisches Centralblatt.»
Nelle lettere di Freud si legge spesso di altri studi clinici, nessuno dei
quali fu però pubblicato. Cosi, per esempio, «Caratteristiche differenziali
dell'anestesia di origine rispettivamente spinale e cerebrale»,l1 un altro dal
titolo «L'interferenza dei riflessi»,12 nonché uno studio sulla terapia della
nevralgia del trigemino13 e della sciatica14 evidentemente a base di inie­
zioni di cocaina.
Verso il 1880-1890 l'elettricità, sia galvanica che faradica, aveva un po­
sto considerevole in neurologia, non solo a scopi diagnostici, ma proprio
come cardine della terapia. Freud si rese subito conto della necessità di
farsi una cultura sull'argomento, e, parlando con Fleischl delle sue possi­
bilità di conseguire la docenza, espresse l'intenzione di pubblicare qualche
ricerca in quel campo. Fleischl gli offri subito di aiutarlo a procurarsi i co­
stosi apparecchi, problema che restò una perenne difficoltà. Un altro pro­
blema era pure quello di trovare un collaboratore fisso. Per più di un
anno, dal marzo 1884 al luglio 1885, Freud tentò vane ricerche nella spe­
ranZa di giungere a qualche scoperta consistente, insieme a vari colleghi:
Bettelheim, Heitler, Plowitz, ecc. Le sole che egli menzioni sono un tenta­
tivo di stabilire le modificazioni della conducibilità elettrica del sistema
neuromuscolare prodotte dalla febbre 15 e uno studio fatto insieme a Ko­
nigstein sulle reazioni elettriche del nervo ottico. le In questo campo però
non pubblicò nulla.
Un particolare interessante è quello di un'osservazione fatta da Freud
nel curare con l'elettricità il suo primo paziente privato, un tale che Breuer
gli aveva affidato durante la sua assenza. L'osservazione era che in casi del
genere il medico svolge un' azione curativa più con la sua personalità che
con gli strumenti 11 - interessante prodromo del successivo scetticismo di
Freud nei riguardi dell'elettroterapia.
Vita e opere di Freud

Nel 1884 la scelta della professione di Freud subì un duro colpo, poi­
ché si sparse la notizia che il grande Eulenburg di Berlino avrebbe con­
corso alla cattedra di Vienna, e se l'avesse ottenuta, ogni speranza di pra­
tica privata di neurologia sarebbe svanita. Invece le autorità posero il veto
ad Eulenburg in base al fatto che i medici austriaci in Germania non veni­
vano trattati sul piano di parità.
Un anno dopo però si delineò un pericolo anche peggiore. Nothnagel,
il professore di clinica medica sul cui appoggio Freud contava per la pra­
tica privata, concorse alla cattedra di Berlino per la sua materia, non solo,
ma il suo probabile successore era un neurologo di Praga, amico di ]aksch,
colui che in tutto l'ospedale avversava maggiormente Freud e faceva di tutto
per ostacolarlo.1 8
Fortunatamente però anche questo pericolo svanì, e Nothnagel non fu
mai trasferito.
Questo è quanto concerne l'attività e l'esperienza di neurologia clinica
che Freud svolse nei diciotto mesi precedenti il suo viaggio a Parigi, ma
durante tutto quel periodo, e anche prima, la passione di Freud era tutta
concentrata nelle sue ricerche di istologia. Nei due anni che passò nel
laboratorio di Meynert - dall'estate del 1883 a quella del 1885 - egli
svolse un lavoro originale assolutamente di prim'ordine.
Più tardi due distinti neurologi americani· affermarono di aver lavorato
con Freud nel laboratorio di Meynert, ma non è facile confermare la loro
asserzione. Uno di loro, Bernard Sachs, ricorda «Freud, che fu con il sot­
toscritto nel lab~ratorio di Meynert nel 1882»,19 anno in cui Sachs vi
lavorò. Siccome però Freud cominciò a lavorare in quel laboratorio solo
nell'estate dell'anno successivo, nel 1882 essi possono esservisi incontrati
tutt'al più per fumare una sigaretta insieme. L'altro, Allen Starr, lavorò nel
laboratorio di Meynert dall'ottobre 1881 al marzo 1882,20 quando Freud
stava ancora all'istituto di Briicke. In una lettera a me indirizzata del
28 aprile 1912, Freud scrisse: «Nel "New York Times" del 5 aprile,
è apparso un breve articolo intitolato Attacchi ai/a teoria di Freud che ri­
porta un feroce assalto nei riguardi del sottoscritto da parte di Allen Starr,
il quale spiega la sua teoria con il clima immorale di Vienna e con la vita
immorale che io avrei condotto, e afferma che mi ha conosciuto bene
"anni fa", e che ha lavorato accanto a me per tutto Wl inverno. Che signi­
fica tutto ciò? :e curioso che io non abbia mai conosciuto questo Allen Starr,
che mi conosce così bene.»
n neurologo (1883-1897) 2S3

Nel 1883 Freud fece un ultimo tentativo nel campo della fisiologia spe­
rimentale nel laboratorio di Stricker, e dopo che neanche in questo ­
come nell'altro, precedente, all'Istituto di Chimica - ebbe successo, re­
strinse la sua attività di laboratorio all'istologia del sistema nervoso. Come
tutti gli scienziati, egli si rendeva ben conto dell'importanza della tecnica
_ non per niente da studente si era distinto in questo sens021 - e quindi
in quel periodo fece molti tentativi per scoprire nuovi metodi d'esame del
sistema nervoso. I due che ebbero successo erano entrambi elaborazioni di
spunti lanciati da Flechsig, il grande rivale di Meynert, circostanza che forse
segnò l'inizio dell'estraniamento di Meynert nei suoi confronti.
Freud si pose a lavorare in questa direzione una quindicina di giorni
dal suo ingresso nel nuovo laboratorio. Se fosse riuscito si sarebbe sentito
sicuro della docenza, ma era tutt'altro che facile. 22 In principio tentò di
dirigere la luce del sole, concentrata, attraverso uno sottile fetta di tessuto,
in modo da tracciare il passaggio delle fibre. 23 Niente. In ottobre incappò
in un' altra idea, che secondo lui avrebbe dovuto portargli fortuna perché
proprio allora gli si era rotto l'anello datogli da Martha. (Si sa che Freud
era sempre pronto a credere nei presagi della fortuna.) Aveva ripreso
un'idea che Flechsig aveva esposto nel 1876, e mai coltivato in seguito,
e cioè la possibilità di colorare il tessuto nervoso con una soluzione di
cloruro d'oro. Dopo qualche settimana di prove con l'aiuto del chimico
Lustgarten, suo amico, riusd nell'intento, e scrisse una lettera esultante,
come se tutte le difficoltà della sua carriera fossero ormai superate. Come
primo passo riunì alcuni amici, e dietro giuramento di mantenere il segreto,
permise loro di usare il nuovo, meraviglioso metodo nei singoli campi delle
loro ricerche: cos1 Holliinder poté usarlo sul cervello, Lustgarten sulla
pelle, Ehrmann sulle ghiandole surrenali e Horowitz sulla vescica. «Insom­
ma ho assegnato le varie parti del corpo come un comandante in capo.»24
Alla fine del mese poté cominciare ad applicare il metodo alle sue se­
zioni e a chiarire alcuni problemi di struttura.
In febbraio seppe che Weigert aveva inventato un nuovo metodo di co­
lorazione del tessuto nervoso, e perciò si affrettò ad inviare una «comuni­
cazione preliminare» sul suo metodo al «Centralblatt fiir die medizinischen
Wissenschaften», riservando la stesura completa del lavoro al «Pf1iigers
Archiv fiir die Anatomie und Physiologie». Ottenne pure da Fleischl di
spedire a Ferrier, a Londra, un articolo da pubblicarsi su «Brain», che tra
l'altro fu il primo lavoro di Freud nel quale s'imbatté il sottoscritto. Lo
254 Vita e opere di Freud

scrisse egli stesso in inglese, ma lo fece correggere da un americano. Freud


conosceva bene la difficoltà di tutti questi metodi di colorazione, tanto che
scrisse: «Gli istologi hanno escogitato un infinito numero di metodi, che si
sono rivelati utili solo nelle mani dei loro inventori. Ecco perché ho deciso
di pubblicare le istruzioni più elementari.»
Egli fu il primo a sperimentare la bontà del suo metodo, che gli dava
«un quadro meravigliosamente chiaro e preciso» delle cellule e delle fibre.
A quell'epoca la cosa destò una certa sensazione, e fioccarono le richieste
di pubblicazione in ceco, italiano e ruSSO. 25 I risultati delle prove successive,
però, furono più variabili: in certe mani dettero risultati eccellenti,26 in
altre più incerti e quindi inattendibili. 27 Briicke gli disse che i suoi nuovi
metodi da soli gli avrebbero dato fama. 28
Alle dipendenze di Briicke, Freud aveva studiato le cellule del midollo
spinale, che di tutto il sistema nervoso era ancora quello che l'attirava mag­
giormente, ma per diventare un neuropatologo consumato bisognava salire
più in alto. Perciò si accinse a una prima ricerca sulla parte immediatamente
superiore del sistema nervoso centrale, il midollo allungato. Molti anni do­
po, commentando i tentativi dei medici di spiegare l'ansia morbosa come un
disturbo di quell'organo, scrisse, starei per dire ironicamente, quanto segue:
«Il midollo allungato è una cosa molto seria e bella. Ricordo benissimo
quanto tempo e quanta fatica ho dedicato al suo studio, anni fa. Oggi però,
posso dire che niente mi sembra più trascurabile, per la comprensione psico­
logica dell'ansia, della conoscenza delle vie nervose che le eccitazioni di
essa possono percorrere». 29
Freud si occupò del bulbo per due anni e pubblicò su di esso tre lavori.
La struttura di questo piccolo organo, estremamente complicato, nel quale è
concentrata una grande varietà di vie nervose, a quel tempo era conosciuta
molto imperfettamente e oggetto di molte controversie. Per seguire passo
passo le fibre che lo attraversano fino alle loro connessioni al di fuori di
esso, era necessaria una grande destrezza, pazienza e precisione. La cosa più
notevole nelle ricerche di Freud in questo oscuro campo è il metodo da lui
adottato. Già nel novembre 1883 egli pensava a una tecnica completamente
nuova per studiare la struttura più fine del sistema nervoso centrale. Aveva
già sviluppato il suggerimento di Flechsig, della colorazione al cloruro

d'oro che, almeno nelle sue mani, dava quadri nettamente più chiari di ogni
altra. Ebbene, ora si servì di un'altra scoperta di Flechsig, ancora più im­
portante, e cioè che la mielinizzazione delle guaine midollari delle fibre ner­
Il neurologo (1883-1897)

vose non procede simultaneamente, ma prima in un gruppo di fibre, poi in


un altro. Questo rappresentava una promessa di ulteriore differenziazione,
e Freud ne trasse il massimo vantaggio. Egli pensava giustamente che tale
metodo fosse di gran lunga migliore di quello, allora in uso, di esaminare
i vetrini di numerose serie di sezioni, ed era molto scettico sulle conclu­
sioni che erano state raggiunte in tal modo. La scoperta embriologica di
Flechsig diveniva una guida per le connessioni anatomiche, e perciò Freud
sostitu1 la struttura di un cervello adulto con uno infantile, nel quale
all'inizio sono visibili solo pochi fasci mielinizzati, al posto «dei quadri ine­
stricabili delle sezioni trasverse, che permettono appena un superficiale ri­
conoscimento topografico». 80 Inoltre, confrontando le sezioni eseguite a
vari livelli nel feto, si possono osservare direttamente il decorso e le con­
nessioni dei fasci nervosi che del loro aspetto adulto si possono invece s1 e
no intravedere. Si trova cos1 che le strutture primitive persistono e non
vengono mai più cancellate, sebbene nel corso dello sviluppo esse si com­
plichino progressivamente. A questo scopo Freud esaminò dapprima cervelli
di gatti e cani neonati, e poi quelli di embrioni umani e di bambini .
. Nelle prime ricerche istologiche che aveva condotto con Briicke, egli
si era occupato dell'aspetto filogenetico dello sviluppo, mentre ora aveva a
che fare con quello ontogenetico. Questo punto di vista ha un certo paral­
lelismo con le successive ricerche psicologiche di Freud, perché anche in
quel campo egli fin1 per concentrarsi sugli aspetti ontogenetici dei dati che
veniva esaminando, mentre in un primo tempo aveva cercato il modo di
raggiungere le prime funzioni arcaiche (filogenetiche) che - per quanto pro­
fondamente sepolte - esistevano ancora.
Freud pubblicò solo una parte delle sue ricerche sul bulbo effettivamente
eseguite, poiché al momento in cui furono terminate, egli era ormai preso
da interessi clinici. I suoi tre lavori furono pubblicati tutti alla fine della
permanenza nel laboratorio di Meynert o al massimo un anno dopo averlo
lasciato. Il primo era datato «Vienna,31 metà maggio 1885» e uscì un mese
dopo. Vi si descrivevano le radici del netvo acustico e vi si discutevano
i rapporti del fascio interolivare con il corpo trapezoide. Il manoscritto del
secondo lavoro è datato «Parigi, 23 gennaio 1886» ed uscì nel marzo suc­
cessivo. Esso è controfirmato da L. Darkschewitsch, un giovane neurologo
russo che lavorò per quattro anni a Berlino, Vienna e Parigi, e fondò poi
la scuola neurologica di Kazan, che fu per lungo tempo la più folta e fa­
mosa di Russia. Freud lo incontrò a Parigi a metà gennaio (lo aveva co­
Vita e opere di Freud

nosciuto a Vienna due anm prima, a causa di un articolo in russo che


Darkschewitsch aveva scritto sul metodo di Freud al cloruro d'oro),S2 e
scrisse: «Indipendentemente l'uno dall'altro abbiamo entrambi trovato con­
ferma dell'ipotesi di Flechsig-Meynert. Dopo esserci resi conto che le nostre
osservazioni coincidono perfettamente, abbiamo deciso di riportarle in un'u­
nica pubblicazione.»33 In realtà il lavoro fu scritto interamente da Freud,
sebbene Darkschewitsch avesse fornito i disegni. 34
Il primo di questi tre lavori, tutti riguardanti le radici e le connessioni
del nervo acustico, comparve sul <<Neurologisches Centralblatt» nel giugno
1885. Il materiale di studio era rappresentato dal midollo allungato di feti
di cinque-sei mesi, nei quali le fibre acustiche sono già mielinizzate. Vi sono
tre radici, o gruppi di fibre, che terminano tutte in altrettanti nuclei omola­
terali 'alla loro entrata nel bulbo: le fibre più esterne nel nucleo anteriore,
le medie e parte di quelle interne nel nucleo mediale, mentre le restanti
fibre interne raggiungono il nucleo laterale. Da questi nuclei, poi, diversi
fasci di fibre si irradiano nel bulbo fino, per esempio, ad incrociarsi nel
nucleo del tetto, nel cervelletto. Alcune provenienti dal nucleo anteriore
costeggiano il corpo trapezoide e passano attraverso il nucleo dell'oliva su­
periore: dopo aver oltrepassato la linea mediana, esse piegano in basso nel
fascio interolivare. Quest'ultimo si origina a livello della decussazione del
corpo trapezoide, e Freud, non essendo riuscito a trovare alcuna continua­
zione delle sue fibre, concludeva che i due fasci sono continui tra loro.
Siccome però si sapeva che il fascio interolivare passa nelle colonne poste­
riori del lato opposto, la constatazione precedente significava che esso mette
in rapporto i cordoni posteriori con il nucleo acustico. Questa dimostrazione
si accordava con una recente osservazione di Vejas, secondo cui, dopo l'abla­
zione artificiale della colonna posteriore di un lato, l'atrofia poteva essere
seguita nel fascio interolivare fino al corpo trapezoide, ma non oltre.
Il secondo lavoro comparve nel marzo successivo (1886) sullo stesso pe­
riodico. Il suo scopo era quello di seguire verso il basso il peduncolo cere­
bellare inferiore. A quel tempo si conosceva la destinazione di due delle
tre parti di quest'ultimo, mentre sulla terza esistevano punti di vista oppo­
sti che venivano discussi con l'aiuto di diagrammi. I risultati di Freud di­
mostrarono che le fibre del peduncolo provenienti ad esempio dal cervelletto,
entrano nel «nucleo del corpo restiforme» di Wernicke, che è semplice­
mente la parte superiore del nucleo cuneiforme, e che è la continuazione del
nucleo di Burdach connesso a sua volta con i nuclei delle colonne poste­
Il neurologo (J 884- J 897) :2.57

riori. Alcune di tali fibre attraversano la linea mediana nel cosiddetto incro­
cio sensitivo. PerciÒ. veniva stabilita per la prima volta la connessione tra
i cordoni posteriori di un lato ed il cervelletto di entrambi i lati, conclu­
sione successivamente confermata da Monakov.
Il terzo lavoro fu pubblicato con molte illustrazioni su una rivista spe­
cialistica di otologia nell'agosto-settembre 1886. Esso descriveva dettagliata­
mente le origini e le connessioni del nervo acustico, tuttavia il suo interesse
principale sta nella dimostrazione data da Freud, che i nuclei del V, VIII,
IX e parte sensitiva del X nervo cranico, con le loro triplici radici sono per­
fettamente omologhi ai gangli delle radici posteriori del midollo spinale.
Freud giungeva a discutere (con successo per quanto riguarda il V paio) il
percorso seguito da questi nuclei nella loro migrazione verso l'esterno, che
è la stessa compiuta dai gangli spinali, descrivendolo in dettaglio per
quanto riguarda l'acustico. Anche qui risaltava l'aspetto genetico ed evolu­
zionistico della ricerca.
Meynert si comportava ancora molto amichevolmente nei riguardi di
Freud: il suo atteggiamento cambiò nel 1886, come vedremo in seguito.
Egli aveva già toccato l'apice della carriera, e mod pochi anni dopo, nel
1892, lo stesso anno in cui mod Briicke. Trovava difficile accettare i nuovi
metodi e le nuove idee sull'anatomia del cervello, specialmente da quando
il suo interesse si era spostato verso la psichiatria clinica, e forse era invi­
dioso del fatto che il giovane Freud li padroneggiasse così facilmente, e
si presentasse evidentemente come l'uomo del futuro. Egli reagì alla situa­
zione con un gesto di sottomissione: si sarebbe limitato alla psichiatria e
Freud avrebbe preso il suo posto per l'anatomia. «Un giorno Meynert, che
mi aveva dato libero accesso al laboratorio anche nei periodi in cui non la­
voravo sotto la sua direzione, mi propose di dedicarmi definitivamente al­
l'anatomia del cervello, e promise di passarmi la sua attività di insegnante,
sentendosi troppo vecchio per impadronirsi dei metodi nuovi. lo rifiutai,
sgomento dalla portata dell'incarico. Può anche darsi, del resto, che fin da
allora avessi intuito che quel grand'uomo non era affatto disposto tanto be­
nevolmente verso di me.»36 Forse Freud fu anche allarmato dall'idea di
dover riesumare quella futile carriera accademica che aveva da poco abban­
donata, e di dover attendere un'improbabile successione ad una cattedra uni­
versitaria.

9-1
Vita e opere di Freud

Si arrivò così alla visita al grande Charcot. Freud restò a Parigi dal 13
ottobre 1885 al 2 febbraio 1886, eccetto la settimana di Natale che passò
a Wandsbek: in totale quattro mesi e mezzo. A quell' epoca Charcot era
all'apice della sua fama. Nessun altro, né prima né dopo, ha dominato co­
me lui il mondo della neurologia, e l'essere stato suo allievo costituiva una
distinzione permanente. La Salpetrière si potrebbe veramente chiamare la
Mecca dei neurologi. Charcot si aggirava per le vecchie corsie di quel cro­
nicario catalogando e battezzando una serie di malattie del sistema nervoso
con un' aria da Adamo della neurologia. La sua personalità era veramente
grande: affabile, gentile, scherzoso, ma dominatore con la sua innata pre­
minenza. In un giudizio che ne dette dopo la sua morte nel 1893, Freud
parlò del fascino che irradiava dal suo aspetto e dalla sua voce, della sua
simpatica franchezza di modi, della sollecitudine con cui metteva ogni cosa
a disposizione dei suoi allievi, e della sua costante lealtà verso di loro. «Co­
me maestro, Charcot era assolutamente affascinante; ogni sua lezione era
un piccolo capolavoro di costruzione e di composizione, perfetta nello stile
e cosI incisiva che le sue parole continuavano ad echeggiare nelle orecchie
di àascuno, e l'argomento illustrato restava davanti agli occhi per tutto il
resto del giorno.»36 Un particolare restò indelebilmente impresso nella mente
di Freud e riusd a sanare la sua smodata predilezione per la teoria. Una
volta che qualcuno lo interruppe dicendo: «Non può essere cosI, perché
contrasta con la teoria di Young-Helmholtz», Charcot replicò c;lndidamente
da vero seguace di Galileo: «Le teorie sono una gran bella cosa, ma non
impediscono ai fatti di esistere.»s1 Un empirismo di questo genere avrebbe
in seguito posto Freud su una solida base negli anni delle sue stupefacenti
scoperte.
Egli era latore di una presentazione di Benedikt, l'ipnotista viennese, e
forse Charcot ricordava il suo nome per il fatto che un anno prima Dark­
schewitsch gli aveva dato uno dei lavori di Freud, di cui era allievo a quel
tempo.S8 Charcot ricevette Freud molto cortesemente, ma non ebbe con lui
altri incontri personali finché non si verificò il seguente episodio. «Ero stu­
dente alla Salpetrière, ma agli inizi ci si curava ben poco di me, che ero
uno dei tanti ospiti stranieri. Un giorno Charcot èspresse davanti a me il
suo rincrescimento perché dalla fine della guerra non aveva più avuto alcuna
notizia del traduttore tedesco delle sue lezioni, e aggiunse che sarebbe stato
lieto che qualcuno traducesse l'ultimo volume. Gli scrissi o1trendomi di farlo,
Il neurologo (1883-1897) ZS9

e ricordo ancora una frase della lettera, in cui dicevo che la mia afasia per
il francese era solo motoria, e non sensoriale.Charcot accettò l'offerta, e
cos1 fui ammesso nel cerchio delle sue amicizie personali prendendo da
quel momento parte piena a tutto ciò che accadeva nella clinica.»89
Il riferimento alla guerra di quindici anni prima sembra strano, e forse
il ricordo di Freud a quarant'anni di distanza non era proprio esatto, poiché
le sue lettere di quel periodo raccontano le cose diversamente. Freud, che
non si trovava affatto a suo agio, era sul punto di lasciare Parigi e tornar­
sene a Vienna, dopo solo due mesi di soggiorno, quando «oggi mi è ve­
nuta una sciocca idea. Il terzo volume delle Lefons di Charcot non è stato
ancora tradotto. Che accadrebbe se gli chiedessi il permesso di farlo? Ma
sarà stato certamente già concesso al traduttore dei primi due volumi, perciò
farei meglio ad abbandonare l'idea. Comunque cercherò di sapere se non
c'è niente da fare in questo senso».'O E infatti sped1 la lettera seguente,
che una sua amica, Mme Richetti, aveva scritto per lui:

Mio caro Professore,

poiché in questi due mesi sono stato affascinato dalla Sua eloquenza ed
enormemente interessato dall'argomento che Ella tratta in modo magistrale, mi
permetto di offrirle i miei servigi per la traduzione in tedesco del terzo volume
delle Sue Lezioni, nel caso che Ella cerchi ancora un traduttore e voglia
valersi della mia opera. Circa la mia capacità a questo riguardo, si può dire
che la mia afasia per la lingua francese è solo motoria e non sensoriale. Del
mio stile tedesco ho dato prova nella traduzione di un volume di saggi di
John Stuart Mili.
Con la traduzione della prima parte del terzo volume delle Lezioni, che
contiene i nuovi problemi da Lei sollevati e chiariti, sono certo di rendere un
servigio ai miei compatrioti. ai quali questa parte delle Sue ricerche è meno
accessibile delle altre, come pure di presentarmi vantaggiosamente ai medici
tedeschi.
Mi rimane da spiegarLe il perché io mi sia preso la libertà di scriverLe, dal
momento che ho la fortuna di poterle parlare, grazie al permesso di assistere
alle Sue visite alla Salpetrière. la" ragione è quella di risparmiarLe il disturbo
di darmi una risposta negativa, alla quale - lo ammetto francamente _ sono
a metà preparato, essendo molto probabile che Ella abbia già dato· a qualcun
altro l'autorizzazione che mi permetto di chiederLe, o che qualche altro motivo
Vita e_opere di Freud

La spinga a rifiutarla a me. In tal caso Ella non ha che da ignorare la mia
richiesta. Spero che voglia perdonarmi e credermi, con la più sincera am­
mirazione
Suo dev.mo
dr. Sigmund Freud

Un paio di giorni dopo Freud scrisse esultante che Charcot aveva accon­
sentito, e non solo per la traduzione delle lezioni che erano già uscite in
francese, ma anche per quelle ancora inedite. Quattro giorni dopo egli si
accordò con Deuticke di Vienna per la pubblicazione, al quale spedi in capo
a un mese parte della traduzione. Come traduttore Freud fu sempre solle­
cito, e infatti fini rapidamente il volume in questione. Nella prefazione,
datata il 18 luglio 1886, espresse la sua soddisfazione che la versione te­
desca uscisse parecchi mesi prima di quella originale in francese, ed essa
usd infatti nel 1886 sotto il titolo N eue VorleJUngen iiber die Krankhei­
ten des Nervensystems, insbesondere iiber Hysterie «<Nuove lezioni sulle
malattie del sistema nervoso, con speciale riguardo all'isterismo»). Come
fece in seguito per la traduzione di Bernheim (1888), egli ne pubblicò un
lungo riassunto - un caso di coxalgia isterica successiva ad un incidente, in
un uomo - sul «Wiener Medizinische Wochenschrift».~l Charcot lo ringraziò
inviandogli le sue opere complete rilegate in pelle, con la dedica:
A Monsieur le Docteur Freud, excellents souvenirs de la Salpetrière.
Charcot
Nelle sue lettere Freud dette una vivida descrizione dell'aspetto e delle
maniere di Charcot, il cui interesse per i malati, caldo ed intenso, egli con­
trappose alla «serena superficialità» dei medici viennesi. Dopo appena una
settimana disse che in nessuno dei luoghi dove era stato finora si sarebbe
potuto apprendere tanto quanto con Charcot. Nelle visite di corsia, illumi­
nate dall'acuta critica di Charcot, in mezzo all'abbondanza straordinaria e
certo unica del materiale clinico che giaceva alla Salpetrière, Freud deve aver
imparato molta neurologia. Però l'impressione più indelebile su di lui la
fecero le asserzioni di Charcot sul tema dell'isterismo, che vale la pena di
considerare più estesamente.
Freud riportò da Parigi una litografia nella quale Charcot è riprodotto
vividamente mentre parla ai suoi assistenti e agli studenti. La paziente che
egli sta illustrando, languida e in stato di semi-coscienza, è sostenuta alla
Il neurologo (1883-1897) 261

vita, assai snella, dal braccio di Babinski. La figlia maggiore di Freud scri­
ve in proposito: «Questa figura esercitava su di me una strana attrazione,
ed io chiesi spesso a mio padre che disturbo avesse quella malata. Ottenni
ogni volta la stessa risposta, e cioè che era "troppo stretta nel busto", con
una morale sulla sciocchezza di fare altrettanto. lo sguardo che egli soleva
dare alla scena mi faceva già sentire, benché fossi molto piccola, che essa
evocava in lui ricordi felici o importanti, e che era molto cara al suo
cuore.»42
Tra gli assistenti di Charcot, quello che fece più impressione su Freud
fu Brouardel. 43 Pierre Marie gli propose di lavorare insieme ad uno studio
clinico sull'isteria, ma poco dopo si separarono. L'unico frutto delle sue
ricerche cliniche che Freud portò con sé da Parigi fu il notevole studio
sulle paralisi isteriche, che pubblicò qualche anno dopo.
Al suo arrivo a Parigi, le ricerche anatomiche lo interessavano ancora as­
sai più di quelle cliniche. Egli cercò dapprima di continuarle nel laboratorio
della Salpetrière, e. Charcot e Guinon gli procurarono a questo scopo alcuni
cervelli infantili. In un secondo tempo pensò di fare una ricerca sulla de­
generazione discendente del suo caro midollo spinale. In quel periodo non
fece nessuna pubblicazione anatomopatologica, ma nella monografia sulle
paralisi cerebrali infantili di cinque anni dopo descrisse lo studio di un
caso che gli era stato affidato da Charcot. 44 Si trattava di una donna che era
stata ricoverata alla Salpetrière dal 1853, e che era affetta da una emiplegia
insieme ad altri sintomi. 4G Freud fece un'accuratissima descrizione dei dati
dell'autopsia, cioè della sclerosi determinata da una embolia di oltre tren­
t'anni prima, e riuscl persino ad individuare nel lobo temporale una picco­
lissima area di sclerosi corrispondente al territorio di irrorazione del ramo
sfenoidale dell' arteria cerebrale media.
Egli trovò però sempre più insoddisfacenti le condizioni del laboratorio
della Salpetrière, che erano senza dubbio molto diverse da quelle cui era
abituato, ed il 3 dicembre annunciò che l'avrebbe lasciato. Quella fu quasi
la fine del suo lavoro al microscopio: da quel momento sarebbe diventato
un clinico puro. Nella lettera successiva, egli dava di questa decisione
sette motivi convincenti, affermando però di voler riprendere le ricerche di
anatomia, una volta tornato a Vienna. Una simile abbondanza di ragioni
denuncia in genere la soppressione del motivo fondamentale, che può forse
scorgersi nel fascino della psicopatologia, ispiratogli da Charcot. Oltre a
questo però ce n'era un altro, più personale: dopo un anno di fidanza­
Vita e opere di Freud

mento, egli sentiva già un certo conflitto tra il lasciarsi assorbire dal suo
«lavoro scientifico», che per lui era sempre stato un lavoro di laboratorio,
ed il suo amore per Martha. A volte diceva che il primo era un sogno e il
secondo una realtà,48 e in seguito assicurò alla fidanzata che l'anatomia del
cervello era l'unica vera rivale che essa avesse mai avuto o che avrebbe
avuto in futuro. 41 Da Parigi le scrisse: «Ho capito da molto tempo che la
mia vita non può essere interamente dedicata alla neuropatologia, ma solo
qui a Parigi mi è divenuto chiaro che per una cara ragazza essa va assolu­
tamente abbandonata.»418 Questo una settimana prima di lasciare il labo­
ratorio della Salpetrière, e nell'annunciare la sua decisione aggiunse: «Puoi
esser certa che ho superato il mio amore per la scienza per quel tanto che
esso si frapponeva tra di noi.» Oltre agli aspetti emotivi, tutto ciò aveva
naturalmente anche i suoi aspetti pratici, giacché Freud sapeva molto bene
che per lui ilinatrimonio avrebbe significato un lavoro esclusivamente cli­
mco.
Subito dopo aver sospeso il lavoro di laboratorio alla Salpetrière, cominciò
a scrivere un libretto intitolato Introduzione alla neurologia, e in sei setti­
mane ne terminò la prima parte. 49 Esso però n0ll. fu mai pubblicato, e sem­
bra che avesse lasciato il posto ad un' altra opera, più ambiziosa, sull' ana­
tomia del cervello che lo tenne occupato negli anni 1887 e 1888, ma che
restò incompiuta. 60
Nell'ultima settimana trascorsa a Parigi egli ottenne un altro piccolo trion­
fo: Charcot aveva appena scoperto «qualcosa di molto curioso» - proba­
bilmente una nuova sindrome - e Freud gli suggerl sia una spiegazione di
essa che un nome appropriato per definirla, che a quanto pare Charcot ac­
cettò.
Freud lasciò Parigi nel febbraio 1886, ma sulla via del ritorno passò
qualche settimana a Berlino, allo scopo di imparare un po' di pediatria nella
clinica di Adolf Baginsky, ritenendo che, una volta tornato a Vienna, non
gli sarebbe più capitata la fortuna di poter andare all'estero. Questa deci­
sione fu determinata dal fatto che, forse per motivi «razziali», egli non
aveva probabilità di ottenere un posto nella clinica neuropsichiatrica di Vien­
na, come infatti accadde, mentre il pediatra Max Kassowitz (1842-1913)
gli aveva offerto, prima della sua partenza per Parigi, il posto di direttore
del nuovo reparto di neurologia che si stava per aprire nel primo Istituto
pubblico per le Malattie dei Bambini. Quest'ultimo era una vecchia istitu­
zione, fondata dall'imperatore Giuseppe II, che in quel tempo si stava
Il neurologo (J883-J897)

rimodernando. Freud tenne quel posto per molti anni, lavorandovi tre volte
alla settimana per varie ore, e fornendo alcuni notevoli contributi alla neu­
rologia.
Nei cinque anni successivi egli fu assorbito dagli avvenimenti familiari,
dal lavoro professionale e dalla traduzione dei libri di Charcot e di Bern­
heim. L'unico lavoro pubblicato in quel periodo (1888) riguardava un'eve­
nienza finora sconosciuta, cioè la comparsa di una emianopsia in due bambi­
ni rispettivamente di due °e tre anni d'età. Freud discuteva la probabile sede
della lesione e faceva rientrare i due casi nelle paralisi cerebrali infantili, che
aveva già cominciato a studiare. Suggerl anche l'interessante ipotesi che la
deviazione coniugata degli occhi, osservabile talvolta nel coma apoplettico,
potesse essere dovuta a una emianopsia dal lato paretico, per cui 13: dire­
zione verso la quale guardava il malato avrebbe coinciso con la sede della
lesione.
Dalle lette"re a Fliess apprendiamo che nel 1887 e 1888 egli stava scri­
vendo anche un libro sull'anatomia del cervello, nella quale era profon­
damente versato. Questo - l'anatomia e l'istologia - egli chiamava il suo
vero «lavoro scientifico», e cos1 continuò a pensare per alcuni anni. Quel­
l'opera però non fu mai finita, poiché gli interessi di Freud si stavano già
spostando verso la psicopatologia, e le sole tracce superstiti di essa sono rap­
presentate dai sintetici articoli contenuti nello Handworterbuch di Villaret.
La pubblicazione successiva fu il primo libro di Freud, l'Afasia (1891).
Su questo argomento egli aveva già tenuto alcune conferenze alla Società
di Fisiologia di Vienna nel 1886 e all'Università nel 1887, ed aveva inoltre
scritto la voce per lo Handworterbuch der gesamten Medizin (<<Manuale
alfabetico di medicina generale») di Villaret (1888-1891).51 Il libro sul­
l'afasia era dedicato a Breuer, e questo gesto verso colui che era stato il suo
principale appoggio negli anni più difficili e che gli aveva anche fornito ciò
che si sarebbe rivelato la chiave di tutto il suo lavoro futuro, fu senza dub­
bio felice. Però la gratitudine non era l'unico motivo, perché Freud sperava
di migliorare con questo mezzo l'atteggiamento di Breuer nei suoi riguardi,
e restò deluso nel constatare, per qualche oscuro motivo, l'effetto opposto. 52
La maggior parte dei conoscitori delle opere di Freud concordano con il
suo stesso giudizio che quest'opera fosse il migliore dei suoi scritti di neu­
rologia, ~nche se non è la sola alla quale sia legato il suo nome in campo
neu~ologlCO.. E~sa rappresenta il primo autentico spiraglio sul Freud degli
anDl seguenti, lO quanto dimostra già il ragionamento serrato; la chiarezza
Vita e opere di Freud

estrema e l'argomentazione al tempo stesso persuasiva e feconda di idee, la


scrupolosa discussione delle obiezioni e la mirabile capacità di suddividere
la materia, che divennero poi cosi caratteristiche nei suoi scritti. Ormai tren­
tacinquenne, Freud non è più il modesto studente di una volta, ma un neu­
rologo esperto che può permettersi di parlare in tono confidenziale sia ai
suoi pari che a quelli più in alto di lui, ed ogni critica alle loro dottrine,
per quanto demolitrice, è espressa i~ modo elegante e appropriato. In una
lettera di quell'epoca egli scrisse: «Nel libro sono molto "frech" [arrogan­
te, sfacciato], incrocio la spada con il tuo amico Wernicke, con Lichtheim
e Gràshey, e arrivo a scalfire Meynert, l'idolo sul piedistallo.»53
Il sottotitolo che il libro porta, «Studio critico», è felice, in. quanto esso
consiste essenzialmente in una critica rivoluzionaria e approfondita della
teoria dell'afasia di Wernicke e Lichtheim, quasi universalmente accettata.
La critica, che il libro di Freud fu il primo a sollevare, era del resto tut­
t'altro che puramente distruttiva. Infatti l'autore emetteva alcuni punti di
vista personali che non sono cosi recisi e rigidi come quelli che egli respin­
geva e d'altra parte si avvicinano maggiormente a quelli moderni.
Dopo che Broca (1861) ebbe scoperto nel lobo frontale del cervello un'a­
rea la cui lesione determina l'afasia motoria (grave disturbo della funzione
del linguaggio) e che Wernicke (1874) ne ebbe trovata un'altra nel lobo
temporale la cui lesione produce l'afasia sensoriale (incapacità di compren­
dere il linguaggio) i neurologi si trovarono di fronte al compito di spiegare
le tante varietà di tal genere di disturbi, parziali o miste, che è dato osser­
vare. Infatti si verificano le più imbarazzanti combinazioni fra la incapacità
di parlare spontaneamente, quella di ripetere le parole udite da un altro,
quella di saper leggere le parole senza riuscire a leggere le lettere o vice­
versa, quella di comprendere parole di lingue apprese di recente pur riu­
scendo ancora a comprendere la lingua materna, e così via. Wernicke, e
Lichtheirò dopo di lui, tracciarono gli schemi di ipotetiche connessioni tra
i vari centri, e postularono i vari punti di tali schemi la cui lesione avrebbe
potuto dar ragione di questa o di quella associazione di disturbi afasici.
Man mano che si osservavano nuove combinazioni, poi, i diagrammi diven­
tavano sempre più complicati, finché si giunse a una confusione tolemaica
che solo un nuovo Keplero avrebbe potuto districare. Fu quello che Freud
tentò di fare. Un'analisi particolareggiata dei casi già pubblicati mostrava
che gli schemi proposti contenevano alcune contraddizioni, sulla cui base
Freud si azzardò a mettere in dubbio il fondamento di tutta la teoria, cioè
Il neurologo (1883-1897)

il fatto che le varie afasie potessero essere spiegate dalle cosiddette lesioni
sottocorticali delle vie associative.
I suoi dubbi sarebbero stati fortemente corroborati se Freud avesse saputo
ciò che accadde a Bastian, la grande autorità inglese nel campo delle afasie,
un solo anno dopo la pubblicazione del libro. In un caso di lieve afasia,
Bastian aveva previsto una piccola lesione delle ipotetiche fibre associative
subcorticali, ma quando l'autopsia rivelò una enorme cisti che aveva di­
strutto buona parte dell'emisfero cerebrale sinistro, egli ne rimase cos1
sconvolto che dette le dimissioni dall' ospedale.
Al posto della localizzazione schematica di cui s'è detto, Freud avanzò
una spiegazione funzionale completamente diversa. Ammettendo che la di­
struzione dei tre centri principali (motore, acustico e visivo) aveva per risul­
tato rispettivamente l'afasia motoria, quella sensoriale e l'alessia, egli sug­
gerl che tutti i sottotipi si dovessero spiegare con vari gradi di alterazione
funzionale, facenti capo ad una zona del cervello più o meno lesa. In que­
sto senso egli si rifaceva alla teoria della diIinllolution di Hughlings Jack­
son, secondo la quale le funzioni di più recente acquisizione o meno im­
portanti sono più fragili di quelle fondamentali, e citava vari esempi di
questo genere.
Egli spogliava i «centri» di Broca e di Wernicke del loro significato, quasi
magico, di centrali automatiche, e metteva in evidenza che il loro significato
è puramente anatomico, non fisiologico, e dovuto semplicemente alla vici­
nanza con l'area motori a, per il centro di Broca, e per quello di Wernicke
all'arrivo in esso delle radiazioni acustiche. Perciò i centri non sono altro
che punti nodali di un circuito generale.
Tutto ciò rappresentava uno stadio dell'emancipazione di Freud dagli
aspetti più meccanicistici della scuola di He1mholtz, alla quale era cresciuto,
ma egli andava anche oltre, in quanto metteva in dubbio la nozione, legata
all'insegnamento di Meynert, che le idee ed i ricordi dovessero immagi­
narsi ancorati alle varie cellule nervose. Dopo una premessa di ordine psi­
cologico sullo sviluppo del linguaggio e della lettura, e sull' acquisizione dei
vocaboli e delle idee, nella quale prendeva posizione contro la confusione
tra dati fisiologici e dati psicologici, Freud indicava nella denominazione
degli oggetti la parte più debole del nostro patrimonio linguistico, e perciò
suscettibile di soffrire per prima. Egli denominava questo disturbo (cioè
l'afasia sensoriale subcorticale di Wernicke) come afasia asimbolica, mo­
dificando cosi l'uso di questo termine, impiegato da Finkelnburg, il quale
266 Vita e opere di Freud

non aveva fatto distinzione tra denominazione e riconoscimento degli og­


getti. Freud definiva il disturbo di quest'ultima funzione come «agnosia»,
termine che è rimasto, al pari della distinzione da lui fatta. L'ecolalia, in
corso di afasia, era invece considerata piuttosto come un segno di asim­
bolia.
La critica più severa era forse quella che Freud rivolgeva alla teoria del
suo vecchio maestro Meynert, secondo la quale la corteccia cerebrale con­
tiene «la proiezione delle varie parti del corpo». Egli dimostrava su quali
errori di istologia ciò si basasse: le fibre che penetrano nei nuclei del mi­
dollo spinale sono più numerose di quelle che ne escono dirette alla cor­
teccia, per cui non vi può essere continuità tra la periferia e il cervello.
Una «proiezione» della periferia esiste solo nella sostanza grigia del mi­
dollo, mentre nella corteccia vi è solo una «rappresentazione», basata su
raggruppamenti funzionali piuttosto che topografici.
Il libro di Freud non ebbe molta fortuna benché tante delle sue conclu­
sioni siano state successivamente accolte. I tempi non erano ancora maturi
a riceverlo. Jelliffe nota che quasi tutti i cenni storici sull'afasia omet­
tono di riportarlo (l'unica eccezione- sembra Ober die Aphasie di Gold­
stein 1910) e aggiunge: «Questa osservazione vale soprattutto per l'ana­
lisi storica di Head, poiché questi, dopo aver dedicato molte pagine alle
importanti concezioni patogenetiche di Jackson, trascura completamente l'u­
nico autore che fu sensibile alle idee di Jackson e che le discusse, movendo
finalmente una serrata critica agli schemi di Wecnicke e Lichtheim, allora
i più in voga, a favore delle proposizioni enunciate da Jackson, con par­
ticolare riguardo ai concetti di "disinvolution delle funzioni" da Jackson
avanzati con tanta genialità.»54 Il nome di Freud non era nemmeno citato
nella estesa bibliografia di Head, cos1 come non lo si trova in quelle di
Mingazzini, di Brissot e della maggior parte degli altri autori che scrissero
sull' afasia. Eppure il libro di Freud si legge ancora come un' opera moder­
na, anche al di fuori dello stile, che è vivace e interessante. 65
Delle ottocentocinquanta copie che se ne stamparono, ne erano state ven­
dute duecentocinquantasette dopo nove anni, quando le restanti furono
rifuse. In nessuna biblioteca dell'Inghilterra ne esiste una copia. Il com­
penso di Freud fu di 156 gulden (62 dollari) di diritti d'autore.
Arriviamo cos1 alle ultime ricerche neurologiche di Freud, quelle eseguite
nel reparto dell'Istituto dei Bambini di Kassowitz: nove lavori, di uno dei
quali abbiamo già parlato (quello sulla emianopsia infantile).
11 neurologo (1883-1897)

Il successivo, pubblicato anch'esso nel 1891, fu una massiccia monografia


di 220 pagine, con 180 voci bibliografiche, scritta in collaborazione con il
dr. Oscar Rie, un pediatra amico di Freud e suo assistente nel reparto. 56
:e con questo lavoro che il nome di Freud divenne finalmente noto ai neu­
rologi di tutto il mondo, e che lo è tuttora. Vi si trattavano esauriente­
mente da ogni punto di vista le paralisi emi laterali dei bambini, con una
casistica personale di trentacinque casi. All'inizio venivano esaminati per
esteso lo sviluppo storico della letteratura sull'argomento, poi seguiva l'ana­
lisi dei singoli sintomi, l'anatomia patologica, la diagnosi differen.ziale e il
trattamento. :e uno studio clinico di prim'ordine.
In esso veniva identificata per la prima volta una nuova sindrome, la
«paresi coreiforme» nella quale, al posto della emiparesi che ci si atten­
derebbe, si trovano invece movimenti simili a quelli coreici. Si sottolinea
anche che molti casi che sembrano epilettici banali appartengono a questo
gruppo, anche se non presentano evidenti parali~i. Gli autori dubitano del­
l'opinione di Striimpell secondo cui la poliomielite acuta può determinare
un'emiplegia cerebrale, sebbene essi prevedano che una concezione più larga
della poliomielite potrebbe condurre alla scoperta di una etiologia comune. 57
Freud e Rie pubblicarono il nucleo di questa ricerca in tre lavori com­
parsi sulla «Wiener medizinische Wochenschrift» del gennaio e febbraio
1891, i quali, pur non omettendo niente di quel che la pubblicazione ori­
ginale contiene, ne forniscono una chiara presentazione, utile al medico non
specialista.
Due anni dopo Freud pubblicò un breve lavoro su uno strano segno ­
l'ipertonia degli arti inferiori - riscontrato in circa la metà dei casi di
enuresi notturna. A quell'epoca egli era ancora molto lontano dal sospet­
tare la natura psicologica di questo disturbo.
Nello stesso anno (1893) pubblicò un'altra monografia di 168 pagine
sulle paralisi infantili, dedicata stavolta alla diplegia cerebrale, e che, come
la precedente, fu edita in un archivio diretto da Kassowitz. Essa rappre­
~entava un complemento dell'opera precedente, dato che nel complesso esse
lllustrav~no tutte le forme di paralisi infantile. Una gran parte di questo
lavoro SI basava su quello di Little, di trent'anni prima, di cui una volta
Freud mi mostrò una copia nella sua biblioteca, e nel quale erano accura­
tamente descritti ben 53 casi personalmente osservati. Come nella precedente
monografia, Freud esaminava prima la letteratura e poi la sintomatologia,
ecc., nello stesso ordine dell' altra.
2.68 Vita e opere di Freud

Egli divide i casi in quattro gruppi: 1. Spasticità cerebrale diffusa, nota


come «morbo di Little», che comprende due terzi di tutti i casi. 2. Para­
plegia spastica, dovuta ad una lesione cerebrale bilaterale. Prima di allora
questa affezione era stata considerata erroneamente di origine spinale, sotto
il nome di tabe spastica. 3. «Corea» centrale e atetosi bilaterale. 4. Doppia
emiplegia spastica. Freud dimostrò che non vi è una etiologia unica per
ciascun determinato tipo di affezione, e discusse tutti i vari fattori causali
sotto tre paragrafi: a) congeniti, b) perinatali, c) acquisiti dopo la nascita.
Non era neanche possibile stabilire alcuna correlazione tra i tipi clinici e i
dati anatomopatologici cerebrali, mentre sembrava che esistesse un rapporto
tra la lesione, da una parte e dall' altra, la prevalenza della contrattura sulla
paralisi, tanto comune in questi casi nel senso che la contrattura era mag­
giore quanto più la lesione era superficiale. CosI pure tra la sede della le­
sione e la maggiore compromissione degli arti inferiori, pure caratteristica
di queste diplegie. Freud concordava con Konigstein sul fatto che lo stra­
bismo che talvolta si accompagna alla diplegia infantile fosse dovuto ad
emorragie retiniche al momento della nascita o subito dopo.
Venivano pure esaminate, specie dal punto di vista della diagnosi, le
malattie ereditarie del sistema nervoso. Freud pubblicò press'a poco in quello
stesso periodo (agosto 1893) sul «Neurologisches Centralblatt» i casi di
due fratelli colpiti da un'insolita malattia ereditaria. I sintomi, e cioè ni­
stagmo laterale, strabismo convergente, atrofia ottica, parola monotona e
scandita, tremore intenzionale delle braccia, astenia e spasticità agli arti infe­
riori, erano molto simili a quelli della sclerosi a placche, ma Freud rite­
neva trattarsi di un'affezione diversa, che definiva l'equivalente spastico della
malattia di Friedreich. .
Pierre Marie, il più grande neurologo di Francia e sotto molti aspei:ti suc­
cessore di Charcot, in una recensione sulla monografia di Freud sulle di­
plegie cerebrali infantili scrisse: «Qu~sta monografia è senza- alcun dubbio
la più completa, accurata e originale che sia finora apparsa sul confuso pro­
blema della diplegia cerebrale infantile, del quale si sa tanto pOCO.»58 Ma­
rie dirigeva la nuova «Revue Neurologique» e fu probabilmente su suo
invito che Freud scrisse un riassunto della monografia in francese, che com­
parve nel primo volume della rivista.
Nel 1895 egli pubblicò una breve nota su una particolare e fastidiosa
affezione di un nervo della coscia, della quale egli stesso aveva sofferto
per un paio d'anni, ed esponeva le osservazioni fatte su se stesso. Bern­
Il neurologo (1883-1897)

hardt ha recentemente descritto la stessa condizione, che da allora va con il


suo nome, ma Freud notò di averla osservata per anni in diversi malati.
A questo punto Freud era diventato la principale autorità in tema di
paralisi infantili, e perciò quando Nothnagel progettò la sua grande enci­
clopedia di medicina, fu del tutto naturale che affidasse a Freud il capitolo
sulla «paralisi cerebrale infantile». Pensando probabilmente di aver già
detto tutto ciò che aveva da dire sqJl' argomento, ed essendo già a quel
tempo più attratto dalla psicopatologia, Freud fu chiaramente seccato dal­
!'incarico, e arrivò ad assolverlo solo dopo aver molto sbuffato. La parte
più noiosa era la rivista della letteratura e la bibliografia, e nelle lettere a
Fliess (vedi p. 417) si trovano molte lamentele a questo riguardo. Il la­
voro fu finito solo un anno dopo, a metà gennaio 1897, e fu l'ultimo che
Freud scrisse su argomenti di neurologia. 59
In quell'intervallo di tempo si era venuto raccogliendo un certo numero
di nozioni da aggiungere, per esempio sulle encefaliti, e vi era qualcuna
delle precedenti conclusioni da modificare, tuttavia lo sforzo maggiore era
quello di raggruppare le varie paralisi sotto forma di unità distinte, com­
pito che presentava difficoltà insuperabili. Comunque l'intero lavoro, di 327
pagine, era un vero e proprio trattato, che Bernard Sachs definl «magi­
strale ed esauriente». Il neurologo svizzero Brun in una recente rivista af­
ferma che esso occupa un posto sicuro nella moderna neurologia, e scrive:
«La monografia di Freud è la più completa e approfondita esposizione delle
paralisi cerebrali infantili che sia mai stata fatta ... Si può dare un'idea della
superba padronanza dell' enorme quantità di materiale clinico in essa rac­
colto e analizzato criticamente, se si dice che la sola bibliografia occupa
14 pagine e mezzo. :B una realizzazione magnifica, che sarebbe bastata da
sola ad assicurare al nome di Freud uno stabile posto nella neurologia cli­
nica.»60
~a conclusione del periodo di attività neurologica di Freud81 può forse
esser fatta coincidere con il suo necrologio di. Charcot, pubblicato nel set­
tembre 1893. Esso esprime senza riserve la grande ammirazione di Freud
per l'uomo «alla cui personalità ed al cui lavoro nessuno si è mai accostato
senza apprendere qualcosa».82 La descrizione della personalità di Charcot e
del suo stile di lavoro è per efficacia un'opera d'arte. Con la consueta ge­
nerosità, Freud attribuisce a Charcot di aver compiuto quel passo «che gli
dà la gloria eterna di essere stato il primo a spiegare l'isterismo»,8s frase
che oggi dovremmo considerare notevolmente esagerata. Non c'è dubbio
Vita e opere di Freud

che l'atteggiamento di Charcot verso !'isterismo fu per Freud di grande in­


coraggiamento - ciò che gli psicologi chiamano «sanzione» - ed egli gliene
fu grato.

Prima di accomiatarci dal Freud neurologo, è opportuno che ci soffer­


miamo brevemente sulle conquiste da lui raggiunte in questi primi venti
anni. t impossibile descrivere il faticoso, minuto lavorio che solo coloro
che hanno seguito una carriera analoga possono immaginare, però possiamo
ricordare le principali scoperte fatte e le conclusioni raggiunte nelle sue
lunghe ricerche sul sistema nervoso.
Partendo opportunamente da una delle forme più semplici di tale si­
stema, Freud stabill che alcune misteriose cellule del midollo spinale di un
umile pesce erano il punto di partenza delle fibre radicolari sensitive, ed
erano disposte sul loro percorso in modo da formare i gangli delle radici
posteriori, ben noti negli animali più evoluti. Egli dimostrò aitresi la con­
tinuità tra le cellule bipolari degli animali inferiori e quelle bipolari dei
superiori. Queste, che rappresentavano due solide pietre nell' edificio della
teoria dell'evoluzione, erano un risultato notevole per un giovane studente,
e misero in luce precocemente l'intuito genetico di Freud. Subito dopo, con
la sua ricerca sul gambero, egli dimostrò che i cilindrassi possiedono una
struttura fibrillare, e osservò per primo che le fibre nervose derivano da
una struttura reticolare contenuta nella cellula nervosa. In una conferenza
tenuta un paio d'anni più tardi egli espose il nucleo della teoria del neu­
rone, che però non giunse a formulare chiaramente.
Salendo più in alto del midollo spinale, Freud fece quindi alcune sottili
ricerche sul midollo allungato, impiegando una tecnica desunta dallo svi­
luppo di tale formazione, allo scopo di chiarire la struttura delle sue parti
più complesse. I risultati da "lui ottenuti furono: la dimostrazione delle
connessioni tra i cordoni posteriori (sensitivi) del midollo spinale, le radici
del nervo acustico, ed il cervelletto; la dimostrazione che le radici sensitive
dei nervi cranici erano omologhe a quelle del midollo spinale, altra con­
clusione importante agli effetti della teoria dell' evoluzione.
Freud eseguI uno studio particolareggiato della" cocaina e della pianta
di coca, dalla quale essa si estrae, e previde che le sue proprietà anestetiche
avrebbero avuto un impiego clinico.
Le pubblicazioni di casi erano di alta qualità, ma di interesse limitato
Il neurologo (1883-1897) 271

nel tempo, se si eccettuano quelle sulle paralisi infantili, che costituiscono


una ricerca completa ed un classico di valore permanente.
Ultimo ma non meno importante è il libro sull'afasia. Qui Freud si pre­
senta per la prima volta nella sua reale statura. La sua critica rivoluzionaria
della teoria localizzatrice, allora in auge, è seguita da una spiegazione fun­
zionale ricca di conseguenze nei riguardi della teoria generale dell'attività
cerebrale. Non solo, ma in quell'opera si discutono in maniera feconda i
rapporti tra quest'ultima e le funzioni mentali.
Freud si è dimostrato un buon clinico, un abilissimo istologo ed un pen­
satore. I suoi tentativi di fisiologia sperimentale furono invece grossi in­
successi. Per un uomo dalla mente dinamica come la sua questo costituisce
un problema, che si è cercato di spiegare. 54
Tutta questa attività avrebbe affermato Freud come neurologo di prim'or­
dine, strenuo lavoratore e acuto pensatore, ma - ad eccezione forse del libro
sull'afasia ~ c'era poco che facesse prevedere l'esistenza di un genio. Ci
rimangono ora da considerare i suoi inizi nel campo della psicologia, e se
possibile, mettere in evidenza alcuni punti che li legano alle sue ricerche
sul sistema nervoso.
Note

l. M., 7 maggio 188;.


2. lbid., 2 luglio 188;.

;. lbid., 17 giugno 188;.

4. lbid., 19 settembre 188;.


5. G. W., II-III, 678.
6. La prima lezione in inglese fu tenuta il 2 febbraio 1885.
7. Auto., pp. 19, 20.
8. S. E. Jelliffe, Sigmund Freud as Neurologist, «Journal of Nervous and
Mental Disease», LXXXV, 19;7, 702.
9. «Wiener medizinische Wochenschrifb>, marzo 1884, numeri 9 e lO.

lO. lbid., 6 febbraio 1886, n. 6, pp. 168-72.

11. M., 6 febbraio 1884.


12. lbid., 15 febbraio 1884.
B. lbid., 9 gennaio 1885.
14. lbid., l° gennaio 1885.
15. lbid., 29 aprile 1884.
16. lbid., ; maggio 1884.
17. lbid., 5 agosto 188;.
18. lbid., 16 e 29 maggio 1884, e 16 aprile 1885.
19..B. Sachs, The False Claims 01 the Psychoanalysl - A Review and a
Protest, «America n Journal of Psychiatry», XII, 1933, 728 n.
20. F. Peterson, «Bullettin of the New York Academy of Medicine» no­
vembre 19;2.
21. V. p. 82.
22. M., 2 luglio 1883.
23. lbid., 2; agosto 188;.
24. lbid., 12 ottobre 1883.
25. Ibid., lO e 29 febbraio 1884.
26. Pollack, Lehrbuch der Farbentechnik des Nervemystems (II ed., 1898).
27. UpSOD, «Journal of Nervous and Mental Disease», XIII, 1888, 685.
28. M., 28 ottobre 188;.
29. G.W., XI, 408.
Note 273

30. «Monatsschrift fili Ohrenheilkunde»,· XV, 1886, 247.


31. Freud conservò sempre l'abitudine di indicare nella data, oltre il giorno,
anche il luogo in cui lo scritto veniva vergato.
32. M., 28 gennaio 1884.
33. Freud e L. Darkschewitsch, Obe, die Beziehung del St,ickkarperI zum
Hinterltrang und Hinterltranglkern neblt Bemerkungen uber zwei Felder der
Oblongata, «Neurologisches Centralblatb>, V, 1886, 123.
34. M., 17 e 23 gennaio 1886.
35. Auto., p. 18.
36. G. W., I, 28.
37. Auto., p. 22.
38. M., 9 e Il ottobre 1884.
39. Auto., pp. 20, 21.
40. M., 9 dicembre 1885.
41. Maggio 1886, pp. 711, 755.
42. Informazione personale.
43. G. W., X. 453.
44. F. N. Kassowitz, «Beitrlige zur Kinderheilkunde», Vienna 1891, n. III,
155-57.
45. Una descrizione clinica completa del caso si può trovare nella Ico­
nographie de la Salpétrière (III, 1879-80, 22-30).
46. M., 9 ottobre 1883.
47. Ibid., 17 maggio 1885.
48. Ibid., 28 novembre 1885.
49. Ibid., 27 gennaio 1886.
50. Anf., pp. 60, 68.
51. Sebbene gli articoli non siano firmati, quelli sull'afasia e sull'anatomia
del cervello sono certamente opere di Freud, e forse anche quelli sull'isterismo
e le paralisi infantili. In una nota della sua Aphalia Freud dice che il suo
interesse per l'argomento fu risvegliato da un lavoro di Exner e Paneth (Aph.,
p. 68). Nell'Autobiografia (1925) dice invece che l'occasione fu rappresentata
dall'invito a collaborare allo Handwo,terbuch di Villaret, che invece gli per­
venne un paio d'anni dopo le sue lezioni sull'argomento (Auto., p. 31). Delle
due affermazioni la più verosimile è la prima.
52. Lettera a Minna Bernays, 13 luglio 1891.
53. Anf., p. 71.
54. ]elliffe, op. cit., pp. 707, 708.
55. La polemica aperta da Freud tra gli aspetti statici e quelli dinamici del­
la localizzazione in rapporto con l'afasia è tuttora aperta dopo sessant'anni
e sembra lungi dal concludersi. Vedi K. Conrad: Aphalie, Agnolie, Ap,a­
xie .( «Fortschritte der Neurologie, Psychiatrie und ihrer Grenzgebiete», XIX.
luglto 1951, n. 7).
56. KliniIche Studie uber die halbuitige Ce,ebrallahmung der Kinde,.
57. La moderna encefalite.
58. Pierre Marie, «Revue Neurologique», I (1893), 643.
274 Note

:59. Per quanto riguarda i suoi scritti originali. Per qualche altro anno con­
tinuò a scrivere recensioni e riassunti. Per esempio scrisse tutti quelli riguar­
danti le paralisi cerebrali infantili che figurano nei primi tre volumi dello
«Jahresbericht ffu Neurologie und Psychiatrie)) (1898-1900), di cui era redat­
tore.
60. R. Brun, Sigmlmd Freuds Leistungen aut dem Gebiet der organischen
Neurologie, «Schweizerisches Archiv ffu Neurologie und Psychiatrie», XXXVII
(1936), 20:5.
61. Ad eccezione della lunga monografia sulle paralisi infantili che SCClsse
successivamente per il grande Handbuch di Nothnagel (1897).
62. G. W., I, 21.
63. lbid., p. :53.
64. V. pp. 83-8:5.
XI. Il periodo di Breuer (1882-1894)

CosI come il capitolo precedente si sovrappone a questo nel tempo, que­


sto a sua volta si sovrappone al successivo. Perciò, pur considerando !'in­
tera opera neurologica di Freud come Wl tutto, bisogna tener presente
che buona parte di essa, anzi la più importante, fu portata a termine in
quello che qui chiamiamo il periodo di Breuer. Sotto certi aspetti sarebbe
opportuno descrivere le origini e le scoperte della psicoanalisi in due parti,
per quanto artificiale ciò possa sembrare. L'evoluzione di Freud dal 1880
al 1890 rappresenta naturalmente un continuo che potrebbe essere schema­
ticamente raccontato come un tutto unico, tuttavia essa può essere presen·
tata al lettore in modo più comprensibile se la si divide come si è qui
tentato di fare. Ci ripromettiamo perciò di descrivere in questo capitolo la
nascita dell'interesse di Freud per la psicopatologia, la sua crescente atten­
zione per l'etiologia sessuale delle nevrosi, e soprattutto l'elaborazione del
suo metodo tecnico, che fu la base di ogni altro, riservando ai capitoli
seguenti il racconto dei suoi tentativi di formulare una base teorica del
funzionamento della psiche, e quello delle sue scoperte cliniche. Questa
suddivisione avrà come paradossale conseguenza il fatto che la vera e
propria collaborazione tra Breuer e Freud, essendo di ordine squisitamente
teorico, malgrado il titolo del capitolo, non sarà considerata in questo,
bensi in uno successivo.
Non è facile valutare il significato che Breuer rivestI per Freud e per
il suo lavoro: senza dubbio Freud lo sopravvalutò sotto questo secondo
aspetto, ma non forse sotto il primo. Quando talvolta egli chiamava
Breuer il «fondatore della psicoanalisi», non poteva altro che trasferirgli mo­
destamente il suo proprio titolo, giacché le basi della psicoanalisi _ sia il
metodo che le scoperte - sono esclusivo merito di Freud e furono poste
Vita e opere di Freud

quando i due uomini si erano già separati da un bel po' di tempo. Se


Freud avesse detto che la comunicazione fattagli da Breuer del famoso
caso di Anna O. era stato uno dei punti di partenza verso la psicoanalisi,
si sarebbe avvicinato maggiormente al vero. D'altra parte l'atteggiamento
di Freud ha condotto molti autori all'estremo opposto, cioè quello di tra­
scurare l'importanza di Breuer.
Un'altra complicazione è rappresentata dal fatto che, per quanto grandi
siano stati i contributi che Breuer poté portare alla teoria dell'isterismo,
escluso quello riguardante il caso di Anna O. essi costituivano già in gran
parte un terreno comune ad entrambi, dato che consistevano in fondo nei
principi fisiologici che sia Breuer che Freud avevano assorbito e condiviso
nell'istituto di Briicke. Quando essi discussero insieme l'applicazione di
tali principi ai problemi dell'isterismo, ciascuno di loro suggerl qualcosa,
e oggi non è sempre possibile dire da chi dei due sia partita una deter­
minata idea. Si possono comunque distinguere alcuni precisi contributi do­
vuti a Breuer, che a tempo debito verranno indicati.
Si può comunque affermare .fin da ora che sul piano personale Breuer
svolse un ruolo di notevole importanza per Freud, perché in quel momento
critico gli forni l'incoraggiamento necessario. Il suo contributo intellettuale
fu invece meno importante.
Il dr. Josef Breuer (1842-1925), il cui nome deve la sua larga noto­
rietà all'amicizia con Freud, era non soltanto un noto medico di Vienna,
come talvolta viene descritto, ma anche un uomo di scienza di considere­
vole levatura. Freud lo dipinge come «un uomo dotato di qualità preziose
e universali, e di interessi che oltrepassavano largamente la sua attività
professionale». Da giovane Breuer aveva portato a termine, sotto la dire­
zione di Ewald Hering, alcuni notevoli lavori sulla fisiologia della respi­
razione, giungendo alla scoperta del controllo automatico del nervo vago.
(Tra parentesi, Hering, il famoso fisiologo che viene oggi ricordato soprat­
tutto per aver proposto un'alternativa alla teoria tricromatica della visione
colorata di Young-Helmholtz, aveva invitato Freud a raggiungerlo a Praga
come suo assistente. 1 Ciò deve essere avvenuto quando Freud lavorava
ancora all'Istituto di Fisiologia, ed è probabile che Breuer avesse avuto
una certa parte in questo invito.) Le successive ricerche di Breuer sulla
funzione dei canali semicircolari portarono un solido contributo alle cono­
scenze scientifiche sull'argomento. Egli divenne Privatdozent a Vienna nel
1868, ma nel 1871 si ritirò in pratica privata, rifiutando l'offerta di Bill­
n periodo di Breuer (1882-1894) 277

roth, che voleva proporlo per una cattedra. 2 Nel maggio 1894 fu nomi­
nato Membro Corrispondente dell' Accademia Viennese delle Scienze, su
proposta di Sigmund Exner, Hering e Ernst Mach, tutti uomini di fama
internazionale. 8
Breuer era un fedele seguace della scuola di Helmholtz, di cui abbiamo
già parlato. Gli autori che stimava di più erano Goethe e Fechner. Egli
era uno dei medici viennesi più stimati, nonché medico di famiglia di
Briicke, Exner, Bi11roth, Chrobak, e di altri dello stesso calibro.
Freud e Breuer si conobbero all'Istituto di Fisiologia, poco prima del
1880, e scoprendosi gli stessi interessi e punti di vista, divennero presto
amici. ~(Egli divenne il mio amico e soccorritore nelle difficili circostanze
in cui mi trovavo» scrive Freud. «Prendemmo l'abitudine di dibattere fra
di noi tutti i nostri interessi scientifici, ed in questo rapporto chi ci guada­
gnava ero naturalmente io.»· La signora Bernays racconta che Breuer era
solito far visita a Freud in casa dei genitori di lui per discutere argomenti
scientifici, e per quanto inverosimile, può darsi che sia vero. Nelle lettere
a Martha del 1884, Freud parlava di Breuer in termini entusiastici, chia­
mandolo «il fedelissimo Breuer», ed è certo che in quegli anni egli fu,
sia con lui che con sua moglie, che ammirava in modo particolare, nei
termini della più intima amicizia. Anche in seguito le famiglie di Freud e
di Breuer restarono molto amiche, e la figlia maggiore di Freqd fu chia-­
mata -con il nome della moglie di Breuer e la minore con quello di una
sorella del genero di lui, che tra l'altro era un'affezionata paziente di
Freud. 1i Gli Hammerschlag e i Breuer, che abitavano nello stesso caseg­
giato, erano amici intimi, e il figlio dell'uno sposò la figlia dell'altro.
Dal dicembre 1880 al giugno 1882 Breuer curò quello che è stato rico­
nosciuto come un tipico caso di isterismo, cioè la signorina Anna 0. 6 Si
trattava di una ragazza di ventun anni, di intelligenza fuori del comune,
che aveva presentato tutto un museo di sintomi in coincidenza con la ma­
lattia mortale di suo padre. Tra l'altro essa aveva la paralisi di tre arti con
contratture e anestesia, disturbi gravi e complessi della vista e del linguag­
gio, impossibilità di nutrirsi, ed una tosse nervosa fastidiosissima che fu il
motivo per cui Breuer venne consultato. Ancora più interessante era però
l'esistenza di due stati di coscienza distinti: uno del tutto normale, l'altro
invece di una bambina cattiva e petulante, quasi come nel famoso caso di
Sally Beauchamp, di Morton Prince. Si trattava di un caso di doppia per­
sonalità. Il passaggio dall'una all'altra era marcato da una fase di autoipnosi,
VitQ e opere di Freud

dal quale poi si risvegliava lucida e psichicamente normale. Per caso questa
fase si verificò proprio il giorno della visita di Breuer, al quale la ragazza
cominciò a raccontare gli spiacevoli fenomeni che le erano accaduti durante
il giorno, ivi comprese allucinazioni terrificanti. Dopo averlo fatto, essa si
sentiva sollevata. Un bel giorno la paziente riferl a Breuer in tutti i
particolari la comparsa di un sintomo, e, con grande stupore di Breuer,
il sintomo si eclissò completamente. Rendendosi conto dell' efficacia di una
tale condotta, la paziente continuò con un sintomo dopo l'altro, chiamando
questo procedimento «cura della conversazione» o «spazzacamino». Tra
l'altro in quel periodo essa poteva parlare solo in inglese, avendo dimen­
ticato il tedesco, sua lingua materna, e se le si chiedeva di leggere ad
alta voce un libro italiano o francese, essa lo faceva in un inglese dolce
e fluente.
Dopo un po' di tempo, oltre a queste visite serali, Breuer cominciò a
praticare ogni mattina un'ipnosi artificiale ad Anna O., poiché la quantità
del materiale si andava facendo imponente. A quei tempi, dedicare varie
ore al giorno per oltre un anno ad un'unica paziente, per di più isterica,
significava possedere doti eccezionali di pazienza, di interesse e di osser­
vazione. L'arsenale psicoterapeutico si arricchi tuttavia di questo metodo,
che va sotto il nome di «catarsi» datogli da Breuer, e che è tuttora larga­
mente usato.
Freud mi ha raccontato, più estesamente di quanto abbia fatto nei suoi
scritti, le circostanze particolari che segnarono la fine di questo nuovo
trattamento. Sembra che Breuer abbia sviluppato per la sua paziente ciò
che oggi chiameremo un forte tontro-transfert. Egli era cosi assorbito da
questo caso, che sua moglie si seccò di non sentir parlare d'altro e in
poche parole s'ingelosi: pur senza mostrarlo apertamente, essa si era fatta
triste e imbronciata. Ci volle parecchio tempo prima che Breuer, che era
altrove con i suoi pensieri, indovinasse il motivo dello stato d'animo della
moglie, ma comunque esso determinò in lui una violenta reazione, mista
probabilmente di amore e di colpa, e gli fece decidere di troncare la cura.
Ne avverti Anna O., che stava già molto meglio, e si accomiatò da lei,
ma fu chiamato di nuovo la sera stessa, e la trovò in uno stato di grande
eccitamento, apparentemente più malata che mai. La paziente, che a stare
alle parole di Breuer era sempre apparsa come un essere asessuato e non
aveva mai fatto allusione ad argomenti proibiti per tutta la durata del
trattamento, era ora in preda alle doglie di un parto isterico, logica con­
Il periodo di Breuer (1882-1894) 279

clusione di una gravidanza immaginaria7 che si era andata svolgendo in


modo inapparente in risposta agli interventi di Breuer. Sebbene profonda­
mente scosso, questi tentò di calmare la paziente ipnotizzandola, e lasciò
quella casa in un bagno di sudor freddo. Il giorno dopo partl con la
moglie diretto a Venezia per una seconda luna di miele, che ebbe come
risultato la nascita di una figlia. Quest'ultima, nata in circostanze cos1
strane, si suicidò a New York circa 60 anni dopo.
La conferma di questa versione si può trovare in una lettera che Freud
scrisse a Martha in quel periodo, facendole in sostanza lo stesso racconto. 8
Martha si identificò subito con la moglie di Breuer e disse di sperare che
non le succedesse altrettanto. Freud le rimproverò la vanità che dimostrava
nel supporre che le altre donne si sarebbero innamorate di un marito come
il suo: «Perché questo accada è necessario essere un Breuer.»9
La povera malata non andò così bene come si potrebbe pensare in base
alla relazione che Breuer ne pubblicò. Vi furono varie ricadute, e fu rico­
verata in un istituto a Gross Enzersdorf. Un anno dopo l'interruzione della
cura, Breuer confidò a Freud che essa era del tutto sconquassata, e aggiunse
che avrebbe voluto saperla morta purché fosse liberata dalle sue sofferenze. lo
Invece la malata migliorò, ma si dette alla morfina. Pochi anni dopo Martha
raccontò che Anna O., che era per caso una sua vecchia amica e divenne
in seguito anche sua parente acquisita, le fece visita più di una volta.
Durante il giorno essa stava perfettamente, ma appena cadeva la sera
soffriva ancora dei suoi stati allucinatori. l l
La signorina Bertha (Anna O.) era non solo intelligentissima, ma estre­
mamente attraente sia nell'aspetto fisico che nella personalità. Appena arrivò
in clinica, lo psichiatra che la curava se ne innamorò, ma la madre di lei,
che era una specie di dragone, arrivò da Francoforte e ve la riportò in
salvo poco prima del 1890. Bertha, che era nata e cresciuta a Vienna,
conservò la grazia, il fascino e lo spirito viennesi. Alcuni anni prima di
morire compilò cinque necrologi umoristici di se stessa per i vari periodici.
Sulla trentina però si era fatta più seria ed era diventata la prima assistente
sociale della Germania, e una delle prime del mondo. Fondò una rivista e
diversi istituti di preparazione per gli studenti, ma gran parte della sua
vita fu dedicata alla causa della donna, alla sua emancipazione, ed ai bam­
bini. Tra le attività di Anna O. vi furono varie missioni in Russia, Polonia
e Romania, per adottare i bambini orfani dei genitori morti nei pogrom.
Non si sposò mai e fu sempre molto devota.u
2.80 Vita e opere di Freud

Grca dieci anni dopo, nel periodo in cui Breuer e Freud studiavano
insieme i casi clinici, Breuer chiamò Freud a consulto per una paziente iste.
rica. Prima di mostrargliela gliene descrisse in sintomi, e Freud notò che
essi erano tipici prodotti di una fantasia di gravidanza. La ricomparsa del­
l'antica situazione era troppo per Breuer, che, senza una parola, afferrò
cappello e bastone e si precipitò fuori della casa. .
Freud fu molto attratto dal famoso caso di Anna O., di cui venne a
conoscenza poco dopo la sua conclusione avvenuta nel giugno 1882: per
essere esatti, il 18 novembre. la Esso usciva talmente dalla sua esperienza
che gli fece una profonda impressione, e ne discusse i dettagli con Breuer
infinite volte. Quando andò a Parigi ed ebbe occasione di parlare a Charcot,
gli raccontò dell'importante scoperta, ma (come ebbe a dire anche a me)
«i pensieri di Charcot sembravano altrove», ed egli non riuscl minimamente
a risvegliare il suo interesse. Per un certo tempo questo sembrò anzi aver
offuscato il suo entusiasmo per la scoperta.
Come abbiamo già detto, l'insegnamento di Charcot ebbe su Freud la
maggiore influenza a proposito delle idee rivoluzionarie sull'isterismo, ar­
gomento che senza dubbio a quel tempo interessava Charcot più di ogni
altro. In primo luogo era già sensazionale che un neurologo cos1 eminente
se ne occupasse. Prima d'allora, infatti, l'isterismo era considerato o una
manifestazione simulatoria o al massimo «immaginativa» (ciò che sem­
brava proprio lo stesso) con cui nessun medico rispettabile avrebbe perso
tempo, oppure un particolare disturbo uterino passibile di essere trattato
(e talvolta lo era) con l'ablazione del clitoride. L'utero sbarazzino poteva
essere rimesso in carreggiata anche dalla valeriana, di cui aborriva l'odore.
Ora, grazie a Charcot, l'isterismo diventava, quasi da un giorno all'altro,
una rispettabilissima malattia del sistema nervoso, dovuta, è vero, alla dege­
nerazione congenita del cervello, ma che tuttavia poteva essere oggetto di
seri studi. Per usare un' espressione moderna, Charcot aveva messo l'iste­
rismo sul tappeto.
Nel suo necrologio di Charcot, sette anni dopo, Freud gli dette ampio
riconoscimento per questa conquista, anche se esagerò indubbiamente nel
paragonarlo a Pinel, che un secolo prima, sempre alla Salpetrière, aveva
liberato i pazzi dalle catene. Comunque l'insegnamento di Charcot riuscì
indubbiamente a sanzionare nei circoli medici francesi - e, quel che più
conta, nello stesso Freud - un atteggiamento più scientifico verso l'iste­
rismo. Nel resto del continente questo effetto fu molto scarso, e addirittura
Il periodo di Breuer (188z-1894)

negativo nei paesi anglosassoni. In questi ultimi anzi il carattere teatrale


delle dimostrazioni di Charcot, la sua fede mal riposta nei risultati della
metalloterapia, e in seguito il sospetto che molti dei complessi stadi da
lui descritti negli attacchi isterici nel corso dell'ipnosi fossero artefatti do­
wti al dressage della suggestibilità, portarono alla scettica conclusione che
Charcot stava diventando senile, o, in altre parole, che si stava assistendo
all' ennesimo esempio del grand'uomo che ha preso una cantonata. Cosi
gli uomini di scienza continuarono ad evitare le psiconeurosi con la stessa
cura che ostentano oggi nei riguardi dell' «indagine psichica» .
Eppure molto di ciò che Charcot aveva dimostrato non poté essere
cancellato, e costitui uno stabile progresso delle conoscenze. A lui dob­
biamo lo studio sistematico e completo delle manifestazioni isteriche, che
ha reso più precisa la diagnosi ed ha mostrato che molte affezioni diversa­
mente etichettate erano in realtà di natura isterica. Charcot sottolineò
pure l'esistenza della malattia nel sesso maschile, cosa che non poteva più
stupire trattandosi ormai di una malattia classificata tra quelle del sistema
nervoso. Il sUQ contributo sull'isterismo traumatico ha assunto notevole im­
portanza in medicina legale. Il suo maggior merito però è stato quello di
aver dimostrato che in soggetti adatti si potevano determinare, per mezzo
dell'ipnosi, sintomi isterici come paralisi, tremori, anestesie, ecc., identici
fin nei minimi particolari a quelli dell'isterismo spontaneo di altri suoi
pazienti, e corrispondenti a quelli estesamente descritti nel Medioevo come
manifestazioni di possessione demoniaca.
Tutto ciò significava che, qualunque fosse l'ignota base neurologica del­
l'isterismo, i sintomi in sé potevano essere trattati e fatti scomparire esclu­
sivamente per mezzo d'idee. Insomma essi avevano un'origine psicogena,
e sul piano medico questo apriva giustificatamente la strada all'esplorazione
della psicologia dei malati, con tutti i successivi risultati che l'ultimo mezzo
secolo ha dimostrato. Tutto ciò inoltre poneva la psicologia su un piano
completamente diverso da quello accademico precedente, e rendeva possi­
bili quelle scoperte riguardanti i più profondi strati della psiche, che
altrimenti non sarebbero mai state fatte.
Freud tornò quindi a Vienna ansioso di divulgare tutte queste rivela­
zioni. Breuer e Charcot fungevano ora per lui da adeguati sostituti di
Briicke, che era ormai defunto. Eppure il suo cammino si sarebbe rivelato
meno liscio di quanto egli avesse sperato sull' ala dell' entusiasmo. Fini di
pubblicare il lavoro sul bulbo, di cui abbiamo già parlato, ma nei suc­
Vita e opere di Freud

cessivl cInque anni, dal 1886 al 1891, non pubblicò nessun'altra ricerca,
tranne due di poca importanza.
Egli attribul in seguito questo fatto alla preoccupazione che gli dava la
pratica privata e alla necessità di provvedere materialmente non solo alla
sua famiglia in rapido aumento, ma anche ai numerosi parenti. Come spie­
gazione potrebbe essere senza dubbio sufficiente, eppure non è difficile
scorgere l'esistenza anche di altri fattori. Tanto per cominciare egli si era
imbarcato nella traduzione di quattro grossi volumi, due di Charcot e due
di Bernheim, e non contentandosi di tradurli, aggiunse a due di essi una
grossa prefazione. Il primo era le N eue V orlesungen di Charcot, H un vo­
lume di 357 pagine uscito nel 1886, la cui prefazione era stata scritta
nel luglio precedente, e l'altro, un grosso volume di 414 pagine uscito
nell'anno seguente, era il primo dei libri di Bernheim. 15 Quindi, dopo un
intervallo di circa quattro anni, uscirono quasi contemporaneamente altre
due opere: una era il secondo libro di Bernheim: Hypnotismus, Suggestion
und Psychotherapie (380 pagine), al quale Freud non aggiunse alcuna pre­
fazione, ma che segnò lo spostamento del suo interesse dalla terapia sugge­
stiva ai più profondi problemi di psicopatologia che frattanto aveva comin­
ciato a studiare. L'altro libro erano le famose Lefons du Mardi di Charcot,
tenute nell'anno 1887-1888 e pubblicate a fascicoli negli anni 1892-1894
con il titolo di Poliklinische Vortrage (<<Lezioni cliniche»): 492 pagine di
fitta stampa. Freud non si limitò a tradurle, ma le commentò, scrivendo la
prefazione e aggiungendo 62 note che aggiornavano le citazioni biblio­
grafiche e riportavano molte opinioni personali del traduttore, talvolta di
carattere critico nei riguardi di Charcot. Alcune di queste note sono di
grande interesse, in quanto adombrano le prime idee di Freud in campo
psicopatologico, tuttavia egli seppe in seguito che Charcot se ne era di­
spiaciuto e aveva considerato il suo gesto come arbitrario, non essendogli
stato chiesto alcun permesso da parte del traduttore. le
Oltre a ciò, senza contare la pubblicazione dei due lavori di cui s'è
detto, Freud scrisse in quel periodo due importanti libri comparsi nel 1891,17
che costituiscono due fondamentali contributi di neurologia clinica e che
devono aver richiesto un enorme lavoro. Perciò le sue implicite scuse per
non aver prodotto in quegli anni nessun lavoro scientifico sono assoluta­
mente infondate: furono invece anni tutt'altro che oziosi.
Per di più Freud sentiva la necessità di acquisire un'esperienza personale
di malati nevrotici, prima di potersi permettere di dire qualcosa di nuovo
Il periodo di Breuer (1882-1894)

su di loro. Materiale ce n'era in abbondanza giacché, come tutti i neuro­


logi, Freud si accorse che la sua pratica avrebbe compreso un gran numero
di psiconeurotici, convinti che gli «specialisti dei nervi» curassero «i nervi»
né più né meno come curavano le malattie al midollo spinale. Però a dif­
ferenza della maggior parte dei neurologi, che considerano questo stato
di cose come un aspetto negativo e umiliante, data la loro totale ignoranza
in materia, egli la considerò come una opportunità di esplorare un campo
nuovo e promettente.
L'effetto inibitorio procuratogli dall' accoglienza ricevuta al suo ritorno
a Vienna fu però più importante di tutte queste considerazioni. Mentre
nella sua autobiografia Freud dice che aveva obbligo di riferire alla Società
di Medicina le sue esperienze all'estero,18 il dottor Bernfeld ha recente­
mente riesumato una copia della domanda della borsa di studio fatta da
Freud, che dimostra come la sua convinzione circa l'obbligo della relazione
fosse erronea. 19 In ogni modo sembra che Freud dovesse compilare ciò
che egli chiamava «un resoconto di viaggio» forse per il Ministero, e
infatti impiegò circa dieci giorni a prepararlo, terminandolo il 22 aprile.
Le relazioni da tenersi nelle riunioni mediche erano una cosa diversa, e
senza dubbio Freud fu spronato dall'entusiasmo giovanile, che spinge ad
annunciare grandi notizie. Egli aveva da raccontare tante cose, nuove e
interessanti; preparò quindi un lavoro sull'ipnosi che lesse 1'11 maggio alla
Società di Fisiologia, e il 27 maggio alla- Società di Psichiatria, senza che
ciò naturalmente migliorasse molto i suoi rapporti con Meynert, per il
quale l'ipnosi era una bestemmia. Si proponeva anche di leggere il suo
«resoconto di viaggio» all' Associazione Medica il 4 giugno, ma il pro­
gramma era cos1 pieno che la lettura fu rimandata all'autunno successivo.
Il 15 ottobre 1886 lesse alla Società, presieduta da Von Bamberger, la
sua comunicazione sull'isterismo maschile. Fu proprio questa l'occasione cui
Freud si riferiva parlando «dell'obbligo di riferire alla Società», e che gli
procurò tanta amarezza. Si trattava di una delle solite riunioni settimanali,
e la relazione di Freud era la seconda. Egli cominciò col riassumere la
ciassificazione di Charcot dei sintomi isterici: le crisi in quattro fasi, i
tipici disturbi visivi, sensitivi e motori e le zone isterogene. Ciò rendeva
possibile riconoscere molti casi spuri che si allontanavano più o meno dal
tipo classico. D'altra parte l'identificazione di un certo numero di segni
positivi modificava il precedente concetto che l'isterismo fosse un vago
desiderio di darsi ammalati. Secondo Charcot non c'era alcun rapporto tra
Vita e opere di Freud

la malattia e gli organi genitali, e nessuna differenza delle manifestazioni


fra maschi e femmine. Freud esponeva quindi il caso di un uomo, da lui
osservato alla Salpetrière, affetto da isterismo traumatico, consecutivo a
caduta da un'impalcatura. Infine ricordava l'ipotesi di Charcot secondo la
quale certi casi postraumatici (la cosiddetta «railway spine») potessero es­
sere di natura isterica. Quest'ultimo concetto, di marca americana, veniva
contestato in Germania, e a parte il fatto che esso non rientrava nel tema
della comunicazione, non era certo diplomatico l'averlo menzionato, perché
i neurologi vantavano un particolare interesse per i traumi del sistema ner­
voso, data la loro importanza medico-legale.
Il neurologo Rosenthal aprl la discussione osservando che l'isterismo ma­
schile, sebbene relativamente raro, era ben noto, e descrisse due casi da lui
osservati venti anni prima. Il trauma psichico determinava spesso, per traumi
anche lievi, sintomi isterici che egli considerava di origine corticale. Meynert
ricordò alcuni casi di crisi epilettiche postraumatiche definendole epilettoidi,
e aggiunse, piuttosto ironicamente, che sarebbe stato interessante che il dr.
Freud fosse andato nella sua clinica a dimostrare su tali malati la sinto­
matologia appresa da Charcot. Bamberger disse che, malgrado la sua am­
mirazione per Charcot, in ciò che avevano ascoltato da Freud non vi era
nien,te di nuovo per i medici viennesi: l'isterismo maschile era ben noto
ed egli ne metteva in dubbio l'origine traumatica. Leidesdorf si disse certo
del fatto che in molti casi da incidente ferroviario vi fosse un interessa­
mento organico del sistema nervoso centrale; c'erano pazienti che dopo lievi
traumi soffrivano di irritabilità e d'insonnia, ma tali sintomi erano dovuti
più allo shock che all'isterismo.
Nel riferirsi a questa riunione, che sembra averlo profondamente scosso,
Freud parlò di «cattiva accoglienza» e accennò spesso all'amarezza che
gliene era derivata. (Dalle sue osservazioni si sarebbe anzi potuto pensare
che egli volesse astenersi per sempre dalle riunioni mediche, cosa che invece
fu lungi dal fare.) Il resoconto della discussione non fa risaltare tutto ciò,
sebbene naturalmente esso non possa rendere la freddezza dell'accoglienza.
In realtà non sembra che l'accoglienza in sé abbia avuto niente di ecce­
zionale: fu esattamente quanto ci si sarebbe potuto aspettare in quelle
circostanze, e sarebbe stata uguale in molti altri circoli del genere. Quando
un giovane entusiasta, forse anche troppo, se ne viene fuori a dichiarare
ai colleghi più anziani di lui (e in gran parte suoi vecchi maestri) che essi
hanno molto da imparare e che egli è Il apposta per illuminarli, non si può
Il periodo di Breuer (J88Z- J894)

non attendersi una risposta difensiva che di solito consiste nel minimizzare
la novità dell'argomento esposto e nello scoraggiare l'entusiasmo dell'autore.
Un commento critico dell'episodio ci porterebbe a sottolineare l'ingenuità
del giovane mentore e forse la sua mancanza d'intuito, cosi come, ovvia­
mente, la mancanza d'immaginazione da parte degli anziani ascoltatori.
Meynert, abbastanza lealmente, sfidò Freud a provare le sue affermazioni
mediante la dimostrazione di un caso d'isterismo maschile con i tipici
sintomi di Charcot,20 ma, sebbene Freud avesse trovato alcuni casi adatti
allo scopo nell'Ospedale Generale, i medici dei vari reparti gli rifiutarono
un simile impiego dei loro malati. Uno dei chirurghi arrivò persino a met­
tere in dubbio la sua cultura classica, chiedendogli se non sapeva che la
parola «isterismo» derivava dal greco Hysteron (sic), cioè utero, e che
perciò escludeva per definizione il sesso maschile. Tuttavia non passò
molto che Freud, grazie all'aiuto di un giovane otorinolaringoiatra, il dr.
von Berengszaszy, riuscl a trovare altrove un malato del genere. Nella sua
autobiografia egli scrive: «Alla fine m'imbattei in un caso adatto, fuori
dell'ospedale.»21 Le parole «alla fine» traducono tutta la sua impazienza
e indignazione, perché in realtà passò solo una settimana prima che il pa­
ziente arrivasse a lui, e Konigstein ne fece un accurato esame oftalmologico
il 24 ottobre, nove giorni dopo la riunione. Si trattava di un operaio metal­
lurgico di 29 anni che dopo una lite con suo fratello aveva presentato una
classica emianestesia, con tipici disturbi della vista e del riconoscimento dei
colori. Il 26 novembre 1886 il caso fu presentato alla Società di Medicina,
presieduta da Exner, e 1'11 dicembre Konigstein riferl sui sintomi oculari.
Questa volta ci furono applausi, ma il numero delle comunicazioni era tale
che non restò tempo per la discussione. La «Wiener Medizinische Wochen­
schrift» definl il lavoro «molto interessante». Freud pubblicò il caso su
quella rivista insieme alla relazione di Konigstein il 4 22 e l' 1123 dicembre
1886, intitolandolo Osse,rvazione di una profonda emianestesia in un iste­
rico e facendolo precedere dalla seguente ottimistica intestazione: Cqntri­
buti allo studio clinico dell'isterismo. N. 1». Il lavoro restò comunque
il primo e l'ultimo di questa serie, probabilmente a causa dello scoraggia­
mento di Freud per l'accoglienza subita.
Quasi quarant'anni dopo, riferendosi a quell'episodio, Freud esternava
ancora una certa amarezza: «Quella volta mi applaudirono, ma senza con­
cedermi un interesse maggiore dell'altra. L'impressione che le autorità
avessero respinto le mie novità non ne fu modificata e, con il mio iste­
386 Vita e opere di Freud

rismo maschile e la mia produzione di paralisi isteriche per suggestione


mi trovai relegato all' opposizione. Essendo stato escluso subito dopo dal
laboratorio di anatomia del cervello e non sapendo dove tenere le mie
lezioni per tutta una sessione, mi staccai dalla vita accademica e cessai di
partecipare alle riunioni scientifiche. :e passata un'intera generazione dal­
l'ultima volta che ho partecipato alla Gesellschaft der Aerzte.»24
Il riverbero delle emozioni di quarant'anni prima spinse Freud ad espri­
mersi in modo ambiguo, in quanto dal passo precedente si potrebbe dedurre
che egli si astenne di colpo dal partecipare a qualunque riunione medica.
Ci risulta invece che egli partecipò alla Gesellschaft der Aerzte il 13 maggio
1887, il 21 ottobre 1887 e il 3 febbraio 1888,25 e può darsi che lo abbia
fatto anche altre volte. Se per una «generazione» intendiamo un periodo
di trent'anni, arriviamo invece al 1895. In altre società di medicina egli
parlò invece di relazioni lette fin verso il 1904'26 e le sue lezioni universi­
tarie continuarono, con poche interruzioni, fino al 1917.
Abbiamo dunque visto che Freud provò un'amara delusione proprio al­
!'inizio dei suoi sforzi di fare accettare nuove idee ai conservatori più an­
ziani di lui. Una reazione tanto intensa e immediata potrebbe significare una
grande ansia di successo e di lodi, un atteggiamento troppo animoso verso
i suoi vecchi maestri e forse un'eccessiva suscettibilità per ogni critica o
mancanza di successo.
Il conffitto con Meynert non accennava a finire. Nel 1889 Meynert pub­
blicò nella «Wiener klinische Wochenschrift», in opposizione alla teoria di
Charcot dell'autosuggestione come causa delle paralisi isteriche, una spie­
gazione anatomica 27 che Freud, in una nota a «Poliklinische Vortrage»
stigmatizzò duramente come «del tutto inadeguata». 28 Per Meynert l'errore
di Charcot consisteva nel fatto che la sua ipotesi non teneva conto di un
piccolo ramo della carotide interna, l'arteria coroidea. :e chiaro che buona
parte dell'avversione di Meynert per Freud era dovuta all'attaccamento di
quest'ultimo a Charcot. Meynert sghignazzava del «piacere di erudirlo»
manifestatogli da Freud, e aggiungeva: «Trovo la sua difesa della terapia
suggestiva tanto più notevole in quanto egli è partito da Vienna (per Pa­
rigi) con una completa preparazione fisiologica.»'29 Evidentemente sentiva
che Charcot aveva conquistato Freud passando per il cammino angusto e
difficile della scienza pura.
Prima di abbandonare definitivamente il periodo di Charcot dobbiamo
però ricordare uno strascico che esso ebbe. Si trattava di fare uno studio
Il periodo di Breuer (1882-1894)

comparativo tra paralisi isteriche e paralisi organiche, allo scopo di accer­


tare se le loro differenti origini (psichica in un caso, fisica nell'altro) de­
terminassero differenze nella natura delle paralisi stesse. Freud fece lezione
su questo argomento nel suo corso del 1887,30 scrisse un primo abbozzo di
lavoro nel maggio 188831 e lo fini verso agosto,32 ma per qualche strano
motivo non lo pubblicò per altri cinque anni. Era scritto in francese e
comparve sugli «Archives de Neurologie», quasi insieme allo studio fatto
in collaborazione con Breuer, circa sette anni dopo la partenza di Freud
da Parigi. Freud vi chiariva le tre differenze fondamentali fra i due tipi
di paralisi, ora universalmente accettate: 1. Una paralisi isterica può essere
completa in una parte del corpo, per esempio nel braccio, senza che altre
parti siano colpite. Una paralisi cerebrale grave, invece, ha sempre un'estesa
distribuzione. 2. Nell'isterismo i disturbi della sensibilità, specie l'anestesia,
sono più pronunciati di quelli motori (per esempio la paralisi), mentre nelle
paralisi cerebrali accade !'inverso. 3. Il fatto più importante è che la distri­
buzione delle paralisi cerebrali si spiega con i dati dell' anatomia, mentre
l'isterismo, come Freud metteva bene in evidenza, si comporta come se l'a­
natomia del cervello non esistesse: la sua distribuzione è puramente ideativa.
Si trattava di uno studio brillante, che ha dato un solido contributo alle
nostre conoscenze. Nell'anno in cui Charcot morl, Freud, in una nota della
sua traduzione delle lezioni del clinico francese, gli riconobbe la paternità
dell'idea del lavoro con queste parole: «Al momento di lasciare la Salpe­
trière, Charcot mi suggerl di fare uno studio comparativo delle paralisi or­
ganiche e di quelle isteriche.»8s Nell'Autobiografia, quasi quarant'anni
dopo, dette invece una versione un po' diversa. «Prima di lasciare Parigi
discussi con Charcot il progetto per uno studio comparativo delle paralisi
organiche e di quelle isteriche. lo volevo sostenere la tesi che nell'isterismo
le paralisi e le anestesie delle varie parti del corpo sono delimitate secondo
la credenza popolare dei loro confini e non secondo i dati dell'anatomia.
Egli era d'accordo, ma si vedeva chiaramente che in realtà non aveva alcun
interesse ad approfondire maggiormente la psicologia delle nevrosi.»34
Vi sono altri elementi per ritenere che la seconda versione, meno modesta,
è più vicina alla verità e che in realtà le idee erano proprio di Freud. In
una lettera del 21 febbraio 1886 egli scrisse: «Sto portando a passeggio
una lettera che ho scritto a Charcot esponendogli due idee, di cui almeno
una mi sembra molto importante. Però spedendo una lettera del genere so
di correre un bel rischio, perché Charcot non gradisce la gente che se ne
~88 Vita e opere di Freud

viene fuori con idee intelligenti. Dopo aver esitato un bel po' ho deciso
di consegnargliela domani. Non voglio comportarmi da codardo, e dopo
tutto il mio amico russo (Darkschewitsch) apprezza entrambe le idee. Ep­
pure scommetto che me ne pentirò.» Freud sapeva che le sue idee precor­
revano Charcot. Le cose però andarono bene. Nella lettera successiva,
quattro giorni dopo, egli espresse la sua gioia perché Charcot gli aveva
detto che le idee non erano poi tanto male, e che, pur non condividendole,
non vi si sarebbe opposto e anzi valeva la pena di lavorarci su. Egli aveva
anche promesso a Freud di pubblicare un lavoro del genere sugli «Archives
de Neurologie», come effettivamente fece appena quindici giorni prima di
monre.
Due anni dopo la comparsa del lavoro di Freud su quella rivista, ne
apparve uno di C. S. Freund, di Breslavia, allievo di Wernicke, sul «Neuro­
logisches Centralblatt» (Sulle paralisi psichiche).s5 Non era che un plagio
diretto del lavoro di Freud, senza alcun riconoscimento nei suoi riguardi.
Apparentemente egli non se ne curò,S8 ma fu colpito dalla seconda· metà
del lavoro di Freund, che riportava in riassunto il «principio di costanza»
da un recente libro di Heinrich Sachs. Freud restò per molti anni su
questo argomento, ed era deciso a farne la base della sua nuova psicologia.
Quando scrisse nell'Autobiografia che al suo ritorno da Parigi Meynert
lo aveva escluso dal suo laboratorio, Freud anticipò l'episodio, che in realtà
può essere accaduto solo sei mesi dopo, al suo ritorno dalla luna di miele.
Invece al suo ritorno da Parigi Meynert lo festeggiò calorosamente e lo
invitò a lavorare nel suo laboratorio con tutti gli allievi che volesse, S7 tanto
che Freud ne approfittò per quell'estate. s8 I rapporti con Meynert si fecero
sempre più tesi dopo la conferenza di Freud sull'ipnosi in maggio e il suo
lavoro su Charcot in ottobre, però non sappiamo se il suo ostracismo fu
improvviso o graduale. La seconda ipotesi sembra più probabile, e anzi
Freud racconta di una visita fatta a Meynert in occasione dell'ultima ma­
lattia del maestro. Inoltre anche se Freud diceva di non aver saputo dove
tenere le sue lezioni per un anno intero, riferendosi solo alle dimostrazioni
cliniche, questa difficoltà non poteva essere ascritta a Meynert, perché a
quell'epoca i suoi due assistenti avevano già avuto una discussione con
Freud a proposito del materiale clinico. In realtà nell'autunno di quello
stesso anno Freud fece lezione, anche se solo di anatomia, e il suo corso
fu abbastanza seguito. 89
Nell'estate del 1886 la sua vita si limitò al lavoro nell'istituto di Kas­
Il periodo di Breuer (1882- J894)

sowitz - tre volte la settimana -, alle traduzioni e recensioni di libri, e alla


pratica privata. Quest'ultima consisteva soprattutto in pazienti nevrotici,
perciò la questione della terapia si presentò con un'urgenza che è facile
immaginare. Freud fece i primi tentativi con l'elettroterapia classica, de­
scritta nel trattato di Erb. 40 Sembra strano che egli si sia inchinato in tal
modo all'autorità quando già era entrato in contatto con il più promettente
metodo di Breuer: deve essere stato certamente l'atteggiamento sprezzante
di Charcot a farglielo mettere da parte. n Quella fase, però, non durò a
lungo. «Purtroppo mi resi subito conto che seguire quelle istruzioni non
serviva a niente, e che ciò che avevo preso per una somma di precise
osservazioni era solo frutto di fantasia. La scoperta che l'opera del più
grande neuropatologo di Germania non aveva più rapporti con la realtà
di quei libri dei sogni "egiziani" che si vendono sulle bancarelle fu pe­
nosa, ma servi a sbarazzarmi di un altro rimasuglio dell'ingenua fede nel­
l'autorità, dalla quale non mi ero ancora liberato.»4'2 In un altro punto
Freud notò argutamente che la sola ragione per cui non poteva essere
d'accordo con Moebius nell'attribuire i risultati dell'elettroterapia alla sug­
gestione, era il fatto che di risultati da spiegare non ne aveva osservati per
nulla. 4a ­
Ciononostante, egli insisté per venti mesi con l'elettroterapia associata a
diversi coadiuvanti, come bagni e massaggi, ed è sicuro che continuò ad
usare questi ultimi mezzi fino a poco dopo il 1890. Fu nel dicembre 1887
che si rivolse alla suggestione ipnotica,44 alla quale restò fedele per i suc­
cessivi diciotto mesi. Essa gli valse spesso successi lusinghieri, e la sensa­
zione d'importanza fu sostituita dalla soddisfazione di essere ammirato
come un mago. Da studente Freud aveva assistito a una pubblica esibi­
zione del magnetizzatore Hansen, e osservando che una persona ipnotizzata
era stata resa mortalmente pallida, si era convinto della genuinità dei fe­
nomeni ipnotici. Prima di andare a Parigi aveva visto l'impiego terapeutico
dell'ipnosi, e forse l'aveva egli stesso tentato nella clinica privata di
Obersteiner, dove passò qualche settimana nell'estate del 1885. 45 Succes­
sivamente ne aveva fatto ampia esperienza nella clinica di Charcot. Egli
la usò occasionalmente fin dall'inizio della sua pratica privata, tanto che ri­
cordava di aver curato con l'ipnosi un paziente italiano che veniva colto
da un attacco di convulsioni ogni volta che udiva la parola Apfel (mela)."
In Germania Moebius e Heidenhain prendevano sul serio l'ipnosi, ma la
maggior parte dei medici e degli psichiatri la consideravano ancora una

lO - I
Vita e opere di Freud

ciarlataneria o anche peggio. Le denunce erano frequenti e non prive di


energia. Per esempio lo stesso Meynert nel 1889 scrisse che l'ipnosi «de­
grada l'essere umano al livello di una creatura senza volontà e senza ra­
gione, e non fa che accelerare la sua degenerazione nervosa e mentale ...
Essa realizza una forma di alienazione artificiale».47 Sarebbe stata una
disgrazia che questa «epidemia psichi ca si diffondesse tra i medici».48
Meynert aggiungeva con disprezzo: «Non manco di comprensione e com­
miserazione per quei colleghi che, credendo nei loro primi successi, si ab­
bassano forse per altruismo alla funzione delle bambinaie, che secondano
il sonno con la suggestione.» Già altre volte egli aveva fatto osservazioni
simili, e un anno prima Freud gli aveva risposto piuttosto duramente, come
ora vedremo.
Freud difendeva la causa dell'ipnosi c-on il suo tipico ardore. Di tanto
in tanto egli recensiva libri per la «Wiener medizinische Wochenschrift»,
come per esempio l'opera di Weir Mitchell La cura di certe forme di ne­
vrastenia e di islerismo 49 e la Neurologia di Obersteiner, entrambe nel
1887. Cos1 nel 1889 scrisse una lunga recensione di sette pagine su un
libro sull'ipnosi scritto da Forel, colui che lo aveva presentato a Bernheim.
La recensione esponeva in modo aettagliato e favorevole le possibilità del­
l'ipnosi. Uno dei primi segni del progresso di Freud dalla fisiologia verso
la psicologia può esser colto in questa caustica osservazione: «Le osserva­
zioni di Forel riguardano il problema dell'ipnosi più che i rapporti tra
livelli corticali e sottocorticali e le speculazioni sulla dilatazione e il re­
stringimento dei vasi cerebrali.» Egli approfittò dell'occasione per confu­
tare duramente lo scherno con cui Meynert l'aveva da poco accusato di
essere «solo un ipnotista», e affermò di essere invece un neurologo pronto
a trattare i vari casi con i metodi più appropriati per ciascuno di essi.
Quanto alla surriportata stroncatura dell'ipnosi da parte di Meynert, Freud
si esprimeva cos1: «Per molta gente riesce difficile ammettere che uno
scienziato che ha acquistato larga esperienza e dimostrato un'acuta intui­
zione in molti campi della neuropatologiaGO non debba essere acclamato
come un'autorità anche in altri problemi di diversa natura. Non c'è dubbio
che il rispetto per la grandezza, e specialmente per la grandezza intellet­
tuale, rientri tra le migliori qualità della natura umana, ma davanti al
rispetto dei fatti esso non viene che al secondo posto. Non ci si deve
vergognare di ammetterlo, quando si è messa da parte la fede nell'autorità
a favore del proprio giudizio, corroborato dallo studio dei fatti.»61
Il periodo di Breuer (J 882-J 894) .29 1

Se si considera quanto provocante e perfino arbitrario fu in quegli anni


l'atteggiamento del grande Meynert verso Freud, non si può non ammi­
rare la dignità della risposta di Freud che, espressa in modo impersonale
e obiettivo, era pienamente giustificata. Nella polemica tra Freud e Mey­
nert l'animosità sembra esser stata assolutamente maggiore da parte del più
anziano, mentre non si può forse dire lo stesso dell'altra, non tanto diversa,
tra Freud e Breuer.
Non è certo facile spiegare il cambiamento che si era verificato. Pre­
cedentemente Meynert aveva trattato Freud abbastanza amichevolmente e
gli aveva permesso di lavorare nel suo laboratorio nei diciotto mesi dopo
che egli fu uscito dal suo reparto di psichiatria, cioè fino alla parte02:a per
Parigi. Due mesi dopo che Freud fu passato in un altro reparto, Meynert
gli dette la chiave delle corsie psichiatriche (Narrenzimmer) e libero accesso
a tutto il materiale clinico che egli avesse voluto studiarvi: un gesto indub­
biamente insolito. 52 Un mese dopo Freud scrisse: «Meynert mi ha fatto
poco fa un gran discorso dicendomi quanto l'Istituto mi sia debitore per
tutti i preziosi preparati di cui l'ho arricchito, per la mia abilità tecnica e
per le promesse còntenute nelle mie ricerche. Questo m'ha fatto piacere,
naturalmente, ma quando è di un umore cosI prodigo non lo posso sof­
frire. Di solito quando è in buona fede è eccezionalmente avaro di lodi.
Forse però non c'è sotto niente di male.»53 Quest'ultima frase suona come
uno sforzo da parte di Freud per reprimere un dubbio nascente.
Mentre Freud ci dice di essere stato escluso dal laboratorio al suo ritorno
da Parigi,54 questo fatto avvenne probabilmente nell' autunno seguente, per­
ché dopo il suo ritorno egli vi lavorò per un certo tempo. 55 Intanto però le
sue colpe agli occhi di Meynert stavano aumentando, e a partire dalla fine
dell'anno diventarono imperdonabili.
Nel capitolo precedente abbiamo fatto allusione a segni di gelosia da
parte di Meynert per la crescente superiorità di Freud nel campo dell'isto­
logia del cervello, fino allora dominato da Meynert, superiorità che Freud
s~~bi~1 d~?itivamente c~n il suo ultimo lavoro sull'afasia. Per di più
ltndiscutIbtle successo dI Freud era dovuto ai due metodi da lui elaborati
su spunti di Flechsig, il principale rivale di Meynert in quel campo. Forse
Meynert si offese per il rifiuto che Freud oppose all' offerta di affidargli
l'insegnamento di quella materia, motivato dal fatto che il suo interesse si
~tava sin~eramente spos~ando verso la psichiatria. Invece Freud lo inseguI
lmplacabtlmente pure 10 questo ultimo campo. La «sleale» fedeltà di
Vita e opere di Freud

Freud verso Charcot invece che verso il vecchio maestro viennese sembra
aver incollerito Meynert, a giudicare dalla sua reazione al resoconto delle
esperienze parigine fatto da Freud. Infine si aggiunse l'ipnosi, che fu come
il panno rosso per il toro. Meynert avrà probabilmente associato la caduta
di Freud dalle sue grazie a Leidesdorf, l'ipnotista-capo della clinica di
Obersteiner dove Freud aveva lavorato, e che Meynert considerava suo
mortale nemico. Come ben sappiamo, l'alcool porta spesso con sé gelosia,
diffidenza e ostilità, ed è anche per questo che negli ultimi anni (morl nel
1892) Meynert riusciva a controllarsi assai poco.
Freud però si andava accorgendo di non riuscire talvolta ad indurre
affatto l'ipnosi, o almeno in modo sufficientemente profondo per i suoi scopi:
«Con !'idea di perfezionare la mia tecnica ipnotica, nell'estate del 1889
feci un viaggio a Nancy e vi trascorsi varie settimane. Assistetti al com­
movente spettacolo del vecchio Liébault che lavorava tra le povere donne
e i bambini delle classi povere, fui testimone degli stupefacenti esperimenti
di Bernheim sui suoi pazienti d'ospedale, e ricevetti la più profonda im­
pressione dal fatto che esistessero potenti processi mentali che potevano
tuttavia restare nascosti alla coscienza dell'uomo. Pensando che potesse es­
sere istruttivo, avevo persuaso una delle mie pazienti a seguirmi a Nancy.
Si trattava di un'isterica molto intelligente e di buona famiglia, che mi era
stata indirizzata perché nessuno sapeva cosa farle. Per mezzo dell'ipnosi
avevo reso possibile che conducesse un' esistenza discreta, ed avevo sempre la
possibilità di sottrarla alla miseria della sua condizione. Ogni volta però
essa ricadeva dopo breve tempo, e nella mia ignoranza io attribuivo ciò
al fatto che la sua ipnosi non aveva mai raggiunto la fase del sonnam­
bulismo amnesico. Bernheim tentò allora parecchie volte di portarvela, ma
non ci riusà neanche lui, e anzi mi confessò francam~nte di avere otte·
nuto i suoi maggiori successi terapeutici con l'ipnosi solo nella sua pratica
ospedaliera, non con i pazienti privati. Ebbi con lui molti interessanti col­
loqui, e cominciai a tradurre in tedesco le sue due opere sulla suggestione
e suoi effetti terapeutici.»56
In questo passo c'è un curioso errore, perché Freud aveva già pubbli­
cato, un anno prima, il primo dei due libri in questione (HypnotismuI,
Suggestion und Psychotherapie) corredandolo di una lunga prefazione, e
facendone pure un riassunto dettagliato per la «Wiener medizinische Wo·
chenschrift».57 Fu nel dicembre 1887, cioè diciotto mesi prima della visita
a Bernheim, che si accordò con gli editori per la traduzione di esso. 58
Il periodo di Breuer (188z- 1894)

Nella prefazione al primo libro di Bernheim (1888), Freud discuteva


minutamente la recente polemica tra la scuola di Nancy (Bernheim, Lié­
bault, ecc.) e quella della Salpetrière (Charcot),59 prendendo le difese di
quest'ultima. Su un punto si dilungava specialmente: se era possibile di­
mostrare che i fenomeni dell'ipnosi erano prodotti per suggestione da
parte del medico, i critici potevano sostenere che lo stesso valesse per la
sintomatologia dell'isterismo. Bernheim stesso era piuttosto incline ad affer­
marlo, cosi come Babinski lo fece categoricamente venti anni dopo.60 Se
cosi fosse stato, tutto il senso delle leggi psicologiche correnti sull' isterismo,
cui Freud attribuiva il massimo valore, sarebbe andato in fumo. Egli for­
niva eccellenti argomenti per dimostrare che per l'isterismo questo non
poteva esser vero: a provarlo bastava la concordanza delle descrizioni nei
differenti paesi e nelle differenti età.
Quanto all'ipnosi, Freud riteneva che la maggior parte dei fenomeni sono
puramente psichici, anche se alcuni, come per esempio l'ipereccitabilità neu­
romuscolare, sembrano fisiologici. Discutendo questo punto egli osservava
acutamente che le suggestioni dirette da parte del medico vanno distinte
da quelle più indirette, che sono piuttosto fenomeni autosuggestivi e che
dipendono dalla particolare eccitabilità nervosa dell'individuo.
Approfittò pure dell'occasione per tirare un'altra frecciata, piuttosto vio­
lenta, a Meynert, di cui abbiamo già detto l'atteggiamento nei riguardi
dell'ipnosi. In una lettera privata del 29 agosto 1888 scrisse: <<Nel criticare
Meynert, che con il suo solito modo insolente e maligno ha dato giudizi
autoritari su un argomento di cui non sa nulla, ho dovuto esprimermi con
moderazione perché tutti i miei amici mi hanno esortato· a farlo. Eppure
ciò che ho scritto sembra loro ancora eccessivo. Me ne assumo il rischio.»61
A lungo andare la monotonia della suggestione ripetuta cominciò a stan­
care Freud che, quattro anni dopo, espresse recisamente la sua insoddi­
sfazione per quel metodo con queste parole: «Né il medico né il paziente
possono tollerare all'infinito la contraddizione fra la negazione del disturbo
sotto suggestione e l'inevitabile riconoscimento di esso fuori dalla sugge­
stione. »82
Egli era certo che dietro i sintomi manifesti si celassero molti segreti,
e la sua instancabile immaginazione non vedeva l'ora di svelarli. Più tardi
scrisse di aver impiegato l'ipnosi fin dall'inizio non solo per suggestionare
terapeuticamente, ma anche per risalire nella storia del sintomo, ciò che
equivale al metodo catartico di Breuer. 83 Forse qui è lecito avanzare qual­
294 Vita e opere di Freud

che dubbio sulla precisione del suo ricordo. In ogni modo pare che all'inizio
tali ricerche fossero piuttosto superficiali. Negli Studi sull'isterismo egli
dice che il primo caso in cui impiegò il metodo catartico fu quello della
Signora Emmy v. N., che cominciò a curare il lO maggio 1889, diciotto
mesi dopo aver adottato l'ipnosi. Non ci si può aspettare che in questo
primo tentativo, in cui usò il sonnambulismo profondo, Freud facesse
esplorazioni molto penetranti, e infatti sembra che egli abbia fatto molto
assegnamento sulla suggestione terapeutica diretta del trattamento, tanto
che lo associò, come al solito, a massaggio, bagni e riposo. In questo caso
egli apprese che la ragione per cui tanti benefici effetti della suggestione
ipnotica sono transitori, è dovuta al fatto che essi vengono presentati dal
paziente allo scopo di compiacere il medico, e perciò sono soggetti a
scomparire appena il contatto è interrotto. Si può anche notare che a
quell'epoca Freud era ancora completamente sotto l'influsso dell'insegna­
mento di Charcot circa l'importanza dei traumi nella sintomatologia del­
l'isterismo. Se il fratello della paziente le aveva tirato un rospo, da bam­
bina, apparentemente questo bastava à spiegare la sua fobia per quegli
animali. L'idea di pensieri personali (desideri) di natura proibita com­
pare per la prima volta tre anni più tardi.
Nel 1892 uscl un lavoro di Freud che riferiva un caso trattato con suc­
cesso per mezzo dell'ipnosi. 64 Si trattava di una donna che, sebbene desi­
derosa di allattare il suo bambino al seno, non riusciva a farlo a causa di
diversi sintomi isterici: vomito, anoressia mentale, insonnia e agitazione.
Due sedute di suggestione in stato ipnotico furono sufficienti a rimuovere
tutti i disturbi, e lo stesso accadde un anno dopo, in seguito alla nascita
di un secondo figlio. Freud faceva su questo caso un certo numero di con­
siderazioni abbastanza estese che sono di grande interesse perché ci mettono
in condizione di valutare i progressi da lui fatti nella comprensione dei
problemi dell'isterismo. Da questo punto di vista bisogna dire che il lavoro
in questione rivela una conoscenza piuttosto limitata, rispetto agli enormi
progressi che Freud avrebbe fatto nei successivi due o tre anni, ed è forse
questa la ragione per cui egli non lo incluse nella sua Sammlung kleiner
Schriften (<<Raccolta di scritti minori»). Il lavoro riguarda soprattutto l'esi­
stenza di quelle che Freud chiamava «idee antitetiche», in quanto interfe­
riscono con le intenzioni coscienti, e di queste metteva a confronto il compor­
tamento rispettivamente nella nevrastenia e nell'isterismo. Nella prima il
soggetto si rende conto del conflitto, che mina le sue capacità volitive, ma
Il periodo di Breuer (1882- 1894) 295

riesce in qualche modo a mettere in atto le sue intenzioni. Caratteristico


dell'isterismo è invece l'ignoranza del conflitto da parte del soggetto, la
cui volontà si trova assolutamente intralciata, come nel caso in oggetto, dai
disturbi somatici prodotti dalle idee antitetiche. Freud rinunciava a chiarire
in che cosa tali idee consistessero, e perché esistesse una volontà negativa
capace d'interferire con le intenzioni coscienti. Postulando la loro esistenza,
egli non poteva dire altro che esse si manifestano con violenza, o addirittura
prevalgono, nei momenti di eccitazione o, di esaurimento. L'esaurimento in­
debolisce «la coscienza primaria» (1'10) più di quanto quest'ultima renda le
idee antitetiche estranee e contrarie a se stessa. Talvolta le idee antitetiche
sono addirittura indipendenti da essa. Qui Freud si riferisce all'insegnamento
ricevuto da Breuer, secondo il quale i sintomi nevrotici si originano solo
in uno stato mentale particolare (la «condizione ipnoide» di Breuer), che
.però Freud definisce semplicemente come uno stato di esaurimento.

Si arriva cos1 al punto fondamentale del passaggio dal metodo catartico


a quello della «libera associazione», al quale risale la psicoanalisi. ~ pro­
prio nello escogitare questo nuovo metodo che Freud riuscì a penetrare nel
regno del vero e proprio inconscio, fino allora sconosciuto, ed a fare quelle
grandi scoperte alle quali andrà perennemente associato il suo nome. L'in­
venzione di questo metodo è uno dei due grandi avvenimenti della vita
scientifica di Freud; l'altro è la sua autoanalisi, con la quale imparò ad
esplorare la vita sessuale precoce del bambino, compreso il famoso com­
plesso di Edipo.
Per un genio, la via più ortodossa per compiere una scoperta o un'in­
venzione importante è quella dello sprazzo d'intuizione folgorante. La sto­
ria della scienza abbonda di sensazionali racconti di simili avvenimenti. Eb­
bene, per quanto ciò possa deludere coloro che si esaltano a racconti del
genere, dobbiamo dire che la storia di Freud è completamente diversa. Seb­
bene il suo intuito fosse sufficientemente penetrante e funzionasse libera­
mente negli anni della sua maturità, vi sono buone ragioni per ritenere che
durante gli anni che abbiamo finora considerato, e specialmente tra il 1875
e il 1892, lo sviluppo di Freud fu lento e difficile. Il modo di avanzare a
lui p~oprio sembra essere stato quello di un faticoso p.rogresso, e la pro­
gressIva conoscenza fu conquistata solo a prezzo di duro lavoro. Freud era
ri~asto impressionato dalla descrizione fatta da Charcot del proprio modo
dI lavorare - rimanere inchiodato a fissare i fatti finché quelli non gli par­
Vita e opere di Freud

lassero65 - che del resto corrispondeva un po' all'atteggiamento di Freud.


:e anche vero però che dopo il 1890, quando si senti di navigare in buone
acque, le cose andarono diversamente, e in quello che fu il suo periodo più
creativo le scoperte si susseguirono in rapida successione. Allora inclinazio­
ne e intuito si sommarono alla laboriosità e alla riflessione, ed assunsero
anzi un'importanza anche maggiore di questi ultimi. Subito dopo il '90
sembra che si sia verificato uno dei tanti cambiamenti della sua personalità,
e infatti nel 1895, tre mesi dopo la pubblicazione degli Studi, troviamo
una lettera di Breuer al comune amico Fliess, che dice: «La mente di Freud
sta volando a grandi altezze. lo guardo a lui come una gallina al falco.»68
Non è possibile assegnare una data precisa alla scoperta del metodo della
«libera associazione». Tutto quello che possiamo dire è che esso andò evol­
vendo molto gradualmente tra il 1892 e il 1895, assumendo una precisa
fisionomia e liberandosi dai coadiuvanti - ipnosi, suggestione, sollecitazio­
:e
ne e domande - che lo accompagnaròno all'inizio. però possibile cogliere
alcune delle fasi percorse dalla sua evoluzione, che ora cercheremo di in­
dicare.
Due casi degli Studi sull'isterismo sono datati 1892. La loro esplorazione
è ad un livello molto diverso da quello della signora Emmy, condotta tre
anni prima. In quegli anni Freud si era fatto naturalmente una notevole
esperienza con il metodo catartico, pur non riuscendo ad ipnotizzare molti
dei suoi pazienti, almeno con la profondità che egli riteneva allora neces­
saria. Tali malati erano considerati inadatti al metodo catartico.
Questo fu uno dei motivi che spinsero Freud a cercare qualche altro me­
todo che prescindesse dalla ipnotizzabilità del paziente. Un altro motivo
fu la sua crescente conoscenza della natura dell'ipnosi. Egli aveva imparato
che il successo terapeutico (come per esempio nel caso della signora Em­
my) dipendeva dalla relazione personale tra medico e paziente, e che esso
veniva spesso a mancare quando il rapporto si interrompeva. Un giorno una
paziente gli gettò improvvisamente le braccia al collo, contrattempo inatteso
ma fortunatamente rimediato dall'ingresso di una cameriera nella stanza. eT
Da allora in poi Freud capI che il particolare rapporto, cosi efficace dal
punto di vista terapeutico, aveva una base erotica più o meno manifesta,
e venti anni dopo affermò che i fenomeni trasferenziali gli erano sempre
sembrati una prova inattaccabile dell'origine sessuale delle nevrosi. 6S A
differenza di Breuer, che posto nella stessa circostanza si era atterrito, Freud
considerò la faccenda come un qualunque problema scientifico, ma intanto
n periodo di Breuer (1882-1894)
il suo desiderio di disfarsi della maschera dell'ipnosi aumentava. Molti anni
dopo egli poté spiegare come essa nasconda gli importanti fenomeni della
resistenza e del transfert, che sono i due aspetti fondamentali della pratica
e della teoria psicoanalitica. 89 Questo fu certamente il principale motivo per
cui abbandonò l'ipnosi e decise di passare dal metodo catartico di Breuer
a quello psicoanalitico.
Stabill di cominciare in un caso refrattario all'ipnosi, quello della signo­
rina Elisabeth von R., il cui trattamento fu intrapreso nell'autunno 1892.
Ciò che lo incoraggiava, in quella situazione apparentemente senza speran­
za, era il ricordo di un' osservazione di Bernheim: le esperienze fatte in
stato di ipnosi venivano dimenticate solo apparentemente, e potevano essere
ricordate a qualunque momento se il medico insisteva abbastanza energica­
mente sul fatto che il paziente le conosceva. Freud intul che lo stesso doveva
esser vero nell'isterismo per i ricordi dimenticati. Perciò egli tentò quella
che egli chiamava una tecnica di «concentrazione», «che più tardi ho ela­
borato in un metodo».10 Il caso di Elisabeth fu il primo in cui Freud fece
a meno dell'ipnosi ed usò la nuova tecnica, ed anche (cosa interessante) il
primo caso in cui fu soddisfatto dalla completezza di ciò che egli defini
«analisi psichica».
Il metodo era il seguente. La paziente, distesa a occhi chiusi, veniva pre­
gata di concentrare la sua attenzione su un sintomo particolare, e di cercare
di richiamare qualunque ricordo che potesse chiarire l'origine di esso. Se
non si otteneva nessun risultato, Freud soleva premere la fronte della pa­
ziente con la sua mano e assicurarla che qualche pensiero o ricordo le sareb­
be sicuramente venuto in mente. Qualche volta non accadeva nulla neanche
se la pressione della mano veniva ripetuta, ma poi, magari al quarto ten­
tativo, la paziente tirava fuori ciò che le era venuto in mente, di solito con
questo commento: «Avrei potuto dirglielo al primo tentativo, ma pensavo
che non fosse quello che Lei voleva.» Esperienze simili confermarono Freud
nella sua fiducia nell'artificio, che gli sembrava veramente infallibile. Esse
lo portarono anche ad ingiungere recisamente alla paziente di ignorare qua­
lunque censura, e di esprimere ogni pensiero anche se lo riteneva irrilevante,
poco importante o troppo spiacevole. Questo fu il primo passo verso il
successivo metodo della libera associazione.
Freud soleva ancora sollecitare, stimolare e interrogare, lavoro che ritene­
va faticoso ma necessario. In una storica occasione, però, la paziente lo rim­
proverò per avere interrotto con le domande il filo dei suoi pensieri. l1 Freud
Vita e opere di Freud

sfruttò l'appiglio e fece cosi un altro passo verso la libera associazione. 72


Una volta partito, il procedimento cominciò a diventare più libero, ma
solo per gradi. Ove possibile, Freud usava ancora l'ipnosi, anche se solo in
certe fasi della cura, e non rinunciò definitivamente ad essa come misura
terapeutica fino al 1896, quattro anni dopo aver provato la possibilità di
farne a meno. 18 Poi, quanta pi.ù fiducia egli acquistò nel fatto che la caduta
della censura cosciente avrebbe inevitabilmente prodotto ricordi importanti,
tanto meno ebbe bisogno di sollecitare, spingere o dirigere i pensieri del
paziente. Cosi poté essere abbandonata la sollecitazione del paziente e cosi
pure la pressione sulla sua fronte. La chiusura degli occhi è ancora soste­
nuta nell'Interpretazione dei sogni (1900),14 sebbene forse solo per l'auto­
analisi. Nel 1904 fu stabilito che neanch'essa era necessaria. 15 L'unico reli­
quato superstite del vecchio periodo dell'ipnosi era la posizione sdraiata del
paziente sul divano, che è ritenuta ancora opportuna nella grande maggio­
ranza dei casi. Freud continuò invece per lungo tempo ad usare i sintomi
come punti di partenza, abitudine che venne accentuata quando si trattò
di analizzare i sogni. In questo caso infatti si deve di solito procedere passo
a passo.
Il capitolo sulla psicoterapia che fa parte degli Studi (1895) è abbastanza
vicino al futuro metodo della libera associazione perché lo si possa gene­
ralmente considerare come punto di partenza del metodo psicoanalitico.
Freud chiamava però ancora il suo metodo «metodo catartico di Breuer»
anche se spesso parlava di «analisi psichica». :e in quel capitolo che si trova
la frase seguente, piena di un'eroica modestia: «Se riusciremo a trasfor­
mare il miserabile isterismo in una semplice infelicità, avremo già fatto
molto.»16
Il termine «psicoanalisi» fu usato per la prima volta in un lavoro pub­
blicato in fràncese il 30 marzo 1896,11 mentre in tedesco lo si trova la
prima volta il 15 maggio 1896.18 Entrambi i lavori erano stati però spediti
nello stesso giorno (5 febbraio).T9 Il 7 luglio 1897 Freud scrisse a Fliess
che la sua tecnica stava cominciando a battere una via propria, come se
fosse stata la sua via naturale. Questo andamento autonomo di una psi­
coanalisi, senza i vecchi punti di partenza, divenne uno dei caratteri più
peculiari di essa. Un anno dopo (1898) Freud parlò di miglioramenti del
metodo che gli davano piena fiducia in esso. 80 Penso che si possa affermare
che il metodo della libera associazione divenne veramente tale da quell'epo.
ca, anche se poi fu continuamente modificato.
Il periodo di Breuer (1882- 1894) 299

A prima vista il cammino intrapreso poteva sembrare curioso: significava


sostituire una ricerca sistematica e intenzionale, in vista di una meta sicura,
con un vagabondaggio apparentemente cieco e incontrollato.
Poiché questo fu uno dei passi più decisivi nella vita scientifica di Freud,
dal quale emanarono poi tutte le sue scoperte, interessa ovviamente il modo
in cui giunse a compierlo e quali furono i motivi che ve lo spinsero. Quat­
tro considerazioni sorgono a questo proposito. Abbiamo sottolineato che
si trattò di un processo graduale e non di una decisione improvvisa. Alcuni
pazienti, una volta invitati a risvegliare i. ricordi delle circostanze in cui
erano apparsi i loro sintomi, lasciavano vagare i loro pensieri senza nessun
ordine, specie se si trovavano in uno stato di rilasciamento psichico. Freud
aveva imparato a non interrompere il Busso, come la maggior parte degli
altri medici avrebbe fatto, e fu aiutato in questo da un' eccezionale dote di
pazienza e da un non so che di passivo della sua natura, per cui era ben
lieto di rinunciare ad arrestare bruscamente o ad intromettersi nei pensieri
del paziente. Rispetto alle sollecitazioni precedenti il cambiamento era netto.
In secondo luogo Freud era profondamente imbevuto dei princlpi di
causalità e di determinismo,81 tanto vivi nella scuola di Helmholtz che aveva
dominato la sua prima formazione scientifica. Invece di prendere le asso­
ciazioni divagatorie per fenomeni casuali, privi di connessione e di signi­
ficato, come altri avrebbero potuto fare, egli intui che il corso di quei pen­
sieri poteva essere guidato e determinato da una causa precisa, anÒ1e se
non evidente. Doveva poi confermarsi in quest'idea per aver notato che qua
e là emergevano pensieri o ricordi capaci di svelare il significato del con­
testo precedente.
Nella sua pratica si era accorto molto presto che i pazienti mostravano
una inequivocabile mancanza di entusiasmo nel confessare ricordi penosi o
poco accetti a loro stessi. Freud denominò «resistenza» tale opposizione e
la mise ben presto in rapporto con la «rimozione», responsabile del fatto
che certi ricordi erano stati sostituiti da sintomi. Non deve essere stato molto
difficile supporre che le circonlocuzioni oziose fossero espressione di tale
resistenza, come un tentativo di dilazionare l'emersione del ricordo signi­
ficativo, e infatti esse seguivano un corso che in ultima analisi conduceva
al ricordo stesso. Questo giustificava la pazienza di Freud nel seguire le
catene di pensieri con la massima attenzione e nei minimi particolari.
. Un'.altra considerazione, più recondita della precedente, non è però meno
Istruttiva. Quando Freud ripose la sua fiducia nella validità delle libere
300 Vita e opere di Freud

associazioni disse che stava «seguendo un'oscura intuizione».82 Dell'origine


di quest'ultima abbiamo oggi una testimonianza. Un certo Ludwig BOrne
aveva scritto nel 1823 un saggio dal titolo sensazionale: L'arte di diventare
uno scrittore originale in tre giorni. Esso si concludeva con le parole se­
guenti: «Ecco i consigli pratici che avevo promesso. Prendete qualche' fo­
glio di carta e per tre giorni di seguito scrivete tutto quello che vi passa
per la testa, senza mistificazioni né ipocrisie. Scrivete ciò che pensate di voi
stessi, delle vostre donne, della guerra turca, di Goethe, del criminale Fonk,
del giudizio universale, di coloro che contano più di voi: quando i tre gior­
ni saranno trascorsi vi stupirete del romanzo e dei pensieri stupefacenti che
saranno scaturiti da voi. Ecco come diventare in tre giorni uno scrittore
originale.»83
Freud racconta che BOrne era stato uno dei suoi autori preferiti, il primo
che l'avesse affascinato. A quattordici anni aveva ricevuto in dono le sue
opere compieteB 4 (che erano gli unici libri che avesse conservato dell' ado­
lescenza), e cinquant'anni dopo ricordava ancora molti passi del volume
che contiene il saggio di cui s'è detto, sebbene non ricordasse precisamente
le frasi or ora riportate. 85 Perciò si può esser certi che il consiglio di BOrne
si era insinuato nella mente di Freud, e che venti anni dopo esso ebbe la
sua parte nello spingerlo a dare libero corso ai pensieri dei suoi pazienti.
~ comprensibile che per Freud adolescente BOrne contasse tanto, perché
era un uomo molto notevole, dotato di una visione della vita che dev' esser
riuscita molto congeniale a Freud non solo negli anni della giovinezza.
Ludwig BOrne (1786-1837), che nel 1818 aveva assunto questo nome al
posto del suo vero (Baruch LOb), era un idealista paladino della libertà,
dell' onestà, della giustizia e della sincerità, ed aveva sempre lottato contro
1'oppressione. Ebbe una certa parte nella guerra di liberazione tedesca contro
Napoleone (Freiheitskrieg), anche se più tardi attaccò i regimi reazionari
che ne seguirono. Per un certo tempo visse a Parigi, dove conobbe il gio­
vane Heine, di cui apprezzò assai poco lo spensierato scetticismo. Le tombe
di BOrne e di Heine furono le sole che Freud andò a cercare quando vi­
sitò il Père Lachaise.
I passi seguenti, tratti dagli scritti diBOrne, possono dare un'idea del­
l'uomo: «Su un milione di persone, un migliaio pensa qualcosa, e di queste
mille solo una pensa qualcosa di originale.» «Per creare bisogna essere
soli, lontani dalla gente, dai libri e quanto più possibile dai ricordi. La vera
educazione di se stessi consiste nel rendersi incoscienti.» «Il cuore è la
11 periodo di Breuer (1882- 1894) 301

sorgente alla quale si beve un sorso d'acqua fresca;. la mente non è che u~~
corrente. » «La sincerità è la sorgente di ogni gemo, e l'uomo sarebbe plU
intelligente se solo fosse più buono. Ed ecco... » (qui segue la citazione
precedentemente riportata). 86
Che un'idea «originale» abbia un'origine assolutamente spontanea, senza
precedenti di sorta, è l'evento più raro, ammesso che sia possi~ile.. U~
delle ragioni per cui questo libro è stato scritto, è la speranza di clllame
qualcuno dei processi mentali di Freud, e quelle esperienze della sua vita
che culminarono nelle sue scoperte. Due fatti, e cioè l'importanza dei fat­
tori sessuali nelle nevrosi e la <<libera associazione» sono esempi lampanti
della fusione di influssi diversi che precede la nascita delle idee signifi­
cative. D'altra parte i concetti di «rimozione» e di «resistenza» erano sem­
plici induzioni teoriche desunte dalle innumerevoli osservazioni dirette. Co­
me lo stesso Freud ebbe a dire: «Se qualcuno intendesse considerare la
teoria della rimozione e della resistenza come ipotesi anziché come risultati
raggiunti attraverso la psicoanalisi, mi opporrei con tutte le mie forze.»8?
«La teoria della rimozione mi è venuta in modo assolutamente indipen­
dente da ogni altra origine; non mi risulta nessun'altra in.6uenza esterna
capace di suggerirmela.»88 Questo è indubbiamente vero, ma è stato di­
mostrato che idee non del tutto diverse da quelle di «rimozione» e di «di­
fesa» si possono riscontrare in quelle branche della scienza di cui Freud
si era occupato a fondo, e si sa che egli leggeva avidamente. 89
La prima cosa che egli osservò, nel suo sforzo di risalire nei ricordi dei
pazienti, è che essi non si arrestano al sintomo come punto di partenza, e
neanche all' «evento traumatico» spiacevole, che del sintomo sembrerebbe la
causa. Invece continuano a risalire all'indietro senza interruzione. La sua
preparazione scientifica gli fece considerare questa consequenzialità come un
nesso legittimo, anche se il valore causale degli apparenti fattori non era
ancora molto chiaro. I ricordi continuavano a risalire sempre più indietro,
addirittura fino all'infanzia, e Freud vide subito che questo spiegava in parte
le vecchie polemiche tra l'importanza della disposizione ereditaria da una
parte, e quella dei fattori acquisiti (traumatici) dall'altra. Questo è un pun­
to sul quale la sua opinione personale ha alquanto esitato. Nella discussione
del caso Emmy (1889) aveva affermato che senza predisposizione ereditaria
l'isterismo non è concepibile,80 mentre tre anni dopo, nella discussione del
caso Katherina e anche in una nota della sua traduzione dei Poliklinische
Vortrage di Charcot,91 affermò l'esistenza di un isterismo acquisito, senza
302 Vita e opere di Freud

predisposizione. 92 Freud si era dunque reso conto che le esperienze precoci,


associate o meno all'eredità, formano la predisposizione.
Un evento traumatico connesso senza possibilità d'errore con un sintomo,
ma apparentemente del tutto banale di per sé, sembrava produrre il suo
effetto solo se si associava a qualche esperienza (o atteggiamento) psichico
precedente, che non era né traumatica né patogena. Era questa la «predi­
sposizione» necessaria perché il successivo evento traumatico diventasse pa­
togeno. Freud definl «regressione» questo modo di reagire ad un evento
successivo secondo le precedenti associazioni, e si rese conto una volta di
più di aver scoperto qualcosa di notevole.
A poco a poco egli si accorse anche che gran parte dei ricordi signifi­
cativi riguardavano esperienze sessuali, comunque in un primo tempo non
fu in grado di trarre da questo fatto conclusioni generali. Non se lo aspet­
tava, e ne rimase stupito. Appena la sua attenzione fu attratta in quella
direzione, cominciò ad indagare sistematicamente la vita sessuale dei suoi
pazienti, abitudine che, come dovette accorgersi ben presto, ebbe un effetto
deleterio sulla sua professione privata.
Il continuo accumularsi di prove circa la notevole parte che i fattori ses­
suali svolgono nelle nevrosi rafforzò in Freud l'impressione di aver messo
a fuoco un argomento importante. Mentre in principio propendeva per una
scoperta del tutto spontanea da parte sua, in seguito, riflettendo, si ricordò
di tre strane esperienze che avevano senza dubbio influenzato e guidato i
suoi pensieri senza che egli stesso se ne rendesse minimamente conto. Nel
1914 dette di tali esperienze una vivida descrizione, della quale riassume­
remo qui i punti più salienti. 93 La prima deve risalire proprio agli inizi
della sua carriera, quando Freud era «un giovane medico di ospedale»
perché la seconda, quella riguardante Charcot, sopraggiunse «alcuni anni
dopo». Quindi la prima è situata tra il 1881 e il 1883, e consiste nel fatto
che Breuer gli aveva fatto notare, a proposito dei disturbi nevrotici di alcuni
pazienti, che cose del genere sono sempre connesse a segreti d'alcova. La
seconda era una spiegazione, data con molta convinzione da Charcot al suo
assistente Brouardel, sul fatto che certi disturbi nervosi sono sempre una
faccenda di «chose génitale». La terza esperienza risale al 1886 e riguarda
il ginecologo Chrobak, che Freud considerava «forse il più distinto dei
medici viennesi». Wittels racconta di lui che teneva nella sua aula una gran­
de insegna con le parole «Primum non nocere».94 Nel chiedere a Freud di
prendere in cura una paziente gravemente ansiosa, moglie di un uomo affetto
Il periodo di Breuer (188z-1894) 3°3

da completa impotenza, Chrobak aggiunse che non era possibile prescCl­


vede l'unica cura adatta: pene normale a dosi ripetute. 91i
Più tardi ~ racconta Freud - due di questi medici negarono di aver fatto
simili osservazioni, e aggiunge che forse anche il terzo, Charcot, l'avrebbe
fatto se fosse stato possibile chiederglielo. Egli pensava però, molto giusta­
mente, che c'era una grossa differenza tra un'intuizione casuale, magari suc­
cessivamente dimenticata, e il prendere sul serio un'idea, lavorarci malgrado
tutta la sua complessità, e. conquistare su di essa il consenso generale: la
stessa differenza che passa tra un fiirt superficiale e un regolare matrimonio,
con tutti i suoi obblighi e le sue difficoltà.
Quanto a Freud, era stato piuttosto turbato da quelle osservazioni appa­
rentemente ciniche, non le aveva prese sul serio e ne aveva anzi eliminato
il ricordo dalla sua mente. Il passo seguente, tratto da un importante lavoro
del 1896, mostra quanto accuratamente egli lo avesse cancellato: «Tengo
solo a notare che almeno da parte mia non esisteva nessuna opinione pre­
concetta che mi portasse ad isolare il fattore sessuale nell'etiologia dell'iste­
rismo. I due ricercatori sotto i quali avevo cominciato a lavorare come allie­
vo in questo campo, Charcot e Breuer, non credevano assolutamente in tale
presupposto, anzi avevano nei suoi riguardi una personale sfiducia che ini­
zialmente condivisi.»98
Ormai Freud si veniva trovando in una opposizione sempre maggiore
verso i suoi «rispettabili» colleghi e maestri. Dopo la faccenda dell'isterismo
maschile e dell'importanza dei traumi nel 1886, c'era stata la considerazione
concessa all'isterismo, seguita dal crescente interesse per l'ipnosi, argomento
ancora più sospetto, ed infine dalla valorizzazione dei fattori sessuali nelle
nevrosi. La larga esperienza di quest'ultimo problema, che egli cita nel suo
lavoro sulla nevrosi d'angoscia (1895), dimostra che la sua attenzione vi si
era rivolta già da vari anni. Freud reagl alla situazione sfidandola. Si ren­
deva conto di condurre una crociata rivoluzionaria contro le convenzioni
acquisite della medicina, o almeno contro i suoi colleghi più anziani, e si
lanciò appassionatamente in questa missione. Il suo maestro Briicke aveva
fatto lo stesso, affiancandosi ai suoi colleghi nella scuola di Helmholtz nella
lotta contro la Naturphilosophie, e dimostrando una tenace aderenza alle
nuove idee, pari a quella che Freud sfoggiava ora .
. Accanto a tutto ciò, però, c'era ancora tanta parte del giovanile bisogno
d~ sostegno e di dipendenza, da fargli considerare con gioia la' possibilità
di fondere le sue energie con qualche altro collega in modo da raggiungere
304 Vita e opere di Freud

una posizione più stabile. Il primo a cui pensò fu naturalmente Breuer, che
per primo gli aveva dischiuso il campo dell' isterismo, vi aveva già com­
piuto importanti scoperte e non aveva esitato ad usare l'ipnosi nell'epoca
in cui applicarla significava deviazionismo. Era dunque inevitabile che Freud
si rivolgesse a lui per collaborazione ed appoggio.
Negli anni immediatamente precedenti al 1890 e anche dopo, Freud
cominciò a cercare di risvegliare l'interesse di Breuer per i problemi del­
l'isterismo, o almeno a convincerlo a pubblicare la scoperta fatta dalla sua
paziente Anna O. In questo tentativo egli incontrò una notevole resistenza,
di cui sulle prime non poté afferrare il motivo. Sebbene Breuer avesse una
posizione superiore alla sua, e quattordici anni di più, era il più giovane
dei due che stava assumendo il comando per la prima volta. Freud realizzò
a poco a poco che la riluttanza di Breuer era connessa alla sua conturbante
esperienza con Anna O. che abbiamo precedentemente narrata. Gli raccontò
allora la propria esperienza con la paziente che gli aveva gettato le braccia
al collo in un trasporto d'affetto, spiegandogli le ragioni per cui secondo
lui questi contrattempi facevano parte dei fenomeni di transfert caratteri­
stici di certi tipi d'isterismo. Pare che questo avesse l'effetto di calmare
Breuer, il quale evidentemente aveva preso su un piano più personale la
sua esperienza in proposito, rimproverandosi forse perfino l'indelicatezza
di aver messo le mani addosso alla sua paziente. In ogni modo Freud riuscl
infine ad assicurarsi la collaborazione di Breuer, e furono d'accordo che l'ar­
gomento della sessualità andava ripreso in profondità. Evidentemente l'os­
servazione di Freud aveva prodotto una profonda impressione su Breuer,
giacché all'epoca in cui stavano preparando insieme gli Studi, questi disse
a proposito del fenomeno del transfert: «Credo che sia la cosa più impor­
tante che abbiamo a far conoscere al mondo.»97
Cominciarono col pubblicare insieme sul «Neurologisches Centralblatt»
nel gennaio 1893 un lavoro dal titolo: Il meccanismo psichico dei feno­
meni isterici, che ha un'importanza storica 118 e sul quale ritorneremo più
avanti. Briicke e Meynert erano morti da un anno e Freud si era già pro­
curato un sostenitore più moderno. Nel giugno 1892 Breuer aveva final­
mente deciso di cooperare, e Freud disse a Fliess, in una lettera del 18
dicembre 1892, che il convincerlo «gli era costato parecchi sforzi».119 I due
collaboravano spesso nella cura degli isterici, e anzi la circostanza che con­
vinse definitivamente Breuer a scrivere il lavoro in comune fu rappresentata
dal caso di una malata particolarmente interessante, Gicilie. 10o Freud, che
Il periodo di Breuer (J88z- J894) 30S

ne ha dato un breve riassunto, dice tra l'altro che si trattava di un caso


estremamente istruttivo, ma che motivi di discrezione professionale impe­
divano di pubblicarlo. Non c'è dubbio che' abbiamo perso molto.
Di esso sono stati pubblicati due schemi preparatori 101 conservati da
Breuer e da lui regalati a Freud per ricordo nel 1909. Il primo è un ab­
bozzo schematico inviatogli da Freud nel 1892,102 l'altro invece è più este­
so e fu compilato insieme ma messo per iscritto da Freud. ~ datato «fine di
novembre 1892». Circa una settimana dopo la pubblicazione del lavoro
Freud ne fece oggetto di una conferenza alla Wiener medizinis(he Verein
(Società viennese di Medicina).103
Gli autori notavano che la posizione più vicina alle loro idee era quella di
alcuni scritti di Benediktl° 4 osservazione probabilmente dovuta a Breuer
perché fu lui che in seguito si riferl altre volte a Benedikt. 105 Questi del
resto non ricambiò il complimento, ma si limitò a commentare, a proposito
della «comunicazione preliminare», che gli autori erano stati molto fortu­
nati a trovare casi che sotto l'ipnosi rievocavano esperienze traumatiche, in
quanto tale possibilità poteva non ripetersi. 106
Benedikt però era un uomo abile, e vale la pena di raccontare i seguenti
aneddoti che lo riguardano. Molto, molto tempo prima era. stato allievo del
famoso Skoda, e una volta giunto per lui il momento d'insegnare, il suo
primo allievo era stato Ernst Briicke (!), al quale aveva inculcato la teoria
ondulatoria di Cauchy. Insieme a Heidenhain ed a pochi altri, era stato uno
dei primi sostenitori dell'ipnosi, ma quando tentò d'applicarla nell'ospedale
generale di Vienna, l'assistente di Oppolzer lo mise in guardia contro ciò
che egli chiamava «magnetismo animale». Quell'assistente era Josef Breuer!
Un'altra volta, quando Hansen, il magnetizzatore che per primo aveva su­
scitato l'interesse di Freud, si esib1 pubblicamente, Benedikt lo interpellò
chiedendogli se qualche soggetto ipnotizzato gli si fosse mai rivolto in una
lingua sconosciuta. «S1, una volta nel Sud Africa un ufficiale inglese si
mise a cantare in una lingua che nessuno capiva, lui compreso.» Al che
Benedikt sentenziò solennemente: «Erano canzoni gallesi.» Hansen, allibito,
gli chiese come faceva a saperlo, ma il suo stupore divenne anche maggiore
quando Benedikt replicò: «Ho il dono della comunicazione a grande di­
stanza, e mi è molto facile raggiungere il Sud Africa.»
Il lavoro in comune fu eseguito a due anni di distanza dai celebri Studi
sul~Ji~teris~o (1.895), ~he segnano tradizionalmente la nascita della psicoa­
nalisI. ESSI consistono 10 una ristampa del lavoro precedente, seguito dalle
306 Vita e opere di Freud

storie di cinque casi, da un saggio teorico di Breuer e da un capitolo con­


clusivo di Freud sulla psicoterapia. Dalle lettere di Freud si apprende che
esso fu scritto in gran parte a partire dalla metà del 1894, infatti il 21
maggio di quell' anno egli disse che stava scrivendo l'ultima delle cinque
storie cliniche. L'ultimo capitolo però lo fin1 rapidamente nel marzo 1895,
un mese prima della data che figura nella prefazione. Il libro uscl a metà
di maggio, com' era stabilito.
La prima storia clinica, scritta da Breuer, era quella di Anna O., la pa­
ziente che aveva inventato il metodo catartico, le altre quattro invece erano
di Freud. Della prima e dell'ultima, rispettivamente quelle di Emmy e di
Elisabeth, abbiamo già parlato. La seconda era quella di una governante
inglese, miss Lucy, i cui sintomi erano risultati dipendere dalla rimozione
di un amore proibito per il suo padrone. :e nella discussione di questo caso
(1892) che Freud descrisse chiaramente per la prima volta come la repres­
sione attiva10T di un'idea proibita avesse per risultato la sostituzione di
un'innervazione somatica (conversione).loB Era una cosa completamente di­
versa dal soffrire passivamente un trauma,· disgrazia che poteva capitare a
chiunque. L'ultima storia descriveva il patetico caso di una ragazza di di­
ciotto anni, Katherina, che Freud aveva conosciuto in una locanda sulle
Alpi. Avendo saputo ch'era medico, essa l'aveva supplicato di aiutarla per­
ché soffriva di gravi sintomi d'ansia. In un'unica seduta Freud era stato
capace di scoprire la genesi dei disturbi della paziente, e con ogni proba­
bilità di alleviarli.
Il libro non fu bene accolto nell'ambiente medico. 109 Sembra che una re­
censione particolarmente avversa di Striimpell, il famoso neurologo tedesco,
avesse sopra tutto scoraggiato Breuer, mentre Freud dice di aver sorriso
dell'incomprensione che essa rivelava: «La fiducia in se stesso e le capacità
di resistenza di Breuer non erano cos1 sviluppate come il resto della sua or­
ganizzazione mentale.»110
Data la successiva (e temporanea) adesione di Bleuler alla psicoanalisi,
è interessante notare come egli valutò gli Studi in una recensione per la
«MiiÌlchner medizinische Wochenschrift». La sua caratteristica ambivalenza
salta fuori immediatamente. Dopo aver espresso il sospetto che i risultati
terapeutici siano dovuti alla suggestione piuttosto che alla catarsi, egli pro­
segue dicendo: «Comunque sia, il novero dei fatti che il libro fornisce
apre una visione del tutto nuova del funzionamento mentale, e rappresenta
Il periodo di Breuer (1882- 1894) 307

uno dei contributi più importanti degli ultimi anni nel campo della psico­
logia normale (sic) e patologica.»1l1
In molti giornali, e non solo medici, fu data al libro considerevole im­
portanza. Una delle recensioni più notevoli, che merita di essere ricordata
per la perspicacia e chiaroveggenza comparve sulla «Neue Freie Presse», il
principale quotidiano di Vienna, il 2 dicembre 1895, sotto il titolo Chirurgia
dell'anima (Seelenchirurgie). Ne era autore Alfred von Berger, professore
di storia della letteratura all'Università e direttore del teatro imperiale di
Vienna, poeta, storico della letteratura e critico teatrale. Nel suo articolo egli
mostrava di ammirare e comprendere le storie cliniche, per poi aggiungere
la predizione seguente: «Sentiamo oscuramente che un giorno sarà possibile
aggredire i più riposti segreti della personalità umana ... La teoria in sé»
proseguiva «non è in fondo che il genere di psicologia adottato dai poeti.»
Seguitava quindi ad illustrare questa tesi in base alle opere di Shakespeare,
e descriveva la pena di Lady Macbeth nei termini di una «nevrosi di di­
fesa».
Degli Studi furono stampate ottocento copie, 626 delle quali sarebbero
state vendute dopo tredici anni. Gli autori ricevettero in totale 425 gulden
(85 dollari per ciascuno).
Tra gli autori erano sorte alcune divergenze teoriche sulla teoria del­
l'isterismo, ma a separacli non furono né queste ultime né la scoraggiante
accoglienza tributata al loro lavoro. La collaborazione cessò nell'estate del
1894, in seguito alla riluttanza di Breuer a seguire Freud nella sua investi­
gazione della vita sessuale dei pazienti o meglio nelle estreme conclusioni
che Freud ne traeva. Che i disturbi della vita sessuale fossero il fattore
euenziale nell'etiologia delle nevrosi e psiconevrosi era un principio che
Breuer non poteva facilmente mandar giù, e in· seguito non è stato certo
il solo!
.B strano però che egli oscillasse da una parte all'altra . .B vero che non
condivise mai l'opinione che i disturbi sessuali fossero la causa invariabile
e spe~i.fic.a delle affezioni nevrotiche, eppure si addentrò parecchio in que­
sta d1CezlOne. Per esempio, nel capitolo intitolato Teoria che egli scrisse
per gli Studi sull'isterismo si leggono i seguenti passi: «L'istinto sessuale è
cer.ta~en~e la pi~ potente origine di duraturi aumenti di eccitazione (e
qumdI dI nevrosI)... »1l2 «L'esperienza quotidiana conferma che tale con­
B~tt? fra idee inc~mpatibili ha un effetto patogeno. Si tratta per lo più
dI Idee e processI che appartengono alla vita sessuale.»lls «Questa con­
308 Vita e opere di Freud

elusione (circa la disposizione alI' isterismo) porta con sé che la sessualità


è una delle grandi componenti dell'isterismo. Vedremo però che il ruolo
svolto da quest'ultima è di gran lunga maggiore, e che contribuisce nei modi
più diversi a determinare la malattia...»1l4 «La parte maggiore e più impor­
tante delle idee rimosse che arrivano alla conversione (isterica) hanno un
contenuto sessuale.»1l3 Nello stesso mese in cui apparvero gli Studi
Freud scrisse a Fliess: «Dureresti fatica a riconoscere Breuer. Una volta
di più è impossibile fare a meno di amarlo senza riserve... Si è interamente
convertito alla mia teoria della sessualità. :e un compagno assolutamente
diverso da quello a cui siamo abituati.»llo Pochi mesi dopo, a una riu­
nione del Doktorenkollegium (Collegio medico) Breuer parlò calorosamen­
te a favore del lavoro di Freud e si disse d'accordo con le opinioni di
lui sull'etiologia sessuale.111 Quando però Freud lo ringraziò di questo, se
ne venne fuori dicendo: «Non credo neanche a una parola di tutto ciò.»
Naturalmente il loro rapporto si raffreddò, l'ulteriore collaborazione non
fu più possibile e la loro ventennale amicizia si fece distante.
Freud sembra essersi reso conto che malgrado la sua timida ambivalenza,
Breuer era in fondo d'accordo con lui, perché in un lavoro pubblicato nel
1896 scrisse: «Breuer e io abbiamo sostenuto in precedenti comunicazioni
che (nell'isterismo) i traumi psichici riguardano la vita sessuale.»llB In
via del tutto personale io avanzerei il sospetto che l'accordo di Breuer si
riferisse piuttosto ai pazienti adulti, e che ciò che lo metteva in imbarazzo
erano le idee di Freud circa la seduzione incestuosa dei bambini, però non
ho nessuna autorità per emettere un'ipotesi del genere.
Le sole discordanze scientifiche non possono render conto della durezza
con cui Freud si espresse nei confronti di Breuer nelle lettere a Fliess,
ancora inedite, scritte dal 1890 al 1900. Se si pensa a ciò che Breuer aveva
significato per lui intorno al 1880, alla sua generosità verso Freud, alla
sua simpatia piena di comprensione, e al misto di dolcezza e di energia
intellettuale che emanava da lui, il cambiamento che avvenne appare ve­
ramente sorprendente. Mentre prima non si riwciva a trovare una parola
di critica per il perfetto Breuer, ora non si trova più una parola delle sue
qualità, ma solo dell'effetto irritante che la sua presenza ha su Freud. Na­
turalmente il cambiamento non era stato improvviso. Sebbene più tardi
Freud si lamentasse della fatica che gli era costata indurre Breuer a colla­
borare alla pubblicazione degli Studi, nell'aprile 1894 era ancora in termi­
ni abbastanza amichevoli con lui da chiedergli consiglio sulla sua salute.
Il periodo di Breuer (1882-1894)

Trascorsa l'estate, però, essi non lavorarono più insieme. La virata decisiva
nei sentimenti di Freud si verificò nella primavera del 1896, data che coin­
cide con l'inizio della fase più appassionata della sua amicizia per Fliess.
In febbraio scrisse a quest'ultimo che con Breuer era impossibile andare
avanti,11e Una settimana dopo però ammise che era penoso pensare che
Breuer fosse completamente uscito dalla sua vita. 120 Dopo un anno era
lieto di non averlo più visto, anzi il solo vederlo l'avrebbe spinto ad emi­
grare. 121 Sono parole forti, ma ce ne sono anche di peggiori, che è inu­
tile citare, e che comunque vanno molto al di là degli appunti reali mossi
da Freud a Breuer. Egli (cos1 sembrerebbe) aveva certe caratteristiche che
erano particolarmente antipatiche alla natura di Freud. Una di queste era
una certa debolezza della sua personalità per cui gli riusciva sempre difficile
assumere una precisa posizione in qualsiasi problema. Un'altra era il suo
modo cavilloso di esercitare la censura, che lo portava ad inquinare qua­
lunque valutazione positiva e qualunque plauso per la mania di ricercarvi
i minimi punti suscettibili di critica: un atteggiamento molto alieno dallo
spirito aperto e generoso di Freud.
Proprio in quegli anni Freud si trovava nella sua fase più rivoluzionaria,
sia dal punto di vista intellettuale che da quello emotivo, perché il boicot­
taggio al quale veniva sottoposto aveva indotto in lui una reazione di ri­
bellione e di sfida. Ebbene, proprio quando il suo bisogno di un alleato
con cui condividere questo atteggiamento divenne maggiore, l'unico uomo
in grado di rispondere intellettualmente al suo scopo e che per di più lo
aveva spinto per quella via, non fece che spegnere il suo ardore, e si ritirò
dalla lotta.
La faccenda però era ancora più personale. ~ chiaro che a questo punto
Freud risentiva il peso del vecchio debito di gratitudine contratto con
Breuer e che almeno in parte poteva essere valutato in concreti termini
di denaro. All'inizio del 1898 egli fece il primo tentativo di ripagarne una
parte, ma Breuer, che era forse riluttante a farsi restituire ciò che per lun­
go tempo doveva aver considerato come un regalo, volle sottrarne una cifra
che riteneva di dovere a Freud per l'assistenza medica da questi prestata ai
suoi familiari. Sembra che Freud abbia interpretato questo gesto come
un tentativo di conservare la vecchia tutela 1:22 e si risentl fortemente alla
risposta di Breuer. Due anni dopo disse a Fliess che sarebbe stato felice
di cessare ogni rapporto con Breuer, ma che non poteva farlo a causa del
vecchio debito di denaro. 123
310 Vita e opere di Freud

Tutta questa storia è molto triste, ma non bisogna dimenticare il biso­


gno, confessato da Freud, di periodiche, intense esperienze di amore e di
odio, che neanche la sua autoanalisi aveva smussato.

Le ricerche sessuali che avevano destato tanto scalpore erano di due tipi.
Esse erano sorte dall'osservare con quanta frequenza l'analisi di sintomi
isterici (e poi di quelli ossessivi) risalisse ad esperienze sessuali spiacevoli,
e spesso degne di essere definite come traumatiche. Colpito dall'importan­
za di questo fattore nei tipi classici di psiconevrosi, Freud si chiese quale
parte esso potesse svolgere nelle altre forme di nevrosi, che a quel tempo
erano confusamente ritmite sotto il termine «nevrastenia».
Il concetto di quest'ultima condizione, introdotto da Beard trent'anni
prima,124 era indubbiamente assai vasto, e Freud pensò di poter giungere
ad una chiarificazione nosologica di esso attraverso lo studio non solo della
sintomatologia dei vari casi, ma anche dei loro specifici fattori etiologici.
Dette perciò una lunga e dettagliata descrizione dei sintomi caratteristici
di quella che propose di chiamare «nevrosi d'angoscia»125 e delle par­
ticolarità che la distinguevano da un lato dalla nevrastenia e dall'altro
dalle fobie isteriche.
Le sue conclusioni su questo argomento furono raggiunte verso il 1893
e forse prima, giacché alla fine del 1892 in una lettera privata, scrisse:
<<Non c'è nevrastenia o nevrosi analoga che vada senza un disturbo della
funzione sessuale»,126 e in un'altra lettera del febbraio 1893 dette una com­
pleta descrizione delle nevrosi d'angoscia. All'inizio del 1894 le conclusio­
ni vennero formulate,127 e quindi pubblicate in un lavoro che usd nel gen­
naio 1895, pochi mesi prima degli Studi sull'isterismo. Quella fu la pri­
ma entrata indipendente di Freud nel campo della psicopatologia.
Come risultato delle sue osservazioni, Freud sosteneva che ogni qual
volta si può effettuare un approfondito esame del paziente, si trovano
fattori etiologici sessuali differenti in ciascuna delle due condizioni, distin­
zione questa che secondo lui giustificava il fatto di tenerle separate. Nella
nevrastenia c'era sempre uno scarico inadeguato della tensione sessuale,
dovuto per lo più a una certa dose di autoerotismo. Fin dal 1892 egli
aveva affermato che «i disturbi sessuali costituiscono l'unica causa indi­
spensabile della nevrastenia».128 Nel caso della nevrosi d'angoscia,129 in­
vece, mancava qualunque scarico per una dose eccessiva di eccitazione ses­
suale. Gli esempi più comuni di questo genere erano quelli della frustra­
11 periodo di Breuer (1882-1894) 3II

zione consecutiva alla pratica del coitus interruptus e quella insita nel
fidanzamento delle coppie caste ma appassionate.
Loewenfeld, di Monaco, che aveva scritto lunghi lavori nel campo delle
psiconevrosi, pubblicò subito un attacco a queste conclwioni, criticando
l'interpretazione che Freud aveva tratto dalle sue osservazioni cliniche. Alle
obiezioni da lui sollevate, era facile rispondere, e Freud lo fece subito,
in modo cortese ma fermo, citando i prindpi etiologici vigenti negli altri
campi della medicina. Per esempio, nella tubercolosi si ha: l. la predispo­
sizione, l'ereditarietà, ecc.; 2. il bacillo di Koch, fattore specifico, senza il
quale la malattia non si può stabilire, ma che può però esser presente
in piccola quantità senza che la malattia scoppi; 3. fattori favorevoli, come
influenza, ecc. Con la nevrosi d'angoscia ci troviamo in un caso analogo,
perché l'insorgenza dei disturbi dipende da un determinato modo di som­
marsi dei vari fattori, purché tra questi agisca quello specifico sessuale.
Questo secondo lavoro è importante per il fatto che è l'unica risposta
polemica diretta che Freud rivolse alle critiche, in tutta la sua vita. Egli
era costituzionalmente molto contrario alle polemiche «scientifiche», e que­
sto lo portò al punto di evitare le discussioni persino nelle riunioni scien­
tifiche, dubitando del loro valore. Anche in seguito egli sostenne sempre
che i congressi psicoanalitici dovessero limitarsi alla lettura delle relazioni,
seguita dalla riflessione, dall' esperimento ed eventualmente dalla discussio­
ne in privato. Il motivo che addusse nella sua replica a Loewenfeld fu il
rifiuto di ammettere l'idea che anni di paziente ricerca da parte sua po­
tessero essere scambiati con una superficiale affermazione d'autorità. Anni
dopo Freud mi confidò che un'altra ragione - forse legata alla prima - era
il fatto che Loewenfeld fosse un amico che rispettava. Evidentemente il suo
sentimento era insorto perché era stato trattato da lui con tanta cortesia.
La loro amicizia comunque non fece che accrescersi, e anzi nove anni dopo
Loewenfeld affidò a Freud la stesura di un capitolo sul metodo psicoana­
litico in un libro che stava scrivendo Psychische Zwangserscheinungen
(<<Fenomeni psichici compulsivi»). L'anno seguente poi Freud scrisse un al­
tro capitolo per l'opera di Loewenfeld Sexualleben und Nervenleiden
(<<Vita sessuale e malattie nervose»), esponendo le sue idee sul valore del­
la sessualità come fattore etiologico nelle nevrosi. Loewenfeld fu uno dei
pochi che assisterono al I Congresso Internazionale di Psicoanalisi nel 1908.
La spiegazione fornita da Freud dei dati clinici da lui raccolti ha un
grande interesse nei confronti del suo sviluppo personale. Egli era sem­
312 Vita e opere di Freud

pre stato fortemente attratto dall'antico problema dei rapporti tra corpo
e mente, e fin dal principio aveva accarezzato la speranza di stabilire una
base fisiologica della funzione psichica, secondo i suoi diletti principi helm­
holtziani. Come vedremo meglio in seguito, negli anni 1888-1898 attra­
versò un periodo d'intenso conflitto, prima di decidersi ad abbandonare
l'idea di mettere in correlazione l'attività somatica con quella psichica. Eb­
bene, nella sua teoria della nevrosi d'angoscia si può cogliere il primo ini­
zio del suo conflitto circa tale argomento. Il punto era bene scelto, giac­
ché pochi problemi sono cosi fondamentali per la questione dei rapporti
tra corpo e mente, come quello dell'angoscia.
La sua spiegazione era essenzialmente questa: quando la tensione ses­
suale raggiunge un certo grado, essa determina nella mente il desiderio
sessuale o libido,130 con varie idee ed emozioni concomitanti. Se però que­
sto processo viene ostacolato per qualche ragione, la tensione «si trasforma»
in angoscia. Nel 1892 egli aveva già formulato questo principio: «La ne­
vrosi d'angoscia deriva in parte dall'inibizione della funzione sessuale.»181
Quest'altra frase si trova sottolineata nel suo primo lavoro: «II meccanismo
della nevrosi d' Qngoscia va cercato nella deviazione dell' eccitamento sessua­
le somatico dal campo psichico, e in 1m imPiego anormale di esso, da tale
deviazione determinato.»132 Nel suo secondo lavoro questo è cosi espres­
so: «La nevrosi d'angoscia è prodotta da qualcosa che stacca la tensione
sessuale somatica da quella psichica, e ne impedisce l'elaborazione in cam­
po psichico.»133 Freud insisteva sul fatto che l'ansia è un effetto fisico di
questo stato di cose,134 e che né l'ansia in se stessa né alcuna delle sue com­
ponenti somatiche (palpitazione, sudo razione, ecc.) sono suscettibili di un'a­
nalisi psicologica.
Venendo a discutere perché il risultato del blocco suddetto dovesse es­
sere proprio l'ansia, Freud sottolineava che le componenti somatiche di
essa (accelerazione del respiro, palpitazione, sudorazione, congestione, ecc.)
sono fenomeni che accompagnano il coito normale. In una lettera dell' an­
no seguente egli osservò anche che l'ansia, essendo il risultato di un osta­
colo nella respirazione - attività che non subisce alcuna elaborazione· psi­
chica ~ potesse essere l'espressione di un cerIo accumulo di tensione fisica. 135
:e evidente, in tutto ciò, l'influsso della formazione iniziale di Freud.
Egli era sul punto di abbandonare la fisiologia e di enunciare i dati e le
teorie delle sue osservazioni cliniche in un linguaggio puramente psicolo­
gico. Eppure in quelle che chiamava nevrosi attuali,138 egli vedeva la pos­
Il periodo di Breuer (188z- I8 94) 313

sibilità di riservare almeno una parte della psicopatologia alla spiegazione


fisiologica. Poco tempo dopo egli disse al suo amico Fliess che era «asso­
lutamente estasiato» dall'idea, da lui espostagli, di una «chimica sessua­
le»,137 ed era evidente che immaginava in termini chimici (chemische
Stoffe) l'azione esercitata sul sistema nervoso dalla tensione delle vescicole
seminali - in fondo una predizione della futura scoperta degli ormoni!
Perciò ci si è spesso riferiti a questo punto come alla teoria tossicologica
delle nevrosi di Freud.
Nel 1925 egli scriveva ancora: «Da un punto di vista clinico le (vere)
nevrosi devono essere considerate accanto alle intossicazioni e a quelle
forme come la malattia di Graves. 188 Sono tutte condizioni che derivano
da un eccesso o da una relativa mancanza di certe sostanze fortemente at­
tive, sia prodotte all'interno del corpo che introdotte in esso dall'esterno.
Insomma si tratta di disturbi della chimica dell'organismo, di condizioni
tossiche. Se qualcuno riuscisse ad isolare e a dimostrare le ipotetiche so­
stanze che agiscono nelle nevrosi, non dovrebbe certo essere considerato in
posizione opposta alla professione medica. Per ora, tuttavia, nessuna via
d'attacco del genere è ancora aperta.»139
Un'osservazione che Freud mi espose anni dopo è connessa a questo suo
atteggiamento. Si tratta di una profezia semiseria, cioè che nel tempo av­
venire sarebbe stato possibile curare l'isterismo (sic) con la somministrazio­
ne di una sostanza chimica e senza nessun trattamento psicologico. D'altra
parte però, egli insisteva sempre che, pur aspettando pazientemente gli
opportùni progressi della biochimica, si dovesse prima esplorare la psico­
logia fino ai suoi estremi limiti, e soleva mettere in guardia i suoi allievi
da ciò che chiamava «il flirt con l'endocrinologia». Tra l'altro, nei suoi
Tre saggi sulla teoria della seuualità egli sottolineò il rischio di sopravva­
lutare le gonadi in sé,e il fatto che i meccanismi in giuoco sono probabil­
mente più diffusi e complessi di quanto potrebbe far supporre la sempli­
ce considerazione delle gonadi. 140
Freud stabili tra la nevrosi d'angoscia e l'isterismo un interessante pa­
ragone che spiega perché le due condizioni si trovino cos1 spesso associate.
Egli defin1 la prima come l'equivalente somatico della seconda. «In ciascuna
di loro si verifica una deviazione dell'eccitamento nel campo somatico in
luogo della sua assimilazione psichica. La differenza sta semplicemente nel
fatto che nella nevrosi d'angoscia l'eccitamento (nel cui spostamento con­
siste la nevrosi) è puramente somatico (eccitamento sessuale somatico) men­
31 4 Vita e opere di Freud

tre nell'isterismo esso è puramente psichico (determinato per conBitto).»141


E ancora: «Nella nevrosi d'angoscia e nell'isterismo vi sono due tipi di­
stinti di conversione. Solo nell'isterismo si tratta di un eccitamento psichico
che percorre una via sbagliata nel campo somatico, mentre nell'altra nevrosi
si tratta di una tensione fisica che non riesce a penetrare nel campo psichi­
co e perciò rimane in quello fisico.»142
Poiché non avremo più occasione di tornare sulla questione delle «ne­
vrosi attuali», può essere opportuno aggiungere qui qualche cosa circa il
loro ulteriore destino. Kris afferma che la teoria tossica dell'ansia di Freud
dominò il pensiero psicoanalitico fino al 1926. 143 Un'asserzione cos1 recisa
richiede qualche rettifica. :e vero che l'esposizione nosologica delle due ne­
vrosi da parte di Freud, la sua descrizione dei fattori etiologici specifici
(che non sono stati mai negati) e la sua spiegazione teorica fecero il loro
ingresso regolare nella letteratura e nei contributi psicoanalitici, ma intor­
no a tutto ciò si fecero molte chiacchiere, mentre non se ne fece alcuna
applicazione clinica, perché a nessuno sembrava di imbattersi in casi pro­
prio uguali a quelli descritti da Freud. Quando io stesso gli feci questa
osservazione, Freud mi rispose che ormai neanche lui vedeva più casi si­
mili, ma che ci era stato ben abituato all' inizio della sua pratica! Nella
Autobiografia (1925) scrisse: «Da allora non ho avuto nessuna occasione
di tornare allo studio delle "nevrosi attuali", né questa parte del mio la­
voro è stata continuata da qualcun altro. Se oggi mi volgo a guardare i
miei primi risultati, essi mi fanno l'effetto del primo grossolano abbozzo di
ciò che è probabilmente un argomento molto più complesso. Nell'insieme
però mi sembra che resistano ancora bene.»144
La spiegazione del paradosso sta semplicemente nella parola «puro».
Freud aveva isolato artificialmente una condizione «pura» perché a quell'e­
poca egli non vedeva nessuna ragione di scavare più a fondo. Già all'ini­
zio egli aveva trovato uno spunto che, seguito, avrebbe condotto a una
concezione più larga. In una comunicazione privata (all'inizio del 1894)
disse che la ragione per cui nei suoi casi la tensione sessuale non seguiva
il suo corso naturale stava nel fatto che ne mancavano le «condizioni psi­
chiche»1411 e in vari punti egli specifica questa mancanza di condizioni
opportune (che potremmo semplicemente definire con l'espressione «liber­
tà di accesso») con l'impiego di vocaboli come «soppressione», «difesa»,
«rifiuto», ecc. Dunque, ciò che impedisce alla tensione di determinare il
desiderio cosciente è il fatto che un atto psichico glielo abbia precluso, con
Il periodo di Breuer (1882-1894) 315

un fine difensivo. Si solleva così l'intero problema della rimozione prece­


dente, e si può arrivare a concludere che l'etiologia sessuale, giustamente
descritta da Freud, è valida solo per individui predisposti non solo in via
ereditaria, ma da precedenti conHitti psichici e rimozioni. Questo spiega
la difficoltà di trovare casi «puri» come quelli degli inizi della carriera
di Freud.
In ogni modo ciò che rimase, e in modo permanente, delle osservazioni
di Freud sulle nevrosi d'angoscia, fu la sua dimostrazione di un intimo
rapporto tra sessualità soffocata e ansia morbosa (cioè paura eccessiva di un
pericolo reale). La natura precisa di tale rapporto poteva essere dubbia,
ma ne restava l'osservazione empirica.
Andiamo oltre. Fin dal 1911 il sottoscritto ha osato mettere in dubbio
la validità biologica dell'idea che la tensione sessuale fisica venisse «tra­
sformata» nell'ansia, che è l'emozione propria di un istinto particolare,
ed ha suggerito che sarebbe stato più esatto riferirsi a quell'istinto difen­
sivo che veniva evocato o stimolato dalla pressione endogena. Se Freud
non è andato oltre l'affermazione che l'ansia sorge quando ci si dovrebbe
logicamente aspettare il desiderio sessuale, e che si verifica al posto di que­
st'ultimo, egli non ha oltrepassato i limiti delle sue osservazioni. Nel 1926,
nella sua inestimabile opera Hemmung, Symptom und Angst (<<Inibizione,
sintomo e angoscia»), egli ha fatto l'opportuna rettifica e ha riaffermato
che l'ansia è un meccanismo di difesa indipendente. Stando cos1 le cose,
è entusiasmante scoprire che nel suo primissimo lavoro sulla nevrosi d'an­
goscia (1895) vi è un accenno a quanto espose oltre trent'anni dopo. Ec­
colo: «La psiche elabora l'effetto dell'ansia quando si sente incapace di
padroneggiare (con una reazione adeguata) un pericolo che le venga dal­
l'esterno; la nevrosi d'angoscia si sviluppa quando la mente si sente infe­
riore al compito di dominare un eccitamento (sessuale) di origine endo­
gena. In altre parole, la psiche si comporta come se proiettasse questo ecci­
tamento nel mondo esterno.»146 CosÌ fin dall'inizio la psiche si insinuò
dentro l'intera storia, malgrado tutti gli sforzi di Freud per sostituirla con
la fisiologia.
Nei venti anni successivi apparvero una quantità di plagi del lavoro
di Freud sulla nevrosi d'angoscia, senza alcun riconoscimento per lui. 14T
Singoli sintomi, specie a carico del cuore (il «D. A. H.» inglese della pri­
ma guerra mondiale!) e che erano stati accuratamente descritti, furono iso­
316 Vita e opere di Freud

lati· e riscoperti come sindromi. Spesso si insisteva sulla loro origine ses­
suale!
Per tornare alle psiconevrosi, campo nel quale Freud afferrò per primo
l'importanza dei disturbi sessuali, si può essere certi che questo principio
si era venuto corroborando in lui grazie all'esperienza, già quattro o cin­
que anni prima che egli lo esponesse pubblicamente. La prima occasione
in cui lo fece fu un lavoro dal titolo Le neuropsicosi di difesa, che compar­
ve il 15 maggio e il IO giugno 1894, prima, di quello sulla nevrosi d'an­
goscia. Freud vi esponeva le sue ipotesi in modo abbastanza dimesso, no­
tando che nell'isterismo (delle donne) sono soprattutto le idee sessuali che
si mostrano inaccettabili per la personalità. Quanto alla nevrosi ossessiva
l'idea patogena, nella sua esperienza, era pur sempre sessuale, ma ci po­
tevano anche essere casi d'altro genere che non fossero caduti sotto la sua
osservazione. Le idee sessuali non vengono specificate per nessuno dei due
tipi di psiconevrosi, sebbene esse vengano illustrate. Venne quindi un la­
voro pubblicato in francese nel 1895 (Ossessioni e fobie): qui Freud in­
tende per fobie solo le ramificazioni delle paure che si osservano nella
nevrosi d'angoscia, di cui aveva precedentemente sostenuto la specifica etio­
logia. In questo lavoro egli è più positivo, e afferma che nella nevrosi os­
sessiva le «idee sostituite» si riferiscono ad esperienze penose che l'indivi­
duo si sforza di dimenticare.
Poco dopo, in quello stesso anno, Freud parlò al Doktorenkollegium di
Vienna sull'isterismo per ben tre sere (14, 21 e 28 ottobre). Il lavoro,
intitolato Ober Hysterie comparve per esteso nel «Wiener klinische Rund­
schau»,148 ma Freud non l'ha mai incluso nelle sue opere complete. Nelle
lettere a Fliess (20 e 31 ottobre) dice che era stato ben accolto e che ave­
va esposto l'argomento in modo «molto sfacciato», ed era certamente sin­
cero. Eccone un esempio: «Negli uomini precedentemente sani la nevrosi
d'angoscia deriva dall'astinenza, nelle donne si verifica quasi sempre per il
coitus interruptus.» La seconda conferenza, dedicata sopra tutto all'argo­
mento della «rimozione», sosteneva che «ogni isterismo dipende dalla ri­
mozione, e vi è sempre un contenuto sessuale». Freud dichiarò pure che
l'ipnosi poteva essere scartata nella cura degli isterici.
L'anno seguente (1896) vi fu un ulteriore sviluppo di queste idee. In
marzo· comparve nella «Revue Neurologique» il quarto dei suoi lavori in
francese. Esso è fondamentalmente volto a sfidare l'opinione prevalente in
Francia, che l'eredità sia la causa principale di ogni nevrosi; Freud vi so­
Il periodo di Breuer (J 882-J 894) 317

stiene categoricamente che la causa specifica di ogni nevrosi è qualche di­


sturbo della vita sessuale del paziente: attuale nelle «nevrosi attuali» e
pregresso nelle psiconevrosi. Più precisamente, nell'isterismo la causa è
un'esperienza sessuale passiva anteriore alla pubertà, cioè una seduzione
violenta. Questa conclusione si basa su tredici casi analizzati in modo com­
pleto. L'età preferita per tale esperienza è di tre anni o quattro, e Freud
ritiene che se essa si verifica dopo l'età di otto o dieci anni, non determina
una nevrosi, ma viene subita con indifferenza o al massimo con un certo
grado di disgusto e di paura. Nella nevrosi ossessiva, di cui Freud cita
sei casi analizzati, si ha pure a che fare con un' esperienza sessuale prima
della pubertà, ma vi sono due differenze importanti tra questa e quella
dell'isterismo: essa è stata piacevole e attivo-aggressiva. Inoltre l'esperien­
za ossessiva di desiderio attivo sembra esser stata preceduta da un'altra
ancora precedente, e passiva, di seduzione, e questo spiega la frequente
coesistenza delle due psiconevrosi. Freud aveva comunicato per esteso tutte
queste conclusioni a Fliess in una lettera datata 8 ottobre 1895,1.49 ma in
una lettera di due anni prima (30 maggio 1893) egli allude già a queste
seduzioni precoci.
Il 2 maggio 1896 Freud tenne alla Società di Psichiatria e Neurologia
di Vienna una conferenza dal titolo «L'etiologia dell'isterismo», che fu
pubblicata in forma più ampia in quello stesso anno. Stando a Freud la
conferenza ebbe un'accoglienza glaciale, e Krafft-Ebing, che sedeva in cat­
tedra, gli disse per tutto regalo: «Sembra una favola scientifica.» Fu uno
degli ultimi lavori letti da Freud a Vienna; infatti ne lesse solo un altro,
dopo otto anni.
Il lavoro in questione è esteso e notevole, e sebbene aggiunga poco alle
conclusioni ora esposte, gli argomenti sono cos1 ben distribuiti e le obie­
zioni anticipate con tanta abilità, che lo si può ben definire un tour de force
letterario. Tra l'altro Freud cita diciotto casi analizzati in luogo dei tredici
precedenti, e scrive: «Potrete naturalmente obiettare che la diciannovesima
e la ventesima analisi potrebbero forse dimostrar che i sintomi isterici pos­
sono avere _anche altre origini, e perciò la validità dell'etiologia sessuale
non sarebbe universale ma scenderebbe all'80%. Staremo a vedere, ma
poiché questi diciotto casi sono tutti quelli che sono riuscito ad analizzare,
e. poiché nessuno li ha scelti per farmi piacere, capirete che io non condi­
vtda una tale attesa, e sia invece propenso a lasciare andare la mia fiducia
al di là dell'attuale evidenza delle mie scoperte.»150 In quella occasione
318 Vita e opere di Freud

egli era evidentemente molto fiducioso. Riguardo all'affermazione che alla


base di ogni caso d'isterismo si trovano una o più esperienze sessuali pre­
coci, inerenti ai primi anni di vita, e che possono essere rievocate dal la­
voro analitico anche se sommerse da intere diecine d'anni, Freud aggiun­
geva: «Credo che questa sia un'importante rivelazione, e la scoperta di
un caput Nili della neuropatologia.»151
Freud doveva naturalmente eliminare il dubbio della reale esistenza
delle scene di seduzione che i suoi pazienti riproducevano, ed espose infatti
le varie ragioni per cui egli era convinto che fossero vere. Una di queste
ragioni rivela un acume psicologico inferiore a quello che siamo abituati
a trovare nello scettico Freud. Infatti riferendosi all'estrema riluttanza dei
pazienti a ricostruire tali scene, e al loro desiderio di essere creduti quan­
do osservano che hanno la sensazione di non ricordarle, analogamente a
quanto fanno con altro materiale dimenticato, egli aggiunge: «Ebbene,
quest'ultimo atteggiamento da parte loro mi sembra assolutamente decisivo.
Perché infatti i pazienti dovrebbero manifestarmi vivamente la loro sfidu­
cia, se proprio loro, per qualche motivo, hanno inventato quelle cose che
vorrebbero sconfessare? »152 Non passò molto, che Freud riuscl a spiegare
facilmente proprio questa domanda.
L'altro lavoro di quello stesso anno, pubblicato nel «Neurologisches Cen­
tralblatt» di maggio, aggiunge qualche altro punto a quelli già menzionati.
Le esperienze infantili di seduzione devono consistere in una vera eccita­
zione degli organi genitali (equivalenti del coito): la masturbazione attiva
e solitaria del bambino non determina successivamente l'isterismo. Quando
si verificano entrambi i tipi d'esperienza (attiva e passiva) il fatto che si
sviluppi successivamente l'isterismo o piuttosto una nevrosi ossessiva di­
pende da fattori temporali nell'evoluzione della libido. Freud espone l'opi­
nione che la «maturità sessuale» in senso psicologico preceda la pubertà,
ed appartenga al periodo compreso tra gli otto e i dieci anni. Il tema
principale del lavoro riguarda però la struttura psicologica delle nevrosi, di
cui tratteremo nel capitolo seguente.
All'inizio del 1898 Freud pubblicò un lavoro su La sessualità nell'etio­
logia delle nevrosi, che aveva letto davanti al DoktorenkoUegium di Vien­
na. Si tratta di una difesa appassionata della fondatezza dello studio della
vita sessuale dei pazienti nevrotici, e della grande importanza di una con­
dotta del genere. Il lavoro contiene pure una ben architettata difesa del
metodo psicoanalitico, di cui Freud definisce le indicazioni e i limiti.
Il periodo di Breuer (1882-1894) 319

Il lavoro contiene però due punti particolari, uno positivo e l'altro ne­
gativo. Quello positivo è il primo riferimento al tema della seuualità in­
fantile. Freud scrive: «Abbiamo assolutamente torto ad ignorare la vita
sessuale dei bambini. Secondo la mia esperienza essi sono capaci di tutte
le attività psichiche e di molte di quelle fisiche. CosI come l'intero appa­
rato sessuale dell'uomo non si limita ai genitali esterni e alle due ghiandole
riproduttive, la sua vita sessuale non comincia solo con l'inizio della pu­
bertà, come può sembrare ad una osservazione superficiale.»153 Da questo
passo isolato che è modificato da altri contigui, si potrebbe frettolosamente
concludere che Freud avesse afferrato completamente, fin da allora, l'intero
concetto della sessualità infantile, ma era tutt' altro che cosI, come vedre­
mo nel capitolo XIV.
Il secondo punto consiste nel fatto che, pur senza smentire affatto la
teoria della seduzione nell'isterismo - tema che lo aveva specialmente preoc­
cupato nei tre anni precedenti, e che non molto tempo prima aveva rappre­
sentato un caput Nili della neuropatologia -, Freud non vi fa alcun ac­
cenno. Evidentemente doveva essere accaduto qualcosa di molto importante.

Eccoci giunti a una delle grandi tappe del nostro racconto. Freud aveva
scoperto una parte del significato della fantasia. 1S4
Due anni prima egli aveva espresso l'opinione che i racconti di violenza
carnale fatti spesso dalle isteriche adulte fossero invenzioni che avevano i
loro punti di partenza nelle tracce mnemoniche del trauma sofferto nel­
l'infanzia. 155 Nella primavera del 1897 però egli si riconfermò nella sua
convinzione della realtà di tali traumi, tanto si era impresso in lui l'inse­
gnamento di Charcot sulle esperienze traumatiche, e tanto era fedele la
loro ricostruzione attraverso l'analisi delle associazioni dei pazienti. A quel­
l'epoca nuovi dubbi cominciarono ad insinuarsi in Freud, sebbene egli non
vi facesse alcun accenno nei resoconti dei suoi progressi che spediva rego­
larmente al suo amico Fliess. Poi, improvvisamente, decise di confidare al­
l'amico «il grande segreto di qualcosa che è sorto progressivamente in me
negli ul.timi mesi».156 Si trattava della terribile verità che - non tutte _
ma la maggior parte delle seduzioni infantili che i suoi pazienti gli ave­
vano rivelato e sulle quali egli aveva edificato per intero la sua teoria
dell'isterismo, non erano mai accadute. Fu un punto decisivo della sua
carriera scientifica, che mise a estrema prova la sua onestà, il suo coraggio
ed il suo acume psicologico. Adesso egli doveva provare se il suo metodo
320 Vita e opere di Freud

psicologico, sul quale aveva fondato ogni cosa, era degno di fiducia op­
pure no. Fu allora che Freud si drizzò in tutta la sua statura.
La lettera del 21 settembre 1897, in cui dette a Fliess quella notIzia
è forse la più preziosa di tutta quella preziosa raccolta tanto fortunata­
mente conservata. In essa Freud dava quattro ragioni dei suoi crescenti
dubbi. Prima di tutto il disappunto, spesso ripetutosi, di non esser riu­
scito a condurre le sue analisi ad una vera e propria conclusione: i risul­
tati erano imperfetti sia dal punto di vista scientifico che da quello tera­
peutico. In secondo luogo il suo stupore per essere chiamato a credere
che tutti i padri dei suoi pazienti fossero dediti a perversioni sessuali; un
comportamento del genere avrebbe dowto essere molto più frequente del­
l'isterismo, dato che vari fattori concomitanti sono necessari per produrre
quest'ultima malattia. In terzo luogo egli aveva chiaramente percepito
che nell'inconscio non esistono criteri di realtà, e perciò la realtà non può
esser distinta dalla finzione emotiva. In quarto luogo infine veniva la con­
siderazione che quei ricordi non emergevano mai nei deliri, neanche nelle
. . ., .
pSICOSI plU gravI.
Sebbene nei mesi precedenti Freud si fosse messo a studiare intensamen­
te le fantasie sessuali riguardanti la fanciullezza, egli si era contempora­
neamente riconfermato nella sua fede nella realtà delle seduzioni. Rinun­
ciare a questo concetto dev' esser stato un grande sforzo, ed è oltremodo
probabile che ii fattore decisivo sia stato proprio la sua autoanalisi, che
aveva intrapreso nel giugno di quello stesso anno. Non c'è da meravi­
gliarsi del fatto che egli abbia dowto correre a Berlino ad abboccarsi con
il suo mentore, sia pure per ventiquattro ore appena.
La lettera a Fliess continua su un tono di sincera eccitazione, anche se
Freud riflette tristemente sul fatto che, dovendo ormai rinunciare alla chia­
ve per forzare i segreti dell'isterismo, le sue speranze di fama e di suc·
cesso professionale sono crollate. «Invece di dire come Amleto "Essere
pronto", ecc., dirò '''Essere contento è tutto". Mi dovrei sentire molto in­
soddisfatto. La speranza di una fama durevole, la certezza del benessere
e di una completa indipendenza, il pensiero di risparmiare ai miei figli
le dure preoccupazioni che mi hanno privato della mia giovinezza: era
un gran bel miraggio. Tutto dipendeva dalla risoluzione dei problemi del­
l'isterismo. Ora posso tornare tranquillamente una volta di più alle preoc­
cupazioni quotidiane e alle economie.»
Nel 1914 Freud descrisse cos1 il momento di questa scoperta: «Quando
Il periodo di Breuer (1882-1894) 321

questa etiologia cadde per la sua improbabilità e per la sua incompatibilità


con circostanze esattamente precisabili, mi trovai sulle prime disperatamen­
te disorientato. L'analisi mi aveva condotto, attraverso un cammino corretto,
fino a quei traumi sessuali, e ora si scopriva che non erano veri. Sentivo
la realtà sfuggirmi sotto i piedi e avrei molto volentieri lasciato cadere
ogni cosa, proprio come aveva fatto il mio stimato predecessore, Breuer,
dopo la sua spiacevole scoperta. Perseverai forse solo perché non avevo
scelta e non potevo ricominciare in nessun altro campo. Infine pensai che,
dopo tutto, non si ha diritto di protestare perché si è stati delusi nelle
proprie aspettative: bisogna piuttosto rivederle. Se gli isterici riportano i
loro sintomi a traumi inesistenti, questo fatto nuovo significa che essi
creano simili scene nella fantasia, e che la realtà psichica deve essere presa
in considerazione accanto alla realtà effettiva.»157
:e interessante notare che questo emozionante racconto non coincide pro­
prio del tutto con il quadro tracciato dallo stesso Freud nella lettera ci­
tata poco fa. :e vero che egli ammette: «Non so a che punto sono, perché
non ho ancora capito completamente il concetto di rimozione», ma pare
che fosse solo questo a infastidirlo. Discutendo il suo disorientamento cir­
ca il meccanismo teorico della rimozione, Freud osserva: «Se fossi de­
presso o stanco questi dubbi potrebbero essere considerati come segni di
debolezza, ma poiché mi trovo nello stato d'animo opposto devo conside­
rarli come il risultato di un lavoro intellettuale serio ed intenso, ed essere
orgoglioso delle mie capacità critiche nei riguardi di tutta quella concen­
trazione. Forse dopo tutto i dubbi non sono che un episodio nel cammino
verso una conoscenza migliore.»
Freud confessa con sorpresa di non provare nessuna vergogna per l'am­
missione del suo errore, sebbene - aggiunge - sia capacissimo di vergo­
gnarsi, e seguita con questa frase incantevole: «Non dirlo a Gath, non
renderlo pubblico nelle strade di Ascalon, nel. paese dei Filistei,158 ma, a
dirla tra noi, ho l'impressione più di una vittoria che di una sconfitta.»
Poteva esserne fiero, perché con il passo avanti che aveva compiuto egli
era sul punto di esplorare l'intero campo della sessualità infantile e di
comp~e~~re la sua teoria sulla psicologia del sogno - le sue due conquiste
magglOfl. Il 1897 segnò il culmine della vita di Freud.

11 . I
Note

1. M., 27 maggio 1884.


2. ]. Breuer, Curriculum Vitae, Vienna, Academie der Wissenschaften, 1923,
p. 23 della ristampa.
3. H. H. Meyer, Neue Osterreichische Biografie (1928), V, 30.
4. Auto., p. 33.
5. Anna Hammerschlag, figlia di un vecchio insegnante di Freud.
6. Poiché il vero scopritore del metodo catartico fu lei, il suo nome merita
di essere ricordato: si tratta di Bertha Pappenheim (27 febbraio 1859-28
maggio 1936).
7. A questo proposito è interessante che la prima attività sociale di Anna
O. a partire dal 1890, fu quella di «Madre» in un orfanotrofio, che essa svolse
per dodici anni. In seguito tuttavia (8 aprile 1922) essa avrebbe scritto: «Se
nel mondo futuro vi sarà giustizia, le donne detteranno le leggi e gli uomini
faranno i figli».
8. M., 31 ottobre 1883.
9. lbid., Il novembre 1883.

lO. lbid., 5 agosto 1883.

11. Lettere di Martha Freud a sua madre, 2 gennaio e 31 maggio 1887.


12. Sono molto riconoscente alla signora Bna Lewisohn, cugina di Bertha
Pappenheim, per avermi permesso di ottenere queste notizie. (Numero doppio
commemorativo del «Bllitter des ]iidischen Frauenbundes ffu Frauenarbeit und
Frauenbewegung», XII, luglio-agosto 1936, 1-4.)
13. M., 19 novembre 1882.
14. V. p. 260.
15. V. p. 292.
16. G. W., IV, 178.
17. V. pp. 263, 264, 266, 267.
18. Auto., p. 25.
19. Comunicazione personale.
20. Meynert, uno dei principali oppositori, confessò in seguito a Freud sul
suo letto di morte di esser stato egli stesso un tipico caso di isterismo ma­
schile, ma di aver sempre fatto in modo di tenerlo nascosto. Tra l'altro si sa
Note

che era un tipo molto volubile e nevrotico, e forse bevitore. Anche se relativa,
fu per Freud una soddisfazione.
21. Auto., p. 25.
22. Pp. 1635-38.
23. Pp. 1674-76.
24. Auto., p. 26.
25. Anf., p. 63.
26. Bf. (7).
27. T. Meynert, Beitrag zum VerJtandnÌJ der traumatiJChen Neu,oJe, «Wie­
ner klinische Wochenschrift», 14, 20, 27 giugno 1889.
28. Charcot, PoliklinÌJche Vortrage, Vienna 1892, p. 100.
29. Meynert, op. cit., p. 501 n.
30. Anf., p. 85.
31. Ibid., p. 65.
32. Ibid., p. 68.
33. Charcot, op. cit., p. 268 n.
34. Auto., p. 22.
35. «Neurologisches Centralblatt», 1895, p. 935.
36. Anf., p. 145.
37. M., 19 aprile 1886.
38. Ibid., 3 maggio 1886.
39. Lettera di Martha Freud a sua madre, 16 ottobre 1886.
40. W. Erb, Handbuch der Elektrothe,apie (1882).
41. Auto., p. 33.
42. Ibid., pp. 26, 27.
43. G. W., X, 46.
44. Anf., p. 61.
45. M., 23 giugno 1885.
46. Ibid., 5 giugno 1886.
47. «Wiener medizinische Wochenschrift», XXXIV (1889), p. 687.
48. Frase identica a quella che il professore Hoche di Friburgo avrebbe usa­
to venti anni dopo a proposito della psicoanalisi.
49. Egli approvò e applicò la cura del riposo di Weir Mitchell.
50. Cioè Meynert.
51. «Wiener medizinische Wochenschrift», XXXIV (1889), p. 1908.
52. M., 26 novembre 1883.
53. Ibid., 2 gennaio 1884.
54. V. p. 288.
55. M., 3 maggio 1886.
56. Auto., pp. 29, 30.
57. 1888, p. 898.
58. Anf., pp. 61, 62.
59. Ì! stata pubblicata una traduzione inglese di quell'opera (C.P., V).
60. Il dr. Ludwig ]ekels mi comunica che, in occasione della lettura di un
Note

suo lavoro di psicoanalisi al Congresso di Neurologia di Varsavia, nel 1918,


Babinski dimostrò grande interesse e gli chiese di andare a Parigi, in modo
che potesse insegnargli qualcosa sull'argomento. ]ekels si consultò con Freud
in merito. Freud gli chiese quanti anni Babinski avesse, e apprendendo che era
suo coetaneo scoppiò a ridere e disse: «Ha la mia età e Lei si aspetta che
abbandoni la sua teoria in favore della mia!»
61. Anf., p. 68.
62. Charcot, op. cit., p. 286 n.
63. Auto., p. 32.
64. c.P., V, cap. 3.
65. G. W., X. 60.
66. Lettera di Breuer a Fliess, 5 luglio 1895. Fliess evidentemente lo riferl
a Freud, perché un mese dopo, spiegando all'amico che non avrebbe potuto
incontrarsi con lui a Oberhof in quanto a quell'epoca si sarebbe trovato a
Venezia, Freud aggiunse laconicamente: «Checché ne dica Breuer non sono
un uccello» (Corrispondenza inedita di Fliess, 16 agosto 1895). Dove Breuer
si fosse imbattutto nella frase di Sir Boyle Roche non è dato sapere.
67. Auto., p. 48.
68. G. W., X, 60.
69. G.5., IV, 421.
70. Studien, p. 119.
71. Ibid., p. 50 n.
72. Questo è uno degli innumerevoli esempi di pazienti che abbiano spia·
nato il cammino al medico. Lo «spazzacamino» (cioè il metodo catartico di
Breuer) fu effettivamente una scoperta che Anna O. fece nella sua autoipnosi.
73. G.W., V, 17.
74. Ibid., II·III, 105.
75. Ibid., V, 5.
76. Studien, p. 269.
77. G.5., I, 397.
78. Ibid., p. 363.
79. Anf., p. 166.
80. G.5., I, 460.
81. Ai quali attribuiva grande importanza (G. W., XIII, 241).
82. La sua frase più espressiva: «Biner dunklen Ahnung folgend» è intradu·
cibile.
83. Schiller, Garth Wilkinson e forse anche altri aveva già consigliato un
simile metodo, anche allo scopo di produrre idee da sfruttarsi letterariamente,
ma Freud non aveva letto alcuno dei loro. scritti in proposito, che sono stati
scovati solo successivamente. Anche Sir Francis Galton applicava un metodo
analogo (l.l., XXXII, 1952, 489).
84. Pubblicato a New York: 1858.
85. Ibid., XII, 312.
86. L. BOrne, Siimtliche Werke, (1858), pp. 312, 314.
Note

87. G. W., X, 54.


88. lbid., p. 53.
89. V. p. 220.
90. Studien, p. 269.
91. Charcot, op. eit., p. 224 n.
92. Studien, p. 104.
93. G. W., X, 50.
94. Primo: non nuocere. Wittels, «America n Journal of Psychiatry», 1944,
p. 522.
95. Questo accadeva nel maggio 1886 (M., 13 maggio 1886).
96. G. S., I, 414.
97. G. W., XIV, 563.
98. Appena tre mesi dopo F. W. H. Myers, a Londra, ne fece un riassunto
che fu pubblicato nel giugno 1893 (Proeeedings of Ihe Soeiely for Psyehieal
Research, giugno 1893).
99. Anf., p. B.
100. Studien, pp. 57, 63, 155-160.
101. C.P., V, cap. Il.
102. G.W., XVII, 5; Anf., p. 71.
103. «Wiener medizinische Presse», 22 e 29 gennaio 1895.
104. Studien, p. 5.
105. lbid., p. 184.
106. Benedikt, Hypnotismus und Suggestion, Vienna 1894, pp. 64, 65.
107. Egli usava già la parola Verdrangung.
108. Studien, pp. 99, 105.
109. Fece eccezione una recensione molto favorevole di Mitchell Clarke, su
«Brain» (1896, pp. 401-414), la quale, tra parentesi rappresentò l'occasione in
cui il sottoscritto s'imbatté nel primo lavoro psicopatologico di Freud. I suoi
lavori di neurologia mi erano già ben noti.
Due anni dopo un altro autore inglese, Havelock Ellis, dette un giudizio
favorevole del libro di Breuer e Freud, in un suo lavoro sull'isterismo. come
pure su altri scritti di Freud sull'argomento (Hysleria in Relation lO Sex­
ual Funetions, «The Alienist and Neurologist», XIX, 1898, 599).
110. Auto., p. 40.
111. «Miinchner medizinische Wochenschrifb>, 2 giugno 1896, p. 524.
112. Studien, p. 174.
113. lbid., p. 184.
114. lbid., p. 215.
115. lbid., p. 216.
116. Anf., p. HO-.
117. lbid., p. 144.
118. G.s., I, 364.
119. Corrispondenza inedita di Fliess, 6 febbraio 1896.
120. lbM" 13 febbraio 1896.
Note

121. lbid., 29 marzo 1897.


122. V. p. 188.
123. Corrispondenza inedita di Fliess, 20 maggio 1900.
124. Henry A. Bunker, From Beard to Freud: A Brief HiJtory of the Con­
cept of Neurasthenia, «MedicaI Review of Reviews», XXXVI, 1930, 108.
125. Un paio d'anni dopo osservò che questa definizione non gli piaceva
troppo.
126. Anf., p. 7'5.
127. lbid., pp. 95, 105.
128. Charcot, op. cit., p. 399 n.
129. La parola tedesca A12gst viene tradotta in inglese con anxiety, che in
psicoanalisi ha un significato molto vasto e comprende diversi gradi di paura,
apprensività, terrore o addirittura panico.
130. Questa parola fu usata per la prima volta da Freud, a quanto pare,
nel giugno 1894 (Anf., p. 101). t strano che nel 1922 Freud l'abbia attribuita
a MolI, mentre il libro di MolI usci solo nel 1898! (G. W., XIII, 229).
131. Anf., p. 75.
132. G.s., I, 325.
133. lbid., p. 334.
134. Anf., pp. 89, 90.
135. lbid., p. 103.
136. La parola tedesca aktual significa «corrente», ed infatti le cause di
questa nevrosi sono fattori correnti.
137. Anf., p. 144.
138. In una nota alla sua traduzione dei PolikliniJche Vortrage, 1892 (p.
237 n), Freud osserva che Charcot ignorava l'origine tiroidea di questa ma­
lattia. Evidentemente la recente scoperta delle secrezioni interne, che collimava
con il corso dei suoi pensieri, lo aveva interessato.
139. G.W., XIV, 101.
140. G.s., V, 89-91.
141. lbid., I, 332, 333.
142. Anf., p. 104.
143. lbid., p. 31.
144. Auto., p. 45.
145. Anf., p. 101.
146. G.s., I, 329. Il corsivo è di Freud.
147. Ernest ]ones, Papers on Psycho-Analysis, Londra, Baillière, Tindall and
Cox, 1938, IV ed., pp. 426, 427.
148. IX, 662, 679, 696.
149. Anf. p. 136.
150. G.s., I, p. 414.
151. lbid., p. 418.
152. lbid., p. 419.
153. lbid., p. 459.
Note

154. Penso che a questo proposito Kris tenda a confondere le fantasie sut­
t'infanzia con le fantasie nell'infanzia (Anf., p. 230 n. t.).
155. G.s., I, 365 n.
156. Anf., p. 229.
157. G.W., X, 56. _
158. Per paura che le figlie dei filistei ne gioiscano!
XII. La psicopatologia del primo periodo (1890-1897)

A partire dal 1890 Freud dovette rinunciare per alcuni anni a qualunque
lavoro' di laboratorio in istologia nervosa. D'altra parte la neurologia cli­
nica non dovette mai interessarlo veramente, sebbene fosse divenuto un
neurologo competente. Per fortuna la pratica privata, sulla quale doveva
contare per vivere, gli procurava, come sempre avviene, molti pazienti ne­
vrotici: i problemi che essi presentavano risvegliarono ben presto la sua
attenzione, e attirarono il suo interesse ogni giorno di più. .:e vero che la
posizione ufficiale di Freud come capo del reparto neurologico dell'Istituto
Kassowitz l'obbligava a svolgere un certo lavoro di ric,erche in quel campo,
e che le sue pubblicazioni sulle paralisi infantili, tra il 1891 e il 1897,
rappresentano validi contributi alle nostre conoscenze sull'argomento, ma
in realtà egli non ebbe mai troppa passione per quell'attività, che anzi
col passare del tempo gli divenne sempre più antipatica. In un certo senso
Freud non considerò mai «scientifica» la neurologia clinica, e sperò sem­
pre di poter tornare al suo vero lavoro «scientifico». Ciò che intendesse
esattamente con questa parola non è sempre chiaro, ma è certo comunque
che secondo lui l'anatomia del cervello occupava un posto molto elevato.
«Scientifico» non significava solo «ricerca originale», ma qualcosa di più
fondamentale, probabilmente qualunque ricerca che potesse gettar luce sul­
la natura umana, sui rapporti tra corpo e mente e sul modo in cui l'uomo
è pervenuto allo stato di animale cosciente.
L'unico lavoro neurologico di cui Freud aveva un buon concetto era
quello sull'afasia, e poiché il linguaggio è l'unica funzione che possa far
intravvedere un legame tra mente e cervello (dopo che Broca ne scoprl
la localizzazione nel lobo frontale) si può ben comprendere !'interesse par­
ticolare di cui Freud lo circondava. '
La psicopatologia del primo periodo ( 1890- 1897) 329

Il suo atteggiamento in proposito risulta da una lettera scritta a .Fliess


il 21 maggio 1894: <<Nel tentativo dì chiarire le nevrosi mi trovo isolato.
I colleghi mi considerano una specie di monomaniaco, e invece io ho la
precisa sensazione di aver sfiorato uno dei grandi segreti della natura. .E
strano vedere che differenza passa tra la propria e l'altrui valutazione del
proprio lavoro intellettuale. Guarda per esempio il mio libro sulle diplegie,
che ho buttato giù senza interesse e senza amore, quasi di cattivo umore:
ha avuto un successo enorme. Le recensioni lo lodano moltissimo, e quelle
francesi in particolare sono piene di elogi. Proprio oggi ho visto un libro
di Raymond, il successore di Charcot, che nel capitolo sull'argomento non
fa altro che riportare il mio lavoro, naturalmente con un giudizio elogia­
tivo. Invece per le cose veramente buone, come il libro sull'afasia, il la­
voro sulle ossessioni che sta per uscire e il saggio sulla Etiologia e teoria
dèlle nevrosi non mi aspetto niente di più di un rispettabile fiasco. Tutto
ciò mi lascia perplesso e un po' amareggiato.»
A differenza della neurologia, la psicopatologia clinica interessò. profon­
damente Freud. Le osservazioni e i dati che egli raccolse in quel campo
costituivano di per sé problemi affascinanti, eppure, per quanto grande,
quella passione rimase subordinata al disegno più grandioso di formulare
una teoria generale delle manifestazioni nevrotiche. Si comprende quindi
che a sua volta Freud si sia immerso, come fece, nel loro studio, con la
speranza di gettar luce sulla struttura e sul funzionamento della mente in
generale.
In questo sta la vera genialità. Mentre gli altri consideravano, e consi­
derano ancora, le nevrosi come semplici anomalie, come malattie che tra­
ducono una deviazione dalla norma, Freud deve essersi reso conto molto
presto che esse non rappresentavano altro che un tipo di funzionamento
psichico, e per di più che permettono di raggiungere gli strati profondi
della «mente», cioè di tutte le menti. Egli capi che la psicopatologia sa­
rebbe diventata una via d'attacco per la psicologia in generale, e forse la
più proficua. In uno dei suoi lavori del 1896 usò addirittura l'espressione
«la futura psicologia delle nevrosi», per definire quella psicologia «che i
fùosofi hanno tanto poco contribuito a preparare».l Sedici anni dopo Wil­
helm Specht coniò un termine equivalente e fondò la «Zeitschrift fiir Pa­
thopsychologie», che purtroppo ebbe vita breve. Questo periodico non ri­
guardava la psicopatologia, cioè lo studio delle manifestazioni morbose fine
a se stesso, ma la psicologia fondata sulle acquisizioni derivanti dallo studio
330 Vita e opere di Freud

dei fatti morbosi. La psicoanalisi, che Bleuler chiamò in seguito «psicologia


del profondo», era destinata nel suo aspetto teorico a proporsi questa meta
ambiziosa, come vedremo nel capitolo XVII.
Negli anni successivi gli oppositori di Freud non si stancarono di addi­
tare il fatto che l'origine stessa delle sue acquisizioni inficiava la loro ge­
neralizzazione. Come si poteva dedurre dagli stati di anormalità e di «ma­
lattia» qualcosa che fosse valido per la mente? A parte la difficoltà di
trovare questi famosi individui normali e con la testa a posto - giacché
ognuno presenta reazioni nevrotiche alla vita o cicatrici riportate nel ten­
tativo di controllare le reazioni stesse -, ciò che tali critici non riescono
a capire è il fatto che le reazioni nevrotiche, una volta analizzate, risultano
più vicine alla base originaria dello sviluppo mentale di quanto lo siano
i punti estremi della cosiddetta «normalità».
Freud stesso dei suoi Studi sull'i.Jterismo ha rintuzzato sul nascere questa
obiezione: «In questo lavoro bisogna naturalmente liberarsi in modo asso­
luto dal preconcetto teorico di avere a che fare con cervelli anormali di
degenerati o déséquilibrés, caratterizzati da una particolare insufficienza,
la facilità, cioè, di mettere da parte le comuni leggi psicologiche dell'as­
sociazione delle idee tra loro, oppure cervelli nei quali un'idea qualsiasi può
asswnere senza alcun motivo un'intensità sproporzionata, e un'altra invece
restare indistruttibile pur senza alcuna ragione psicologica. L'esperienza di­
mostra che nell'isterismo è vero l'inverso: una volta scoperti e presi in consi­
derazione i motivi nascosti - che spesso restano inconsci - non rimane niente
di enigmatico o di arbitrario nelle associazioni dei pensieri degli isterici.»2
Nell'Interpretazione dei sogni Freud forni un altro argomento convin­
cente, basato sulla spiccata somiglianza tra la struttura essenziale dei sogni
e quella delle nevrosi: «Vediamo dunque che il meccanismo psichico messo
in opera dalle nevrosi non si realizza perché preesiste un disturbo morboso
a carico della mente, ma è già presente nella struttura normale dell'appa­
rato mentale. I due sistemi psichici, la censura che si trova nel punto di
passaggio fra loro, il modo in cui una delle due attività inibisce o si
sovrappone all'altra, i rapporti di entrambe con la coscienza: tutto ciò ap­
partiene alla struttura normale del nostro strumento mentale, ed i sogni
ci indicano una delle vie che conducono alla conoscenza di tale struttura.»3
L'atteggiamento di Freud nei confronti della sessualità getta ulteriore luce
sui suoi interessi fondamentali e sui motivi che lo spinsero avanti nelle
sue ricerche, luce che chiarisce anche meglio le considerazioni precedenti.
La psicopatologia del primo periodo (1890-1897) 331

Da un lato non c'è dubbio che egli si fosse molto eccitato nello scoprire
che i fattori sessuali svolgono un ruolo essenziale nel determinismo delle
nevrosi - sottolineo «essenziale» perché il ruolo di fattori occasionali è
stato frequentemente ammesso - e che una delle sue ambizioni principali
fosse quella di completare nei minimi particolari la sua teoria della libido
per spiegare le nevrosi. D'altro lato però le sue descrizioni delle attività
sessuali sono puri elenchi di fatti, al punto che molti lettori le hanno
trovate quasi aride e totalmente mancanti di vita. Per quanto sapevo di
lui, direi che Freud metteva un interesse personale minore della norma
in quello che rappresenta spesso un argomento allettante: egli non provava
nessun piacere e nessun gusto a parlare di questioni sessuali. Si sarebbe
anzi trovato fuori posto nelle sale dei soliti club, perché raccontava storielle
sporche assai di rado, e comunque solo quando si prestavano come esempio
di un'asserzione più generale. Freud ha sempre dato l'impressione di una
serietà fuori del comune - non sarebbe esagerato definirla «puritana» ­
e tutto quello che sappiamo del primo periodo della sua evoluzione con­
ferma questo modo di vedere.
Si può quindi ben comprendere la sua sorpresa quasi ingenua nel vedere
quale fredda accoglienza facesse seguito all'annuncio delle sue scoperte.
«Dapprima non avevo capito la particolare natura di ciò che avevo scoperto.
Senza neanche pensarci, sacrificai la mia fama di medico a questo principio,
e con le mie inchieste circa l'azione dei fattori sessuali nell'eziologia delle
nevrosi mi preclusi lo sviluppo di una numerosa clientela privata di
malati di nervi; ne ricavai però un gran numero di fatti nuovi, che con­
fermarono esattamente la mia convinzione dell'importanza pratica del fat­
tore sessuale. In tutta buona fede parlai davanti alla Società di Neurologia
di Vienna, allora presieduta da Krafft-Ebing, aspettandomi di risvegliare
l'interesse ed il riconoscimento dei miei colleghi per le perdite materiali
cui ero andato volontariamente incontro. Trattai le mie scoperte come nor­
mali contributi scientifici e speravo di venire abbordato nello stesso spirito,
ma il silenzio con cui furono accolte le mie affermazioni, il vuoto che si
formò intorno a me, le insinuazioni che mi giunsero, mi fecero capire a
poco a poco che non si poteva pretendere che le opinioni sul ruolo della
s~ss~alità . ne~l'e,tiologia delle n~vro~i venissero accolte alla stessa stregua
di Clvel~IOO1 d altro genere. MI resI conto che da allora in poi avrei fatto
parte di coloro che "hanno rubato i sonni del mondo" , come dice Hebbel ,
e che non avrei potuto fare assegnamento sull'obiettività e la tolleranza.
332 Vita e opere di Freud

Siccome però la mia sicurezza della precisione di tutte le mie osservazioni


e conclusioni s'accresceva sempre più, e poiché la mia fiducia nel mio
proprio giudizio non era certo piccola, e comunque maggiore del mio co­
raggio morale, ~on potevo aver dubbi sugli sviluppi della situazione.
Conclusi che ero stato fortunato a scoprire concetti tanto importanti, e mi
preparai ad accettare il destino che talvolta accompagna simili scoperte.»4
Com' è possibile spiegare una simile contraddizione? Si potrebbe azzar­
dare l'ipotesi che l'interesse di Freud per le attività sessuali, cos1 come
quello per i disturbi del linguaggio, derivasse dal fatto che la sessualità è
fatta di componenti fisiche e psichiche altrettanto evideQti. Il concetto di
libido è insomma psichico o fisico nella sua origine? Ecco un altro aspetto
dell'enigma dei rapporti tra corpo e mente, e della trasformazione della
psicologia in una disciplina biologica o magari fisiologica. ~ proprio questo
aspetto della sua scoperta che interessava maggiormente Freud.

Già nel primo anno o due di pratica, cioè ai primi contatti con i pro­
blemi delle nevrosi, Freud cominciò ad appassionarsi all'argomento. Nel
1887 disse che stava progettando una monografia dal titolo CaratterÌJtiche
generali delle affezioni isteriche, ambizione indubbiamente notevole per un
principiante. li Nel febbraio successivo accennò al fatto che un primo ab­
bozzo del lavoro era già pronto,6 invece il libro non fu mai stampato e
disgraziatamente Freud non ne conservò nemmeno il manoscritto. 7 Pro­
babilmente si era reso conto di quanto un progetto del genere fosse pre­
maturo.
Fliess ha conservato tuttavia un lungo saggio e quattordici manoscritti
inviatigli di tanto in tanto da Freud per tenerlo al corrente dei progressi
che andava facendo in psicopatologia. Essi sono stati pubblicati tutti 8 e
costituiscono un valido complemento alle opere stampate di Freud, in
quanto ci permettono di avere un'idea del graduale svolgersi delle sue idee.
Già nel lavoro sulle paralisi isteriche, del 1893, si trovano, accanto alle
idee di ordine più tecnico-diagnostico, due idee generali di ordine psico­
patologico. Quando si usa l'espressione «affezione funzionale della cortec­
cia», come qualche neurologo ancora fa, un patologo immagina una lesione
passeggera e localizzata, magari invisibile dopo la morte. Lesioni simili pos­
sono essere prodotte dall' edema o dall'anemia, per cui una paralisi isterica
di un braccio potrebbe essere determinata ad esempio dall'interessamento
del centro del braccio, situato in prossimità della scissura di Rolando. Freud
La psicopatologia del primo periodo (1890-1897) 333

combatté una simile idea con energia e chiarezza, e avendo dimostrato che
una paralisi isterica differisce nettamente da. una paralisi organica per il
fatto che la sua distribuzione non rispetta le condizioni anatomiche ma
corrisponde al concetto psichico di «braccio», affermò che l'unica spie­
gazione possibile di tale fatto era questa: il concetto di «braccio» do­
veva essere stato escluso dal resto della coscienza. Era una questione di
interruzione delle associazioni mentali. Nei contributi che seguirono subito
dopo, Freud esaminò le ragioni di questo fatto, e suggerl fin da allora
che esso fosse dovuto ad una eccessiva saturazione affettiva di qualche
idea connessa con quella del braccio, che occupava l' «affinità associativa»
di quest'ultima, impedendone cosi l'accesso alle associazioni coscienti in
generale ed alla volontà. Nel suo insieme l'argomento costituisce una vera
e propria continuazione dell' «antilocalizzazione» sostenuta da Freud nel
libro sull'afasia.
Nel corso di quello stesso anno era già comparsa la comunicazione preli­
minare scritta in collaborazione con Breuer, che contiene la ben nota affer­
mazione che «i pazienti isterici soffrono sopra tutto per le reminiscenze».
Si continua a sostenere l'idea - desunta da Charcot - che un trauma
psichico determini i sintomi isterici, ma si precisa che la causa efficiente
non è il trauma in sé, ma il suo ricordo. Il trauma non è un fattore sca­
tenante o precipitante, ma ricorda piuttosto - nella sua traccia mnemo­
nica - un corpo estraneo che continui ad irritare la mente. Negli Studi
sull'isterismo9 Freud corresse poi tale analogia: «L'organizzazione pato­
gena non si comporta proprio come un corpo estraneo, ma piuttosto come
un infiltrato, e in tale paragone la resistenza corrisponde al materiale in­
filtrante. La terapia quindi non consiste nell'asportare qualcosa - in quanto
ormai è impossibile - ma nell'eliminare la resistenza e aprire cosi una
strada alla circolazione in un territorio finora vietato.» In seguito Freud
colse anche ùn certo numero di analogie fra psicoterapia e chirurgia. lO
Tutti questi concetti sono legati agli esperimenti pratici di catarsi di
Freud e di Breuer. Binet aveva già osservato che la terapia suggestiva è
più efficace quando l'attenzione del paziente viene fatta convergere sul
~omento in cui il sintomo ha fatto la sua prima apparizione, ma prima
d! Breuer nessuno aveva messo in rapporto questa rievocazione con il
fenomeno della abreazione. Negli Studi sull'isterismo gli autori sottolinea­
~an~ che la semplice riesumazione del ricordo, priva di abreazione affettiva,
e di scarso valore terapeutico, e si addentravano nella discussione della
334 Vita e opere di Freud

natura e del significato di tale abreazione. A meno che vi sia qualche


ostacolo, il disturbo psichico arrecato dal trauma può éssere eliminato sia
per riassorbimento totale nell'intero complesso delle associazioni mentali,
che per la via ben nota delle emozioni «di sfogo» (collera, pianto, ecc.)
Una simile scarica della carica affettiva può essere impedita in .due cir­
costanze: 1. la situazione sociale può rendere impossibile l'espressione del­
l'emozione, oppure il trauma può essere connesso a qualcosa di talmente
spiacevole per l'individuo che egli può averlo volontariamente «repres­
so». ~ questa la prima volta che Freud adopera nei suoi scritti la parola
verdrangt l l che oggi ha assunto un significato più tecnico. Il trauma in
se stesso viene definito come una paura, vergogna o dolore psichico; 2. il
trauma può essersi verificato durante uno di quegli stati di astrazione men­
tale per cui Breuer aveva coniato il termine «ipnoide», e che secondo lui
erano caratterizzati da un'intensa attività fantastica accompagnata da dolore
o da pensieri sessuali. 12 Nel lavoro in collaborazione Freud aveva appro­
vato un po' a malincuore l'affermazione che «l'esistenza di stati ipnoidi è
la base e la condizione per l'isterismo»,13 ma con il passare del tempo i
suoi dubbi su questo punto aumentarono sempre più e, nel suo capitolo
dedicato alla psicoterapia negli Studi (scritto due anni dopo) egli espresse
l'opinione che un meccanismo di difesa (rimozione) preceda ciascuno di
tali stati.H Un anno dopo egli ripudiò nettamente il concetto11i che a
partire dal 1900 era diventato «quella disgraziata idea che mi è stata
imposta»16 e l'anno dopo «un'idea superflua e sbagliata»,11 Infine essa
fu completamente sostituita dalla sua teoria della «difesa» (rimozione). Il
concefto degli stati oniroidi di Breuer era derivato evidentemente dalla
psichiatria francese, dove tanto si era lavorato sull'ipnosi e dove era di­
ventato normale spiegare l'isterismo con una tendenza congenita alla dis­
sociazione della coscienza. Breuer, a quanto pare, aveva inizialmente ap­
provato questa idea, respingendo però energicamente la spiegazione sem­
plicistica datane da Janet. 18
A questo punto diventa necessario conoscere meglio i contributi che
Breuer dette alla psicopatologia. Nel capitolo sulla Teoria da lui scritto
per gli Studi si nota quale importanza fondamentale egli attribuiva all'idea
che la base dell'isterismo fosse costituita da un'eccitabilità anormale del
sistema nervoso, per cui un eccesso di energia libera, non potendo essere
utilizzata, diventava passibile di conversione nei sintomi somatici. Breuer
descriveva chiaramente la natura regressiva delle allucinazioni, attribuen­
La psicopatologia del primo periodo (1890-1897) 335

done l'intensità e la qualità spiccatamente oggettiva ad una eccitazione del


sistema percettivo derivante da tracce mnemoniche. 19 Questo è uno dei
due sensi nei quali Freud usò in seguito il termine «regressione» sviluppan­
dolo poi in modo particolare in rapporto ai processi onirici. Breuer non
concordava con Moebius sul fatto che tutti i sintomi isterici hanno un' origine
psicogena,20 e citava come altrettante eccezioni i disturbi vasomotori e cu­
tanei. Fu lui che introdusse il termine bewusstseinsunfahig 21 (inammissi­
bile per la coscienza) che è stato da allora largamente impiegato in psico­
analisi per designare quelle idee che, pur possedendo un'intensa carica
affettiva, non riescono ad entrare nella coscienza (in realtà proprio a
causa dell'emozione, e non suo malgrado). Breuer chiama tali idee «in­
consce» e definisce sprezzantemente «giuochi di parole» le discussioni sul
significato di questo termine. Il suo punto di vista, comunque, è assoluta­
mente fisiologico, e infatti egli descrive il funzionamento psichico nei ter­
mini di una complessa riBessologia, senza accennare minimamente agli aspetti
volitivi e finalistici sottolineati da Freud.
La Comunicazione preliminare, proprio come suggerisce il suo titolo, tenta
di descrivere brevemente il meccanismo dei sintomi isterici, prescindendo
dalle cause più profonde della malattia. Del resto, meno di tre anni dopo,
in una lettera a Fliess, Freud dice che riteneva di «poter curare non solo
i sintomi isterici, ma anche la predisposizione all'isterismo»,22 e questo gli
dava una certa soddisfazione: non aveva vissuto quarant'anni invano. In
realtà già prima, in una conferenza sull'isterismo tenuta il 28 ottobre 1895
al Wiener medizinische Doktorenko//egium, Freud aveva esposto le ragioni
per cui riteneva possibile una cosa del genere. Egli aveva spiegato che solo
le rimozioni esercitate dopo la pubertà sono tali da innestarsi su quelle
della prima infanzia, non essendone altrimenti possibili di nuove. Perciò
qualora le precedenti venissero debitamente risolte, la nevrosi sarebbe stata
definitivamente scongiurata. Freud si concedeva addirittura questa immagi­
nosa allegoria: «Si ha l'impressione di un demone che lotti per non esser
trascinato alla luce del giorno, sapendo che essa segnerebbe la sua fine.» 23
I due abbozzi della Comunicazione preliminare scritti da Freud più o
meno in collaborazione con Breuer contengono in forma più schematica
le stesse idee fondamentali, e cioè quella del trauma psichi co, il cui ricordo
ha effetto patogeno, e quella dell'esclusione della coscienza. Prima di svi­
luppare gli abbozzi, però, Freud aveva pubblicato nel commento di una
delle opere di Charcot da lui tradotte la prima nota assoluta di una nuova
336 Vita e opere di Freud

teoria sui sintomi isterici. Il passo seguente è particolarmente significativo:


«lo [sic} ho tentato di abbordare ii problema delle crisi isteriche in modo
diverso da quello puramente descrittivo, e, dall'esame di pazienti isterici
sotto ipnosi, ho ottenuto nuovi risultati che posso esporre in parte qui:
il nucleo dell' attacco isterico, in qualunque forma esso si presenti, è un
ricordo, cioè è fatta rivivere su un piano allucinatorio una scena che ebbe
un certo significato nel determinare la malattia. Questo processo, che diventa
evidente nella fase definita attitudes passionelles, è presente anche quando
l'attacco sembra consistere esclusivamente in fenomeni motori. Il contenuto
del ricordo è di solito il trauma psichico, sia esso di un'intensità tale da
essere ritenuto dal paziente sufficiente a determinare l'attacco isterico, sia
esso un evento divenuto traumatico per il fatto di essere accaduto in un
momento particolare.
Nei casi di isterismo cosiddetto "traumatico" questo meccanismo colpisce
anche l'osservatore più superficiale, tuttavia esso può essere messo in evi­
denza pure nei casi di isterismo in cui non vi fu nessun trauma rilevante
isolato. In tali casi si trova una serie di traumi minori o anche di ricordi,
spesso di per sé indifferenti, ma resi traumatici dall'intensità del fattore
predisponente. Un trauma può esser definito come un aumento di eccita­
zione nell'ambito del sistema nervoso, che quest'ultimo non riesce ad im­
piegare in reazioni motorie.
L'attacco isterico va forse considerato come un tentativo di completare
la reazione del trauma.»24
Questo è un esempio dell'entusiasmo con cui Freud avrebbe poi soste­
nuto «la somma delle eccitazioni», concetto preso evidentemente a prestito
dalla fisiologia. Egli lo espresse anche in un'altra frase: «i sintomi sono
iperdeterminati». 25

:e bene rendersi conto non solo del fatto che Freud si interessava alla
psicopatologia perché questa gli avrebbe offerto nuove vie d'accesso alla
psicologia, ma anche del fatto che le sue teorie psicopatologiche furono
intessute fin dagli inizi di prindpi generali e di assunti di ordine psico­
logico. Questo risulta chiaramente dal «Manoscritto D» (primavera del
1894) della corrispondenza con Fliess, nel quale il meccanismo delle ne­
vrosi è intravvisto nei termini della «teoria della costanza» applicata sia
alla psiche che al cervello.~ L'esposizione delle teorie psicopatologiche freu­
La psicopatologia del primo periodo ( 1890- 1897) 337

diane avrà perciò da guadagnare in profondità dalla discussione dei prindpi


generali di psicologia di Freud, contenuta nel capitolo XVII.
Della dozzina di contributi che egli pubblicò negli anni 1893-1898 ve
ne sono tre particolarmente importanti per lo sviluppo della sua psicopa­
tologia, ai quali limiteremo il nostro esame. Si tratta di due lavori sulle
Neuropsicosi di difesa e di uno sulla Etiologia dell'isterismo.
Nel primo, pubblicato l'anno prima degli Studi sull'isterismo, Freud pen­
sava ancora che esistessero tre forme d'isterismo, e cioè la forma di difesa,
quella ipnoide e quella di ritenzione. Alla prima forma, che era destinata
a restare ben presto l'unica, egli attribuiva già allora l'importanza maggio­
re. Lo scopo della difesa nei riguardi dell'idea spiacevole - processo che
Freud chiamò in seguito «rimozione» - era quello di indebolirla spoglian­
dola della sua componente affettiva, e veniva realizzato convogliando l'ener­
gia affettiva in correnti somatiche. Freud propose il termine «conversione»
per definire questo processo. 27 Anche cos1 però la «traccia mnemonica» del
trauma resta isolata dal resto della psiche, e può costituire il nucleo di un
sistema secondario. L'affettività deviata può però, in qualche occasione,
ritornare dall'innervazione somatica all'idea cui era stata in un primo tempo
connessa, e in tal caso il risultato può essere quello di un attacco isterico.
Freud spiegava le ragioni per cui respingeva la teoria di Janet che con­
siderava l'isterismo come una inferiorità mentale congenita tale da facili­
tare la dissociazione della coscienza, e approvava il concetto di Striimpell,
per cui «nell'isterismo il disturbo sta nella sfera psicopatologica, dove corpo
e mente sono legati l'uno all'altra». Nell'interpretare i sintomi isterici come
effetto dell' innervazione somatica disturbata dalla dissociazione della co­
scienza, cioè come effetto della «conversione» dell'energia affettiva, Freud
deve essersi sentito 'del tutto a suo agio nel rapporto, previsto dalla sua
teoria, tra fisiologia e psicologia.
Sembra probabile che egli abbia derivato il concetto di «conversione»
dalla sua ricerca di sette anni prima sulla natura delle paralisi isteriche. 28
Infatti la principale conclusione di quel lavoro era che le paralisi isteriche
fossero il risultato di idee piuttosto che di lesioni anatomiche: in altre
parole, la manifestazione somatica ricopriva qualcosa di psichico .
. Nei soggetti non predisposti alla deviazione somatica dell'affettività, la
dl,fes~ contro l'idea spiacevole fa sI che l'affettività venga spostata da que­
st ultima a qualche altra idea indirettamente associata, ma più tollerabile ,
che. a sua volta viene investita da una carica affettiva sproporzionata. Anche
Vita e opere di Freud

qui Freud usava le parole «dislocato» e «trasposto» per «spostato». Questo


è il meccanismo delle ossessioni.
Quando infine l'idea spiacevole è inscindibilmente legata alla realtà ester­
na, la difesa contro di essa può avere come risultato una negazione della
realtà, come per esempio una psicosi allucinatoria.
In uno dei suoi lavori in francese, Freud richiamava l'attenzione sul fatto
che nelle psiconevrosi l'effetto di un ricordo è superiore a quello dell'evento
traumatico stesso. 29 L'unico equivalente psicologico di questo fenomeno
potrebbe essere l'esempio di un' esperienza sessuale prepuberale risvegliata
dopo la pubertà.
Gli altri due lavori, apparsi entrambi dopo due anni (1896), dimostrano
un notevole perfezionamento della costruzione teorica di Freud. Egli si sta
ora avvicinando al massimo delle sue possibilità, sebbene manchino ancora
uno o due anni alle sue scoperte più importanti.
Nelle Ulteriori osservazioni sulle neuropsicosi di difesa, si afferma fin
dalle prime pagine che la «difesa» è «il nucleo del meccanismo psichico»
della psiconevrosi, e si comincia a chiamarla «rimozione». I due termini
sono usati alternativamente, perché è solo dopo alcuni anni che Fre.ud
studierà o magari si renderà conto dell'esistenza di varie altre difese oltre
alla rimozione. 30
~ a proposito della nevrosi ossessiva che troviamo qui le conclusioni più
originali. Freud comincia semplicemente con questa frase: «Le idee osses­
sive sono invariabilmente rimorsi che dopo la loro rimozione riemergono
in forma diversa e che si riferiscono sempre a qualche atto sessuale Pia­
cevole compiuto nell'infanzia.»S1 Quindi egli descrive classicamente lo
sviluppo dei fenomeni. Nel primo periodo non si sa bene che cosa ac­
cada. Nel secondo, all'inizio· della «maturità» sessuale (psichica), che è
spesso precoce (dagli otto ai nove anni) non vi è nessun rimorso circa il
ricordo degli atti (originariamente piacevoli), ma si sviluppa un sintomo
di difesa primario: scrupolosità in genere, vergogna, sfiducia in se stessi,
insomma quelle che chiameremmo oggi «difese caratteriali». Il terzo pe­
riodo, quello della malattia vera e propria, è caratterizzato dal ritorno dei
ricordi rimossi, cioè da una insufficienza della difesa.
I ricordi ritrovati ed il rimorso ad essi connesso, però, non si presen­
tano alla coscienza immodificati. L'idea ossessiva e la carica affettiva che
prendono il loro posto sono formazioni di compromesso, composte di ma­
teriale preso sia dalle idee rimosse che da quelle rimoventi.
La psieopatologia del primo periodo (1890-J 897) 339

Qui troviamo dunque, citati per la prima volta, due meccanismi psichici
che da allora sono divenuti altrettanti costituenti importanti di ogni teoria
psicoanalitica: le nozioni di «formazione di compromesso» e di «ritorno
del rimosso». In un manoscritto spedito a Fliess un anno dopo (25 maggio
1897) Freud usò il termine «compromesso-spostamento» e descrisse le varie
forme assunte da tale meccanismo in diverse condizioni: nell'isterismo lo
spostamento segue una via qualunque di associazione contigua, nella ne­
vrosi ossessiva esso segue la via dell'associazione per somiglianza delle idee,
nella paranoia infine segue connessioni causali.
A questo stesso proposito notiamo due importanti affermazioni: 1. che
la rimozione è effettuata dall'Io, e 2. che non solo la traccia mnemonica
originale, ma gli stessi rimorsi, cioè i derivati della coscienza, possono
essere rimossi. 32 Per molti anni in psicoanalisi si è tenuto scarso conto di
quest'ultima considerazione, e ci si è preoccupati di scoprire il contenuto
sessuale delle idee rimosse. Non può sorprendere perciò che per molto
tempo il pubblico abbia creduto che l'inconscio, secondo la psicoanalisi,
sia pieno di idee sessuali, vera cloaca di nefandezze. Fu solo quando Freud
studiò il super-Io, un quarto di secolo più tardi, che l'equilibrio fu rista­
bilito: allora si poté dire che l'inconscio conteneva sia gli elementi umani
«più alti» che i «più bassi».
Nella nevrosi ossessiva vanno distinte due forme primarie: una in cui
il rimorso, spostato dalla sua idea originale, converge su un'altra, associata,
e di contenuto non più sessuale; un'altra in cui la carica affettiva del
rimorso stesso si è trasformata in qualche altro tipo di affettività, in ge­
nere in angoscia morbosa. Freud elenca una serie di questo secondo tipo
di forme.
Una terza forma di nevrosi ossessiva è caratterizzata da sintomi di difesa
Iecondari, cioè da misure protettive di vario tipo che, quando sono efficaci,
assumono l'aspetto, di coazioni. Ne risultano allora azioni ossessive, apo­
tropaiche.
. Il lavoro in. questione terminava con un elenco delle analogie e delle
differenze tra I meccanismi della paranoia e quelli della nevrosi ossessiva,
ch~ costitu.iva l'esordio di Freud nel campo delle psicosi. Dopo aver di­
chlarat? di avere studiato molti altri casi del genere, Freud analizzava
dettaglIatamente un caso di paranoia cronica in una donna di trentadue
anni: 33 • E~li in~isteva più di tutto sul fatto che il rapporto tra sintomi e
pensierI rImOSSI era cos1 evidente da giustificare il tentativo di interpretare
34° Vita e opere di Freud

tali casi come «neuropsicosi di difesa». Usava il termine «proiezione» per


designare il meccanismo psicologico più caratteristico della paranoia e spie­
gava perché questa affezione, a differenza della nevrosi ossessiva, non metta
in opera difese secondarie. Il motivo è questo: 1'10 non può più proteggere
se stesso, ma è costretto a modificarsi per accettare i sintomi determinati
dal «ritorno del rimosso», che costituiscono i deliri. Freud suggeriva inoltre
che l'apparente debolezza della memoria in tali casi non è un processo
distruttivo, ma è funzionale, e determinato dalla rimozione.
In una lettera a Fliess (2 novembre 1896) egli espresse il suo divertimento
per «la reazione alla mia intrusione nella psichiatria». Rieger di Wiirzburg,
in una recensione del lavoro per gli «Jahrbiicher fiir Psychiatrie» aveva
scritto che «nessuno psichiatra può leggerlo senza rabbrividire». Quanto
alla parte sulla paranoia, «quel genere di cose non può portare ad altro che
ad una psichiatria da donnette, semplicemente orribile».34
Freud aveva anche tentato, senza molto successo, di spiegare la genesi
della melancolia, che non fu mai pubblicato e che ci è noto solo da una
lettera del gennaio 1895. 35 Egli divideva la melancolia in tre gruppi: la
vera melancolia di tipo periodico o circolare, la melancolia nevrastenica (con­
nessa con la masturbazione) e la melancolia _associata a grave ansia. Oggi­
giorno queste ultime due sarebbero chiamate semplicemente depressioni.
Egli fu colpito dal rapporto con il dolore - che in seguito avrebbe vantag­
giosamente approfondito - e perciò definl la melancolia come un dolore
per qualche perdita - probabilmente di libido. Insistette pure sullo stretto
rapporto esistente tra l'anestesia sessuale e la «melancolia». La spiegazione
che ne dette era in parte di ordine fisiologico: quando la libido diminuisce
d'intensità, una corrispondente dose di energie viene ritirata dai «neuroni»
associati. Quindi la sofferenza della melancolia è dovuta al dissolversi
delle associazioni.
A quell'epoca Freud non era ancora soddisfatto della base teorica della
rimozione. Per esempio egli si chiese perché essa venga esercitata solo verso
le idee sessuali (asserzione che risultò poi piuttosto dubbia), e tentò di spie­
garlo supponendo che le esperienze sessuali della prima infanzia non ab­
biano il valore affettivo che esse hanno invece dopo la pubertà (molto
dubbio anche questo). ::e il successivo ricordo di esse, rinforzato dalle più
forti emozioni che seguono la pubertà, che viene rimosso. Freud aggiun­
geva: «Un rapporto inverso di questo genere tra esperienza reale e ricordo
sembra la condizione psicologica della rimozione.»36 Non s'inganQava però
La psieopatologia del primo periodo ( 1890- 1897) 341

in questa affermazione: «La rimozione del ricordo di un'esperienza ses­


suale spiacevole negli anni della maturità è possibile solo per coloro nei
quali tale esperienza può riattivare la traccia mnemonica di un trauma in­
fantile.»37
Come s'è detto,SB il concetto di rimozione si originò in Freud come
semplice supposizione, dall'aver osservato gli sforzi fatti dai pazienti per
«resistere» alla rievocazione di ricordi sepolti: l'una cosa è l'inverso del­
l'altra. :e però possibile che l'insoddisfazione di Freud per la base teorica
del concetto derivasse dal suo vecchio desiderio di fondere le concezioni
fisiologiche con quelle psicologiche. Dopo tutto, il concetto fisiologico di
«inibizione», che anni dopo egli commentò estesamente in termini psico­
logici, non è del tutto remoto da quello di rimozione. La differenza prin­
cipale sta neI fatto che nel primo l'accento sta sul freno di una funzione,
mentre nel secondo esso sta sulla dissociazione di essa, pur essendone con­
servata l'attività. Lo stesso Meynert, maestro di Freud, aveva fatto un
tentativo piuttosto buffo di tradurre l'inibizione fisiologica in una termi­
nologia psicologica o addirittura morale. 39 Egli aveva messo la coscienza
in rapporto con le attività corticali, e come funzione essa era secondaria a
quelli da lui definiti «movimenti riflessi primari» dei centri sottocorticali
associati a fame, sete, ecc.). Una stava sopra, gli altri sotto, e, mentre la
prima rappresentava la parte buona e socievole della natura umana - svi­
luppo secondario determinato dal fatto che il bambino apprende ad amare
le persone che lo circondano -, i secondi rappresentavano invece gli aspetti
primitivi dell'umanità, egoistici e asociali. La funzione della corteccia, che
Meynert chiamava «lo secondario», inibiva o frenava le attività sottocorti­
cali, l' «lo primario».40
Con ciò Meynert aveva tradotto in termini fisiologici (e morali) una
concezione psicologica di Herbart, le cui teorie lo avevano notevolmente
influenzato. Herbart, che aveva usato effettivamente la parola Verdrangung,
aveva commentato la nozione di un'idea che ne scaccia un'altra fuori dalla
~oscienza (senza addurre alcun motivo che potesse spiegarlo) ed aveva
lO~egnato che l'idea espulsa poteva poi influenzare lo stato d'animo co­
SClente. n
~egli. anni seguenti il famoso neurologo inglese Head fece un altro ten­
tativo dI t~adurre in fisiologia il concetto di rimozione mettendolo in rap­
porto con ti controllo «epicritico» delle sensazioni «protopatiche» _ prima
Vita e opere di Freud

ancora che l'erronea base di una simile distinzione fosse esposta da Trotter
e Davies.
L'ultimo importante lavoro dei tre precedentemente citati, pubblicato nello
stesso mese di quello che abbiamo or ora considerato, esponeva le opinioni
maturate da Freud e da lui espresse davanti alla Società di Psichiatria e
Neurologia nel maggio 1896. Egli cominciava col sottolineare che l'origine
di ogni sintomo isterico può essere accettata come tale solo se soddisfa due
condizioni: deve possedere un carattere determinante sufficiente e la potenza
traumatica necessaria. Illustrava quanto sopra con l'esempio del vomito iste­
rico dovuto a qualche esperienza capace di evocare la nausea. Esso è diffi­
cile da spiegarsi con una storia di incidente ferroviario, che può soddisfare
la seconda condizione ma non la prima, come pure con il fatto di aver
mangiato un frutto marcio, che può soddisfare la prima condizione ma non
la seconda. La maggior parte delle esperienze alle quali risale la comparsa
dei sintomi soddisfano l'una o l'altra delle due condizioni, raramente en­
trambe, e abbastanza spesso nessuna delle due. In tali circostanze neanche
il risultato terapeutico è soddisfacente.
Questa è un'altra di quelle situazioni in cui un altro uomo si sarebbe
scoraggiato o avrebbe mandato all' aria il lavoro. Invece un certo intuito,
basato presumibilmente sulla sua fede nel determinismo delle associazioni
mentali, gli disse che la difficoltà della situazione poteva dipendere dal fatto
che lo studio dei malati era stato incompleto e che i ricordi ottenuti erano
di quel tipo che Freud avrebbe poi definito «ricordi di copertura», dietro
i quali si nascondono quelli importanti, ancora sepolti. Questa supposizione
si rivelò corretta, e da un esame più approfondito emersero tre fatti: 1.
nessun caso d'isterismo si origina da un'unica esperienza; si tratta di una
collaborazione tra il ricordi (iperdeterminismo); questo veniva sostenuto come
regola assoluta; 2. le esperienze significative sono invariabilmente di natura
sessuale e si verificano nella prima infanzia; questo è il primo lavoro in
cui Freud parla della vita sessuale infantile; 3. la catena di associazioni è
di una complessità quasi incredibile; Freud la paragonava ad un albero
genealogico che contenga molti matrimoni fra consanguinei.
La cosiddetta esagerazione delle emozioni isteriche è quindi solo appa­
rente: se si risale alla loro origine esse risultano adeguate e comprensibili.
Freud osservava pure di aver raggruppato insieme l'isterismo e le altre
nevrosi ossessive come «nevrosi di difesa» prima ancora di avere capito
la loro etiologia comune nell'infanzia.
La psicopatologia del primo periodo ( 1890- 1897) 343

La differenziazione delle varie affezioni psiconevrotiche e l'isolamento dei


fattori che le determinano fu un problema che tenne Freud molto occupato
in quegli anni, e al quale egli tornò nel 1912, con un saggio importante. f2
Il IO gennaio 1896 spedl a Fliess un manoscritto che riguardava principal­
mente tale problema, e nel quale descriveva quattro tipi di deviazione pa­
tologica dell'affettività normale: 1. conflitto (isterismo); 2. rimorso (ne­
vrosi ossessiva); 3.. mortificazione (paranoia); 4. dolore (amenza alluci­
natoria acuta, «amenza di Meynert»). L'incapacità di risolvere in modo
soddisfacente questi problemi affettivi dipende da due condizioni neces­
sarie: le esperienze sessuali nell'infanzia.
La causa specifica della nevrosi ossessiva è un'esperienza spiacevole (pas­
siva) nella prima infanzia, seguita successivamente da un'altra esperienza
piacevole (e di solito attiva). Freud elencava poi le varie manifestazioni
di ciascuna delle tre fasi della malattia: la difesa primaria, i sintomi deri­
vanti dal compromesso e le difese secondarie.
Nella paranoia il rimorso esiste, ma la carica affettiva spiacevole legata
all'esperienza sessuale originaria è proiettata su un'altra persona; e si origina
cosI il sintomo primario della diffidenza. Il «ritorno del rimosso» determina
sintomi che hanno un significato di compromesso (distorti), ma essi sopraf­
fanno 1'10 e finiscono col determinare quelli che Freud definiva «deliri di
assimilazione», nei quali cioè 1'10 ha accettato il materiale estraneo.
Nell'isterismo 1'10 è sopraffatto dal carattere spiacevole delle esperienze
originarie, mentre nella paranoia questo è solo un fenomeno terminale.
Perciò il primo stadio dell'isterismo può essere definito «isterismo da spa­
vento», in modo da sottolineare l'importanza della forte angoscia nella
prima infanzia.
In una lettera del 2 maggio 1897 Freud disse di aver capito che nel­
l'isterismo non sono tanto le idee come tali ad essere rimosse, quanto gli
impulsi derivanti dalle esperienze primitive. Questa era una concezione ve­
ramente dinamica, che adombra già la successiva scoperta dell'Es. Per ora
Freud fissava" come segue ciò che nelle varie psiconevrosi irrompe nella
coscienza e dà luogo ai sintomi: nell' isterismo sono i ricordi, nella nevrosi
ossessiva gli impulsi perversi, nella paranoia le fantasie difensive.
Nel novembre di quell'anno Freud espresse a Fliess l'idea che la scelta
del tipo di nevrosi dipendesse dalla fase di sviluppo nella quale si verifi­
cava la rimozione. Due anni dopo (9 dicembre 1899) egli riconobbe che
tale scelta dipendeva dall'età del bambino secondo una semplicissima for­
344 Vita e opere di Freud

mula, e che la fase dello sviluppo sessuale contava ancora di più. Que­
st'ultima idea assunse una forma più definita negli anni successivi, ma
intanto era chiaro che le psiconevrosi in senso stre~to erano connesse con
la libido allo-erotica, la paranoia invece con quella auto-erotica.
In una lettera del 18 novembre 1887 Freud analizzò lucidamente il vero
significato che hanno nelle nevrosi i fattori contemporanei, i quali sono
stati oggetto di numerosi equivoci, per esempio nel caso di Jq,ng. Freud
affermava che la nevrosi scoppia solo quando la libido aberrante (deviata
attraverso le esperienze precoci) si fonde con motivi che hanno un valore
contemporaneo. Si tratta di un primo abbozzo del concetto che Freud defini
in seguito sekundiirer Krankheitsgewinn (conquista secondaria della ma­
lattia).
Quanto alla spiegazione del perché i ricordi di esperienze precoci siano
patogeni per alcuni individui e non lo siano per altri, si tratta di un pro­
blema connesso con il particolàre processo della «rimozione» e con le
caratteristiche delle idee inconsce, argomenti che appartengono piuttosto alla
psicologia che alla patologia.

Tenteremo ora di riassumere il contenuto dei due ultimi capitoli, in modo


da passare in rivista le acquisizioni psicopatologiche di Freud negli anni
1889-1897, considerando sia l'aspetto clinico che quello teorico del suo
lavoro.
r emica. Dopo aver curato i malati per circa due anni con le consuete
misure neurologiche (riposo, massaggio, idroterapia e stimolazione elet­
trica), verso la fine del 1887 Freud cominciò ad impiegare sistematicamente
l'ipnosi. Insoddisfatto degli aspetti puramente «suggestivi» di essa, riesumò
il «metodo catartico» di Breuer verso la metà del 1889. Nell'autunno del
1892 cominciò a fare a meno dell'ipnosi, sostituendola con la «tecnica
della concentrazione», facilitata dalla pressione ripetuta sulla fronte dei
pazienti. Egli mirava a rievocare i ricordi dimenticati seguendo accurata­
mente le associazioni fatte dai pazienti a partire dai loro sintomi. L'ipnosi
fu definitivamente accantonata dopo il 1896, anno in cui fu usata per la
prima volta la parola «psicoanalisi».
L'evoluzione di questa tecnica consistette essenzialmente nello spogliare
la ricerca dei ricordi dalle originarie condotte del dirigere, sollecitare, sug­
gerire, far domande al paziente, e simili. Fu invece adottato un atteggia­
mento passivo, e l'unica condotta att~va consisteva nel richiamare di tanto
La psicopatologia del primo periodo (J 890- J 897) 345

in tanto l'attenzione del paziente sulle associazioni che egli trascurava. Si


considerò sempre più la natura della «resistenza» piuttosto che la diretta
ricerca dei ricordi.
Con queste graduali rifiniture Freud aveva forgiato uno strumento con
il quale era in grado di penetrare nei piani inconsci della mente.
Nevrosi fisiche. Nei 1892 Freud ne tratteggiò due, sia dal Iato sinto­
matologico che da quello etiologico. Le sue conclusioni furono pubblicaté
nel 1895. Egli scopri che la nevrastenia propriamente detta si associava ad
una forma inadeguata di sfogo sessuale, e soprattutto al1a masturbazione;
la nevrosi d'angoscia invece ad una eccitazione sessuale eccessiva, i cui
effetti non venivano lasciati arrivare al1a coscienza. In quest'ultima nevrosi
Freud pensò che l'energia sessuale deviata si trasformasse in angoscia mor­
bosa, e sottolineò l'analogia del1e manifestazioni fisiche di essa (palpita­
zioni, ecc.) con quel1e che accompagnano il coito.
Psiconevrosi. Freud esordi in questo campo nel1a scia dei contributi di
Breuer e Charcot. Quest'ultimo, sottolineando l'importanza del fattore trau­
matico, gli rese difficile la percezione degli aspetti dinamici, mentre il primo,
mettendo l'accento sugli stati ipnoidi, gli fece comprendere in ritardo il
significato dei meccanismi di difesa.
Le osservazioni personali di Freud sui fenomeni del1a «resistenza» e dei
«transfert» risalgono rispettivamente al 1890 e al 1892. Successivamente
egli dichiarò che questi due concetti erano stati il suggel10 del1a psicoana­
lisi. Il contributo più importante e più originale di Freud in questo campo
fu la sua scoperta del fatto che le psiconevrosi sono dovute ad una intol­
leranza dei ricordi riguardanti esperienze sessuali infantili (1894). Questo
lo portò qui a mettere in luce la sessualità infantile (1898).
Egli trovò che nel1'isterismo tali pregresse esperienze erano tipicamente
passive, mentre nel1a nevrosi ossessiva erano attive, e pensò che le prime
consistessero in episodi di seduzione da parte di adulti. A metà del 1897
scoprl però che, la maggior parte del1e volte, i «ricordi» in questione erano
originati da fantasie.
Freud riusd pure a tratteggiare le varie fasi del conflitto tra 1'10 ed i
ricordi spiacevoli, ed a mettere in rapporto tali fasi con altre, corrispon­
denti, nel10 sviluppo del1e nevrosi.
Psicopatologia teorica. Il contributo più importante dato da Freud in
q~esto campo fra il 1890 ed il 1896 consiste nel1'aver capito il significato
di quel1a che egli defini la «difesa» del1'Io cosciente nei riguardi di idee
Vita e opere di Freud

troppo spiacevoli per poter essere sopportate. Ne deriva da un lato l'intera


concezione di un inconscio suddiviso in parti e quella delle complesse risul­
tanti del conflitto intrapsichico, e dall'altro lo studio del tipo delle idee
inaccettabili e delle ragioni della loro inammissibilità.
Nel 1892 Freud si era occupato nei suoi scritti della tendenza della
mente a produrre «idee antitetiche» che interferivano con le intenzioni
coscienti, ma già prima d'allora egli aveva percepito lo sforzo che i suoi
pazienti dovevano fare per vincere l'opposizione al loro tentativo di richia­
mare alla mente i ricordi dimenticati. Egli aveva definito «resistenza» tale
opposizione e, partendo da tale acquisizione, gli fu facile supporre che la
resistenza che manteneva i ricordi fuori della coscienza fosse, sotto un altro
nome, la stessa forza che ve li aveva inizialmente- relegati, e che egli defini
dapprima «difesa» e poi «rimozione».
L'idea della repressione volontaria sorse a poco a poco. In un primo
tempo Freud si era arrovellato intorno al problema del perché la carica
affettiva connessa all'idea enucleata dalla coscienza non si scarichi lungo
le varie vie consuete, e perché l'esperienza traumatica non venga assimilata.
Dipendeva dalla rimozione se in tali circostanze la carica affettiva con­
fluiva in vie di scarico somatiche (conversione) oppure si spostava su altre
idee (come nella nevrosi ossessiva).
L'idea primitiva di un «trauma» passivamente sofferto, per esempio un
tentativo di seduzione sessuale (alla quale Freud restò fedele a lungo a
causa dell'insegnamento di Charcot), lasciò il campo, dopo quattro anni,
all'intuizione che il paziente fosse personalmente coinvolto nell'esperienza
sessuale. Cosi alla concezione statica ne segui un'altra dinamica. C'erano
desideri e impulsi di cui il paziente stesso era responsabile, e la loro sco­
perta rese più comprensibile il processo della repressione.
La scoperta della natura sessuale delle esperienze dimenticate ne rendeva
inevitabile un'altra: quella della sessualità infantile. Nella forma che tale
scoperta assunse Freud intravide la «predisposizione» alle varie psiconevrosi
(e, in seguito, la formazione del carattere), concetto che fino a quel mo­
mento era stato attribuito esclusivamente a fattori ereditari.
Un problema restava ancora insoluto: perché il ricordo di un'esperienza
doveva restare, a distanza di anni, più patogeno di quanto l'esperienza era
stata Il per Il? Freud descrisse allora il processo che defini «ritorno del
rimosso» e tentò di spiegarlo in termini di modificazioni quantitative del­
l'affettività, a seconda delle varie età e delle varie situazioni.
La psicopatologia del primo periodo (1890-1897) 347

Un riassunto cos1 conciso non può dare che una minima idea dell'attività
di pensiero che Freud svolse durante quegli anni. Il suo cerveUo non fu
mai tanto attivo come in quel periodo, proprio perché egli non partì da
nessuna teoria psicologica definita, ma lottò continuamente per liberarsi daUe
concezioni semplicistiche che gli erano state inculcate, o almeno per conci­
liarle in qualche modo con il panorama più dinamico che gli veniva offerto
dalla vita dei suoi pazienti. Il passaggio dalla fisiologia alla psicologia signi­
ficò molto più che un cambiamento di punti di vista, puramente intellet­
tuale: esso annunciò un'avanzata verso profondità del proprio essere che
erano rimaste nascoste per molti anni. La lotta deve essere stata titanica.
Note

1. G.s., I, 435.
2. Studien, p. 258.
3. G. W., II-III, 613.
4. lbid., X. 60.
5. Anf., p. 62.
6. lbid., p. 63.
7. Freud aveva l'abitudine di non conservare quasi mai i suoi manoscritti.
8. Anf.
9. Studien, p. 255.

IO. lbid., p. 268.

11. G.s., I, 15.


12. Studien, pp. 190, 191.
13. G.s., I, 17.
14. Studien, p. 251.
15. G.s., I, 408.
16. Corrispondenza non pubblicata di Fliess, 28 aprile 1900.
17. G.W., X. 185.
18. Studien, p. 204.
19. lbid., p. 164.
20. P. Moebius, Ober den Begriff der Hysterie, «Centralblatt fili Nerven­
heilkunde und Psychiatrie», 1888, n. 3.
21. Neologismo, per analogia con hoffahig (che può accedere).
22. Anf., p. 138.
23. «Wiener klinische Rundschau», IX, 697.
24. Charcot, Poliklinische Vortrage, Vienna 1892, p. 107 n.
25. Studien, pp. 229, 255.
26. Anf., pp. 97, 98.
27. Sludien, pp. 235, 250.
28. V. p. 287.
29. G.s., I, 400.
30. n primo sospetto di un altro meccanismo, quello della negazione, lo
ebbe a partire dal caso di Clicilie (1891) (Studien, p. 63).
Note 349

31. G.S., I, 370.


32. lbid., p. 372.
33. In seguito riconobbe che questo caso avrebbe potuto essere diagnosticato
con più precisione come demenza paranoide.
34. Jahrbiicher fiir PJychiatrie, 1896, p. 251.
35. Anf., p. 117.
36. G.s., I, 368.
37. lbid.
38. V. p. 301.
39. T. Meynert, Gehirn und GeJittung, «Sammlung von popularwissenschaft­
lichen Vortragen iiber den Bau und die Leistungen des Gehirns», 1892, Ab­
schnitt Gehirn und GeJittung.
40. lbid., pp. 117, 144, 169.
41. J. F. Herbart, PJychologie alJ Wiuemchaft, 1824, p. 341, e Lehrbuch
zlIr PJychologie, «Siimtliche Werke», 1806, parte V, p. 19.
42. G. W., VIII, 321.
XIII. Il periodo di Fliess (1887-1902)

Arriviamo ora all'unica esperienza veramente straordinaria della vita di


Freud, dato che le circostanze della sua infanzia, sebbene importanti dal
punto di vista psicologico, furono in se stesse solo insolite, ma non straor­
c;l.inarie. Che un uomo quasi maturo, felicemente sposato e padre di sei
figli,l nutra un'appassionata amicizia per un individuo a lui inferiore intel­
lettualmente, e che gli sottoponga per diversi anni i suoi giudizi e le sue
opinioni è un fatto pure insolito, sebbene non rarissimo. Straordinario è
invece il modo in cui Freud si è liberato, seguendo una via mai percorsa
da alcun essere umano, e cioè grazie all'eroica impresa di esplorare il proprio
inconscio: questo è ve!amente eccezionale.
La storia di Fliess è molto drammatica, e tale è anche il modo in cui
il mondo ne è venuto a conoscenza. Freud distrusse le lettere scrittegli da
Fliess, mentre Fliess conservò quelle di Freud. Qualche tempo dopo la
morte di Fliess, nel 1928, la vedova vendette a un libraio. di Berlino, un
certo Reinhold Stahl, il pacchetto delle 284 lettere, estremamente intime,
insieme alle annotazioni scientifiche che le accompagnavano ed ai mano­
scritti che di volta in volta Freud aveva mandato all'amico. La signora Fliess
le vendette però solo a condizione che non passassero per le mani di
Freud, sapendo che egli le avrebbe immediatamente distrutte. In passato
Freud e sua moglie avevano voluto entrambi molto bene alla signora Fliess,
ma con il passar del tempo questa divenne sempre più gelosa degli stretti
rapporti tra i due uomini, e fece del suo meglio - aizzata in certo qual
modo da Breuer! .... per separarli. Negli ultimi tempi Freud la definl una
«donna cattiva», ma indubbiamente essa aveva le sue l'agioni, e in ogni
modo il suo ultimo colpo fu scaltro.
Durante il regime nazista Stahl fuggì in Francia e lì offrì le lettere a
n periodo di Fliess ( 1887- 19°2) 3S1

Mme Marie Bonaparte, che comprese subito la loro importanza e le ac­


quistò per cento sterline. Essa le portò ~on sé a ~ienna, dove stava facen?o
un'analisi di controllo con Freud, e glIene parlo. Nel sapere della vendIta
egli s'indignò, e, com'era sua abitudine, espresse la sua opinione sotto
forma di una storiella ebraica, quella sul modo di cucinare il pavone.
«Prima lo si sotterra per una settimana, poi lo si tira fuori.» - «E poi?» ­
«Poi si butta via.» Quindi, per sdebitarsi con Mme Bonaparte, le offri metà
della cifra spesa, ma essa rifiutò, temendo che questo avrebbe conferito a
Freud qualche diritto nella faccenda. Gli lesse pure alcune lettere per
dimostrargli il loro valore scientifico, ma Freud insistette perché fossero
distrutte. Fortunatamente Mme Bonaparte ebbe il coraggio di resistere al
suo analista e maestro, e nell'inverno del 1937-1938 depositò le lettere
alla Banca Rothschild a Vienna con l'intenzione di continuare a studiarle
al suo ritorno, l'estate seguente.
In marzo, quando Hitler invase l'Austria, si delineò il pericolo che le
banche ebraiche venissero svaligiate. Mme Bonaparte parti subito per Vien­
na dove, nella sua qualità di principessa di Grecia e Danimarca, le fu
permesso di ritirare il contenuto della cassetta di sicurezza, in presenza
della Gestapo. La polizia tedesca avrebbe sicuramente distrutto la corri­
spondenza se l'avesse scoperta, in questa occasione o già prima a Berlino.
Nel febbraio 1941, Mme Bonaparte dovette lasciare Parigi per la Grecia
che stava per essere invasa, e depositò i preziosi documenti alla legazione
di Danimarca a Parigi. Non era il posto più sicuro, ma grazie al ge­
nerale Von Cholbitz, che alla fine della guerra trasgredì gli ordini di
Hitler, Parigi, e con essa la legazione di Danimarca, furono risparmiate.
Dopo essere scampate a tutti questi pericoli, le lettere affrontarono il quinto
e ultimo, quello delle mine nella Manica, e furono cosi messe in salvo a
Londra. Erano state persino avvolte in materiale impermeabile e galleggiante
perché potessero scampare all'eventuale affondamento della nave.
A Londra furono trascritte, poi Anna Freud ed Ernst Kris scelsero
quelle adatte alla pubblicazione, e Kris aggiunse un'ampia prefazione e
una quantità di note che meritano la gratitudine di tutti gli studiosi di
Freud. ­
. L~ lettere e i brani non pubblicati, che anch'io ho potuto leggere, si
rlfenscono a dettagli poco interessanti: incontri da combinare, notizie sulla
salute dei diversi parenti e pazienti, alcuni particolari degli sforzi di Freud
per seguire la «legge dei periodi» di Fliess, e una quantità di osservazioni
352 Vita e opere di Freud

su Breuer che dimostrano come Freud covasse su di lui critiche più ener­
giche di quanto si sia generalmente creduto: nei suoi scritti infatti Freud
era sempre stato studiatamente «corretto» e persino generoso in ogni rife­
rimento al suo ex amico e sovvenzionatore.
La corrispondenza mette in luce importanti aspetti marginali della per­
sonalità di Freud in quegli anni, quello che gli piaceva e non gli pia­
ceva, le sue ambizioni e delusioni scientifiche, i suoi sforzi e difficoltà,
e il suo bisogno di avere un amico che lo sostenesse in quel momento.
Essa illumina soprattutto il tipo del lavoro intellettuale di Freud, e lo
sviluppo empirico - spesso involuto - delle sue idee, e ci rende possibile
non solo di seguire l'ordine di questo sviluppo e di localizzarne nel tempo
le varie fasi, ma anche di seguire in dettaglio i suoi continui tentativi,
spesso frustrati e spesso mal diretti, per riuscire a percepire chiaramente
le leggi connesse ai misteriosi processi che si svolgono nelle profondità
della mente. A questi sforzi costanti si accompagnano stati d'animo mute­
voli, ora di esultanza, ora. di scoraggiamento, ma mai di disperazione. La
decisione di Freud di perseverare malgrado tutte le difficoltà, non venne
mai meno. E alla fine egli risolse queste e molte altre difficoltà personali
mediante la notevole impresa di portare a termine, con l'aiuto della sua
nuova tecnica, un'autoanalisi, di cui queste lettere contengono importanti
particolari.
Per capire che cosa legasse così strettamente Freud a Fliess è necessario
sapere qualcosa di quest'ultimo (1858-1928). Egli aveva due anni meno di
Freud; era specialista delle malattie del naso e della gola e praticava la sua
professione a Berlino. Tutti quelli che lo conobbero, ad eccezione dell' equa­
nime Karl Abraham, che non si lasciò impressionare, definirono «affasci­
nante» la sua personalità. Era un parlatore brillante e interessante, di
qualunque soggetto si trattasse, ma forse la sua caratteristica principale era
una incoercibile passione per la speculazione e conseguentemente una fede
incrollabile nelle sue fantastiche idee, con un rifiuto dogmatico a criti­
carle - tratto che portò infine alla rottura della sua amicizia con Freud.
I suoi interessi scientifici si estendevano assai al di là del suo campo
specifico, soprattutto in medicina e in biologia. Fu proprio questa vastità
d'interessi che attrasse Freud e che sembrò dapprima coincidere con la sua.
Fliess partI da due semplici fatti sui quali poi costrui un'immensa sovra­
struttura di ipotesi. Essi erano: 1. che le mestruazioni ricorrono una volta
al mese, e 2. che c'è un rapporto tra la membrana mucosa del naso e l'at­
11 periodo di Fliess (J887-J902) 3S3

tività genitale: spesso tale mucosa si gonfia durante l'eccitamento genitale


o le mestruazioni.
La prima pubblicazione di Fliess, nel 1897, annunciava una nuova sin­
drome ch' egli chiamava «nevrosi nasale riflessa» e che comprendeva cefalea,
dolori nevralgici largamente distribuiti - dalla regione cardiaca a quella
lombare, dalle braccia allo stomaco - e, in terzo luogo, disturbi degli or­
gani interni, della circolazione, della respirazione e della digestione. In­
somma un quadro molto ampio. Il particolare più importante della sindro­
me era che tutte le sue manifestazioni potevano esser curate con l'appli­
cazione nasale di cocaina. Le sue cause erano sia organiche (postumi di
infezioni, ecc.) ché funzionali - disturbi vasomotori di origine sessuale.
Quest'ultimo particolare si ricollegava alle ricerche di Freud, tanto più
che la sindrome di Fliess assomigliava nel modo più spiccato alla nevra­
stenia, una delle «nevrosi attuali» di Freud. .
La specificità di questa sindrome non è mai stata confermata, né lo è
stato il concc;tto che l'irritazione nasale differisca dalle altre nei suoi effetti
nervosi. Fliess non riusd neppure a convincere i suoi colleghi del fatto
che la dismenorrea avesse un' origine nasale. Cionondimeno il fenomeno
della mestruazione gli permise di compiere un ardito volo di fantasia:
esso era l'espressione di un più ampio processo nella vita dei due sessi,
cioè la tendenza di tutte le attività vitali alla periodicità. Fliess credeva di
aver trovato la chiave di questa periodicità nell'applicazione di due nu­
meri, 28 e 23, il primo derivato evidentemente dalla mestruazione, il se­
condo probabilmente dall'intervallo tra la fine di un ciclo mestruale e
l'inizio del successivo. Egli annetteva grande importanza alla bisessualità
di tutti gli esseri umani, e riteneva che il numero 28 si riferisse alla com­
ponente femminile, il 23 invece a quella maschile. Tra questi due numeri
e i fenomeni sessuali vi era uno strettissimo rapporto.
Questi «periodi» sessuali determinavano infatti, secondo lui, le fasi della
nostra crescita, l'epoca delle nostre malattie, e la data della nostra morte.
I periodi della madre determinavano il sesso dei figli e la data della loro
nascita. Essi agivano non solo negli esseri umani, ma in tutto il regno
animale e probabilmente su tutti gli esseri viventi. Il modo mirabile con
cui ~uesti numeri spiegavano i fenomeni biologici faceva pensare senza
dubbIO a un rapporto più profondo tra i movimenti astronomici e la crea­
zione degli organismi viventi. Dal naso alle stelle, come Cyrano de Ber­
gerac!

12 - I
354 Vita e opere di Freud

Vi sono in realtà molti oscuri fenomeni che indicano una periodicità


nella vita - le fluttuazioni del desiderio sessuale sono quelli più evidenti
- ma la difficoltà è sempre consistita nello scoprire in essi una qualunque
regolarità. Inutile dire che Fliess si sbagliava di grosso pensando di avere
risolto il problema. Gli spunti mistici dei suoi scritti e la fantastica arbi­
trarietà con cui manipolava le cifre - era un numerologo per eccellenza ­
hanno in seguito spinto i critici a far rientrare la maggior parte dei suoi
lavori nel campo della psicopatologia.
L'opera principale di Fliess, Der Ab/aut des Lebens (<<li ritmo della
vita»), apparve nel 1906 e suscitò qualche fermento a Berlino e a Vienna.
lo lo lessi poco tempo dopo, e due anni più tardi ne discussi con Freud.
Sapevo che conosceva Fliess ma naturalmente ignoravo che si fosse trat­
tato di una stretta relazione. Gli domandai come Fliess se la sarebbe
cavata se un attacco di appendicite fosse seguito ad un altro dopo un
numero irregolare di giorni, e Freud mi rispose con uno sguardo mali­
zioso: «Non si sarebbe sgomentato. Era un matematico coi fiocchi, e mol­
tiplicando 23 e 28 per la loro differenza, addizionando o sottraendo il
risultato, o magari con calcoli ancora più complicati, avrebbe sempre otte­
nuto il numero desiderato.» L'atteggiamento di Freud era dunque assai
diverso da quello che aveva avuto per Fliess verso il 1890.
Tale era il bizzarro personaggio con il quale Freud era destinato ad
avere rapporti. Fliess era .venuto a Vienna nel 1887 per specializzarsi.
Avendo incontrato l'onnipresente Breuer, questi gli consigliò di frequen­
tare le lezioni che Freud teneva sull'anatomia e la fisiologia del sistema
nervoso. Cosl, per la seconda volta Breuer funse da catalizzatore nella
vita di Freud. Dalle successive discussioni scientifiche sorse tra Freud e
Fliess una mutua simpatia, e la prima lettera che Freud gli scrisse (24
novembre 1887), a proposito di un paziente, comincia cos1:
«Stimato Amico e Collega,
sebbene questa lettera sia dettata da questioni professionali, devo subito
confessarle che nutro la speranza di proseguire la corrispondenza con Lei,
e che Ella ha lasciato in me una profonda impressione che potrebbe facil­
mente indurmi a dire sinceramente in quale categoria di uomini io la
ponga.»
Fliess rispose con cordialità e inviò persino un regalo per ricordo. Alcuni
mesi dopo (29 agosto) Freud gli mandò una sua fotografia che gli era
stata richiesta. Iniziata. sotto cos1 buoni auspici, l'amicizia andò gradual­
n periodo di Fliess (1887-1902) 3SS

mente maturando e divenne intima a partire dal 1893, con una corrispon­
denza regolare. In un paio d'anni l'iniziale intestazione «Stimato Amico»
fece posto a «Carissimo amico»; nel 1892 il formale Sie (Lei) fu sosti­
tuito da un familiare Du (tu), infine dopo altri due anni furono l'uno
per l'altro Wilhelm e Sigmund. Freud avrebbe voluto chia~are Wilhelm
uno dei due ultimi figli, ma per fortuna nacquero due ferrumne .
. Anche se parleremo qui dell'innegabile attrazione personale tra i due
uomini, è importante ricordare che molti altri legami oggettivi di vero
interesse li univano. Per cominciare, la loro posizione nella vita era molto
simile. Giovani medici specialisti, appartenenti al ceto medio ebraico, mira­
vano entrambi ad assicurarsi una clientela e a mantenere una famiglia.
Quanto a questo, per Fliess le cose furono assai più facili, sia perché
aveva sposato una donna ricca, sia perché nella più libera Berlino il lavoro
professionale era più fruttuoso. Nell'ottobre 1892 egli sposò una paziente
di Breuer, Ida Bondy, ed ebbe tre figli nello stesso periodo in cui Freud
ne ebbe sei. Il fatto che la moglie fosse viennese gli dette l'occasione
di andare a Vienna e d'incontrarvi Freud.
Entrambi avevano ricevuto un'educazione umanistica e potevano permet­
tersi di far riferimenti sia alla letteratura classica che a quella moderna.
Freud citava sempre Shakespeare e raccomandava Kipling (specialmente
The light that fai/ed e The Phantom Rickshaw), mentre Fliess in risposta
raccomandava i racconti di Conrad Ferdinand Meyer, il famoso scrittore
svizzero. Freud li lesse e ne fu affascinato, tanto che fece persino osser­
vazioni psicoanalitiche su due di essi e commenti analitici sull'autore.
Sappiamo anche delle letture di archeologia e preistoria di Freud, e il suo
entusiasmo quando venne a conoscenza della scoperta di una civiltà cre­
tese sepolta a Cnosso, da parte di Sir Arthur Evans. Quando egli cominciò
a collezionare antichità - la sua unica originalità - non incontrò l'ap­
provazione di Fliess: evidentemente l'interesse di Freud per il passato
era maggiore di quello del suo amico.
La loro formazione scientifica era molto simile, quasi identica. Anche
Fliess era cresciuto nell'insegnamento della scuola di fisica e fisiologia di
Helmholtz, che si espandeva da Vienna a Berlino, ed infatti nel 1898
egli mandò a Freud come dono natalizio i due volumi delle lezioni di
Helmholtz. Prenderemo appunto in considerazione la portata di questa
educazione comune sulle mire e sulle prospettive scientifiche dei due uo­
mini.
356 Vita e opere di Freud

D'altra parte esistevano notevoli differenze tra i loro due ambienti, a


tutto vantaggio di Fliess. L'ambiente stanco e meschino di Vienna contra­
stava tristemente con lo spirito energico e progressista che animava la
Germania e specialmente Berlino all'epoca dell'imperatore Guglielmo II.
Berlino era in ascesa, mentre Vienna andava continuamente incontro a crisi
economiche che si facevano immediatamente risentire sulla pratica medica.
Per di più, il relativo liberalismo di Berlino suscitava l'invidia di Freud,
che era costretto a vivere in una città governata da un sindaco antisemita,
Liiger, e nella quale l'antisemitismo dominava i circoli professionali, acca­
demici e governativi. I due amici seguirono con ansia tra di loro le alterne
vicende del caso Dreyfus in Francia, pieni di ammirazione per la memo­
rabile lotta che Zola conduceva a favore della giustizia, ma evidentemente
simili avvenimenti dovevano toccare assai di più quello di loro che viveva
in un paese dove un Ebreo non aveva praticamente nessuna possibilità di
carriera, piuttosto che l'altro, per il quale simili guai sarebbero soprag­
giunti quarant'anni dopo.
Probabilmente la mancanza di libertà e l'antisemitismo, associati al ri­
cordo degli anni di miseria della sua giovinezza, che seguirono il violento
distacco dall'amata Freiberg, erano alla base dell'intensa e duratura avver­
sione di Freud per Vienna. Talvolta egli usava un linguaggio violento nei
riguardi di quella graziosa città: essa lo «disgustava», gli era «fisicamente
repellente», e così via. In una lettera (22 settembre 1898) scrisse: «Sono
tornato da appena tre giorni [dalle vacanze] e già il cattivo umore dei
sobborghi di Vienna mi ha invaso. Vivere qui è un disastro: non è questa
l'atmosfera in cui possa sopravvivere la spera.nza di realizzare qualcosa di
difficile.» Da Berlino, dove trascorse alcune settimane dopo aver lasciato
Parigi nel 1886, scrisse: «Credo che se avessi dowto tornare direttamente
da Parigi a Vienna sarei morto durante il viaggio.»2
Sentimenti cosi intensi devono aver awto radici più profonde di quelle
razionali coscienti, e forse ne troviamo la chiave nella frase riportata in
corsivo nel seguente passo (lettera dell'U marzo 1900): «Il mio odio
per Vienna è quasi personale. Contrariamente al gigante Anteo, io rac­
colgo nuove forze non appena mi allontano dal suolo della mia città na­
tale [vom vaterstiidtischen BodenJ.»8 Dopo tutto, i veri responsabili di
quanto il giovane Freud aveva dowto sopportare erano le disavventure e
l'insuccesso di suo padre.
Nei primi anni della mia amicizia per Freud, prima di conoscere questa
Il periodo di Fliess (1887-190Z) 357

sua avversione, osservai ingenuamente quanto doveva essere interessante


vivere in una città cos1 piena di idee nuove. Con mia sorpresa egli sus­
sultò e mi abbaiò: «Ho vissuto qui per cinquant'anni e non sono mai
incappato in un'idea nuova.»4
Ciononostante Freud non poté mai risolversi a lasciare Vienna. II pro­
blema si presentò seriamente almeno in quattro occasioni. Durante il lungo
fidanzamento era incerto sulle possibilità di affermazione in Vienna e parlò
ripetutamente dell'emigrazione in Inghilterra o in America. Ci Poi, quindici
anni dopo, stanco dell'atteggiamento ostile dei colleghi viennesi nei riguardi
delle sue nuove scoperte, accarezzò di nuovo l'idea di spostarsi in un am­
biente più liberale. In una lettera a Fliess, ~atata 6 febbraio 1896, diceva
di avere definitivamente deciso di cambiare professione (!) e di trasferirsi
altrove (probabilmente a Berlino). Sembra strano che dicesse una cosa del
genere proprio mentre era a mezza strada dell'Interpretazione dei sogni,
e naturalmente non se ne fece nulla. Poi, dopo la grande guerra, quando
ebbe perso tutti i suoi risparmi nell' inflazione, e Vienna era in uno stato
di irrimediabile rovina, un suo amico ed ex paziente gli offrl una casa in
Olanda ed i mezzi per ricominciare da capo, ma Freud rifiutò: la pietà
trionfò una volta di più. Infine, verso la fine del 1930, .Freud assicurò
alla famiglia che sarebbe partito qualora i nazisti fossero entrati a Vienna,
non prima. Ciononostante, quando vi andai nel 1939, il giorno seguente
alla trionfale entrata di Hitler, Freud era ancora inflessibile: «II mio posto
è qui, e non potrò mai lasciarlo.» L'immagine del capitano che non ab­
bandona la sua nave mi spinse a raccontargli la storia dell'ufficiale che era
stato sbattuto in superficie dall'esplosione della caldaia durante l'affonda­
mento del Titanic. Lo interrogarono severamente: «In quale momento ha
abbandonato la nave h>, e lui rispose con orgoglio: «Non ho mai abban­
donato la nave, signore: è lei che mi ha abbandonato.» Freud capI che
questo era il suo caso, in quanto l'Austria aveva cessato di esistere, e con­
sentì quindi a pa~ire per l'Inghilterra, il paese dei suoi sogni giovanili.
Dopo questa digressione, torniamo alla questione più seria degli interessi
scientifici che Freud e Fliess avevano in comune. Per Freu.d questi interessi
erano così strettamente connessi con gli obiettivi ed i bisogni personali, che
un puro resoconto, freddo e staccato, ne lascerebbe un'impressione inesatta.
:e molto più significativo il modo in cui essi erano in rapporto con il suo
sviluppo interiore.
Per capire questo rapporto, dobbiamo fare una piccola ricapitolazione.
358 Vita è opere di Freud

Abbiamo visto che Freud era dotato di una sacra passione per il· sapere.
Quale sapere di' preciso egli ambisse conquistare, è un'altra faccenda: per
il momento bas~erà ricordare queste parole: «L'origine e la natura del­
l'umanità: come sono giunti gli esseri umani ad essere quel che sono, e cosa
sono effettivamente?» Due sue frasi, che risalgono entrambe al 1896, in­
sistono su questo punto: «Ben al di là di queste considerazioni (di psico­
patologia] si nasconde il mio ideale e il mio difficile rampollo, la meta­
psicologia» (12 dicembre). «Vedo che per la via indiretta della medicina
stai raggiungendo il tuo ideale supremo, quello di capire gli uomini da
fisiologo, proprio come me, che nutro la speranza di giungere per la stessa
via alla mia meta originaria, l~ filosofia. ì stata questa la mia prima meta,
fin da quando non sapevo perché stessi al mondo» (1 o gennaio).
Freud non aveva fiducia nelle teorie filosofiche e nella speculazione ­
alle quali pure negli ultimi tempi tentò di dare un significato - forse per
ragioni personali e insieme intellettuali. Si potrebbe persino dire che le
temesse, e comunque era costretto a tenere a freno le sue tendenze in
proposito, tanto è vero che scelse il metodo più efficace per riuscirvi: una
disciplina scientifica. Finché però il suo essere non poté accettarla perfet­
tamente, egli ebbe bisogno di qualcuno che lo costringesse a farlo. Di
quanti scelse, Briicke fu senza dubbio quello che ottenne di più, e per
questa ragione gli anni trascorsi nel suo laboratorio, il luogo che Freud
era cosi riluttante a lasciare, furono tra i più felici e spensierati della sua
vita. Nel linguaggio degli anni successivi Freud avrebbe detto che in questo
caso il controllo del suo super-Io aveva pienamente funzionato. Non stu­
pisce quindi più che quando questo sostegno gli venne meno, egli si
sentì come alla deriva.
Secondo me la spiegazione della strana «dipendenza» che Freud ma­
nifestò di tanto in tanto per lunghi anni, è proprio questa. La completa
dipendenza che - se pure in diminuendo - egli manifestò nei riguardi di
Fliess fino a 45 anni, ha quasi l'aspetto di un'adolescenza ritardata, pur
essendo esattamente l'opposto del tipo di dipendenza più comune, cioè
quella per cui una natura debole e sprovvista si aggrappa per sostenersi
a un'altra più forte. La devalorizzazione delle proprie capacità e dei risul­
tati raggiunti, che risuonano tanto spesso nella corrispondenza con Fliess,
non derivano da una debolezza intima di Freud, ma da una terribile forza
contro la quale si sentiva incapace di lottare da solo. Ecco perché era ne­
cessario che egli rivestisse Fliess di ogni sorta di qualità immaginarie:
Il periodo di Fliess (1887-190Z) 3S9

l'acume, l'equilibrio, la potenza intellettuale superiore, che sono essenziali


per un mentore protettore.
Da questo punto di vista è utile chiedersi che cosa ci fosse nella per­
sonalità e nell'aspetto di Fliess, che lo rendessero un oggetto tanto adatto
all'imponente ruolo assegnatogli da Freud. Innanzi tutto c'era un vuoto
che chiedeva urgentemente di essere riempito dopo che Freud aveva dovuto
lasciare Briicke. Meynert, nel quale in un primo tempo egli aveva riposto
cos1 forti speranze, lo aveva dolorosamente deluso dal momento in cui aveva
cominciato a interessarsi agli equivoci argomenti. dell'isterismo e dell'ipnosi.
Krafft-Ebing, successore di Meynert, gli era indifferente. Inoltratosi nel
campo della neurologia in senso stretto, Freud era stato attirato in quello
delle nevrosi, ed aveva abbandonato la solida base della patologia cerebrale
per il regno misterioso ed ignoto della psiche, nel quale, malgrado le pe­
ricolose insidie che tende, la speculazione è tanto importante. Nel campo
delle nevrosi poi ci si imbatte anche nella sessualità, e si è quindi costretti
ad abbandonare la garanzia della riservatezza e della «rispettabilità». Il
daemon della curiosità, precedentemente saziato dal continuo lavoro al
microscopio, si era risvegliato e non si sarebbe mai più assopito. L'opi­
nione pubblica cominciava anch'essa a protestare sotto la forma della di­
sapprovazione professionale.
In una simile situazione, poco prima del 1890, Freud si rivolse natural­
mente a Breuer per avere quell'appoggio che, come sappiamo, fu scarso.
Dopo enormi sforzi, egli indusse Breuer a collaborare nella pubblicazione
dei lavori. Verso la primavera del 1894 Freud lo aveva indotto a scrivere
il capitolo sulla teoria per gli Studi sull'isterismo, che comparve un anno
dopo e con il quale si esaur1 la loro collaborazione. Già in quella stessa
estate (22 giugno 1894) Freud si lamentava della solitudine in cui si sen­
tiva «da quando i miei rapporti scientifici con Breuer sono cessati». Spe­
rava di imparare qualcosa da Fliess, essendosi trovato «per anni senza un
maestro». 6
Fliess, come Breuer, aveva delle basi di fisiologia, e facendo anch'egli
parte della famosa scuola di Helmholtz, credeva che medicina e biologia
tendessero al medesimo fine, di riuscire cioè ad esprimere le rispettive sco­
perte in termini fisici, e, in ultima analisi, matematici. Infatti, modesta­
mente, il sottotitolo del principale libro di Fliess è: «Fondamenti di una
biologia esatta.» Fliess si interessava di nevrosi e aveva perfino descritto una
sindrome nevrotica - spiegandola per di più su una base organica «scien­
Vita e opere di Freud

tifica». Fin qui pareva che egli potesse essere un degno successore di Breuer,
rispetto al quale però aveva due inestimabili pregi, cos1 grandi da renderlo
quasi l'idealizzazione di Breuer, con, in più, tutte le qualità che Freud si
sarebbe potuto augurare di trovare in Breuer.
Il pregio più evidente era che Fliess, lungi dall'eludere i problemi ses­
suali, ne aveva fatto il nucleo del suo lavoro. Non solo la sua sindrome,
qualora di natura funzionale, era dovuta a disturbi sessuali, ma i suoi «pe­
riodi sessuali», uno maschile e l'altro fenuninile, dovevano addirittura spie­
gare tutti i fenomeni della vita e della morte. Freud stava trasformando
la sua teoria della libido in una spiegazione sempre più ampia dei processi
mentali sia normali che patologici e cos1 - sebbene le due teorie fossero
destinate a opporsi in pieno - sembrò per un certo tempo che esse esplo­
rassero a braccetto il territorio proibito. Proprio in questo stava la fun­
zione di collaboratore e di mentore scientifico di cui Freud aveva tanto
bisogno.
Anche in questo campo tuttavia, Freud tenne sempre i piedi sulla terra
più di Fliess. Per sessualità, Freud intendeva veramente la sessualità, in
tutti i suoi bizzarri aspetti, mentre per Fliess sembrava che essa signifi­
casse poco più che numeri magici. I critici di Fliess mossero obiezioni alla
sua numerologia, e non - come avrebbero potuto fare - al suo «panscs­
sualismo», cosicché, mentre per il mondo Fliess poteva apparire matto,
fu solo Freud ad essere veramente vituperato.
Il secondo pregio di Fliess rispetto a Breuer riguardava il temperamento.
Nel lavoro, Breuer era riservato, contrario a qualsiasi generalizzazione, rea­
lista e soprattutto incerto nella sua ambivalenza. Fliess invece aveva un'e­
norme fiducia in se stesso, era espansivo, sottoponeva senza esitazione le
sue generalizzazioni ai voli più arditi e sguazzava con grazia, disinvoltura
e contagiosa soddisfazione nell'empirismo delle sue idee.
Si poteva dunque impunemente lasciare libero il daemon, -se a guidarlo
era uno che credeva nella fisica e agiva per simboli matematici. Il lato
creativo di Freud era appunto la sua primitiva passione di dominare, che
si era completamente trasformata nell'appassionato desiderio di scoprire i
segreti della vita umana, desiderio cos1 impellente, talvolta, da cercare sfogo
attraverso le infide scorciatoie della speculazione filosofica.
Freud sembra aver accordato a Fliess il diritto a tale speculazione, mentre
lo negava a se stesso, pieno di diffidenza. «Non posso far altro che con­
cedere la massima attenzione e ammirazione critica alle tue rivelazioni sulla
n periodo di Fliess (1887-1902)
fisiologia sessuale. Le mie conoscenze sono troppo limitate perché possa
discuterne, ma fiuto l'esistenza di cose assai belle e importanti, e spero
che non ti asterrai dal pubblicare anche solo congetture. Non si può fare
a meno di gente che abbia il coraggio di pensare cose nuove prima di es­
sere in grado di dimostrarle» (8 dicembre 1895). Questo giudizio voleva
essere evidentemente un atto di assoluzione per colui che egli scorgeva in
Fliess: un uomo dotato di grandissimo intelletto, di impeccabile giudizio
critico e perfettamente formato ai princ1pi della scienza fisica e matematica.
Quanto a lui, privo della fiducia in se stesso, che aveva trasferito nel suo
partner dominatore, era meglio attenersi alle osservazioni empiriche che
andava accumulando con tenacia e permettersi su di esse solo quel po' di
teoria che avrebbe potuto incontrare l'approvazione critica del suo men­
tore.
Che differenza con il Freud degli anni seguenti, che avrebbe dato libero
sfogo al suo potere immaginativo! Pochissimi anni dopo, nell' analisi di
Dora, egli scrisse confidenzialmente: «Non mi vanto di aver evitato la
speculazione, ma il materiale per le mie ipotesi l'ho raccolto con la più
ampia e laboriosa serie di osservazioni.»
La prima e principale richiesta che Freud fece a Fliess fu quella di
ascoltare il resoconto finale delle sue scoperte e delle loro spiegazioni teo­
riche, e di darne un giudizio, cosa che Fliess fece coscienziosamente. Non
pare che i suoi commenti sull' argomento in questione fossero di gran peso,
però egli dette all'amico dei consigli circa i suoi scritti, su questioni di
forma, di stile e di discrezione, che Freud accettò per la maggior parte
con gratitudine. Fliess aveva insomma le funzioni di censore, e un censore
oltre all'ovvia funzione di eliminare ciò che è passibile di obiezioni, ne
esercita una ancora più importante nel sanzionare tacitamente ciò che ha
lasciato passare. :e proprio di questa sanzione che aveva allora bisogno
Freud, non il Freud inflessibile e spregiudicato degli anni seguenti, ma
l'uomo assai diverso che era verso il 1890. Fliess esercitava liberamente
questa sanzione. Egli ammirava Freud e non aveva ragione (agli inizi!) di
dubitare della correttezza del lavoro di lui, perciò la sua lode, concessa vo­
lentieri, deve aver costituito per Freud un notevole incoraggiamento. Circa
il suo effetto basta un esempio: «La tua lode mi è nettare e ambrosia»
(14 luglio 1894).
Questa sanzione incoraggiante riesce a controbilanciare la sfiducia inte­
riore in misura direttamente proporzionale alla stima che si pone in chi
Vita e opere di Freud

la esercita: per questo ogni bambino che abbia bisogno di tale aiuto da
parte del padre, deve prima identificarlo con l'uomo più meraviglioso e
potente - prima che l'inevitabile incapacità del padre di essere all'altezza
di una tale immagine spinga il bambino a rivolgersi a Dio, Quanto grande
fosse il bisogno di Freud, lo si può quindi dedurre dalla sua eccessiva
sopravvalutazione di Fliess, che per il nostro giudizio postumo sui due
uomini ha un sapore quasi tragicomico. Nella loro corrispondenza abbon­
dano le prove di questo fatto, perciò un solo esempio può bastare. In data
26 agosto 1898, a soli due anni dalla rottura, Freud scriveva: «Ieri ho
ricevuto la gradita notizia che gli enigmi del mondo e della vita comin­
ciano a fornire una risposta. Neppure i sogni potrebbero dare notizie mi­
gliori sui risultati del pensiero umano. Sono certo che il cammino verso la
meta definitiva, segnato dalla tua decisione di servirti della matematica,
breve o lungo che sia, ti è aperto.»
Freud era perfettamente conscio di essere profondamente debitore a
Fliess, e gli dichiarò spesso la sua gratitudine. In una lettera dello gen­
naio 1896, per esempio, scrisse: «Persone come te non dovrebbero mai
scomparire, amico mio caro; noi altri ne abbiamo troppo bisogno. Quanto
ti devo essere grato per la consolazione, la comprensione, l'incoraggiamento
che mi hai dato nella mia solitudine, per il significato che hai dato alla
mia vita, e, recentemente, anche per la salute, che nessun altro avrebbe
saputo ridarmi. ~ soprattutto il tuo esempio che mi ha permesso di rag­
giungere la forza intellettuale di fidarmi del mio giudizio ... e di affrontare
con ferma rassegnazione, come te, tutte le avversità che il futuro può avere
in serbo. Per tutto questo, accetta il mio semplice grazie.»
Fliess fece il possibile per soddisfare quest'ultima richiesta, mentre la
risposta che riuscl a dare alle altre tre fu meno soddisfacente. Dopo che
ebbe scoperto l'importanza dei fattori sessuali come causa delle nevrosi, con
le relative conseguenze sociali, e dopo che ebbe notato l'accoglienza più
che fredda tributata al suo annuncio, Freud si senti obbligato a condurre
una crociata su questo argomento contro i rispettabilissimi esponenti della
sua professione. Il suo fu un atteggiamento rivoluzionario ed egli non venne
mai meno al ruolo che si era assunto. Il discorso che tenne nel 1898 da­
vanti al Collegio Medico di Vienna fu un'impetuosa arringa sulla necessità
di esaminare la vita sessuale dei pazienti. In questa campagna un collabo­
ratore e sostenitore gli avrebbe fatto molto comodo, e le vedute aperte di
Fliess sul significato della sessualità gli facevano ragionevolmente sperare
n periodo di Fliess ( 1887- 19°2)
di averne trovato uno. Fliess però era più un dittatore che un combattente,
e per di più il suo apparente interesse per la sessualità si rivelò molto
meno consistente di quello di Freud. Perciò sotto questo aspetto l'amara
disillusione inferta da Breuer fu solo scarsamente compensata.
Un'altra richiesta importante era che Fliess, grazie alle sue vaste cono­
scenze di medicina generale e di biologia, sostenesse concretamente Freud
fornendogli le necessarie nozioni circa le basi organiche dei fenomeni ne­
vrotici. ~ ovvio che per Freud la conoscenza dell'anatomia e fisiologia del
sistema nervoso costituiva una garanzia. Nel periodo peggiore della sua
cardiopatia ansiosa, che ora descriveremo, scrisse: «In estate spero di tor­
nare alla mia antica occupazione e fare un po' di anatomia: dopo tutto· è
il solo campo che dia qualche soddisfazione» (6 maggio 1894). L'anato­
mia era infatti «scientifica» e sicura, e rappresentava il necessario freno alla
«speculazione»; simili freni divennero più che mai urgenti quando Freud
si trovò a studiare i processi mentali. Per anni egli accarezzò la speranza
di amalgamare i due campi ed in questo Fliess poteva senz'altro aiutarlo.
Per esempio: «Con la teoria della rimozione mi sono imbattuto in dubbi
che una tua parola - forse sulla mestruazione maschile e femminile nel
medesimo individuo - potrebbe risolvere. Ansia, idee chimiche, eccetera:
forse troverò in te le basi sulle quali poter cominciare a costruire un'impal­
catura fisiologica cessando di dare una spiegazione psicologica delle cose»
(30 giugno 1896). Passò molto tempo prima che Freud si decidesse a
rinunciare ai principi fisiologici della sua giovinezza, e in certo senso non
vi riusci mai interamente, poiché, come vedremo, buona parte della sua
successiva psicologia si modellò su di essi.
Sembra che in questo Fliess non gli sia stato di grande aiuto, né forse
avrebbe potuto esserlo per la natura stessa delle cose. Il suo maggior con­
tributo fu forse il suggerimento di una chimica sessuale. Questa per un po'
suscitò le speranze di Freud, sicuro a sua volta che lo stimolo sessuale
dovesse essere di natura chimica (4 marzo 1895) - previsione dei mo­
derni ormoni delle gonadi! Sembra che i due uomini abbiano accennato
contemporaneamente a quella che essi chiamarono una teoria chimica del
neurone, ma naturalmente non ne venne fuori nulla. Due anni dopo (IO
marzo 1897) Freud postulò l'esistenza di due specie di sostanze chimiche
sessuali (maschile e femminile), ma osservò che esse non potevano essere
identiche a quella sulla quale stava «investigando» Fliess, sebbene obbedis­
sero tutte alla legge del 23-28. In complesso, l'importanza che Fliess at­
Vita e opere di Freud

tribuiva ai processi somatici, deve essere stato un ostacolo al faticoso pas­


saggio di Freud dalla fisiologia alla psicologia.
La delusione più completa Freud l'ebbe comunque all'ultima sua richiesta.
Convinto degli effetti nocivi di tutti i metodi anticoncezionali allora cono­
sciuti, egli ne vagheggiava uno soddisfacente, che avesse liberato il piacere
sessuale da ogni complicazione. Ora, se il concepimento, come tutti i processi
vitali, era determinato dalla legge dei periodi di Fliess, doveva essere si­
curamente possibile scoprire la data del ciclo mestruale in cui i rapporti
sessuali erano esenti da questo rischio. Da principio (lO luglio 1893) egli
sperò che Fliess risolvesse il problema «come un Messia», e un po' più
tardi (11 dicembre) gli promise una statua nel Tiergarten di Berlino se ci
fosse riuscito. Due anni dopo (25 maggio 1895) parve intravvedere il
successo, e Freud scrisse: «Avrei urlato di gioia, alle tue notizie. Se hai
risolto davvero il problema del concepimento ti chiederò che qualità di
marmo preferiresti.»
Questi erano i bisogni e le aspettative di Freud: a tal fine egli scriveva
regolarmente a Fliess, spesso più di una volta alla settimana, ma.ndandogli
ragguagli sulle sue scoperte, dettagli sui suoi pazienti e - cosa più preziosa
di tutte dal nostro punto di vista - periodici manoscritti nei quali erano
esposte in· forma più o meno schematica le sue idee del momento. Essi ci
danno, meglio di ogni altra cosa, un'idea del graduale progresso di Freud
e dello sviluppo della sua psicopatologia.
Freud e Fliess si incontravano abbastanza spesso a Vienna e qualche
volta a Berlino, ma quand'era possibile solevano incontrarsi in qualche altro
posto, lungi dal loro lavoro, per due o tre giorni, durante i quali si con­
centravano sullo sviluppo delle loro idee. Freud, tra l'ironico e l'amaro,
chiamava «congressi» questi strani incontri. Fliess costituiva tutto il suo
pubblico, come disse alludendo a una nota citazione da Nestroy. Non c'era
nessun altro, assolutamente nessuno, con cui egli potesse discutere i pro­
blemi che tanto lo preoccupavano. Vari di questi luoghi d'incontro ci sono
noti, sebbene la lista sia forse incompleta. Il primo «congresso» ebbe sicu­
ramente luogo a Salisburgo nell'agosto 1890, poi seguirono quelli di Mo­
naco (agosto 1894), Dresda (aprile 1896), probabilmente Salisburgo (ago­
sto 1896),7 Norimberga (aprile 1897), Breslavia (dicembre 1897), Aussee
o dintorni (luglio 1898), Innsbruck (aprile 1899) ed infine quello della
rottura, ad Achensee nel Tirolo (settembre 1900). Dopo non si incontrarono
mai più. Negli anni seguenti in quattro di queste sei città si tenne un
Il periodo di Fliess (J887-J902)

Congresso Internazionale di Psicoanalisi: quello che doveva avere luogo


nella quinta città fu impedito dallo scoppio della prima guerra mondiale.
:e comprensibile che questi incontri occupassero il centro della vita intel­
lettuale di Freud, altrimenti isolata. Come disse in una lettera: «Quando
esistono due persone di cui una può dire cos' è la vita, l'altra (quasi) cos' è
l'anima,8 è solo normale che esse si incontrino spesso per parlare» (22
dicembre 1897). Nell'intera faccenda c'era però sicuramente più di uno
stimolo intellettuale: da esso dipendeva la fiducia in se stesso di Freud.
Già il 10 agosto 1890, dolendosi di non poter andare a Berlino, egli
scriveva: «Perché sono molto isolato, torpido dal punto di vista scienti­
fico, impigrito e rassegnato. Conversando con te e prendendo nota di quel
che pensi di' me, riuscivo persino ad avere una buona opinione di me
stesso, e lo spettacolo della tua fiduciosa energia non poteva mancare di
impressionarmi. Avrei anche tratto molto vantaggio dalle tue conoscenze
di medicina e forse dall'atmosfera di Berlino, dato che da anni non ho
un maestro.» Queste moderate considerazioni diventarono ben diverse po­
chi anni dopo: il 30 giugno 1896 Freud guardava a un congresso «come
alla soddisfazione di fame e sete». Dopo l'incontro di Norimberga, per il
quale aveva «sospirato», Freud è «in uno stato di euforia permanente e
lavora come un giovane» (4 maggio 1897), ma tre mesi dopo la speranza
di un altro incontro sembrava già «un vero esaudimento di desideri, un bel
sogno, che si realizzerà» (8 agosto). La sua freschezza nel lavoro è in
funzione della distanza da un «congresso» (15 marzo 1898). Nel 1898 il
bisogno di Freud raggiunge il culmine, fatto abbastanza strano se si pensa
che già l'anno precedente era cominciata la sua autoanalisi. :e possibile che
i primi stadi dell'autoanalisi avessero accentuato la dipendenza di Freud,
prima che quelli successivi la sciogliessero. Il mese seguente, non avendo
potuto incontrarsi, Freud scrisse: «Dopo ciascuno dei nostri "congressi"
sono stato rimesso in forze per settimane intere, nuove idee irrompevano,
rinasceva il piacere del lavoro intenso, e la tremula speranza di trovare la
via nella giungla, risplendeva per un certo tempo sicura e brillante. Questo
periodo di astinenza non m'insegna nulla perché ho saputo che cosa signi­
ficavano per me i nostri incontri» (3 aprile). «Se non ho un pubblico,
non posso scrivere nulla, ma mi è perfettamente sufficiente scrivere a te
solo» (18 maggio 1898). Il 7 maggio 1900 scriveva ancora: «Nessuno
può sostituire i rapporti con un amico, che un lato particolare di me stesso
- forse femminile - richiede.»
366 Vita e opere di Freud

Malgrado tutto, però, Freud controllò se stesso ancor più del desiderio
di incontrarsi con Fliess. Per esempio, ebbe occasione di fare un consulto
medico a Berlino, ma vedendo che il paziente non ne aveva veramente
bisogno, il suo orgoglio professionale non gli permise di approfittarne (22
settembre 1898). Un'altra volta declinò l'occasione d'incontrarsi perché essa
avrebbe imposto all'amico un viaggio particolarmente faticoso (14 agosto
1897).
La lealtà fu sempre un atteggiamento fondamentale di Freud. Quando
il «Wiener klinische Rundschau» pubblicò una recensione di un libro di
Fliess, egli protestò ritenendola eccessivamente severa, e dato che il pe­
riodico rifiutò ogni ritrattazione, ruppe i rapporti editoriali con esso. 9
Alla fine venne però per Freud il momento di riconoscere che la sua
depressione non andava più alleviata con la vecchia cura, e che solo un
coraggioso, faticoso lavoro interiore gli avrebbe giovato. Decise di com­
battere, e da solo. Ecco come egli descrive la situazione in una commo­
ventissima lettera del 23 marzo 1900: «Mai come in questi ultimi sei mesi
ho desiderato di essere riunito a te e alla tua famiglia. Sai che ho attra­
versato una profonda crisi interiore e dovresti vedere come mi ha invec­
chiato, perciò la tua proposta di incontrarci a Pasqua mi ha molto riani­
mato. Chi non sapesse risolvere le contraddizioni troverebbe incompren­
sibile che io non accettassi immediatamente il tuo invito, ma in realtà è
meglio che io ti eviti. Non si tratta solo della mia passione quasi infan­
tile per la primavera e per un paesaggio più bello: quella la sacrificherei
volentieri alla soddisfazione di averti vicino per tre giorni. Vi sono però
altre ragioni interiori, una serie di imponderabili, che per me contano
molto. (Cavilli, dirai forse tu.) Sono estenuato, ho dovuto demolire i miei
castelli in aria, e ho appena ritrovato il coraggio di ricostruirli. Durante il
cataclisma di questa demolizione mi saresti stato inestimabilmente prezioso,
ma allo stadio attuale riuscirei difficilmente a farti capire. In quel momento
ho dominato la mia depressione per mezzo di una dieta speciale a base di
argomenti intellettuali; ora grazie a questa interruzione sto lentamente gua­
rendo. In tua compagnia cercherei inevitabilmente di tradurre ogni cosa
in termini coscienti, onde potertela descrivere; parleremmo in modo razionale
e scientifico, e le tue belle e sicure scoperte biologiche risveglierebbero in
me la più profonda - sebbene impersonale - invidia. Finirei per lamen­
tarmi per cinque giorni e tornerei a casa tutto eccitato e scontento, con tutto
il lavoro che mi attende nell' estate e che richiederà un perfetto dominio di
Il periodo di Fliess (1887-1902) .367

me stesso. Ciò che mi opprime non si può curare: è la mia croce e devo
portada, ma Dio s~ come s~ è incurvata la mia schi.ena rer l? sforz~.»
Questo quadro e ben diverso da quello che dI soltto SI fa di Freud:
l'uomo intelligente che, stando seduto, comodo e tranquillo, fa una scoperta
dopo l'altra. Le sue scoperte gli costarono molte sofferenze, e gli ci volle
del coraggio per respingere l'unico appoggio sul quale poteva contare,
quando aveva solo un'oscura speranza di sfruttare quelle risorse interiori di
fiducia in se stesso che potessero sostituirlo. Per fortuna sua e nostra però
questa speranza si realizzò nei due anni seguenti.
L'aiuto che Freud traeva dagli incontri con Fliess doveva quindi essere
più che altro quello dell'incoraggiamento psicologico: lo scambio pura­
mente intellettuale deve essere stato minimo. Nel campo delle ricerche
psicologiche Fliess aveva poco o nulla da offrire a Freud, il quale si tro­
vava in una posizione analoga circa le congetture matematiche dell'amico,
argomento nel quale era particolarmente negato. Perciò le loro conversa­
zioni dovevano essere due monologhi piuttosto che un dialogo. Nelle lettere
si dice più di una volta che ognuno dei due, a turno, esponeva all'altro
le proprie scoperte più recenti, commentando le nuove idee. La risposta
principale consisteva di solito nell'ammirazione reciproca e gratificante e
nel conforto per il fatto che ciascuno dei due fosse in grado di apprezzare
opportunamente il valore dell'altro, pur essendo la sola persona a farlo.
Come c'era da aspettarsi, anche in questo Freud sopravvalutò la capacità
di Fliess a sue proprie spese: «Da un certo punto di vista sono più for­
tunato di te. Quello che io ti riferisco del mio mondo, l'anima, trova in te
un critico comprensivo, mentre quello che tu mi racconti dal tuo, le stelle,
suscita in me solo uno sterile stupore» (lO ottobre 1897).
Da principio (1894) ebbero l'idea di scrivere un libro in collaborazione,
il cui argomento avrebbe dovuto essere il significato dei processi sessuali,
idea che però fu lasciata ben presto cadere.
Anche se Fliess non poteva capire a fondo il lavoro di Freud, sembra
almeno che lo accettasse e lo lodasse, e sullo stesso piano Freud accettava
il lavoro dell'amico. Per quanto possa sembrare strano, anzi, è sicuro che
Freud lo accettò per molti anni: ce ne sono troppe di prove per dubitarne.
Per esempio egli tentò di spiegare nei termini dei numeri fatidici, 23 e
28, la differenza tra le due «nevrosi in atto» che aveva individuato, e
suggerl an~he .che f~sse la scarica di una sostanza maschile del tipo 23 a
provocare ti piacere lO entrambi i sessi, e una sostanza femminile del tipo
368 Vita e opere di Freud

28 a provocare «malessere» (6 dicembre 1896). Quando più tardi i calcoli


di Fliess si estesero dai periodi sessuali al cosmo, Freud arrivò a chiamarlo
il «Keplero della biologia» (30 luglio 1898).
Ciò che rendeva l'atteggiamento di Freud ancora più estremo, era la sua
strenua fede nel determinismo più rigoroso, secondo il quale ciascun av­
venimento era invariabilmente condizionato da altri precedenti. Se il suc­
cedersi degli eventi aveva un ritmo periodico, perché un genio come Fliess
non doveva riuscire a scoprirlo? Comunque il motivo preponderante per il
quale Freud accettò la numerologia dev'esser stato quello degli intimi rap­
porti personali tra i due uomini. Le convinzioni di Fliess erano troppo
contagiose e troppo impellente il bisogno di Freud di credere nella gran­
dezza dell'amico.

Per quanto sgradevole possa essere per coloro che hanno bisogno di un
eroe da adorare, si deve dire la verità, e cioè che non sempre Freud ebbe
la serenità e l'intima sicurezza che gli furono tipiche negli anni della sua
fama. Su questo punto dobbiamo insistere. Vi sono ampie prove che per
una decina d'anni - dal 1890 al 1900 circa - Freud soffri di una psico­
nevrosi abbastanza notevole. I suoi cultori potrebbero essere tentati di
dipingerla nelle tinte più fosche, onde esaltare come una guarigione il
fatto che Freud abbia raggiunto il dominio. di se stesso con l'aiuto dello
straordinario strumento da lui stesso forgiato. Del resto è inutile esagerare,
perché la grandezza dei suoi risultati risalta da sola. Dopo tutto, Freud
fu sempre Freud anche nei momenti peggiori. Continuò il suo lavoro
quotidiano e le sue ricerche scientifiche, continuò ad amare la moglie e
i figli e a circondarli di ogni cura, e con ogni probabilità offri a chi lo at­
torniava (tranne Fliess) pochi segni di manifestazioni nevrotiche. Cionon­
ostante, le sue sofferenze furono talora molto intense, e solo per brevi
periodi, in quei dieci anni, la vita deve essergli sembrata degna di essere
vissuta. Freud ha pagato molto cari i doni che ha elargito al mondo, e
la ricompensa del mondo non è stata molto generosa.
Eppure fu proprio negli anni in cui la sua nevrosi raggiunse il culmine
della gravità, tra il 1897 e il 1900, che il lavoro di Freud fu più origi­
naie: il rapporto tra i due fatti è inequivocabile. I sintomi nevrotici devono
aver costituito una delle vie per le quali il materiale inconscio cercava
indirettamente di emergere, e senza questa spinta è dubbio che Freud avrebbe
Il periodo di F1iess (1887-1902) 369

fatto il cammino che fece. ~ un modo faticoso di raggiungere quel regno


misterioso, ma è l'unico.
Varie allusioni di Freud al proprio modo di lavorare dimostrano che
già allora egli percepiva indistintamente questo rapporto. Non lavorava
bene né quando si sentiva bene ed era felice, né quando era eccessivamente
depresso e inibito: aveva bisogno di una via di mezzo, e lo espresse
chiaramente in una lettera del 16 aprile 1896: «Sono tornato a casa con
una magnifica sensazione di indipendenza, e mi sento benissimo; da quando
son tornato ho lavorato molto poco, perché quel leggero malessere neces­
sario per il lavoro intenso si rifiuta di comparire.»lO
Freud si rendeva naturalmente conto della propria nevrosi, e nella cor­
rispondenza usò varie volte questa parola per definire il suo stato. Sembra
che non vi fossero sintomi fisici «di conversione», e successivamente egli
stesso avrebbe certamente classificata la sua forma come un isterismo d'an­
goscia. Essa consisteva essenzialmente in bruschi cambiamenti d'umore, e
le uniche manifestazioni in cui l'ansia si localizzava erano attacchi occasio­
nali di paura di morire (Todesangst) e di ansia per i viaggi in ferrovia
(Reisefieber). Freud racconta che Fliess fu testimonio di uno dei peggiori
attacchi di questo secondo tipo alla stazione di Berchtesgaden in occa­
sione del loro primo «congresso» nel 1890, probabilmente al momento di
separarsi. In nessun punto, però, Freud accenna ad un rapporto tra i due
tipi di crisi d'ansia (che la maggior parte degli analisti ora sospetta),
e non si può fare a meno di notare che l'analisi che egli ne fece non fu
mai proprio completa. Egli parla per esempio di un paziente che aveva
indirettamente trovato la spiegazione della sua fobia dei viaggi (21 di­
cembre 1899),11 due anni dopo che egli stesso l'aveva superata (3 dicem­
bre 1897), il che sembra strano. Per di più Freud ne conservò una parte
sotto forma di ansia di perdere il treno, per cui soleva sempre arrivare alla
stazione con molto anticipo, talvolta persino di un'ora.
L'umore di Freud oscillava tra periodi di euforia, eccitamento e fiducia
in se stesso, e periodi di grave depressione, dubbio e inibizione. Quando
era depresso non riusciva a scrivere né a concentrarsi (tranne che nel la­
voro professionale). Allora trascorreva ore intere in ozio annoiandosi ter­
ribilmente, passando da una cosa all'altra, tagliando le pagine dei libri nuo­
vi, guardando carte topografiche dell'antica Pompei, facendo solitari o gio­
cando a scacchi, ma senza riuscire a prolungare nessuna attività, in uno
stato di inquieta paralisi. Certe volte aveva dei periodi di notevole restrin­
370 Vita e opere di Freud

gimento della coscienza, stati difficilmente descrivibili che realizzavano qua­


si una condizione di crepuscolo psichico (6 dicembre 1897).
Freud aveva evidentemente una forte tendenza a lamentarsi con Fliess
dei suoi momenti di cattivo umore, cosa che sorprende assai, essendo tanto
aliena dal suo vero carattere. Infatti nel corso della sua vita dovette sop­
portare molte contrarietà: sfortuna, dispiaceri e gravi sofferenze fisiche, ma
le affrontò tutte con il massimo stoicismo. Quante volte l'ho visto torturato
dal cancro che gli stava strappando la vita: ebbene, in una sola occasione
gli sfuggl una parola di lamento, anzi, per essere esatti, furono due parole:
«Estremamente inopportuno» (hOchst iiberfliissig).
Ora, il lamentarsi eccessivamente con qualcuno significa spesso che nel­
l'inconscio - razionalmente o no - colui che soffre attribuisce i suoi tor­
menti proprio all'intervento di questa persona, e in realtà la sta pregando
di smetterla. Amicizie cos1 intense e in un certo senso nevrotiche, come
quella tra Freud e Fliess, sono di rado (se pure lo sono) esenti da un
sottofondo di ostilità latente, e non è azzardato supporre che il conflitto
inconscio che ciò rivela abbia avuto una parte importante nella tempora­
nea esplosione della nevrosi di Freud. ~ certamente sintomatico che le sof­
ferenze come pure la dipendenza di Freud abbiano raggiunto il loro acme
tra il 1897 e il 1900, proprio quando i suoi continui sforzi di esplorare
le profondità del suo essere per mezzo dell'autoanalisi si fecero più intensi.
In una lettera del 7 luglio 1897 (il mese in cui ebbe inizio l'autoanalisi)
c'è una netta allusione al rapporto cui abbiamo accennato: la lettera fa­
ceva seguito a un periodo di completa inibizione nello scrivere, perciò co­
minciava con le scuse per il silenzio. «Non arrivo a capire che cosa mi stia
succedendo. Qualcosa dalle più abissali profondità della mia nevrosi mi
impediva di fare il minimo progresso nella comprensione delle nevrosi,
e tu c'entravi in un certo qual modo. Infatti mi sembra che la paralisi del­
lo scrivere fosse destinata ad impedire il nostro scambio di corrispondenza.
Non garantisco quest'idea: è una questione di modi di sentire - di natu­
ra estremamente oscura.» Era già troppo tardi per gridare absit omen!
Sul significato della psiconevrosi di Freud c'è poco da dire. Proprio eia
lui abbiamo appreso che il nucleo di tutte le nevrosi è il complesso di
Edipo, ma questa affermazione generica non dice molto se ci si riferisce
al corso e allo sviluppo particolari di una nevrosi. Nel caso di Freud la
fobia dei viaggi era probabilmente precedente a questo periodo, dato che
un forte attacço si era verificato nel 1890. Il periodo più grave della ne­
II periodo di Fliess (1887-1902) 371

vrosi si svolse indubbiamente tra il 1895 e il 1900, e si esaurì in un paio


d'anni dalla rottura con Fliess, nel 1900.
Ci si può chiedere con quale episodio della sua vita la nevrosi di Freud
coincidesse cronologicamente, e a questo si può rispondere in modo sicuro.
In quel periodo ci furono solo due cose molto importanti per lui: la sua
incipiente esplorazione dell'inconscio e la sua eccezionale dipendenza da
Fliess, due fatti che devono essere messi in rapporto. Evidentemente nel­
l'abbandono del campo sicuro, se pure noioso, della neurologia per quello
inesplorato della psicologia, c'era per Freud qualcosa di enorme significato
interiore, e cioè la soddisfazione di un desiderio profondissimo della sua
natura, lo stesso che continuò a guidarlo sempre più avanti. Questo pas­
saggio però si deve essere accompagnato ad un profondo senso di proibi­
zione che determinava la sua ansia e gli stati d'animo di disperazione e
di blocco. :e come se egli avesse sempre presagito che il cammino che stava
seguendo lo avrebbe condotto presto o tardi a terribili segreti che aveva
paura di svelare, pur essendo - proprio come Edipo - fermamente deciso
a farlo.
Sappiamo infine che il cammino sboccò nella inattesa scoperta dell' osti­
lità, profondamente sepolta, di Freud verso suo padre. Quale protezione
contro l'oscuro tenore poteva essere allora migliore di quella offerta da
un sostituto del padre, al quale poter manifestare il massimo affetto, am­
mirazione e perfino sottomissione, insomma la replica di un precedente at­
teggiamento verso il proprio padre? Disgraziatamente però l'efficacia di que­
sti palliativi dura poco: si finisce sempre con il trasferire anche l'ostilità
latente, e i rapporti finiscono, come in questo caso, nel contrasto e nella
separa·zione.
I passaggi inediti della corrispondenza con Fliess rivelano chiaramente
che in Freud il conflitto interiore per le sue ricerche psicologiche era in­
timamente legato ad un altro, più personale, riguardante i suoi rapporti
con Breuer. Sappiamo che l'indurre Breuer a pubblicare il suo contributo
alla psicologia dell'isterismo costò a Freud un grande sforzo, molti dispia­
ceri .e ci~ che egli arriva a chiamare «sofferenza». Infatti per il mondo
me~lc~ d.1 allora quell'argomento non era del tutto rispettabile e le dichia­
raZlOnt dI Freud sulla sua etiologia sessuale lo avevano reso addirittura ob­
brobrioso. A ragione o a torto, Freud pensava che Breuer non gli avesse
mai perdonato il fatto di averlo attirato, ovvero spinto, in questa spiace­
372 Vita e opere di Freud

vole collaborazione, e sentiva comunque che negli anni successivi il com­


portamento di Breuer nei suoi riguardi si era fatto pessimo.
Tutto questo può essere più o meno vero, ma in ogni caso è certo che
Freud concepi per Breuer una violenta antipatia che comunicò solo a Fliess.
Le ragioni che dette del suo risentimento verso Breuer non sono molto
convincenti, e le espressioni che usò sono cosi forti da far concludere che
la sua reazione avesse qualcosa di nevrotico, fosse cioè sostenuta da un ap­
porto soggettivo del suo inconscio sotto forma di transfert da personaggi
precedenti della sua vita, in ultima analisi suo padre. Breuer aveva sempre
intrattenuto con Freud rapporti paterni, lo aveva aiutato, sostenuto e in­
coraggiato, e per di più gli aveva prestato - «da studente», dice Freud ­
una considerevole somma di denaro, che fino allora Freud non era riuscito
a restituirgli. La natura indipendente di Freud non sopportava facilmente
questo tipo di debito, e anzi a suo dire era proprio qùesta faccenda che
gli impediva di soddisfare il suo int~nso desiderio di rompere ogni rap­
porto con Breuer.
Nell'abbandonare le ricerche di Freud e nel ripudiarne le conclusioni,
Breuer veniva meno al suo ruolo di padre protettore. Come era possi­
bile, però, voltarsi a cuor leggero contro una persona che per quindici anni
aveva fatto tanto per aiutarlo e sostenerlo? Da piccolo Freud non era mai
riuscito ad- odiare suo padre e aveva mascherato la sua ostilità con l'amoèe.
Anche stavolta questa era l'unica soluzione possibile, ma la realtà esterna
la vietava a meno che non si ricorresse all'espediente di «scomporre»12 il
personaggio~padre in due, uno «buono», l'altro «cattivo». Cosi su Breuer
si appuntò l'odio, su Fliess l'amore, entrambi in grado eccessivo e spro­
porzionato ai meriti o ai demeriti delle persone stesse. Sappiamo già che
in Freud l'amore e l'odio più intensi riuscivano a convivere particolarmen­
te bene.

Agli altri guai di Freud si aggiunse in quegli anni decisivi anche quello
di una cattiva salute. Egli aveva per natura una costituzione molto robu­
sta, e le malattie che lo colpirono furono piuttosto di carattere acquisito
che congenito. :e anche vero però che per tutta la vita egli fu vittima
dell' emicrania, sebbene con l'andare degli anni gli attacchi fossero divenu­
ti molto meno frequenti. Caso strano, anche .Fliess soffriva di emicrania,
e i due amici escogitarono diverse teorie, nessuna delle quali molto profi­
cua, per spiegare questo fastidioso disturbo. Poi, come si conveniva ai suoi
Il periodo di Fliess ( 1887- 19°2) 373

rapporti con un otorinolaringoiatra, Freud soffri in quegli anni di gravi


infezioni al naso. In effetti ne soffrivano entrambi, e ciascuno dei due
prendeva un estremo interesse allo stato del naso dell'altro. Dopo tutto
era proprio il naso che aveva suscitato per primo !'interesse di Fliess per i
processi sessuali. Fliess operò Freud due volte (la seconda delle quali nel­
l'estate. 1895), forse di cauterizzazione dei turbinati, e gli prescrisse co­
stantemente la cocaina, di cui era un fautore entusiasta. Freud soffrl pure
per lungo tempo di un empiema ricorrente dei seni paranasali, prima da un
lato poi dall'altro, e naturalmente si fecero disperati tentativi per spiegare
i vari attacchi ed esacerbazioni in termini di leggi periodiche.
Nella primavera del 1894 Freud subì una malattia più grave. Nel 1889
un attacco di influenza gli aveva lasciato un disturbo cardiaco, l'aritmia,
che cinque anni dopo divenn€ alquanto preoccupante. Dato che questo
disturbo fece seguito ad un periodo di astinenza dal fumo, e siccome
fu attribuito ad un'intossicazione di nicotina, bisogna ben dire qualcosa
sulle abitudini di fumatore di Freud. Egli fumò sempre molto - la sua
razione quotidiana abituale era di venti sigari - e solo con grandissima
difficoltà sopportò l'astinenza. Nella corrispondenza vi sono molti riferi­
menti ai suoi tentativi di diminuire o di troncare la sua abitudine, special­
mente su consiglio di Fliess, ma a questo proposito perfino l'ascendente
dell'amico rimaneva inefficace. Quasi subito Freud rifiutò semplicemente
di accettare i suoi consigli :13 «Non seguo la tua proibizione di fumare:
credi che sia tanto bello vivere a lungo infelici ?» (17 novembre 1893).
Seguì però l'attacco che è meglio far descrivere dallo stesso Freud:
«Subito dopo aver cessato di fumare, seguirono alcuni giorni tollerabili,
nei quali avevo perfino cominciato a scrivere per te una descrizione del
problema della nevrosi. Poi è sopravvenuto improvvisamente un grave di­
sturbo cardiaco, peggiore di quanti ne abbia avuti quando fumavo. Un
galoppo sfrenato e irregolare, una costante tensione cardiaca, oppressione,
bruciore, un dolore acuto giù per il braccio sinistro, dispnea di sospetto
tipo organico... - tutto questo in due o tre attacchi al giorno, regolarmente.
Oltre a ciò, uno stato d'animo oppresso, in cui ICI solite fantasie sulle pro­
prie occupazioni erano sostituite da immagini di morte e scene d'addio. In
questi ultimi due giorni i disturbi organici si sono attenuati, lo stato ipo­
maniacale invece continua, ma è stato così cortese da cedere improvvisa­
mente, lasciandomi fiducioso che avrò una vita lunga e che fumare mi
piacerà non meno di prima.
374 Vita e opere di Freud

Per un medico che deve occuparsi tutto il giorno di nevrosi, è seccante


non sapere se la depressione di cui soffre è giustificata oppure ipocondria­
ca. Bisogna aiutarlo, perciò ho interpellato Breuer e gli ho detto che se­
condo me i disturbi cardiaci non corrispondevano ad un'intossicazione da
nicotina, ma che avevo piuttosto una miocardite che non tollerava il fumo...
Non so se sia possibile differenziare le due cose, ma in base ai sintomi sog­
gettivi ed al decorso, penso che dovrebbe esserlo. Nei tuoi riguardi invece
nutro qualche sospetto, dato che questo guaio è la sola occasione in cui
ti ho sentito esprimere giudizi contraddittori. Prima hai dichiarato che era
di origine nasale e hai detto che alla percussione erano assenti i dati del
cuore nicotinico. Oggi ti dimostri preoccupato sul mio conto e mi proibisci
di fumare. Posso capirlo solo ammettendo che vuoi tenermi nascosto il
vero stato di cose, cosa che ti prego di non fare. H Se puoi dire qualcosa
di preciso, dimmelo per favore. Non ho un'opinione esagerata né delle mie
responsabilità né della mia indispensabilità, e saprò rassegnarmi benissimo
ad una vita incerta ed alla brevità di essa, che una diagnosi di miocardite
comporta. 16 Forse, anzi, posso persino trarre vantaggio dall'indirizzare la
mia vita e godere al massimo quel che me ne rimane» (19 aprile 1894).
Una settimana dopo la digitale aveva normalizzato l'aritmia cardiaca, ma
la depressione generale e gli altri sintomi erano peggiorati. Breuer metteva
in dubbio la diagnosi di intossicazione da nicotina posta da Fliess, ma
trovò che effettivamente il cuore non era aumentato di volume. La diagno­
si era ancora incerta. Dieci giorni dopo il paziente si sentiva meglio, ma
cominciò a convincersi di avere una miocardite reumatica, anche perché
per alcuni anni era stato tormentato da noduli (presumibilmente reuma­
toidi) nei muscoli e altrove. Della stessa opinione era a due mesi di di­
stanza dall'attacco, e dimostrò che non si trattava di intossicazione da ni­
cotina perché fumando un paio di sigari al giorno, dopo un' astinenza to­
tale di sette settimane, si sentiva molto meglio. Diffidava sia di Breuer
che di Fliess, e sospettava che gli nascondessero qualcosa di grave. Dubi­
tava di poter vivere fino a cinquantun anno - data predestinatagli dalla leg­
ge dei periodi _,18 gli sembrava più verosimile dover morire tra i quaranta
e i cinquanta per rottura del cuore. «Se non è troppo vicino ai quaranta,
non sarà poi un gran male.» Però «sarebbe meglio non morire troppo
presto né completamente»Y Fliess insisteva tuttavia sull'astenersi dal fu­
mare, per cui Freud giunse a un «compromesso»: un solo sigaro alla setti­
mana, da fumarsi il giovedl per commemorare il divieto settimanale di
Il periodo di Fliess (1887-190Z) 375

Fliess! Un paio di settimane dopo, però, Freud osservò che il sigaro set­
timanale stava perdendo il suo gusto e che sperava quindi farne comple­
tamente a meno.
Ci riuscì, poiché passarono quattordici mesi prima che riprendesse a
fumare. Poi ricominciò, perché la tortura superava i limiti dell'umana sop­
portazione ed egli doveva «indulgere con quella miserabile della mia men­
te» (psychischer Kerl) che altrimenti si rifiutava di lavorare. Nel frattem­
po però Fliess aveva cambiato opinione e pensava che i disturbi cardiaci
di Freud fossero di origine nasale, ipotesi che sembrava confermata da un
evidente miglioramento in seguito ad un'operazione e all'uso della co­
caina. Freud trovò la spiegazione persuasiva. Nel marzo seguente (1895)
il suo atteggiamento verso la morte era ambivalente: «Oggi desideravo
nuovamente di morire (relativamente) giovane.» In aprile escluse la mio­
cardite e tornò all'intossicazione da nicotina, pur non sapendo quale delle
due fosse da preferire. Poi deve aver ripreso a fumare, dato che in otto­
bre scrisse di aver smesso un'altra volta a causa del polso cattivo e per
non dovere lottare col «vizio» dopo il quarto sigaro: «Meglio sistemare
le cose fin dal primo.» Ciononostante, il mese seguente decise che l'asti­
nenza completa era impossibile. Si mantenne però nei limiti, e l'unico
strappo fu quello con cui manifestò la sua gioia il giorno in cui l'impe­
ratore si rifiutò di ratificare l'elezione di Liiger a borgomastro.
Guardandosi indietro, si dovrebbe concludere che tutti questi guai fos­
sero per la maggior parte aspetti particolari della psiconevrosi di Freud,
forse lievemente favoriti nella loro localizzazione dall'effetto della nico­
tina. La miocardite sicuramente non c'era, ed egli stesso lo dimostrò in
quegli stessi anni, perché un uomo di 43 anni che riusciva a scalare il
monte Rax (nelle vicinanze del Semmering) in tre ore e mezzo, non poteva
avere il cuore in condizioni molto cattive - anche se si lamentava che negli
ultimi tempi il Rax era cresciuto di 500 metri! Gli avvenimenti successivi
dovevano anzi dimostrare che Freud aveva un cuore eccezionalmente solido,
e che era pure in grado di tollerare considerevoli quantità di nicotina.
Gli anni trascorrevano cos1 in una continua lotta contro i periodi di de­
pressione, contro l'ansia con le sue periodiche crisi di Todesangst e tutti gli
altri fastidi, interni ed esterni.

Nell'analisi del sogno Non ttJixit,18 nota a tutti gli psicoanalisti, Freud
espresse la convinzione che, dopo aver perso tanti buoni amici per la loro
376 Vita e opere di Freud

morte o per altre ragioni lO un'età in cui non è tanto facile farsene di
nuovi, ne aveva infine trovato uno «che manterrò per sempre». Questa
sua speranza era destinata ad essere amaramente delusa, e infatti giunse
il momento in cui risultò che Fliess non era né il primo né l'ultimo amico
la cui personalità a lungo andare fosse incompatibile con quella di Freud.
La rottura definitiva avvenne per un dissenso scientifico, pur essen_do le­
gata, come spesso accade, a questioni più emotive. Nel leggere la corri­
spondenza di quei dieci anni di intima amicizia, non si può fare a meno
di notare molti accenni allo screzio che doveva poi verificarsi, sebbene lì
per lì essi sfuggissero all'attenzione. Cos1, ad esempio, la costante eccessiva
ansia di Freud per ogni minimo disturbo dell'amico, e i suoi tragici presen­
timenti di quel che sarebbe potuto accadere quando la lettera si faceva aspet­
tare, non si possono spiegare completamente con il naturale timore di per­
dere una persona per lui tanto importante dal punto di vista psicologico:
è una manifestazione troppo nota di desideri inconsci mal risolti, per non
accorgersene. Quando l'amico era in viaggio, poi, l'ansia di Freud per i
disastri ferroviari in generale assumeva un riferimento personale talmen­
te esagerato che egli stesso se ne vergognava chiaramente. 19 Vari sogni
riferiti da Freud rivelano la stessa ambivalenza, perciò le basi dell'amici­
zia con Fliess si devono essere lentamente sgretolate per vari anni, prima
del crollo finale.
In una lettera del IO marzo 1896 Freud si lamentava dell' atteggiamento
di Breuer che gettava un'ombra sulla sua vita. Segue quindi un passo si­
gnificativo: «Credo che non mi abbia mai perdonato di averlo adescato
a scrivere gli Studi insieme a me, impegnandolo cos1 in una posizione de­
finitiva, proprio lui che conosce sempre tre soluzioni per una stessa verità,
e rifugge da qualsiasi generalizzazione come da un gesto arbitrario. Deci­
samente. non è piacevole dover pagare a cos1 caro prezzo tutte le cose che
nella vita ci hanno fatto piacere. Accadrà la stessa cosa fra noi?» Il suo
presagio, accennato a mezza bocca, non era che troppo vero. Due anni
dopo (24 maggio 1898), letti i commenti di Fliess su una parte del ma­
noscritto dell'Interpretazione dei sogni, Freud contrappose l'amico a Breuer,
ma in un modo che fa pensare piuttosto a un sottostante confronto. Co­
munque un amico segu1 l'altro nelle tenebre.
Non avendo bisogno, come Freud, di una dipendenza psicologica né
di essere rassicurato, Fliess si era impegnato meno a fondo nei reciproci
rapporti, come dimostra anche la diversa frequenza delle lettere dalle due
Il periodo di Fliess (1887-1902) 377

parti. Fliess aveva concentrato le sue n~cessità emotive nella per~ona della
moglie, nei riguardi della quale. era diventato talmente possessIvo da le­
sinarne la compagnia ai conoscenti e persino alla stessa famiglia di lei.
Tutto questo non contribuiva a rendere più lisce le cose.
Il dissenso scientifico "fondamentale è presto descritto. Se tutti i muta­
menti delle manifestazioni nevrotiche - la loro comparsa e la loro scompar­
sa, i loro miglioramenti ed esacerbazioni - erano rigorosamente determi­
nati , come sosteneva Fliess, dalle date critiche della vita, indicate dalle sue
leggi periodiche, ne seguiva che tutte le scoperte dinamiche ed etiologiche
di Freud, anche se giuste, erano de facto irrilevanti e prive di significato.
Questo è talmente evidente che è veramente sbalorditivo come i due uo­
mini abbiano fatto a scambiarsi dettagliatamente le loro idee per dieci in­
teri anni in cos1 apparente accordo. Nessuno dei due poteva capire vera­
mente a fondo il lavoro dell'altro: ciò che chiedevano era solo una reci­
proca ammirazione.
Le convinzioni di Fliess avevano un fondo patologico che mancava a
quelle di Freud, e questo lo rendeva quanto mai sensibile anche al più
lieve dubbio espresso nei loro riguardi. Due piccoli episodi del genere,
avvenuti in quel periodo, avrebbero potuto diventare già gravi se Freud
con il suo tatto non fosse riuscito a smussarli. Il primo fu determinato dalla
critica mossa da Loewenfeld all'articolo di Freud sulle nevrosi d'angoscia:
Loewenfe1d affermava che la teoria di Freud non spiegava la sporadicità
degli attacchi. Nella sua risposta Freud sottolineò la molteplicità dei fatto­
ri in gioco e la variabilità della loro forza, mentre Fliess pensava che l'ami­
co avrebbe dovuto dare maggior rilievo, come spiegazione, alle leggi pe­
riodiche, e infatti scrisse a Loewenfeld per suo conto una risposta in me­
rito. Freud accettò umilmente che la lacuna nella sua discussione venisse
cos1 riempita. 20 L'altro episodio ebbe luogo uno o due anni dopo, quan­
do Freud si azzardò a mostrarsi perplesso su un'ipotesi che Fliess stava
sviluppando sulla teoria del mancinismo. Fliess interpretò l'esitazione di
Freud come un segno di dubbio verso la grande teoria della bisessualità,
con la quale, secondo lui, il mancinismo era connesso, e che, come vedre­
mo, era un argomento sacro. Giunse persino ad accusare ingiustamente
Freud di ess~re mancino, al che Freud rispose scherzosamente che, per quel
che poteva rIcordare, da bambino aveva avuto due mani sinistre, ma che
aveva sempre preferito quella del lato destro. Sul punto principale però,
Vita e .opere di Freud

quello della bisessualità, Freud garantì la sua adesione, che fu indubbia­


mente costante.
Naturalmente quanto più Freud diventava sicuro della verità delle sue
scoperte, sia attraverso una maggiore esperienza, sia per la sua autoanalisi,
tanto minore importanza attribuiva all'aritmetica, sebbene fino al momento
della rottura egli professasse ancora la sua fede nelle idee di Fliess.
L'inevitabile scontro avvenne durante l'ultimo «congresso» ad Achensee
nell'estate del 1900 o forse a Monaco, dove probabilmente Freud si era
incontrato con l'amico che rientrava a Berlino . .s possibile che la data
della rottura sia stata in parte determinata da una delle rare visite che il
fratellastro di Freud, Emanuel, e suo figlio facevano a Vienna, e che era
avvenuta a Pentecoste, cioè un paio di mesi prima. L'affetto sempre se­
reno di Freud per Emanuel deve aver contrastato con il suo atteggiamento
sempre più ambivalente nei riguardi di Fliess. Non sappiamo con esattez­
za come avvenne la rottura. Nella versione successivamente datane da Fliess,
Freud lo avrebbe attaccato in maniera violenta e inattesa, cosa che pare
molto inverosimile. .s invece certo che Fliess, rispondendo forse a qualche
critica di Freud sulle leggi periodiche, gli disse che era solo un <dettore
di pensieri» e - peggio - che leggeva i propri pensieri in quelli dei pa­
zienti.
Si può ritenere che ciò abbia segnato la fine dei loro rapporti e infatti
Fliess disse - e forse è la verità - che in seguito a quell'episodio decise
di troncare progressivamente la relazione, cosa che in effetti fece. Non si
rividero mai più. Freud invece non poteva credere che un'amicizia così
valorosa fosse veramente finita. Per altri due anni continuò nei suoi sforzi
di accomodare le cose, pur dovendo riconoscere che ormai i vecchi scam­
bi «scientifici» non si potevano più riallacciare. Un anno dopo egli pro­
pose persino a Fliess di scrivere insieme un libro sulla bisessualità, l'argo­
mento preferito dell'amico: egli avrebbe scritto la parte clinica e Fliess
quella anatomica e biologica. Fliess però non si lasciò più allettare: al con­
trario, sospettò che questo fosse un espediente di Freud per aggiudicarsi un
po' della preziosa priorità della sua scoperta. Egli non rispose neppure al­
l'appello con cui Freud lo invitò a una riunione nel gennaio 1902. La
successiva corrispondenza è ancora su un tono amichevole e persino calo­
roso, ma si occupa principalmente di questioni personali e familiari, e finì
per chiudersi con una cartolina che Freud spedì dall'Italia nel settem­
bre 1902.
Il periodo di Fliess (1887-1902) 37~

Quando tutto pareva finito, vi fu uno st~ascico. Nel «congresso» ~l .Na­


tale 1897 a Breslavia, Fliess aveva comunicato a Freud la sua COnVinZ1One
che tutti gli esseri umani avessero una costituzione bisessuale: infatti le
sue leggi periodiche del 23 e 28 si basavano su questa dottrina. Nell'ul­
timo incontro ad Achensee nell'estate del 1900,21 Freud comunicò la stessa
cosa all'amico come un'idea nuova, al che Fliess, sbalordito, rispose: «Ma
questo te l'avevo detto io, nella nostra passeggiata notturna a B~eslav~a, e
allora rifiutasti di ammetterlo.» Freud aveva completamente d1menticato
la conversazione di allora e negò di saperne qualcosa: solo dopo una setti­
mana essa gli tornò alla memoria. 22
Il seguito dell'incidente è riportato in una breve corrispondenza pubbli­
cata da Fliess nel 1906 in un libro intitolato In eigener Sache, che è una
controversia sulla priorità. Il 20 luglio 1904 egli aveva scritto a Freud
per dirgli che Otto Weininger, un brillante giovane viennese, aveva pub­
blicato un libro nel quale l'idea della bisessualità aveva una parte prepon­
derante. 23 Avendo sentito che Weininger era intimo amico di un allievo
di Freud - un giovane psicologo che si chiamava Swoboda - era sicuro
che il grande segreto fosse trapelato per questa via. Che cosa ne diceva
Freud?
Freud rispose che Swoboda non era un suo allievo bensl un suo pazien­
te, al quale aveva accennato in analisi 24 che la costituzione bisessuale era
universale, osservazione che aveva ripetuto casualmente a Wein inger. Co­
munque Weininger poteva facilmente aver raccolto la stessa idea altrove,
dato che nella letteratura medica se ne trovano molte allusioni. «Questo
è tutto quello che so sulla faccenda.» Fu forse l'unica volta in vita sua
in cui per un attimo Freud non fu assolutamente retto: doveva essere certo
molto ansioso di placare Fliess.
Fliess replicò allora che già in precedenza Freud aveva chiamato Swo­
boda suo allievo; che a Weininger quell'idea non era venuta per averla
letta, poiché affermava che era totalmente nuova; che tutte le allusioni
della letteratura erano generiche e non si riferivano alla natura bisessuale
di ogni cellula vivente, ciò che era l'essenza della teoria di Fliess, e che
Weininger aveva proclamato come sua scoperta; infine era vero quello
che aveva saputo, cioè che Weininger aveva intervistato Freud dandogli
da leggere il manoscritto?
Messo alle strette, Freud affrontò la situazione con coraggio. Confessò
380 Vita e opere di Freud

con franchezza che doveva essere stato influenzato dal desiderio di privare
Fliess della sua priorità, desiderio nutrito probabilmente dall'invidia e dal-
1'0stilità. Si illudeva però, se pensava che questa spiegazione di carattere
psicologico potesse rabbonire Fliess o almeno che essa potesse interessargli.
La sua lettera si chiudeva con un' osservazione decisiva: gli rincresceva che
Fliess trovasse il tempo per scrivergli solo su questioni cosi da poco come
quella. Infatti quella questione avrebbe dovuto senz'altro esser tale, ma
non lo era certamente per Fliess. Questi non scrisse mai più e due anni
dopo pubblicò quella che era davvero una corrispondenza privatissima.
La fine vera e propria fu veramente spiacevole. Agli ultimi del 1905
Fliess fece pubblicare da un suo amico un opuscolo nel quale egli attaccava
Weininger, Swoboda e Freud. 25 Freud rispose immediatamente con una
lettera del gennaio 1906 diretta a Karl Krauss, editore di Die Fackel, da
cui è tratto il passo seguente: «Il dr. Fliess di Berlino ha ispirato un opu­
scolo diretto contro Otto Weininger e H. Swoboda, nel quale i due gio­
vani autori sono accusati del plagio più grossolano e vengono trattati nel
modo più duro. Si può giudicare dell'attendibilità di questa infelice pub­
blicazione dal fatto che io stesso, amico di Fliess per molti anni, sono ac­
cusato di essere colui che ha fornito a Weininger e a Swoboda le informa­
zioni che han loro servito di base per la loro supposta illegalità... Spero,
caro Signore, che Ella vorrà considerare questa lettera solo come segno
della mia stima e come prova del Suo interesse per una questione di Cul­
tura. Ciò che importa, qui, è la difesa contro l'arrogante presunzione di
una personalità brutale e l'eliminazione di ogni meschina ambizione per­
sonale dal tempio della scienza.»
Freud scrisse anche a Magnus Hirschfeld di Berlino, editore dello lahrbuch
fiir sexuelle Zwischenstufen (<<Annuario dei casi di sessualità intermedia») :
«Desidero attirare la Sua attenzione su un opuscolo intitolato Wilhelm
Fliess und seine Nachentdecker ... :e uno scritto disgustoso che getta tra
l'altro assurde calunnie sulla mia persona ... In realtà abbiamo a che fare
con la fantasia di un uomo ambizioso che nella sua solitudine ha perso
la capacità di giudicare ciò che è giusto e ciò che è lecito... Non è piace­
vole per me parlare con durezza pubblicamente di un uomo al quale sono
stato legato per dodici anni dalla più intima arnicizia, e provocarlo con·
questo ad ulteriori insulti.»
Indipendentemente da Freud, anche Swoboda replicò energicamente con
Il periodo di Fliess (1887-190Z)

un libro velenoso nel quale esponeva le pretese di Fliess,28 ed intentò per­


sino un procedimento legale contro di lui. Le idee di persecuzione che
Fliess può aver sviluppato nei confronti di Freud non ci riguardano, ma
certo non sorprenderebbero il lettore esperto.
Un altro strascico venne fuori circa otto anni dopo. Freud chiese a cin­
que di noi di incontrarsi con lui a Monaco il 24 novembre 1912: voleva
consultarci sulle difficoltà editoriali che aveva con Stekel e assicurarsi il no­
stro appoggio per un progetto che aveva in mente. La cosa venne siste­
mata rapidamente e in modo amichevole, ma verso la fine della colazione
(nel Park Hotel) Freud cominciò a rimproverare ai due svizzeri, Jung e
Riklin, di aver scritto articoli divulgativi sulla psicoanalisi in periodici
svizzeri senza citare il suo nome. Jung replicò che avevano pensato che
non fosse necessario farlo dato che il nome di Freud era tanto conosciuto,
ma Freud aveva già colto i primi sintomi dei dissensi che sarebbero
seguiti l'anno successivo. Perciò insistette, e ricordo di aver pensato che
stava prendendo la cosa da un punto di vista alquanto personale. Improv­
visamente, tra la nostra costernazione, Freud cadde a terra privo di sensi.
Jung, che era robusto, lo portò rapidamente su un sofà nell'ingresso, dove
Freud si riebbe subito. Le sue prime parole mentre tornava in sé, furono
strane: «Come dev' essere dolce morire» - altro indizio che l'idea della
morte doveva avere per lui un significato esoterico.
Non molto tempo dopo mi confidò la spiegazione del suo attacco: era
una ripetizione. In una lettera dell'S dicembre mi scrisse: «Non posso
dimenticare che sei e quattro anni fa ho sofferto di sintomi molto simili,
anche se non cosI intensi, nella medesima stanza del Park Hotel. Andai a
Monaco per la prima volta quando feci visita a Fliess durante la sua ma­
lattia, e questa città sembra strettamente associata ai miei rapporti con lui.
All'origine della faccenda c'è un certo che di omosessuale. Quando nella
sua ultima lettera Jung ha accennato di nuovo alla mia "nevrosi", non ho
trovato niente di meglio da proporgli che ogni analista si occupasse della
propria nevrosi più di quella degli altri. Penso che dopo tutto dobbiamo
essere gentili e pazienti con Jung: come diceva il vecchio Oliver, tieni la
polvere all'asciutto.»
U~ mese dopo andai a trovare Freud a Vienna e ricordo che in quella
occastone mi disse che la lite definitiva con Fliess aveva avuto luogo in
quella stessa camera di Monaco. Non posso però confermare questo punto,
38~ Vita e opere di Freud

in quanto è possibile che Freud abbia detto solo che quella stanza era
associata a Fliess, cosa senz'altro vera.

Nei suoi scritti successivi Freud menziona Fliess moltissime volte e af­
ferma di aver adottato da lui i termini di «periodo di latenza» e «subli­
mazione».27
Il riconoscimento di Freud verso di lui fu più generoso riguardo al con­
cetto di periodicità, che poco poteva servirgli, che su quello di bisessualità,
abbastanza importante per le sue stesse dottrine. Probabilmente Freud con­
tinuò a credere che c'era una periodicità nella vita, ma di ordine più com­
plesso di quanto le leggi di Fliess pretendessero di determinare. In Beyond
the pleasure princiPle Freud fa riferimento alla «grandiosa concezione» di
Fliess su tutti i fenomeni vitali - compresa la morte - legati allo scadere
di termini di tempo definiti. Egli aggiunge però che ci sono molte prove
contrarie al carattere assoluto delle formule di Fliess, e tali da giustificare
i dubbi sull'importanza che questi reclamava per le sue leggi.2 8
ì lecito chiedersi se l'importanza che Fliess attribuiva alla periodicità
non abbia influenzato Freud nella sua successiva concezione della «coazione
a ripetere», e del resto avremo occasione di discuterne nel prendere in con­
siderazione gli ultimi sviluppi delle sue teorie. In un passo assai suggesti­
vo scritto nel 1924 Freud spiegava che il principio del piacere-dolore non
poteva dipendere esclusivamente dal fattore quantitativo rappresentato dal­
la carica dell'eccitazione, come prima supponeva: «Esso non sembra dipen­
dere da questo fattore quantitativo, ma da qualche peculiarità dello stesso
che possiamo solo definire qualitativa. Saremmo molto più avanti in psico­
logia se sapessimo in che cosa questa peculiarità qualitativa consiste. Forse
è qualcosa di ritmico, la periodica durata delle modificazioni, il crescere
e il diminuire dell'entità degli stimoli.»29
In una nota ai Tre saggi sono elencati gli otto autori che sostengono
l'universalità della bisessualità. so Fliess è tra questi, ma tenendo conto del
fatto che Freud gli assegna la data del suo libro principale (1906) invece
di quella, in realtà assai anteriore, della sua «scoperta», i cinque autori che
lo precedono dovrebbero ridursi a due soli. «Queste citazioni» aggiunge
Freud «provano quanto fosse scarso il diritto di Weininger (!) alla prio­
rità del concetto»: forse con questo egli intendeva ripagare Fliess del gran
rumore da lui fatto sulla faccenda.
Il periodo di Fliess (1887-19°2)

Per quel che lo riguarda,. Freud dice solo di aver osservato personal­
mente casi di bisessualità nelle pIiconevroIi, e che una comunicazione per­
sonale di Fliess aveva richiamato la sua attenzione sul fatto che la bises­
sualità fosse una caratteristica generale delle pIiconevroIi. 31 L'argomento
della bisessualità rimase evidentemente penoso per entrambi.
La separazione da Fliess lasciò una cicatrice che scomparve lentamente.
Da parte di Freud l'ammirazione rimase, sebbene naturalmente modificata,
e il risentimento gradualmente si spense.
Note

1. Infatti il periodo della vera, appassionata dipendenza comprese gli anni


dal 1895 al 1901.
2. M., 19 marzo 1886.
3. Letteralmente «della mia città paterna».
4. A questa g~ffe ne feci seguire un'altra allorché feci gli elogi di Moebius.
Freud insorse con violenza contro di me, eppure in una lettera del 29 agosto
1894 aveva parlato di Moebius come della «migliore testa di neurologo».
5. V. pp. 225, 226.
6. Anf., p. 69.
7. Per un solo giorno.
8. Seele.
9. Corrispondenza inedita di Fliess, 27 aprile 1898; G. W., II-II, 441.
lO. Il corsivo è dell'Autore,
11. V. pp. 36, 227. La condizione non poteva essere definita una fobia in
senso stretto, perché l'ansia era sopportabile e non vi era il bisogno di misure
di protezione secondarie, come per esempio quella di evitare di viaggiare.
12. Termine tecnico usato dagli studiosi di mitologia per definire lo stesso
processo.
13. Che gli era stato dato nel 1890.
14. Questa situazione si ripeté, in termini piu gravi, negli ultimi anni della
sua vita. V. voI. III.
15. Freud si comportò sempre con il massimo coraggio davanti a qualunque
serio pericolo per la sua vita. Questo prova che il terrore della morte nevro­
tico deve avere avuto un significato diver$o da quello letterale.
16. Un'allusione a questo fatto si trova nell'Interpretazione dei sogni (G.
W., II-III, 441). Vedi anche pp. 417, 428.
17. Corrispondenza inedita di Fliess, 21 maggio 1894.
18. G. W., IV., 159, 160.
19. Anf., p. 228.
20. Ibid., p. 171.
21. Nel racconto dell'episodio che pubblicò (G. W., IV, 159, 160) andò
incontro a un altro errore. Se erano trascorsi due anni e mezzo dall'incontro
Note

di Breslavia doveva essere il 1900, mentre egli fece risalire la conversazione


con Fliess al 1901, epoca in CUI non s'incontrava già più con l'amico, l'ur
desiderandolo ancora.
22. Un caso di amnesia molto grave! Appena un anno prima aveva scritto:
«Circa la bisessualità sei certamente nel giusto. Anch'io mi vado abituando
all'idea di considerare ogni atto sessuale come l'incontro di quattro individui»
(lo agosto 1899). L'anno prima ancora aveva espresso il suo entusiasmo in
questi termini: «Ho cominciato a considerare con attenzione il concetto di
bisessualità e considero la tua idea in proposito come la più significativa per
il mio lavoro, dopo quella di "difesa"» (4 gennaio 1898). Edith Buxbaum
ha considerato - secondo me erroneamente - questo passo come dovuto ad
un lapsus calami (La interpretazione aei sogni ai Freua alla luce aelle sue
lettere a Fliess, «Bullettin of the Menninger Clinic», novembre 1951, p. 206).
23. Geschlecht una Charakter (Sesso e carattere), 1903.
24. Nel 1900.
25. Pfenning, Wilhelm Fliess una seine Nachenlaecker, Berlino 1906.
26. H. Swoboda, Die gemeinniitzige Forschung una aer eigenniitzige For­
scher. Vienna, 1906.
27. G.W., V, 79.
28. Ibia., XIII, 47.
29. Ibia., p. 372.
30. Ibia., V, 42 n.
31. Ibia., p. 65 n. I. Questo era accaduto a Norimberga nell'aprile 1897,
ma si riferiva solo alle donne.
XIV. L'autoanalisi (dal 1897)

Nell'estate del 1897 l'incantesimo cominciò a rompersi e Freud dette


inizio alla sua più eroica impresa - un'analisi del proprio inconscio. Og­
gigiorno è difficile per noi renderci conto dell'importanza di questa con­
quista, come del resto avviene per la maggior parte delle imprese pionieri­
stiche. Rimane però il fatto che si tratta di un'impresa unica: una volta
compiuta, è compiuta per sempre, perché nessuno può essere di nuovo il
primo ad esplorare quelle profondità. 1
Nella storia dell'umanità si è spesso affrontato questo problema. Filo­
sofi. e scrittori, da Solone a Montaigne, da Giovenale a Schopenauer, ave­
vano provato a seguire il consiglio dell'oracolo di Delti} ma tutti soccom­
bettero allo sforzo. Ogni progresso era impedito dalle resistenze interiori.
C'erano stati ogni tanto sprazzi d'intuizione ad indicare il cammino, che si
erano però sempre estinti. Il regno dell'inconscio, la cui esistenza era stata
tante volte postulata, rimaneva oscuro ed erano ancora valide le parole di
Eraclito: «L'anima umana è una terra lontana che non può essere né rag­
giunta né esplorata.»
Freud non aveva nessuno che lo aiutasse o che almeno lo assistesse mi­
nimamente nell'impresa. Peggio ancora: egli deve avere intuito confusa­
mente, per quanto cercasse di nasconderselo, che lo stesso movente che lo
spingeva ad andare avanti non poteva non turbare profondamente - fino
forse a troncarli - i suoi rapporti con l'unica persona alla quale era stret­
tamente legato e che aveva rafforza:to il suo equilibrio mentale. Osava
molto e molto rischiava. Che indomito coraggio .... intellettuale e morale
- dev'essergli occorso! Ne aveva a disposizione, però.
L'aspetto drammatico della cosa, però, si può cogliere solo a una certa
distanza di tempo. Allora invece fu un lungo e penoso dibattersi a ten­
L'autoanalisi (dal 1897)

toni in una fatica degna di Ercole, e Freud deve avere spesso pensato a
alt the losl aaventllrers, my peers (tutti gli avventurieri perduti, pari miei).
La decisione stessa di affrontare il compito fu solo in parte determinata da
una volontà cosciente o da un motivo ben definito. Non ci fu un improv­
viso lampo di genio ma piuttosto una crescente intuizione della necessità
della cosa. Probabilmente la molla più profonda e più forte nella perso­
nalità di Freud fu il bisogno prepotente di giungere ad ogni costo alla
verità: ad esso bisognava sacrificare tutto il resto - benessere, successo, fe­
licità. Come dice il suo amato Goethe: «L'amore della verità è la prima
ed ultima cosa che il genio cerca.»
In queste circostanze Freud non poteva mirare ad altro che a soddisfa­
re il suo imperioso bisogno. Molto tempo sarebbe trascorso prima che la
meta fosse raggiunta, se si eccettua un «indescrivibile senso di bellezza in­
tellettuale» che le rivelazioni gli procuravano di tanto in tanto. In realtà
per tre o quattro anni la sofferenza nevrotica e la dipendenza da Fliess
aumentarono d'intensità, ma giunse infine il momento in cui egli imparò
che

To bear alI naked trufus


And to envisage circumstance all calm,
That is the top of sovereignty.3

Tutte queste fatiche e sofferenze sfociarono nella fase ultima e defini­


tiva dell'evoluzione della sua personalità, dalla quale emerse il Freud se­
reno e benevolo, libero, da allora in poi, di proseguire il suo lavoro con
imperturbabile compostezza.
Qualcosa di più va ora detto sui particol!lri del suo progredire, come
pure sulla evoluzione dei suoi punti di vista sulla sessualità nell'infanzia,
che precedettero e accompagnarono la sua impresa. Prima vale però la pena
di citare una frase scritta da lui non meno di quindici anni prima: «Per
~e è sempre un mistero quando non riesco a capire qualcuno nei termini
di ~e stesso.»' Evidentemente gli era rimasto impresso il detto di Te­
renzlO: Humani nihil a me alienllm Pllto,5 e comunque era una ragione di
più per desiderare di conoscere a fondo se stesso.
Due parti importanti delle ricerche di Freud sono intimamente connesse
a~la s~a autoanalisi: l'interpretazione dei sogni e la sua progressiva valo­
ClzzaZlOne della sessualità infantile.
]88 Vita e opere di Freud

L'interpretazione dei sogni ebbe una triplice funzione. Innanzi tutto fu


dalla osservazione e dallo studio dei propri sogni, cioè del materiale di
studio più immediatamente a portata di mano e più sfruttato nel suo libro,
che Freud ebbe in termini coscienti, l'idea di proseguire la sua autoan~isi
fino alla sua fine logica, e fu questo il metodo principale di cui si servl
per portarla a termine. In secondo luogo Freud ritenne che chiunque fosse
in buona fede, abbastanza normale e buon sognatore, potesse arrivare abba­
stanza avanti nella sua autoanalisi, ma naturalmente non tutti sono un
Freud. La sua autoanalisi procedeva di pari passo alla compilazione del suo
opus magnum: L'Interpretazione dei sogni, e Freud vi riportò infatti molti
particolari dell'autoanalisi. Infine, l'interpretazione dei sogni era proprio
il lato del suo lavoro in cui si sentiva più sicuro e di cui si fidava di più.
Se ripercorriamo lo sviluppo delle idee di Freud sulla sessualità e l'in­
fanzia fino all'epoca dell'autoanalisi, in base sia alle pubblicazioni che alla
corrispondenza con Fliess, arriviamo alla conclusione che egli giunse alle
sue scoperte in modo assai più graduale di quanto si sia spesso supposto.
Cose che ora sono chiarissime, erano allora molto oscure. Freud partl ne­
cessariamente dall'opinione convenzionale dell'innocenza infantile, e tro­
vandosi di fronte a storie raccapriccianti di seduzioni da parte di adulti,
accettò l'opinione, altrettanto convenzionale, che ciò costituisse uno stimolo
precoce. Inizialmente egli non considerò il fatto che ciò suscitava imme­
diatamente sensazioni sessuali nel bambino, e credette che solo più tardi,
verso la pubertà, il.ricordo di quegli episodi diventasse eccitante. Questa
idea concorda con quella da lui espressa nel 1895 per cui i ricordi diven­
tano traumatici dopo anni dall'esperienza stessa. 8 Intorno al 1896 Freud
cominciò ad ammettere che forse «anche l'età infantile può non esser priva
di delicati eccitamenti sessuali», che egli considerava però puramente auto­
erotici senza riferimenti ad altre persone. Un anno dopo Freud si occupò
della base organica di questi eccitamenti e li localizzò nelle regioni orale
ed anale, pur accennando che essi potevano interessare l'intera superficie del
corpo. T In una lettera del 6 dicembre 1896 usò il termine di «zone erogene»
e in un'altra del 3 gennaio 1897 chiamò la bocca «organo sessuale orale».
Freud scoprl gli aspetti alloerotici della sessualità infantile in modo
stranamente indiretto, e cioè non dallo studio del bambino ma da quello
dei suoi genitori. Dal maggio 1893, quando lo comunicò per la prima volta
a Fliess, al settembre 1897, quando ammise il suo errore, Freud continuò
a ritenere che la causa principale dell'isterismo fosse la seduzione sessuale
L'autoanalisi (dal 1 897)

di un bambino innocente da parte di una persona adulta, più spesso il pa­


dre: le prove fornite dal materiale analitico sembravano inconfutabili. Per
più di quattro anni egli mantenne qu~sta conv~lUione ~ur rim~nendo sem­
pre più sorpreso dalla frequenza del suppostI traUffil sessuah: sembrava
addirittura che la maggior parte dei padri compisse simili assalti incestuosi,
che per di più erano di solito di genere perverso, in quanto la bocca o
l'ano erano di solito le regioni preferite. Dall'esistenza di qualche sintomo
isterico in suo fratello e in varie sorelle (nota bene, non in se stesso) Freud
dedusse che anche suo padre poteva essere accusato in questo senso (11
febbraio 1897), pur aggiungendo immediatamente che la frequenza di casi
simili suscitava spesso i suoi sospetti. Verso la fine di quel periodo i dubbi
cominciarono ad affollarsi nella sua mente, ma venivano continuamente re­
spinti da qualche nuova prova. Alla fine però fece un sogno concernente la
sua nipote americana Hella, che nella sua interpretazione -mascherava un de­
siderio sessuale nei riguardi di sua figlia maggiore, e allora sentI finalmente
di avere in mano una prova diretta, personale, dell'esattezza della sua teo­
ria (13 maggio 1897).
Quattro mesi dopo, tuttavia, Freud scoprl la verità sulla faccenda: bi­
sognava mettere da parte i desideri incestuosi dei genitori verso i figli come
pure gli eventuali atti del genere, ed occuparsi invece del reperto, generale
nei bambini, di desideri incestuosi verso i genitori e in modo caratteristico
verso il genitore del sesso opposto. Quest'altro lato della situazione gli era
rimasto completamente nascosto, e furono i primi due mesi di autoanalisi
a svelarglielo. Freud stava imparando quanto fosse vera la massima di
Nietzsche: «Il nostro lo ci è ben nascosto: di tutte le miniere di tesori la
propria è l'ultima ad essere scavata.»
Prima d'allora, però, Freud aveva già mandato a Fliess alcune note in
cui riconosceva che nelle nevrosi ricorrono regolarmente ostilità e desideri
di morte da parte dei figli maschi nei confronti del padre e delle figlie fem­
mine nei confronti della madre. 8 Questo implicava il motivo della gelosia,
che poteva però essere concepito in termini di amore piuttosto che di desi­
derio sessuale. Nelle stesse note Freud discuteva poi il significato culturale del
divieto dell'incesto, perciò l'idea dell'incesto (per quanto ancora probabil­
mente solo da parte del genitore) l'aveva già in mente. Non era possibile
rimandare più a lungo la decisione di scoprire se idee simili fossero presenti
nel suo inconscio.
Neanche allora tuttavia Freud era giunto proprio al concetto di sessua­
390 Vita e opere di Freud

lità infantile come si sarebbe dovuto intendere in seguito. Infatti i. desideri


e le fantasie incestuose erano prodotti di età successive, forse tra gli otto
e i dodici anni, che venivano riportati indietro sullo sfondo della prima
infanzia: non era nell'infanzia che essi avevano origine. Si poteva ammet­
tere tutt'al più che i bambini piccoli, anche di sei-sette mesi (!) avessero
la capacità di percepire e di capire, anche se in modo imperfetto, il signi­
ficato di atti sessuali, visti o casualmente uditi, tra i genitori (2 maggio
1897). Esperienze simili diventavano significative solo quando il loro ri­
cordo veniva ravvivato da fantasie, desideri o atti sessuali negli anni se­
guenti. Ampi studi successivi hanno dimostrato che questo concetto di
«regressione» è valido ed importante, ma ci si può chiedere se, al tempo
di cui stiamo parlando, la sua esagerazione non abbia reso più difficile per
Freud la comprensione dei primi anni di vita.
Le prime forme di eccitamento sessuale della prima infanzia riconosciute
da Freud furono quelle che ora chiamiamo «pregenitali». Esse riguardano
i due orifizi alimentari, bocca e ano (1896-1897) e si potevano considerare
ancora autoerotiche. Era molto più difficile ammettere che il bambino potesse
avere nei confronti di un genitore desideri sessuali, paragonabili sotto molti
aspetti a quelli adulti. Un ulteriore passo avanti che Freud fece solo più
tardi, con la sua abituale cautela, fu quello di riconoscere la ricchezza di
impulsi attivi nella vita sessuale del bambino. Questo passo fu compiuto
probabilmente intorno al 1900, sebbene non ve ne sia un'esplicita dichia­
razione fino al saggio che Freud scrisse nel 1905 in occasione dell'uscita
del libro di Loewenfeld," cioè circa nel periodo dei Tre saggi sulla teoria
della sessualità.
Perfino nell'Interpretazione dei sogni (1900), in cui viene descritto il
complesso di Edipo, si trova quello che potrebbe definirsi un fossile in­
capsulato di epoche remote, e cioè l'ammissione che i bambini siano esenti
da desideri sessuali;lO la nota di correzione fu aggiunta solo nella terza
edizione del libro (1911).
Non c'è dunque alcun dubbio che per un periodo di circa cinque anni
Freud considerò i bambini come innocenti oggetti di desideri incestuosi e
solo molto lentamente - e senza dubbio malgrado notevoli resistenze inter­
ne - Freud giunse a scoprire quella che da allora in poi fu nota come
sessualità infantile. Finché gli fu possibile egli la limitò a un'età più avan­
zata, credendo che le fantasie venissero proiettate retrospettivamente in
un' età precedente, ma verso la fine della sua esistenza arrivò a considerare
L'autoanalisi (dal J 897) 391

il primo anno di vita come un oscuro mistero che racchiude eccitamenti con­
fusamente percepibili, piuttosto che impulsi e fantasie attivi.
Alla luce di queste considerazioni possiamo ora tornare all' autoanalisi
vera e propria. Il vero e proprio inizio può essere ricondotto a quella sto­
rica occasione del luglio 1895, quando per la prima volta Freud analizzò
a fondo uno dei suoi sogni. Negli anni seguenti egli comunicò più volte
a Fliess le analisi dei propri sogni e anzi dalla corrispondenza possiamo
precisare il momento in cui queste analisi divennero un procedimento re­
golare con uno scopo preciso: luglio 1897.
Vien fatto di chiedersi perché la decisione fu presa proprio in quel
periodo. Anche qui abbiamo probabilmente a che fare con una pressione
progressivamente crescente di forze inconsce, più che con un improvviso,
drammatico colpo di genio. Abbiamo notato più volte che il genio di Freud
era uno di quelli che procedono attraverso le difficoltà con una marcia
costante piuttosto che con rapidi sprazzi di intuizione. Nel caso presente
agivano motivi profondi e irresistibili.
Nell'ottobre precedente gli era morto il padre e nel ringraziare Fliess
delle condoglianze, Freud gli scrisse: «La morte di mio padre mi ha col­
pito profondamente per una delle oscure vie che sono al di là della co­
scienza ufficiale. L'ho considerato molto e l'ho capito a fondo: con il suo
strano miscuglio di profonda saggezza e di fantastica levità egli ha signi­
ficato molto nella mia vita. Quand'è" morto aveva fatto il suo tempo, ma
la sua morte ha risvegliato in me tutti i miei antichi sentimenti. Ora mi
sento completamente sradicato.»
Freud ci ha detto che fu quest'esperienza a portarlo a scrivere l'In/er­
pretazione dei sogni (1898), la cui preparazione procedette parallelamente
al primo o secondo anno della sua autoanalisi. Le due attività si possono
perciò legittimamente considerare unite. Nella prefazione alla seconda
edizione, nel 1908, Freud scrisse di essersi accorto del rapporto con la
morte del padre solo dopo aver terminato il libro: «Esso si è rivelato per
me un brano della mia autoanalisi, la. mia reazione alla morte di mio pa­
dre, cioè all' avvenimento più importante e alla perdita più dolorosa nella
vita di un uomo.»
Da quel momento Freud era destinato presto o tardi a trasformare l'in­
teresse scientifico per il meccanismo dei suoi sogni in una regolare e in­
transigente autoanalisi. La morte di suo padre fu lo stimolo a questa im­
presa ed alla preparazione del libro.
392 Vita t opere di Freud

Vi sono anche accenni tali da far pensare che la progressiva corrente di


ostilità latente nei confronti di Fliess fosse connessa da parte di Freud al­
l'identificazione inconscia dell'amico con suo padre.
Nel febbraio successivo alla morte del padre, Freud parlò di atti di se­
duzione dei quali lo accusava, e tre mesi dopo parlò del sogno incestuoso
che secondo lui metteva fine ai suoi dubbi sulla questione della seduzione
(31 maggio 1897). A quello stesso periodo risale il manoscritto nel quale
Freud esponeva l'ostilità dei bambini destinati a diventare nevrotici nei
confronti del genitore dello stesso sesso - primissimo accenno al complesso
d'Edipo. Le due teorie, a quanto pare, venivano sostenute simultaneamente.
Verso la metà d'aprile Freud si incontrò con Fliess a Norimberga e dieci
giorni dopo (28 aprile) gli mandò il resoconto di un sogno la cui analisi
rivela un risentimento e un'ostilità inconsci nei suoi confronti. Evidentemen­
te Freud si andava accorgendo di un certo fermento emotivo, poiché in una
lettera (inedita) di quattro giorni dopo scrisse: «Posso guarire solo lavo­
rando con l'inconscio: con sforzi esclusivamente coscienti non posso far­
cela» (2 maggio 1897). Questa è forse la prima allusione al fatto che Freud
aveva intuito di dover realizzare un'analisi personale. Gli ci vollero però
ancora un paio di mesi per decidervisi.
SeguI quindi un periodo di apatia e «una paralisi intellettuale quale non
avevo mai immaginato» (12 giugno). Egli stesso descrisse la fase nevrotica
attraverso la quale stava passando: «Uno strano stato mentale che la co­
scienza non riesce ad afferrare; pensieri crepuscolari, la mente offuscata,
appena un raggio di luce qua e là.» Ogni riga da scrivere era un tormento,
tanto che una settimana dopo disse che la sua inibizione nello scrivere era
veramente patologica (18 giugno). Ben presto tuttavia Freud scopri che
lo scopo di tale inibizione era quello di impedire i suoi scambi con Fliess.
~ di quei giorni (7 luglio) il significativo passaggio della .lettera citata
prima, in cui Freud parla di resistenze molto profonde della sua nevrosi,
nella quale Fliess era in certo qual modo coinvolto. n Qualcosa stava però
per venir fuori. Con sua soddisfazione poteva dire «Credo di essere in un
bozzolo, e Dio sa che razza di animale ne salterà fuori» (12 giugno 1897).
Poco tempo dopo egli raggiunse la famiglia ad Aussee e il 14 agosto
scrisse apertamente della propria analisi che, diceva, è «più ardua di qual­
siasi altra». «Eppure deve essere portata a termine, tanto più che è un
complemento n~essario al mio lavoro (terapeutico).» Parte del suo isteri­
L'autoanalisi (dal 1897) 393

smo era già risolta. Freud aveva chiaramente capito che erano state le sue
resistenze a ostacolarlo in quel lavoro.
Dopo altri 15 giorni Freud partI con la moglie per un giro nell'Italia
settentrionale, e ignoriamo fino a qual punto questo abbia interrotto l'ana­
lisi. Rientrato a Vienna il 20 settembre, il giorno dopo comunicò a Fliess
la fatidica notizia che le storie sulla seduzione nelle quali aveva creduto,
non erano perfettamente vere. ~ molto probabile che egli sia giunto a que­
sta conclusione dopo aver capito il significato delle proprie fantasticherie,
cosa che starebbe in favore di una continuazione dell'analisi anche durante
le vacanze.
Nelle lettere del 3, 4 e 15 ottobre, Freud fornisce alcuni particolari sui
progressi della propria analisi, di cui parleremo altrove. Aveva ormai ca­
pito che suo padre era innocente e che egli stesso aveva proiettato su di lui
le proprie idee. Si erano riaffacciati i ricordi di desideri sessuali nei con­
fronti della madre, che risalivano a quella volta in cui l'aveva vista nuda.
Abbiamo una descrizione della sua gelosia e delle sue liti infantili e della
riscoperta della sua vecchia balia, alla quale Freud attribuiva la maggior
parte dei propri guai; un dettaglio particolarmente convincente era il ri­
cordo, ritrovato, di come essa lo lavasse jn un'acqua rossa in cui aveva
già lavato altre cose.
Nell'ultima di queste lettere Freud raccontava di aver dùesto a sua ma­
dre notizie sulla propria infanzia e di avere cosI ottenuto una conferma
obiettiva della verità delle sue scoperte analitiche. Alcune delle notizie
avute, per esempio sulla balia, avevano risolto alcune sue perplessità. Freud
osservava pure che se fosse stata portata a termine, la sua autoanalisi pro­
metteva di essergli assai preziosa.
Aveva scoperto in se .stesso la passione per sua madre e la gelosia verso
suo padre: era sicuro che questa fosse una caratteristica umana generale
che permetteva di capire il potente effetto della leggenda di Edipo. Ag­
giungeva inoltre una conseguente interpretazione corrispondente della tra­
gedia di Amleto. Evidentemente la sua mente lavorava ora a pieno regime
e possiamo parlare a buon diritto di intuizioni balenanti.
In una lettera del 27, Freud raccontava in modo vivacissimo e quasi
poetico le varie fasi dell'analisi. Il superamento delle proprie resistenze
gli aveva dato una visione assai più chiara delle resistenze dei suoi pazienti,
e ora gli riusciva assai meglio di capire i loro cambiamenti di umore. <<Ri­
trovo ora tutte le esperienze fatte con i miei pazienti: certi giorni vado in
394 Vita e opere di Freud

giro angustiato per non esser riuscito a capire niente dei miei sogni, delle
mie fantasie, dei miei stati d'animo della giornata. Altre volte invece un lam­
po12 illumina le associazioni e mi mette in grado di capire ciò che era
avvenuto prima e che aveva preparato la visione odierna.»
In una lettera del 14 novembre c'è uno strano passo che si può inter­
pretare solo come un altro caso di amnesia. «Prima delle vacanze» racconta
Freud «ti dissi che ero attualmente il mio paziente più importante: da
allora la mia autoanalisi, che a quel tempo ancora non esisteva, ha preso
il via.» I fatti riportati nelle lettere precedenti lo contraddicono nettamente,
però è possibile che dopo il ritorno a Vienna l'analisi avesse proceduto a
maggiore velocità.
Naturalmente l'analisi di Freud, come ogni altra, non dette subito risul­
tati miracolosi. Nelle lettere successive vi sono tipici accenni al suo anda­
mento discontinuo: ottimismo alternato a pessimismo, esacerbazioni dei sin­
tomi, e cosi via. Sembra che nei primi uno o due anni di analisi la nevrosi
in sé, e quindi la dipendenza da Fliess, fossero diventate più intense o
almeno più palesi, ma il proposito di arrivarne a capo non venne mai meno
e alla fine ebbe la meglio. Una lettera del 2 marzo 1899 diceva che l'ana­
lisi gli aveva fatto un gran bene e che naturalmente si sentiva assai più
normale di quattro o cinque anni prima.
Dopo che il tono delle lettere fu mutato, dopo la lite con Fliess nel
1900, com'era da aspettarsi si parlò meno dell'analisi, che pure certamente
continuava. Come abbiamo detto, da parte di Freud il desiderio di una
riconciliazione persistette fino alla rottura definitiva legata all'episodio di
Weininger. A questo proposito cade interessante un particolare sulla inter­
ruzione del vecchio legame. Freud riferl un sogno fatto in un periodo in
cui si stava occupando di un particolare problema scientifico.13 Si è pen­
sato che il tema del sogno fosse la bisessualità e che esso risalisse perciò
al 1904, quando cioè Freud stava scrivendo i Tre saggi sulla teoria della
sessualità. Lo spiacevole episodio di Weininger aveva avuto luogo appunto
nell'estate di quell'anno. Il sogno, che Freud definiva ipocrita, conteneva
l'idea di una riconciliazione con Fliess, ma la sua analisi rivelò il desiderio
più profondo di una rottura definitiva. Fu questo a segnare veramente la
fine dei loro rapporti.

Dato che poche analisi sono complete, anzi forse nessuna, l'assoluta
perfezione essendo negata ai mortali, sarebbe irragionevole aspettarsi che
L'autoanalisi (dal 1897) 395
lo fosse proprio l'autoanalisi di Freud, che era privo dell'assistenza di un
analista obiettivo e dell'inestimabile aiuto offerto dallo studio dei feno­
meni di transfert. Avremo forse occasione di notare come l'incompletezza
dell'autoanalisi di Freud possa avere influenzato alcune delle sue conclusioni.
Al principio del capitolo abbiamo indicato solo la data dell'inizio del­
l'autoanalisi di Freud; la ragione è questa: Freud in persona mi ha detto
di non aver mai cessato di analizzarsi, dedicando a questo scopo l'ultima
mezz'ora della sua giornata. Un esempio di più della sua perfetta onestà.
Note

1. Kurt Eissler ha dato un efficace esempio dell'immaginazione necessaria


a cogliere il significato di questo evento in un articolo dal titolo Brevi consi­
derazioni su una lettera autobiografica inedita di Freud (<<International Jour­
nal of Psycho-Analysis», XXXII, 1951, 319).
2. Sembra che la prima enunciazione del «Conosci te stesso» risalga a Chi­
Ione di Sparta, circa 600 a. C.
3. (Sopportare sempre la verità nuda / e affrontare con calma serena tutte
le circostanze, / questo è il massimo della sovranità.]
4. M., 20 ottobre 1882.
5. Ritengo che niente di ciò che è umano mi sia alieno.
6. Anf., p. 435.
7. Ibid., p. 246.
8. Manoscritto N, 31 maggio 1897.
9. Le mie opinioni sul ruolo della sessualittÌ nell'etiologia delle nefJrosi (Loe­
wenfeld, Sexsualleben und Nervenleiden, IV ed. 1906).
10. G. W., II-III, 136.
11. V. p. 370.
12. Ein Blitz.
13. G.W., p. 150 n.
xv. Vita privata (1890-1900)

Quello che sappiamo da altre fonti sul modo di vivere, le abitudini e i


fatti generali di questo periodo della vita di Freud, è notevolmente arric­
chito dalle notizie contenute nella corrispondenza con Fliess. Qua e là si
fa accenno anche a particolari banali, come ad esempio il fatto che Freud
andava ogni giorno dal barbiere! - cosa che per un uomo barbuto sta ad
indicare una cura straordinaria della propria persona; che Freud dete­
stava talmente i piatti, manifestamente innocui, a base di pollo o di ca­
volfiore, da evitare di pranzare in ogni famiglia in cui fosse probabile di
vederseli ammannire; ed infine che fece installare un telefono fin dal
1895.2
L'appartamento più spazioso nella Berggasse nel quale i Freud si erano
trasferiti alla fine dell'estate del 1891, non era sufficiente al crescente nu­
mero di figli, perciò nel 1892 Freud prese in affitto un altro appartamento.
Questo si trovava al piano terreno del medesimo edificio e dava su un
giardino, piccolo ma piacevole, posto sulla parte posteriore. Comprendeva
tre stanze che servivano rispettivamente da sala d'aspetto per i pazienti,
stanza da visita e studio, cosi che Freud aveva tutte le possibilità di concen­
trarsi nella calma. Questa sistemazione durò fino al 1907. La signora Fliess
festeggiò l'insediamento di Freud dandogli alcuni lavori ricamati da lei.
Freud raccontò in una lettera che la sua vita trascorreva tra la stanza da
visita e la camera dei bambini al piano di sopra. Fu senza dubbio un
padre amoroso, e le sue lettere a Fliess sono piene di particolari sulle espres­
sioni e sulle azioni salienti dei suoi figli. Crescendo essi divennero tutti
robusti e sani, ma nell'infanzia, a quanto pare, prendevano tutte le ma­
lattie possibili e immaginabili. Era una fonte di ansia continua, se si tiene
presente che molte di queste malattie, come la scarlattina, la difterite, la
Vita e opere di Freud

tonsillite, eccetera, erano allora assai più pericolose di oggi, e l'unica cura
di cui si disponeva era l'assistenza igienica.
Malgrado le sue occupazioni, Freud era un vero e proprio uomo di casa
e si interessava di tutto ciò che riguardava i suoi numerosi parenti. Per di
più, oltre al completo mantenimento 'della propria famiglia, doveva con­
tribuire al sostentamento dei genitori e delle sorelle. Suo fratello Alexan­
der faceva del suo meglio per aiutarlo, sebbene anch'egli fosse talvolta
costretto a farsi prestare del denaro (da Fliess). Freud raccontò pure il
grande piacere che gli procurarono le visite a Vienna del fratellastro inglese
Emanuel nel 1896 e nel 1900.
Freud aveva un solo hobby di una certa importanza, ma al di fuori delle
vacanze si prendeva pochi svaghi. Giocava abbastanza spesso a scacchi, ma
prima di compiere cinquant'anni vi rinunciò completamente perché questo
gioco richiedeva una concentrazione eccessiva che egli preferiva dedicare
ad altri scopi. Quand'era solo faceva qualche solitario, ma un gioco al quale
si appassionò veramente fu quello dei tarocchi, un antico gioco viennese
a quattro. Egli lo giocava già verso il 1890 e forse fin da prima, ma più
tardi divenne un'istituzione e gli vennero riservate tutte le sere della do­
menica. L'iniziatore era stato il professor Konigstein, S l' oftalmologo che
fu tra i primi ad impiegare la cocaina, ed in casa sua si giocò fino alla sua
morte nel 1924. Un altro giocatore era Oscar Rie, pediatra ed assistente
di Freud all'Istituto Kassowitz, nonché suo collaboratore nel lavoro sulle
paralisi infantili e suo medico di famiglia. 4 Il quarto compagno era il dot­
tor Ludwig Rosenstein,1i altro pediatra dell'Istituto Kassowitz, che aveva spo­
sato la sorella di Rie. Più tardi partecipò alle riunioni anche Alfred Rie,
fratello di Oscar, e - molti anni dopo - gli stessi figli di Freud sostituirono
i suoi amici.
Al teatro e all'opera Freud andava solo assai di rado e solo se si davano
opere di Mozart, sebbene si facesse eccezione per la Carmen. Di tanto in
tanto assisteva a qualche conferenza come per esempio a quella tenuta da
Mark Twain, suo vecchio favorito, alla quale si divertI molto (2 settem­
bre 1898). Più serio fu il discorso fatto dallo scrittore danese Georg Brandes
(23 marzo 1900). Ricordandolo, Freud commentava: «Tutto il suo stile
dev' esser parso abbastanza strano ai Viennesi: in realtà fu assai rude verso
il pubblico. Qui non siamo abituati a concezioni di vita cos1 severe: la
nostra piccola logica e la nostra piccola morale sono certo assai diverse da
quelle nordiche.»6
Vita privata (1890-1900) 399

Uno svago per lui importante era di un genere vagamente più sociale.
Nel 1895, trovando deprimente l'ostracismo professionale che gli veniva tri­
butato, Freud cercò una compagnia congeniale tra persone alle quali si
sentisse ancora più vicino, e la trovò nel circolo o loggia ebraica, la Società
B'nai B'rith, alla quale appartenne per tutto il resto della sua vita. 1 Par­
tecipava alle loro riunioni sociali o culturali ogni due martedl e qualche
volta vi tenne egli stesso una conferenza, come ad esempio il 7 e il 14
dicembre 1897 su «I sogni» e il 27 aprile 1900 su La fécondité di Zola.
Il suo vero hobby era, certamente, la passione per le antichità, che sod­
disfaceva sia le sue ambizioni estetiche, sia il suo costante interesse per le
origini della civiltà e di tutte le civiltà umane. Fu, senza dubbio, la sua
unica stravaganza, se cos1 si può definirla, e il primo accenno che se ne
fa, nella corrispondenza con Fliess, risale al 6 dicembre 1896, quando
Freud disse di aver decorato la sua sala da consultazione con riproduzioni
di statue fiorentine: «Trovo che sono straordinariamente distensive.» In una
lettera del 20 agosto 1898 disse a Fliess di aver comprato una statua romana
ad Innsbruck. Poi lesse con diletto la Griechische Kulturgeschichte (<<Storia
della cultura greca») di Burkhardt e vi trovò dei paralleli con le sue sco­
perte psicoanalitiche: «La mia passione per il preistorico è la stessa per
tutte le manifestazioni umane» (30 gennaio 1899). Quando si fece il re­
galo dell'Ilias di Schliemann si interessò in modo particolare al racconto
dell'infanzia dell'autore, contenuto nell'introduzione, e alle prime idee che
si sarebbero più tardi concluse con la scoperta di Troia sepolta. «Quando
trovò il tesoro di Priamo fu felice, perché l'unica felicità possibile è la
soddisfazione di un desiderio infantile» (28 maggio 1899). Freud aveva
affermato più esplicitamente questo stesso concetto in una lettera preceden­
te: «Aggiungo una definizione della felicità. Felicità è la soddisfazione
postuma di un desiderio preistorico. Questa è la ragione per cui le ricchezze
apportano cos1 poca felicità: il denaro non è un desiderio dell'infanzia»
(16 gennaio 1898).8 La statua marmorea di Giano che comprò aveva due
facce che «lo guardavano con aria di grande superiorità» (17 luglio 1899).
Durante quelle stesse vacanze la sua amata Salisburgo gli procurò due an­
tichità egizie: «Mi parlano di tempi e di paesi lontani» (16 agosto). Della
sua eccitazione di due anni dopo, quando lesse delle scoperte di Sir Arthur
Evans a Creta, abbiamo già parlato.
Per ragioni climatiche, le lunghe vacanze estive erano un'istituzione re­
golare per i Viennesi. A causa del caldo anche le scuole si chiudevano alla
400 Vita t opere di Freud

fine di giugno, ed era usanza che le famiglie trascorressero in campagna


due o tre mesi, anche se gli uomini potevano raggiungerle solo di tanto in
tanto. Freud fece ogni sforzo per attenersi a quest'usanza anche negli anni
di maggior ristrettezza. Del resto c'erano buone ragioni per ritenere questa
abitudine più una necessità che un lusso. Fin da principio, come è accaduto
in seguito a tutti gli altri analisti, egli trovò che la tensione del lavoro era
tale che senza un adeguato periodo di recupero la qualità ne avrebbe cer­
tamente risentito. Nella vita di ognuno, poi, ci deve pur essere qualche
piacere puro, e Freud conosceva poche altre cose che gli dessero una sod­
disfazione pari al godimento che gli procurava un bel paesaggio o la vi­
sione di nuove parti del mondo. Era dibattuto tra iI richiamo del Nord e
quello del Sud, come spesso avviene. Gli alti ideali del dovere parlavano
in favore del Nord, come per esempio di Berlino, con la sua incessante
attività e l'infaticabile impulso alla realizzazione. II Sud invece aveva dalla
sua il piacere, la serenità ed il puro interesse. La sua mollezza, la bellezza,
il sole caldo e i cieli azzurri e soprattutto la ricchezza di resti visibili degli
stadi primitivi dello sviluppo dell'uomo: su Freud, come su tanti altri, tutto
ciò esercitava un richiamo irresistibile. Una volta, credendo di fargli pia­
cere, gli mostrai alcune poesie nelle quali Browning esprime iI suo traboc­
cante amore per l'Italia:

o Woman country
Woo'd, not won
Loved all the more by earth's male lands
Laid to their hearts instead ...9

Ma egli le mise da parte con un sorriso, dicendo: «Non ho bisogno di


questo: anche noi abbiamo i nostri entusiasti.» Indubbiamente pensava a
Goethe e a Heine.
In quel periodo Freud aveva l'abitudine di mandare fuori la famiglia in
giugno o in maggio e di continuare a lavorare solo a Vienna fino a luglio
inoltrato, trascorrendo eventualmente con la famiglia qualche week-end.
Verso la metà di settembre soleva tornare al lavoro. All'inizio non andarono
lontano: Maria-Schutz (Semmering) nel 1890, poi Reichenau per quattro
anni di seguito e solo nel 1895 a Bellevue, nelle immediate vicinanze di
Vienna, dove per la prima volta fu portata a termine l'analisi di un sogno.
Successivamente andarono, per tre anni a Obertressen vicino ad Alt-Aussee,
Vita privata (1890-1900) 401

in quella parte della Stiria ~h~ rientra nel Salzkammergut, e nel 189~ per
la prima volta in un posto VIC100 a Berchtesgaden. Nel 1900, scarseggiando
i soldi, tornarono a Bellevue.
Da questi punti di base e anche dalla stessa Vienna Freud soleva però
partire spesso per ~iaggi più lunghi, in compagnia dell~ moglie, del fr~­
tello o, in un' occaSIOne, della cognata. Quando sua. moghe andava con lUI,
sua sorella Rosa, prima di sposarsi, rimaneva a sorvegliare i bambini e la
bambinaia. I due mesi di vita da scapolo a Vienna erano sempre faticosi
e Freud si lamentava soprattutto del gran caldo che gravava sulla città in
giugno e luglio. Attendeva ai suoi scritti ed ai suoi pazienti e quasi ogni
sera veniva invitato a trascorrere la serata da qualche amico. In questo pe­
riodo la sua cerchia di conoscenze era straordinariamente vasta, se non va­
ria, essendo composta quasi esclusivamente da medici ebrei. :e inutile elen­
care i loro venti o trenta nomi, dato che nessuno di essi ebbe grande im­
portanza per Freud. I suoi migliori amici erano Bloch, Oscar Rie e Ko­
nigstein. Fu press' a poco in questo periodo che abbandonò il gioco degli
scacchi per quello dei tarocchi, al quale rimase fedele: spesso giocavano
fino all'una o alle due del mattino. Quando in seguito Freud parlò di dieci
anni di isolamento è sottinteso che si riferiva solo alla sua vita scientifica,
non a quella sociale. In cuor suo però egli pensava sempre a raggiungere
la famiglia o a partire per luoghi meravigliosi, dato che, come vedremo
più avanti, fu un viaggiatore instancabile, avido di immagazzinare quante
più impressioni' gli fosse possibile nel poco tempo che aveva a disposizio­
ne. Minna disse una volta che l'ideale di Freud sarebbe stato quello di
dormire ogni notte in un luogo diverso. 10
Nell'agosto 1890 Freud andò a Salìsburgo dove tenne con Fliess il pri­
mo «congresso». Nel 1891 dedicò due week-end alle escursioni in monta­
gna, in .luglio per salire sul Rax insieme a Kassowitz e in agosto per esplo­
rare il gruppo del Dachstein vicino a Schladming in Stiria, a quanto pare
da solo. Nell'agosto 1892 passò con sua moglie una settimana a Hallstatt,
e un'altra a Bad Aussee in Stiria, per poi raggiungere i figli a Reichenau.l1
Il 1893 fu un anno incolore, dato che poté trascorrere solo tre settimane
a Reichenau. In aprile riusd comunque a fare una visita di un paio di
giorni al suo amico Fliess a Berlino. L'anno seguente andò meglio: nella
prima metà d'agosto i Freud andarono a Monaco a trovare Fliess e sua
moglie, che si erano sposati due anni prima. Fliess vi si era recato per cu­
rarsi, poiché a quell'epoca era seriamente malato.1.2 Sulla via del ritorno
402 Vita e opere di Freud

verso Reichenau si fermarono a Ischl a trovare Minna ed infine, dopo una


quindicina di giorni passati con i figli, trascorsero la prima metà di settem­
bre a Laurana, un piccolo villaggio di pescatori sull' Adriatico presso Ab­
bazia, secondo il desiderio della signora Freud. 1S A Pasqua dell'anno se­
guente Freud fece un salto ad Abbazia in Istria, a rivedere l'Adriatico del
quale era stato sempre innamorato fin dai tempi del suo soggiorno stu­
dentesco a Trieste. Vi si trattenne un giorno solo, ma nell'agosto dello
stesso anno si poté concedere la prima visione della terra promessa, l'Ita­
lia, in occasione della meravigliosa settimana che trascorse a Venezia con
suo fratello Alexander. In cosi poco tempo vide molte cose, riuscl a visitare
Murano e Chioggia ed a fare i bagni al Lido. Da Venezia partirono poi
per Berlino dove entrambi si fecero visitare da Fliess e Freud subi un'ope­
razione al naso.
Il 1896 fu forse un anno di maggiore benessere, poiché i progetti per le
vacanze furono alquanto più ambiziosi. Fu la prima volta che la famiglia
poté spingersi fino ad Aussee in Stiria, a trascorrervi l'estate, e siccome
questo posto era troppo lontano per raggiungerlo ad ogni fine-settimana,
Freud si concesse un viaggio più lungo. Sebbene avesse già avuto un «con­
gresso» di tre giorni con Fliess a Dresda in aprile, ne tenne con lui un
altro a Salisburgo nell'ultima settimana di agosto. Passò quindi un mese
con la famiglia, dopodiché raggiunse a Steinach suo fratello Alexander e
insieme a lui partl per Venezia e Bologna. A Venezia si fermarono due
giorni soli e poi, dopo una sosta di poche ore a Padova, dove Freud
«sgobbò duro» per quattro ore, raggiunsero Bologna. La città eccitò la fan­
tasia di Freud, che vi passò tre notti. L'ultimo giorno andò a Faenza e
Ravenna, ma di quest'ultima ebbe un'impressione minore di quanto ci si
potrebbe aspettare. Segui poi un'intera, smagliante settimana a Firenze, che
lo rapi con il «magico delirio» delle sue meraviglie. Freud aveva un'ecce­
zionale capacità di assimilare rapidamente, e quella settimana deve avergli
dàto quanto di solito si può assorbire in un mese. Tra le altre scoperte ci
fu il museo Galileo nella Torre del Gallo, fuori di città. Freud persuase il
proprietario, conte Galetti, che occupava il piano superiore, ad affittar loro
tre stanze per il resto del loro soggiorno, e Il essi trascorsero quattro giorni
circondati da tesori inestimabili e con una superba vista su Firenze. Questa
dev'esser stata la. vacanza più lunga che Freud si sia presa: restò lontano
da Vienna per due mesi. In ottobre, per la prima volta dal giorno delle
nozze, sua moglie lasciò la famiglia per passare un paio di settimane ad
Vita privata (1890-1900)

Amburgo con sua madre, fermandosi a Berlino dai Fliess sia all'andata che
al ritorno.
L'anno seguente, 1897, Freud si allontanò ancora di più, sebbene la va­
canza fosse più breve. A Pasqua andò a Norimberga con Fliess ed in giu­
gno scalò lo Schneeberg, nel Semmering, insieme a suo fratello. A metà
luglio si incontrò a Salisburgo con la cognata Minna e fecero insieme una
breve gita a piedi a Untersberg e Heilbrunn. Poi, dopo una visita alla ma­
dre di lei a Reichenhall, Freud tornò a Vienna, ove doveva prendere ac­
cordi per la pietra tombale del padre. Questo coincise proprio con l'inizio
dell'autoanalisi. Solo verso la fine di luglio poté raggiungere la famiglia
ad Aussee. Ne riparti al principio di settembre ed in poco più di quindici
giorni fece un incredibile giro insieme a suo fratello Alexander e ad un
certo dr. GattI, che Fliess gli aveva indirizzato da Berlino e che era con­
temporaneamente suo allievo e suo paziente. Prima ci furono due giorni a
Venezia con i soliti bagni al Lido. Freud visitava la città per la terza volta
e cominciava ormai a conoscerla. Poi passò a Pisa, che non gli piacque.
Non tralasciò comunque di salire sulla torre pendente, ma dopo averlo
fatto passò il resto della giornata a Livorno, città di mare che gli ricordava
Trieste. Il giorno dopo era a Siena, e dopo altri due giorni a S. Gimignano.
Il giorno seguente fece una gita a Poggibonsi e a Chiusi e la sera stessa
arrivò ad Orvieto. L'indomani andò a Bolsena dove ammirò in modo spe­
ciale le pitture di Signorelli, e il giorno dopo a Spoleto per vedere le ca­
scate di Terni. Venne quindi Assisi dove con sua sorpresa incontrò Eleo­
nora Duse che vi stava trascorrendo una vacanza. Tre giorni furono tra­
scorsi a Perugia seguita da Arezzo e quindi da Firenze per altri tre giorni.
Freud avrebbe voluto raggiungere Ancona e poi di Il andare fino a Trieste
per nave,14 ma il tempo a sua disposizione non glielo permise e dovette
tornare direttamente a Vienna.
Sembra che a suggerire questo giro fosse stato Fliess, che gli aveva con­
sigliato di familiarizzarsi con i capolavori dell'arte italiana. 15 Il godimento
di Freud fu però diminuito dal fatto che non poteva soffrire la monotonia
dei quadri a soggetto sacro, soprattutto cristiano. Vide però sicuramente
una
.,
gran .quantità di cose, e dei suoi giudizi avremo occasione di parlare
plU avanti.
Anche il 1898 fu un anno movimentato. A Pasqua Freud e suo fratello
~assarono nel Sud tre giorni durante i quali visitarono Aquileia, dove Freud
nmase affascinato dai resti della città romana, un tempo famosa, e le grotte
404 Vita e opere di Freud

calcaree vicino a Gorizia. In giugno ci fu un week-end con la famiglia ad


Aussee, con due notti di. viaggio. In quell'estate Freud fece anche due
consulti lontano da Vienna, uno nei pressi di Koniggratz in Boemia, che
gli fruttò 300 gulden, e uno a Portschach in Carinzia, con un onorario
. di 500 gulden. Alla metà di giugno fece anche una gita di fine settimana
a Salisburgo dove s'incontrò con Minna e l'accompagnò a trovare la madre
di lei a Reichenhall. Quell'anno Freud lavorò fino ad estate inoltrata. I
figli erano stati malati e sua moglie aveva bisogno di riposo, perciò invece
di raggiungerli e contagiarli con un raffreddore che aveva appena preso,
ai prinù di agosto andò a Monaco dove s'incontrò probabilmente con Fliess.
Poi Minna lo raggiunse e insieme partirono per Kufstein e Innsbruck, dove
Freud noleggiò una carrozza e visitò in fretta i luoghi turistici tra un treno
e l'altro. Poi, via per Landeck, Trafoi, su per il passo dello Stelvio fino a
Bormio in Italia, dove una notte in un cattivo albergo fu più che suffi­
ciente. Presero quindi il treno per Tirano e fecero una lunga escursione a
piedi su per la valle fino ad un piccolo villaggio chiamato Le Prese, sulla
riva del lago di Poschiavo che Freud giudicò «un luogo di un fascino idil­
lico». Poi salirono per il passo del Bernina fino a Pontresinà in Engadina,
dove fecero una marcia di cinque ore su un ghiacciaio, esperienza nuova.
Di Il andarono fino al Maloja, luogo di incomparabile bellezza, e torna­
rono indietro18 per poi riprendere la via di Aussee e ricongiungersi con il
resto della famiglia. Dopo aver trascorso cosi due settimane, Freud con­
dusse la moglie in Dalmazia per un lungo soggiorno. Egli ne considerò
probabilmente il notevole costo, ma alla fine si ricordò del «detto appa­
rentemente paradossale ma in realtà molto saggio che "per diventare ricchi
bisogna vendere l'ultima camicia che si possiede"». La signora Freud non
era una grande viaggiatrice e trovava troppo veloce il ritmo del marito.
Freud la lasciò a Ragusa, dove era stata male con lo stomaco, e fece con
un estraneo una gita a Cattaro, di cui parlò in seguito a proposito dell'ana­
lisi di Signorelli,u Partirono poi per Spalato (ora Split) per fare quindi ri­
torno a Trieste. Di Il la moglie andò a Merano per riposarsi, Freud si spinse
a Brescia e a Milano. L'Ultima cena di Leonardo è uno dei pochissimi di­
pinti per cui egli espresse una speciale ammirazione. Da Milano visitò
Pavia, Monza e Bergamo e parti infine per Vienna dove giunse nella terza
settimana di settembre.
L'estate del 1899 fu la prima di una serie che la famiglia trascorse in
una grande casa di campagna chiamata Riemerlehen, vicino a Berchtesgaden
Vita privata (1890-1900)

in Baviera. In quell'estate Freud scrisse la maggior parte dell'Interpreta­


zione dei sogni, e la finI proprio n, sotto un pergolato nel giardino della
casa, dopo avervi lavorato accanitamente a Vienna. In quello stesso tempo
aveva da scrivere anche la sua prima relazione per il nuovo «Jahresbericht
fiir Neurologie», ma riuscl a prendersi quattro giorni di vacanza che tra­
scorse a Berchtesgaden alla fine di giugno. L'ultimo piacevole «congresso»
con Fliess aveva avuto luogo in aprile ad Innsbruck e lo aveva indubbia­
mente stimolato a proseguire il grosso lavoro che stava andando piuttosto
a rilento. Finito il libro Freud tornò a Vienna nella terza .settimana di
settembre, dopo un vagabondaggio di ventiquattr' ore per i campi inondati.
Nell'estate del 1900 la famiglia si t~ovava a Bellevue, dove Freud po­
teva facilmente raggiungerla senza interrompere il suo lavoro. Ai primi di
agosto, dopo l'ultimo, fatale «congresso» ad Achensee, Freud partI per un
viaggio complicato.n Andò prima con la moglie a Trafoi, ai piedi del passo
dello Stelvio, che salirono e scesero diverse volte, perché a Freud piaceva
(opinione non sempre condivisa dalla signora). Passarono quindi a Solda
dove fecero un'escursione sul ghiacciaio, e di n discesero lungo l'Adige
fino a Merano. Risaliti al passo della Mendola vi incontrarono Lustgarten19
e altri amici di Vienna, poi la signora Freud tornò a casa passando per
Bolzano. Essa aveva insistito perché il marito seguisse Lustgarten a Vene­
zia e gliela mostrasse: Freud seguI il suo consiglio ed ebbe la sorpresa di
incontrarvi sua sorella Rosa, la sua preferita, con il marito. Dopo un paio
di giorni a Venezia essi lo condussero con loro a Berghof sul lago di
Ossiach in Carinzia, dove trovarono la sorella d'America, Anna, con i suoi
bambini. Infine, inatteso, si presentò anche il fratello Alexander. Dopo un
po' la compagnia si sciolse e Freud, accompagnato dalla cognata, si avviò
lentamente, attraverso la Val Pusteria, verso Trento, da dove visitarono
l' «incantevole» Castello Toblino. Poi, tanto per cambiare, per una strada
di montagna «di una bellezza fantastica» salirono a Lavarone, ma avendovi
trovato piuttosto freddo, tornarono sul lago di Garda e si trattennero per
cinque giorni a Riva visitando naturalmente le rovine della «Villa di Ca­
tullo». Fecero varie gite in battello sul lago e rimasero incantati dal pae­
saggio, che Freud defini «paradisiaco». In seguito Freud condusse Minna a
Merano dove essa avrebbe dovuto trascorrere un periodo di tempo nella
speranza di guarire dalla sua tubercolosi. Freud fece un salto a Milano
e Genova da solo e tornò quindi a Vienna dopo un viaggio di sei setti~a-
Vita e opere di Freud

ne, che probabilmente, dopo la sgradevole parentesi di Fliess, lo rinfrancò


molto.
Quando era lontano dalla moglie egli si manteneva in contatto con lei
per mezzo di cartoline o telegrammi giornalieri che alternava ogni pochi
giorni a lunghe lettere. Descriveva brevemente quello che aveva visto e qua
e là aggiungeva commenti personali pieni d'acume. L'umore variabile che
gli era proprio in altri periodi, sembrava scomparire durante· le vacanze,
quando Freud sfoggiava un'intensa capacità di godere e un entusiasmo stra­
ordinario, più facile a trovarsi in persone più giovani di quanto egli fosse
allora. A titolo di curiosità si può aggiungere che di tutti i luoghi da lui
visitati in Italia, i preferiti, naturalmente dopo Venezia e Firenze, erano
Bergamo, Bologna e Brescia.
Sebbene egli viaggiasse in modo indubbiamente modesto, molto spesso
a forza di locande e di carrozze postali, tutto ciò doveva pure costargli
qualcosa. Se si pensa che in quegli anni Freud doveva mantenere una doz­
zina di persone oltre i domestici, è comprensibile che il problema finan­
ziario costituisse una fonte di ansia continua. L'atteggiamento di Freud nei
confronti del denaro fu sempre realistico: c'era per esser speso, però doveva
esser preso sul serio.
Nella corrispondenza con Fliess gli accenni ai guadagni professionali di
Freud prima del 1896 sono scarsi. Egli cominciava allora a provare gli
effetti dell'isolamento professionale da parte dei colleghi, isolamento che le
sue sensazionali teorie sulla sessualità gli avevano procurato. La sua pratica
professionale, come quella di molti altri medici, era assai variabile, come
dimostrano i seguenti esempi. Nel maggio 1896 la sua sala di consulta­
zione era rimasta vuota per la prima volta, e per intere settimane non si
erano presentati nuovi pazienti. In novembre le cose andavano male, men­
tre in dicembre, pur lavorando dieci ore al giorno, guadagnava 100 gulden
(40 dollari) al giorno, appena quanto gli bastava per tirare avanti. Perciò
era «stanco morto e fresco di mente». Per qualche tempo si andò avanti
cosI. Cominciava ad essere conosciuto nel mondo, perché Wernicke gli ave­
va mandato un paziente, uno gli era arrivato da Budapest e un altro da
Breslavia (febbraio 1899). La sera però, dopo aver lavorato per dodici
ore e mezzo «crollava come se fosse andato a tagliar legna». Nell'ultima
settimana aveva guadagnato 700 gulden, ma «non te li danno senza niente
in cambio. Diventare ricco dev'essere molto duro.»
Nella famosa lettera del 21 settembre 1897, in cui Freud annunciava di
Vita privata (1890-1900) 407

essersi ingannato nella sua teoria della_ seduzione, una delle cose che sem­
bravano dargli più fastidio era che, essendo errata la sua teoria etiologica,
non poteva più sentirsi sicuro di riuscire a curare le nevrosi, dalle quali i
suoi introiti dipendevano. La sua teoria dei sogni invece ne usciva del
tutto indenne: «Peccato che non si possa vivere interpretando sogni.» Il
mese immediatamente successivo, infatti, il suo presentimento si avverò: ol­
tre a sé non aveva che due pazienti, entrambi gratuiti (<<con il sottoscritto
fanno tre, ma non rendono nulla»). Le cose andarono male per un anno:
non poteva lasciare Vienna per non rinunciare neanche ad una sola giornata
di lavoro. Nell'ottobre successivo (1898) però era di nuovo impegnato a
fondo con undici ore di psicoanalisi al giorno. Dopo un paio di visite me­
diche al mattino, cominciava a lavorare alle nove e finiva alle nove di sera
con una sosta di un'ora e mezzo a metà giornata. Per la sera c'era la ste­
sura dell'Interpretazione dei sogni, la corrispondenza e l'autoanalisi. Due
mesi dopo gli introiti erano scesi a 70 gulden al giorno, ma il mese se­
guente guadagnava di nuovo 100 gulden lavorando dodici ore. In maggio
queste si erano ridotte a due e mezzo e nell'ottobre seguente scrisse che i
guadagni negli ultimi sei mesi non erano bastati a coprire le spese. Cercava
quindi di guadagnare in qualche altro modo: tentò di avere un posto in
una clinica per i mesi estivi senza riuscirvi.
Nel gennaio 1900 disse che aveva avuto un solo caso nuovo negli ultimi
otto mesi: «Non so ancora come potrò farcela.» In maggio quattro pazienti
avev.ano terminato il trattamento e Freud aveva solo tre ore e mezza di la­
voro al giorno. Fu in quell'anno che la famiglia non poté andare oltre i
sobborghi di Vienna.
Quando scriveva del suo «orrore della miseria», Freud sapeva bene di
che stesse parlando. In una lettera del settembre 1899 raccontò come, in
giovinezza, fosse giunto a conoscere «la miseria disperata» e come la te­
messe: «Vedrai che il mio stile migliorerà e le mie idee diventeranno più
giuste quando questa città mi darà da vivere con larghezza.» :B interessante
il fatto che questo passo non fosse stato scritto al congiuntivo: una volta
tanto le sue speranze si avverarono.
Quando lo zar proclamò il suo famoso Manifesto di Pace (agosto 1898),
Freud fece un divertente commento. Anni prima egli era giunto alla con­
clusione che lo zar soffrisse di una nevrosi ossessiva con la quale si spie­
gava che fosse «iperbuono» e scrupoloso «come Koko nel Mikado». Sta­
volta riferl questa sua fantasia: «Da un nostro incontro trarremmo vantag­
408 Vita e opere di Freud

gio in due: io vado in Russia per un anno, lo libero dalla nevrosi di quel
tanto perché non soffra più e gliene lascio quanto basta perché non faccia
più nessuna guerra. 20 Dopo di che potremo tenere tre "congressi" all'an­
no, esclusivamente in Italia, e potrò permettermi di curare gratis tutti i miei
pazienti.»
Freud aveva solo ambizioni scientifiche: scoprire. La sua ambizione più
mondana era il desiderio di guadagnare abbastanza da permettersi di viag­
giare. Un passo avanti nella scala professionale e sociale non significava
forse altro per lui che la possibilità di una maggiore indipendenza. Egli si
lamentava inoltre che i suoi mezzi di sussistenza dipendessero da persone
che disprezzava, cioè dai suoi colleghi. A Vienna in quell'epoca l'intera
società era pervasa da un conformismo senza pari. Reputazione e capacità
erano esclusivamente subordinate ad una pura questione di titolo e la ge­
rarchia dei titoli era di una complessità barocca, specialmente nel campo
medico. Dal punto di vista sociale, rivolgersi ad un generico, per quanto
bravo, se ci si potevano permettere gli onorari di un Privatdozent, voleva
dire sminuirsi. Cosi la clientela migliore andava da quei medici che pote­
vano fregiarsi dell'agognato titolo di professore. Freud deve aver sincera­
mente disprezzato tutto ciò, ma -non poteva fare a meno di riconoscerne
gli importanti -aspetti economici. Unicamente per questa ragione, e non per
altro, egli era stato contento di ottenere quel titolo, la cui conquista da
parte sua fornisce con la sua storia un vivido quadro della Vienna d'allora.
Nel gennaio 1897, dopo essere stato Privatdozent per il periodo insoli­
tamente lungo di dodici anni, Freud scrisse che la voce secondo la quale
lo si lasciava indietro una volta di più a favore di colleghi più giovani, lo
lasciava assolutamente indifferente, pur potendo accelerare la rottura defi­
nitiva dei suoi rapporti con l'Università. Il mese seguente, però, riferl che
Nothnagel gli aveva detto di volerlo proporre per il posto di professore ag­
giunto, d'accordo con Krafft-Ebing e Frankl-Hochwart, e che qualora il Con­
siglio di Facoltà non fosse stato d'accordo, essi erano decisi ad inoltrare
personalmente le loro proposte al Ministero. 21 Nothnagel aveva però ag­
giunto: _«Lei sa quali altre difficoltà ci sono: forse non otterremo altro che
"metterla sul tappeto".» Ciò che a Freud faceva piacere comunque era il
fatto di poter continuare a considerarli «persone perbene». Egli dovette
preparare a questo scopo un curriculum dei suoi lavori pubblicati, che è
stato edito successivamente.22
La cosa fini n. L'atteggiamento antisemita negli ambienti ufficiali sarebbe
Vita privata (1890-1900)

già stato determinante di per sé, ma in ogni modo la fama di ~r~ud i~


materia di argomenti sessuali non migliorava certo le sue probabdità. DJ
fronte a queste considerazioni, i suoi magnifici lavori di neurologia e la sua
fama europea di neurologo non contavano nulla. Nella ratifica annuale che
veniva fatta in settembre, Freud e il suo gruppo vennero ignorati sia nel
1897 che nel 1898 e 1899. Nel 1900 tutti i nomi proposti furono ratificati
eccetto quello di Freud, che fu però contento che il suo amico Konigstein
fosse stato finalmente accettato.
Trascorsero quattro anni senza che Freud facesse alcun passo. Poi venne
il grande viaggio a Roma in seguito al quale, a sentir lui, la sua gioia di
vivere era aumentata e quella di essere martire diminuita. Il suo dignitoso
isolazionismo gli dava senza dubbio un soddisfacente senso di superiorità,
che però stava pagando <aro. Decise quindi di diventare «come gli altri», e
di scendere dal suo piedistallo a livelli inferiori, e perciò andò a far visita
al suo vecchio maestro Exner. Questi lo trattò in modo molto cortese, ma
alla fine gli rivelò che qualcuno istigava personalmente il ministr0 23 con­
tro di lui e gli consigliò di cercarsi qualche appoggio. Freud suggerl il
nome di una sua ex-paziente, Elisa Gomperz, moglie di colui per il quale
venti anni prima Freud aveva tradotto i Saggi di John Stuart Mill e che
era stato professore di filologia insieme a Von Hiirtel, l'allora ministro del­
Ia Pubblica Istruzione. La signora si prestò molto, ma il ministro pretese
di non saper. nulla della vecchia raccomandazione, cosicché se ne rese ne­
cessaria una nuova. Freud scrisse a Nothnagel ed a Krafft-Ebing, che la
rifecero immediatamente, ma neanche stavolta accadde nulla.
Successivamente una paziente di Freud, la signora Maria Ferstel, moglie
di un diplomatico, venne a sapere della situazione e messasi subito in gara
con la signora Gomperz, non si dette per vinta finché non poté conoscere
personalmente il ministro e non poté scendere a patti con lui. Il ministro
desiderava ardentemente entrare in possesso di un certo quadro di B&klin
(Die Burgruine) per la Galleria Moderna di recente istituzione, e questo
quadro apparteneva alla zia della signora Ferstel, Frau Emestine Thorsch.
Ci vollero tre mesi per convincere l'anziana signora a disfarsene, ma final­
mente durante un pranzo il ministro annunciò graziosamente alla signora
Ferstel che essa era la prima a sapere che il documento necessario era stato
sottoposto all'imperatore affinché lo firmasse. Il giorno dopo essa piombò
nello studio di Freud gridando: «Ich hab's gemacht!» (Ce l'ho fattaV.
-a facile indovinare che cosa Freud pensasse di tutta la faccenda, comun­
410 Vita e opere di Freud

que egli scrisse a Fliess che di tutte le persone che erano in ballo l'asino
più grande era lui perché conoscendo l'andazzo del mondo viennese avreb­
be dovuto sistemare le cose con qualche anno d'anticipo (11 marzo 1902).
In ogni caso la cosa lo divertI e nell'ultima lettera della corrispondenza
con Fliess scrisse: «La popolazione vi prende viva parte. Ora mi piovono
congratulazioni e fiori come se Sua Maestà avesse uflicialmente riconosciuto
il ruolo della sessualità, o il Consiglio dei ministri avesse confermato l'im­
portanza dei sogni, o come se la necessità del trattamento psicoanalitico
dell'isterismo fosse passata al Parlamento con una maggioranza di due
terzi» (11 marzo 1902).
Questa assurda storia ebbe i risultati attesi. Conoscenti che quando lo in­
contravano fingevano di non vederlo, adesso si inchinavano anche da lon­
tano. I compagni di scuola dei suoi figli esprimevano la loro invidia e
- unica cosa importante - la sua professione privata assunse definitivamente
un buon andamento. Se non rispettabile, Freud era ora almeno rispettato.
Questo evento coincise poi con un'altra pietra miliare della sua vita, cioè
con l'uscita dal suo annoso isolamento intellettuale. I primi seguaci, per i
quali volle essere sempre solo «Herr Professor», cominciavano a riunirsi
intorno a lui ancor prima che il mondo esterno prendesse in seria conside­
razione il suo lavoro di psicologia.
Ora per Freud .era doveroso presentarsi personalmente davanti all'impe­
ratore e ririgraziarlo di aver voluto sancire l'onore concessogli, ma era d'ob­
bligo mettere la medaglia militare - che naturalmente era andata perduta
da molto tempo. Il suo amico Herzig allora gli prestò la sua, ma lo avvertI
che appena entrato nella sala delle udienze, l'imperatore dall' occhio di
lince avrebbe subito esclamato: «Ma quella non è la medaglia di Herzig?»
La posizione accademica di Freud non mutò sostanzialmente con il nuo­
vo titolo. Come da Privatdozent, egli era autorizzato a tenere conferenze
all'Università, senza esservi obbligato. Solo il professore ordinario membro
della Facoltà aveva questa incombenza.
Freud ricevette questo supremo titolo nel 1920, ma dato che esercitava
la professione privata non fu eletto membro della Facoltà né gli venne
affidato alcun reparto, per cui insomma non fu mai un insegnante accade­
. .
IIl1CO vero e proprIO.
Egli si valse liberamente del diritto di tenere corsi di lezioni, e continuò
a farlo, con qualche interruzione, fino alla prima guerra mondiale. Le le­
zioni erano bisettimanali, il giovedi e il sabato. Probabilmente non sono iI
Vita privata (1890-1900)

solo a ricordare il privilegio di averle ascoltate. Freud insegnava in modo


affascinante e le sue lezioni erano sempre permeate della sua tipica ironia,
come appare in molti dei passi citati. Parlava sempre sottovoce, forse perché
nello sforzo la sua voce rischiava di diventare piuttosto stridula, ma con la
massima chiarezza. Non usava mai appunti 25 e raramente preparava a lungo
le lezioni che venivano per lo più affidate all'ispirazione del momento. Mi
ricordo che una volta, accompagnandolo a una conferenza, gli chiesi quale
sarebbe stato l'argomento di quella sera; rispose: «Magari lo sapessi! Devo
Iasciarlo , decidere al mio inconscio.»
Freud non usava mai uno stile oratorio ma parlava in tono intimo, come
se conversasse, e preferiva di conseguenza che gli ascoltatori lo attornias­
sero da presso. Si aveva l'impressione che si rivolgesse a ciascuno in via
personale, e qualcosa del genere si sente anche ili alcune delle lezioni re­
centi, che sono state pubblicate. Non c'era ombra di condiscendenza in lui,
neppure la parvenza del maestro. Si supponeva che l'auditorio fosse composto
da persone di grande intelligenza, alle quali Freud desiderava comunicare
alcune delle sue esperienze più recenti, sebbene naturalmente non vi fosse
dibattito se non dopo la lezione in sede privata. Non di rado egli faceva
occasionali complimenti agli ascoltatori: cosI una volta che Abraham, Fe­
renczi, Rank, Sachs e io sedevamo in prima fila, Freud fece un grazioso
piccolo inchino e accennando con la mano verso di noi mormorò: «Un
parterre des rois.»:26
Man mano che i suoi lavori divenivano più conosciuti si rischiava che
il gran numero di ascoltatori (un pubblico fin troppo numeroso) turbasse
questa gradevole intimità. Una volta, all'inizio di una sessione, arrivò una
nuova infornata di studenti. Freud ne fu evidentemente seccato, e indovi­
nando il motivo della loro presenza annunciò: «Signore e Signori, se Loro
sono venuti in tanti con la speranza di ascoltare qualcosa di sensazionale
o magari di sporco, siano certi che farò di tutto perché restino delusi.»
La volta successiva il pubblico era sceso a un terzo. 27 Negli anni seguenti
Freud controllò la situazione ammettendo solo chi aveva un biglietto che
egli rilasciava solo dopo un colloquio personale.
A quanto pare, egli non tenne mai conferenze al di fuori dell'Univer­
si.tà, tranne qualcuna al circolo ebraico di cui faceva parte. Una storiella
divertente da lui raccontata si riferisce ad una conferenza che stava per
tenere davanti alla Philosophische Gesellschaft' (Società filosofica). Egli ave­
va espresso dei dubbi circa la sua opportqnità, ma dato che il manoscritto
Vita e opere di Freud

era stato approvato in anticipo, accettò. All'ultimo momento però gli arri­
vò un avviso urgente nel quale gli si chiedeva di citare nella prima metà
della conferenza solo esempi da salotto, dopo di che un intervallo avrebbe
permesso alle signore di allontanarsi ed egli avrebbe potuto continuare con
il resto! Naturalmente Freud si rifiutò di parlare (15 febbraio 1901).
Si ritiene di solito che a causa della cattiva accoglienza tributata alle sue
idee Freud avesse deciso di boicottare le riunioni scientifiche viennesi. Que­
sto è sicuramente assai lontano dal vero, come risulta dagli interventi da
lui fatti durante le discussioni in varie società di medicina. Esistono anzi i
resoconti di nove o dieci lavori (che saranno elencati nella bibliografia di
Strachey) che Freud lesse personalmente tra il 1892 e il 1896 al Medizi­
nisches Club, al Verein fiir Psychiatrie und Neurologie ed al Wiener medi­
zinisches Doktorenkollegium. 5010 con la Gesellschaft der Aerzte la pole­
mica si protrasse per vari anni. Insomma, sebbene Freud si lamentasse ama­
ramente per il suo isolamento e per il fatto che non c'era nessuno a
condividere le sue idee, non gli si imped1 mai di esporle ai suoi colleghi.
Per esempio, una volta un suo lavoro sull'isterismo, letto davanti al Dokto­
renkollegium si protrasse per tre intere serate, e due altre furono dedicate
alla discussione. L'ostracismo, se si può usare una parola cos1 dura, era
piuttosto passivo che attivo, e aumentò indubbiamente dopo il 1896, ultimo
anno in cui Freud lesse un lavoro davanti ad una società medica. 28
Non risulta che Freud abbia mai partecipato a riunioni scientifiche in­
ternazionali dopo quella di Parigi sull'ipnosi nel 1889, eccettuati natural­
mente i congressi internazionali di psicoanalisi degli anni successivi. :B vero
che in tre occasioni egli aveva annunciato a Fliess la sua intenzione di par­
teciparvi, ma mancano ulteriori conferme che ciò sia effettivamente acca­
duto. Nella 66esima Versammlung deutscher Nalurforscher und Aerzte che
ebbe luogo a Vienna dal 24 al 28 settembre 1894, Freud fu scelto come
segretario della sezione di neurologia, che però non fu poi costituita. Forse
Freud assistette ugualmente al congresso, dal momento che era tornato a
Vienna una settimana prima del suo inizio. Successivamente ebbe l'idea di
partecipare al I Congresso Internazionale di Psicologia che si tenne a Mo­
naco nell'agosto 1896, però manca qualunque conferma in proposito, seb­
bene gli fosse facile recarvisi da Salisburgo dove si trovava in quel mese.
Un mese dopo si svolse a Francoforte la 68esima Versammlung deulScher
Natllrforscher IInd Aerzte, e Freud aveva accettato l'invito di fungere da
correlato~e sulI'argomento del morbo di Little, nel quale era una delle mag­
41)
Vita privata (1890-1900)

giori autorità viventi. Anch~ stavo~ta per qualche motivo s~ono~iuto questa
riunione non si tenne, ma in ogm modo Freud aveva decISO di non pren­
dervi parte. 29

Dalle stesse descrizioni di Freud si ha la netta impressione che il suo


modo di lavorare fosse molto diverso dall'attività puramente intellettuale,
propria di molti matematici e fisici. Tali descrizioni fanno presumere che,
specialmente in quegli anni' formativi, egli fosse spinto avanti quasi esclu­
sivamente da forze inconsce, e che fosse in gran parte alla loro mercé.
Freud -oscillava nettamente tra stati d'animo diversi; da un lato quelli in
cui le idee gli spuntavano in mente con facilità e aveva una visione chiara
dei concetti che andava elaborando, e d'altro lato stati d'animo in cui si
sentiva palesemente inibito, le idee non- fluivano ed il cervello era del tutto
torpido e ottuso. Per esempio scrisse: <<le idee nuove che m'erano venute
in mente durante il mio stato di euforia, le ho lasciate andare: non mi
piacciono più e sto aspettando che ne spuntino altre. La mia mente è piena
di pensieri che promettono di dare qualche risultato definitivo, e sembrano
riunire il normale e il patologico, i problemi sessuali e quelli psicologici.
Poi invece svaniscono. Non tento neppure di aggrapparmici, sapendo che
né la loro comparsa né la loro scomparsa nella coscienza è una vera espres­
sione del loro destino. In giornate come ieri e come oggi tutto tace dentro
di me e io mi sento terribilmente solo... Debbo attendere che qualcosa
cominci a muoversi dentro di me e che io riesca ad accorgermene. Perciò
spesso sogno per giorni interi» (3 dicembre 1897). In un'altra occasione,
essendo molto depresso a causa del suo lavoro clinico, disse: «Ho subito
scoperto che mi è impossibile continuare questo lavoro, veramente difficile,
quando sono di cattivo umore e pieno di dubbi. Ogni paziente diventa
uno spirito che mi tortura, quando non sono me stesso o non sono allegro.
Ho veramente creduto di dover soccombere, poi mi sono aiutato col rinun­
ciate a qualsiasi sforzo mentale cosciente, in modo da affrontare i problemi
a tentoni. Da allora ho lavorato forse meglio di prima, ma quasi non so
quel che sto effettivamente facendo» (11 marzo 1900).
In una lettera del 2 febbraio 1899 ammise con Fliess di essere assorbito
dal lavoro eccessivo, «che reclama ogni sforzo del pensiero e che gradual­
mente assorbe tutte le altre facoltà e la capacità di ricevere impressioni,
come una specie di sostanza neoplastica che infiltri l'umanità di un indi­
viduo fino a sostituirla. Nel mio caso è anche peggio: lavoro e guadagno
414 Vita e opere di Freud

si identificano con me stesso, cosicché sono diventato tutto un carcinoma.


Oggi devo andare a teatro, ma è ridicolo come cercare di innestare qual­
cosa su un carcinoma. Nulla può attecchire su di esso, perciò d'ora in poi
la mia esistenza sarà quella del neoplasma.» Quando scriveva queste parole
era ancora impegnato nell'Interpretazione dei sogni. Il suo tirannico in­
conscio lo aveva irretito, e Freud ne era tanto schiavo che poteva appena
protestare. Tre anni prima, del resto, aveva osservato qualcosa di simile:
«Spero che i miei interessi scientifici persisteranno fino alla fine della mia
vita, perché al di fuori di essi cesso di essere una creatura umana» (13
febbraio 1896).
<<Riesco a distinguere chiaramente, in me due diversi stati intellettivi:
uno in cui registro perfettamente tutto ciò che i pazienti dicono e faccio
persino delle scoperte durante il lavoro (terapeutico). Al di fuori di que­
st'ultimo, però, non riesco a riflettere né a fare altro. Nell'altro stato, in­
vece, tiro le conclusioni, butto giù appunti e riesco perfino ad interessarmi
d'altro, ma in realtà sono più lontano dalla faccenda che ho per le marii,
e non faccio molta attenzione a quello che succede con i pazienti» (2 mar­
zo 1899). Questo corrisponde in un certo senso all'analogia con le maree
che fece qualche tempo dopo trovandosi alle prese con un particolare pro­
blema, e che dimostra come la sua fiducia in se stesso variasse a seconda
del suo umore: «C'è una curiosa alternanza di flusso e riflusso. Talvolta
vengo sollevato a un livello in cui mi sento sicuro, poi invece tutto reflui­
sce e rimango in secco. Credo però che la marea stia invadendo la terra­
ferma» (24 dicembre 1899).
Negli anni seguenti il suo modo di lavorare cambiò. In una lettera a
Abraham (datata 11 dicembre 1914) scrisse: «Anni fa il mio modo di
lavorare era diverso. Solevo attendere finché l'idea venisse a me. Adesso
invece le vado incontro fino a metà strada, però non so se in questo modo
si guadagni tempo.»
I suoi cambiamenti d'umore sfuggivano quasi del tutto al suo controllo
cosciente, come egli stesso dice: «Non sono mai stato capace di guidare
l'attività del mio intelletto, per cui il mio tempo libero è completamente
sprecato» (l° maggio 1898).
La variabilità dei suoi stati d'animo era indubbiamente causata per lo
più da oscure modificazioni dei processi inconsci, ma veniva influenzata
anche da certi fattori coscienti, come per esempio l'ammontare del lavoro
professionale e l'ansia ricorrente per la situazione economica. ~ vero che
Vita privata (1890-1900)

tra questi due motivi vi è un evid~nte rapporto, ~erò non bis.ogna ~solu­
tamente confonderli. Freud aveva bIsogno dello stlmolo che gh dava ti suo
lavoro, ~ se aveva troppo tempo libero, come ogni tanto accadeva, riusciva
a far poco. CosI, quando aveva dieci pazienti al giorno osservava che forse
erano troppi, però «vado avanti meglio quando c'è un bel po' di lavoro»
(2 febbraio 1897). Quello che conta però è che la felicità e il benessere
non comportavano per lui il lavoro migliore, il quale dipendeva invece
da un malessere interno e alquanto sgradevole che rumoreggia sotto sotto.
Egli stesso osservava: «Ho concluso molto poco perché non si è verificato
quel modesto grado. di malessereso necessario al lavoro intenso» (16 aprile
1896).
I suoi stati d'animo avevano effetti analoghi sulle sue capacità di scrit­
tore. Malgrado la felicità e la dignità del suo stile, la sicurezza di Freud
di scrivere bene spesso veniva meno e a quanto pare Fliess fu un giudice
abbastanza severo in proposito. Se per poter lavorare bene era necessaria
una certa dose di infelicità - né troppa né troppo poca - altrettanto acca­
deva per le capacità di scrittore. Un passo divertente, che si riferisce a un
capitolo dell'Interpretazione dei sogni, è il seguente: «Il mio stile in sé
era cattivo perché mi sentivo troppo bene fisicamente; per scrivere bene
devo sentirmi un po' infelice» (16 settembre 1899).
Lo stile di Freud era vigoroso e incisivo, spesso ironico e talvolta cau­
stico. Eccone alcuni esempi che tuttavia non possono non perdere con la
traduzione. Annunciando la morte di Billroth, il più grande chirurgo euro­
peo dei suoi tempi: «l! da invidiarsi per non essere sopravvissuto a se
stesso» (7 febbraio 1894). Ed ecco altri esempi: «Vivo in un tale isola­
mento come se avessi scoperto le più grandi verità» (16 marzo 1896).
«Ciò dimostra una volta di più quanto è difficile vedere tranne che per co­
lui che vede» (4 maggio 1896). «Ho troppo buon senso per lamentarmi:
so di valere, per quanto poco, tutto quello cui si ha diritto, secondo le
statistiche dell'umana miseria» (7 maggio 1900).
In quegli anni Freud lesse enormemente, come testimonia la sua biblio­
teca. Si era a lungo imbevuto, naturalmente, dei classici tedeschi e spesso li
citava. Nella corrispondenza vi sono casuali riferimenti a libri che stava
leggendo, che però rappresentano solo una parte di tutto quello che lesse.
Tra gli autori citati vi sono Gottfried Keller, ]acobsen,Sl Multatuli, Guy
de Maupassant, KIeinpaul, Dante, Vasari (Vite de' Più eccellenti pittori,
scrittori e architettort), C. F. Meyer, Friedjung (Der Kampi 11m die Vorherr­
416 Vita e opere di Freud

schal/ in Detl/schland, 1859-1866), Laistner (Das Rafsel de, Sphinx) e


l'Iliade di Schliemann. Nel leggere Paracelstls di Schnitzler commentò: «Mi
sono meravigliato nel vedere quanto ne sa di queste cose uno scrittore come
quello» (19 marzo 1898). '
Se si tiene presente quanto Freud avesse letto sia della letteratura classica
che di quella moderna, bisogna considerare gratuita l'osservazione di Tho­
mas Mann, il quale, deplorando le dure fatiche incontrate da Freud nelle
sue ricerche, disse che una migliore conoscenza della letteratura avrebbe
potuto risparmiargliele. 32 Freud stesso contrappose spesso l'intuizione crea­
tiva degli scrittori allo sforzo che costa a un ricercatore scientifico la disa­
mina sistematica delle stesse idee.
L'osservazione di Freud, fatta già da autori francesi, che tutti i sintomi
classici dell'isterismo enumerati da Charcot erano stati già esaurientemente
descritti centinaia di anni prima da vari scrittori a proposito degli inde­
moniati, lo spinse a leggere quanto più possibile della letteratura del XVI
e XVII secolo su quell'argomento: fu la prova definitiva che tali sintomi
non potevano risultare da una suggestione derivata da una teoria medica
contemporanea. Una delle seccature che gli derivarono dal dovere di lavorare
alla monografia per Nothnagel, fu proprio quella di essere disturbato men­
tre si apprestava a studiare il Malletls Maleficartlm. Fu pure particolarmente
colpito dal fatto che le perversioni sessuali che il demonio esercitava sui
suoi seguaci erano identiche alle storie che i pazienti raccontavano a pro­
posito della loro infanzia, e ne trasse l'ipotesi che tali perversioni fossero
il residuo atavico di un antico culto semitico, sessuale e semireligioso (24
gennaio 1897). Vediamo quindi che Freud coltivò fin dal principio la tesi
lamarckiana, alla quale aderi poi per tutta la vita.
Si può dire qualcos'altro circa gli scopi della sua vita, sia immediati
che a distanza, in questi dieci anni. A parte il desiderio di guadagnare
abbastanza da poter essere indipendente e da poter viaggiare, Freud ebbe
sempre in mente l'ambizione di poter incorporare le sue scoperte sulla ri­
mozione, eccetera, nell'ambito della psicopatologia e di pensare quindi, per
questa via, a lavorare nel campo della psicologia normale, che si sarebbe
cos1 trasformata in una scienza nuova, destinata a chiamarsi metapsicologia.
Per Freud la natura di questa ambizione era abbastanza chiara. Già un
mese prima che uscissero gli Sttldi sull'isterismo scrisse: «Un uomo come
me non può vivere senza un pallino, senza una passione dominante; Schil­
ler la chiamava un tiranno, e tale è diventata per me, perché quando sono
Vita privata (1 890- 1 900)

in suo potere non conosco misura. La psicologia è la meta che mi attirava


da lontano, ma ora che sono venuto a contatto con le nevrosi, si è molto
avvicinata. Due desideri mi assillano: vedere come la teoria delle funzio­
ni psichiche prenderebbe forma se si introducessero considerazioni quanti­
tative, una specie di economia dell'energia nervosa; e, in secondo luogo,
mettere in luce ciò che la psicopatologia può dare alla psicologia norma­
le» (25 maggio 1895). Talvolta, però, Freud si ribellava al suo tiranno,
come quando rimase insoddisfatto del suo primo tentativo (l'Entwllrf) e ac­
cantonò tutto per qualche tempo (8 novembre 1895).
Po~hi mesi dopo scrisse a Fliess: «Se a noi due saranno assicurati pochi
anni di lavoro' tranquillo, lasceremo sicuramente dietro di noi qualcosa
che giustificherà la nostra esistenza. Questo pensiero mi aiuta a sopportare
tutte le fatiche e le pene quotidiane. Da' giovane non miravo ad altro che
alle conoscenze filosofiche, e ora sono sul punto di soddisfare quel de­
siderio col passare dalla medicina alla psicologia. ~ stato contro la mia
volontà che mi sono dovuto occupare di terapia» (2 aprile 1896).33
Sembra che in quegli anni Freud non sperasse eccessivamente di vivere
a lungo. La predizione di Fliess che sarebbe morto a cinquantun anno e i
di lui dubbi circa le condizioni del suo cuore l'avevano probabilmente
impressionato. Forse però avrebbe potuto portare ugualmente a termine il
suo compito: «Datemi dieci anni e concluderò la faccenda delle nevrosi
e la nuova psicologia» (3 gennaio 1897). Un paio d'anni dopo però, pen­
sando alla mole del compito si sentiva «come un vecchio. Se i pochi punti
necessari per risolvere il problema delle nevrosi richiedono tanto lavoro,
energia ed errori per essere chiariti, come posso sperare di aprire uno spi­
raglio, come tanto intensamente speravo una volta, sulla totalità della fun­
zione mentale?» (23 ottobre 1898).
Si può citare a questo proposito una descrizione di se stesso, semiseria
ma molto interessante: «Spesso mi stimate troppo, perché io non sono né
uno scienziato né un osservatore né uno sperimentatore né un pensatore.
Non sono' altro che un conquistador per temperamento - un avventuriero,
se volete tradurre il termine -, con la curiosità, la baldanza e la tenacia
proprie di quel genere d'individui. Tutti li considerano preziosi se riesco­
no, se hanno davvero scoperto qualcosa; altrimenti li gettano da parte, e
ciò non è certo ingiusto» (l° febbraio 1900). .
Freud espresse spesso l'opinione che non avrebbe ricevuto in vita nessun
riconoscimento delle sue fatiche, e forse non l'avrebbe avuto mai. <<Nessun

14 . I
Vita e opere di Freud

critico, neppure quello stupido di Loewenfeld, il Burckhardt della neuro­


patologia,34 può vedere più chiaramente di me la sproporzione tra proble­
mi e soluzioni. Subirò la giusta punizione, cioè che nessuna delle regioni
inesplorate della vita psichica nelle quali, primo tra i mortali, mi sono
addentrato, porterà il mio nome o seguirà le leggi che ho formulato»· (7
maggio 1900).
Sarebbe forse accaduto che dopo cinquant'anni qualche altro ricercatore
avrebbe fatto le stesse scoperte, e allora il suo nome sarebbe stato ricordato
come quello di un pioniere. Pare però che questo pensiero non lo depri­
messe affatto. Ciò che importava era la possibilità di raggiungere lo scopo,
solo per sua propria soddisfazione.
I termini concreti in cui Freud progettava il compimento della sua am­
bizione variavano naturalmente da periodo a penodo. Inizialmente (16
marzo 1896) pensava a due libri: 1. Lezioni sulle nevrosi maggiori e 2.
un lavoro più importante,S'5 La psicologia e la psicoterapia delle nevrosi di
difesa, nel quale avrebbe versato tutto se stesso. Tre anni dopo (17 luglio
1899) i libri si erano mutati nella Psicopatologia della vita quotidiana (che
aveva effettivamente cominciato) e nella Rimozione e appagamento dei de­
sideri - Teoria psicologica delle neuropsicosi. Nello stesso mese, riferendo­
si all'Interpretazione dei sogni la definl «una parte del primo terzo del Gran­
de Compito - dare un posto alle nevrosi e psicosi tra le scienze per mezzo
della teoria della rimozione e dell'appagamento dei desideri: 1. l'aspetto
organico-sessuale, 2. l'aspetto c1inico-fenomenologico, 3. l'aspetto metapsi­
cologico».
Nel corso del tempo l'ambizione di Freud di trasformare la psicologia
per mezzo della psicopatologia si avverò in senso lato, ma il compito si
dimostrò assai più complesso e laborioso di quanto sembrasse all'inizio, e
anzi Freud finÌ con lo scoprire che tutte le sue fatiche non avrebbero co­
stituito che l'impalcatura per l'edificio definitivo.
Al di là di quest'ambizione, già abbastanza grandiosa, c'era il richiamo
di una meta ancora più lontana, quella di una filosofia della vita che
avrebbe posto termine a tutta la sua instancabile curiosità e a tutte le sue
incertezze.
Note

1. Anf., p. 183.
2. lbid., p. 436.
3. In una lettera Freud lo chiamò il migliore amICo che aveva a Vienna.
4. Sua figlia è una nota psicoanalista.
5. Anche sua figlia è una nota psicoanalista.
6. Anf., p. 337.
7. Fu proprio la sua appartenenza a quello che i nazisti chiamarono un
«gruppo politico intestino» che costitul il pretesto al sequestro dell'Interna­
tionaler Psychoanalytischer Verlag nel marzo 1938.
8. Una successiva definizione, più amara e solo in parte significativa, è la
seguente: «Ci si abitua gradualmente ad una nuova concezione della natura
della felicità. Si può affermare che la felicità nasce quando il destino non
mette in opera tutte le sue minacce» (24 marzo 1901).
9. [Oh paese donna / corteggiato, non vinto / ancor più amato dalle ma­
schie terre del mondo / sul loro cuore invece foggiato.]
10. Lettera di Minna Bernays a sua sorella, -7 agosto 1898.
11. Lettera a Rosa, 5 agosto 1892.
12. G. W., II-III, 202, 203.
13. Corrispondenza inedita di Fliess, 29 agosto 1894.
14. Anf., p. 229.
15. Ibid., p. 228
16. Per gli appassionati delle coincidenze posso affermare che il suo futuro
biografo si trovava Il in quella stessa settimana, e che forse viaggiò nella
stessa diligenza di Freud.
17. G.W., IV, 7.
18. Corrispondenza inedita di Fliess, 14 settembre 1900.
19. Medico, suo vecchio amico, che emigrò più tardi a New York.
20. La Russia era solo una potenziale nemica dell'Austria e l'idea di una
guerra contro di essa non fu mai completamente scongiurata.
21. Siccome l'Università era una istituzione governativa, tutte le cariche
dovevano essere ratificate ufficialmente.
22. I.Z., XXV, 1940. 69.
420 Note

23. Freiherr von Hlirtel.


24. Comunicazione personale. Questa versione è più autentica di quella for­
nita da Hanns Sachs (Freua, Master ana Friena, Cambriage, Massachusetts,
Harvard University, 1944, p. 78), la cui memoria fallisce di tanto in tanto.
25. L'unica occasione in cui risulta che Freud abbia letto un lavoro fu al
Congresso di Budapest nel settembre 1918, proprio prima della fine della pri­
ma guerra mondiale. In quel periodo Freud era molto triste. Sua figlia lo
rimproverò energicamente per «aver infranto una tradizione di famiglia», alla
quale lei stessa restò sempre fedele.
Anche le Introauctory /eclures, pubbliche verso la metà della guerra, fu­
rono prima messe per iscritto, ma poi Freud le mandò a memoria.
26. (Un pubblico di re!) Allusione al commento che Napoleone fece nel­
l'entrare a teatro ad Erfurt.
27. Comunicazione del dotto Ludwig ]ekels.
26. L'unica eccezione fu un discorso sulla psicoterapia tenuto nel 1904 da­
vanti al Doktorenkollegium (G. W., V, ll).
29. M., 16 settembre 1896.
30. Mille/e/ena.
3l. In una lettera del 16 ottobre Freud scrisse che Nills Lyhne di ]acobsen
lo aveva commosso più di ogni altro libro letto negli ultimi nove anni. Gli
ultimi capitoli erano classici.
32. Die Stellung Freuas in aer moder"en Geistesgeschichte, «Die Psychoana­
lytische Bewegung», I (1929), 26.
33. Vedi anche p. 84.
34. Per questa allusione vedi p. 432,
35. SchOneres è intraducibile.
XVI. L'interpretazione dei sogni (1895-1899)

Per unanime consenso l'Interpretazione dei iOgni è stato il principale


lavoro di Freud, quello per il quale il suo nome verrà forse ricordato più
a lungo, e sembra che anche l'autore fosse di questo stesso parere. Come
scrisse nella prefazione alla terza edizione inglese, (<una intuizione come
questa càpita una volta sola nella vita di un individuo». Si tratta di un
perfetto esempio di scoperta casuale, perché la percezione di ciò che i sogni
significano avvenne del tutto casualmente - si potrebbe quasi dire acciden­
talmente - mentre Freud era immerso nella ricerca del significato delle
. .
pSlconevrosl.
Una volta gli chiesi quali fossero, tra i suoi scritti, quelli che preferiva,
ed egli tirò fuori dagli scaffali l'Interpretazione dei i()gni e i Tre iaggi
sulla teoria della ieuualità1 dicendo: «Spero che questo sarà presto sor­
passato per il fatto di essere stato universalmente accettato, ma l'altro do­
vrebbe durare più a lungo.» Poi con un calmo sorriso aggiunse: «Sembra
che io sia destinato a scoprire solo cose ovvie: che i bambini hanno sensa­
zioni sessuali, cosa che ogni balia sa; e che nei sogni della notte i desideri
si realizzano proprio come in quelli a occhi aperti.» Diremo che si tratta
di una meiosi catacrestica?
Le ragioni di questo giudizio unanime non vanno ricercate lontano.
L'Interpretazione dei iogni è il lavoro più originale di Freud e le sue con­
clusioni principali erano completamente nuove e inattese. Questo è vero
sia per l'argomento centrale, cioè quello della struttura del sogno, sia per i
molti altri che si presentano incidentalmente, dei quali il più importante
è la descrizione dell'ormai noto «complesso di Edipo», franca esposizione
dei rapporti erotici e di ostilità che legano il bambino al padre. Esso com­
portò la rivalutazione della vita infantile e della sua immensa importan­
Vita e opere di Freud

za per gli innumerevoli sviluppi che formano l'uomo adulto. L'Interpreta­


zione dei sogni non solo rappresenta una sicura base per la teoria dell'in­
conscio nell'uomo, ma fornisce uno dei migliori metodi per inoltrarsi in
questa misteriosa regione, tanto più importante della coscienza per l'effet­
tivo comportamento dell'uomo: basti pensare che Freud la chiamò giusta­
mente la via regia verso l'inconscio. Il libro fornisce inoltre una messe di
spunti nel campo delb letteratura, della mitologia e dell'educazione - co­
me per esempio la famosa nota su Amleto - che hanno in seguito fornito
l'ispirazione ad un gran numero di studi particolari.
Il libro è estremamente esauriente. L'argomento principale, cioè lo stu­
dio della vita onirica, era svolto in modo cos1 approfondito e cos1 parti­
colareggiato che nel mezzo secolo trascorso da quando il libro è apparso le
conclusioni hanno subito solo modificazioni o aggiunte minime, cosa che
si può dire solo di pochissimi lavori scientifici importanti.
Non è questa la sede per descrivere il contenuto di un libro cos1 vasto,
del quale sono stati fatti tanti riassunti. Di tutti i lavori di Freud è quello
più conosciuto e più letto, ed è inconcepibile che qualcuno voglia leggere
la biografia di Freud senza prima conoscere questo libro.
Ripensando alla lenta pubblicazione di esso, Freud scrisse: «L'Interpre­
tazione dei sogni, per esempio, era già finito nelle sue linee essenziali al­
l'inizio del 1896, ma non fu scritto che nell'estate del 1899.»2 Qualche
anno dopo, nel 1925, scrisse ancora: «La mia Interpretazione dei sogni e il
mio Frammento d'analisi di un caso d'isterismo furono da me accantonati
per quattro o cinque anni - se non per i nove anni prescritti da Orazio ­
prima che ne permettessi la pubblicazione.»3 Le testimonianze di cui oggi
disponiamo ci permettono di ampliare queste semplici affermazioni ed in
un certo senso di correggerle.
L'interesse di Freud per i sogni risaliva a molto tempo prima, probabil­
mente agli anni della sua infanzia. Egli fu sempre un buon sognatore e
fin dai primi anni non solo esaminava i suoi sogni, ma li annotava. Ap­
pena quindici giorni dopo il fidanzamento scrisse a Martha: «Faccio sogni
molto insoliti. Non sogno mai di cose che mi hanno occupato durante tutto
il giòrno, ma solo di argomenti che sono stati sfiorati una sola volta' nella
giornata e poi lasciati cadere.»4 Questo concetto divenne più tardi un ele­
mento ben noto della sua teoria dei sogni. Un anno dopo accennò al pia­
cevole sogno di un paesaggio «che, secondo il taccuino privato dei sogni
che ho scritto in base alla mia esperienza, significa viaggi». 6 Questo pre­
L'interpretazione dei sogni ( 1895- 1899) 42 3

zioso elenco dei suoi sogni è andato indubbiamente distrutto nell'olocausto


di cui si parla nella prefazione del presente volume.
L'ultimo dell'anno 1883 scrisse alla fidanzata: «La notte scorsa ho sogna­
to nuovamente di viaggiare, questa volta in Spagna. Vedevo il "porto" di
Madrid e mi meravigliavo che il Manzanarre portasse tanta acqua. Credo
che il Manzanarre fosse in realtà l'Elba. A proposito di questi sogni sono
un po' superstizioso, dato che finora ad ogni sogno di viaggio ne è ben
presto seguito uno reale. Per dove sarà questa volta, e quanto durerà?»
Altre volte le sue osservazioni erano più convenzionali, come per esem­
pio le allusioni a «quei sogni sgradevoli che si fanno solo quando si ha lo
stomaco in disordine».6 La maggior parte dei suoi sogni veniva riportata
senza commento, però ce n'è uno che vale particolarmente la pena di ri­
portare per la sua struttura del tutto inconsueta. Era uno di quei sogni che
egli chiamava «chiari», completamente diversi da quelli confusi abituali.
Aveva appena preso dell' ecgonina per paragonarne l'azione con quella della
cocaina. «Ho sognato che dopo aver preso questa sostanza camminavo e
camminavo senza posa attraverso un bellissimo paesaggio, molto nitido,
finché arrivavo ad un porto circondato da bei giardini e dalla Holsteinthor,
davanti al quale esclamavo "Lubecca"!7 Entrando in città incontravo subito
Fleischl ed Exner che mi chiedevano pieni di meraviglia come fossi arri­
vato fin 11. Udito della mia grande camminata essi insistevano perché me
ne andassi a letto. Appena a letto mi veniva in mente che fosse tutto un
sogno, ma poi ridevo di una simile idea e mi convincevo che si trattava della
realtà. Poi mi sono svegliato.»8 Questo sogno sembra già un passo avanti
verso il fenomeno ormai noto del «sogno nel sogn~».
Ce n'è un altro che vale la pena di ricordare perché si tratta di un sogno
ricorrente. «La notte scorsa ho sognato che per te lottavo contro qualcuno
e avevo la sgradevole impressione di essere paralizzato proprio quando
volevo menare un colpo. ~ un sogno che faccio spesso e che ha sostituito
l'altro in cui dovevo ancora sostenere l'esame di laurea, prova che mi ha
tormentato per anni.»9
Il primo indizio dell'interesse di Freud per i sogni, negli scritti pubbli­
cati, compare nel corso di una lunga nota a proposito del primo dei suoi
casi clinici, quello della signora Emmy von N. in data 15 maggio 1889,
negli Studi sull'isterismo. A un certo punto Freud discute il fatto che i pa­
zienti nevrotici sembrano in preda al bisogno di associare tra loro tutte
le idee che per caso coesistano nella loro mente in un dato momento, poi
Vita e opere di Freud

prosegue: «Non molto tempo fa ho potuto convincermi della forza di que­


sta tendenza ad associare, in seguito ad alcune osservazioni fatte in un cam­
po diverso. Mi sono trovato costretto a cambiare per varie settimane il
mio letto con un altro più duro, nel quale ho fatto sogni più numerosi
e più nitidi, o nel quale forse non riuscivo a raggiungere un sonno di nor­
male profondità. Nel primo quarto d'ora dopo il risveglio ricordavo tutti
i sogni fatti durante la notte, perciò decisi di annotarli e di cercare di
risolverli. Sono cos1 riuscito a ricondurre tutti questi sogni a due fattori:
1. alla necessità di elaborare tutte le idee sulle quali mi ero soffermato solo
di sfuggita durante la giornata, cioè che erano state solo sfiorate e non
esaurite, e 2. alla tendenza a collegare tutte le idee che potevano essere state
presenti nel medesimo stato di coscienza. Il carattere assurdo e contraddit­
torio dei sogni potrebbe essere ricondotto al prevalere incontrollato di que­
st'ultimo fattore.»
La descrizione del caso fu scritta nel 1894, certamente in base agli
appunti presi in quella stessa epoca, e la nota in questione deve essere
stata aggiunta allora o al più tardi verso la primavera del 1895. La descri­
zione di Freud della «associazione per contiguità» mostra che egli si trova­
va ancora alla stadio della vecchia e statica psicologia associazionistica.
Sembrerebbe che i punti di partenza dell'interesse di Freud per l'interpre­
tazione dei sogni siano stati due, menzionati entrambi da lui stesso. Uno
era il semplice fatto che seguendo le associazioni dei suoi pazienti, che
venivano lasciate sempre più libere, aveva osservato che essi vi intercala­
vano spesso il racconto di un sogno, al quale collegavano a sua volta altre
associazioni. L'altro punto era l'esperienza psichiatrica degli stati allucina­
tori dei malati psicotici, nei quali era spesso evidente il carattere di appa­
gamento dei desideri. Questo era stato già sottolineato da Meynert nei ri­
guardi della condizione da lui descritta con il nome di amenza (ora nota
come psicosi allucinatoria acuta). Freud stesso si riferl ripetutamente10 ad
una frase di Griesinger che richiamava l'attenzione sul carattere di appaga­
mento dei desideri comune sia ai sogni che alle psicosi, accostamento di
notevole acume. l l
Nella prima analisi di un sogno di cui ci resta testimonianza scritta
(4 marzo 1895, prima della pubblicazione degli Studi), cioè quella di
Emil Kaufmann, nipote di Breuer, Freud stabill l'analogia tra l'appaga­
mento dei desideri, evidente nel sogno, e la psicosi onirica di un ex-pa­
ziente di Fliess che aveva avuto in cura. 12 ~ il primo accenno alla teoria
L'interpretazione dei sogni (J 895-1899)

del sogno come appagamento dei desideri. Freud scrisse tuttavia che,. pri­
ma che la sua collaborazione con Breuer fosse cessata, cosa che sappIamo
essere avvenuta nella primavera del 1894,13 aveva detto all'amico di avere
imparato a interpretare i sogni. 14
Che l'essenza del sogno sia l'appagamento di un desiderio recondito, idea
che Freud aveva già intravista, venne confermata dalla prima analisi com­
pleta di uno dei propri sogni che· egli fece giovedl 24 luglio 1895, data
storica: si tratta del sogno noto come «l'iniezione di Irma». Anni dopo
Fliess dubitò che la data fosse esatta, ma Freud la verificò rifacendosi al
suo diario dell'epoca (lettera del 18 giugno 1900). Una volta Freud mi
condusse al ristorante. Bellevue e potei cos1 occupare il tavolo nell'angolo
nord-est del terrazzo, dove lo storico avvenimento aveva avuto luogo. Feci
allora un ovvio accenno ad una lapide da murarsi, ignorando che anni pri­
ma in una lettera Freud aveva chiesto mezzo scherzando a Fliess se pen­
sava che in quel punto sarebbe stata mai posta una lapide di marmo con
l'iscrizione: «Qui il 24 luglio 1895 è stato rivelato al dr. Sigmund Freud
il segreto dei sogni» (12 giugno 1900). Non è detto che ciò non avvenga.
Quattro mesi dopo Freud riferl pieno di fiducia di poter confermare
le sue conclusioni, cioè che il motivo dei sogni fosse l'appagamento di un
desiderio (23 settembre 1895). Quindi, di ritorno da una visita a Fliess
a Berlino, scrisse febbrilmente il «Progetto» che verrà trattato nel capitolo
seguente. La prima parte, scritta verso la metà di settembre, contiene tre
capitoli sui sogni. Era la prima volta che Freud affrontava il problema nel
suo insieme, ma lo· fece per via induttiva, cioè limitatamente alle posizio­
ni teoriche generali di psicologia che stava cercando di sviluppare in quel
momento, piuttosto che attraverso uno studio circoscritto alle effettive ca­
ratteristiche dei processi onirici, cioè l'origine e il contenuto. Il risultato è
ovviamente piuttosto scarso, e sta all'Interpretazione dei sogni di quattro
anni dopo come un villino a un palazzo. Ciononostante esso contiene al­
cuni importanti elementi della futura teoria. 15
Freud era già arrivato all'importante distinzione dei processi psichici in
due tipi fondamentalmente diversi, che aveva chiamato rispettivamente pri­
mario e secondario. Egli osservò che il processo primario dominava la vita
onirica e spiegò questo fatto con la relativa quiescenza dell'attività dell'Io
(che di solito inibisce il processo primario) e la quasi completa immo­
bilità muscolare: se l'investimento energetico dell'Io si fosse ridotto a ze­
ro, il sonno sarebbe stato privo di sogni.
Vita e opere di Freud

Egli trattò anche altri aspetti. Il carattere allucinatorio dei sogni, che
viene accettato dalla coscienza onirica (infatti il sognatore crede in quello
che gli sta accadendo), è una «regressione» ai processi di percezione, che
Freud attribuisce al blocco motorio della direzione in cui di solito la sca­
"
nca Sl comp1e.
.
I meccanismi che si potevano mettere in evidenza nell'analisi di un so­
gno, somigliavano in modo evidente a quelli che Freud ormai conosceva
bene dall' analisi dei sintomi psiconevrotici. A quanto pare però se ne era
dimenticato, perché in una lettera del 19 febbraio 1899 ne parlò come di
una scoperta recente.
Ora Freud era assolutamente certo che ogni sogno rappresentava l'ap­
pagamento di un desiderio, ma i suoi sforzi di spiegare perché quest'ultimo
assumesse una forma mascherata non lo portavano lontano. Egli si accorse,
nel tracciare la catena delle associazioni, che durante il sogno alcuni pas­
saggi non raggiungevano la coscienza, per cui il sogno sembrava spesso
assolutamente privo di senso. La spiegazione che egli ne dette seguiva i
concetti dell'economia fisiologica e si basava sulla forza di investimento
relativa alle singole idee, ma non lo lasciò per nulla soddisfatto. ~ da no­
tare che a questo proposito egli non si servi qui del processo di «rimozio­
ne», che nel campo della psicologia gli era già familiare.
Il 2 maggio 1896 parlò sull'argomento davanti a un pubblico di giovani
nella liidisch-Akademische Lesehalle (Sala di lettura dell' Accademia Ebrai­
ca). Pare che avesse scritto un abbozzo sull'argomento perché il 7 marzo,
in una lettera a Fliess, gli promise di portarlo a un «congresso». Disgra­
ziatamente però non ne è rimasta traccia: sarebbe stato molto interessante
sapere dove Freud era arrivato con la sua teoria a quel tempo. L'anno
seguente tenne una relazione più ampia davanti alla sua associazione ebrai­
ca, il Verein B'nai B'rith, che durò due serate (7 e 14 dicembre 1897).
Il 14 maggio 1900, quando era ormai pienamente padrone dell'argomento,
iniziò all'Università un corso di lezioni sui sogni. In quell'occasione tanto
importante ci fu un pubblico di tre persone, cioè Hans Konigstein, figlio
del suo grande amico, la signorina Dora Teleky ed un certo dr. Mercuse
di Breslavia.
In una lettera del 7 luglio 1897, mese in cui cominciò la sua autoanalisi,
Freud parlò della conoscenza dei problemi dei sogni, ivi comprese le leggi
che ne regolano la genesi, come di quella più solida, mentre secondo lui
era circondato da migliaia di altri enigmi. Freud aveva già afferrato la so­
L'interpretazione dei sogni (1895-1899) 427

miglianza nella struttura delle nevrosi e dei sogni. «I sogni racchiudon~


in un guscio di noce la psicologia delle nevrosi», è una sua frase che rI­
corda la precedente affermazione del grande HughIings Jackson: «Risol­
vete i sogni, e avrete risolto la pazzia.» Il 15 ottobre 1897, nella lettera
che riferiva importanti particolari della sua autoanalisi, Freud enunciò i due
elementi del complesso di Edipo: amore per uno dei genitori e gelosia ed
ostilità verso l'altro: questa scoperta aveva molti rapporti con la teoria dei
sogni, poiché illustrava vivacemente le origini infantili dei desideri incon­
sci che popolano tutti i sogni. Freud prosegui spiegando in tal· modo la
commozione che provoca la leggenda di Edipo, e suggerl anche che esso
fosse alla base del dilemma di Amleto. Nella sua risposta Fliess non ac­
cennò a queste questioni, per cui Freud, assalito dall'angoscia di aver pre­
so un' altra cantonata, lo pregò di rassicurarlo (5 novembre).
Il primo accenno all'idea di scrivere un libro sui sogni compare in una
lettera del 16 maggio 1897, cioè un paio di mesi prima che l'autoanalisi
avesse inizio. Freud però era già sicuramente sotto l'influsso dei motivi che
poi lo portarono ad intraprenderla. In effetti i due progetti furono portati
a compimento cos1 di pari passo che possono considerarsi come un tutto
unico. L'Interpretazione dei sogni è perciò tra l'altro una selezione dell'au­
toanalisi. Nei mesi che separarono la morte del padre di Freud dalla rea­
zione decisiva del figlio, gli effetti di quella perdita lavorarono lentamente. 16
Il 5 novembre, quando l'autoanalisi era in corso, Freud disse che si sarebbe
forzato a scrivere il libro come mezzo per uscire dal suo penoso stato
d'animo.
Nel settembre 1897, quando la sua teoria sulla seduzione cadde, egli
riBetté su ciò che si era salvato: «Nel crollo dei valori 17 solo la teoria
psicologica si è salvata. La teoria dei sogni è più solida che mai.»
Il 9 febbraio 1898, data del successivo accenno alla questione, Freud
stava già scrivendo alacremente e forse già da un paio di mesi. Aveva già
esaminato parte della letteratura già antecedentemente alla prima lettera
nel maggio 1897 e aveva avuto la soddisfazione di trovare che nessuno
aveva pensato che i sogni fossero l'appagamento di un desiderio o almeno
qualcosa di diverso da fenomeni privi di senso. Il libro fu terminato nel
settembre 1899, perciò si può dire che occorsero quasi due anni per seri­
verlo.
La corrispondenza con Fliess fa luce non solo sulla stesura del libro, ma
anche su molti particolari che hanno lasciato perplessi i lettori. Cosi, per
Vita e opere di Freud

esempio, il misterioso numero 1851 nell' «Assurdo sogno del padre mor­
tO»18 che è stato supposto riferirsi alla data del matrimonio del padre di
Freud,19 deriva invece quasi sicuramente dall'età che Freud avrebbe dovuto
raggiungere secondo i calcoli e le previsioni di Fliess.
La stesura dell'opera può essere seguita dettagliatamente. Il 23 febbraio
1898 erano già stati scritti alcuni capitoli; il libro «sembra promettente.
Mi porta ad approfondire la. psicologia più di quanto intendessi. Le mie
aggiunte riguardano tutta la parte filosofica del lavoro: in quella organico­
sessuale non ho toccato nulla.» Il 5 marzo un'int~ra parte era terminata,
«senza dubbio la meglio congegnata». Il lO marzo Freud dà un'anticipazio­
ne di una ~arte importante del futuro libro quale appariva allora. «Mi
sembra che la teoria dell'appagamento dei desideri fornisca solo la solu­
zione psicologica, non quella biologica - o meglio metafisica. (Ti chiedo
seriamente se posso usare il termine metapsicologia per la mia psicologia
che porta al di là della coscienza.) Mi sembra che da un punto di vista
biologico la vita onirica derivi interamente dai residui del periodo preisto­
rico (da uno a tre anni), quello stesso che è la fonte dell'inconscio e l'uni­
co da cui deriva l'eziologia della psiconevrosi: il periodo per il quale vi
è di solito un'amnesia analoga a quella dell'isterismo. lo sostengo questa
formula: quello che è stato visto in quel periodo preistorico dà origine ai
sogni; quello che è stato udito, alle fantasie; quello che è stato provato
sessualmente, alle psiconevrosi. La ripetizione delle esperienze fatte in quel
periodo è di per se stessa l'appagamento di un desiderio. Un desiderio
recente può determinare un sogno solo se si può collegare con materiale
del periodo preistorico, cioè se è esso stesso il derivato di un desiderio
preistorico ovvero è riportabile a quest'ultimo.» Questo passo rivela appie­
no l'attività penetrante ed instancabile della mente di Freud. Da vero uo­
mo di scienza egli trovava che, per quanto brillante, la soluzione di un
problema conduceva solo a considerarne altri da essa messi in luce, e cos1
via all'infinito.
La lettera del 15 marzo citava i titoli di alcuni capitoli che più tardi
però furono cambiati. A quel tempo Freud aveva intenzione di scrivere
un capitolo su Sogni e nevrosi, progetto che poi abbandonò anche se si ac­
costò alla sua realizzazione con l'analisi di Dora, di cui ora parleremo. Il
3 aprile era quasi finita la seconda parte, che tratta dei sogni tipici, ma
che è assai meno soddisfacente della prima. Il 24 maggio Freud riferl che
la terza parte, sulla costruzione dei sogni, era terminata. Subito dopo, però,
L'interpretazione dei sogni (J 895- J 899)

Freud cedette all'impulso di abbozzare il saggio sulla psicologia generale,


dove _ alquanto stranamente - egli trovò che le idee derivate dalla psico­
patologia erano di maggiore aiuto di quelle derivate dai sogni. :s chiaro
che l'ultimo capitolo lo fece tribolare assai: esso lo tenne occupato per un
certo tempo, anzi, sia perché non ne era soddisfatto, sia a cawa delle al­
lusioni intime contenute nel libro, Freud era propenso a non pubblicarlo
affatto (23 ottobre 1898).
In ).ma lettera del 19 febbraio 1899, egli cercò di stabilire una distin­
zione tra la natura dei sogni e quella dei sintomi isterici, dato che en­
trambi sono l'espressione mascherata di desideri appagati, e conclwe che
nei sogni è in gioco solo il desiderio rimosso, mentre nei sintomi vi è un
compromesso tra il desiderio rimosso e l'agente rimovente. A questo pro­
posito usò per la prima volta il termine «autopunizione» per definire que­
st'ultimo fenomeno. Solo molto tempo dopo scoprl che lo stesso avveniva
nei cosiddetti «sogni punitivi».
Il 28 maggio 1899 ci fu, senza nessuna ragione particolare, un'improv­
visa sfuriata di lavoro intorno al libro dei sogni e la decisione definitiva
di portarlo alla pubblicazione: doveva esser pronto per la stampa verso
la fine di luglio, prima delle vacanze. «Ho pensato che non ci sono né
artifici né omissioni che tengano, perché non sono ricco abbastanza da te­
nere per me la migliore scoperta che ho fatto, forse l'unica che mi soprav­
viverà,» Il 9 giugno era più indeciso: «L'intera faccenda si risolve in
una banalità. I sogni hanno tutti la funzione di appagare un desiderio, che
si è andato trasformando in molti altri: il desiderio di dormire. Si sogna
per non doversi svegliare, perché si vuole dormire. T ani de bruit.»20 Nella
lettera seguente egli osservò che l'ultimo capitolo del libro continuava ad
allungarsi senza essere né buono né proficuo. Era suo dovere scriverlo, ma
esso non accresceva il suo entusiasmo per il soggetto (27 giugno). Il
giorno seguente però il primo capitolo (senza la letteratura) fu mandato
alla stampa.
Il vero e proprio libro dei sogni procedeva abbastanza bene, ma i due
capitoli supplementari che si erano resi necessari lo fecero penare un bel
po'. Quello che scrisse per primo consisteva nella rassegna della prece­
dente letteratura sull'argomento. Freud aveva cominciato ad attaccare que­
sto compito ingrato nel dicembre 1898, e lo aveva trovato «spaventosa­
mente noioso». Pare che lo avesse addirittura abbandonato, ma dovette ri­
prenderlo sei mesi dopo per terminare il libro. Questa volta, esaminando
430 Vita e opere di Freud

più a fondo la letteratura, trovò diversi lavori, in particolare il libro di


Spitta, Die Schlaf- und Traumzustande der menschlichen Seele (<<Gli stati
di sonno e di sogno dell'anima umana»), che per la prima volta gli fece
desiderare di non aver mai toccato l'argomento (9 giugno 1899). Il 27
luglio la fatica era ultimata, ma Freud era molto scontento del risultato.
In realtà la sua rassegna costituisce da sola un capolavoro: non solo è
esauriente, non solo il materiale «noioso» è stato trasformato in qualcosa
ch'è pieno di interesse, ma soprattutto Freud ha selezionato dalle diverse
fonti tutto ciò che ha un valore positivo e ha organizzato il tutto in una nar­
razione che rappresenta un'eccellente introduzione ai suoi contributi perso­
nali. Mai come in quel caso le sue capacità di padroneggiare ed ordinare
una massa di materiale eterogeneo si è estrinsecata meglio.
La maggior parte della letteratura - ad esempio il libro di Spitta - gli
era parsa disgustosamente superficiale. Le osservazioni di Scherner sul sim­
bolismo erano forse le uniche di un certo valore. Riguardo alle sue idee
principali trovò che non vi erano precursori, però molti anni dopo la sua
attenzione venne attratta dal libro di un fisico, Josef Popper-Lynkeus,
Die Phantasien eines Realisten (<<Le fantasticherie di un realista»), pubbli­
cato nel 1899. In un capitolo intitolato Sogno uguale veglia l'autore emet­
teva l'ipotesi che la deformazione onirica fosse dovuta alla censura dei
pensieri indesiderati, che potrebbe considerarsi l'anticipazione casuale di
una parte essenziale della teoria di Freud. 21
A questo capitolo Freud si riferl con un passo divertente di una lettera
del 6 agosto: «Non hai forse sempre ragione? Tu mi dici apertamente
quello che già da me ho pensato in silenzio, cioè che questo primo capi­
tolo dissuaderà dall'andare avanti un gran numero di lettori. Però c'è po­
co da fare: volevi che la bibliografia non fosse dispersa in tutto il libro
e avevi ragione; volevi che non fosse messa neppure all'inizio, e avevi ra­
gione ugualmente. Mi pare che il segreto stia nel fatto che sia tu che io
non ce la vorremmo affatto, eppure se non vogliamo offrire agli "scienziati"
una verga con cui possano fustigarci dovremo in qualche modo sopportar­
la. Ora tutto è sistemato e sembra proprio una passeggiata nei boschi. Al­
l'inizio c'è l'oscuro intrico degli autori (che non arrivano a vedere gli
alberi) privo di qualunque spiraglio e pieno di cammini senza sbocco. Poi
si apre un sentiero nascosto per· il quale guido il lettore - la mia raccolta
di sogni con le loro stranezze, i particolari, le indiscrezioni e i brutti scher­
zi - ed infine, improvvisamente, le cime, il panorama e la domanda: dove
L'interpretazione dei sogni (1895-1899) 431

ti piacerebbe andare da qui?» E per la prima volta Freud parve piuttosto


soddisfatto del libro.
Stavolta il suo giudizio non cambiò. Dopo averlo mandato agli editori
Freud senti fortemente il distacco da quella che era stata una parte tanto
intima di se stesso, e anche questo sembrò addolcire il suo giudizio sul
libro. Sei mesi dopo scrisse che in molte ore infelici il pensiero di la­
sciare dietro di sé questo libro era stato per lui una consolazione (23
marzo 1900).
L'altro capitolo che lo afflisse tanto fu quello, formidabile, di chiusura,
che riguardava la psicologia dei ·processi onirici e che considereremo un
po' più dettagliatamente nel prossimo capitolo. :e il più difficile ed il più
astruso degli scritti di Freud. Egli stesso lo temeva in anticipo, ma quando
fu il momento lo scrisse di getto «come in sogno»22 e lo portò a termine
in un paio di settimane nella prima metà di settembre. In un secondo
momento espresse vivamente i suoi timori per ciò che gli psicologi avreb­
bero potuto dirne e naturalmente ne fece la sua solita critica denigratoria.
Le stesse osservazioni valevano anche per il modo di scrivere. Riferen­
dosi per esempio alle descrizioni dei sogni Freud disse: «Quello che non
mi piace di esse è lo stile. Non riuscivo assolutamente a trovare espressio­
ni semplici o belle e finivo col cadere in umoristiche circonlocuzioni, sfor­
zandomi di ottenere immagini pittoresche. Me ne rendo conto, ma la parte
di me che lo sa ed è capace di giudicare queste cose disgraziatamente non
produ~e nulla.» (ll settembre 1899).
L'ultimo manoscritto fu spedito verso quel periodo e una copia del libro
fu mandata a Fliess prima del 27 ottobre. Il volume usd in realtà il 4
novembre 1899, ma l'editore volle mettere sul frontespizio la data del
1900.
Il motto del frontespizio «Flectere si nequeo Superos, Acheronta mo­
vebo», tratto dall' Eneide di Virgilio, faceva ovvio riferimento al destino
del rimosso ed era stato scelto tre anni prima da Freud come intestazione
del capitolo sulla formazione dei sintomi in un libro sulla psicologia del­
l'isterismo a suo tempo progettato.
Furono stampate seicento copie dell'opera e per venderle tutte furono
necessari otto anni. 123 copie furono vendute nelle prime sei settimane,
e 228 nei due anni seguenti. Freud ricevette 522,40 gulden di diritti (209
dollari).
Diciotto mesi dopo Freud disse che nessun periodico scientifico e solo
432 Vita e opere di Freud

pochi d'altro genere avevano fatto menzione del libro. 28 Esso venne sem­
plicemente ignorato. La «Zeit» di Vienna pubblicò una recensione quanto
mai stupida e dispregiativa scritta da Burckhardt, ex direttore del Burg­
theater, sei settimane dopo la comparsa del libro, e questo fece cessare le
vendite a Vienna. Brevi articoli apparvero sull'«Umschau» (3 marzo 1900)
e sul «Wiener Fremdenblatt» (lO marzo). Sei mesi dopo usd un articolo
favorevole sul «Berliner Tageblatt» e dopo nove mesi un altro meno favo­
revole su «Der Tag». Nient'altro. A Berlino neanche l'influenza di Fliess
riusd a procurare una recensione su un qualsiasi settimanale.
Come esempio dell'accoglienza che il libro ricevette a Vienna, Freud
raccontò che un assistente della Clinica Psichiatrica aveva scritto un libro
per smentire le teorie di Freud,24 senza nemmeno aver letto nnlerprela­
zione dei sogni: i colleghi della clinica gli avevano assicurato che non ne
valeva la pena.25 Quell'assistente era il professor Raimann ora defunto. Poco
tempo dopo Raimann tenne una conferenza sull'isterismo davanti a un pub­
blico di quattrocento studenti e concluse con queste parole: «Come vedete,
questi malati tendono a scaricare le loro menti. Un collega in questa città
ha sfruttato questa circostanza per costruire una teoria su questo semplice
fatto e potersi cosI riempire adeguatamente le tasche.»26
Il libro non venne tuttavia completamente ignorato nei periodici di psi­
cologia, sebbene le recensioni fossero altrettanto distruttive di quanto lo
sarebbe stato un silenzio completo. Lo psicologo Wilhelm Stern, ad esem­
pio, denunciò il pericolo che «menti prive di critica si sarebbero trovate
perfettamente a loro agio in un simile baloccarsi con le idee, e sarebbero
finite nel più completo misticismo e in un caotico arbitrio»,21 mentre il pro­
fessor Liepmann, pure di Berlino, si limitò ad osservare che «i pensieri
immaginosi di un artista avevano avuto la meglio sul ricercatore scien­
tificO».28
Nel 1927 il professor Hoche di Friburgo nel suo libro Das Millmende
l,h (L'Io sognante), in un capitolo sul «Misticismo onirico» continuò a
mescolare la teoria sui sogni di Freud con i sogni profetici e con «i ben
noti libri dei sogni, stampati su cartaccia, che si possono trovare nei cas­
setti delle cuoche».

Per alcuni anni l'Interpretazione dei sogni non si vendette affatto. Rara­
mente un libro importante come questo ha suscitato tanto poca eco. Fu
solo dieci anni dopo, quando i lavori di Freud cominciarono ad essere ri­
L'interpretazione dei sogni ( 1895- 1899) 433

conosciuti, che venne richiesta una seconda edizione. Finché Freud visse
ne furono stampate otto, l'ultima delle quali nel 1929. Non venne mai
apportata nessuna modi.fica fondamentale, né del resto ve n'era bisogno.
Le edizioni differivano esclusivamente perché contenevano un maggior nu­
mero di esempi illustrativi, qua e là discussioni più complete ed una più
adeguata trattazione dell'importante argomento del simbolismo, che Freud
ammise di avere dovutamente apprezzato solo in un secondo tempo.
Le prime traduzioni del libro furono quella inglese e quella russa, en­
trambe nel 1913. SeguI poi quella spagnola (1922), la francese (1926), la
svedese (1927), la giapponese (1930), l'ungherese (1934) e la ceca (1938).
Il IO febbraio 1900 Freud scrisse di aver promesso una versione con­
densata dell'Interpretazione dei sogni per la serie di Loewenfeld intitolata
Grenzfragen des Nerven- und Seelenlebens (<<Problemi marginali della vi­
ta nervosa e mentale»). Egli la cominciò in ottobre e deve averla scritta
con la sua solita rapidità, perché fu pubblicata nell'anno seguente, mentre
era impegnato a scrivere contemporaneamente due altre monografie. Non
sarebbe stata la sola volta che Freud avrebbe scritto una versione più di­
vulgativa della sua grande opera e ogni volta portò a termine questo com­
pito tutt'altro che facile con una straordinaria vivacità, cosicché anche quel­
li che conoscevano l'argomento leggevano la nuova versione con l'impres­
sione di leggere qualcosa per essi nuovo.
La prima traduzione di quest'opera minore fu di nuovo quella russa
(1909). Le altre sono, in ordine: l'olandese (1913), l'inglese (1914), l'un­
gherese (1915), l'italiana (1919), la danese (1920), la polacca (1923),
la spagnola (1924), la francese (1925) e la giapponese (1929).

In una lettera del 14 ottobre Freud raccontò a Fliess di avere una


nuova paziente, una ragazza di diciotto anni che era destinata a figurare,
cinque anni dopo, con il nome di «Dora» nella prima grande serie dei
casi clinici di Freud. 29
La cura durò solo undici settimane perché la paziente l'interruppe l'ul­
timo giorno dell'anno. Freud finl di scrivere la descrizione del caso il
24 gennaio del 1901, ma per motivi di discrezione professionale non lo
pubblicò fino all'aprile del 1905. 80 Due mesi dopo aver messo per iscritto
i suoi appunti su quel caso, Ii mostrò al suo amico Oscar Rie, ma l'acco­
?lienza fu tale che «da allora decisi di non fare altri sforzi per rompere
Il mio stato di isolamento».
434 Vita e opere di Freud

Freud disse a Fliess che quel caso sarebbe stato intitolato Sogni e isteri­
smo, e che era un Frammento di un'analisi di un caso d'isterismo. Questo
secondo fu il titolo prescelto, ma nella descrizione stessa del caso Freud
accennò alla sua precedente intenzione di intitolarlo nell'altro modo.
La paziente - racconta Freud - andò a trovarlo quindici mesi più tardi,
il l° aprile 1902, due settimane dopo aver letto sui giornali che gli ave­
vano conferito il titolo di professore. 31
Le testimonianze dell'epoca fissano perciò in modo sicuro la data del­
l'analisi. Tuttavia nel 191432 e più tardi nel 1923 33 Freud dette per tre
volte di seguito una data erronea, anticipandola di un anno. :e lecito sup­
porre che questo lapsus di memoria gli derivasse dal collegare nella sua
mente il saggio con l'Interpretazione dei sogni (che anche l'editore aveva
spostato di un anno) perché il saggio era coinciso esattamente con il ca­
pitolo dallo stesso titolo che Freud aveva avuto intenzione di inserire nel
libro. Dora era giunta in realtà uno o due anni dopo, perciò era stata
l' «onnipotenza del pensiero» ad anticiparne la comparsa. I rapporti tra so­
gni e sintomi psiconevrotici preoccupavano Freud per due ragioni, e nel si­
stemare il materiale derivante dalle due parti suddette erano sorte alcune
difficoltà. La prima ragione era la notevole analogia del meccanismo fon­
damentale dei due processi, come anche delle loro origini nell'infanzia:
analogia che a sua volta dava origine a ulteriori interessanti problemi, co­
me ad esempio le differenze esistenti tra loro.
In secondo luogo entrambi i processi fornivano importanti contributi
alla teoria generale della struttura psichica. Questo rendeva difficile sape­
re da quale punto di vista quest'ultima andasse descritta. La prima inten­
zione di Freud era stata quella di servirsi di entrambe le fonti dopo aver
incorporato nel libro sui sogni un capitolo sui rapporti tra sogni e sintomi
psiconevrotici. Poi, sia perché gli mancava il materiale adatto per questo
capitolo, sia perché giudicava scorretto mescolare due argomenti nello stesso
libro, Freud decise di escludere la psicopatologia e di limitarsi al materiale
onirico. :e perciò che il capitolo finale della Interpretazione dei sogni, cioè
quello che tratta la psicologia generale, è scritto da un solo punto di vista.
Non era un compromesso ideale, infatti in vari punti Freud dovette inter­
rompere l'argomento, perché proseguirlo avrebbe suscitato problemi suscet­
tibili di essere risolti solo facendo uso del materiale psicopatologico.
Perciò, come si vede, l'analisi di Dora è veramente una continuazione
dell'Interpretazione dei sogni. Essa s'impernia su due sogni principali che
L'interpretazione dei sogni (J 895- J 899) 435

vengono estesamente analizzati, in un modo che illustra bene l'interdipen­


denza tra loro ed i disturbi della paziente. Il saggio è particolarmente
istruttivo dal punto di vista tecnico, sia per quanto riguarda ii procedi­
mento analitico vero e proprio, che il trattamento terapeutico del caso.
Sotto questo secondo aspetto Freud ammise di aver commesso alcuni errori,
specialmente per non essersi occupato a tempo debito dei fenomeni di trans­
fert, errori che espose in seguito con la sua solita franchezza.
Il confronto o meglio la contrapposizione tra i primi casi clinici di
Freud negli Studi sull'isterismo del 1895 e questa bella piccola monografia
composta sei anni dopo, è molto istruttivo. A quel tempo Freud commentò
che era quanto di più fine avesse scritto fino allora, e «che avrebbe destato
più scalpore del solito. Eppure si fa il proprio dovere e dopo tutto non
si scrive solo per il momento presente».34
L'incertezza quasi goffa del primo e la sicura penetrazione del secondo
potrebbero davvero indurre a credere che i due lavori provenissero da due
uomini diversi. .
Ed infatti era così, perché non solo nel tempo, ma nella natura del­
l'uomo li separava l'autoanalisi.
Note

1. lì interessante notare che questi furono gli UniCI libri che Freud tenne
sistematicamente «aggiornati» nelle varie edizioni.
2. G. W., X. 60.
3. lbid., XIV, 20.
4. M., 30 giugno 1882.
5. Ibid., 19 luglio 1883.
6. Ibid., 29 marzo 1884.
7. Città fortemente associata a Martha.
8. M., II novembre 1884.
9. Ibid., 13 gennaio 1886.

lO. G. W., II-III. 95. 139, 236; VI, 194.

11. W. Griesinger, Pathologie und T heraPie der psychischen Krankheiten, III


ed., 1871, p. 111.
12. n sogno incluso nella Interpretazione dei sogni era quello di un pigro
studente di medicina che, per risparmiarsi il fastidio di alzarsi dal letto, so­
gnava di essere già al lavoro all'ospedale.
13. Anf., p. 105.
14. G.W.• X. 57. 58.
15. Anf.• pp. 419-426.
16. Nella prefazione alla seconda edizione dell'Interpretazione dei sogni,
scritta nel 1908. Freud scrisse che dopo aver finito il libro si era accorto che
esso era stato una reazione alla morte del padre (ottobre 1896).
17. Parafrasi da Nietzsche.
18. G.W., II-III, 437, 440, 518.
19. Avvenuta effettivamente nel 1855.
20. Freud trasse questo concetto dall'opera di Liébault Du sommeil provo­
qllé (G.W., p. 576 n.). Poiché quasi certamente egli lesse questo libro subito
dopo la sua comparsa (cioè nel 1889. anno della visita di Freud a Liébault),
è strano che egli lo avesse annunciato a Fliess in quella maniera e cosi tardi.
Però ci sono molti esempi di concetti da lui dimenticati e poi riconquistati.
21. ]osef Popper-Lynkeus und die Theorie des Traumes, G. W., XIII. 359;
Meine Beruhrung mit ]osef Popper-Lynkeus. G. W •• XVI, 261; F. Wittels,
Note 437

Frelld's Correlation with fosef Popper-Lynkeus, «The Psychological Review»,


ottobre 1947.
22. Lettera del 20 giugno 1898. Ernst Freud ricorda che suo padre era solito
arrivare a tavola, dal pergolato dove scriveva, «come un sonnambulo» e dando
!'impressione di «stare sognando».
23. Anf., p. 346.
24. Raimann, Die hysterische Geistesstorung, Vienna 1904.
25. Auto., p. 88; G. W., X, 61.
26. Comunicazione del dott Ludwig ]ekels.
27. «Zeitschrift fiir Psychologie und Psychologie der Sinnesorgane)), XXVI
(1901), 133.
28. «Monatsschrift fiiI Psychiatrie und Neurologie), 1901, p. 237.
29. Era la sorella di un altro leader socialista, di cui non riesco però a
ricordare il nome.
30. L'8 maggio 1901 Freud espresse la sua esitazione a pubblicarlo, ma il
7 giugno lo spedl a Ziehen, uno degli editori del «Monatsschrift fiiI Psychia­
trie und Neurologie) dove il caso comparve (corrispondenza inedita di Fliess.
9 giugno 1901). Subito dopo però Freud cambiò nuovamente idea; e recuperò
il manoscritto, che tenne nel cassetto per altri quattro anni.
31. G. W., V. 284, 286.
32. lbid., X, 48.
33. lbid., V, 171.
34. Anf., p. 349.
XVII. La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (1900)

La teoria psicologica che Freud si era forgiata verso la fine del secolo
conteneva alcuni elementi ai quali egli sarebbe rimasto poi fedele per tutta
la vita. Altri invece furono da lui modificati o aggiunti, ed altri ancora
rappresentarono ormai la trasformazione di idee sostenute in periodi pre­
cedenti.
La data del 1900 è la più adatta al nostro scopo, perché l'esposizione
più completa che Freud dette delle sue idee in questo campo è contenuta
nel notissimo settimo capitolo dell'Interpretazione dei sogni, appunto del
1900. La maggior parte degli studiosi hanno giudicato questo capitolo come
la parte più astrusa e difficile di tutti gli scritti di Freud, che abitualmente
sono invece chiarissimi. Fortunatamente però oggi disponiamo, nei docu­
menti inclusi nella corrispondenza con Fliess, di materiale adatto a gettar luce
sulla genesi delle successive idee. La spiegazione del significato ch~ queste
ultime ebbero nella mente di Freud ne viene quindi facilitata.
Spetterà ai filosofi stabilire, secondo il loro modo di pensare, quale eti­
chetta applicare alle concezioni basilari di Freud. Noi ci limitiamo a tentare
di descriverne alcune.

Libero arbitrio e determiniJmo

Freud aveva tratto dalle sue prime esperienze scientifiche una profonda
fede nell'universalità delle leggi naturali ed un profondo scetticismo nei
miracoli e negli atti spontanei o indeterminati. La ricerca scientifica sarebbe
ovviamente insulsa se l'ordine che essa si propone di scoprire non esistesse.
Freud avrebbe certamente sottoscritto le parole conclusive del discorso che
il suo maestro Meynert tenne alla 54a Versammlung Deutscher Naturfor­
La teoria di Freud sulla struttura della vita psiehica (19 00 ) 439

scher und Aerzte, dal titolo «Legittimità del pensiero e del comportamento
umani»: «In via generale sarei tentato di dire che, per quanto è dato
conoscere dalla storia, tutte le filosofie, tutte le ammissioni dell'umana sag­
gezza hanno in ~ondo condotto a due sole co~clusio~i, che s~?o quelle per
cui la visione di coloro che hanno sfruttato 11 pensiero dell mtero genere
umano differisce dalla visione dell'uomo qualunque. La prima è che nel
mondo ogni cosa è solo apparenza, e l'apparenza non è identica all'essenza
delle cose;1 la seconda è che anche la libertà che sentiamo in noi stessi è
solo apparente.»2
Meynert spiegava l'illusorietà del libero arbitrio con il fatto che non ci
è ancora possibile seguire i processi normali della vita del cervello nei
loro minimi particolari. L'apparente libertà si basa comunque effettivamente
su una legge, quindi sulla necessità.
Herbart, al quale risalgono in ultima analisi molte delle idee di Meynert
e di Freud, si era già levato, nel 1824, contro «questa falsa dottrina di
un libero arbitrio, che è spuntata fuori negli ultimi anni»3 - alludendo
al suo maestro Fichte, la cui filosofia idealistica cionondimeno egli sentiva
profondamente.
Affrontando questo punto nei suoi scritti, nel 1904 Freud dette la ra­
gione della nostra incrollabile convinzione della libertà di scelta. Egli notò
che essa è di gran lunga maggiore per le decisioni futili che per quelle
importanti. In questo secondo caso noi sentiamo di solito che la nostra
natura profonda ci spinge, e che non abbiamo effettivamente alcuna alter­
nativa. Nel primo caso invece, come per esempio nella scelta arbitraria di
un numero, non riusciamo a scorgere alcun motivo e quindi non abbiamo
nessuna sensazione che essa realizzi un atto non determinato dal nostro lo.
Se però sottoponiamo questa scelta alla psicoanalisi scopriamo che malgrado
tutto essa è stata determinata, ma che nel suo caso il motivo è di ordine
inconscio. Perciò noi lasciamo che la cosa sia decisa dal nostro inconscio,
per rivendicare il credito del suo risultato. Se si considera la motivazione
inconscia, dunque, la regola del determinismo rimane genericamente valida.·
Freud non dubitò mai di questo suo atteggiamento, e tutta la sua ricerca
sulle attività della mente umana si basa in modo assoluto sulla fede nella
regolare concatenazione degli eventi psichici. Egli avrebbe voluto sottoscri­
vere l'opinione del grande antropologo Tylor, per il quale «la storia del
genere umano fa parte della storia della natura, e i nostri pensieri, la
nostra volontà e le nostre azioni sono regolati da leggi altrettanto precise
44° Vita e opere di Freud

di quelle che determinano il moto delle onde». Nel 1924, nell'elencare gli
elementi essenziali della teoria psicoanalitica, Freud incluse «il profondo
significato ed il determinismo dei fenomeni psichici apparentemente più
oscuri ed arbitrari».11 Pare che egli non abbia mai espresso alcuna opinione
sulla teoria generale della causalità, ma probabilmente condivise la sem­
plice teoria del diciannovesimo secolo, quella degli antecedenti invariabili.

Psiçhe e materia

In questo campo si potrebbe far rientrare Freud nella categoria qella filo­
sofia idealistica, di quella materialistica o magari fenomenologica 8 perché
per ciascuno dei vari periodi della sua vita è possibile trovare qualche suo
brano che giustifichi l'una o l'altra definizione. Egli non mostrò mai la
minima simpatia per il realismo scolastico né per il solipsismo.
Nei suoi primi anni d'università, Freud aveva attraversato una fase di
materialismo radicale 7 che tuttavia non andò oltre il tempo in cui egli
seguiva le lezioni di Brentano e di Meynert. ~ comunque improbabile che
anche nel periodo di maggior estremismo egli abbia accettato il detto di
Cabanis, che il cervello secerne il pensiero cos1 come il fegato la bile!
Successivamente egli assunse un generico atteggiamento di empirismo scien­
tifico. La mente" è evidentemente l'unica sorgente di informazione circa il
mondo esterno, ivi compreso lo stesso corpo, ma questo non significa che essa
debba occupare nell'universo una posizione di primato, né significa che i
dati percettivi riguardanti il mondo esterno debbano avere uno stretto rap­
porto con la natura essenziale del corpo. Quanto al mondo fisico in sé,
Meynert, come la maggior parte degli scienziati dell' epoca, aveva sostituito
il kantiano Ding an siçh con la nozione di «Forza», e Freud deve certa­
mente aver pensato che quest'ultima, insieme alla teoria atomica, permet­
teva meglio d'ogni altra di coordinare i dati della chimica e della fisica.
La stupefacente formula E = mc 2 , con la quale Einstein unificò materia
ed energia, fu resa nota cinque anni dopo la data alla quale facciamo rife­
rimento. Freud credeva pure che l'ulteriore conoscenza di queste leggi
avrebbe reso possibile la loro applicazione al regno degli organismi viventi.
In tutto ciò egli fu figlio del suo tempo, e non c'è ragione di pensare che
si sia abbandonato a speculazioni personali che fuoruscissero da quelle pre­
valenti nel suo ambiente. Egli non fu mai attratto da ciò che era apparen­
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00 ) 44 1

temente inconoscibile, ed il suo interesse si destò solo quando poté scor­


gere qualche appiglio che gli offrisse la possibilità di allargare le precedenti
conoscenze. L'agnosticismo fu uno stato mentale che provò spesso.

PJiche e cervello

Qui il campo è più ristretto e c'è molto da dire. Il primo giudizio lo


troviamo nel libro sull'afasia (1891), dove Freud si proclamò seguace
della dottrina del parallelismo psicofisico: «La catena dei processi fisiolo­
gici nel sistema nervoso non è probabilmente legata da nessu~ rapporto
causale con i processi psichici. I processi fisiologici non cessano dove co­
minciano quelli psichici: la catena fisiologica continua, ma da un certo
punto in avanti ad ogni suo anello corrisponde un fenomeno psichico. In
tal modo il processo psichico è parallelo a quello fisiologico ("una con­
comitante dipendente").»8 Freud citava poi il seguente passo di Hughlings
]ackson: «In tutte le nostre ricerche sulle malattie del sistema nervoso
dobbiamo stare in guardia contro l'errore di pensare che gli stati fisici dei
centri inferiori finiscano nei centri superiori in altrettanti stati psichici: cosl,
per esempio, che le vibrazioni dei nervi sensitivi diventino sensazioni, op­
pure che un'idea, in un modo o nell'al~ro, possa produrre un movimento.»\1
In questo campo Freud mantenne per tutta la vita due opinioni. La prima
era che non esistono prove dell' esistenza di processi psichici distinti dai
processi fisiologici, cioè che la mente possa esistere indipendentemente dal
cervello.
Non solo, ma dato che Freud non credette mai nell'immortalità dell'ani­
ma - o nella sua esistenza - lo stesso si può dire, oltre che di questo mondo,
anche dell'al di là. L'altra idea era che i processi fisici devono precedere
quelli psichici: l'informazione che raggiunge la mente, sia che provenga
dal mondo esterno attraverso gli organi di senso, sia che provenga dal
corpo stesso attraverso gli stimoli chimici che esso produce, nasce necessa­
riameQ,te sotto forma di eccitazione fisica. Entrambe queste opinioni di Freud
tradivano dunque una certa supremazia dei processi fisiologici.
La sua esperienza gli aveva insegnato che i processi psichici più com­
piessi possono svolgersi al di fuori della coscienza, ed egli si riferiva abi­
tualmente a tali fenomeni come a «processi psichici inconsci». La citazione
seguente, che fa seguito ad un passo concernente lo spostamento degli af­
fetti, mostra quanto in questo campo Freud fosse lontano dal dogmatismo:
442 Vita e opere di Freud

«Sarebbe forse più corretto dire che questi processi non sono di natura
esclusivamente psichica, ma che sono piuttosto processi fisici le cui con­
seguenze psichiche vengono rappresentate come se l'espressione "distacco
dell'idea dalla sua carica affettiva e falsa connessione di quest'ultima" si
fosse realmente attuata.»10
Freud sosteneva non solo che la psiche e la materia sono sconosciute
nella loro natura essenziale, ma che esse sono intrinsecamente diverse, per
cui il tradurre una descrizione dei processi dell'una nei termini propri del­
l'altra costituisce un errore di logica. Del resto mancava ogni appiglio
atto a chiarire il diretto rapporto esistente tra loro. Il modo in cui un' ec­
citazione della retina era seguita da una percezione di luce o di forma era
un mistero indecifrabile. Naturalmente, come tutti i medici e come molta
altra gente, Freud soleva spesso usare un linguaggio libero, che non con­
cordava con ciò che abbiamo or ora affermato: cosI, per esempio, modifi­
cazioni somatiche, sessuali, producevano l'ansia, oppure un'emozione pro­
duceva la paralisi di un arto. :2 chiaro tuttavia che si tratta di espressioni
abbreviate, che non vanno prese alla lettera. Anche la medicina psicosoma­
tica, per esempio, ne è piena.
Specialmente nei primi tempi, ma forse in certa misura anche in seguito,
Freud riteneva che la correlazione dei processi mentali con quelli fisiologici
suggerisse una certa analogia dei loro rispettivi modi di comportarsi. Come
ora vedremo egli accarezzò per un certo tempo la speranza che, applicando
ai processi psichici concetti fisici e fisiologici còme quelli di energia, ten­
sione, scarica, eccitazione, eccetera, sarebbe stato possibile arrivare a com­
prenderli meglio. Fece perfino un tentativo coraggioso, anche se disperato,
di mettere in pratica quest'idea, e nel 1895 scrisse un trattatellol l espo­
nendo dettagliatamente il frutto delle sue fatiche. L'opera non fu mai
pubblicata, ed il modo con cui Freud mostrò di considerarla poco tempo
dopo indica come egli stesso avesse ric~nosciuto che si trattava di uno
sforzo prematuro, se non addirittura vano. Da allora in poi decise di seguire
l'esempio dato da Breuer nel suo capitolo degli Studi sull'isterismo: dato
che le idee rappresentano qualcosa di familiare, mentre l'eccitazione cor­
ticale è solo un postulato (per cui tradurre le prime in termini propri della
seconda è solo una «inutile mascherata»), bisogna ammettere che «i processi
psichici vanno trattati col linguaggio psicologico».12
A propriamente dire anche il linguaggio fisiologico nel quale Freud tentò
di tradurre i fenomeni psicologici era in fondo un linguaggio fisico ap­
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00) 443

plicato ai dati della fisiologia. Briicke e gli altri della scuola ~i Helmholtz
avevano identificato, con alterno successo, lo scopo della loro vita nel tenta­
tivo di descrivere quei dati in termini chimici e fisici, e di applicare per
quanto possibile alla fisiologia le leggi della chimica e della fisica. C'era la
speranza, fatta balenare da Herbart verso il 1820 e poi strenuamente soste­
nuta da Fechner, che lo stesso processo potesse essere esteso al campo della
psicologia, e Freud· stesso deve averla certamente nutrita nei primi tempi.
Nei cinquant'anni che seguirono questa speranza sembrò restare del
tutto sopita, ma essa è infine rinata sotto l'impulso del nuovo lavoro in­
trapreso nel campo della cosiddetta cibernetica. 13 Sarebbe interessante ten­
tare di stabilire un parallelismo tra i primi tentativi di Freud e le mo­
derne vedute.

Fisica, fisiologia e psicologia


Sappiamo già che la meta principale di Freud - certamente agli inizi della
sua attività produttiva ma forse per tutta la vita - fu quella di formulare
una base teorica per le nuove scoperte che egli stesso veniva facendo in
psicopatologia, e di poter cos1 gettare le basi di una teoria psicologica che
tenesse conto dei particolari caratteri dell' inconscio. Il risultato di questi
sforzi si chiama psicoanalisi. :e quindi giusto chiedersi su quale base Freud
dovette lavorare, al di fuori delle osservazioni cliniche.
Egli scrisse una volta che «la psicoanalisi è cresciuta su una base molto
ristretta»,14 base che oggi è possibile definire con la massima precisione.
La sua parte più ovvia è quella psicopatologica: Freud aveva una buona
conoscenza delle teorie e della letteratura contemporanee, e del resto questo
campo era cos1 ristretto che è facile passarlo in rivista. .
In Germania c'erano pochi autori, come Moebius, Loewenfeld e Hei­
denhain, dai quali del resto Freud può aver preso ben poco. Le uniche
importanti fonti d'impulso erano, nell'ordine, Breuer, Charcot e Bernheim,
il cui influsso è già stato ampiamente esaminato. 15 Le scuole francesi erano
indubbiamente più progredite rispetto a quelle tedesche contemporanee, in
quanto consideravano più volentieri e a buon diritto la psicopatologia come
una branca della psicologia. I Tedeschi, più conservatori, restavano invece
fedeli al linguaggio dell'anatomia cerebrale. Nella prefazione di una delle
opere di Charcot, da lui tradotte, Freud aveva già fatto notare questa diffe­
renza, osservando: «La tendenza a fornire un'interpretazione fisiologica degli
444 Vita e opere di Freud

stati morbosi e dei rapporti tra i singoli sintomi è un aspetto che può essere
spiegato in base allo sviluppo- storico della medicina clinica tedesca. Le os­
servazioni cliniche dei francesi raggiungono senza dubbio una maggiore in­
dipendenza per il fatto che relegan9 i punti di vista fisiologici ad un ruolo
di secondo piano. Questo può spiegare perché la medicina clinica francese
faccia ai non iniziati una strana impressione; ebbene, questo non è frutto
di negligènza, bensl una esclusione deliberata, mossa da fini pratici.»18
Il contatto di Freud con la Francia, sia diretto che attraverso le letture,
deve avergli facilitato l'emancipazione dalla neurologia, anche se passò pa­
recchio tempo prima che egli ne approfittasse, evidentemente per la rilut­
tanza ad abbandonare quella che sentiva come una base «scientifica» e
sicura.
Viceversa le sue conoscenZe in materia di psicologia contemporanea erano
scarse, e sembra che tutto quello che sapeva l'avesse appreso solo per
sentito dire. Egli ammise spesso la sua ignoranza in proposito, però anche
quando, in un secondo momento, cercò di porvi rimedio, non trovò niente
di utile ai suoi fini, tranne forse due eccezioni. Gli scritti di Lipps17 lo
incoraggiarono ad intraprendere lo studio dei motti di spirito e dell'umo­
rismo, che già avevano attratto la sua attenzione. Sia Lipps che ]erusalem,18
che Freud mostrò di apprezzare molto, sostenevano· decisamente la conce­
zione dei processi psichici inconsci, anche se non nel senso dinamico di
Freud.
Questa è una delle ragioni per cui gli psicologi, non solo allora ma
anche in seguito, hanno trovato buona parte della terminologia freudiana
estranea alla loro. Non avendo ricevuto alcuna educazione nelle discipline
psicologiche, è ovvio che Freud dovesse essere trascurato ed inesatto nel­
l'impiego dei termini, usando ad esempio la parola «percezione» come
equivalente di «idea», ecc. Egli fece a tempo a forgiarsi una terminologia
propria, servendosi largamente dell'artificio di prelevare concetti da altre
branche della scienza e di dargli un significato nuovo, appropriato al loro
attuale contesto. Anche questo rese difficile, per gli psicologi professionisti,
l'assimilazione del suo pensiero.
Sebbene Freud non avesse avuto occasione di approfondire le sue cono­
scenze di chimica e di fisica, i concetti basilari di queste due scienze gli
erano indubbiamente familiari, giacché si trattava proprio delle due branche
che i suoi maestri stavano entusiasticamente cercando di introdurre nel
campo della biologia, della fisiologia generale ed in particolare della neu­
La teoria di Freud sitUa struttura della vita psichica (1900) 44S

rologia. :e quindi importante esaminare i rapporti che esse avevano con il


suo campo di lavoro. La sua prima formazione in questi principi Freud
l'aveva ricevuta nei sei anni di lavoro presso l'Istituto di Fisiologia, dal
grande Briicke e dai suoi colleghi. Era Meynert, però, alle lezioni del quale
Freud assisteva con tanto interesse, che stava cercando di applicarli alla
neurologia e alla psicologia ed è quindi a lui che dobbiamo rivolgere in
modo particolare la nostra attenzione.
Si è molto indagato per ricostruire la genealogia delle idee basilari che
Freud adottò nella sua psicologia. Il più accurato è un volumetto di Maria
Dorer, di Darmstadt, guastato purtroppo dall' eccessiva pretesa di affermare
una particolare tesi. 19 Ecco alcune delle sue conclusioni. :e stata una psi­
cologa polacca, Luise von Karpinska, a richiamare per prima l'attenzione
sulla analogia tra alcune fondamentali idee di Freud e quelle affermate
settant'anni prima di Herbart. 20 Ne abbiamo già ricordato un esempio
parlando del libero arbitrio, ma quella che Karpinska sviluppa in modo
particolare è la concezione herbartiana dell'inconscio, l'unica a carattere
dinamico prima di quella di Freud. Secondo quella teoria i processi psi­
chici inconsci sono dominati da uno stato di continuo conflitto, che Herbart
descrive nei termini di idee di intensità variabile - nozione che Freud
sostituirà poi con quella dei conflitti affettivi. Per Herbart le idee sono
sempre precedenti agli affetti, come nella successiva teoria di ]ames-Lange.
Il conflitto descritto da Herbart è in parte intrapsichico, ma avviene soprat­
tutto tra le idee di una persona e quelle di un' altra. Queste ultime sono
elaborate come elementi disturbanti o aggressivi che risvegliano da parte
del soggetto sforzi «autoconservativi». La vita psichica è quindi profonda­
mente dualistica, cos1 come Freud la concepl sempre. Herbart definisce
verdrtingl un'idea quando questa è incapace di raggiungere la coscienza
a causa di qualche idea contraria oppure per esserne stata spinta fuori da
qualche altra idea. Egli immagina nella mente due soglie distinte, che cor­
rispondono topograficamente alla posizione delle due censure di Freud.
La prima, o «soglia statica», consiste nel fatto che un'idea inibita viene
privata della sua attività e non può quindi entrare nella coscienza finché
l'inibizione non cessa. Questo processo è perciò simile a quello di' un'idea
«soppressa» nel preconscio. La seconda soglia, o «soglia meccanica», consiste
nel fatto che le idee completamente rimosse sono ancora in stato di rivolta
contro l~ idee coscienti, e riescono quindi a produrre effetti indiretti, come
per esempio «sentimenti immotivati di oppressione» (Beklemmllng).21 «La
Vita e opere di Freud

scienza ne sa più di quanto l'individuo provi effettivamente (nel campo


della coscienza). Infatti è inconcepibile considerare ciò che si prova pre­
scindendo da ciò che vi si nasconde dietro. Partendo da ciò che si prova
bisogna riuscire ad individuare le tracce di ciò che si sta agitando e muo­
vendo "dietro il sipario"!»
Tutto ciò è già molto interessante, ma c'è dell'altro. Gli individui diffe­
riscono per il modo in cui il loro corpo reagisce agli affetti, e Herbart
chiama questa proprietà «risonanza fisiologica» (la compiacenza somatica
di Freud). Questo determina una «condensazione degli affetti nel sistema
nervoso». I processi psichici sono caratterizzati da una «tendenza all'equi­
librio» (il principio di costanza di Freud).22 Le «idee» sono indistruttibili
e non periscono mai. Esse non esistono isolatamente, ma solo in successioni
talmente intrecciate le une con le altre da formare altrettante reti. Gli
affetti si originano quando l'equilibrio viene turbato dall' eccessiva quantità
di intensità presente nelle idee. La coscienza di sé (1'10) si origina quando
le idee attive vengono inibite (frustrate ?).
La tesi principale di Herbart era che i processi psichici fossero suscettibili
di essere riassunti sotto fonna di leggi scientifiche: «L'ordine regolare della
mente umana è in tutto simile a quello del cielo stellato.»u I processi
devono quindi essere misurabili in termini di forza e di quantità. Herbart
vagheggiava una «psicologia matematica» e ne tratteggiò uno schema. Al­
cuni anni dopo sembrò che Fechner avesse compiuto un notevole passo
avanti in quella direzione, generalizzando la legge di Weber e affermando
quindi che la forza delle nostre sensazioni aumenta proporzionalmente al
logaritmo della forza dello stimolo che lo provoca. 24 Forse sarebbe possibile
far risalire queste speranze all'uso che Spinoza fece della geometria nella sua
Etica. Esse trascurano però la classica osservazione di Pascal, che «il cuore
ha ragioni che la ragione non conosce».
~ poco probabile che Freud, che non era molto dedito alle letture psi­
cologiche, conoscesse a quell'epoca le minuziose critiche mosse da William
James al lavoro di Fechner, le quali si concludevano con le seguenti espres­
sioni demolitrici: «Il libro di Fechner è il primo di un nuovo genere di
letteratura la cui portata psicologica, nella modesta opinione del sotto­
scritto, è assolutamente nulta.»26 «Sarebbe terribile che perfino un caro
vecchio come l'autore potesse imporre alla nostra scienza i suoi pazienti
arzigogoli, e, in un mondo tanto pieno di oggetti d'attenzione più consi­
stenti, costringesse tutti i futuri studiosi ad avanzare in mezzo alle diffi.­
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00) 447

coltà non solo della sua opera, ma anche di quelle ancora più aride, che
saranno scritte per confutare la sua. Coloro che amano questa orribile let­
teratura sono serviti; essa ha un valore "disciplinare", ma io non la citerò
mai nemmeno in una nota.»26
Eppure Herbart sosteneva che la psicologia aveva la precedenza sulla
fisiologia, e che lasciare che fosse dominata dal pensiero fisiologico signi­
ficava invertire il normale rapporto, «errore frequentemente commesso sia
nei tempi andati che in quelli più recenti».
Nozioni simili a ,quelle ore esposte possono aver filtrato da molte parti
fino a Freud, ma gli echi del passato or ora ricordati rivestono un certo
interesse. ~ poco probabile, anche se possibile, che Freud abbia mai avuto
occasione di fare uno studio degli scritti di Herbart. 21 Non sappiamo nep­
pure se li conoscesse Meynert, però le opere pubblicate da quest'ultimo
mostrano con certezza che la psicologia herbartiana gli era abbastanza fami­
liare, e che la sua personale, più che basarsi su quella, ne era un amplia­
mento e una modificazione. Meynert deve comunque averla appresa attra­
verso la completa esposizione fattane da Griesinger, che egli apprezzava
molto e che forse anche Freud lesse.
Quando questo capitolo era già finito il dr. Bernfeld e sua moglie, ai
quali dovevo già tanto, mi comunicarono un fatto di grande interesse:
quando Freud frequentava l'ultimo anno del Gymnasiwn era in uso il
libro di Gustaf Adolf Lindner Lehrbuch det' emPirischen Psychologie nach
genetischer Methode (<<Trattato di psicologia empirica secondo il metodo
genetico», 1858). L'autore, che aveva avuto per maestro Franz Exner,
padre di quell'Exne! che istrul Freud nell'istituto di Briicke, stabiliva
categoricamente nella prefazione che sarebbero stati presi in considerazione
solo i pensatori della scuola di Herbart, ed infatti il libro può essere con­
siderato un compendio di psicologia herbartiana. Tra gli altri, esso contiene
il passo seguente: «Un risultato della fusione di varie idee dimostra che
idee precedentemente coscienti, che siano state rimosse (verdran gt) dalla
coscienza per una qualsiasi ragione, non sono perdute, ma possono tornare
in determinate circostanze.»28 Segue quindi una dettagliata esposizione dei
conflitti tra idee più forti e più deboli, secondo la linea herbartiana ortodossa.
La psicologia di Fechner è interamente costruita su quella di Herbart.
Fechner condivideva pienamente i prindpi fondamentali di Herbart (ec­
cetto quelli metafisici) e ne aveva rafforzato la teoria mediante l'applica­
zione agli organismi viv~nti del principio della conservazione dell'energia,
Vita e opere di Freud

da poco scoperto. Egli era perfino andato oltre, affermando che i fenomeni
di piacere-dolore potevano essere concepiti pure su un piano quantitativo,
e non semplicemente qualitativo. La parola «soglia» figura in tutti gli
scritti di Fechner, il quale sosteneva che quando certi processi fisiologici
raggiungono una data intensità vengono seguiti da altrettanti fenomeni di
coscienza. Circa la questione se i processi inconsci fossero psichici, egli non
si pronunciava, pur essendo convinto della loro importanza. «Ciò che è al
di sotto della soglia porla la coscienza, perché realizza la connessione fisica
intermedia.»29 Fechner paragonava la mente ad un iceberg il quale, som­
merso per nove decimi, è diretto nel suo cammino non solo dal vento che
soffia alla superficie, ma anche dalle correnti marine profonde.
Fecbner esercitò una notevole influenza su Briicke, il quale sosteneva che
«i movimenti del sistema nervoso danno origine alle idee», su Meynert,
di cui ci occuperemo fra poco, e su Breuer, che lo ravvicinava a Goethe.
Anche Freud, che ne aveva studiato gli scritti di prima mano, parlava di
lui con ammirazione, e scrisse: «Sono stato sempre sensibile alle idee di
G. T. Fechner e ho seguito il suo pensiero in molti importanti problemi.»30
Per Meynert psiche e cervello erano tanto strettamente uniti che se ne
poteva parlare come di una cosa sola, riferendosi magari indifferentemente
all'una o all'altro: la «meccanica del cervello» era una delle sue espres­
sioni preferite. Sebbene egli risentisse molto delle idee di Kant e di Scho­
penhauer - aveva una cultura filosofica molto vasta - la sua psicologia si
fondava essenzialmente su quella «associazionistica» di Herbart e Fechner.
Tutti e tre avevano ripudiato la «psicologia delle facoltà» che aveva avuto
tanti seguaci in Inghilterra nella prima parte del diciannovesimo secolo.
Una caratteristica importante della psicologia di Meynert era la sua
teoria della «proiezione», nella quale aveva introdotto varie analogie tratte
dall'ottica (camera oscura, ecc.), come in seguito avrebbe fatto anche Freud.
Con il termine «proiezione» Meynert intendeva la raccolta delle impressioni
a partire dalle loro varie fonti, il loro arrivo nelle cellule della corteccia
cerebrale e quindi la loro «proiezione nella coscienza». 31 Si ricorderà che
Freud nel suo libro sull'afasia aveva già fatto notare gli errori dello
schema anatomico immaginato da Meynert per questo processo. 82 La fun­
zione principale delle cellule cerebrali, secondo Meynert, è quella di sta­
bilire associazioni, ma esse ·10 fanno in un modo particolare. Poiché il
cuore non può regolare con sufficiente efficienza il flusso sanguigno nei vasi
più piccoli, le cellule nervose suppliscono a questa necessità, inviando ai
La teoria di Freud sulla struttura della vita psiehiea (19 00) 449

vasi messaggi che ne determinano l'opportuna costrizione o dilatazione. Da


tale Busso sanguigno dipende a sua volta la nutrizione e quindi l'attività
delle cellule stesse. Quando esse sono spinte ad allargare le loro associazioni
devono prima procacciarsi il proprio nutrimento nel modo suddescritto. aa
Dal grado di nutrizione delle cellule dipende la forza delle idee da loro
prodotte e - particolare interessante - la possibilità che esse superino la
soglia della coscienza: quando sono forti riescono a farlo, altrimenti restano
al di sotto della soglia. 84 Tutto ciò ricorda la teoria nutritiva di Weir
Mitchell, basata sul presupposto che l'insufficienza «funzionale» delle cel­
lule nervose nell'isterismo sia dovuta alla loro deficiente nutrizione.
Sulla scia di Herbart, Meynert descriveva due direzioni di energia (o di
affettività) in termini di «attacco» e «difesa». Egli accettava il «principio
della sofferenza» e, anche stavolta come Freud, parlava di sommazione degli
stimoli. 35 Quest'ultima si riferiva però in primo luogo all'intensità delle
idee, mentre non si ammetteva che i loro effetti collaterali potessero stac­
carsi da esse, come Freud invece sosteneva.
Il cervello (e la mente) ricevono stimoli di doppia provenienza, cioè
sia dal mondo esterno che dal corpo, ed entrambi i tipi vengono trattati
allo stesso modo dalla psiche (come per Freud): ogni parte del corpo
quindi, eccettuate le cellule cerebrali stesse, appartiene al mondo esterno,
non all'Io.88
Secondo Meynert il processo fondamentale del cervello e della psiche
è un riBesso. L' «lo secondario» ha una funzione di controllo, e Meynert
usa i termini «inibire»87 e «respingere»88 invece del «reprimere»39 di
Herbart, anche se il significato è lo stesso. L'Io primario è inconscio ed ap­
partiene ai primi periodi della vita, ciò che ricorda l'affermazione di Freud,
che l'inconscio è infantile. A questo punto Meynert elabora la sua teoria
morale, nella quale la parte «buona», superiore, del cervello controlla la
parte «cattiva», inferiore, come abbiamo già precedentemente accennato. 40
Malgrado le idee materialistiche fin qui esposte, dal punto di vista filo­
sofico Meynert si considerava un idealista. Per lui la coscienza era solo la
realtà immediata: il mondo esterno ed il corpo stesso erano «stati di co­
scienza». «Tutto l'ordinamento scientifico dei fenomeni deriva dalla Welt­
anschauung atomistica. Infatti se dobbiamo immaginare la materia irrefu­
tabilmente costruita di atomi, la sua realtà svanisce, dato che, come sotto­
linea Mach nelle sue Vorlesungen uber Psychophysik, non possiamo attri­
buire agli atomi alcuna qualità sensoriale... Perciò il mondo atomistico

15 - I
450 Vita e opere di Freud

consiste di punti matematici, e forze che partono da esso e che possono


essere quantitativamente definite evocano altre forze nella nostra coscienza.»
Bisogna infine dire qualcosa delle idee di Griesinger, il famoso psichiatra
berlinese di cui Meynert conosceva perfettamente i lavori. Sebbene ponesse
1'accento soprattutto sugli aspetti volitivi della psiche, Griesinger era un
convinto seguace di Herbart. Naturalmente il suo punto di vista era più
nettamente medico, e perciò il rapporto tra le idee e le cellule cerebrali
era in primo piano: egli non esitava ad usare espressioni come <d'attività
cerebrale dell'ideazione», ecc. Griesinger accettava senza riserve il concetto
dell'attività inconscia, e sosteneva che le idee «assenti dalla coscienza» sono
più importanti di quelle che vi sono contenute, anche se per spiegare la
loro assenza non andava oltre vaghe espressioni come «chiarezza» e «forza».
Egli metteva in rapporto l'inconscio soprattutto con le impressioni prove­
nienti dagli organi somatici. Secondo lui questi contribuivano notevolmente
ai nostri stati d'animo e determinavano molte delle nostre simpatie e an­
tipatie. 42
Come tutti gli autori precedenti, Griesinger reagiva con orrore alla
possibilità di essere definito materialista, e respingeva in filosofia «il trito
e futile materialismo».43 Sebbene sia perfettamente giustificato considerare
la psiche soprattutto come «la somma di tutti gli stati del cervello», il modo
in cui i processi psichici si originano resta un enigma. «2 assolutamente
incomprensibile come un processo materiale, fisico, nelle fibre o nelle cel­
lule nervose possa diventare un'idea, un atto di coscienza.»44
Breuer, che aveva una cultura filosofica vasta e profonda e conosceva
la letteratura psicologica altrettanto bene di quella fisiologica e neurologica,
dovette rappresentare un importante anello della catena, dato che ebbe con
Freud rapporti più stretti di tutti gli altri personaggi ora passati in rivista.
Maria Dorer, che ha elaborato fin nei particolari i dati precedentemente
esposti, conclude con l'affermazione di due tesi. Secondo la prima la psi­
cologia di Freud è completamente materialistica e meccanici sta, e deve per­
ciò essere errata a causa della sua rinuncia al senso dei valori. Dorer
esclude che questo metodo sia passibile di ricerca obiettiva. La psicologia
freudiana era senza dubbio deterministica. Se poi gli epiteti «materialistica»
e «meccanicista», spesso arbitrariamente usati, siano effettivamente giusti­
ficati nei suoi riguardi, solo i filosofi possono dirlo.
La seconda tesi sostiene che la psicologia di Freud derivava fondamen­
La teoria di Freud sulla struttura della "ita psiehiea (J 900) 4S1

talmente da fonti precedenti, e qui il biografo ha maggior diritto di espri­


mere la sua opiniQne. Dorer afferma che Meynert, il quale si rifaceva a sua
volta agli altri autori sopra ricordati, fu la fonte principale delle idee
psicologiche di Freud, e arriva a dire che «la dipendenza di Freud dall'in­
segnamento di Meynert può essere dimostrata con dovizia di particolari».46
Essa osserva quindi come Freud non abbia mai riconosciuto i contributi di
Meynert, e come nei suoi scritti (eccetto il libro sull' afasia) gli si sia rife­
rito solo su un piario personale. Ora noi sappiamo che questo non era un
segno di ingratitudine, come Dorer sembra suggerire, ma che era sempli­
cemente dovuto al fatto che Freud si era familiarizzato con le principali
idee il) questione fin dalla sua adolescenza. 48
Cadono qui opportune due osservazioni. Quando si dice che qualcuno
ha assunto un'idea da un altro, s'intende non solo un'idea originale, ma
soprattutto un'idea propria alla persona da cui la si è presa. Quando
invece si tratta di un argomento generalmente noto, è relativamente tra­
scurabile chi sia stato ad informare gli altri. Ebbene, se passiamo in rivista
le principali idee del caso in questione, possiamo affermare con tutta tran­
quillità che esse appartengono proprio a questo secondo tipo, e che erano
familiari e largamente accettate dal mondo culturale del diciannovesimo
secolo e da quello scientifico in particolare. Esse del resto non sono estranee
neanche al ventesimo secolo.
Una concezione dualistica dei processi psichici è esistita in tutti i tempi.
Essa è stata spesso espressa in termini morali: la natura «spirituale» in
contrapposizione a quella «animale» o la «superiore» rispetto a quella «in­
feriore»; talvolta, più obiettivamente, si è opposto il «semplice» al «com­
plesso» o il «controllato» all' «incontrollato», ecc. Ne deriva ovviamente
che anche le corrispondenti attiyità sono state espresse dualisticamente: per
esempio quelle «aggressive» contro quelle «difensive», ecc. Anche il fatto
che psiche e cervello ricevano entrambi impressioni da due sorgenti, cioè
dal corpo e dal mondo esterno, è abbastanza ovvio di per sé.
Che le idee possano essere immaginate in tennini di una rete di asso­
ciazioni è un concetto che non richiede grande riflessione.
Quanto all'inconscio, vari pensatori, e soprattutto poeti, hanno spesso
notato che idee nuove possono apparire spontaneamente alla coscienza, ed
il fatto che la loro origine sia sconosciuta ha spesso condotto al postulato
di una origine inconscia, della quale la mente non si rende conto. I filosofi
452 Vita e opere di Freud

più romantici del diciottesimo secolo e della prima metà del diciannovesimo
hanno fortemente sostenuto questa concezione, che ha toccato il culmine con
la celebre opera di Von Hartmann. 47 Era inevitabile che nel campo medico
gli autori mettessero in rapporto con l'attività cerebrale questa regione sco­
nosciuta ancora più strettamente di quanto avessero fatto per la mente co­
sciente, ed infatti in Inghilterra l'espressione di Carpenter «cerebrazione
inconscia» divenne un esempio comune di questo fenomeno.
La seconda osservazione è che Maria Dorer, a quanto pare, non è arri­
vata a cogliere la grossa differenza che passa tra la generica affermazione
teorica delle idee in questione e le dettagliate ricerche sperimentali che
nelle mani di Freud le resero vitali e significative. Tanto per fare qualche
esempio, il verso di Wordsworth «Il bambino è il padre dell'uomo» è
diventato proverbiale, ma la scoperta di Freud del modo preciso con cui
la base istintuale della vita infantile, fin allora sconosciuta, evolve nella
personalità adulta, gli ha conferito un significato ben più profondo.
Altro esempio: la rete di idee associate, descritta nel diciannovesimo
secolo dalla psicologia associazionista con le sue categorie di contiguità,
causalità, ecc., ha assunto un significato ben diverso da quando Freud ha
introdotto il concetto delle «idee finalistiche» nell'inconscio, e la concezione
dinamica della soddisfazione dei desideri.
Infine l'osservazione che gli esseri umani preferiscono il piacere al do­
lore costitul la base di una filosofia edonistica, che però la maggior parte
dei filosofi si rifiutò di considerare esauriente, essendovi apparentemente
molte eccezioni alla regola. La dimostrazione data da Freud dell'evoluzione
del principio del piacere-dolore in quello da lui successivamente definito
principio di realtà ha dato un significato più profondo alla teoria edoni­
stica.
La concezione dualistica della psiche si era fino allora basata in parte
sulla teologia ed in parte sulla fisiologia. Come vedremo meglio più avanti,
Freud dimostrò l'esistenza di due tipi differenti di attività psicologica, che
egli chiamò rispettivamente «processo primario» e «processo secondario»,
e di cui descrisse nei minimi particolari le caratteristiche che li differen­
ziano nettamente l'uno dall'altro. Questo si ricollega alla sua esplorazione
dell'inconscio, alle origini, alle caratteristiche particolari ed al modo di
funzionare di esso: tutto ciò ha aperto orizzonti nuovi e completamente
diversi da quanto i precedenti postulati filosofici prevedevano. Se si affer­
La teoria di Freud sulla struttura della vita psiehica (19 00) 4S3

masse che Freud derivò da qualchedun altro l'idea dell'inconscio, la crassa


ignoranza di questa asserzione non sarebbe certo giustificata dal minimo
di verità che essa contiene.

Il progetto per una psicologia scientifica

Nell'epoca della quale ci stiamo occupando si avevano buone nozioni


di anatomia macroscopica e di istologia del cervello, argomenti che Freud
padroneggiava in modo assoluto, ma di fisiologia del sistema nervoso si
sapeva ben poco. Fritsch e Hitzig in Germania, e Ferrier e Horsley in
Inghilterra, avevano dimostrato che la stimolazione elettrica di certe aree
corticali determinava movimenti degli arti del lato opposto, e si sapeva che
la distruzione di certe altre aree causava un' afasia motoria oppure senso­
riale. All' infuori di questo c'era ben poco, e buona parte dei discorsi sulla
fisiologia cerebrale e sulle sue applicazioni alla psiche erano poco più di
un linguaggio fisico - con termini come «energia, tensione, forza», ecc. ­
trasferito in un' altra sfera.
Ciascuno psicologo si aspettava - come del resto ancora oggi - che un
giorno le leggi e l'ordine della scienza sarebbero riusciti ad aver ragione
dell'apparente caos dei processi psichici, cos1 come era già avvenuto per
altri campi dell'universo. Gli scienziati di quel periodo lavoravano dunque
nell' illusione che la via d'accesso più promettente verso quel miraggio fosse
costituita dalla fisiologia cerebrale, che invece è risultata, a distanza, an­
cora più ermetica della stessa psicologia.
Sembra che anche Freud abbia condiviso questa illusione per molti anni,
ma se ne liberò con un processo graduale che si concluse intorno al 1897
con un avvenimento molto interessante della sua vita, cioè con la prepara­
zione di un lungo saggio da lui battezzato «Progetto». Sappiamo che in
quegli anni la sua ambizione era quella di approfondire la sua cultura
lungo il cammino contrassegnato dalle seguenti tappe: anatomia del cero
vello, fisiologia del cervello, psicopatologia, psicologia, filosofia. Le prime
due si rivelarono altrettanti fuochi di paglia, e nel loro campo la meta
prefissa fu raggiunta solo in parte, anche se non si può dubitare dei pro­
gressi compiuti da Freud.
La vecchia ambizione di procedere direttamente dal cervello alla mente
raggiunse il suo acme nel 1895. Il 17 aprile, cioè un mese dopo aver scritto
454 Vita e opere di Freud

il capitolo sulla psicoterapia per gli Studi sull'isterismo, Freud scrisse a


Fliess: «Sono cosl profondamente immerso nella "Psicologia per i neuro­
logi "68 che finché non r avrò finita ne sarò totalmente assorbito, 'e ne
rimarrò estenuato dalla fatica. Non sono mai stato tanto preoccupato. Mi
domando se ne verrà fuori qualcosa: spero di sl, ma procedo lentamente
e con difficoltà.» Un mese dopo (25 maggio) Freud precisò i suoi propositi
in un passo che abbiamo già riportato,48 e, dopo aver dichiarato che uno dei
suoi scopi era la speranza di ricavare dalla psicopatologia qualcosa di utile
per la psicologia, prosegul: «Una soddisfacente comprensione generale dei
disturbi neuropsicotici non è attualmente possibile se non stabilendo dei
rapporti con alcuni chiari presupposti riguardanti i processi psichici nor­
mali. Nelle ultime settimane ho dedicato a questo lavoro ogni minuto libero,
trascorrendo l'ora dalle undici alle dodici in fantasie, trasposizioni da un
campo all' altro e congetture, e ~mettendo solo dopo aver trasformato cia­
scuna idea in una assurdità o dopo aver veramente faticato in modo tale
da perdere ogni interesse per la mia attività professionale» (25 maggio).
Non può sorprendere che una preoccupazione cosl ossessionante abbia
toccato un limite. A partire dal 16 agosto sappiamo che Freud cominciò a
metterla da parte ed a fingere con se stesso che l'argomento non fosse in­
teressante. Era in vacanze e si andava accorgendo di essersi imposto un
compito massacrante. «In ogni modo giocare a birilli e andare in cerca di
funghi sono occupazioni più salutari.» Aveva trovato che ogni argomento
sfociava in un altro, e si scivolava alla memoria, al sonno, e cosl via, in un
modo talmente inesauribile che l'intero progetto andava assumendo propor­
zioni mastodontiche.
Si potrebbe pensare che a farlo improvvisamente decidere ad accollarsi
questa titanica impresa, per la quale Freud era sicuramente impreparato e
inassuefatto, fosse stato un enorme volume che il suo maestro Exner aveva
pubblicato appena un anno prima sullo stesso argomento. 50 Il suo program­
ma era più vasto di quello del «Progetto» di Freud ed era otto volte più
lungo, ma tra le due opere c'erano parecchie somiglianze. Exner sosteneva
che i gradi di eccitamento del sistema nervoso dovevano essere soggetti a
leggi quantitative,51 usava la stessa espressione di Freud «somma degli ec­
citamenti»u e discuteva lungamente la funzione dell'inibizione nel control­
lo degli stimoli semplici. 1I8 Era stato lui a sviluppare il concetto di Bahnung
(facilitazione del Bwso di eccitamento),114 che nella teoria di Freud aveva
un ruolo importante. Come Freud, Exner prendeva in esame un vasto cam­
La teoria di Freud sulla struttura della vita psiehita (19 00) 4SS

po di argomenti, tra cui la percezione, il giudizio, l'ideazione, il riconosci­


mento, i processi del pensiero, ecc. Il principio del piacere-dolore era per
lui un meccanismo regolato re. Il suo scetticismo circa il libero arbitrio si
basava sugli stessi argomenti di Freud, in quanto l'illusione di possederlo
derivava dall'assenza di idee precedenti nella coscienza. Mentre però Freud
dimostrava nell'inconscio l'esistenza degli anelli mancanti della catena, Exner
non poteva far di meglio che cadere in vaghe osservazioni circa l'attività
continua dei centri subcorticali. 55 Il suo obiettivo fondamentale era lo
stesso di Freud: spogliare i processi psichici della loro posizione privile­
giata rispetto agli altri fenomeni naturali. Se si confrontano i due saggi
però, bisogna dire che quello di Freud era non solo molto più conciso ma
anche più finemente ragionato di quello di Exner.
L'anno precedente un altro dei suoi superiori dell'istituto di Briicke aveva
pubblicato (postumo) un volume che fornI a Freud tutta la base di fisio­
logia cerebrale di cui aveva bisogno. 56
La tregua delle vacanze non durò a lungo, ed il tirannico impulso a
chiarire le idee riprese il sopravvento. Il 4 settembre Freud andò a Berlino
da Fliess, senza dubbio per parlargli dei problemi che stava agitando. Quel
colloquio lo eccitò talmente che non poté aspettare di essere di nuovo a
casa, e cominciò a scrivere in treno. 57 Infatti la prima parte del saggio è
scritta a matita. Esso fu terminato febbrilmente in un paio di settimane,
con poche interruzioni forzate. Era un fascicolo di poche centinaia di pa­
gine, che fu spedito a Fliess 1'8 ottobre, completo di tutte le sue parti.
Essendo stato fortunatamente conservato, è stato stampato come appendice
nel volume AUI den Anfangen der PIychoanaJyIe (<<Gli inizi della psico­
analisi», 1950).
Va notato che Freud non chiese mai la restituzione di quell'interessante
manoscritto che gli era costato tanta fatica, né a quanto pare desiderò mai
rivederlo. Si era liberato di un peso che lo opprimeva, ed il suo atteggia­
mento verso ciò che aveva concepito cambiò rapidamente. Nello spedirlo
disse che stava preparando un'ultima parte sulla «psicopatologia della rimo­
zione», che gli riusciva particolarmente difficile. Il suo umore in proposito
era alternativamente «orgoglioso e felice» oppure «pieno di vergogna e di
disperazione».68 Quest'ultima parte non è mai venuta alla luce, e forse non
è mai stata finita. La frase seguente, scritta una settimana dopo, si riferisce
probabilmente ad essa: «Ho scritto febbrilmente per due settimane e cce­
devo di stringere in mano il segreto, ma ora so di non conoscerlo e perciò
Vita e opere di Freud

ho accantonato la cosa.»59 Tre settimane dopo scrisse di aver riposto in


un cassetto il manoscritto della «Psicologia» (o forse di quello stesso fati­
coso capitolo) in parte perché doveva: cominciare a scrivere la monografia
per Nothnagel,80 per la quale non aveva più che sei settimane - anche se
poi durò un anno inter081 - ma anche perché non era riuscito a trovare
una soluzione soddisfacente dei vari problemi.
L'euforia per la recenté realizzazione durò ben poco e fu seguita da una
interessante esperienza: Il 20 ottobre, cioè a meno di quindici giorni dal­
l'aver terminato ciò che è restato del «Progetto», Freud scrisse in una let­
tera: «La settimana scorsa, una sera che stavo lavorando forte, tormentato
da quella leggera sofferenza che sembra lo stato ideale per permettere al
mio cervello di funzionare, le barriere crollarono d'incanto, il velo fu tirato
da parte ed ebbi una visione chiarissima, dai particolari delle nevrosi alle
condizioni che rendono possibile la coscienza. Ogni cosa sembrava ben col­
legata alle altre, l'insieme era scorrevole, e si aveva l'impressione che la
Cosa82 fosse ormai una vera e propria macchina e potesse funzionare da
sé. I tre sistemi di neuroni, la quantità nei suoi due stati libero e fisso, il
processo primario e quello secondario, la tendenza principale e quellà di
compromesso del sistema nervoso; le due leggi biologiche dell'attenzione e
della difesa, le indicazioni di qualità, realtà e pensiero, la particolare po­
sizione del gruppo psicosessuale, la determinante sessuale della rimozione
ed infine le condizioni necessarie a concepire la coscienza. come una funzio­
ne di percezione: era tutto perfettamente chiaro, e lo è tuttora. Natural­
mente non sto in me dalla gioia.» Questo passo, con il suo spunto di in­
tuizione artistica, può segnare il punto di passaggio fra il Freud lavoratore
accanito ed il Freud pensatore immaginoso.
lo stato d'animo euforico però non poteva durare, e l'eccitazione si spen­
se ben presto. Appena dieci giorni dopo, Freud disse a Fliess che dopo
aver riflettuto capiva che quanto gli aveva spedito aveva in parte perso il
suo valore e andava considerato solo come uno schema preliminare, dal
quale sperava però di ottenere qualche risultato. 8s Un mese dopo era tutto
da rifare: «Non riesco a capacitarmi dello stato mentale in cui ho buttato
giù la "Psicologia "8. e non capisco come ho potuto infliggertela. Penso che
sei troppo gentile. Da parte mia mi sembrano solo frottole.»86
A questo punto ci possiamo chiedere che valore possa avere per noi que­
sto strano documento che è il «Progetto». Esso ne ha molto, per vari
motivi.
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00) 457

Innanzi tutto fu un magnifico tour de force. Nessuno degli scritti pub­


blicati da Freud è un esempio altrettanto brillante delle sue capacità di
pensiero astratto e di ragionamento serrato e conseguente. E~so rivela. un
cervello di primissimo ordine, e rende ridicole le lamentele di Freud arca
la modestia della sua intelligenza. Con il suo stile telegrafico e la sua fra­
seologia piuttosto oscura, quasi priva di esempi concreti, esso impegna il
lettore più di ogni altro dei lavori di Freud. Pochi possono afferrare pie­
namente il suo significato senza rileggerlo più di una volta, e gran parte
di questa difficoltà, ovviamente, dipende dal fatto che il saggio fu scritto
in un linguaggio familiare solo al suo autore.
In secondo luogo esso è utilissimo per gli studiosi della psicologia freu­
diana, perché chiarisce molte delle successive concezioni di Freud, alcune
delle quali piuttosto ostiche, e che egli raramente precisò o chiarI. Il lin­
guaggio di fisica e di fisiologia cerebrale usato nel «Progetto» era quello
naturale di Freud, al quale egli restò in gran parte fedele anche quando si
occupò di problemi di pura psicologia. :E. vero che egli dava ai termini che
usava dei significati psicologici che li rendevano indipendenti dal loro con­
testo originale, ma nel complesso si tratta di termini che nessun altro psi­
cologo in erba avrebbe mai impiegato. Alcuni non è stato facile tradurli in
una terminologia più familiare o definirne il preciso significato che Freud
intendeva. Per questo lo studio del <<Progetto» si rivelerebbe utilissimo.
La ricchezza delle idee che vi sono contenute ed i rapporti straordinaria­
mente stretti che le legano forniscono allo studioso un enorme materiale di
ricerca. Parecchie monografie potrebbero essere dedicate al commento di
questo piccolo saggio.
Per lo studioso della personalità di Freud il «Progetto» è fonte di molti
dati istruttivi. Esso dimostra quanta presa avessero fatto su di lui gli studi
giovanili. Per molti anni· egli si era sentito a suo completo agio nel regno
delle attività nervose visibili e precise che potevano essere colte al micro­
scopio: Il si sentiva al sicuro còme nel cuore della famiglia. Abbandonare
quel terreno ed imbarcarsi nel mare procelloso del mondo emotivo, dove
tutto era ignoto e dove quello che era invisibile aveva conseguenze di gran
lunga maggiori di quello che si vedeva, deve essergli costato caro. Era ~tato
chiamato a un grande sforzo che stava proprio sul punto di intraprendere,
e la febbrile stesura del «Progetto» può essere considerata l'ultimo, dispe­
rato tentativo di appigliarsi all' anatomia del cervello. Se la psiche potesse
458 Vita e opere di Freud

essere descritta in termini di neuroni, dei loro processi e delle loro sinapsi!
Questo pensiero deve averlo affascinato.
Un'altra considerazione importante è costituita dal fatto che fino agli
ultimi tempi della sua vita, cioè per quanto ne sappiamo, mai più Freud
si abbandonò, come in questo caso, ai ragionamenti deduttivi. ~ vero
che il grande Herbart aveva sostenuto che in psicologia la deduzione ha
diritti pari a quelli dell'induzione, ma questa eresia metafisica era stata fe­
rocemente ripudiata sia da Griesinger che da Meynert, e Freud stesso era
stato allevato nella sacra dottrina che tutte le conclusioni devono essere fon­
date sull'esperienza e su essa sola. Nel «Progetto» invece vengono fatti ben
pochi riferimenti diretti a qualsiasi esperienza. Gli assiomi e le afferma­
zioni - a prescindere dalla loro plausibilità - fungono da punti di partenza
per successioni di pensieri che conducono lontano, e per conclusioni piutto­
sto dogmatiche. Un saggio del genere sarebbe stato normale aspettarselo da
un filosofo, più che da un patologo.
La parola filosofo fa pensare che Freud stava forse realizzando proprio
in quel periodo la sua tendenza a filosofare, precoce e finora tenuta tanto
energicamente a freno. La febbrile ossessività con cui egli scrisse il saggio
rivela un' attività profonda sottostante, e la successiva e subitanea sconfes­
sione va interpretata come la disapprovazione di essa. Se non fosse stata
tenuta a freno, questa tendenza avrebbe portato ad una sterile speculazione,
ad una arida intellettualizzazione delle istanze profonde. Per fortuna invece
la conclusione fu diversa: Freud tornò all'esperienza empirica delle sue
osservazioni cliniche. Un passo decisivo l'aveva però compiuto: quello di
scaricare, sia pure per un mese o due, qualcosa di vitale che era in lui e
che si sarebbe trasformato nella sua immaginazione scientifica, cioè nel re­
gno in cui entrambi i lati della sua natura avrebbero trovato libero sfogo
in una proficua cooperazione.
~ interessante notare, infatti, con quanta fedeltà il -,<Progetto» riunisca
ed esprima i due lati opposti della natura di Freud, quello conservatore e
quello fantasioso. Fu senza dubbio questa combinazione che, una volta rea­
lizzata, conferl una simile urgenza alla stesura del <<Progetto», mentre la
relativa sterilità di esso va spiegata con il distacco di Freud dai dati della
clinica. Egli doveva trovare ancora sbocchi più proficui, che solo il corag­
gio di esplorare le esperienze emotive gli avrebbe potuto fornire.
Dopo un preambolo cosI lungo è giunta l'ora di esaminare il contenuto
del «Progetto». Purtroppo esso non solo è molto astruso, ma è talmente
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00) 4S9

sintetico che qualunque riassunto sarebbe assolutamente incomprensibile.


Perciò mi devo contentare di fare alcune osservazioni generiche e di elen­
care i singoli argomenti presi in esame, la maggior parte dei quali - non
tutti - furono sviluppati nelle opere successive.
Il saggio non portava nessun titolo, sebbene Freud avesse parlato di una
monografia da intitolarsi «Psicologia per i neurologi». Coloro che hanno
curato la pubblicazione degli Anfange hanno deciso di intitolarlo Entwurf
einer Psychologie «<Progetto per una psicologia scientifica»).
Ciò di cui disponiam9 è diviso in tre parti: 1. Schema generale. - 2. Psi­
copatologia con speciale riguardo all'isterismo. - 3. Tentativo di rappresen­
tazione dei processi psichici nonnali.
Lo schema generale è preceduto dalla definizione degli scopi del «Pro­
getto»: enunciare una psicologia che sia una scienza naturale, cioè, nella
concezione di Freud, una scienza che rappresenti i processi psichici come
stati, quantitativamente determinati, di elementi materiali suscettibili di es­
sere definiti. Esso contiene due concetti principali: 1. concepire in termini
di quantità, che è soggetta alle generali leggi di moto, tutto ciò che distingue
l'attività dal riposo; 2. considerare i neuroni 68 come gli elementi materiali
implicati.
Freud mirava quindi a riunire in un solo insieme due teorie distinte: una
era la teoria del neurone, derivata dai suoi studi di istologia nervosa, l'al­
tra invece risaliva alla scuola di HeIrnholtz-Briicke, sebbene le fosse stato
dato un notevole impulso da Meynert e dagli altri che abbiamo precedente­
mente ricordato. Essa consisteva nell' affermazione che la neurofisiologia e
quindi la psicologia obbediva alle stesse leggi della chimica e della fisica.
La parola-chiave «quantità», che viene continuamente usata nel «Pro­
getto», può essere considerata praticamente uguale all'espressione fisiologica
«somma di eccitazioni» o a quella fisica di «energia». :2 un concetto de­
rivato probabilmente da Breuer, e può essere ravvicinato all' «eccitamento
tonico intracerebrale» di quell' autore, 87 all' «energia di attrazione nutriti­
va» di Meynert,68 come pure al «tono cellulare» di Exner.69
Freud distingueva due fonti di quantità: quella proveniente dal mondo
esterno e quella proveniente dal corpo. In seguito però abbandonò questa
distinzione. Un neurone poteva essere <<vuoto» o «pieno di una data quan­
tità», concetto che nell'Interpret4Zione dei sogni fu sostituito con quello,
di ordine più psicologico, delle «idee sottoposte a investimento energeti­
co». La «eccitazione nervosa» andava considerata come un Busso di quan­
Vita e opere di Freud

tità, che poteva venire ostacolato o facilitato a seconda dello stato delle
«barriere di contatto» esistenti tra i vari neutoni.
Il funzionamento del sistema nervoso secondo il «Progetto» era soggetto
a due princlpi strettamente connessi. Uno era quello della «inerzia» (Trag­
heil) per cui i neuroni tendono a liberarsi di tutta la quantità che conten­
gono,70 e che negli anni successivi divenne il principio del piacere-dolore.
Freud sosteneva che questa idea gli era venuta durante le sue osservazioni
cliniche di psiconevrosi, dalle nozioni di idee intensive, di stimolazione, di
sostituzione, di scarica, ecc., che gli sembrava lecito trasferire nel campo
dell'attività neuronica (che a sua volta doveva spiegare lo svolgersi dei
processi mentali). Il movimento riflesso, nel quale un eccitamento sensitivo
è seguito da una scarica motoria, è negli animali la forma più pura di questo
principio. Freud faceva risalire la reazione neuronica all'eccitabilità dello
strato superficiale del protoplasma.
La scarica può essere definita la funzione primaria del sistema neuroni­
co: non importa altro che la scarica in ogni direzione. Quando vengono
scelte vie di scarico tali da esaurire lo stimolo entra in gioco una funzione
secondaria: la «fuga dall'eccitamento». Ciò che determina realmente la
rottura del meccanismo, per cui esso deve essere modificato, è la sua inca­
pacità a cavarsela con uno stimolo interno (somatico) nella stessa seml?lice
maniera con cui reagisce a uno stimolo esterno. In questo caso sia la scarica
che la fuga sono impossibili, e la situazione può essere risolta solo da modi­
ficazioni apportate al mondo esterno, per esempio con l'assumere cibo. Per­
ciò i neutoni devono tener pronta una certa riserva di quantità, non essen­
do più possibile ridutla a zero.
L'altro principio, quello della «costanza», era derivato più chiaramente
dal campo della fisica. Esso era stato largamente usato sia da Breuer che da
Freud, sebbene Breuer avesse riconosciuto a Freud il merito di averne in­
tuito l'importanza nel problema in questione. 71 Nel 1892 essi l'avevano de­
finito insieme nel modo seguente: «Il sistema nervoso tende a mantenere
costante, nella sua condizione funzionale, qualcosa che può essere definito
come "somma di eccitazioni".»12
Su questa base Freud costrul ciò che James Strachey ha definito «un mo­
dello estremamente complicato e straordinariamente ingegnoso della mente,
concepito come un lavoro di ingegneria neurologica»,73 che nelle parole
di Freud «funzionava quasi da solo».
Il primo problema affrontato era quello della memoria. Com'era possi­
La teoria di Freud sulla struttura della vita pslchica (19 00)

bile che i neuroni fossero modificati in modo permanente da un'impressione


ricevuta, ne conservassero le tracce e potessero contemporaneamente rice­
verne altre, fresche, esattamente nella stessa maniera delle precedenti?
Freud risolse l'enigma postulando due tipi di neuroni, uno per ciascuna
funzione. Il primo tipo, indicato con la lettera <p, si lasciava attraversare
da un flusso di eccitamento senza subire alcuna modificazione; questo avve­
niva soprattutto per gli stimoli provenienti dal mondo esterno, in una sede
che poteva essere identificata con i nuclei dei nervi afferenti. All'altro tipo,
indicato con la 1jJ, appartenevano neuroni che conservavano tracce perma­
nenti di ogni stimolo che li interessasse, come per esempio i neuroni del
cervello. Questi ultimi sono interessati soprattutto da stimoli provenienti
dal corpo stesso, e Freud avanzava perfino l'ipotesi - abbastanza strana ­
che il cervello derivasse da un enorme complesso di gangli simpatici. H
Il rapporto esistente da un lato fra i due tipi di neuroni, più o meno
permeabili, e dall' altro tra i fenomeni della percezione e della memoria,
era un aspetto fondamentale della teoria di Freud, che si affermò solo più
tardi, quando fu espresso in termini di pura psicologia. In questa sede si
supponeva che la differente permeabilità dipendesse dalle barriere di con­
tatto dei neuroni (sinapsi), che venivano ritenute diverse non solo da una
cellula all'altra, ma anche a seconda dei processi propri di ciascun neurone.
Questo è un concetto che Freud aveva interamente assorbito da Breuer, che
probabilmente ne era l'autore e che nel suo capitolo dedicato alla teoria
l'aveva cosI espresso: «Questo apparato percettivo, che comprende le aree
corticali dei sensi specifici, deve essere distinto dall' organo che conserva e
riproduce le impressioni sensoriali sotto forma di immagini mnemoniche.
Infatti la condizione fondamentale per il funzionamento dell'apparato per­
cettivo è la massima celerità nella sua restitutio in statum quo ante, senza la
quale nessuna ulteriore percezione sarebbe possibile. La condizione che per­
mette la memoria, invece, è che non si verificlù nessuna restituzione del
genere, e che ogni percezione produca invece modificazioni permanenti. :e
impossibile che un unico organo soddisfi entrambe queste condizioni con­
traddittorie, cosl come lo specchio di un telescopio a riflessione non può
fungere al tempo stesso da lastra fotografica.» 75 Breuer seguiva quindi
Meynert (come fece anche Freud) nell'attribuire le allucinazioni al processo
inverso, cioè ad uno stimolo dell' apparato percettivo a punto di partenza
dalle immagini mnemoniche.
Dato che l'istologia non forniva nessun argomento in favore della di­
Vita e opere di Freud

stinzione dei neuroni in due tipi, Freud emise l'ipotesi che la maggiore o
minore permeabilità non dipendesse dal tipo cellulare ma dalla quantità
proveniente dalle diverse fonti di eccitazione: dal mondo esterno per i
neuroni tp e dalle cellule del corpo per quelli ~ (più gli stimoli percettivi
pervenuti loro attraverso i neuroni <p ). Tutto faceva pensare che la forza
del primo tipo di stimoli fosse maggiore della seconda, perciò Freud sup­
pose che la disposizione delle terminazioni nervose periferiche funzionasse
come uno schermo (idea che avrebbe successivamente elaborato nella sua
psicologia). Gli stimoli superavano quindi facilmente la resistenza opposta
dalle barriere di contatto tp. In tal modo Freud faceva corrispondere la
sua distinzione alle funzioni biologiche fondamentali del sistema nervoso,
che sono quelle di elaborare gli stimoli provenienti rispettivamente dal mon­
do esterno e dal corpo.
Solo il dolore somatico aveva la possibilità di sconvolgere il meccanismo
di cui sopra: agli stimoli dolorosi nessuna barriera di contatto era in grado
di resistere. Sfuggire al dolore è quindi un'esigenza primordiale del sistema
nervoso, e per:6.no il ricordo dell'oggetto che ha detenninato il dolore è
fonte di sofferenza (Un/ust). Più tardi Freud collegò questo concetto della
rottura delle barriere sia con !'importanza del ruolo del trauma in psicopa­
tologia, sia con la teoria della paura e con i segni d'allarme dell'ansia.
Il problema della coscienza presentava naturalmente grosse difficoltà, per­
ché oltre alle leggi fisiche che regolavano le variazioni della quantità, fa­
ceva il suo ingresso un nuovo fattore, la qualità. Freud introdusse quindi
un terzo tipo di neuroni, indicati con la lettera 6), che erano intermedi fra
quelli ~ e quelli <p, ed avevano lo scopo di trasformare la quantità in
qualità. Gli altri due tipi agivano solo in funzione del gruppo C&). Freud
non concepiva la coscienza né come un semplice accessorio dei processi fi­
siopsichici né come l'aspetto soggettivo di tutti i processi psichici, ma come
l'aspetto soggettivo di una parte di essi, cioè di quelli percettivi (C&) ).
Quando la coscienza manca l'apparato è quindi diverso, perché allora i neu­
roni C&) non forniscono nessun contributo. A questo punto però il mecca­
nismo sembrava stridere un po', e Freud fu costretto ad introdurre tra le
sue misure una terza dimensione, quella del tempo, che egli definì «perio­
do».
Qui s'incontra il noto concetto che la sofferenza (Un/llst) consista in un
aumento di livello della quantità, il piacere invece nella sua scarica. Esso
è alla base del principio del piacere-dolore.
La teoria di Freud sulla struttura della vita psiehica (19 00)

Abbiamo precedentemente notato che i neuroni ljI ricevevano stimoli


provenienti sia dai neuroni Ci' che dall'interno del corpo, Freud postulò
due tipi corrispondenti di neuroni, cioè i neuroni «del pallio»76 e quelli
«nucleari», La stimolazione di questi ultimi da parte dei processi istintuali
si manifesta sotto Forma di volontà e fornisce l'energia motrice per !'intera
macchina, la quale ha bisogno di funzionare nel mondo esterno, Nel bam­
bino per esempio questo si traduce nel piangere per richiamare un' altra
persona, metodo piuttosto complicato di realizzare la scarica della tensione
interna, A questo punto Freud aggiungeva una frase chiarificatrice: «Que­
sta via di scarico assume quindi l'importantissima funzione secondaria di
stabilire un contatto umano, ed è la iniziale inettitudine degli esseri umani
che costituisce la fonte originale di tutti i motivi morali,»77 Questo anti­
cipa la sua successiva descrizione del ruolo svolto dai rapporti umani nella
transizione dal principio del piacere a quello di realtà.
L' l o veniva descritto come un insieme di neuroni forniti di una riserva
costante di quantità, in comunicazione assolutamente libera fra loro. Una
funzione essenziale dell'Io è la sua capacità di inibire ogni eccitazione so­
praggiunta, ciò che si realizza mediante la deviazione di parte di essa ver­
so quelli che Freud definiva «investimenti collaterali», cioè verso neuroni
carichi connessi in modo simultaneo con il neurone stimolato per primo,
e quindi sempre pronti a funzionare.
Un punto della massima importanza è rappresentato dalla distinzione che
Freud stabiliva fra i cosiddetti «processi primari» e «processi secondari».
Questo fu forse il suo contributo psicologico più importante, che egli pre­
cisò ed estese in varie altre occasioni. Nel «Progetto» egli ne considerò
però un solo aspetto, cioè la differenza di intensità della scarica nei due
processi. Il funzionamento dell'apparato può soffrire in due modi: quando
un desiderio reclama di essere soddisfatto, l'eccitazione dopo aver stimo­
lato l'immagine mnemonica dell'oggetto capace di soddisfarlo può far ri­
torno ad 6), determinando un'allucinazione inutile agli effetti biologici.
Allora diventa necessaria una indicazione che permetta di distinguere l'al­
lucinazione dalla percezione dell' oggetto reale. Anche nel secondo caso,
quello di un ricordo «ostile» che sia associato a sofferenza, diventa neces­
sario un criterio di realtà che· possa permettere il verificarsi di una fuga
difensiva, altrimenti l'eccitazione determinerebbe il massimo della soffe­
renza.
Il criterio di realtà78 è fornito dai poteri inibitori dell'Io. Gli stimoli
Vita e opere di Freud

provenienti dall'interno del corpo possono suscitare la differenza qualitativa


carattt>risticamente associata alla realtà esterna solo se sono forti; non ci
riescono se sono sottoposti all'inibizione esercitata dall'Io. Invece l'ecci­
tazione cp (proveniente da stimoli esterni), per quanto debole, è in grado
di provocare tale differenza qualitativa. I neuroni lJi vengono informati che
uno stimolo proviene dal mondo esterno «reale» per mezzo di un'eccita­
zione proveniente dal meccanismo di scarico motorio, che entra sempre in
gioco in una certa misura. Per esempio anche nel pensiero vi è una certa
attività involontaria dei muscoli del linguaggio.
In poche parole quindi il «processo primario» è esente da inibizioni ed
il suo flusso di corrente è libero; il «processo secondario», che è in grado
di distinguere tra stimoli esterni ed interni, è inibitore, ed il suo livello
di quantità è quindi inferiore. Freud attribuiva a Breuer la distinzione tra
energia «mobile libera» ed energia «tonica fissa», ed esprimeva l'opinione
che essa rappresentasse una delle più profonde conquiste nella compren­
sione della natura dell'energia nervosa. 79 Si può notare incidentalmente che
questa nomenclatura è l'inverso di quella usata in fisica, dove l'energia «li­
bera» viene contrapposta a quella potenziale. 80
Freud passava quindi a considerare la ricerca della soddisfazione, lo «ap­
pagamento dei desideri» come energia motrice fondamentale della mac­
china. Egli analizzava in termini fisiologici ciò che presumibilmente accade
nei vari sistemi neuronici e tra l'uno e l'altro di essi durante i processi del
giudizio, riconoscimento, distinzione, ricordo e pensiero, tutti mezzi per
ricercare la soddisfazione. Una volta sorti i desideri, tale ricerca, secondo
lui, è la giustificazione biologica di ogni processo del pensiero. 81
I concetti generali della teoria dei sogni contenuti nel «Progetto» sono
stati già citati nel capitolo precedente. Freud trovò forse in quel campo
l'esempio più puro di «processo primario»: durante il sonno la diminu­
zione dei bisogni corporei rende superflua la funzione secondaria dell'Io.
Nella seconda parte, dedicata alla psicopatologia, Freud distingueva la
«difesa primaria» contro il dolore dalla «rimozione», che è un'esclusione
dalla coscienza - o, più esattamente, nella definizione di Freud, un'esclu­
sione dai processi del pensiero - di un'idea capace di procurare sofferenza
all'Io. Si presupponeva sempre che l'idea in questione derivasse da un im­
pulso sessuale. La particolarità di quest'ultimo aspetto era che molto spesso
lo sfogo dell'affettività, più che l'evento sessuale in sé, era connesso al
ricordo di quest'ultimo. Freud attribuiva questo fatto alla successiva com­
La teoria di Preud sulla struttura della vita psiehiea (19 00 )

parsa della pubertà, spiegazione che divenne inadeguata dopo che egli stes­
so ebbe scoperta la sessualità infantile. L'enigma della rimozione non era
stato quindi del tutto risolto. Rimaneva però valida la conclusione per cui
gli affetti facilitando i processi primari impediscono il pensiero, il quale
può svolgersi solo «per tentativi», con piccole cariche di quantità.
Nella terza parte Freud applicava i prindpi generali suddetti all'attività
della mente normale nel suo insieme. Questa parte è cos1 tecnica, compli­
cata e piena di ragionamenti serrati che avrebbe bisogno di uno speciale
commento esplicativo. Essa si riferisce soprattutto alle modificazioni del­
!'investimento ed al flusso di energia che si suppone passi da un gruppo
di neuroni all'altro durante i diversi tipi di pensiero - osservare, ricono­
scere, giudicare, discriminare, pensare «in pratica», riflettere - come anche
durante i vari tipi di processi patologici del pensiero.
Un concetto fondamentale era quello di attenzione. Freud affermava che
i neuroni dell'Io rispondono ad uno stimolo esterno non soltanto in modo
passivo ma anche trasmettendo attivamente una carica di energia ai neu­
roni (O. Questo accade soprattutto quando la coscienza è vigile. Pur aven­
do tentato di spiegare meccanicamente tale processo egli pensava che fosse
più facile spiegarlo biologicamente. Benché nei suoi scritti successivi questo
argomento abbia un ruolo trascurabile, nel «Progetto» Freud affermava che
una delle sue due «leggi biologiche» era quella per cui l'Io esercita la ca­
tessi su ogni elemento percettivo che possieda qualche caratteristica di realtà
(Realitatszeichen), cioè che dimostri di provenire dal mondo esterno. L'al­
tra legge è quella della difesa primaria contro il dolore.
Alle associazioni di linguaggio Freud attribuiva grande importanza. Esse
possiedono due caratteristiche proprie: sono limitate nel numero e sono
esclusive o particolari. I loro aspetti motori sono importanti sia perché for­
niscono una delle prove della realtà, sia perché facilitano i processi mne­
monici. Negli scritti successivi di Freud il linguaggio è considerato un at­
tributo che distingue il preconscio dall'inconscio propriamente detto.
Esso ha pure un ruolo importante nelle prime fasi di sviluppo delle
relazioni con l'ambiente umano circostante. In questo caso le inevitabili fru­
strazioni sono lo stimolo principale che il mondo esterno impiega per ri­
svegliare il senso di realtà, e il pianto è il primo tentativo di sostituire la
fonte di soddisfazione originale con l'immagine allucinatoria, secondo il
metodo indiretto di modificare qualche aspetto del mondo esterno.
L'origine dell'Io era per Freud il problema più oscuro. Egli la spiegava
Vita e opere di Freud

con una particolare interazione tra i neuroni nucleari (quelli alimentati da


stimoli somatici) ed il processo di appagamento dei desideri. Quando tale
intecazione si verifica, nell'Io si forma un certo numero di associazioni tra
l'immagine percettiva dell'oggetto agognato, da una parte, e, dall'altra, l'in­
formazione fornita dall'attività motoria che ha portato l'oggetto stesso a
portata di mano. Questo lo primitivo deve però imparare con l'esperienza
a non investire le suddette immagini di movimento prima che· siano state
soddisfatte certe condizioni proprie della percezione, cioè prima che siano
stati applicati i criteri di realtà. Esso non deve neanche permettersi di in­
vestire l'idea-desiderio oltre un certo grado, altrimenti quella regredirà al­
l'originaria soddisfazione di carattere allucinatorio. Se si avrà uno di questi
errati investimenti, non si produrrà alcuna soddisfazione reale e la situa­
zione assumerà le caratteristiche della sofferenza (Un/ust). :e questa conti­
nua minaccia che favorisce la crescita e lo sviluppo dell'Io: «La sofferenza
resta il solo mezzo di educazione.»82
Diamo qui sotto l'elenco degli argomenti trattati nel «Progetto». Come
si vede, eccetto gli ultimi tre, essi furono tutti ulteriormente sviluppati
nelle successive opere di Freud, in qualche caso anche a trent'anni di
distanza dalla loro prima enunciazione.
Principi di inerzia e di costanza.
Processi primari e secondari.
Inconscio e preconscio.
Tendenza all'appagamento dei desideri.
Appagamento dei desideri reale ed allucinatorio.
Criteri di realtà.
Funzione inibitrice dell'Io - Energia mobile e fissa.
Separazione funzionale di percezione e memoria.
Rapporti della memoria con le barriere di contatto e con le facilitazioni.
Le tre condizioni di esistenza della coscienza.
Significato del linguaggio.
Il pensiero come attività sperimentale in piccola ·scala.
I traumi ed il dolore come stimoli esagerati.
Protezione di copertura contro di loro e concentrazione degli investi­
menti energetici per padroneggiare le irruzioni.
Assenza di protezione contro gli stimoli interni.
Nessuna formazione di copertura contro gli stimoli interni.
Segni di sofferenza invece di piene dosi.
La teoria di Freud sulla struttura della vita psiehiea (J 900)

Sogni: di desiderio, allucinatori, regressivi, deformati - Assenza di moti­


lità durante il sonno.
Parallelismo tra sogni e sintomi nevrotici.
Importanza della sessualità nelle nevrosi.
Isterismo: difesa, rimozione, spostamento, deformazione.
Significato dell' attenzione.
Analisi dei processi intellettivi, ivi compresi gli errori di logica, ecc.
Rapporti tra rimozione e ritardo della pubertà.
Benché non spetti al biografo emettere suggerimenti, ne vorrei ugual­
mente avanzare uno, cioè quanto sarebbe interessante rilevare le analogie e
le differenze tra lo schema di fisiologia cerebrale descritto da Freud sessanta
anni fa e da lui messo da parte come inadeguato, e le recenti teorie elet­
troniche del funzionamento cerebrale emesse da Hebb,83 Lashley,84 Penfield
e Rasmussen,85 Wisdom,86 Wiener,81 Young88 e altri. Mi pare che da que­
sto punto di vista le concezioni freudiane del disordine neuronico determi­
nato dalla «sofferenza», dell'ordine ripristinato dal piacere, del significato
delle variazioni elettriche a livello sinaptico, e della natura delle tracce
mnemoniche, le sue idee sulle aree associative, ecc., avrebbero un interesse
particolare.

Abbiamo già detto che Freud mise subito da parte questo interessante
lavoro come una cosa di nessun valore, della quale provava anzi Wla certa
vergogna. Questo non è però il particolare più curioso della storia. Il suo
voltafaccia, dalla soddisfazione alla devalorizzazione, non derivò - come
si potrebbe pensare - dall' essersi accorto della incompatibilità del duplice
compito che si era imposto. Al contrario, egli continuò per oltre un anno
ad apportare modifiche alla sua teoria negli stessi termini di anatomia e
fisiologia cerebrale. Non che egli si fosse reso conto dell'impossibilità del
compito, piuttosto non era rimasto soddisfatto dal risultato dei suoi sforzi.
La sicurezza in proposito non è però assoluta. Come abbiamo già visto
parlando della sua teoria della seduzione, Freud continuava ad insistere
su un'idea anche quando era certo per metà di battere una strada sbagliata.
Tornare sui propri passi non fa piacere a nessuno, perciò la spiegazione
alternativa dell'aver chiarito le proprie idee è forse quella giusta.
Comunque stiano le cose, in una lettera a Fliess del IO gennaio 1896 il
filo di pensiero del «Progetto» continua in termini di fisiologia. Freud ap­
portava parecchie modificazioni alla precedente versione, arrivando a sem­
Vita e opere di Freud

plificarla in una certa misura. La modifica più importante era forse quella
per cui la quantità che arriva ai neuroni deriva da un'unica fonte, ossia
dagli organi interni, i quali non hanno alcuna capacità di eccitare i neu­
roni CI). Gli stimoli che arrivano al cervello dagli organi di senso eccitano
semplicemente i neuroni senza farne aumentare la quantità. Essi trasmetto­
no però la loro componente qualitativa al gruppo CI) dei neuroni ~, deter­
minando in tal modo la coscienza. Questa semplificazione sembrava rendere
superfluo il concetto degli speciali neuroni q:>, che veniva infatti modificato
nel modo seguente: essi ricevono gli stimoli degli organi dei sensi, e ne
trasmettono la componente qualitativa ai neuroni CI), i quali a loro volta sti­
molano i neuroni ~ senza trasmetter loro né qualità né quantità.
I neuroni ~ di per se stessi non sottintendono la coscienza finché non
entrano in rapporto con associazioni di linguaggio.
L'inversione dell'eccitazione che si verifica nelle allucinazioni non avvie­
ne solo in direzione dei neuroni ~, ma anche di quelli CI).
Freud faceva poi risalire l'origine della sofferenza ad un conflitto tra la
quantità contenuta nei neuroni ~, proveniente dagli organi interni (ivi
compresa l'energia sessuale), ed i processi di coscienza. In altre parole egli
aveva capito che il conflitto psichico e la sofferenza derivano essenzialmente
dalla difficoltà, da parte dell'uomo, di fronteggiare i bisogni e gli impulsi
del proprio corpo, soprattutto quelli di natura sessuale.
In una lettera del 6 dicembre 1896 Freud mostrò di aver compiuto ul­
teriori progressi sotto vari punti di vista. Il fatto più originale era il con­
cetto che le tracce mnemoniche non si depositano una volta per tutte, ma
che con il passar del tempo vanno incontro a parecchi rimaneggiamenti.
Nel suo libro sull'afasia egli aveva già espresso un'ipotesi analoga per
quanto riguardava le vie afferenti dalla periferia, punto che citava nella
sua lettera.
Egli sosteneva il punto di vista che nei neuroni CI) , connessi con la co­
scienza, non resti alcuna traccia mnemonica, per cui memoria e coscienza
sono «vicendevolmente indipendenti». La prima traccia mnemonica si inci­
de (ovviamente nel «processo primario») secondo la legge associativa della
simultaneità. La seconda registrazione, che si forma in base ad associazioni
causali, è anch'essa inconscia e perciò inaccessibile alla coscienza, e corri­
sponde al pensiero concettuale. La terza, legata alla formazione delle im­
magini verbali, appartiene al sistema preconscio. 811 La coscienza pensante
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00)

secondaria dipende probabilmente dalla reviviscenza allucinatoria delle im­


magini verbali, perciò si vede ancora una volta che la cosc.ienza è le~ata
ai neuroni percettivi CJl, i quali non contengono alcuna traccIa mnemomca.
Freud aggiungeva che, se fosse riuscito a dare una descrizione completa
delle caratteristiche psicologiche della percezione e delle tre fasi delle tracce
mnemoniche, sarebbe stato in condizione di costruire una nuova psicologia.
Egli emetteva pure un'ipotesi che poi non avrebbe più ripreso, cioè che
le tre fasi delle tracce mnemoniche vengano registrate in periodi diversi
della vita.
In ciascuna delle tre fasi vi è una difesa normale contro la liberazione
della sofferenza (Un/usI), diversa però dalla rimozione patologica. Ciò si­
gnifica che il passaggio di una traccia mnemonica da una fase all' altra è
bloccato, e tale blocco dipende invariabilmente dal tentativo di evitare la
sofferenza che ogni nuova registrazione determina. Non è però esclusiva­
mente la quantità di sofferenza quella che conta. Questo si verifica solo
quando il risveglio di un ricordo produce una nuova sofferenza, e non
quando se ne richiama una vecchia. Tale stato di cose è peculiare di certe
esperienze sessuali spiacevoli, per cui solo gli impulsi sessuali vengono sot­
toposti alla rimozione.
Si vede subito che, anche se i sistemi neuronici venivano ancora menzio­
nati nelle sue descrizioni, Freud si stava rapidamente spostando nel campo
della pura psicologia. Questi sono infatti gli ultimi riferimenti che egli fece
alla fisiologia del cervello.
Una eco successiva si trova in una lettera del 22 settembre 1898, in
cui scrisse: «Non sono affatto incline a considerare il dominio della psicolo­
gia come sospeso in aria, privo di ogni fondamento organico. Siccome però
oltre questa convinzione non dispongo di nessuna nozione, né teorica né
terapeutica, mi devo comportare come se avessi avanti a me solo i fatti psi­
cologici.» Da questa posizione non si spostò più. Nel 1905, ad esempio,
scrisse: «Allo scopo di evitare qualunque equivoco desidero aggiungere che
non sto tentando di identificare le cellule o le fibre, o i sistemi di neuroni
che oggi ne hanno preso il posto, con altrettante vie psichiche, anche se
sarebbe po~sibile rappresentare tali vie per mezzo di elementi organici del
sistema neuronico, secondo schemi che è per ora impossibile prevedere.»90
E ancora, nel 1917: «La psicoanalisi spera di scoprire il terreno comune
sul quale l'interdipendenza dei disturbi somatici e psichici possa diventare
470 Vita e opere di Fr~ud

intelligibile. Per far ciò essa deve evitare qualunque preconcetto estraneo
di natura anatomica, chimica o fisiologica, e lavorare solo su ipotesi utili,
esclusivamente psicologiche.»9!

Ed eccoci finalmente giunti alla descrizione che Freud pubblicò della sua
teoria psicologica, e che si trova nel settimo capitolo dell' I n/erpre/azione
dei sogni, il quale è sempre servito da punto di partenza per le successive
estensioni e modificazioni delle idee del suo autore.
Egli adottò in quel capitolo uno schema dell'attività psichica molto simile
a quello del «Progetto», come pure buona parte degli stessi concetti fon­
damentali, ma la terminologia fisiologica era quasi completamente scompar­
sa. Rispetto al «Progetto» il capitolo in questione è più semplice e più
chiaro, anche perché fu scritto per un pubblico più vasto e meno specializ­
zato.
Freud, che aveva naturalmente tratto il suo bagaglio di psicologia pratica
quasi per intero dalla sua esperienza clinica, vagheggiò per lungo tempo
l'ambizione di fare uso di tale esperienza per formulare una psicologia teo­
rica. Perciò rinunciare a questo progetto in favore di un altro basato sulle
sue recenti acquisizioni sui processi onirici deve essergli costato molto caro.
Eppure, se voleva fare del suo libro sui sogni un' opera completa, c'erano
sufficienti motivi per prendere una simile decisione. Per un po' egli si cullò
nell'idea di sfruttare entrambe le fonti, e fu presumibilmente il suo senso
artistico della misura che lo spinse a fare dell'Interpretazione dei sogni solo
un libro sulla vita onirica. Dal suo punto di vista ebbe indubbiamente ra­
gione, però in tal modo ci è giunta un'espressione meno completa delle sue
idee. Egli stesso precisò infatti che il modello della mente che presentava
in quel libro era necessariamente parziale, e che esso richiedeva di essere
ampliato con ricerche basate su dati diversi da quelli onirici.
Esporremo ora i prindpi psicologici desumendoli dalla loro applicazione
ai particolari processi della psicologia onirica, alla quale il capitolo del li­
bro di Freud si riferiva.
Tra le affermazioni psicologiche contenute negli scritti pubblicati da Freud
prima dell'Interpretazione dei sogni ve ne sono due, entrambe datate 1894,
che meritano un particolare interesse. La prima è il principio di costanza,92
meccanismo regolatore al quale Freud restò sempre fedele. 9s Esso derivava
evidentemente dal principio della conservazione dell'energia di Helrnholtz,
secondo il quale in ogni sistema isolato la somma delle forze rimane co­
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (J 900) 47 1

stante. Abbiamo già fornito, in questo stesso capitolo, la definizione datane


da Freud. 94 Sembra che egli vantasse dentro di sé un certo diritto di pro­
prietà circa l'applicazione di questo principio al sistema nervoso, perché in
una lettera del 29 novembre 1895 scrisse di essere seccato del fatto che
Heinrich Sachs se ne fosse appropriato. 96
L'altra è una di quelle definizioni di Freud che sono purtroppo rare.
«Nelle funzioni psichiche va distinto qualcosa (una carica di affettività,
una somma di eccitazioni) che ha tutte le caratteristiche di una quantità,
anche se manchiamo di qualunque mezzo per misurarla. :e qualcosa suscet­
tibile di aumentare, diminuire, essere spostato o scaricato, e che aderisce
alle tracce mnemoniche delle idee, quasi come una carica elettrica alla su­
perficie dei corpi.»98 Le parole tra parentesi indicano che la proprietà in
questione può essere definita sia in termini psicologici (Affektbetrag) che
fisiologici (Erregungssumme). Il concetto che essa fosse in certa misura
autonoma e capace di essere «spostata» da un'idea all'altra era fondamen­
tale ed estraneo alla psicologia del tempo. L'idea che l'affetto fosse indi­
pendente e staccabile lo differenziava nettamente dalla vecchia concezione
di «tono affettivo».97 Era un vero e proprio progresso tratto dal campo
della psicopatologia.
Si ritiene di solito che il massimo contributo di Freud alla scienza sia
stata la sua concezione di una mente inconscia, che viene generalmerite
fatta coincidere con l'Interpretazione dei sogni e che, insieme alla teoria
della libido, ha suscitato la maggiore opposizione. A questo proposito ca­
dono opportune due osservazioni. In primo luogo è interessante ricordare
che !'idea di processi psichici inconsci era più largamente accettata negli
ultimi venti anni del diciannovesimo secolo che nei primi venti dell' attuale,
quando essa incontrò una corrente di incredulità e di ridicolo. Si possono
citare un paio di esempi. Nel 1885 Sir Samuel Wilkes, un distinto medico
londinese che fu in seguito presidente del Royal College 01 Physicians, in
una recensione di un libro di Hack Tuke ammise che l'autore aveva dimo­
strato «non essere la coscienza un elemento essenziale di tutti i nostri atti
psichici», e aggiunse: «Oggi viene generalmente ammesso che i centri più
alti del cervello (cioè la mente) possono essere in piena attività senza che
la coscienza vi prenda parte.»98 L'altro esempio si riferisce a Theodor Lipps,
professore di psicologia a Monaco, un uomo di cui Freud ammirava molto
gli scritti. Nella sua copia di un libro di Lipps, che lesse nel 1898 (31 ag0­
sto), Freud sottolineò il passo seguente: «Non solo noi sosteniamo l'esi­
47~ Vita e opere di Freud

stenza di processi psichici inconsci accanto a quelli coscienti, ma andiamo


oltre e postuliamo che i processi inconsci costituiscono la base di quelli
coscienti e che li accompagnano. I processi coscienti emergono dall'incon­
scio in condizioni favorevoli, per poi sprofondarvisi di nuovo.»""
Da questa osservazione si potrebbe concludere che il passaggio dalla bene~
vola approvazione all'acerrima opposizione, avvenuto dopo il 1900, non era
tanto dovuto all'idea di una mente inconscia in sé, quanto piuttosto al con­
tenuto di essa, che Freud aveva rivelato.
In secondo luogo gli studiosi più attenti hanno capito che il rivoluzio­
nario contributo di Freud non consistette tanto nella sua dimostrazione del­
l'esistenza di un inconscio e forse neanche nell'esplorazione, da lui fatta,
del contenuto di esso, quanto nell'asserzione che vi sono due tipi fonda­
mentalmente diversi di processi psichici, descritti e distinti da Freud in
primari e secondari. Le leggi proprie dei due tipi sono assolutamente di­
verse. Qualunque descrizione del primo tipo richiamerebbe il quadro delle
più bizzarre fonne di follia: esso è dominato infatti da una corrente asso­
lutamente indisturbata che tende ad appagare sul piano im1naginario il de­
siderio che la suscita - e che è l'unica cosa che abbia la capacità di metterla
in moto. Esso è esente da qualunque contraddizione logica e da qualunque
associazione causale, e non ha alcun senso né del tempo né della realtà
esterna. Il suo scopo è quello di scaricare l'eccitazione attraverso qualche
via d'uscita motoria, oppure, se questo non riesce, quello di stabilire un'i­
dentità percettiva - magari allucinatoria - con il ricordo della percezione
di un appagamento precedentemente raggiunto.
Nel processo secondario invece l'energia che fluisce liberamente subisce
numerose inibizioni: essa viene legata, <<.fissata», e la sua erogazione viene
pennessa solo dopo che i processi del pensiero hanno trovato la direzione
in cui si possa realizzare l'appagamento «reale del desiderio», dopo aver
preso in considerazione le circostanze del mondo esterno. «La nostra vita
psichica nasce dal contrasto tra la realtà e l'appagamento dei desideri.»lOo
Questa suddivisione della psiche ha naturalmente un corrispettivo fis~o­
logico, che Freud conosceva a fondo: è quello che va dal semplice riflesso
(nel quale il passaggio dell'eccitazione dalle fibre sensitive a quelle motrici
è immediato ed irrefrenabile) alle varie, complesse reazioni a stimoli che
possono essere s.eguiti o meno da una risposta motoria (e nel. corso delle
quali l'inibizione svolge sempre un certo ruolo). Quindi l'originalità non
sta nella distinzione in sé, ma nell'esplorazione e descrizione dettagliate
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (J 900) 473

che Freud fece dei due ordini di processi, e che prima d'allora non era
stata mai tentata. IOI
:e vero che questa distinzione della natura dei processi psichici corrispon­
de grossolanamente alla distinzione tra inconscio e coscienza, ma questa
seconda concezione è più vasta e richiede ulteriori precisazioni, come ora
faremo risaltare.
Freud fece a questo proposito una osservazione notevole, cioè che da certi
punti di vista il contrasto fra l' «lo» ed il «rimosso» è più. istruttivo di
quello tra coscienza ed inconscio.lo2 Parlando del «Progetto» abbiamo già
considerato, in un linguaggio diverso, molte delle idee esposte nell' I n/er­
pretazione dei sogni. Alcune non hanno che da essere tradotte, cos1 per
esempio: invece dei sistemi di neuroni abbiamo altrettante costellazioni psi­
chiche, invece del concetto fisico di quantità abbiamo un ipotetico <<inve­
stimento» dell'energia psichica, e il principio fisico dell'inerzia SI trasforma
in quello ben noto del piacere-dolore (Lusl-Un/usl).
Freud usava ancora la parola «apparato», e il modello che egli esponeva
era costruito su linee molto simili a quelle del modello fisiologico. Qui
però, in termini di processi psichici, il modello cominciava a prender vita.
Il concetto di azione riflessa veniva preso come prototipo di tutto il fun­
zionamento psichico. Nel modello della mente l'energia fluisce dalla via
d'entrata, afferente, alla via d'uscita, efferente, di essa. Questo andamento
«progr~ssivo» nei riguardi delle sensazioni e percezioni in arrivo è però
sostituito in certi casi da un andamento «regressivo».lo3 Il «processo pri­
mario» in sé si avvicina ad un semplice riflesso. L'eccitazione procede indi­
sturbata verso la scarica motoria.
Come abbiamo già detto parlando del «Progetto», Freud aveva sempre
recisamente distinto la percezione dalla memoria, ed infatti nel suo plastico
modello egli assegnava alle due funzioni un posto diverso. Le tracce mne­
moniche si depositano oltre il punto d'entrata delle percezioni e - proprio
come nella descrizione fisiologica - esse vengono registrate più volte, a se­
conda del tipo d'associazioni che ciascuna nuova idea stabilisce. lo4 Sono tutte
inconsce (o preconsce), sebbene alcune possano entrare nella coscienza, ed
è perciò che Freud, un po' sommariamente, affermava che «coscienza e me­
moria si escludono a vicenda».
Freud partiva da quella che secondo lui era l'unica forza motrice dell'in­
tero apparato: il desiderio. Egli lo definiva «una corrente che circola nel­
l'apparato partendo dalla sofferenza (Un/ust) e raggiungendo il piacere
474 Vita e opere di Freud

(LIIJ/).106 Ciò che determina il piacere è l'alleviamento della tensione rea­


lizzato dalla scarica della corrente, l'eliminazione di essa. Prendiamo come
tipico esempio di desiderio la fame. In questo caso il primo effetto del­
l'eccitazione psichica che ne deriva è il passaggio di una corrente dall' estre­
mità sensitiva a quella motrice dell'apparato, che si manifesta in movimenti
embrionali e privi di scopo (per esempio scalciare, ecc.).
Al suo passaggio però la corrente s'imbatte nella traccia mnemonica di
una preceden,.te percezione associata alla soddisfazione della fame, e se que­
st'ultima persiste e non è placata dai movimenti la corrente «regredisce»
verso le tracce mnemoniche e risuscita la percezione della precedente
esperienza di soddisfacimento. Questo processo, definito da Freud «appa­
gamento allucinatorio dei desideri» si vermca abitualmente nelle psicosi e
caratterizza il processo di formazione dei sogni. Prima o poi però, per
varie ragioni, esso non riesce più a risolvere la situazione, e allora la sof­
ferenza (UnIIlJ/) persiste: è diventata necessaria qualche altra cosa.
Ecco dunque ciò che Freud intendeva quando diceva che sono i bisogni
vitali (die Noi deJ LebenJ) a determinare tutto lo sviluppo mentale. 106 Ciò
che deve accadere è che l'eccitazione prosegua in direzione progressiva verso
le tracce mnemoniche che si sono accumulate successivamente, non più per
semplià associazioni di simultaneità o contiguità, ma secondo leggi causali.
CosI nascono i processi del pensiero. Nel caso in questione il bambino si
rende conto che il solo mezzo di soddisfare realmente i propri bisogni è
che si verifichi una modi.ficazione nel mondo esterno. Allora si mette a gri­
dare e la mamma accorre.
Il «processo primario», dal quale siamo partiti, è dunque tale in più di
un senso: perché è il più importante e perché è il primo in ordine di
tempo. Infatti esiste già nell'infanzia.
Freud usava il termine «regressione» in tre diversi significati: 1. in senso
lopico, riferendosi alla prima metà del suo modello; 2. in senso temporale,
alludendo allora al ritorno a formazioni psichiche precedenti; 3. in senso
fMmale, quando modi di espressione primitivi sostituiscono quelli abituali. 107
n prinàpio del piacere-dolore è fondamentale nella psicologia freudia­
na. Esso regola in modo automatico tutti i processi di in~estimento ener­
geticO. 108 In una lettera del 9 ottobre 1899 Freud riferl che nel leggere
alcuni lavori di psicologia - quando aveva già enunciato .l!- teoria della
psiche che abbiamo or ora esposto - si era imbattuto, negli scritti di un
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00) 47S

autore inglese, in una lunga descrizione dello stesso prinCIpIO, e che ne


aveva provato grande soddisfazione. 109
Passiamo ora a considerare il sistema secondario dei processi psichici.
Esso contiene le successive tracce mnemoniche, frutto di associazioni causali,
delle quali abbiamo già parlato, e possiede due caratteristiche fondamen­
tali: la capacità di inibire il flusso libero e incontrollato proprio del <<siste­
ma primario», e di «fissare» coslla sua energia. Solo quando questo è stato
fatto, il processo secondario può sottoporre a investimento le rispettive idee,
conferendo loro a questo scopo una certa «carica di energia». Esso non può
però assolvere questa funzione se la quantità di sofferenza (Un/usI) che si
libera è eccessiva. In questo caso esso può solo cambiare strada, ciò che co­
stituisce il prototipo della «rimozione». Perciò si fa ogni sforzo per cercare
di impedire la liberazione di sofferenza, e di assicurare in tal modo un in­
vestimento tranquillo, che si traduce probabilmente in un aumento del ren­
dimento. Il sistema secondario impiega a questo scopo dei segnali: idee che
lo avvertono dell' approssimarsi di ricordi spiacevoli. Questo concetto fu
successivamente meglio sviluppato da Freud nel suo libro Hemmung, Symp­
10m und Angsl (<<Inibizione, sintomo e angoscia») del 1926.
I rapporti meccanici che regolano il flusso di energia nei due sistemi
sono quindi del tutto diversi,l.1O anche se lo scopo, cioè la funzione, è iden­
tico nei due casi: la ricerca della soddisfazione di un desiderio o di un
bisogno. Mentre però il sistema primario tende esclusivamente verso una
«identità percettiva», che riproduca la percezione precedentemente registra­
ta dell' esperienza di soddisfacimento, il sistema secondario mira ad una
«identità di pensiero», cioè alla riproduzione dell'azione effettiva. Freud
concepiva il processo di pensiero come un procedimento per tentativi, gui­
dato dalle «idee intenzionali» di soddisfazione. Senza tali idee nessun pen­
siero è possibile. 111 Piccole quantità di energia sono distribuite in varie di­
rezioni finché non si raggiunge l' «identità». Queste quantità devono esser
piccole, non solo per evitare consumi rovinosi, ma anche per poter conser­
vare una energia sufficiente a permettere la scarica motoria, scopo finale,
una volta che sia stata trovata la via adatta al suo svolgersi. Questo pro­
cesso veniva definito da Freud come «principio del minimo consumo di
innervazione». Ciascun pensiero non è altro che un circuito complesso ed
intricato, che ha per meta l'appagamento dei desideri.l.12
Naturalmente, allo scopo di evitare l'errore proprio del sistema prima~
rio, ossia quello di confondere una percezione risuscitata con una percezio­
Vita e opere di Freud

ne reale, il sistema secondario deve avere qualche mezzo per controllare le


percezioni e poter cos1 effettuare la necessaria distinzione tra di loro (Reali­
tatspriifung). Questo avviene praticamente nello stesso modo che abbiamo
già indicato a proposito del «Progetto».
Abbiamo accennato all'idea originale di Freud circa l'autonomia degli
affetti, che si staccava nettamente dalla vecchia psicologia associazionistica.
L'intensità delle idee dipende dalla carica di affettività di cui esse vengono
investite. Vi sono alcuni passi di Freud che ricordano molto la teoria delle
emozioni di ]ames-Lange,113 secondo la quale le idee sono primitive rispetto
alle manifestazioni motorie o secretorie, secondarie. Se cos1 fosse, però, la
concezione di Freud sarebbe stata indipendente da quella da Lange e ]a­
mes.
Il concetto di «rimozione» occupa un posto privilegia~o in tutti gli scritti
di Freud, ed il suo significato può essere certamente considerato uno dei
suoi contributi più importanti ed originali. I fatti appurati erano abbastanza
chiari, quello che invece lo faceva continuamente tribolare era la teoria, che
per lui aveva una particolare importanza per i riflessi che avrebbe avuto
sulla psicopatologia: cos1 per esempio la possibilità che la rimozione nor­
male differisse da quella patologica, la scelta del tipo di nevrosi, ecc.
Freud aveva precedentemente affermato in merito che un'idea poteva
essere rimossa solo quando la sua intensità era scarsa.u' In tal caso 1'10
deve prima privarla deUa sua carica affettiva, che viene trasferita su altre
idee oppure diversamente impiegata. Un anno dopo però, cioè in una let­
tera del IO gennaio 1896, egli scrisse che la rimozione si verifica quando un
conflitto tra impulsi di provenienza somatica e processi psichici alimentati
da percezioni coscienti libera sofferenza (Unlust). La rimozione può veri­
ficarsi a diversi livelli, cioè non solo tra preconscio ed inconscio ma nel
preconscio stesso (manoscritto allegato alla lettera del 25 maggio 1897).
Freud continuava a pensare che tra rimozione e sessualità esistesse un
rapporto particolare. Egli sosteneva che la vita sessuale rappresenta una
fonte indipendente (specifica) di liberazione della sofferenza,1.16 forse a causa
del caratteristico modo con cui il piacere sessuale può trasformarsi in soffe­
renza (disgusto, ecc.). Sotto questo aspetto, poi, sfruttava il paragone tra
libido maschile e femminile. Dapprima (nel manoscritto succitato) egli sem­
brava propendere verso l'idea che quello che veniva rimosso fosse l'ele­
mento femminile, e che gli uomini rimovessero la tendenza a svolgere una
parte passiva nell'omosessualità. Forse questa nozione la prese da Fliess,
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00 ) .77

perché pochi mesi dopo disse all' amico di non aver ancora la possibilità
di saggiare quella ipotesi (che gli attribuiva) né la propria, che era esatta­
mente opposta, cioè che fosse l'elemento maschile ad essere rimosso dal
femminile (15 ottobre). Dopo appena un mese però Freud annunciò di
aver abbandonato questa seconda idea (14 novembre). [Questi concetti sono
analoghi a quelli espressi più tardi da Adler (la «protesta maschile») al
tempo della sua secessione da Freud. Freud spiegò più tardi perché essi
non davano ragione dei dati analitici.] Vari anni dopo tuttavia egli pro­
clamò con molta sicurezza che la rimozione era possibile solo attraverso
una «reazione» (cioè un conflitto) tra due tendenze sessuali (7 agosto
1901). Da questa successione di pensieri resta acquisita l'importanza che
Freud attribul sempre al ruolo della bisessualità nei conflitti intrapsichici.
Egli spiegava la parte specifica che gli impulsi sessuali svolgono nella
rimozione con il fatto che il ricordo di esperienze sessuali spiacevoli ha il
potere di determinare una sofferenza attuale (14 novembre 1897). Questa
concezione però si basava largamente sulla sua vecchia idea che i traumi
sessuali dell'infanzia raggiungessero la loro efficacia solo al momento della
pubertà, epoca alla quale veniva fatta risalire, prima di Freud, la prima
comparsa delle emozioni sessuali.
Le fasi dello sviluppo sono quindi tre: 1. la difesa primaria contro il
dolore o i traumi; 2. la successiva rimozione, con cui l'Io preconscio evita
tutto ciò che tende a provocare una sofferenza (Unlusl) sessuale; 3. la di­
sapprovazione cosciente di un impulso per mezzo di un atto di giudizio.
Com'è noto, Freud divideva la mente, secondo un immaginario piano to­
pografico, in tre parti: inconscio vero e proprio, preconscio e conscio. Va
.però tenuto ben presente che la linea divisoria più importante non è quella
che sta tra la coscienza e il resto, ma quella tra l'inconscio e le altre due
parti. Che un dato processo sia conscio o no conta meno del fatto che esso
appartenga al sistema primario o piuttosto al secondario. In quest'ultimo
caso esso può essere conscio oppure non esserlo.
Il «processo primario», come definito prima, costituisce il nucleo dell'in­
conscio propriamente detto, quella remota provincia della mente che Freud
poteva a buon diritto affermare di aver scoperto ed esplorato. Esso è carat­
terizzato dal fatto di non poter essere ammesso alla coscienza (bewuIIt!eim­
unftihig secondo Breuer).
Freud sosteneva quindi che ciò che è psichicamente reale esiste sotto più
di una forma,llo e inoltre «che l'inconscio è la vera realtà psichica; nella
Vita e opere di Freud

sua natura profonda esso è per noi altrettanto sconosciuto di quanto lo sia
la realtà del mondo esterno, e ci viene reso noto dai dati della coscienza in
modo altrettanto imperfetto di quanto la realtà esterna ci venga resa nota
dall'informazione dei nostri organi di senso. 111 Freud evitò sempre di usare
il termine IInle,bewlIssl (subcosciente) che considerava ingannevole 118 in
quanto fa pensare a qualcosa che sia un po' meno che conscio. Agli inizi
però egli impiegò in una occasione il termine francese sllbconscient. 119
Quello che egli definiva p,econscio contiene la maggior parte della psi­
che, se è lecito dir cosI. Il preconscio non è accompagnato dalla coscienza,
e corrisponde perciò a quello che gli scrittori precedenti avevano chiamato
«inconscio» o «subconscio». Ecco coincide quasi con ciò che chiamiamo lo,
sebbene quest'ultimo affondi alcune delle sue «propaggini» sia nell'inconscio
vero e proprio che nella coscienza. Abbiamo già parlato dell'importante
fUll2ione inibitrice del preconscio sul flusso di energia, originalmente libero,
che è la caratteristica fondamentale del sistema secondario. Tra l'inconscio
ed il preconscio c'è però una barriera simile ad un filtro, e un'altra si trova
tra preconscio e coscienza: le idee possono attraversare queste barriere solo
quando sono soddisfatte certe condizioni, e anche in questo caso funge da
regolatore il principio del piacere-dolore. Siccome in una lettera del 22
dicembre 1897 Freud paragonò la barriera alla censura russa, inefficiente
strumento che il regime zarista aveva opposto alla contaminazione da parte
delle idee occidentali, la parola «censura» è entrata da allora a far parte della
terminologia psicoanalitica. Freud l'aveva però già usata in un suo lavoro
stampato l'anno prima. 120
n preconscio, secondo Freud, non possiede attributi qualitativi, ma solo
quantitativi. In questo esso differisce dalla coscienza, che trae le sue qua­
lità da tre fonti: 1. dalla liberazione del piacere e della sofferenza; 2. dal­
l'associazione con i ricordi verbali, che hanno una qualità propria; 3. dalle
percezioni, più direttamente. Sell2a una certa dose di qualità non può esservi
coscienza. Freud poteva quindi definire la cosciell2a «un organo di senso
per la percezione delle qualità psichiche».121 La coscienza può essere evo­
cata in due modi: per mezzo di uno stimolo percettivo proveniente dal
mondo esterno o per mezzo della fuoruscita di piacere o di sofferenza dal
preconscio. Dal punto di vista della coscienza il resto della mente può es­
sere considerato come un mondo esterno. La coscienza percepisce qualcosa
del resto della mente, in modo analogo a quanto accade nel processo per­
cettÌvo primario.
La teoria di Freud sulla struttura della vita psichica (19 00) 479

Qual è la funzione biologica della coscienza, che sembra distinguere l'uo­


mo dagli altri animali? A differenza di certi filosofi, Freud non considerò
mai la cosdenza come un epifenomeno, e nemmeno come un indice della
realizzazione di un dato processo mentale. Il suo parallelismo fra coscienza
e percezione gli forni lo spunto per definire la funzione di quest'ultima. u2
Proprio come la percezione attira su di sé un atto di. attenzione che ne
dirige lo svolgimento e ne usa gli attributi qualitativi per regolare la
distribuzione quantitativa dell' energia nell' apparato psichico, cosi la co­
scienza, servendosi degli stessi mezzi, regola con precisione i vari sposta­
menti dell'investimento energetico, che possono perfino svolgersi in oppo­
sizione al più grossolano automatismo del sistema piacere-dolore. Essa rea­
lizza cioè la possibilità di un controllo più stabile dello svolgimento dei
processi psichici, sebbene naturalmente la sua stessa natura sia in parte
automatica.

Al punto in cui siamo giunti, e che coincide con l'inizio del secolo, si
può tranquillamente affermare che Freud aveva raggiunto in ogni senso
una piena maturità. Il suo sviluppo intellettuale era stato precoce, ma il
lato emotivo della sua vita, già tardo a lasciarsi risvegliare in genere, aveva
richiesto un tempo maggiore prima di raggiungere la stabilità. Trascorso
questo periodo, però, c'imbatteremo in un essere molto diverso dall'uomo
sofferente e angustiato che aveva dovuto aprirsi la strada in mezzo a diffi­
coltà sia esteriori che interiori.
Che sia stato un uomo laborioso, anzi un lavoratore eccezionalmente ac­
canito preso al massimo dal suo lavoro, risulta chiaro da tutto ciò che rea­
lizzò, e di cui è rimasta solo una piccola parte. Che sia stato un pensatore
brillante è evidente a chiunque abbia letto quest'ultimo capitolo. Ma aveva
due qualità, di gran lunga più rare di queste: un'immaginazione crea­
tiva che, una volta affrancatasi dalla rigida disciplina dell'educazione scola­
stica, lo condusse agli estremi confini del pensiero, ed un superbo coraggio
che, insieme alla sua assoluta integrità, gli permise di afferrare fantasmi
nascosti in quegli abissi dove nessun essere umano aveva ancora osato av­
venturarsi.
Note

1. Confronta le parole di Goethe: (<Alles V,rgangliehe ist nur ein Gleieh.


ms.»
2. (cTageblatt der Versammlung Deutscher Naturforscher und A.rzte»,
1881, p. 118.
3. T. F. Herbart, Samtliehe Werke, Lipsia 1886, V, 218.
4. G. W., IV, 282.
5. lbid., XIII, 413.
6. Ernst Mach, di Vienna, pubblicò i suoi Beitrage zur Analyse der Emp.
findtmgen (Contributi all'analisi delle sensazioni) nel 1886.
7. V. p. 74.
8. Frase di Hughlings Jackson, in On affeetions 01 speeeh Irom diseases 01
Ihe brain (Brain, VoI. I, 1879).
9. Brain, p. 306; Aph., pp. 56, 57.

lO. G.s., I, 298.

11. V. pp. 453·454.


12. SII/dien, p. 161.
13. N. Wiener, Cyberneties, New York,Wiley, 1948; Hixon Symposium
(a cura di L. A. Jeffces), Cerebral Mechanisms in Behallior, New Yock, Wj·
ley, 1952.
14. G.W., XIII, 405.
15. V. capp. XI e XII.
16. Chaccot, Poliklinisehe Vortrage, Vienna 1892.
17. T. Lipps, Grl/ndlatsaehen des Seelenlebens, Monaco 1883; Komik unti
HI/mor, Monaco 1898.
18. W. Jerusalem, Urteilslunklion, 1895.
19. M. Dorer, Historisehe Grllndlagen der Psyehoanalyse, Lipsia 1932.
20. Ober die psychologischen Grundlagen des Preudismus, I.Z., II, 1914,
305.
21. Herbart, op. cit., II, 19.
22. Concetto analogo a ciò che Cannon dennl in seguito (comeostasi».
23. Herbart, op. ciI., V, 20.
24. G. T. Fechner, Elemenll d" Psychophysik, 1860.
Note 481

25. Principles of Psychology, Londra 1891, I, 334.


26. lbid., p. 549.
27. Nelle ricerche bibliografiche sui sogni, Freud esaminò probabilmente il
capitolo di Herbart su quest'argomento (G. W., II-III, 80).
28. G. A. Lindner, Leh,buch de, emPi,ischen Psychologie nach genelische,
Melhode, 1858, p. 63.
29. Fechner, op. ciI., II, 521.
30. G. W., XIV, 86.
31. T. Meynert, Sammlung von popula,-wiSIenschafllichen VO,I,agen ube,
den Bau und die Leislungen des Gehi,ns, Vienna 1892: Das Zusammenwi,ken
de, Gehi,nleile, p. 231; Zu, Mechanik des Gehi,nbaus, pp. 11, 24 SI.
32. V. p. 266.
33. T. Meynert, op. ciI., p. 223.
34. lbid., p. 12 sgg.
35. lbid., p. 229.
36. lbid., p. 33.
37. Hemmung.
38. Zu,iickd,iingen.
39. Ve,d,angen.
40. V. p. 341
41. T. Meynert, op. ciI., p. 20.
42. W. Griesinger, Palhologie und The,apie de, Psychischen K,ankheilen, II
ed., 1867, p. 26 sgg.
43. lbid., p. 6.
44. lbid.
45. Dorer, op. ciI., p. 149.
46. V. pp. 447-448.
47. E. von Hartmann, Philosophie des UnbewuSIten, Vienna 1869.
48. Questo era presumibilmente il titolo per il libro che Freud progettava.
49. V. p. 356.
50. Sigm. Exner, Enlwu'f zu eine, physiologischen Erklii,ung de, psychi­
schen Erscheinungen, Vienna 1893.
51. lbid., parte I, p. 3.
52. lbid., p. 50.
53. lbid., p. 79.
54. lbid., p. 76
55. lbid., pp. 366, 367.
56. E. von Fleischl-Marxow, Gesammelle Abhandlungen (a cura di O. von
Fleischl-Marxow), Vienna 1893.
57. Nell'annunciarlo a Fliess, Freud osservò: «Ti scrivo tanto poco perché
sto scrivendo tanto per te» (Anf., p. 134).
58. Anf., p. 136.
59. lbid., p. 137.
60. lbid., p. 143. V. p. 269.
61. Loc. ciI.

16 - I
Note

62. Cioè la mente.


63. AnI., p. 141.
64. Termine con cui di solito Freud si riferiva al «Progetto» nelle sue lettere.
6~. AnI., p. 14~.
66. Questo termine era stato coniato appena quattro anni prima da Wald~
eyer, ma Freud già da molti anni prima si era abituato a concepire la cel­
lula nervosa con i suoi processi come un'unità distinta, ben delimitata nei
suoi confini da ciò che egli chiamava «barriere di contatto» (definite da Sher­
rington «sinapsi» nel 1897). V. pp. 80, 81.
67. SlurJien, pp. 167-173.
68. Meynert, op. cii., p. 223.
69. Exner, op. cii., p. 171.
70. AnI., p. 380.
71. SlurJien, p. 171.
72. C.P., V, 30.
73. James Strachey, introduzione al voI. IV dell'Edizione Classica di Freud,
Londra, Hogarth, 1953.
74. Poco dopo Gaskell dimostrò il contrario, cioè che questi gangli derivano
dal sistema nervoso centrale (W. H. Gaskell, The lnvo/unlary NervoNs Sy­
slem, 1916, pp. 150-160).
n. SlurJien, p. 164.
76. Concetto tratto da Meynert (Aph., p. 47).
77. Anf., p. 402.
78. Nei suoi scritti Freud usò il termine «realtà» in molti sensi diversi
(Hans Loewald, Ego anrJ Realily, I./., XXXII, 1951, lO; Lajos Székely, Dù
Realilal in rJer Auffassung PreurJ's, «Theoria», XVII, 1951, 240).
79. G. W., X. 287.
80. L. S. Penrose, l.]., XII, 92.
81. Anf., p. 440.
82. IbirJ., p. 4~0.
83. D. O. Hebb, The Organizalion 01 Behaviours, New York, Wiley, 1949,
84. K. S. Lashley, Brain Mechanism anrJ lnlel/igence, Chicago, UniversitJ
of Chicago, 1929.
8~. Penfield e T. Rasmussen, The Cerebral Cortex of Man, New York, Mac·
millan, 19~0.
86. ]. O. Wisdom, The HYPolhesys of Cybernelics, «The British Journal fO!
the Philosophy of Science», II, 1951, l.
87. Wiener, op. cito
88. ]. Z. Young, Doubl anrJ Certainty in Science, New York, Oxford, 1951
89. Prima enunciazione di questo concetto.
90. G.W., VI, 165.
91. IbiJ., XI, 14.
92. V. pp. 288, 460.
93. Anf., p. 98.
94. V. p. 459.
Note

95. V. p. 288.
96. G.s., I, 305.
97. J. H. Schult2, Psychot#naly.re,· die Breller-Prelldschen Lehren, ihre Enl­
wicklllng IInd AlIfnahme, «Zeitschrift fiir angewandte Psychologie», II. 1909,
442.
98. S. Wilks, Brain, II, 1885, 553.
99. Lipps, Grllndtalsachen des Seelenlebens, 1883, p. 149.
100. Anf., p. 296.
101. Per ciò il lettore va rimandato agli scritti originali di Freud.
102. G. W., XIII, 244.
103. Freud distinse raramente le une dalle altre ed usò indiscriminatamente
il termine Empfindllngen.
104. V. p. 461.
105. G. W., II-III, 604.
106. lbid., p. 570.
107. lbid., p. 554.
108. lbid., p. 580.
109. H. R. Marshall, Pain, Pleasllre and Anthelics, New York 1894; Aesthe­
tic Principles, New York 1895.
110. G. W., II-III, 605.
111. lbid., p. 533.
112. lbid., p. 607.
113. lbid., p. 588.
114. SllIdien, p. 146.
115. Anf., p. 158.
116. G. W., II-III, 620.
117. lbid., p. 617.
118. lbid., p. 620.
119. G.s., I, 288.
120. lbid., p. 386.
121. G. W., II-III, 620.
122. lbid.
Indice analitico

Abbazia, 402
Antisemitismo, 356, 408

Abraham Karl, 352, 411, 414


Antitetiche, idee, 346

Achensee, 364, 379, 405


Aquileia, 403

Acustico, nervo, 256-257, 270


Arezzo, 403

Adler Alfred, 208


Aristotele, 68, 69

Adler Viktor, 74, 90n, 244


Arlt, 88

Adriatico, 68
Aschenbrandt Theodor, 115, 135n

Afasia, 263-266, 271, 273n, 441


Assisi, 403

Agnosia, 266
Associazionistica, psicologia, 424, 448,

Alessandro Magno, 45
452

Alfonso XII; 239


Attenzione, 465, 479

Allotrion, 119
Aussee, 364, 392, 400, 401, 403,

Amburgo, 144, 146, 153, 155, 157,


404

159, 202, 211, 403


Australia, 225, 227

America, 225-227, 249, 357


Autoaccusa, 118-119, 125

Amilcare, 49
Autoanalisi, 320, 370, cap. XIV

Amleto, 422, 427


Autoerotismo, 390

Amoeceti, 78

Andrea-Salomé Lou, 215


Babinski, 261, 293, 324n

Angoscia, 315, 343


Bacone Francis, 48

Angoscia, nevrosi di, 310-316


Baden, 100, 144, 211, 214

Anguille, maschi, 69, 105


Baginsky Adolf, 139, 236, 262

Anna O., v. Breuer


Baker Rachel, 26, 39n

Annibale, 49
Balzac, 47

Anscherlik, 100
Bamberger von, 283

Anticoncezionali, metodi, 364


Bastian Charlton, 265

Indice analitico

Beard, 310
Minna, 125, 136n, 142-143, 156­
Bellevue, 400, 42~
157, 185, 193-197, 207, 210-211,

Benedikt, 139, 188, 30~


226, 403-405

presenta Freud a Charcot, 282


Bernfeld, Siegfried e Suzanne, cap.

Berchtesgaden. 369, 401, 404


XIV, 30, 33, 34, 40n, 46, ~1, ~4n,

Beregszaszy von, 285


~7, ~9, 6~n, 67-68, 70, 72, 84, 90n,

Bergamo, 406
10~, 112n, 133, 204, 283

Berghof, 405
Bernhardt 269

Bergner Alfred von, 307


Bernhardt Sarah, 223

Berlino, 350, 352, 355, 357, 364-366,


Bernheim, 227, 290, 292-293, 443

402
traduzioni, 263, 282, 292

Bernays famiglia
Bernina, Passo del, 404

Berman. 140
Bettelheim, 209

Edward, 159
Bibbia, 46, ~7

Eli. 50, 54n, 140, 153, 158, 203,


Billroth, 88, 97, 108, 126, 277, 415

208-209, 212
Binet, 333

amore per la sorella, 154


Biologia, 64, 67, 68

matrimonio con Anna Freud, 142,


Bisessualità, 377-383

154, 158
Bismarck, 238

screzi con Freud, 158, 177-178,


Bleuler Eugen, 306, 330

189
Bloch, 401

temperamento, 154
B'nai B'rith Verein, 399, 426

Emmeline, 147-148, 155-157, 163,


Bologna, 402

169, 175, 190


Bolsena, 403

Isaac, 140
Bolzano, 47, 405

Jakob, 140
Bonaparte Marie, 20, 87, 91n, 351

Louis, 192, 207


Bormio, 404

Martha, 100-101, 107, 114, 116,


Borne Ludwig, 30, 300-301

120, capp. VII e VIII


Botanica, 88

aspetto esteriore, 140


Boulanger, 230

carattere, 141, 161-165


Brandes Georg, 220, 398

dote, 192, 207


Braun (professore), 109

letteratura, 218-220
Braun, 209

incODtrO COD Freud, 96, 142-144


Brentano, 68, 87

separazioni, 114, 146, 159-160,


Brescia, 404

166, 171
Breslavia, 36, 364, 379

Michael, 140
Bressanone, 25

Indice analitico

Brett G.S., 74, 90n Beuto, 50

Breuer ]osef, 28, 76, 87, 185, 188,


Bruxelles, 227-228

240, 244, 263, 296-297, 302, 304­ Buczacz, 25

305, 333-334, 354, 359-360, 442,


Buenos Aires, 227

459-461, 464, 477


Bunker H. A., 310, 326n

e Anna O., 277-280, 298, 304, 306,


Burckhardt (direttore), 418, 432

324n Burckhardt ( storico), 399

carriera, 276
Burns Robert, 219

e Fleischl, 126
Butler Samue1, 87, 91n

aiuta Freud, 187, 213-214, 249,


Buxbaum Edith, 379, 385n

277
Byron, 219

idee sulla psicopatologia, 333-334

impresta danaro a Freud, 95, 205­ Cabanis, 440

206, 231
Cajal Ramon y, 81

personalità, 212, 213


Calderon, 220

si separa da Freud, 208, 306-309,


Cannon, 446, 480n

359, 372, 376


Carmen, 224, 237

Stlldi sllll' isterismo, 305


Carpenter, 452

Breuer Mathilde, 186, 188, 213


Catartico, metodo, 278, 295, 297 sgg.,

Broca, 264-265, 328


344

Brody, 27
Cattaro, 404

Brouarde1, 233, 261, 302


Causalità, 440

Browning Robert, 400


Ceca, lingua (cecoslovacco), 29, 30, 61

Briicke, 57, 67-68, 70, 71, 76, 78-79,


Cellule

83, 88, 93-95, 114, 254, 277, 305,


bipolari, 79

358-359, 443, 445, 447-448


gangliari, 79, 270

e Fleischl, 127
nervose, 79-83

e la Scuola di He1mholtz, 71-74,


unipolari, 79

303
Censura, 429-430, 445-446, 478

aiuta Freud per la Docenza, 105­ Cervantes, 210, 221

106
Cervelletto, 256, 270

ottiene la borsa di studio, 93, 94,


Charcot, 76, 101, 108, 287-289, 293­
108-110
295, 301-303, 333, 443

personalità, 71, 74-75


aspetto fisico, 231-232, 260

Briihl Carl, 57 .
casa visitata da Freud, 232-233

Brun R., 80, 269


idee sull'isterismo, 269, 280-283

Beust, 209
come insegnante, 231-232, 258

Indice analitico

personalità, 231-232, 258, 269


Desideri, appagamenti dei, 427, 429,

posizione in neurologia, 258


472

traduzioni di, 258-260, 263, 282


Determinismo, 67, 76, 299, 438-440

Charmatz N. H., 27, 39n


Dichiarazione d'Indipendenza, 50, 54n,

Chimica, 57, 93
154

Chioggia, 402
Dickens Charles, 144, 207, 220

Chiusi, 403
Dinamometro, 86, 128

Chrobak, 277, 303


Disraeli, 220

Clarke Mitchell, 306, 325n


Dominio degli uomini, ricerca di,59

Caus Carl, 68-70


Dora, analisi di, 361, 428, 433-434

Cloruro d'oro, metodo del, 82, 253­ Dorer Maria, 445, 450-452

256
Dresda, 223, 227, 364

Cocaina, cap. VI, 373


Dreyfus, caso, 356

Colonia, 25, 36, 228


Du Bois-Reymond Emil, 71, 74, 88

Concentrazione, tecnica di, 297


Dumas Alexandre, 47

Conrad K., 266, 273n


Duse Eleonora, 403

Conservazione dell'energia, 72, 470­


471
Ecgnonina, 124

Contatto, barriere di, 461-462


Eckstein Fritz, 57, 65n

Copertura, ricordo di, 29, 43, 51, 61,


Ecolalia, 266

62
Edipo, complesso di,52, 295, 371,

Conversione isterica, 306, 308, 334,


389-393, 421, 427

337, 445, 446


Edipo re, 223

Coquelin, 223
Ehrmann, 253

Coscienza, 462, 478-479


Einstein Albert, 440

Costanza, principio di, 228, 336, 446,


Eissler Kurt, 386, 396n

460, 470
Elettricità, 236, 251, 288-289

Cromwell Oliver, 50, 225, 381


Eliot George, 220

Ellis Havelock, 306, 325n

Dachstein. 401
Emianopsia, 263

Dalmazia, 404
Enuresi, 267

Dante, 415
Eraclito. 386

Darkschewitsch L., 223, 234. 255­ Erb W., 289

256, 258, 288


Erlenrneyer, 129-130

Darwin Charles. 57, 60, n


Erogene, zone, 388

Daudet Alphonse, 139, 233-234


Esquirol, 100

Davies H. M., 342


Eulenburg, 252

Indice analitico

Evans, Sir Arthur, 355, 399 dispute con Freud, 208, 377-380,
Evoluzione, 57, 73 391
Exner Franz, 447 idee, 352-354
Exner Sigmund, 68, 70, 76, 83, 94, personalità, 352
126, 138, 214, 263, 273n, 277, 409, Fluss Alfred, 30, 209
423, 454-455, 459 Fluss Emil, 30, 47, 64, 209
Fluss Gisela, 30, 51-52, 62, 65n, 138,
Facoltà, psicologia delle, 448 209
Fluss Richard, 30, 89, 209
Faenza, 402
Forel August, 81, 290
Fechner G. T., 277, 446-448
Forze fisiche, 71-74
Ferenczi Sandor, 208, 411
Franceschini R., 128, 209
Ferrier, Sir David, 253, 453
Frankl-Hochwart, 408
Ferstel Marie, 409 Freiberg, 25, 30, 35, 36, 61, 356
Fichte, 439 Freud Adolfine (Dolti), 27, 33, 185
Fielding, 220 Freud Alexander, 27, 45, 156, 398,
Finkelnburg, 265 402-403
Firenze, 402, 406 Freud Amalie (nata Nathansoho), 26­
Fisiologia, 64, 67-68, 73, 83 27, 33, 34, 36, 46, 239, 247n
Flaubert, 221 Freud Anna, cap. XIV, 87, 91n, 209,
Flechsig, 99, 253, 254, 255 277, 322n, 351
Fleischl-Marxow Ernst von, 68, 70, Freud Anna (più tardi Beroays), 27,
75, 83, 88, 96, 110, 124, 205, 206, 32, 33, 38, 47, 49, 50, 142, 148,
231, 236, 251, 253, 423, 455 158, 405
e la· cocaina 115-116, 118, 126, 127­ Freud Bertha, 52, 55
129, 132 . Freud Emanuel, 26, 29, 32, 34, 37, 50­
e la mortina, 115-116, 118, 126 52, 202-203, 226, 378
morte, 96-97, 128 Freud Ephraim, 26
personalità, 75, 125, 126 Freud Ernst, 26, 46, 196, 239, 431,
posizione, 75 437n
sofferenze, 115, 126, 127 Freud Harry, 48
Fliess Wilhelm, 239, 296, 308-309, Freud Jakob, 26-27, 30, 32, 34, 35-36,
313, 319, 332, cap. XIII, 455, 476­ 45, 46, 94, 122, 239
477 cambiamento della data di nascita,
congressi, 364-365 239
corrispondenza, scoperta della, 350­ morte, 26, 239, 391-392, 427, 436n
351 nascita, 26
Indice analitico

Freud Joho, 26, 31-32, 34, 37, 38, ~O, esami, 46-47, 56, 61, 88-89, 92
96 esperimenti, 84-86, 128
Freud Josef, 28 fidanzamento, anello di, 145-146,
Freud Julius, 27, 31 253
Freud Marie (Mitzi), 26, 27 61osofia, 58, 6B, 70, 87, 358, 458
Freud Martin, 196, 240, 247n fumo, 373-375
Freud Mathild~ 196, 213, 261, 277 gelosia, 31, 38, 149 sgg.
Freud Moritz, 26 guadagni, 406
Freud Oliver, 196 guerrieri, ideali, 31, 49, 59
Freud Paula, 27 ideali, 60, 62, 71
Freud Pauline, 26, 34, 52 infanzia, memorie di, 30-31, 32,
Freud Philipp, 26, 33-34, 37, 38, 41n 33, 42, 43
Freud Rosa, cap. XIII, 27, 33, 47, 124 ipnotismo, 228, 283, 290, 292-294,
148, 192, 201, 203, 209. 401, 40~ 296-298
Freud Schlomo, 26 letteratura, 218-221, 355, 415-416
Freud Sigmund libri progettati, 262-263, 418, 431
aggressività, 32, 244 lingue, 48
ambivalenza, 32 manoscritto (Fliess), 350
amore per l'Inghilterra, 37, 47, 50, materialismo, 74
225 matrimonio, 191-195
amore per la natura, 35, 400 medica, abilitazione, 88-89, 92-93
anonimi, scritti, 30 medica, professione, 56, 92, 95, 96­
antisemitismo, 49, 50, 224, 356 98
avversione per le cerimonie, 183, mediche, societ~, 411-412
193, 213 mento, ferita al, 31
per Vienna, 42, 224, 356 militare, servizio, 86, 190-194, 239­
Berggasse, 397 241
bibliografie, 80, 90-91n, 269 modo di lavorare, 133, 413-415
borse crt studio, 68, 107-109 morte, 25
cattoliche, -credenze, 29, 35, 45-46 predizione della, 374
conferenze e lezioni, 205, 2~O, 272n musica, 44
410-412, 426 nascita, 25, 26, 28
congressi, 364-365, 412 nevrastenia, 216-217, 368-369
docenza, 102-106, 217, 226 opinioni, sul popolino, 237-238
ebraici, sentimenti, 49 sulle donne, 221-223
emigrazione, piani di, 225, 249 ottimistica, natura, 109, 218
eredità. 26, 27, 28 passione degli aneddoti, 49
Indice analitico 491

povertà, 199 sgg., 230-231


Gaskell W. H., 461, 482n

precisione, 62-64, 71
GattI, 403

primi presagi, 28, 29


Genova, 405

prime pubblicazioni, 78
Giurisprudenza, 56, 57

professione, scelta della, 50, cap. III


Glaucoma, 122

professorato, 408-410
Gleichenberg, 211

religione, 45-46
Gmunden, 214, 221, 228

riparazione, tendenza alla, 43


Goethe, 43, 57-58, 74, 219, 387, 400,

sdatica, 169-170, 214-215


439,480n
scienza, 63, 71
Goldstein, 266

scopi, 25, 60, 63-64, 357-358,416-417


Gomperz Elise, 409

se stesso, descrizione di, 242-244


Gomperz Theodor, 87, 409

se stesso, fiducia in, 29


Grashey, 264

se stesso, rimproveri a, 31, 37-38,


Griesinger, 424, 447, 450

114, 118-119
Grillparzer, 223

Sekundararzt, 97, 103


Gudeler, 239

sessuale, sviluppo, 51, 330-332


Guerra

sport, 45
austro-italiana, 35

tifoidea, febbre, 214-215


austro-prussiana, 47

vaiuolo, 214-215
franco-prussiana, 44

viaggiare in treno, fobia di, 36, 227,


Guinon, 261

369, 370

zii, 27-28
Hallstatt, 401

Freud Sophie, 209


Halsted W. H., 131

Freud-Marlé Lily, 25, 39n


Hammerschlag, 205, 209, 212, 277

Freund C. S., 288


Hammond W. A., 131

Freund M., 85, 91n


Hansen, 289, 305

Freytag Gustav, 220


Harte Bret, 220

Friedjung, 415
Hlirtel Freiherr von, 409

Fritsch, 453
Hartmann Ed. von, 452

Harz, montagne della, 45

Gabinetto, Ministro di, 29, 56, 85


Head Henry, 266, 341

Gaertner, 86, 121, 135n


Hebb, 467

Galizia, 25-27, 36
Hebbel, 331

Galton, Sir Francis, 300, 324n


Hebra, 88

Gambero, 80, 82, 86, 93, 270


Heidenhain, 289, 44~
Gangliari, cellule, v. Cellule
Hein, 107, 218

49 2 Indice analitico

Heine. 140. 219. 237. 242-243, 246n, Ischl, 26, 402


300, 400 Isterismo. 317 sgg.• 431
Heitler, 117, 185, 212, 251 Istituto
Helmholtz Hermann. 71, 72, 88, 114 chimico, 93, 253
scuola di medicina, 71. 74, 265, 277. fisiologico, 70, 74, 76·77, 83, 86, 89,
299. 312, 35'. 3'9. 443. 459 93, 95, 106, 147, 208, 276, 277,
Herbart, 341, 439. 443, 445-447 445
Herder, 47 Kassowitz, 231, 288·289, 328
Hering Ewald, 139, 276 patologico, 85, 100, 252
Herzig, 128, 209, 212, 221, 410 Istologia, 57, 83, 252, 328
Hirschfdd Magnus, 380 Italia, 400.406, 407
His Wilbelm, 81
Hitler, 351, 357 Jackson Hughlings, 265, 266, 427, 441
Hitzig, 453 Jacobsen ]. P., 415
Hocbe, 290, 323n, 432 Jaksch, 214, 252
Hoffmann, 89 James William, 446
Holllinder, 100-101. 186, 188, 212, James.Lange, teoria di, 476
248, 253 Janet Pierre, 84, 334, 337
Horowitz, 253 Jeffres L. A., 443, 480n
Horsley Sir Vietor, 453 Jekels Ludwig, 293, 323n, 411, 420n,
Hugo Victor, 223, 230 432, 437n
HuxIey T. H., 86, 218 Jeliffe S. E., 80, 250, 266
)erusalem W., 444
Imperatori Jones Ernest, 315, 326n
Francesco Giuseppe, 239, 375, 410 Josef, importanza del nome, 28
Giuseppe n, 53 n, 262 Jung, 208, 381
Guglielmo II, 356
Incestuosi, desideri, 389-390, 393 Kant, 440, 448
Inconscio, 335, 471-472 Kaposy, 107, 110
Infantile, sessualità, 318·319, 342, 388· Karpinska Luise von, 445
390 Kassowitz F. N., ilO, 185, 261·262,
Inferno, 36 267, 2Hn, 401
Inghilterra, 61, 225, 249, 357 Keller Gottfried, 220, 415
Innsbruck, 364, 399, 405 Keplero, 264, 368
[nterolivare. fascio, 255·256 Kleinpaul, 415
[o, 463. 473 Kleist Heinrich von, 224
Ipnoidi, stati, 334, 337 Knapp, 130
Indice analitico 493

Knopfmacher, 84, 88, 95, 209 Loewald Hans, 463, 482n


Koller Carl, 86, 114, 121-125 LOwbeer Lea, 184. 192. 194, 207
Konigstein Leopold, 114, 122-125, 129, LOwenfeld. 311. 377. 390. 418. 433.
212, 251, 268. 285. 398. 401 443
Krafft-Ebing, 317. 331. 359. 408. 409 Lubecca. 173. 194. 423
Kraft Viktor, 67. 105. 112n Ludovico II, 239
Krauss Karl, 380 Ludwig Carl, 71, 93
Kreisler Fritz, 235 Lustgarten. 93, 107-108, 253. 405
Kris Ernst, 20, 29. 40n, 314, 319.
327n, 351 Mach Ernst, 277, 440, 449, 480n
Kunradt, 250 Madre, v. Amalie Freud
Kutschin, 79 Madrid, 227. 423
Malattia. conquista della, 344
Laistner, 416 Mal/eui Maleficarum, 416
La Mendola, Passo, 405 Maloja, 404
Lashley K. S.• 467 Manchester, 37. 52, 58, 203, 226
Latenza, periodo di, 382 Mann Thomas, 416
Laurana. 402 Mantegazza. 118
Lavarone, 405 Marie Pierre, 261. 268
Leidesdorf. 106, 108, 284, 292 Marlé Arnold, 196. 198n
Le Prese, 404 Marshall H. R., 475, 483n
Levine Israel. 87, 91n Massena, maresciallo, 31, 49, 59
Libero arbitrio. 63-64. 438-439 Maupassant Guy de, 415
Libera associazione, metodo della. 295 Mayer Max, 143, 149-150
sgg. Mayer Robert, 72
Libido, teoria della, 360, 476 Melancolia, 340
Lichtheim Rudolf, 209 Mnemonica, traccia, 336-337. 461, 471,
Liébault. 292, 429. 436n 473-474
Liepmann, 432 Mendel Kurt, 139, 236
Lincoln Abraham, 50 Merano, 404
Lindner G. A .• 447 Metapsicologia, 358, 416, 428
Linguaggio, 67, 465 Meyer C. F., 355, 415
Lipps Th.. 444, 471 Meynert Th., 48, 88, 94, 97, 99, 101,
Lipsia, 36, 223. 227, 244 105-106, 182, 248, 264, 304, 341,
Little, morbo di. 268. 412 359, 424, 438-440, 445,447, 448­
Lituania. 25, 36 451, 459
Livorno. 403 cervello, anatomia del, 99, 266, 291
494 Indice analitico

cordialità verso Freud, 186, 187­ Neuropatologia, 57, 106, 359


188, 248, 257 Neutitschein, 30
e FI«bsig. 99, 253, 291 Nevrastenia, 310
ipnotismo, 289-293 Niemann, 117
laboratorio, 186, 187, 248, 252, 255 Nietzsche, 389, 427, 436n
e leidesdorf, 106-108, 292 Nordau Max, 139, 234
come psichiatra, 99 NorUnberga, 365, 383, 385n, 403
ostilità verso Freud, 101, 208, 283, Nothnagel, 94, 97-98, 105, 108, 124,
284, 286, 288, 291 139, 186, 187, 225, 226, 243, 252,
Midollo allungato, 106, 254-256, 270 269, 408, 409, 456
Milano, 404 Notre-Dame, 230-231
Mill John Stuart, 87, 221-222, 409
Miltoo, 219, 225, 246n Obersteiner, 107, 123, 126, BO, 290
Mitchell Weir, 290, 449 Odessa, 27, 203
Moebius, 289, 335, 357, 384n, 443 Olanda, 357
Molière, 223 Olmiitz, 240-241
Monaco, 364, 378, 381, 401, 412 Omeostasi, 446, 480n
Monakow voo, 257
Omero, 220
Montenegro, Governo del, 102, 170
Orvieto, 403
Moravia, 25, 35, 36, 42
Ospedale Generale di Vienna, 97 s88.,
Morel, 100
110
Mounet-Sully, 223
Ossessiva, nevrosi, 338-H9, 342-343
Mozart, 224, 398
Milller Johannes, 72 Oxford, conte di, 48
Multatuli, 415
Myers F. W. H., 304, 325n Padova, 402
Padre, autorità del, 30-31, 43, 45
Nancy, 227, 292 v. anche Jacob Freud
Nanoie, 29, 30, 33, 38, 45, 187 Palestina, 36
Napoleone, 107, 300, 411, 420n Paneth Josef, 28, 97, 184, 206, 209,
Nal.,philoJophie, 13-74, 303 212, 231, 263, 213n
Nazisti, 25 Papa, 35
Nervose, cellule, v. Cellule Pappenheim Bertha, 277-279, 322n
Nestroy, 220 Paralisi
Neuroanatomia, 83, 85-86, 261-262 cerebral~ 261, 263, 267-271, 213n
Neurologia, 110, cap. X isteriche, 261, 287, 332, 337
Neurone, teoria del, 80, 81, 270 Paranoia, 339-340, 343
Indice analitico 49S

Parigi, 175, 227, 229-231


Psicoanalisi, 298 sgg., 344, 469-470

Pascal, 446
basi della, 443 sgg.

Pasqua, 187
nascita della, 305-306

Pen6eld W., 467


termine usato per la prima volta,

Penrose L. S., 464, 482n


298

Père Lachaise, 230, 300


Psico6sico, parallelismo, 441

Periodicità, 353-354, 382


Pubertà, 318, ;38

Perugia, 403
Puner Helen, 39n, 40n, 54n, 65n

Peterson P., 252, 272n


Putnam ]ames, 138

Petromyzon, 78-82, 105

Pfenning, 380, 385n


Quantità, 459 sgg.
Philipps Elias, 146, 175

Piacere, principio del, 449, 454, 460,


Rabbino, 26, 39n
462, 468, 473-474, 475
Ragusa, 404

Pisa, 403
Raimann, 432

Platone, 87
Rank Otto, 411

Plowitz, 251
Ranke, 220

Podratzsky (generale), 86
Ranvier, 233-234

Poggibonsi, 403
Rasmussen T., 467

Polineurite, 250
Ravenna, 402

Pollak ]osef, 102, 212


Rax, 401

Pollitzer, 108, 186


Raymond, 329

Pontresina, 404
Realtà, 463, 465, 472, 475-476

Popper, 62, 65n


Regressione, 334-335, 390, 473-474

Popper-Lynkeus ]osef, 28, 62, 66n,


Reichenau, 146, 228, 400-401

430
Reichenhall, 227, 403-404

Prater, 28, 124, 143, 209


Reichert, formula di, 82

Preconscio, 468, 478


Reissner, 78-79

Prince Morton, 277


Reuss (professore), 124

Processi
Reuter Pritz, 220

primari, 463, 464, 471-472, 473,


Richet C., 233

474, 477
Richetti, 234-235

secondari, 463, 471-472


Rie Alfred, 398

«Progetto», 453 sgg.


Rie Oscar, 267, 398, 401, 433

Psichiatrica, Clinica, 99-100, 101


Rieger, 340

Psichica, analisi, 297


Rildin Pranz, 381

Indice analitico

Rimozione, 316, 334, 340-341, 346,


Schopenhauer, 386, 448

4'6, 473, 476-477


Schultz ]. H., 471, 483n

termine usato per la prima volta,


Schwab, 212

306
Schwab Sophie, 183, 209

Ringtbeater, 142, 192


Sciatica, 132, 136n, 251

Ritenzione, isterismo di, 337


Scott Sir Walter, 219

Riva, 40'
Seduzione, teoria sulla, 317-321, 388,

Rivoluzione (1848), 27, 3'


392, 427

Roche Sir Boyle, 296, 324n


Semmering, 375, 400, 403

Roma, 36, 409


Serpe, bracciale a forma di, 202

Rosanes, 209
Sessuale, chimica, 313, 363

Rosenstein ludwig, 398


Sessuale, etiologia, 302-303, 307-308,

Rosenthal ( neurologo), 284


317-318

Rosenthal Moritz (pianista), 4'


Shakespeare, 48

Romania, 2', 202-203


Sherrington Sir Charles, 4'9, 482n

Roznau, 42
Siemens Sir William, 139

Russia, 27, 407-408, 478


Siena, 403

Sifilide, 100

Sachs Bernard, 2'2, 269


Silberstein, 209-210

Sachs Hanns, 121, 13'n, 409, 411,


Sinapsi, 4'9, 482n

420n
Sofocle, 47

Sachs Heinrich, 288, 471


Soglia (mentale), 44'

Salisburgo, 364, 399, 401-404


Sogni, cap. XVI

Salpetrière, 2'8-2'9, 261-262, 284, 293


Somma de8li eccitamenti, 336, 454.

San Gimignano, 403


460

Sanscrito, 76
Spalato, 404

Sardou Victorien, 224


Sperlgymnasium, 46

Schelling, 74
Spina, 86

Schenk, 127
Spinale, midollo, 78-79, 270

Schiller, 220, 300, 324n


Spinoza, 446

Schliemann, 399, 416


Spoleto, 403

Scboitzler Arthur, BO, 416


Stahl Reinhold, 3'0

Scholz Pranz, 102-103, IO', 107, 132,


Starr Allen, 2'2

249
Steigenberger, 103

Schonberg Ignaz, nO-l'l, 173, 209­ Stein lorenz von, 140

211
Steinamanger, 211

Indice analitico 497

Stelvio, Passo dello, 404-405 Tylor, 439


Stern Wilhelm, 432 Tysmenitz, 26
Sterne Laurence, 43
Stieda, 79 Uhland, 219
Strachey James, cap. XIV, 412; 460 Ullmann Moritz, 102
Stricker Salomon, 82, 85-86, 121 Ultzmann, 100
Striimpell, 267, 306 Università di Vienna, 67, 89, 263,410
Sublimazione, 382 v. anche Docenza
Siihnhaus, 192
Swoboda H., 379-380 Vasari, 415
Syrski, 69 Vejas, 256
Székely Lajos, 463, 482n Venezia, 402-403, 405-406
Vienna, 36, 42, 44, 45, 63, 170, 203,
Tarocchi, 398 226-227, 248, 356-357, 408, 410
Tasso, 220 Villaret, 263
Teleologia, 76 Virgilio, 47, 431
Teschen, 228
Testicoli di anguilla, 69 Wagner, 209
Thackeray, 220 Wagner-Jauregg, 86, 122
Thiers, 49, 59 Wahle Emil, 209
Titanic, 357 Wahle Fritz, 147, 150-154, 209
T ossicologica, teoria, 313 Wahle Richard, 209
Tourette Gilles de la, 230, 233 Waldeyer, 81, 459, 482n
Tracoma, 122 Wallé, 130
Trafoi, 404-405 Wanaerlust, 225
Trapezoide, corpo, 255-256 Wandsbek, 100, 102-103, 109, 114,
Trauma mentale, 333-337, 346 117, 120, 146-147, 152-153, 155,
Traumatico, isterismo, 284 163, 170-171, 173, 175-176, 194,
Travemiinde, 194 213, 227
Trento,405 Weigert, 139, 253
Trieste, 68-69, 76, 227, 404 Weininger Otto, 379-380, 382
Trigemino, nevralgia del, 126-127, Weiss Nathan, 211, 249
BI, 251 Weltanschauung, 74, 449
Tristram Shanay, 43 Wernicke, 250, 256, 265-266, 406
Trotter, 342 Wernicke-Lichtheim, teoria dell'afasia
Twain Mark, 220, 398 di, 264
Indice analitico

Wiener N., 443, 467, 480n


Young Y. Z., 467

Wilks Sir Samuel, 471

WiUiams Monier, 211


Zar, 407

Winterstein Alfred von, 100, 11ln


Zeissl von, 100

Wisdom ]. O., 467


Ziehen, 433, 437n

Wittels Fritz, 43, Bn, 58, 93, 114,


Zola Emile, 356, 399

132-133, 135n, 302, 430, 436.'1


Zoologia, 57, 67-68, 70, 86

Wordsworth, 452
Zuckerkandl E., 82

Edizione stampata e rilegata


dalle Officine Grafiche Mondadori
Verona
Produzione AME
1962 Printed in Italy

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